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34/qUeSte istituzioni 1980/1° semestre

LA PROPRIETA' EDiLIZIA SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE 1/ Dopo le sentenze n. 5 e n. 13, 1980, di Guido Alpa

Con due pronunce assai complesse, rese a pochi giorni di distanza l'una dall'altra (il 30 gennaio e il 15 febbraio del 1980), la Corte costituzionale ha investito, in pari tempo, questioni attinenti alla materia delle espropriazioni e in particolare ai criteri di indennizzo, questioni relative alla disciplina dei suoli, questioni riguardanti l'organizzazione e la disciplina dell'urbanistica, questioni correlate, infine, alle garanzie della proprietà privata. Le due pronunce, per il loro linguaggio, talvolta oscuro, talvolta evasivo, talvolta ancora involuto, offrono molteplici chiavi di lettura, che si prestano quindi ad una diversa interpretazione dell'atteggiamento della Corte, dei principi enunciati, dell'effetto che tali principi possano dispiegare sulla legislazione anteriore (in senso abrogativo) e sui programmi del legislatore. L'esame congiunto delle due sentenze è per così dire obbligato, ma solo per ragioni di connessione

logica e temporale: la seconda, che reca il n. 13, è meno nota e riguarda specificamente talune leggi della Regione siciliana; si avvicina comunque alla precedente, che reca il n. 5, sol perché ne riprende in toto le argomentazioni, facendo ad essa un semplice rinvio: segno che, come non diversamente poteva accadere, la Corte ha inteso riaffermare, in un breve lasso di tempo, con coerenza di giudizio, gli assunti che avevano sorretto la prima pronuncia, peraltro assai discussa al suo apparire. Critiche, obiezioni, dubbi, perpiessità che da varie parti, e in vario modo, si erano affacciati non hanno sortito l'effetto sperato, né sembrano (ancorché organizzati in precisi appunti critici mossi alla ratio decidendi seguita dalla Corte) poter determinare una inversione della linea di tendenza ormai descritta dalla giurisprudenza della Corte. I modi di lettura delle pronunce sono an-


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ch'essi assai complessi: si intrecciano infatti nelle due motivazioni, ma soprattutto nella prima, assunti di politica economica e di rilevanza politica della proprietà privata, broccardi derivanti dal diritto romano, considerazioni di natura urbanistica, sì che la lettura dei testi - che -potrebbero, per la loro agevole manipolazione, ritenersi una vera e propria « opera aperta » - può anche essere sviata da considerazioni sociologiche, che sono poi, per il loro facile accesso e il maggior effetto che producono, quelle che si sono diffuse nei primi commenti sui quotidiani. •E' inevitabile, tuttavia, che il lettore non possa assumere - di fronte a questi testi - un atteggiamento depurato di passione civile e politica, specie quando (come accade per la pronuncia n. 5) vi si ricollegano conseguenze di grande momento per la politica urbanistica dei comuni, per il mercato edilizio, per l'accesso alla proprietà dell'abitazione. La stessa organizzazione dei criteri di lettura non può dunque che essere orientata: vi è chi vuoi lèggere con analisi riduttiva gli enunciati della Corte, e tende a conferire rilevanza soltanto

al problema dell'indennizzo delle aree assoggettate a procedimento ablativo; chi invece vuoi avvalersi degli obiter dicta della Corte, e operare quindi una sistematica erosione del nuovo sistema di disciplina dei suoli edificabili, inferendo dalle pronunce il crisma di legittimità necessario per assegnare a quel sistema il càrattere (assai pericoloso - a mio avviso) di complesso formativo contrario ai principi costituzionali. In questo contesto, e in. limine all'analisi, appare del tutto appropriata, e quindi da condividersi, la convinzione manifestata da Alberto Predieri in occasione di un recente dibattito sulla pronuncia n. 5, che vede in questa giurisprudenza innovativa della Corte una linea interpretativa da esaminare con cautela, ma certamente da non sopravvaiutare: non si deve correre il rischio, in altri termini, di imputare alla Corte valutazioni e opzioni che (magari latenti) non sono state tuttavia espresse in modo esplicito, né attribuire alla Corte un ruolo di indirizzo legislativo che certamente non le compete. In breve, la lettura che qui si

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3 propone è riduttiva e critica delle posizioni assunte dalla Corte .

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PRINCIPI ENUNCIATI DALLE SENTENZE

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La linea di lettura muove dal raffronto tra i principt enunciati, in questa duplice occasione dalla Corte e i principi via via elaborati nel corso di una giurisprudenza più che ventennale; trascorre 'poi all'analisi della legislazione vigente in materia di edilizia e urbanistica; ed infine propone taluni ac cenni ai 'modelli di intervento legislativo che sono stati indicati al legislatore al fine di colmare il vuoto normativo che le due pronunce hanno creato. Delle pronunce non è. necessario esaminare con diffusa attenzione i singoli passi, ma è sufficiente richiamare, magari in modo semplificato, i principi che esse hanno introdotto. La sentenza n. 5 stabilisce che i criteri di valutazione delle aree suscettibili di edificazione non possono essere riferiti al semplice valore agricolo medio delle colture della zona, pur ampliato dai parametri indicati dall'art. 14 ddllà legge 28 gennaio 1977, n. 10; che nel valutare la loro consistenza economica il legislatore non può riferirsi a parametri astratti, ma deve tener conto del potenziale valore di mercato delle aree, con riferimento alla utilizzazione di cui esse sono suscettibili; che nel disciplinare gli interventi urbanistici il legislatore deve osservare il principio di parità di trattamento, travolto dalla fissazione di criteri di valutazione diversi a seconda che le aree siano ricomprese nel, o esterne al perimetro urbano; che non si possono valutare in modi diversi (quando non opposti) aree assoggettate aJJ'esproprio e aree cedute in vece all'Amministrazione sulla base di un procedimento di libera contrattazione; che

il carattere di edificabilità di un'area è intrinseco alla stessa definizione di proprietà privata, non avendo tuttora il legislatore scorporato il jus aedificandi dalle facoltà del •privato. La sentenza n. 13, per parte sua, stabilisce che le deroghe disposte dall'Assemblea regionale siciliana ai principi di valutazione delle aree espropriande secondo criteri di reddito agricolo sono conformi a Costituzione, dovendosi fondare sul valore venale degli immobili come dispone la disciplina sospetta di illegittimità; che la valutazione degli immobili non può variare a seconda della adesione del proprietario alla richiesta avanzata dai comuni di procedere alla costituzione dei consorzi di comparti, e al reddito dei proprietari che non abbiano aderito a tale . richiesta; che l'Amministrazione regionale (nella specie, l'Assessore 'per il territorio e l'ambiente) non può apportare, per la salvaguardia del pubblico interesse, ai piani regolatori generali adottati dai comuni modifiche essenziali che non rinvengano giustificazione nella disciplina prevista dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 3, lett. a, b, c, d. La medesima sentenza, tuttavia, a parziale rettifica di quanto, pur indirettamente, sosteneva la sentenza precedente, riconosce carattere informatore alla normativa in tema di attività industriali introdotta dalla legge n. 865 del 1971 e alla disciplina dei suoli edificabili introdotta dalla legge n. 10 del 1977, che «per un verso, con i programmi quinquennali di attuazione » si avvale « di un nuovo strumento di disciplina dell'utilizzazione dei. suoli e, per altro verso, sottrae ai proprietari dei suoli, edificabii e no, la scelta del modo e del tempo della loro .utffizzazione ». Ad una lettura più attenta delle due motivazioni, con particolare riguardo agli aspetti di diritto privato che dalle pronunce sono coinvolti, sembra che le linee di organizzazione di un discorso critico della posizione


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assunta dalla Corte siano sostanzialmente due: i criteri di valutazione delle aree, la separazione dei jus aedi/icandi. In questa prospettiva, appare semplice dimostrare che la Corte, sia sotto il primo aspetto, sia sotto il secondo, ha disatteso l'orientamento della dottrina e della giurisprudenza prevalenti, quando non ha finito per contraddire il suo stesso orientamento, precedentemente delineato. Ancora. Per mantenere la bipolarità dei punti di analisi, si può documentare la esattezza di questi assunti sia sotto il proftlo della interpretazione dell'espressione « serio ristoro » che si vuoi associare, di consueto, ai significato di indennizzo per l'esproprio, sia sotto il profilo della interpretazione dei criteri di indennizzo introdotti dalla « riforma della casa » e poi dalla riforma dell'edificabilità dei suoli. In entrambi i casi, l'orientamento della dottrina, che talvolta ha preceduto, talvolta ha fatto seguito all'indirizzo del legislatore nel 1971 e nei 1977, è materia di analisi diffuse e note che non è necessario, in questa sede, sottoporre ad accurata disamina. E' sufficiente richiamare, quale premessa indispensabile dell'interpretazione che qui si propone, le tesi elaborate via via da Massimo Severo Giannini 2 Alberto •Predieri 3 e Stefano Rodotà 4 , cui poi hanno fatto eco, con diverse angolazioni, ma sostanzialmente nel medesimo solco, quelle di Francesco Lucarelli , Michele Costantino 6 Umberto Breccia , Achille Cutrera 8 e Mario Bessone 9, e quelle, parzialmente adesive, di Piero Schiesinger e Antonio Gambaro o. Mentre la linea opposta, espressa da Aldo Sandulli Vincenzo Caianello 12 e Paolo Bonaccorsi 13, non aveva poi manifestato critiche particolarmente incisive, né radicalmente antitetiche alle posizioni della dottrina prevalente. Si è quindi in presenza di due pronunce

che si pongono in contrasto con l'orientamento della dottrina, con l'orientamento del legislatore, con l'orientamento della stessa giurisprudenza costituzionale. Ma è necessario, ormai, passare alla documentazione di questi assunti, con l'avvertenza che particolare attenzione sarà data alla sentenza n. 5, essendo la pronuncia successiva, ancorché omologa, dedicata quasi per intero a problemi di disciplina urbanistica regionale e quindi, almeno •per il discorso che si va conducendo, marginali e comunque scarsamente incidenti sulla sostanza dei risultati da acquisire.

I CRITERI DI INDENNIZZO NEI MODELLI DI DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Le pronunce con le quali la Corte ha risolto questioni di illegittimità costituzionale della normativa dedicata alla disciplina degli espropri e ai criteri di determinazione dell'indennità da conferire ai proprietari sono numerose, come numerose le occasioni in cui la Corte ha invece ritenuto che non si ponessero questioni fondate di incostituzionalità delle norme impugnate. E' comunque già indicativo l'esame di talune, forse delle più emblematiche, delle motivazioni elaborate dai giudici costituzionali. Già significativa è la prima pronuncia con cui la Corte prende posizione in ordine al problema (nella specie, si trattava dei criteri di indennizzo stabiliti dalla legge istitutiva dell'Ente per la riforma agraria della Sicilia). In questa decisione la Corte censura le eccezioni dei ricorrenti, secondo i quali l'indennizzo, per esser tale, deve corrispondere al valore effettivo del bene espropriato, sì che deve esservi equivalenza tra indennizzo e valore del bene assoggettato al 'procedimento ablatorio. E osserva che ragioni di carattere terminologico, ragioni di carattere politico, ragioni infine di carattere


5 storico destituiscono di fondamento questa asserzione (sentenza n. 61 del 1957). Per riprendere parole della Corte, « l'interpretazione letterale, e in certo senso meramente etimologica ("rendere indenne") del concetto di indennizzo non può essere accolta. Essa prescinde del tutto dagli elementi storici e sistematici che invece essenzialmente devono contribuire a determinarla, e soprattutto difetta della necessaria considerazione dello sviluppo e della evoluzione che il concetto ha via via subito, attraverso le varie leggi relative alla espropriazione per pubblica utilità ». Operata questa premessa, movendo dalla disciplina dell'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (« nei casi di occupazione totale, la indennità dovuta all'espropriato consisterà nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattuazione di compravendita »), la Corte indugia sui diversi criteri di determinazione dell'indennizzo via via introdotti dal legislatore, con la legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sul risanamento della città di Napoli, e con i provvedimenti sul piano regolatore della città di Roma, sui piani regolatori di altre grandi città (Bologna, Novara, Milano, Como), con l'effetto di circoscrivere il valore inizialmente considerato, riducendone l'ampiezza. Riduzione - e contestuale sacrificio dell'interesse del proprietario - che la Corte vede pienamente giustificato dal fatto che con esso si deve contemperare l'interesse pubblico: « gli scopi di pubblica utilità - prosegue la Corte - pro•prio per questa loro natura e per i superiori interessi che ne sono il presupposto, devono essere raggiunti; il che significa che essi devono essere coordinati e contemperati il più possibile con l'interesse privato, ma che non possono a questo essere subordinati, al punto che una considerazione integrale di esso finisca praticamente per impedire la realizzazione degli scopi di pubblica utilità ». Di qui la conclusione che indennizzo non si-

gnifica « integrale risarcimento », ma piuttosto « massimo di contributo e riparazione » che l'Amministrazione è in grado di garantire all'interesse privato: contributo che solo il legislatore, risolvendo delicati 'problemi di ordine tecnico, politico, economico, può precisare. Questo modello di decisione è stato ripreso in altre sentenze successive (2 maggio 1958, n. 33; 9 luglio 1959, n. 57; 12 febbraio 1960, n. 5; 18 giugno 1963, n. 91; 9 aprile 1965, n. 22; 28 aprile 1970, n. 63). Tra queste è da segnalare la pronuncia n. 22 deI 1965, resa in materia di costituzionalità dei criteri di valutazione delle aree espropriate per realizzare programmi di edilizia economica e popolare. In quella occasione, la Corte, volendo assegnare alla prospettiva garantista un più accentuato carattere, riassume i principi formulati nella sentenza n. 61 deI 1957, richiamando però solo alcuni dei passaggi della motivazione, quelli che più si confacevano allo scopo che in quel momento si voleva perseguire. Recita testualmente la pronuncia che « con la sentenza n. 61 del 1957 si è affermato che, data la preminenza dell'interesse pubblico, in vista dei fini cui tende l'espropriazione, l'indennizzo non può rappresentare un integrale risarcimento del pregiudizio subito dal proprietario, bensì il. massimo di contributo e di riparazione, che la pubblica amministrazione può garantire all'interesse privato. Si è posto altresì in rilievo che l'indennizzo non può essere stabilito in misura simbolica senza violare il precetto costituzionale pur riconoscendosi che il legislatore possa discrezionalmente stabilire la misura e i modi di pagamento ».. E vi aggiunge un elemento in più, che completa la ratio decidendi: il valore, non simbolico, ma neppure integrale, non deve esser apprezzato con criteri aleatori, qual è, ad esempio, il riferimento temporale al momento di determinazione dell'esproprio connesso con il procedimento ablatorio (« se... l'indennità - avver-


6 tono i giudici - costituisce la garanzia che il terzo comma dell'art. 42 Cost. esige sia assicurata al proprietario che subisce l'espropriazione, non si può non riconoscere che, necessariamente per questo, essa debba essere sottratta ad elementi aleatori. Giacché in caso diverso, in contrasto con il concetto stesso di garanzia, questa resterebbe snaturata e pregiudicata nella sua efficienza »). E' però significativo il fatto che, pur con questa av'vertenza, e sostenendo che il legislatore deve prevedere anche temperamenti tali da evitare che l'indennizzo « perda consistenza », la Corte ammette che non si può « disconoscere la discrezionalità del legislatore di riportare la liquidazione dell'indennità ad una data anteriore a quella dell'espropriazione »: ammissione che finisce per sottolineare il fatto che l'indennizzo ben .può esser astratto, riferito, in altri termini, a momenti, circostanze, valutazioni diverse da quelle attuali ed effettive, sempre che l'indennizzo sia « congruo ». E' questo un punto assai rilevante della giurisprudenza della Corte, che, fino ad allora (e ancora per altro tempo) ritiene che il valore venale sia il limite massimo al quale il privato può tendere per pretendere un indennizzo: lasciando intendere che « limite massimo » non equivale a modello unico di riferimento e di determinazione effettiva del'indennizzo. Mi sembra pertanto sia confermato l'assunto di chi, esaminando la sentenza, ha voluto affermare che « il criterio in questione non deve essere considerato •un parametro di valutazione astratto e assoluto, ma uno strumento capace di valutare in concreto la serietà di un certo indennizzo; per cui un sistema di determinazione dell'indennità che si riferisca ad un periodo anteriore alla data di esproprio non necessariamente risulta illegittimo, ma lo sarà solo qualora tale lasso di tempo determini effettivamente la liquidazione di un non indennizzo » 14. E' infatti innegabile che da sempre i criteri

di valutazione del legislatore, in quanto divaricati dal valore effettivo di mercato (e cioè, tutti i criteri introdotti successivamente alla legge n. 2359 del 1865) sono astratti: intendendo con tale termine la sovrapposizione di un modello diverso (anche se in vario modo riferito alla situazione specifica da valutare) rispetto a quello da cui si muove, che è quello del valore venale, effettivo e concreto . Punto, quest'ultimo, che viene disatteso nell'ordinanza della Corte d'Appello di Torino, del 5 luglio 1974, che aveva impugnato la legittimità costituzionale dei criteri disposti dalla « legge sulla casa », e che viene ripreso e svolto con notevole semplicismo dalla sentenza n. 5, con riferimento a quei medesimi criteri e alla loro integrazione e correzione disposta dalla legge n. 10 del 1977. Né si deve insistere particolarmente sull'equivocità del riferimento all'elemento temporale, istituendo un collegamento ideale con il problema della durata a tempo indefinito dei vincoli di inedificabilità (problema di cui si si era fatta carico la Corte con la sentenza n. 55 del 1968, sancendo, anche per questi motivi e per le incongruità che ne derivavario, la illegittimità ditali vincoli), dal mo mento che la legge n. 10 del 1977, per risolvere la questione, ha fissato precisi limiti temporali all'operatività dei programmi poliennali di attuazione '. Che il criterio, o i criteri, con cui il legislatore valuta le aree possano esser fondati su modeffi astratti è fatto ritenuto pacifico dalla stessa Corte anche in altre occasioni: in particolare, nella sentenza n. 15 del 1976, resa in materia di espropri per l'edilizia scolastica. Ammettendo infatti che non si può prescindere dal valore base (come valore comparativo per determinare la consistenza economica del bene) la Corte esclude tuttavia che l'indennizzo debba corrispondere all'integrale sacrificio del privato, « essendo sufficiente che esso costituisco un "ristoro" an-


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che parziale, purché non merantente simbolico ». Il sistema previsto dalla legislazione scolastica (cioè il criterio di valutazione introdotto dalla legge sul risanamento della città di Napoli) « garantisce, anche nella più ristretta ipotesi, un indennizzo pari alla media fra valore venale e reddito imponibile catastale, cioè pari ad una somma superiore, nella generalità dei casi, alla metà del valore venale. In base a queste considerazioni, emerge la garanzia cli continuità, in un certo adeguamento della consistenza dell'indennizzo alla progressiva svalutazione monetaria ». In tal modo la Corte riconosce la legittimità dell'impiego di criteri astratti (così astratti, come quelli derivanti dall'accertamento catastale, da sollecitare lo stesso intervento del legislatore per operare una riforma del sistema catastale) e anche la correttezza del trattamento indifferenziato dei proprietari, comportando disparità che « sono connaturate all'attuazione, necessariamente graduale, di interventi urbanistici di largo raggio ». Raffrontate con queste parole, e con l'indirizzo maturato nella giurisprudenza della Corte, le asserzioni che si rinvengono nella pronuncia n. 5 appaiono destituite di fondamento, e indulgere ad una lettura deformata delle norme: « perché l'indennità di espropriazione possa ritenersi conforme al precetto costituzionale, è necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica, perché solo in tal modo l'indennità stessa può costituire un serio ristoro per l'espropriato. E' palese la violazione di tale principio ove, per la determinazione dell'indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare, ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso ». Le norme richiamate dalla Corte « non facendo specifico riferimento al bene da espropriare e al valore di esso se-

condo la sua destinazione economica, introducono un elemento di valutazione del tutto astratto, che porta inevitabilmente ( ... ) alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma assicura all'espropriato ». Si è da molti ritenuto che questi e altri passi della motivazione legittimino la conclusione che il valore di mercato debba essere • (non il semplice riferimento concreto, ma piuttosto) l'equivalente dell'indennizzo che deve esser corrisposto al proprietario . Con tale affermazione si operano però due semplificazioni: si imputa alla Corte di aver affermato, per chiare lettere, che l'indennizzo deve (non tendere, ma) esser pari al massimo livello dl ristoro; che il ristoro debba esser equivalente al sacrificio inflitto al privato. Quest'ultima tesi, assai risalente, imputerebbe ai giudici la convinzione che la garanzia proprietaria corrisponda, in oggi, a quella assicurata al privato nel secolo scorso, o comunque a quella prevista ii epoca ormai lontana, sotto la vigenza di una normativa ignara della funzione sociale della proprietà e degli indirizzi accolti dalla Costituzione in materia di indennizzo. La teoria dell'equivalenza, formulata, tra gli altri, da Roberto Lucifredi negli anni Trenta, era infatti così giustificata: « [la proprietà] è costituzionalmente garantita; ma dei singoli specffici beni materiali che ne formano l'oggetto può rendersi necessaria la sottrazione ai rispettivi proprietari e la destinazione al conseguimento di fini pubblici; attuandosi da parte dello Stato l'appropriazione dei beni stessi, il diritto di proprietà come entità patrimoniale è rispettato, e solo ne viene convertito l'oggetto: si tolgono al privato i suoi beni, in modo da reintegrare il suo patrimonio nella sua primitiva consistenza » s.


8 L'INDENNIZZO E IL VALORE AGRICOLO DELLE AREE

Il problema della legittimità costituzionale dei criteri di valutazione non si esaurisce con l'esame della giurisprudenza della Corte sulla applicabilità dei parametri astratti, ma necessariamente investe, in termini più specifici, la• congruità del ristoro che si fonda sui valori « àgricoli » delle aree assoggettate ad esproprio. Anche questo profilo della questione non era nuovo, ché anzi aveva raccolto una messe abbondantissima di pronunce, determinazioni, valutazioni, apprezzamenti (e inevitabili critiche): una questione vessata, ma ampiamente indagata in ogni suo risvolto, sì che non era 'possibile esaminarla con riduttiva lettura, qual vi ha dedicato, per contro, la sentenza n. 5. Tutti i commentatori della legge sulla casa (per tacere della letteratura anteriore, riferita, ad esempio, alla legge per l'area industriale di Padova del 1958) avevano espresso apprezzamenti per la scelta del legislatore, sorretta, .ra l'altro, da un vasto schieràmento politico Non erano mancate le eccezioni di incostituzionalità delle norme che prevedevano la valutazione delle aree con parametri riferiti alle colture della zona, ma molte, corti si erano pronunciate con chiarezza per l'infondatezza della questione. Una sentenza del Tribunale di Napoli, ad esempio, richiamando precedenti riferiti alla legge 4 febbraio 1958 sulla zona industriale di Padova, resi dal Tribunale di Padova (30 giugno 1964) e dallo stesso Consiglio di Stato (28 giugno 1967, n. 243) àTeva ritenuto sufficiente per escludere la contrarietà al precetto costituzionale delle norme della legge sulla casa il riferimento alla funzione sociale della proprietà (« nuova funzione attribuita alla proprietà privata, della quale, nel testo costituzionale, sono stati accentuati i limiti nella misura in cui è stato valorizzato l'interesse collettivo »). E, con riguardo al pro-

blema di specie, aveva osservato che « in senso obiettivo è inaccettabile ritenere simbolico (vale a dire quasi nullo) il valore di un suolo agricolo » e che « è doveroso collegare l'interpretazione » dell'art. 42 Costituzione (senza enuclearlo da tutte le altre norme della Carta costituzionale) con « l'art. 3, secondo comma, il quale impone alla 'Repubblica (e quindi al potere legislativo, esecutivo e giudiziario, oltre che ad ogni singolo cittadino) di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che di fatto limitano l'eguaglianza dei cittadini e impediscono la promozione sociale delle classi meno abbienti ». Un indennizzo che sia, di « importo limitato» appare ,quindi perfettamente conforme al dettato co'stituzionale e in linea con la volontà del Costituente « il quale, per l'attuazione del secondo comma dell'art. 3, non poteva non prevedere anche la soppressione, quando l'interesse collettivo lo esigesse, della rendita parassitaria, la quale, più che derivare dal soggetto espropriato, è conseguenza di fatti più o meno imponderabili, spesso imputabili alla stessa pubblica autorità e di cui il soggetto gode per effetto della sola posizione dell'immobile » 20 Anche la Corte di Cassazione, nell'ammettere che il regime di determinazione dell'indennità dovesse essere disciplinato dallo stesso procedimento esperito dall'Amministrazione con finalità ablatorie, implicitamente riconosceva la varietà (e la legittimità) dei differenti criteri di valutazione 21 Era evidente, con quel criterio di valutazione, lo scopo duplice che il legislatore intendeva realizzare: « facilitare il perseguimento di finalità pubbliche ed in particolare quelle del servizio pubblico dell'edilizia residenziale » e comprimere « fortemente le rendite posizionali» assegnando alla proprietà « una alteriore connotazione del suo assetto », assetto espresso in termini di « proprietà ad uso imposto, cioè proprietà .funzionalizzata in relazione all'uso prescelto dai poteri pubblici,


9 che volta a volta potrà essere tanto di mutamento (e quindi di urbanizzazione ed edificazione di aree non urbanizzate né edificate, oppure di cambiamento della edificazione in atto) quanto di conservazione (ad esempio, parchi nazionali) » 22• E la dottrina che aveva manifestato un atteggiamento critico nei confronti della nuova legge non aveva sottolineato l'incongruità del ristoro, ma piuttosto posto in evidenza i profili di (inevitabile, a mio modo di vedere) disparità di trattamento tra proprietari assoggettati ad esproprio e proprietari rimasti nella piena disponibilità dei propri beni. Non paiono pertanto fondate né 'le obiezioni che a suo tempo certa giurisprudenza aveva sollevato con riguardo all'entità dell'indennizzo (in particolare, la Corte d'Appello dell'Aquila, con ordinanza di rimessione del 10 novembre 1976) né le osservazioni che taluni autori avevano elaborato. Su queste ultime, anche per la fonte autorevole che le aveva avallate, occorre spendere qualche 'parola. Nella memoria che Aldo Sandulli aveva presentato all'udienza di discussione sulla costituzionalità dell'art. 16 della 'legge n. 865 del 1971 si avverte - sotto questo profilo che con tale legge « è stato operato per 'la prima volta un distacco lacerante dal criterio del valore venale: un diifacco il quale avrebbe una sua logica e una sua giustificazione quando il legislatore si fosse proposto, per tale via, di sopprimere del tutto la rendita di posizione » e, ancora, che la legge n. 865 lungi da sopprimere la rendita parassitaria « piuttosto la concentra e la alimenta, esplicando un'azione di promozione e di spinta di un grave e noto fenomeno che dovrebbe essere contrastato e non potenziato: quello dell'alleanza tra speculazione e potere, cui consegue la contaminazione degli interessi della proprietà ». Ove si sottovaluta il carattere riformatore della disciplina, si enuncianQ dati non documentabili (perché coinvolgenti una valutazione di natura poli-

tica, di per sé non verificabile, in quanto radicata in un humus ideologico), si compie, inoltre, una acuta (ma non attendibile) operazione ermeneutica: il tentativo di scambiare il parametro di base (valore venale del bene) con il contenuto necessario e insopprimibile dell'indennizzo 23 Anche a tralasciare poi le argomentazioni organizzate in termini di indennizzo «naturalmente equo » che la legge dovrebbe assicurare, lasciando trasparire un connubio tra principi giusnaturalistici che i Costituenti stessi hanno ripudiato (il diritto all'indennizzo completamente satisfattivo come diritto di natura) e una connotazione equivoca quale quella riferita al criterio di « equità »; o, più esattamente, proponendo una 'lettura delle norme che deduce l'equità dell'indennizzo dalla sua rispondenza ai valori di mercato, quasi che solo ciò che è conforme alle direttive di mercato fosse, 'per ciò stesso, « equo » 24

L'INDEIzzo E IL VALORE DELLE AREE EDIFICABILI

Il contrasto con i principi della Costituzione che talune voci della dottrina e della giurisprudenza, già prima del deposito della sentenza n. 5, avevano voluto intravvedere nella individuazione di criteri di valutazione commisurati al reddito agricolo delle aree è motivato, comunque, sotto forma di giudizio di relazione: il valore agricolo non solo è astratto 'ed eccessivamente modesto, ma è troppo distante dal valore venale, cioè dal valore dell'area che si ricava computando la stima delle potenzialità di fabbricazione. E' questo il profilo più delicato e sottile dell'intera questione: anch'esso trascurato dalla Corte, nella sentenza n. 5, dal momento che viene trattato semplicemente. « Occorre far riferimento, per la determinazione dell'indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali,


lo fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di essò, secondo legge •( ... ). E per le aree destinate all'edificazione, in quanto poste in zone già interessate dallo sviluppo edilizio, deve ritenersi essenziale tale destinazione ( ... ); l'indennità va liquidata in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche e alla sua destinazione economica »: queste le parole della Corte. Ma non si indica - se non per cenni generici - quale sia il valore di base, come si debba calcolare il valore di mercato, se l'ordinamento consenta un controllo sulla scelta delle aree da destinare all'edificazione, un controllo sulla perimetrazione, e così via. In altre occasioni la Corte era stata più precisa. Nella motivazione della sentenza n. 15 del 1976, già citata, si legge: « i fondi urbani e quelli rustici, ai fini della determinazione del rispettivo indennizzo, presentano caratteri sostanzialmente diversi, nel senso che la loro situazione economico-sociale si presenta con note differenziali evidenti, ove si tenga conto che, a prescindere dalla incidenza dei fenomeni monetari, il variare del valore di fondi rustici è essenzialmente legato, di regola, al mutare della qualità di coltura e di classe di produttività dei fondi stessi, mentre quello dei fondi urbani » è determinato da una molteplicità di fattori, tra cui la varietà « delle possibili destinazioni per fini economici ». Si rende evidente (e si giustifica in termini di fattualità, di inevitabilità e di ragionevolezza) la disparità di trattamento tra fondi agricoli e fondi urbani, e quindi si giustifica anche la diversità di criteri di valutazione (in termini quantitativi) delle due categorie di aree, che invece la sentenza n. 5 ritiene contraddire oltre che al principio dell'art. 42, comma terzo, anche al principio di eguaglianza in senso formale. Ancor più precisa è la Corte con la decisione n. 58 del 1974, resa in materia di legittimità costituzionale della legge per Pado-

va, che già si è menzionata. In quest'occasione la Corte distingue tra fondi rustici cotituiti da una semplice area nuda e fondi invece comprensivi di fabbricati: « è ovvio e incontestabile - sottolinea la Corte - che qualunque possa essere il criterio o metodo di estimo, diverso è il valore venale di un terreno nudo, o considerato nella sola consistenza delle colture agricole, rispetto a quello di un fondo istrutto, su cui siano stati costruiti fabbricati rurali per uso di abitazinoe ». Ma la differenza di valore consiste soltanto nel fatto che si aggiunge meccanicamente al valore agricolo del fondo istrutto il valore del fabbricato calcolato ai sensi dell'art. 39 della legge generale sulle espropriazioni: non si riconosce invece effetto alcuno alla rendita edilizia. Per sfuggire a questa facile obiezione, i giudici della Corte, nella motivazione della sentenza n..5, avvertono che « le anzidette conclusioni non contrastano con la sentenza n. 58 del 1974 ( ... ); la Corte ritenne infatti che la indennità stabilita da tale legge riguardava terreni agricoli, secondo la loro attuale destinazione, prescindendo dal maggior valore derivante dalla loro eventuale edi.ficabilità; pertanto la indennità di espropriazione veniva ragguagliata al valore del bene, desumibile dalle caratteristiche di esso e dalla sua. destinazione economica attuale ». Ma l'obiezione non sembra superata, dal momento che la legge n. 10 del 1977, in modo ancor più accentuato di quanto non avesse già fatto la legge n. 865 del 1971, aveva distinto i fondi rustici da quelli urbani, destinando ai secondi un valore molto più alto 25 Allo stesso modo, anche se si volesse accedere al ragionamento della Corte, non si potrebbe sfuggire ad un'altra questione: il valore dell'area potenzialmente edificabile resta identico a seconda della destinazione urbanistica assegnata all'area dal piano regolatore o dal programma di fabbricazione, op•pure esso muta con il mutare ditale destina-


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zione? Così come è principio consolidato in giurisprudenza che il valore dell'area non può essere determinato sulla base dell'opera che si edificherà a cura dell'Amministrazione pubblica sul terreno acquisito, sembra corretto ritenere che il valore deve esser calcolato in base alla destinazione di piano. Altrimenti, si verrebbero a indennizzare i privati per l destinazioni di piano, principio che il legislatore non ha mai affermato e che la riforma della legge n. 10 del 1977 intendeva evitare con la massima cura. D'altra parte, lo stesso Sanduffi, in un saggio sulla disciplina costituzionale della proprietà privata, aveva modo di osservare che « nessuno può o vuole affermare che per le prescrizioni inerenti alla zonizzazione (e quindi anche per quelle inerenti alle destinazioni agricole), alle tipologie costruttive ( ... ), agli allineamenti edilizi, occorra un indennizzo. L'imposizione di obblighi di tal fatta - inerenti alle esigenze dell'assetto territoriale e rispondenti alla funzione sociale della proprietà in correlazione a tali esigenze - è divenuta un aspetto del regime giuridico (un lato della "configurazione") della proprietà immobiliare ». E poi, pur sottolineando le disparità di trattamento derivanti dall'esercizio della discrezionalità amministrativa, perveniva a soluzioni del tutto radicali: « non poche perplessità emergono ( ... ) in ordine alle modalità di tale imposizione, e ancor più in ordine alla facilità con cui un semplice tocco di pennello può trasformare la terra in oro e l'oro in terra mentre sarebbe assai più giusto adottare un sistema - alla scelta del quale il giurista deve restare estraneo - per rendere indifferenti i proprietari al problema della destinazione urbanistica dei suoli » 28 Riconoscere invece che la rendita comunque deve esser riconosciuta (al di là delle stesse destinazioni di piano) significa sovvertire il dettato costituzionale: se è vero che la Costituzione è muta riguardo alla rendita 27, anche vero che l'art. 3, comma 2 - nell'una-

nime orientamento della dottrina - è norma che impedisce il riconoscimento (se non la legittimazione. stessa) della rendita 'parassitaria 28

L'INDEI.muzzo E I PRINCIPI DI EGUAGLIANZA

Accertato che l'indennizzo può esser congruo anche senza eguagliare il valore di mercato, che i meccanismi di determinazione possono essere astratti, che la discrezionalità amministrativa può (anche se il fatto è deprecabile, e comunque ineliminabile) creare difformità di trattamento dei privati, si perviene al punto fondamentale della pronuncia n. 5: i profili di eguaglianza delle posizioni dei privati, che il legislatore avrebbe invece disatteso. Gli appunti che la Corte muove al sistema integrato della legge n. 865 e della legge n. 10 sono numerosi: (a) «l'astrattezza del criterio adottato e la mancata considerazione delle caratteristiche del singolo bene possono portare a irragionevoli trattamenti' differenziati di situazioni sostanzialmente omo genee, in quanto per terreni in eguale situazione per la loro destinazione edilizia potrebbero essere attribuiti indennizzi diversi in relazione al maggiore o minor pregio delle zone agricole nelle quali sono posti »; (b) viene a crearsi disparità di trattamento «tra gli espropriati per effetto dell'attribuzione del coefficiente di maggiorazione dell'indennità relativamente ad aree situate all'interno dei centri edificati »; (c) viene sacrificato il diritto del proprietario con aree adiacenti alla zona perimetrata ma non incluse in essa; (d) per i terreni agricoli l'indennità è fissata sulla base delle colture effettivamente praticate nel fondo; non così accade per i terreni urbani; (e) vi è disparità di trattamento tra proprietari nella stessa zona, a seconda 'che essi siano assoggettati ad esproprio o 'siano invece liberi di negoziare le loro aree.


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A veder bene, ciascuno di questi appunti può esser giustificato con i provvedimenti dettati dalla discrezioxialità amministrativa: ma proprio per evitare irragionevoli differenziazioni il legislatore ha fatto ricorso a criteri applicati meccanicamente (e quindi oggettivamente) con riferimento ad altri dati obiettivi: quelli desunti della coltivazione agricola. Se la Corte avesse voluto esaurire tutti i profili cli diseguaglianza (senza arrestarsi a taluni di essi) avrebbe allora dovuto considerare anche che i criteri commisurati al valore agricolo variano a seconda delle coltivazioni delle diverse zone, a seconda della latitudine, a seconda dell'ampiezza del Comune, e comunque permarrebbe la differenziazione tra ipotesi cui si applica la legge n. 10 del 1977 e ipotesi cui non si applica, e quindi sottratte al regime della determinazione meccanica dell'indennizzo. Non si può giustificare in termini di eguaglianza l'abrogazione di norme che il legislatore aveva introdotto proprio per sanare taluni profili di diseguaglianza esistenti già prima della approvazione della legge n. 865, e persistenti anche dopo di essa; non si può, soprattutto, se questa operazione è compiuta nella consapevolezza che abolendo questo sistema si fa ritorno ad un sistema di valutazione soggettiva, e quindi estremamente più pericoloso, oscuro, labile (e foriero di diseguali trattamenti dei privati) qual è quello previsto dalla legge generale sugli espropri e dalla legge per il risanamento della città di Napoli. Come è noto, la legge sulla città di Napoli fu introdotta, da un lato, per agevolare i privati espropriati che, se esposti agli indennizzi correlati al valore venale degli immobili, avrebbero ricevuto inconsistenti ristori, dall'altro per sanare la prassi delle valutazioni, del tutto infida e inattendibile, quanto al pari trattamento degli espropriati. Ma il sistema non funzionò a dovere, sì che - ricorda Guido D'Angelo - le discrasie della legge « fecero

sostanzialmente porre da parte i nuovi criteri e comportarono la ripresa da .parte dei periti di quello "sconfinato arbitrio" che forse velleitariamente si era detto di voler escludere » 29 Quanto poi alle differenziazioni che si possono creare in ordine al trasferimento coatto e al trasferimento negoziato - se anche si vuoi trascurare il fatto che per il trasferimento ottenuto in via amichevole il sistema della legge n. 10 predisponeva agevolazioni ai proprietari, agevolazioni rese ancor più accentuate nella prassi, dal momento che la circolare ministeriale che impartiva istruzioni alle Amministrazioni locali disponeva che in tali accordi l'ammontare dell'indennità non poteva essere inferiore al 50% del valore venale - la stessa Corte, nella sentenza n. 61 dei 1957 aveva avuto modo di osservare che «l'espropriazione per pubblica utilità ha avuto, nel susseguirsi delle varie disposizioni di cui è stata oggetto, tutt'aitro che una disciplina uniforme, in specie per ciò che riguarda l'indennizzo. Già il criterio della corrispondenza dell'indennizzo al giusto prezzo che l'immobile avrebbe avuto in una libera contrattazione di compravendita (...) non ha avuto, né poteva avere, in pratica, un valore assoluto ». E di rilevare, con un breve, ma persuasivo inciso, che « il riferimento al prezzo della compravendita in una libera contrattazione non può attuarsi, in quanto la libera contrattazione in effetti non sussiste, e in luogo di essa si .verifica una cessione coatta, con la conseguenza che il prezzo, anziché esser determinato in base alla legge economica dell'offerta e della domanda, finisce col subire, sia pure con l'intervento dei periti, una determinazione' astratta e approssimativa, in considerazione prevalente del pubblico interesse ». Prevale, quindi, nella stessa giurisprudenza della Corte, il principio che - proprio al fine di garantire un trattamento il più possibile parificato tra i privati - ha maggior ri-


13 lievo il ricorso a criteri obiettivi, che non si prestano a modificazioni, alterazioni, manipolazioni, piuttosto che non l'esigenza di assicurare, per ciascun esproprio, il ristoro più vicino al sacrificio individualmente imposto. Nella pronuncia n. 115 del 1969 i giudici avvertono: « che l'indennizzo debba essere effettivo e non meramente simbolico è chiaro, ma è chiaro altresì che, specie quando ci si trova di fronte ad espropriazioni di vasta portata e che riguardano numerosi soggetti, il legislatore debba fare ricorso a criteri di valutazione generali e obiettivi, dai quali esula bensì ogni discrezionalità, ma che, per la stessa loro natura, non possono condurre alla determinazione di un indennizzo che rispecchi integralmente il valore del bene espropriato ». In materia di eguaglianza molti altri sono i risvolti che la pronuncia ad una attenta lettura pone in luce °: ma di essi, poiché sono rimasti inespressi, conviene discorrere più oltre, là dove si esamineranno le « omissioni » interpretative della Corte. A fondamento della tesi che la Corte vuol enunciare - essere cioè i criteri di indennizzo previsti dalla disciplina vigente astratti e incongrui perché non tengono conto della funzione economica delle aree espropriate - si pone (con una serie di assunti che richiederebbe, ciascuno, un'ampia serie di argomentazioni, ma che i giudici hanno voluto porre in modo apodittico) una radicale critica al sistema di formazione dei suoli edificabili introdotto dalla legge n. 10 del 1977. Come è noto, conquesta legge, che dottrina, parti politiche, forze sociali avevano salutato come un apprezzabile rimedio alla questione delicata e apparentemente insolubile apertà dalla sentenza n. 55 del 1968 sull'indennizzo dei vincoli di inedificabilità, si è affermato il principio della separazione del jus aedificana!i dal diritto di proprietà, dovendo qualsiasi trasformazione urbanistica ed edilizia esser attuata solo mediante apposita «con-

cessione » (art. 1), dovendosi ancora operare l'edificazione, talvolta anche in via coattiva, entro piani poliennali di attuazione limitati nel tempo, al fine di assicurare alla mano pubblica anche forme di controllo temporale, accanto a quelle di ordine morfologico e spaziale (art. 13), dovendosi infine accollare il privato i costi della urbanizzazione primaria e secondaria (artt. 4 e 5) e - nei casi di edilizia convenzionata - potendo l'Amministrazione controllare il prezzo di vendita e i canoni degli alloggi (art. 8) Ignara (o consapevolmente indifferente), la Corte per parte sua ritiene che: « il sistema normativo attuato per disciplinare l'edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando ( ... ) della edificazione »; che tuttavia la rigidità del sistema non legittimi le conseguenze che (a sentire la dottrina, in primo luogo) se ne vorrebbero trarre; che la edificazione « avviene ad opera del proprietario dell'area, il quale, concorrendo ogni altra condizione, ha diritto ad ottenere la concessione edilizia »; che « il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire »; che «solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale che legittimi a costruire può edificare »; che « la concessione a edfficare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti »; che essa « non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la sussistenza »; che il sistema degli oneri di urbanizzazione che accompagnano la concessione non riesce « ad impedire la traslazione degli oneri stessi a carico degli acquirenti delle unità immobiliari costruite, affrancandone così il costruttore ». Gli equivoci in cui (consapevolmente o no)


14 la Corte si dibatte sono essenzialmente tre: che — una volta acquisito il potere di controllare se, come e quando costruire — la mano pubblica non abbia acquisito anche il potere di indicare dove si può costruire; che - legittimando il proprietario, il superficiario, l'enfiteuta a chiedere la concessione edilizia — il legislatore abbia voluto riconoscere in capo ad essi il diritto ad edificare, e non invece semplicemente attribuire la legittimazione all'esercizio di un diritto che questi soggetti acquistano solo dopo aver presentato la richiesta ed aver ottenuto la concessione; che la prospettiva nella quale considerare la disciplina del jus aedi/candi non sia mutata dal 1968 (anno in cui fu resa la sentenza n. 55) ad oggi, quasi che il rapporto si istituisse pur sempre tra una Amministrazione che semplicemente « accerta » la compatibilità dell'iniziativa privata ad edificare còn le destinazioni di piano. A ciascuna di queste asserzioni, che sono implicite nella motivazione della Corte, si può agevolmente (e con la medesima brevità) dare risposta negativa - Se si riconosce in capo all'Amministrazione il potere di stabilire se il privato possa costruire, si ammette, per implicito, che l'Amministrazione possa stabilire (negandolo, o consentendolo) anche dove si può costruire, come, e quando; indicando che la concessione può esser chiesta dal proprietario il legislatore intendeva semplificare i rapporti, attribuendo ad un soggetto determinato il diritto, diritto peraltro facilmente trasmissibile, magari anche nelle forme della superficie; attribuendo, ancora, all'Amministrazione il potere di concedere il diritto ad edificare il legislatore non ha semplicemente considerato la funzione statica del controllo, ma anche quella dinamica, dal momento che l'Amministrazione, nel governo del territorio, può persino obbligare il proprietario a costruire, pena l'esproprio dell'area ricompresa nel piano poliennale di attuazione (art. 13).

L'operazione ermeneutica della Corte ha, sostanzialmente, riportato la situazione (qualora volessimo dare a questi suoi assunti valore di rilievo normativo) a quella che si era creata immediatamente dopo il deposito della sentenza n. 55 del 1968. Ma il legislatore, pur con difficoltà e rinvii, aveva seguito le indicazioni che in quella occasione la Corte aveva voluto impartirgli. Nel ricostruire le vicende che il legislatore avrebbe dovuto considerare al fine di colmare il vuoto normali. vo aperto dalla Corte con la sentenza n. 55, la dottrina aveva posto in luce numerosi e vari problemi, preparando, se così si può dire, la riforma del 1977. Intanto, si era osservato - in sede di commento alla sentenza n. 55 del 1968 — che vi è una « distinzione nettissima ( -- -) tra i profili della funzionalizzazione dei suoli, determinata dall'azzonamento che in tal modo si inquadra nel regime costituzionale della proprietà e, d'altro canto, tra i programmi di attuazione delle previsioni di piano e dei connessi interventi espropriativi, anche qui in perfetta coerenza con il dettato costituzionale » 32 E poi, sulla discrezionalità amministrativa nella perimetrazione degli abitati e sulla zonizzazione, Massimo Severo Giannini, sempre in quella sede, aveva avvertito che « il motivo dell'arbitrarietà della scelta amministrativa o politico amministrativa dell'autore del piano regolatore è un motivo che si vede affiorare nella sentenza della Corte costituzionale (); come si possa ottenere il risultato della indifferenziazione dei proprietari è problema che ammette diverse tecniche, le quali vanno dall'espropriazione generale di vaste parti del territorio del Comune, sino al sistema di recente suggerito, di imporre a chi vuol costruire il pagamento di una somma corrispondente pro quota alla volumetria edificabile nell'intero Comune ( ... ) ». E proseguiva, l'illustre studioso, operando una stretta correlazione con la misura della indennità: « il concetto da affermare sembra


15 sia, in fondo, il vecchio concetto della giurisprudenza inglese, cioè l'indennità di espropriazione deve consistere nel ristoro di quel valore che è opera dell'uomo. Quindi, va escluso dall'indennità di espropriazione il ristoro di quei valori che non provengono dall'attività dell'uomo, ma provengono da fatti della collettività, come le acquisizioni di plusvalori derivanti dall'espansione urbana, l'acquisizione di particolari valori derivanti da esecuzione di opere pubbliche, o da trasformazioni economiche che possono anch'esse derivare da opera dell'uomo, ma comunque da uomini che agiscono nella collettività, non i proprietari delle aree » E, nel raffronto tra disciplina urbanistica e disciplina dei vincoli paesaggistici, Alberto Predieri aveva modo di precisare che la scelta dell'Amministrazione con l'azzonamento « è necessaria in quanto tutti i beni immobili sono suscettibili di destinazione edificatoria solo se i piani regolatori li destinano a questo uso ,( ... ); la differenza naturaliter esistente tra i beni di interesse paesistico ( ... ) e i beni che non hanno questo carattere, sotto il profilo della disciplina edificatoria, si rivela inconsistente ( ... ). All'atto amministrativo competerà di determinare il tipo, il quantum dell'azzonamento, non il suo an », in quanto il se dell'azzonamento è previsto direttamente dalla legge E non si deve sottovalutare il fatto che le valutazioni dell'Amministrazione, specie in materia di formazione dei piani regolatori, ma anche dei programmi di fabbricazione (come ha avuto modo di precisare la Corte costituzionale con sentenza n. 23 del 1978) sono « partecipate »; prevedono in altri ter mini sia osservazioni da parte dei privati che appartengono alla collettività locale, sia vere e proprie opposizioni da parte dei proprietari incisi dalla destinazione di piano. La legge consente quindi sia agli abitanti del quartiere, sia agli interessati più direttamente dall'azione amministrativa, di cooperare, da un

lato, per realizzare le scelte più opportune, e di provocare il controllo della legittimità di tale azione, qualora essa si rivelasse lesiva degli interessi legittimi del privat'o '. Ma vi sono anche altre considerazioni che, in materia di edificabiità dei suoli, si possono svolgere con riguardo a ulteriori profili della questione. Avvertiva la Corte di Cassazione, a due anni di distanza dalla sentenza n. 55 del 1968, che «se da un lato è vero che lo jus aedificandi inerisce al diritto di proprietà fondiaria come una delle concrete e peculiari manifestazioni in cui consiste e si estrinseca il contenuto del dominio, dall'altro non è men vero che l'esercizio di tale diritto soggiace all'osservanza di molteplici limitazioni e prescrizioni, connesse, per legge, a determinazioni della pubblica autorità ( ... ); ciò implica che il privato non ha, nei confronti della pubblica Amministrazione competente a rilasciare la licenza edilizia, un diritto soggettivo di costruire sul fondo del quale ha la disponibilità » E la dottrina, sottolineando l'incongruità della duplicazione del concetto di jus aedi/icandi (considerato diritto soggettivo nei rapporti tra privati, e interesse legittimo, o diritto affievolito, nei confronti della pubblica Amministrazione) revocava in dubbio - nel momento in cui entrava in vigore la legge n. 10 del 1977 - che si fosse operato lo «scorporo » della facoltà di edificare dai poteri del proprietario, dal momento che tale scorporo era già avvenuto molto tempo prima, spettando alla mano pubblica la decisione se, dove, come e quando costruire sui terreni di proprietà privata . Non c'è dubbio poi che, se anche non si dovesse ritenere appagante questa interpretazione, l'unanimità della dottrina, fatte salve solo isolate eccezioni, nel proclamare ormai separata dal diritto di proprietà la facoltà di edificare operata con la legge n. 10 dei 1977 è, una volta di più, una persuasiva conferma dell'assunto che la facoltà di edificare


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non può più costituire una « qualità » del bene di cui occorre tener conto nella valutazione delle aree, quando tale facoltà è esclusa dalle destinazioni. di piano.

LE OMISSIONi DELLA CORTE

Se già appaiono discutibili gli assunti che • la Corte ha posto alla base, della sua decisione, certamente da censurare sono le omissioni che, nel, costruire la ratio decidendi -della pronuncia, la Corte ha intenzionalmente compiuto. Dell'art. . 42 Costituzione la Corte ha volutamente ignorato il secondo comma, che assicura. la funzione sociale della proprietà, quasi 'a dimostrare che, come già a suo tempo aveva proposto con la sentenza n. 55 del 1968, è possibile sezionare i commi della norma, senza porre alcuna correlazione tra di loro, e riguardare la materia della espropriazione come se essa fosse riferita ad un diritto 'per così dire « diverso » da quello di cui si tratta nei due commi precedenti. La Corte, in altri termini, ha passato sotto silenzio sia la 'nozione di « proprietà coni ormata » che, come ritiene la dottrina prevalente sulle orme segnate da Massimo Severo Giannini, è la veste giuridica del diritto di proprietà, sia la nozione di « funzione sociale>? che non può non incidere sulla proprietà, in qualsiasi situazione essa venga riguardata Ma questa omissione interpretativa ha valenze politiche di grande rilievo, dal momento che, in così dire, la Corte ha implicitamente riconosciuto alla rendita fondiaria dignità costituzionale: nell'ammettere infatti che le aree debbono essere considerate secondo la loro « potenzialità economica » la Corte ha finito per ammettere 'che - nel computo del sacrificio imposto al proprietario - non si può non tener conto (magari come semplice parametro di riferimento, al quale si deve avvicinare l'indennizzo) del valore pieno dell'area, comprensivo anche della rendita parassita-

ria. Ora il fatto che la Costituzione non preveda esplicitamente la compressione della rendita parassitaria (fatto che, a parere di Giovanni Tarello rende sterili le discussioni sulla rendita fatte in termini di disciplina costituzionale e legittima' la Corte ad impiegare formule del documento costituzionale per sabotare i saltuari interventi del legislatore ordinario miranti a colpire le rendite parassitarie 88) non implica che di per sé la rendita sia costituzionalmente garantita. Già il fatto che la garanzia sia subordinata alla funzione sociale assicura che la rendita non poteva essere accolta tra i valori da salvaguardare 89 ma l'ampia dizione del. l'art. 3, comma 2, Costituzione, sembra un vero e proprio baluardo contro il proditorio ingresso del « valore » rendita tra gli interessi che la Costituzione dovrebbe tutelare: altrimenti, non si ha modo di dare contenuto al secondo comma dell'art. 3, là dove, nel menzionare gli « ostacoli » che impediscono il pieno sviluppo della persona umana - ostacoli, si sottolinea, di ordine economico - fa riferimento a quelle forme di organizzazione dei rapporti privati che tendono ad escludere che la diseguaglianza dei cittadini derivi, principalmente, dal loro lavoro. E si deve segnalare, infine, l'omissione di qualsiasi riferimento all'art. 47 Costituzione, che impegna la Repubblica ad assicurare l'accesso alla proprietà dell'abitazione: sia che si voglia intendere l'espressione « proprietà » in senso civilistico, sia la si voglia considerare una espressione atecnica, con un significato più ampio e comprensivo, corrispondente piuttosto all'uso o alla disponibilità di un alloggio 40, evidente che l'aver minato alle basi il sistema introdotto dalla legge n. 10 del 1977 ha impedito l'attuazione dell'art. 47 e comunque - sul piano fattuale - la realizzazione di programmi pubblici di edilizia sovvenzionata e agevolata.


17 IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA E L'ESPROPIO

dalla legge sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica (legge n. 1643 del 1962). Uno dei motivi di critica che si possono A questi criteri si aggiungeva, infine, il crimuovere alla pronuncia della Corte riguarda terio del valore venale, per le opere privat infine l'abrogazione dell'art. unico della leg- di pubblica utilità. ge 27 giugno 1974, n. 247, che estendeva Già prima della introduzione della legge n. a tutte le espropriazioni, comunque preor- 247 del 1974 si discuteva se gran •parte di dinate alla realizzazione di opere o cli inter- tali criteri non dovesse essere superata dalventi da parte dello Stato, delle regioni, l'applicazione estensiva dell'art. 9 della legdelle province e dei comuni o di altri enti ge n. 865 del 1971. La questione era assai pubblici o di diritto pubblico, anche non controversa e, come è noto; diede luogo a territoriali, i criteri di determinazione deldiverse posizioni assunte dal Consiglio di l'indennità previsti dalla legge n. 865 del Stato, dalla Avvocatura dello Stato, dalla 1977, e integrati dalla legge n. 10 del 1977. Corte di Cassazione 41 Per sanare questa E' appena il caso di ricostruire, per cenni, grave incertezza la legge n. 247 del 1974 le origini della legge n. 247 del 1974. Si estese appunto l'applicazione dell'art. 9 (e trattava, in breve, di unificare i criteri di quindi dei criteri di determinazione dell'indeterminazione dell'indennità che i diversi dennità previsti dalla legge n. 865) a tutte procedimenti espropriativi avevano via via le opere pubbliche (ad esclusione delle opedifferenziato, esponendo i privati al rischio re private di interesse •pubblico). di ricevere una reintegrazione diversa a se- Si sottraevano quindi i privati ad una (davconda del tipo di opera pubblica che si do- vero ingiustificata) diversità di trattamento veva realizzare. Occupando la legge n. 2359 e si uniformavano i criteri di determinaziodel 1865 uno spazio residuale, gran parte ne dell'indennità, anche se non erano mandelle opere pubbliche erano costruite sulla cati contrasti nella interpretazione della stesbase del procedimento espropriativo della sa legge n. 247, evocati da un nuovo parere 42 legge di Napoli, o ad essa facevano rinvio del Consiglio di Stato per la scelta dei criteri di determinazione Il problema ora aperto dalla Corte è assai complesso: dichiarando l'illegittimità della dell'indennità: tanto per esemplificare, le opere ferroviarie in esercizio dello Stato, norma, si è riportata la situazione a quella (legge n. 429 del 1907), e affidate ai privati esistente prima della sua introduzione, con (R. D. n. 1447 del 1912), le servitù aero- la pluralità di criteri di indennizzo a seconnauti4ie e la sistemazione degli aeroporti (leg- da dei procedimenti espropriativi, o si è ge n. 1630 del 1927), le strade statali (R. D. abolita la stessa differenziazione dei criteri, n. 1904 del 1928), le opere portuali (legge dovendosi applicare non più neppure la legn. 1857 del 1929), i campi sportivi (R. D. ge di Napoli, ma direttamente il criterio del n. 302 del 1938), l'edilizia scolastica (leg- valore venale previsto dalla legge , generale ge •n. 45 del 1954), e così via. A questi sulle espropriazioni? criteri si affiancavano poi i criteri previsti E' un delicato problema di disciplina costiper l'edilizia economica e popolare (legge tuzionale, che Costantino Mortati definisce n. 904 del 1965, che modificava i criteri di « efficacia ripristinatoria » delle norme precedenti). E, ancora, i criteri previsti dalabrogate dalla legge dichiarata incostituziola legislazione sulla bonifica integrale (legnale . Seguendo l'opinione accolta dall'ilge n. 215 del 1933), dalla riforma agraria, lustre giurista, l'efficacia ripristinatoria è da dai piani regolatori di alcune grandi città, ammettere sia nel caso « di legge a conte-


18 nuto esclusivamente abrogativo », sia nel zione dei privati espropriati. Poiché nessuno caso in cui « l'illegit'timità sia stata dichia- dei criteri via via introdotti dalla legislarata con riferimento alla parte della legge zione speciale risponde a tali requisiti, la che abbia dichiarato l'abrogazione, ed al- conclusione dovrebbe tendere all'unificazione tresì quando l'invalidità investa tutta la leg- nel modello del riferimento al valore di merge per vizi di forma » Ma il •punto non è cato, come previsto dalla legge n. 2359 del questo: la legge sulla casa e successivamen- 1865. Conclusione peraltro da accogliere con te la legge sulla edificabilità dei suoli non molte perplessità. si sono limitate ad abrogare i criteri di in- Ma se si volesse approfondire ancora il didennizzo previsti dalla legislazione anteriore, scorso, occorrerebbe farsi carico di un'altra ma ne hanno introdotti di nuovi; e la leg- questione, di natura formale, che comunque ge n. 247 del 1974 li ha estesi alle opere denuncia l'oscurità .della pronuncia n. 5. Si pubbliche, disponendo che « si applicano a tratta della (avvenuta?) declaratoria di il: tutte le espropriazioni comunque preordinate legittimità costituzionale dell'art. 16, sesto alla realizzazione di opere e di interventi da comma, della legge n. 865 del 1971. La parte dello Stato, delle regioni, delle pro- disposizione stabilisce che « nella determivince e dei comuni, o altri enti pubblici o nazione dell'indennità non deve tenersi aldi diritto pubblico anche non territoriali » cun conto dell'utilizzabiità dell'area ai fini le norme del titolo Il della legge n. 865 della edificazione, nonché dell'incremento del del 1971. Si è in presenza quindi di prov- valore derivante dalla esistenza nella stessa vedimenti di riforma dell'intero sistema di zona di opere di urbanizzazione primaria determinazione dell'indennità e di organiz- e secondaria e di qualunque altra opera o zazione dei procedimenti espropriativi. impianto pubblico ». La norma, che faceva In questa particolare ipotesi la soluzione è sistema con i principi informatori della legmeno sicura. Avverte ancora Mortati: « sem- ge n. 865 del 1971, non è stata abrogata bra -- e l'espressione è in questo contesto dalla legge n. 10 del 1977, la quale, infatti, davvero cauta e problematica - che ( ... ) all'art. 14 dedicato alla indennità di esprospetti all'interprete (sempreché la Corte non priazione modifica i criteri di determinazioabbia fatto uso dell'art. 27 •per estendere ne, integrandoli con coefficienti particolari, gli effetti della sua pronuncia anche alle di- ma non altera la disposizione e le direttive sposizioni non denunciate che risultino col- generali in essa contenute di cui all'art. 16, legate a queste ultime) di accertare se la comma quarto, della legge sulla casa. Si può parte della normazione non toccata dalla pro- con sicurezza fondare questo assunto sia su nuncia della Corte sia suscettibile di appli- un'argomentazione di carattere testuale, sia cazione, indipendentemente da quella ca- su una argomentazione di carattere teleoloducata ». gico. La prima si 'desume dal testo dell'art. Se si dovesse allora proporre comunque una 14 della legge sulla edificabilità dei suo11, soluzione, ed essa dovesse fondarsi sullo che sostituisce solo i primi quattro commi « spirito », se così si può dire, della pro- dell'art. 16 della legge n. 865, lasciando innuncia di incostituzionalità, si dovrebbe in- vece in vigore gli altri tre commi. La seferire, dai principi espressi dalla Corte, che conda si desume dallo spirito informatore restano in vita solo i criteri di determina- di entrambi i provvedimenti che, valutando zione dell'indennità che rispondano ai re- a prezzo agricolo le aree, fossero esse edificate o no, non poteva farsi carico della dequisiti prescritti: da un lato, concretezza dei valore considerato; dall'altro, indifferenzia- stinazione alla edificazione dell'area consi-


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derata. Gli interpreti della legge n. 10 del 1977 sono comunque unanimemente concordi nel ritenere che l'art. 16, comma quarto, della legge n. 865 non è stato modificato dalla legge n. 10, se non nel fatto che taluni criteri nuovi sono stati introdotti proprio per risarcire con somme più satisfattive i proprietari di aree comprese nei centri edificati. il problema che ora apre il dispositivo della Corte è assai delicato: la Corte dichiara l'iliegittimità costituzionale « dell'art. 16, c. 6 e 7, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nome modificati dall'art. 14 della legge 28 ennaio 1977, n. 10 ». Ma, come si è sora indicato, l'art. 14 della legge 10 non abroga né modifica direttamente i commi 3, 6, 7, bensì i primi quattro commi soltanto. Si deve allora ritenere che la Corte intendeva abrogare tout court i commi 5, 7 della legge n. 865, o che li ha citati soltanto ob relationem alla legge n. 10 e quindi li ha lasciati in vita, dal momento che questa legge non li ha modificati, o ancora che la Corte, avvalendosi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, sul suo funzionamento, ha esteso la pronuncia di illegittiinità anche a tali norme? Per la verità, l'art. 16, comma sesto, della legge n. 865 contiene due principi, dei quali l'uno è pacifico, già dal secolo scorso, e deve intendersi nel senso che non si può liquidare al privato una indennità che sia comprensiva anche dei vantaggi (e quindi del plusvalore) acquisiti dall'area per effet• to di costruzioni di opere pubbliche o di opere di urbanizzazione primaria e secondaria; questo principio non poteva esser disatteso dalla Corte. Ma la norma, nella sua prima parte, stabilisce pure che nella determinazione dell'indennità non si deve tener conto della destinazione alla edificazione dell'area: se si mantenesse in vita questo secondo principio, nel valore « di mercato » non si dovrebbero aggiungere i « corrispet•

tivi » derivanti dall'incremento di valore per l'edificabilità.

I

PROGETTI DI RIFORMA

La situazione aperta dalla pronuncia n. 5 del 1980 sembra avviata a un destino non dissimile da quello che segnò il vuoto normativo creato dalla sentenzan. 55 del 1968: una successione di provvedimenti transitori, sino ad una riforma parziale e quindi incompleta della materia. Il disegno di legge presentato dal Governo al Parlamento alcuni giorni dopo il deposito della pronuncia lascia infatti impregiudicata la questione dibattuta dalla Corte, disponendo la proroga dei criteri in vigore precedentemente eaffidando ad un ulteriore provvedimento la fissazione dei criteri per operare il conguaglio delle somme liquidate secondo il valore agricolo delle aree. Un provvedimento che ha la funzione di non scardinare completamente il sistema, senza però aprire alcuna via di soluzione. Gli interpreti, in varie sedi, hanno elaborato numerosi modeffi alternativi a quello in vigore fino a qualche mese fa: alcuni sono frutto di idee fantasiose e difficilmente realizzabili (come quello proposto da Caianiello, consistente nella permuta delle aree assoggettate ad espropriazione con altre aree recuperate dal privato e offerte all'Amministrazione); altri tendono a radicalizzare la situazione, proponendo una formulazione più precisa dell'art. i della legge n. 10 del 1977, intesa a sancire in modo inequivoco e irreversibile lo scorporo del jus aedificandi dal diritto di proprietà e ad affidare quindi alla mano pubblica non solo il controllo, ma anche l'uso delle aree edificabii. Altri modelli sono ripetitivi, forse in modo un po' meccanico, delle discipline di altri ordinamenti: come il modello francese, sulle « camere di compensazione », che assicu-


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rano la redistribuzione del valore acquisito dalle aree edificaili circostanti a quelle espropriate, a vantaggio però dei soli proprietari assoggettati al procedimento ablatorio; come quello inglese, che assegna invece le aree alla mano pubblica, la quale, dopo averle urbanizzate, le pone all'asta per l'attribuzione ai privati. Altre proposte ancora si affidano all'imposizione fiscale, assumendo come valore di esproprio quello di mercato e compri.mendo la rendita mediante prelievi più o meno consistenti. Variazioni di questo sistema sono contenute nel c.d. « progetto Storoni », che lascia al privato la facoltà di dichiarare, ai

fini dell'imposizione fiscale, il valore che crede dell'area di sua proprietà in modo da aver liquidata poi a titolo cli indennità una somma equivalente al valore dichiarato. Il problema diviene allora - in questa. prospettiva - estremamente complesso e deve esser considerato in tutti i suoi aspetti, senza trascurare quelli economici, che ne sono, anzi, uno dei risvolti fondamentali. Il problema della casa, dell'edilizia pubblica, dei mutui ai cittadini non •proprietari di alloggi è connesso con il precedente. La sentenza ti. 5 della Corte non poteva risolverlo; ma (se mai era possibile) l'ha reso ancora più complicato, e forse insolubile.

A. PItEDIERI, Relazione al convegno su Urbanistica: vertenza aperta, organizzato dal Centro di studi e documentazione giuridica di Genova, 1'8 marzo 1980; al convegno sono state presentate relazioni di Mariò Bessone, Fortunato Pagano e Michele Achilli. Gli atti sono in corso di pubblicazione per i tipi dell'editore Zanicheffi. Le tesi di M.S. GIANNINI erano già state organizzate in teoria coerente nel libro su I beni pubblici (ed. lit.), Roma 1963 (e riprese poi da S. CASSE5E, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano 1967), rielaborate nel Diritto amministrativo, Milano 1970, vol. 11, p. 1117 ss. e nel saggio sulle Basi costituzionali della proprietà privata, in « Politica del diritto », 1971, p. 443 Ss. (in cui si sviluppavano appunti e rilievi già accennati dall'illustre autore nell'intervento al convegno indetto dall'Istituto nazionale di urbanistica a Roma, 1'8 luglio 1968, e pubblicato in G. Caìvios VENUTI, Urbanistica incostituzionale, Padova 1968, p. 109 ss. e in G. ALPA e M. BEssot., Poteri dei privati e statuto della proprietà, Genova 1978, p. 789). La tesi è stata poi ripresa nel Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1976, p. 212 55. Nell'opera copiosissima di questo A., v. segnatamente Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano 1969, p. 127 ss.; La « riforma della casa », Milano 1971 (in collaborazione con V.A. Brunetti, M.A. Bartoli e G.Iorbidel1i); La legge 28 gennaio 1977, n. 10, sulla edificabilità dei suoli, Milano 1977. V. Poteri dei privati e disciplina della proprietà, ne Il diritto privato nella società moderna, Bologna 1971, p. 379 ss. e da ultimo, La proprietà all'Assemblea costituente, in « Politica del diritto », 1979, p. 395 ss. (ove si anticipano pagine in corso di pubblicazkne, per i tipi di Zanicheffi, nel Commenta-

rio della Costituzione, diretto da G. Branca, sub art. 42). La proprietà «pianificata », Napoli 1974 (ma v. anche Solidarietà sociale e autonomia privata, Napoli 1970, cap. V). M. COSTANTINO, Contributo alla teoria della proprietà, Napoli 1967, p. 21 Ss. BazcclA, Proprietà edilizia e tutela della salute, in corso di pubblicazione per i tipi dell'editore Giuffrè. 8 V. Concessione edilizia e pianificazione urbanistica, Milano 1977. ° V., in particolare, Ri/orma del regime del jus aedi/icandi e problemi di governo del territorio, in «Temi », 1976, p. 147 ss. e Gli strumenti giuridici dell'intervento pubblico nei centri storici (in collaborazione con B. Gabrielli), in « Foro Amministrativo », 1975, Il, p. 726 ss. 10 V. il commento che gli AA. hanno elaborato soprattutto all'art. 1 della legge n. 10 del 1977, in Le nuove leggi civili commentate, Milano 1977; di A. GAMBARO v. anche Jus aedi/lcandi e nozione civilistica della proprietà, Milano 1975 e Proprietà privata ed espropriazione, Bologna 1977. Il Di A. Sandulil appare necessario menzionare almeno la Relazione introduttiva al convegno di Sanremo sulla tutela del paesaggio (i cui atti sono stati pubblicati per i tipi di Giuffrè, nel 1963) comparsa con il titolo Natura ed effetti dell'imposizione di vincoli urbanistici, in « Rivista trimestrale di diritto pubblico », 1961, •p. 823 Ss.; l'intervista concessa all'e Astrolabio » (7 luglio 1969, in seguito alla sentenza n. 55 del 1968 della Corte costituzionale, ora in G. ALPA e M. BESSONE, Poteri dei privati..., cit., p. 785); e Profili costituzionali della proprietà privata, in « Rivista trimestrale di diritto e proce. dura civile », 1971, p. 1 ss.

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21 12 La nuova disciplina delle espropriazioni. Note introduttive e profili di costituzionalità, in «Rivista giuridica dell'edilizia », 1972, lI, p. 18 ss. 13 Di questo A. v. La legge per la casa (in collaborazione con Lanzaro), Roma 1972, p. 76 Ss. e Regime dei suoli (in collaborazione con Pallottino), Milano 1975.

so, Procedimento ablatorio, nuovi criteri di determinazione dell'indennità, funzione « precettiva » dell'art. 3 c. 2 Cost. 21 V. ad esempio Cass. 2 mgagio 1977, n. 1671 (e il commento di D. MORR0NI, Sui criteri di determinazione dell'indennità di espropriazione, in « Rassegna dei lavori pubblici », 1979; Sp. 254 ss.). 22 Sono parole di A. PREDIERI (Urbanistica..., cit. Un gran numero dei materiali più rilevanti in quep. 135). sta materia (e dei saggi o dei passi sopra menzio23 A. Sandulli, in nati) sono riprodotti ora in G. ALFA, M. BESSONE, G. ALFA, M. BESSONE, G. ROLLA G. ROLLA, Il privato e l'espropriazione, voi. I, PrinIl privato e l'espropriazione, cit., p. 283 ss. cipi di diritto sostanziale e criteri di indennizzo, Mi- 24 V. sul punto le Relazioni di U. ROviGNOLI e lano 1980. S. RODOTÀ, al convegno sull'equità organizzato a 14 G. ROLLA ne Il privato e l'espropriazione, cit., Lecce, nel 1974 (ora in L'equità, Milano 1976). voi. I, p. 205 (e già La misura della indennità di 25 Su questi aspetti della questione v. per tutti A. esproprio nel quadro del sistema costituzionale ita- PREDIERI, La legge..., cit., p. 414 Ss. liano, Milano 1973, p. 50 ss.). Ma v. anche D. So26 RACE, Espropriazione della proprietà e misura del- 27 A. SANDULLI, Profili costituzionali..., cit., •p. 487. Così G. TARELLO, La disciplina costituzionale l'indennità, voi. I, Milano 1974; e, ora, G. ABBAMONTE, Eguaglianza, partecipazione e pianificazione della proprietà. Lezioni introduttive, corso di diritto civile 1972-1973, Genova 1973, Sp, 30 ss. nella gestione del territorio, in « Giustizia civile », 28 Questo aspetto è trattato acutamente da A. Pa1979, IV, p. 235 ss. ' 5 Ma si discute se lo stesso valore di mercato co- DIERI ne La « riforma della casa », cit., p. 136 ss., e 151 55. stituisca un valore « concreto » o non piuttosto un 29 .GD'ANGELo, Cent'anni di legislazione urbanistivalore « astratto », difficile com'è da determinare e da considerare in termini uniformi per tutto il terca, in « Rivista giuridica dell'editoria », 1965, lI, ritorio nazionale: da ultimo v. P. BONACCORSI, Rep. 136 ss. lazione al convegno su Governo del territorio e po- 30 Magari anche con riferimento alla razionalità delteri dei privati, organizzato dal Centro di studi e le scelte del legislatore: v. G. VOLPE, L'ingiustizia documentazione giuridica di Genova, il 30 aprile delle leggi, Milano 1977, Sp. 267 SS. 1980, e in corso di pubblicazione per i tipi di Za31 La letteratura sulla riforma operata nei 1977 è nichelli. Sui valori di mercato v. anche MAGNANI amplissima e non è necessario, in questa sede, rie MIJRARO, Edilizia e sviluppo urbano, Bologna chiamarla in toto. Dei commenti che più si sono 1977, p. 12 ss. -

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Questo aspetto costituisce uno dei punti qualificanti della riforma (e la stessa Corte costituzionale ha dovuto convenirne, se non nella sentenza n. 5 del 1980, certamente nella sentenza n. 13): v. comunque A. PREDIERI, Pianificazione e proprietà nel nuovo regime del territorio, in Diritto e urbanistica nella nuova disciplina dei suoli, Bologna, 1978, p.

19 ss. E' questa l'opinione che si è diffusa nei primi

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commenti, sui quotidiani, alla pronuncia della Corte. Ma una attenta lettura, operata nel corso dei dibattiti organizzati dai giuristi (v. in particolare, le Relazioni di A. Predieri e di P. Bonaccorsi, so•pra cit. e la Relazione di F. Sorrentino, all'ultimo dei convegni menzionati) ha smentito questo assunto. 111 Le prestazioni obbligatorie in natura dei privati alle pubbliche amministrazioni, Padova 1934, p. 225

SS. 19 Il riferimento d'obbligo è il dettagliato (e tem.pestivo) commento di A. PREDIERI, M.A. BARTOLI, V.A. BRUNETTI e G. MORBIDELLI, su La « riforma della casa », cit., sub art. 16, p. 134 ss.; nel volume sono riportati in appendice anche molti materiali che consentono di inserire la riforma del 1971 in un quadro normativo più ampio; ulteriori materiali in G. ALFA, M. BESSONE, G. ROLLA, Il privato e l'espropriazione, cit., appendice al cap. III. 20 Tribunale di Napoli, 13 aprile 1973, in « Foro padano », 1974, I, p. 176, con nota di M. BEs-

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seguiti nelle elaborazioni dottrinali si debbono tuttavia menzionare, oltre a quello di A. PREDIE1U (La legge..., cit.), quello a cura di P. SCHLESINGER (ne Le nuove leggi civili commentate, cit.); per una raccolta dei materiali più rilevanti v. G. ALFA e M. BESSONE, Poteri dei privati e statuto della pro prietà, Genova 1978, voi. Il, p: 525 Ss. (una parte di essi è ora pubblicata nei volume, dal medesimo titolo, per i tipi della Cedarn, Padova 1980). 12G. LOMBARDI, Conseguen,ze incostituzionali della

applicazione dei testi legislativi e sentenze di scioglimento, in « Giurisprudenza costituzionale », 1968, p. 874 55. 3 M.S. GIANNINI, Intervento, cit., pp. 788-789. 34 A.PREDIERI, Urbanistica.., cit., p. 136. 3,5 V. in materia S. CASSESE, Il privato e il procedimento amministrativo. Un'analisi della legislazione e della giurisprudenza, in « Archivio F. Serafini », 1970, p. 49 ss.; M.A. LORIZIO, Urbanistica e giudice amministrativo, Milano 1976; e ora G. ALFA, Aspetti e prospettive della partecipazione nella disciplina urbanistica, in « Rivista trimestrale di diritto pubblico », 1969, p. 111 Ss. 36 Cassazione sez. un., 27 febbraio 1970, n. 472, in G. ALFA e M. BESSONE, Poteri dei privati..., cit., p. 665 ss. 37 E' questa la tesi di A. GAMBARO, Jus aedificandi..., cit., p. 32 55. 38 G. TARELLO, La disciplina..., cit., p. 30 ss. (e Storiografia giuspolitica e interventi della Corte Co-


22 stituzionale in materia di proprietà, in Màteriali per una storia della cultura giuridica, voi. VI, 1976, p. 593 ss.). Contra: M. BESSONE, Procedimento ablatorio..., cit., p. 177. 39 V. per tutti S. RÒDOTÀ, Potere dei privati.., cit., p. 938 ss. 40 V. la diffusa analisi di D. SORACE, A proposito di « proprietà dell'abitazione », « diritto all'abitazione », « proprietà (civilistica) della casa », in Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano 1978, voi. III, p. 1254 ss. 41 Pronunce e pareti, insieme con le opinioni dottrinali sono riprodotti e commentati in G. ALPA, M. BESSONE, G. ROLLA, Il privato e l'espropriazione, cit, voi. I, cap. TI e voi. TI, appendice al cap. III. 42 La vicenda è ricostruita da CERULLI IRELLI, Espropriazioni per pubblico interesse e problemi di determinazione della disciplina vigente, in « Rivista trirnestraie di diritto pubblico», 1975, p. 534 ss. 43 V. le Istituzioni di diritto pubblico, t. Il, Padova 1976, p. 1429; e, in ordine alla questione, MoDUGNO, Problemi e pseudo problemi relativi alla cd. reviviscenza, in « Rivista giuridica sarda », 1966; F. SORRENTINO, L'abrogazione, in « Rivista trimestraie di diritto pubblico », 1972, p. 19 Ss.; G. ZAGREBELsia, La giustizia costitririonale, Bologna 1977, p. l7lss.

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paperbacks/officina in collaborazione con il Centro Studi della Fondazione Adrianò Olivetti

CENTRO STUDI DELLA FONDAZIONE ADRIANO OLIVETTI

Rapporto sulla rifOrma dei bi.lancio I problemi applicativi della legge 468 deI 1978

A CURA DI PIETRO RICCI, MARIA TERESA SALVEMINI, ENRICO ZAGHINI

ci

Officina Edizioni Roma, 1979


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