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I BILANCI PUBBLICI FRA ECONOMIA E POLITICA (1) Flessibilità e contenimento della spesa pubblica nei paesi industriali

4/Quale flessibilità per la politica di bilancio?

di Ann Robinson e Ben gt-Christer Ysander

Il bilancio nazionale è divenuto, nella gran parte dei paesi industriali, una questione poli-

tica di grande rilievo: è questo un fatto che le stesse cronache politiche mettono in grande evidenza. Basterebbe sfogliare la stampa dei principali paesi per notare quanto spazio sia dato, ormai da molti anni a questa parte, alle vicende della preparazione e della approvazione dei bilanci. Nella realtà sono sempre più dure le annuali battaglie sul bilancia in molti parlamenti occidentali e sempre maggiore energia vi impiegano gli Esecutivi. Se si va indietro con la memoria gli anni Cinquanta e Sessanta quasi mai presentano vicende analoghe. Quel che potremmo chiamare l'« issue » bilancia aveva allora ben minore significato e peso politico. E' forse banale osservare che questo è uno dei segni dell'attuale epoca economica che grosso modo a cominciare dal primo schock petrolifero, è tornata ad essere anche nei paesi industriali un'epoca delle risorse scarse o, comunque, delle risorse non più illimitate come lo sviluppo senza precedenti di quegli anni aveva fatto supporre che fossero. Quegli anni Cinquanta e Sessanta che alcuni studiosi hanno chiamato l'« età aurea » dello sviluppo: il che è stato, per i paesi industriali, non solo perché le risorse sembravano ed erano storicamente illimitate ma anche perché molte domande sociali erano rimaste lino a quel momento abbastanza contenute. Dunque gli avvenimenti si sono incaricati di riverniciare a fresco quel che le vecchie carte del costituzionalismo avevano insegnato: che cioè il bilancio è un documento chiave dei rapporti Ira Esecutivo e Parlamento, ed uno strumento essenziale per il governo dell'Am-


2 ministrazione pubblica. Oggi, in più, diciamo che. è uno strumento fondamentale per il governo, o almeno per l'auspicato governo, dell'economia. Certo, non è uno strumento facile da usare né, si direbbe, piacevole da usare. L'esercizio di fare bilanci sembra poco eccitante per politici ed altri leaders e manca di appeal presso l'opinione pubblica. Da una parte, i decision-makers trovano grandi difficoltà per spiegarsi con l'opinione pubblica e, dall'altra, rimangono troppe cose che essi, i decision-makers, devono spiegare a se stessi. In termini generali, le esigenze di fronte alle quali ci troviamo sono in qualche modo contrapposte se non• contraddittorie: l'esigenza di rendere chiari i bilanci perché giungano al pubblico messaggi comprensibili e questo sia in grado di dare risposte e critiche ugualmente chiare, e l'esigenza di un'elaborazione più sofisticata, più ricca di strumenti d'analisi e di previsione, più interdisciplinare nei metodi e così via. Una elaborazione più sofisticata è necessaria per far fronte al crescente grado di incertezza dell'andamento economico e della vita sociale e, contemporaneamente, per non rinunciare a dare obiettivi e priorità alla società nazionale. Al momento, assistiarno a forti tentazioni di ritorno verso la presunta semplicità di strumenti amministrativi classici. Dicono bene Ann Robinson e Ben gt-Christer Ysander, nel loro paper, che mentre da tempo è posta l'esigenza di nuovi strumenti per fare bilanci utili al raggiungimento di precisi obiettivi, l'esigenza di un controllo della crisi della finanza pubblica ha portato ad una rinascita di metodi semplificati di budgeting e di controllo della spesa. Meiodi propri di uno Stato che non c'è più, quello Stato che aveva funzioni sostanzialmente limitate e gerarchicamente ordinabili. Il ritorno a questi metodi semplificati, (fra questi è quello del « controllo del Tesoro ») sono troppo elementari per uno Stato che è ri/lesso di una società fortemente complessa e fortemente con flittuale. Il fatto è, però, che questi metodi classici sono tutto sommato gli unici disponibili e che i nuovi strumenti di budgeting che si sono andati provando negli ultimi tempi sono stati pensati nella prospettiva di politiche incrementali della spesa e non per esigenze di con-

queste istituzioni 1981/2 0 semestre Direttore: SERGIO RISTUCCIA - Condirettori: GIOVAIJNI BECHELLONI (responsabile) e MASSIMO BONANNI. 6199 - 00100 Roma Prati - Telefono 657.054. Conto corrente postale N. 57129009 - intestato a: GRUPPO DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI - casella postale 6199 - 00100 Roma Prati.

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3 tenimento o di decremento della spesa. Si ha l'impressione, insomma, che una sostanziale povertà di « technicalities » costringa a ritorni su metodi di controllo della finanza pubblica tutto sommato inadeguati. Quando poi i fatti, più ancora che le ideologie economiche, dettino l'urgenza di legare di più politica di bilancio e politica monetaria si accentua una sorta di schiacciamento temporale che costringe ad usare gli- utensili più a portata di mano: anche se superati e non idonei ad una adeguata politica di bilancio nel medio periodo. I pratici del budgeting esprimono spesso molto scetticismo sulle innovazioni possibili ed anche gli studiosi cedono talora a commenti molto disincantati. Indubbiamente, sarebbe in contraddizione con là portata dei problemi che si assommano entro un bilancio pensare che soluzioni meramente tecniche possano dare la quadratura del cerchio di una soddisfacente controllabilità della finanza pubblica. Tuttavia è nostra convinzione che un importante contributo debba essere dato da una più ricca strumentazione tecnica del budgeting. E' sulla base di questa convinzione che è stato organizzato il programma di lavoro del Centrò Studi della Fondazione Adriano Olivetti ed in particlare il Colloquio internazionale tenutosi a Siena il 4 e 5 novembre 1981 presso il Monte dei Paschi. Il Colloquio è iniziato facendo lo status quaestionis: quali sono le ragioni per cui è necessario acquisire oggi una maggiore flessibilità delle politiche di bilancio? A questa domanda risponde la relazione di Ann Robinson e Ben gt-Christer Ysander affrontando il Ìema sia in termini di politica macroeconomica sia in termini di scienza politica. Qui ne pubblichiamo la prima parte. Nelle pagine che seguono gli Autori cercano anzitutto di chiarire le ragioni che stanno a favore dell'adozione di criteri di flessibilità nella redazione dei bilanci pubblici. A tal fine essi compiono una ricognizione delle tendenze della spesa pubblica e della finanza nei paesi industriali e sottolineano alcuni tra i principali problemi di adeguamento della politicà di bilancio che hanno fatto seguito alla creazione e allo sviluppo di quello che, sia pure con qualche approssimazione semantica o concéttuale, si usa chiamare « welfare state ». Questa esigenza di flessibilità in materia di bilancio - flessibilità da intendersi evidentemente come flessibilità all'in giù, cioè come contenimento della spesa - è avvertita per la prima volta in misura notevole a seguito del ristagno economico che caratterizza il passato recente e il presente dell'economia dei paesi industriali. Mentre però la politica economica postulerebbe criteri di flessibilità, molte altre spinte sociali operano in senso contrario. E anche di tali spinte Robinson e Ysander fanno un'arnpia ricognizione nella seconda parte del saggio. Per quanto riguarda i problemi più strettamente economici, gli autori si so/fermano sul « caso svedese », mentre per un esame più politologico e istituzionale essi sceglieranno -. nella seconda parte del lavoro - il « caso inglese ». In un prossimo fascicolo dell'82 pubblicheremo la seconda parte del saggio e con essa qualche nota di commento sull'analisi complessiva dei due Autori.


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Quale flessibilità per la politica di bilancio? di Ann Robinson e Ben gt-Christcr Ysander

Il grado di flessibilità necessaria nei bilanci statali dipende dalla misura in cui occorre esser presenti a. procedere ad adeguamenti in caso di mutamenti di carattere esterno e interno, nonché dalla esattezza delle previsioni dei mutamenti stessi. Dal punto di vista di questa pubblica « assunzione di rischio », i bilanci statali sono cambiati radicalmente nel corso dell'ultimo mezzo secolo. Vediamo di che si tratta.

DALLA SICUREZZA COLLETTIVA ALLA SICUREZZA INDIVIDUALE

Nel vecchio «stato-guardiano », uno dei compiti principali era quello della sicurezza collettiva, cioè della sicurezza della nazione come collettività. Il compito era quello di ridurre al minimo e di proteggere la comunità nazionale contro i rischi di aggressioni dall'interno e dall'esterno, attraverso la di.fesa e la politica estera, nonché mediante l'esercizio del potere giudiziario e di altri sistemi di conirollo propri dell'amministrazione centrale. Oltre alle spese derivanti da una tale sicurezza collettiva - quelle che gli economisti di solito definiscono beni collettivi puri - un'altra categoria di spesa di primaria importanza era quella relativa agli stanziamenti per la costruzione di strade e di altre infrastrutture. In gergo economico, gli investimenti interessavano «beni semicollettivi », caratterizzati da una elevata proporzione di costi fissi, da una vita economica di lunga durata e da ampi utili, su scala ade-

guata, che facevano degli investimenti stessi oggetto naturale di finanziamento mediante i proventi fiscali. Con bilanci 'pubblici aventi finalità e tipi di spesa di un tal genere, la flessibilità richiesta era quella necessaria per adeguarsi ai mutamenti della situazione in materia di sicurezza nazionale e alle tendenze di lungo periodo in fatto di migrazioni interne, di inurbamento, ecc. Gli altri tipi di rischio, che potevano derivare da mutamenti nelle condizioni economiche o dalle vicende dei nuclei familiari o delle imprese, venivano affrontati dalle singòle unità direttamente interessate. Toccava quindi, alla singola azienda o alla « impresa famiglia » e non già ai bilanci pubblici - di effettuare i necessari adeguamenti del caso. La trasformazione, avvenuta nel corso dell'ultimo mezzo secolo, dallo « stato-guardiano » allo «stato del benessere », ha comportato uno spostamento di attenzione dalla sicurézza collettiva alla sicurezza sociale ed a quella individuale. La parte principalé e in costante aumento dei bilanci statali nei paesi industrializzati dell'Occidente viene ora impegnata al fine di assicurare ragionevoli livelli di vita per le singole unità familiari. I bilanci pubblici fungono sempre più da cuscinetti, di protezione nei confronti dell'intero ciclo esistenziale degli individui e delle situazioni familiari e servono di garanzia contro disoccupazione e malattie, nonché nei confronti dei costi per l'educazione dei figli e per l'età senile. Il fatto che buona parte dell'assunzione dei rischi sia stata trasferita dalla gestione fami-


ki liare e, talvolta, anche da quella individuale, a quella governativa, crea ovviamente nuove esigenze di flessibilità del bilancio pubblico. La ripartizione dei rischi non è un gioco la cui somma è zero in quanto ci si attende che la buona sorte dell'uno possa pareggiare la malasorte dell'altro. Le variazioni e le modifiche di ordine demografico possono richiedere drastici mutamenti di rotta nel settore economico, non solo per quanto concerne 1' impiego dell'insieme delle risorse pubbliche, ma anche nei confronti della destinazione deila spesa tra molteplici finalità diverse. Il grado di difficoltà nel conseguire la flessibilità necessaria dipende, quindi, dalla forma che hanno assunto i livelli di garanzia individuale. Lo Stato può garantire il reddito mediante trasferimenti ai singoli individui o alle società, ovvero può, in alternativa, garantire la disponibilità di certi servizi sociali assumendone la gestione diretta per offrirli gratuitamente, o sussidiandoli su vasta scala, sì da configurarli come consumi pubblici. Quest'ultima forma può risultare preferibile per altre ragioni ma, dal punto di vista della flessibilità, certamente presenta lo svantaggio della creazione di ulteriori impegni anche d'ordine organizzativo e dunque problemi difficili di adeguamento per i responsabili del bilancio. Per quanto concerne la tendenza all'ampliamento della spesa pubblica, un. valido esempio da citare è quello offerto dalla Svezia, poiché l'espansione della spesa e i finanziamenti a carico del fisco sono stati spinti in quel paese al di là dei livelli di ogni altro paese industrializzato. La « strategia del benessere » in Svezia è stata attuata, nel trentennio 1950-80, in termini di semplice ripartizione del bilancio statale. Tutte le spese pubbliche aventi carattere « non-basiness » o carattere non contrattuale sono state ragruppate. in due categorie: sicurezza collettiva e sicurezza sociale. Sotto la dizione generica di sicurezza collettiva sono state iscritte tutte le spese correnti e gli in-

vestimenti in materia di difesa e di politica estera, di amministrazione generale, di giustizia, di prevenzione antincendi ecc.. Tutte le altre voci di spesa sono state riassunte sotto la voce sicurezza sociale, nel presupposto che esse riguardino principalmente la garanzia o la preservazione del tenore di vita individuale. Le spese per la sicurezza sociale sono state, a loro volta, ulteriormente ripartite in due categorie: una è quella dei « sussidi ai redditi », ovvero i trasferimenti diretti in favore delle unità familiari, e l'altra è quella che viene definita « sussidi ai prezzi ». Tali sussidi sono stati, infine, a loro volta, suddivisi in due tipi. La parte più. consistente, intitolata nella contabilità dello Stato come « consumi pubblici » e relativi investimenti, è assegnata agli enti statali che provvedono a vari tipi di servizi sociali nel campo dell'istruzione, della sanità, della previdenza sociale, della rete stradale, ecc. Per il resto, si tratta di stanziamenti per le spese di parte corrente o in conto capitale a favore del settore privato, cioè per l'edilizia abitativa e per l'alimentazione, nonché per i pubblici servizi e per le industrie in difficoltà. Se si considerano le serie storiche delle poste di bilancio per il periodo dal 1950 al 1980 si nota un andamento sorprendente. La spesa destinata alla « sicurezza collettiva » rimane più o meno costante, intorno al 10%, per l'intero periodo in esame. La sensazionale crescita della quota di bilancio pubblico appare interamente dovuta all'aumento della spesa per la sicurezza sociale che si è, a sua volta, più che triplicata nel corso del trentennio. La proporzione, nel quadro della spesa per la sicurezza sociale, dei consumi pubblici e dei relativi investimenti, nonché dell'integrazione dei redditi, •è rimasta pressoché invariata. La quota dei sussidi ai prezzi dei produttori privati è aumentata ad un tasso inferiore a quello della restante spesa per la sicurezza sociale, malgrado il no-


tevole aumento delle misure di sostegno all'industria adottate negli ultimi anni. Il ruolo giocato, nel bilancio statale svedese, dalla formazione del capitale in generale e dagli investimenti per le infrastrutture in particolare, è anch'esso in declino. La quota del Prodotto nazionale lordo, ai fini della formazione del capitale pubblico, è ora inferiore a quella di trent'anni fa. Le strategie volte ai conseguimento del benessere variano, naturalmente, da paese a paese. Rispetto alla Svezia, la maggioranza degli altri paesi dell'area OCSE ha sperimentato un aumento complessivo meno rapido dei bilanci statali ed essi dipendono in minor misura dai sussidi ai prezzi in generale e ancor meno dai consumi pubblici. Ciò è particolarmente vero per paesi quali l'Italia e la Francia, in cui le spese per la sicurezza sociale sono tradizionalmente caratterizzate da trasferimenti di redditi ai nuclei familiari. I diversi andamenti di sviluppo della spesa governativa risultano dalla appendice statistica. La Tavola i mostra anche in qual modo l'importanza relativa dei consumi pubblici, cioè dell'offerta gratuita di servizi sociali, si rifletta sullo sviluppo del pubblico impiego. Il grado di dipendenza dai consumi pubblici; è, naturalmente, strettamente pertinente alla questione della flessibilità del bilancio. Sembra ragionevole sostenere che le strategie del benessere che maggiormente dipendono dai consumi pubblici - in quanto comportano un relativo aumento di produzione e di impieghi pubblici - tendono a rendere più difficile, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista politico, un adeguamento verso il basso, almeno nel breve periodo. A prescindere dalle differenze nella strategia del benessere, certi tratti fondamentali sono comuni nel processo di formazione del Bilancio nei vari paesi. Così, la quota complessWa dei redditi che passa attraverso i •bilanci statali è in aumento dappertutto.

Il ruolo relativo svolto dalla spesa per la sicurezza collettiva è, viceversa, diminuito e ciò è avvenuto in maniera particolarmente rapida nel corso degli anni Settanta. Infine, una quota decrescente di spesa pubblica viene impiegata per la formazione del capitale.

ASSICURAZIONI SOCIALI PER MEZZO DEL BILANCIO PUBBLICO

La spesa in materia cli sicurezza sociale può, in larga misura, essere intesa come uno dei modi pér a assicurare il tenore di vita individuale ». Un sistema per studiare il modus operandi dei bilanci statali in funzione dei singoli nuclei familiari consiste nel considerare il loro impatto nei confronti del reddito prevedibile lungo l'arco dell'esistenza di un giovane. Le aspettative di tenore di vita futuro delle singole persone sono infatti determinate dai mutamenti del ciclo della vita, dal bisogno di servizi educativi per se stessi e per i figli, dalle previdenze per l'età senile, ecc., nonché dai vari tipi di rischio inerenti alla precarietà della salute fisica, alla disoccupazione ecc. L'esistenza di bilanci pubblici può influire in due modi diversi sul reddito che viene previsto per l'intero arco della vita. Per un verso, il bilancio può essere interpretato come una polizza di assicurazione obbligatoria di gruppo, i cui premi sono calcolati in base alla media delle probabilità del verificarsi dei vari eventi sociali. Per un altro verso, il bilancio ha un impatto costituito da mutamenti diretti delle prospettive di reddito. reale del singolo. Rimanendo al primo aspetto, c'è da osservare che il bilancio inteso come un'assicurazione o sul reddito lungo l'arco dell'esistenza o sul tenore di vita, influisce sulle attese individuali almeno in due modi. Anzitutto, produce una redistribuzione dei fondi disponibili nel tempo, in proporzione alle esigenze previste nelle diverse fasi dell'esistenza.


7 Si potrebbe dire che lo Stato agisce qui come succedaneo di un perfetto mercato del credito: rendendo possibile per l'individuo di risparmiare o di indebitarsi proporzionatamente ai propri bisogni. In secondo luogo, muta la varianza del reddito reale o del tenore di vita previsto per l'individuo nel corso degli anni. La sicurezza sociale assume qui il ruolo di una vera e propria assicurazione contro i rischi, capace di compensare l'individuo a fronte delle varie vicissitudini economiche e familiari. I mutamenti nelle prospettive di reddito reale dell'individùo attraverso i bilanci statali possono, a loro volta, caratterizzarsi in due modi diversi. Là sicurezza collettiva e sociale può provocare spostamenti dei livelli del reddito previsto lungo l'arco dell'esistenza toccando le risorse disponibili ovvero mutando gli incentivi. Può, inoltre, ridistribuire i redditi attesi tra gli individui e i nuclei f amiiari. Oltre a queste ridistribuzioni che sono palesemente imputate al sistema fiscale e ai trasferimenti, ci sono anche ridistribuzioni « mascherate » dovute alla differenza tra i « contratti di assicurazione » collettivi e obbligatori 'previsti dalla sicurezza sociale e l'assicurazione volontaria contratta dai singoli. Un individuo sano, intelligente e istruito, ad esempio, può correre minori rischi di un altro individuo e può, inoltre, valutare la sicurezza in modo diverso. Una ridistribuzione palese tra i redditi attesi lungo l'arco della vita sembra avere, nei fatti, un ruolo del tutto marginale nei sistemi di bilancio statale. Il ruolo predominante giocato dal bilando nel meccanismo della sicurezza sociale sembra essere piuttosto quello di un'assicurazione sul tenore di vita o sul reddito complessivo che si riferisce all'intero arco della vita degli individui. La ridistribuzione effettiva non avviene tanto tra ricchi e poveri quanto tra gruppi di età della popolazione in generale, una ridistribuzione, cioè in termini di « tempo della vita ».

Ciò comporta ovvie implicazioni per lo' studio di questa presa in carico dei rischi da parte dello Stato soprattutto in relazione alla esigenza di flessibilità o di. riequilibrio dei bilanci statali. I « public budget makers » devono essere pronti a fare aggiustamenti a vari mutamenti demografici ed economici. Si tratta, per lo più, di aggiustamenti che interessano una parte rilevante dell'elettorato.

VARIAZIONI DEMOGRAFICHE

Poiché una così gran parte della spesa governativa interessa l'assicurazione relativa al livello del tenore di vita individuale, una delle principali ragioni che impongono la flessibilità e la possibilità di adeguamento del bilancio statale è data dalla prospettiva di variazioni demografiche. I beni e i servizi necessari al nucleo familiare variaiìo sensibilmente a seconda della sua composizione: numero ed età degli adulti e dei minori, ecc. Se per sicurezza sociale si intende la garanzia di certi livelli di tenore di vita di ciascun nucleo familiare, le variazioni di popolazione che comportino drastici mutamenti nei gruppi di età ovvero nei tipi di migrazione e di insediamento, possono ovviamente imporre un corrispondente riassetto e una ridistribuzione degli stanziamenti di bilancio. Spesso il problema del riequilibrio è ulteriormente aggravato dal fatto che le variazioni di popolazione influiscono anche nei confronti della porzione della popolazione attiva che costituisce la base .produttiva - nonché la base dei proventi fiscali ._... della società. I modelli di sviluppo demografico dal 1950 in poi e le estrapolazioni che possono farsi avendo come terminus ad quem la fine del secolo dànno, per i paesi industriali esaminati, un tasso di mortalità basso e stabilizzato e un tasso di natalità ancora oscillante ma, nel lungo periodo, dedinante. Si


ritiene che quest'ultimo tasso, che è climifluito sensibilmente già alla metà degli anni Sessanta, si manterrà basso nella maggioranza dei paesi nel residuo scorcio di secolo, anche se l'esperienza storica tende a mostrare che non è 'possibile fare grande affidamento sulle previsioni in materia di tasso di natalità. Nel quadro generale di popolazioni più senescenti, PUÒ darsi che in futuro si debbano affrontare. non pochi problemi derivanti dalle oscillazioni della popolazione infantile. Secondo le statistiche e le proiezioni sulla popolazione delle Nazioni Unite, nel 1950 esistevano, nelle regioni più sviluppate del mondci, all'incirca 9 persone in' età 'attiva (da 15 a 64 anni) per ogni individuo di 65 anni di età. Il rapporto, in proiezione, per l'anno Duemila è invece di 5 a 1. Nell'Europa occidentale il rapporto è attualmente di 4 a l'e va ancora diminuendo. Poiché è ancora la Svezia a costituire un esempio estremo della tendenza generale, il 'problema dell'adeguamento provocato dai mutamenti demografici può essere esemplificato con dati svedesi. Alcune proiezioni della crescita della popolazione svedese al 2025, hanno dimostrato, tempo addietro, i due tratti oinunj del mutamento della popolazione in prece:denza sottolineati, e cioè l'alto grado di incertezza nel medio periodo e la tendenza, nel lungo periodo, al declino e alla senescenza della popolazione. Sia l'incertezza sia la senescenza provocano ovvie conseguenze nei confronti dell'economia. Il costante flusso e riflusso del numero dei minori che passano attraverso il sistema scolastico, dei giovani che raggiungono l'età per accedere alla forza lavoro, per contrarre matrimonio e creare nuovi nuclei

familiari produce effetti destabilizzanti nei 'confronti del funzionamento e dello sviluppo del sistema educativo, del mercato del lavoro e della domanda di abitazioni e di beni di consumo durevoli. Il crescente numero di anziani crea problemi di ordine economicò, sociale è politico q'uando si cerca di far fronte alla loro esigenza' di conservare il reddito in regime di quiescenza, di assicurare loro l'assistenza sanitaria, di provvedere alle loro abitudini, ecc. Per esemplificare le possibili conseguenze nei confronti dei bilanci statali sono stati esposti, nella Tavola 1 alcuni calcoli sui cnsumi in Svezia (anno 1975) relativamente ai diversi gruppi di età. Occorre notare che non si è cercato qui di stimare separatamente quanto sia costoso, in termini di consumi privati, allevare ed educare i bambini. I dati indicati nella Tavola a tale 'riguardo cstituiscono semplicemente la srnma dei trasferimenti di pubblico denaro ai nuclei 'familiari specificamente stanziati per i consumi privati relativi ai bambini. La distribuzione, eettiva dei consumi privati all'interno dei nudei è stata perciò lasciata aperta. Ciò che riveste un certo interésse in proposito è il fatto che, sebbene i consumi totali delle persone anziane siano stati stimati 'all'incirca in ragione del 20% al disotto di quelli del gruppo della popolazione attiva, la loro quota di consumo di servizi pubblici - pressoché equivalente a quella dei bambini - è risultata pari al doppio cli quella delle persone in 'età produttiva. 'Il trasferimento di un individuo dal gruppo di età della popolazione attiva a quello dei, 'pensionati 'non sta solo a significare che il costo totale del consumo, che è ridotto in misura modesta a seguito del 'pensionamento, deve ora essere « sopportato » dai restanti percettori di reddito, sta a significare un radicale rimescolamento del « 'paniere dei consumi » con forte accentuazione di alcuni tipi di servizi sociali.

Tavola i

Consumi pro-capite pubblici e privati in Svezia, per i diversi gruppi di età, 1975 (in corone svedesi)

Consumi privati Consumi pubblici Totale consumi

0-14 anni

15-64 anni

Oltre 65 anni

Totale

2.200 11.500 13.700

26.700 6:600 33.200

14.900 11.900 26.900

18.200 8.700 27.700

Fonte: Aberg e Nordin, 1977, p. 79

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9 MUTAMENTI DELL'AMBIENTE ECONOMICO

Un'altra ragione importante per avere bilanci flessibili è data dai mutamenti dell'ambiente economico e dall'incertezza che circonda tali mutamenti. Le modifiche di natura tecnologica e gli spostamenti nelle posizioni di concorrenzialità e di capacità di contrattazione modificano i prezzi relativi e quindi il reddito reale dei singoli nuclei familiari e delle aziende, o addirittura quello dei paesi stessi. Le esperienze maturate dai paesi industrializzati; nel corso degli anni Settanta, forniscono al riguardo esempi di grande rilievo. Due grossi aumenti del prezzo' del petrolio 'hannd comportato un notevole peggioramento delle ragioni di scambio per molti paesi importatori ed hanno influito sulla posizione concorrenziale e sulla redditività di numerosi settori industriali. La scoperta di nuove risorse naturali 'ha portato in qualche caso al deprezzamento di quelle vecchie ed ha contribuito alla trasformazione della ricchezza relativa delle nazioni. La crescente concorrenza da parte dei paesi non industrializzati ha contribuito all'avvio di una fase di declino e di ristagno, nel lungo periodo, in molti dei tradizionali settori industriali dei paesi occidentali. Una recessione particolarmente grave e contemporanea, in uno con la tendenza all'aumento dei tassi di inflazione, ha creato problemi di stabilizzazione che in molti paesi sono tuttora lungi dall'esser risolti. Sono fenomeni noti per i quali bastano pochi cenni. Al di fuori del quadro di sviluppo economico straordinariamente stabile e ordinato, quale fu nei primi decenni del dopoguerra nei paesi occidentali, il riequilibrio necessario, ottenuto per mezzo dei bilanci statali, non significa solo la ridistribuzione in un dato periodo di profitti e perdite mediante l'impiego dei profitti provenienti dai settori dell'economia in espansione per compensare le perdite di industrie e di regioni in difficoltà,

e di nuclei familiari colpiti. Un altro e ben più arduo compito è, infatti, quello del riassetto dei livelli globali dei consumi nazionali. I mutamenti a lungo termine delle regioni di scambio e della posizione concorrenziale di un dato paese richiederebbero talvolta un notevole adeguamento verso il basso dei livelli e delle tendenze dei consumi . Il compito 'principale, nell'attuazione di un tale nequilibrio generale e nel far sì che le conseguenze siano equamente distribuite tra i vari settori della popolazione, spetta oggi ai responsabili della elaborazione dei bilanci statali. Si tratta di un compito che essi sono spesso impreparati ad assolvere, e ciò può spiegare in larga misura perché tanti paesi non siano riusciti ad attuare una efficace politica stabilizzatrice nel corso degli ultimi anni. Vi è un altro aspetto importante, ma più controverso, nella storia dell'« assunzione dei rischi » da parte dello Stato. Riequilibrio economico non vuoi dire solo tirare la cinghia e tener duro in periodi di magra. Significa anche ristrutturare successivamente l'economia, trasferendo gli stanziamenti dalle industrie in declino verso settori produttivi in fase di espansione e verso imprese innovatrici. Quando il tenore di vita individuale è, in una certa misura, garantito dallo Stato e quando vengono pareggiati i profitti e le perdite previste, possono risentirne sfavorevolmente le spinte al cambiamento, all'avvio di nuove iniziative, all'assunzione di nuovi rischi. Ciò sta a significare che spetterà ugualmente allo stesso Stato una parte sempre maggiore di responsabilità nella promozione di trasformazioni innovative e di adeguata mobilità. Ma è questa una nuova ragione per accrescere la flessibilità dei pubblici bilanci. Un altro esempio ditale esigenza di flessibilità, ora sperimentata da parecchi paesi, riguarda la politica salariale. Da un canto, il riaggiustamento economico, nelle economie di mercato, postula un certo grado di fles-

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«lo sibiità dei salari nominali. D'altro canto, la richiesta di un livello di vita garantito, che affonda le radici nel sistema di sicurezza sociale, in uno con l'accresciuta solidarietà sindacale, si oppone al riequilibrio, in termini relativi e assoluti, del salario nominale. Conciliare contemporaneamente le due contrastanti richieste può comportare una messa a punto continua e capillare del sistema fiscale e degli stanziamenti. Quanto sia possibile procedere in tale direzione è ancora questione controversa. Che i bilanci statali in futuro abbiano bisogno di una maggior flessibilità di struttura è innegabile. Ciò che non sappiamo ancora, e i pareri e le ideologie in proposito differicono tuttora assai nettamente, è in qual misura gli adeguamenti di bilancio potranno surrogare quelli individuali senza perdere i vantaggi, in fatto di efficienza, derivanti da un'economia decentrata.

RALLENTAMENTO DELLO SVILUPPO

In genere, è assai più facile operare un aggiustamento in una congiuntura favorevole di quanto non lo sia in un clima di ristagno. Questa è la ragione per cui viene rivolta così grande attenzione alla questione della flessibilità dei bilanci proprio ora: in un momento, cioè, di ristagno industriale. Appare ragionevole muovere dal presupposto che i futuri «budget makers » dovranno operare entro margini di sviluppo ristretti anche perché i settori del terziario che vanno assorbendo un maggior numero di unità lavorative registrano in media un aumento di produttività inferiore a queffi che si riscontrano nell'industria. Ciò premesso, finanche una crescita equilibrata della produzione industriale e di quella dei servizi impone che un crescente numero di persone venga trasferito a poco a poco dal settore industriale a quello dei servizi, a mano a mano che il tasso, complessivo di produttività dell'economia

diminuisce, con tendenza a lungo termine ad allinearsi a quello del settore dei servizi che registra il più basso incremento di produttività. Se si vuole, inoltre, far sì che il consumo di beni e servizi per ciascun tipo di nucleo familiare mostri uno sviluppo equilibrato - regola naturale in un « wel/are state » - allora, ovviamente, con una popolazione senescente, lo spostamento della forza-lavoro verso il terziario e la diminuita crescita della produttività complessiva risulteranno ancor più rapidi a parità di tutte le altre condizioni. Qualora, per soprappiù, si tenga conto del fatto che solo aumenti sensazionali di migrazioni inter-continentali sembrano ora poter impedire il declino, nel lungo periodo, dell'offerta di manodopera nei paesi industrializzati dell'Occidente, appare abbastanza sicuro che i responsabili dei futuri bilanci avranno a disposizione sempre minori risorse da giocare e dovranno fare maggior ricorso al risparmio interno. L'aumento del prodotto interno lordo come è stato registrato tende, in realtà, a mostrare un rallentamento ancor più pronunciato di quanto in effetti non avvenga, nei confronti del complesso della produzione nazionale. Una ragione di ciò potrebbe essere data dalla relativa crescita del settore « nero e grigio » dell'economia, cioè della crescente porzione di attività produttive che restano occulte perché evadono il fisco o perché si svolgono presso le famiglie e non affiorano mai sul mercato. Un'altra ragione, meno congetturale, è da ricercarsi nelle convenzioni contabili adottate nei centri nazionali e nella nostra definizione di prodotto interno lordo. Finché i 'pubblici consumi sono trattati - per definizione - come settore avente un aumento zero di produttività, ogni loro eventuale aumento implicherà che i dati ufficiali del :prodotto interno lordo mostrino un rallentamento esagerato della crescita. La figura i fornisce un esempio di questa illusione contabile offerto dalla Svezia, il paese che

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11' ha la quota di consumi, pubblici maggiore e in più rapida crescita. La curva i'nferiore mostra la crescita, .quale è stata effettivamente registrata, del prodotto interno lordo svedese nel periodo 19501980. La curva superiore mostra quale sarebbe stato l'andamento della crescita se' invece fosse stata adottata' la convenzione alternativa consistente nel presupporre che l'aumento' di -produttività sia statò identico a duello del settore pivato (e che il costo dell'impiego di capitale sia anch'esso identico, sia'per il settore pubblico sia per quello privato)., Come appare 'nella figura, questa alternativa avrebbe comportato, per la produzione totale, un aumento di cinque volte nel corso del trentennio,

anziché di tre volte, come in effetti risulta documentato. Se accantoniamo l'ipotesi di una diminuzione di produttività nel 'pubblico impiego, ciò significa che dovremmo aspettarci che l'effettivo aumento di capacità produttiva si situi ad un certo punto nell'area ombreggiata della figura. Ovunque ,esso effettivarnente si situi, è tuttavia ragionevole supporre che il ,ritardo della crescita documentata dall'andamento del prodotto interno lordo, già rilevante nel corso del primo trentennio del dopoguerra, continuerà anche in futuro. Pertanto; è vano sperare che l'attuale preoccupazione nei confronti della flessibilità del bilancio possa venir presto accantonata a seguito di -una nuova, sostenuta 'ondata di ricchezza e di espansione economica. -

the Statistical- Uncertainty - Swedish CN!' 1950-80 under Alternati-ve Assumption

Billion Sw Cr

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12 VINCOLI MACROECONOMICI AL RIEQUILIBRIO DEL BILANCIO

Esistono altri fattori, oltre alla tendenza al rallentamento della crescita, che rendono difficile più che nel passato il necessario adeguamento dei bilanci. La quota dei redditi totali convogliati attraverso i' bilanci pubblici è aumentata in tutti i paesi nel corso degli ultimi due, decenni 2 in Svezia, ad esempio, essa si è raddoppiata a partire dal 1961. Lo stesso dicasi del pubblico impiegò . Nel 'casò' estremo della Svezia, il pubblico impiegò te'de ora a superare l'occupazione in seno alle industrie manifatturiere.' Questa rapida crescita dell'importanza relativa nell'economia del settore pubblico, sta anche ad indicare che la considerazione degli effetti e delle conseguenze, in termini macroLecond. mici, per il settore privato devono giocare un ruolo maggiore e di freno nel calibrare e attuare nel tempo gli adeguamenti dei bilan-. ci pubblici. Basterà citare, qui di seguito, alcuni dei più noti esempi di tali vincoli macro-economici in materia di adeguamento dei bilanci. Le imposte svolgono un ruolo di sempre maggior rilievo nella determinazione dei costi di produzione di beni e servizi. Gli aumenti dell'imposizione fiscale, introdotti fiiori tempo, possono contribuire a creare un effetto di « spinta da costo» verso l'alto dell'inflazione all'interno di un paese, sia direttamente attraverso l'aumento dei prezzi delle merci, sia indirettamente per la loro incidenza sul regime salariale. Nella misura in cui gli inasprimenti fiscali riducono anche i margini di utile e dei redditi spendibii, essi possono anche limitare l'efficacia dell'offerta sia sul mercato dei fattori sia su quello delle merci. Una imposizione fiscale elevata - e il concomitante alto grado di coscienza fiscale - tendono 'perciò a fare degli adeguamenti di natura fiscale un'operazione delicatissi'ma anche quando non si è in presenza di « stagflation ». Sul piano della spesa; i vincoli macro-economici di cui si parla sono soprattutto queffi che riguardano l'influsso dei bilanci statali sui mercati dei fattori. Con lo Stato in veste di principale datore di lavoro e di principale debitore sul mercato dei ca-

pitali, il - tasso di aumento della spesa pubblica deve necessariamente influire sulla situazione dei costi per i ceti produttivi dei settore privato. Così dicendo non si vuoi far credere che si debba sottoscrivere il quadro semplicistico che vede lo Stato e le imprese. private in concorrenza diretta su un mercato del lavoro omogeneo o sul mercato dei capitali. Anche se il pubblico impiego è, •in un certo senso, « separato » dal mercato dei lavoro industriale, il tasso' di aumento del primo indubbiamente influisce sulla lievitazione complessiva dei costi salariali in sèno all'economia. Anche se il mercato dei capitali è in parte razionato dallo Stato stesso e la disponibilità dei capitali medésixni 'è condizionata fondamentalmente dalla politica monetaria, il deficit del bilancio pubblico in aumento tende, alla fine, a spingere in alto il prezzo dei capitali, cioè il tasso di interesse. Se i deficits di bilancio aumentano oltre una certa misura, neanche la' più illuminata politica monetaria potrà evitare che questi deflcits trabocchino con conseguen' te aggiunta inflazionistica alla liquidità dell'economia. A q'uesto punto, è forse il caso di sottolineare che quando parliamo di questi « vincoli» ci riferiamo '- al" tempo e alla misura degli adeguamenti di bilancio e non al livello o alle dimensioni relative del settore pubblico. Quale ulteriore ed ultimo esempio di vincoli di «stabilità» in materia di adeguamento del bilancio si può citare il problema della capitalizzazione. Se, ad esempio, come avviene in Svezia, i due terzi di tutti i redditi vengono - lati Ìncana nei bilanci statali e un terzo dei redditi spendibili deriva da trasferimenti pubblici, sarebbe davvero sorprendente che le aspettative di reddito e i valori del capitale non fossero in larga misura determinati dal sistema fiscale e da quello dei trasferimenti. Ciò sta a significare che i drastici mutamenti dell'imposizione fiscale e dei trasferimenti possono determinare una instabilità speculativa dei mercati, facendo piovere dal cielo sugli operatori grossi profitti o grosse perdite. La politica dell'edilizia abitativa nell'Europa occidentale nel dopoguerra fornisce molte adeguate illustrazioni di questo problema. PROSPETTIVE A BREVE: COME ADEGUARSI ALLA « STAGFLA TION »

(Ristagno industriale e politica del disavanzo) La questione della flessibilità del bilancio è divenuta più pressante nel corso degli ultimi anni ed ha assunto nuove dimensioni


13 •a seguito della crescita della « sta g/lation » nei paesi industrializzati dell'Occidente. Il tasso medio annuale di inflazione in tali paesi si è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. Nel contempo, la produzione industriale e gli investimenti ristagnano e l'impiego delle risorse e l'occupazione sono tuttora al disotto dei livelli nàrmali nella maggioranza dei paesi. Come era lecito attendersi, il ristagno industriale e l'elevata disoccupazione, si accompagnano, nella maggioratiza' dei paesi, con il deficit dei bilanci sta'tali. 'La domanda di spese per la sicurezza sociale aumenta, mentre nel contempo si restringe la base imponibile per il fisco e quelle dei contributi per la medesima sicurezza sociale. Nel tentativo di trovare un rimedio contro la « sta g/lation », sembra che i governi dei paesi occidentali si siano trovati di fronte ad una duplice scelta politica, l'una e l'altra portatrici di rilevanti effetti collaterali e nessuna delle due, finora, dimostratasi efficace. La prima consiste nel mantenere i livelli di occupazione mediante' una cauta espansione della domanda interna, cercando nel contempo di contenere il deficit di bilanciò attraverso l'identificazione di nuove fonti, meno inflazionistiche, di introiti fiscali. Si paga il rischio dell'aumento di inflazione e di un deficit crescente nella speranza che, se si riesce a svernare 'per 'un altro paio di anni, l'inflazione mondiale verrà attenuata da iniziative esterne. La seconda scelta, opposta alla prima, consiste nel concentrare gli sforzi contro l'inflazione, accettando il rischio di un rapido aumento della disoccupazione. La stretta creditizia si unisce, 'in tal caso, ad una relativa riduzione sia delle imposte sia della spesa pubblica, nella speranza di ridurre l'inflazione, riducendo la domanda pubblica e contemporaneamente ampliando l'of ferta privata.' Il rischio che ne consegue è che il secondo effetto non si realizzi e che si rimanga alle prese con la disoccupazione.

Sono state tentate altre vie, compresa l'incentivazione selettiva dell'espansione' industriale e le politiche dei redditi e dei prezzi dirette a modificare le attese inflazionistiche. Qualunque sia la scelta operata, una esperienza sembra oggi comune a 'tutti i responsabili dei bilanci pubblici: i limiti alla crescita reale delle risorse e dal finanziamento con i proventi fiscali. sono ora fatti concreti e, in generale, vengono riconosciuti in misura molto maggiore che non in' passato. La maggioranza dei paesi registra, da tempo un deficit pubblico in aumento . Qualunque sia ,'la prospettiva a lungo termine e quali che siano le priorità di natura politica, la maggioranza di coloro cui è affidata, la responsabilità dei bilanci sembrano ora ammettere che la crescita, sia dei consumi pubblici sia della' spesa pubblica complessiva,' nel corso 'degli anni Ottanta, non potrà mai essere lenta. Ciò significa che parte delle nuove spese pubbliche necessarie per far fronte, ad esempio, al rapido aumento del numero degli anziani, dovrà esser fornita, con criteri di più stretta economia, attraverso i fondi pubblici' esistenti e mediante un più cauto « marketing » degli attuali servizi sociali.

L'AGGIUSTAMENTO ALL'INFLAZIONE

L'elevato tasso di inflazione ha fattò convergere l'attenzione su numerose questioni 'riguardanti la gestione dei bilanci pubblici in fase di inflazione. I problemi sono politici e tecnici. Essi riguardano tanto i rapidi mutamenti dei prezzi quanto la crescente incertezza che circonda tali mutamenti. In realtà, sono in gioco due ordini di questioni. Il primo è se e in qual misura occorra adeguarsi all'inflazionè. Un secondo gruppo di questioni riguarda i modi in cui tale adeguainento debba essere effettuato e valutato. Un, completo adeguamento all'inflazione mediante l'indicizzazione dell'intero bilancio - tas-


14 sando i redditi reali anziché quelli nominali e compensando in toto, sulle voci di spesa, tutti i costi aggiuntivi dovuti al movimento dei prezzi - potrebbe, nel migliore dei casi, esserè interpretato come un tentativo di mantenere il bilancio statale in posizione di neutralità nella lotta contro l'inflazione. Invece di cercare, di infrangere o di mutare le previsioni riguardanti l'andamento dei prezzi, i responsabili del bilancio le accettano e le recepiscono. Nel peggiore dei casi, ciò può invece significare che viene sovrapposta una nuova spirale inflazionistica: parziale compensazione degli effetti delle compensazioni precedenti, diminuita resistenza agli aumenti dei prezzi e dei salari, assunzione di un deficit maggiore a causa della crescita dei costi relativi dei pubblici servizi. Vi è quindi un ragionevole argomento in favore della limitazione dell'adeguamento all'inflazione, nella speranza di poter interrompere aspettative dei prezzi e movimenti dei prezzi. Esistono inoltre diverse altre questioni relative al modo più efficace di indicizzare le varie voci del bilancio. Le attuali norme fiscali, nella maggioranza dei paesi, rivelano un' imbarazzante miscuglio di termini nominali e di termini reali. L'indicizzazione delle aliquote di imposta costituisce un primo, semplice passo adottato nella maggior parte dei paesi. L'adozione di un autentico sistema di imposizione fiscale coerente è, tuttavia, impresa assai complessa che, oltretutto, non può essere affrontata separatamente dal problema dell'indicizzazione del mercato del credito e da quello del cancolo dell'inflazione nel resto dell'economia. Sul piano della spesa, l'aggiustamento all'inflazione comporta una serie di interrogativi circa i criteri da usare nel decidere il livello adeguato di compensazione e la scelta dell'indice dei prezzi da impiegare per le varie voci di spesa. Una volta prese queste decisioni, rimane ancora l'arduo problema della effettuazione delle stime per il bilancio aggiustato. Occorre tro-

vare un qualche modo per inserire in maniera coerente le previsioni sui prezzi nel processo di bilancio. L'elemento essenziale di cui si ha bisogno per effettuare tali stime - cioè un modello di determinazione dei prezzi nell'economia - manca tuttora nella maggioranza dei ministeri del tesoro. L'inflazione influisce anche in altri modi sulla programmazione di bilancio. Una delle ragioni principali della crescente mancanza di attendibilità dei modelli macro-economici è probabilmente legata al fatto che la maggioranza di tali modelli non riesce a prendere in considerazione le aspettative sull'andamen-

to dei prezzi. Se le « price expectations » possono mutare radicalmente e di conseguenza far variare anche i risultati economici, e se esse in qualche modo non riescono ad essere spiegate semplicemente in base agli sviluppi recenti degli aggregati economici, allora i modclii falliranno nel fare previsioni attendibili. Tale insuccesso ha ovvie e importanti implicazioni ai fini della flessibilità dei bilanci. Esso costringe lo Stato ad accorciare la prospettiva nella programmazione del bilancio e rende necessaria la ricerca di modi atti alla revisione e alla modifica rapida delle decisioni in base a breve preavviso, con ciò rendendo l'intero processo di bilancio più flessibile e meno prolungato nel tempo.

Nota i E' stato, ad esempio, calcolato che un rapido riequiibrio - triennale - a fronte di una stangata nel prezzo del petrolio della medesima portata di quella del 1973, richiederebbe per la Svezia una discesa del 3% dei consumi pro-capite nel triennio e un taglio del1'8% sui salari reali nei primi anni.


15 Nota 2 Taxes and Social.insurance Contributions as Percentage of GDP, 1961•78

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16

Nota 3 Puhli& ernployment 196 5-7

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12.3

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2.0

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Germany

- Canada

ether1ands . France

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3.4.

Comparisons over time are niore relevant than comparisons across countries because there remain some large conceptual differences among country's definitions of their public sector.

'1


17

Nota4 Covernment Surplus and Deficits as percontage of GDP 1961-78

i

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6

6 8'


Sergio Ristuccia

AmrninistrĂ re e governare Governo, Parlamento, Amministrazione nella crisi del sistema politico

Officina Edizioni Roma, 1980


paperbacks/offiòina in collaborazione con il Centro Studi della Fondaziòne Adriano Olivetti

Marià Teresa Sal:vemini

Il Tesoro e la politica di bilanciò Crisi e controllo della finanza pubblica

Officina Edizioni Roma, 1979


•

paperbacks/officina in collaborazione con il Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti

CENTRO STUDI D'ELLA FONDAZIONE ADRIANO OLIVETTI

Rapporto sulla riforma del bilancio I problemi applicativi della legge 468 del 1978 A cura di Pietro Ricci, Maria Teresa SaIv.e.mini, Enrico Zaghini

Officina Edizioni Roma, .1979


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