Queste istituzioni 95

Anno XXI - o. 95 - Trimestrale (luglio-settembre) - spedizione in abb. postale gr. IV/70%

queste istituzionĂŹ Le trasformazioni dei partiti politici nelle societĂ occidentali Gianfranco Pasquino, Aldo Di Virgilio, Klaus von Beyme, Percy A Ilum, Antonio Bar Cendon Giuliano Urbani

n.95 1993

lilleste istiftiziuoi rivista del Gruppo. di Studio SocietĂŹ e Istituzioni Anno XXI n. 95 (luglio-settembre 1993) Direttore: SERGIO RISTUCCIA Vice Direttore: FRANCESCO SID0TI Comitato di redazione SAVERIA ADDOTrA, Ar.noNIo AGOSTA, BERNARDINO CASADEI, ROSALBA Coiti, DANIELA FELISINI, GIORGIO PAGANO, MARCELLO R0MEI, CRISTIANO A. RISTUCCIA, STEFANO SEPE, ANDREA SI'ADETTA, PAOLA ZACCHINI

Responsabile redazione: SAVERIA A000TFA Responsabile organizzazione: GIORGIO PAGANO Direzione e Redazione: Via Ennio Quirino Visconti, 8- 00193 Roma Tel. 39/6/32153 19- Fax 3215283 Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847(12 dicembre 1972)

Responsabile: GIOVANNI BECHELLONI Editore: QUES.I.RE SrI QUESTE ISTITUZIONI RICERCHE ISSN: 1121-3353 Stampa: Policrom 2000- Roma Finito di stampare nel mese di ottobre 1993

Associato all'Uspi: Unione Stampa Periodica Italiana -

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N.95 1993

Indice

La trasformazione' dei partiti politici nelle societĂ occidentali 1

Ragionare di democrazia

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SoliditĂ e flessibilitĂ dei partiti nei regimi democratici Gianfranco Pasquino

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I partiti francesi da de Gaulle a Mitterrand: affermazione o declino?

Aldo Di Virgilio

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Dal vecchio sistema di blocco al nuovo blocco dei sistemi: i partiti nella Germania riunificata Klaus von Beyme

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I partiti britannici: strutture vecchie ed elettori demobilizzati PercyAllum

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I partiti politici e la democrazia in Spagna: 1977-1992 Antonio Bar Cendon

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Ricette boomerang e comparazioni superficiali Giuliano Urbani

questeistRuzioni

Ragionare di democrazia

Le critiche che venivano rivolte ai partiti, gi da tempo ed oggi ancor pii, tendevano e tendono a trasformarsi in condanne definitive e generiche. E non solo dei partiti ma dell'intero sistema parlamentare.

Il secolo che viviamo ha giì conosciuto momenti di forte disfavore, se non di ripulsa, del sistema parlamentare. La crisi dei partiti non è fenomeno semplicemente italiano ma, in qualche misura, di tutti i paesi europei occidentali anche di quelli in cui la democrazia parlamentare ha messo radicipiù profonde.

In un convegno su «Le trasformazioni dei partiti politici nelle societì occidentali» promosso dal Consiglio Italiano per le Scienze Sociali (CSS) in occasione del quarantennio della Costituzione, i relatori, - italiani e stranieri -, affron. tarono il problema del «che fare» per ridare salute e vigore ai partiti politici.

Furono esaminati, in particolare, i casi di Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania. La relazione presentata da Gianfranco Pasquino prendeva spunto dalle analisi compiute su tali paesi per sollevare una serie di quesiti fondamentali per l'avvenire dei sistemi politici delle democrazie occidentali, tra gli altri, quello relativo alle conseguenze che potrebbero derivare da una eventuale com-

pressione del ruolo dei partiti o addirittura da una loro sparizione. Alla luce dei cambiamenti che oggi stanno radicalmente. rinnovando il sistema politico italiano, le relazioni presentate in quella occasione appaiono di una straordinaria attualità.

Le presentiamo in questo numero, aggiornate dagli Autori al 1993.

Con l'occasione, «Queste Istituzioni» ha chiesto a Giuliano Urbani una sua opinione, specificamente riferita agli sviluppi pii recenti della situazione italiana.

Con questo dossier viene, così, proseguito il filone «Ragionare di democrazia» iniziato a partire dal convegno organizzato a Firenze nel 1990 e proseguito nell'incontro di Cortona del 1992 (v. fascicoli n. 83-84 e 94).

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Solidità e flessibilità dei partiti nei regimi democratici di Gianfranco Pasquino Buona parte dei fenomeni che per la pubblicistica attenta solo agli effetti immediati sono segni inequivocabili del tramonto dei partiti si rivelano invece, se considerati con sistematicità e negli effetti a lunga scadenza, soltanto segni di una trasformazione delle funzioni e del ruolo dei partiti nella democrazia moderna.

Klaus von Beyme, I partiti nelle democrazie occidentali

Di fronte alle trasformazioni dei partiti e dei sistemi di partito nelle democrazie occidentali dobbiamo abbandonare e ripensare da capo gli schemi concettuali classici oppure dobbiamo soltanto imparare ad utilizzarli meglio e ad applicarli in maniera coerente e rigorosa?

Troppo spesso sembra che la strada seguita sia la prima, che raramente conduce a qualche sbocco significativo, mentre la seconda, che pure qualche risultato ha già prodotto, non viene imboccata e perseguita con determinazione. In questo intervento, anche con riferimento all'essenza dei capitoli che seguono, la seconda strada verrà privilegiata e quindi il testo verrà costruito intorno ai quesiti: come nacquero (nascono) i partiti? Quali compiti, esclusivi o decisivi, non fungibili, adempiono?

Quali sfide li hanno investiti e, di conseguenza, se, come e quanto sono cambiati (anche nella loro organizzazione interna)? Quanto contano nelle democrazie occidentali in termini di policy making? Quali conseguenze derivano da un'eventuale compressione del ruo-

lo dei partiti o addirittura da una loro sparizione?

CONGELAMENTO E SCONGELAMENTO DEI CLEAVAGES?

Probabilmente, la frase più famosa, a proposito della formazione e del consolidamento dei partiti e dei sistemi di partiti, e quella di Lipset e Rokkan, pubblicata alle soglie dell'esplosione del Sessantotto che sembrò e mirò a mettere in crisi anche proprio quegli assetti partitici che sembravano e forse erano così stabili: «i sistemi di partito degli anni Sessanta riflettono, con poche ma significative eccezioni, le struttura di cleavages degli anni Venti».

Non solo, dunque, i partiti politici nelle democrazie occidentali vengono da lontano. Ma la profondità dei cleavages, delle fratture sociali che ha dato loro origine è tale da avere plasmato e consolidato i sistemi di partito addirittura superando la seconda guerra mondiale e facendo risorgere allineamenti tradizionali. Lipset e Rokkan scrivevano do3

po un ventennio di effettiva stabilità politica e in riferimento a regimi democratici che, con l'ecceziòne di Germania e Italia, avevano sperimentato una lunga fase di competizione democratica fra partiti. Oggi, sarebbe interessante applicare la loro analisi delle fratture sociali ai sistemi di partito delle nuove democrazie mediterranee: Grecia, Portogallo, Spagna. Questo esercizio non sarebbe sterile poiché consentirebbe di misurare il declino di alcune vecchie fratture: probabilmente, quella fra Stato e Chiesa; l'attenuarsi di altre, forse quella fra imprenditori e lavoratori industriali; e la persistenza di altre, quella, ad esempio, fra Centro e Periferia.

Proprio uno sguardo alla traduzione partitica delle vecchie fratture sociali nelle nuove democrazie mediterranee conduce a due tipi di riflessioni: da un lato, la riflessione relativa alla irresistibilità della ricomparsa di partiti organizzati, anche dopo lunghi regimi autoritari che della lotta contro i partiti avevano fatto una loro bandiera; dall'altro, la riflessione più specifica relativa alle fratture sociali: non tutte le vecchie fratture ricompaiono e danno vita a partiti, ma le nuove issues, le nuove tematiche sembrano quasi evanescenti, comunque non tali da produrre la comparsa di nuovi partiti (ad esempio, e per anticipare, di partiti post-industriali, ecologisti, verdi). Di per sé, questo è un fenomeno non solo degno di nota, ma da studiare in maniera approfondita.

L'interrogativo potrebbe essere formulato in questo modo: la frattura indu4

strialismo/ecologismo non fa la sua comparsa nelle nuove democrazie perché tutte le fratture sono deboli e quindi costitutivamente incapaci di dare vita a partiti oppure perché l'ecologismo è una frattura che si sovrappone all'industrialismo e che ha bisogno di questo per essere rilevante? Oppure, ancora, i nuovi partiti, proprio perché tali, riescono ad assorbire immediatamente al loro interno le nuove tematiche: ambiente, valori di partecipazione, qualità della vita (e questo è vero, in particolare, per i partiti socialisti che diventano rapidamente partiti di governo)? Oppure ancora sono le caratteristiche di sviluppo, tipo, modo, intensità dello sviluppo economico che, sia per il vantaggio dei late comers sia per il ritardo, non hanno (ancora) prodotto la frattura sociale che, inevitabilmente, darebbe origine ad un partito di Verdi?

Qualsiasi risposta si prospetti per questo insieme di interrogativi, una panoramica sui partiti e sui sistemi di partito delle democrazie occidentali suggerisce due osservazioni generali (e qualche corollario). Prima osservazione generale: tutti i partiti e i sistemi di partito sono stati investiti dai venti del cambiamento e, dunque, in qualche aspetto importante, la tesi di Lipset e Rokkan non appare più valida. Seconda osservazione: in nessun sistema politico, sono scomparsi partiti rilevanti o è mutata significativamente la dinamica del sistema di partiti e, dunque, non sembra possibile prospettare una tesi globalmente alternativa a quella di Lipset e Rokkan. Cio-

nonostante, primo corollario: non è facile misurare quanto i partiti classici siano cambiati in termini di programmi politici, organizzazione, elettorato posizioni sulle tematiche. Ad esempio, non è facile stabilire se sia ancora valida la tesi di Kirchheimer sulla trasformazione dei partiti di massa in partiti pigliatutto, oppure se non vi sia stata una ricerca ad opera di alcuni partiti di una constituency specifica. Secondo, e decisivo, corollario: se al congelamento delle fratture sociali non stia facendo seguito un congelamento di fratture sociali diverse quanto piuttosto uno scongelamento che apre la strada a qualcosa di nuovo di cui si scorgono, nel migliore dei casi, alcuni vaghi contorni. Quali contorni e quanto vaghi?

La tesi prevalente è che le classiche fratture sociali furono verticali e forti, mentre le nuove linee di differenziazione sono ancora relativamente deboli e certamente trasversali (come, in special modo, l'ambiente). Possono, pertanto, essere tradotte in partiti, se il sistema elettorale consente e agevola questa traduzione, ma possono anche essere assimilate dai vecchi partiti. L'assimilazione delle nuove fratture da parte dei vecchi partiti potrebbe dar luogo ad una specie di ridefinizione dei singoli partiti, dei loro programmi e delle loro posizioni. La traduzione delle nuove fratture in partiti, soprattutto se questi soppiantano i vecchi partiti, darebbe origine ad un nuovo schieramento partitico che, facendo ricorso alla terminologia statunitense, costituirebbe un realign-

ment. Purtroppo, questa terminologia non è sufficientemente precisa accogliendo sotto l'etichetta di realignrnent sia i cambiamenti dentro i partiti che i cambiamenti nei rapporti fra i partiti.

Fra l'altro, sempre rimanendo nell'ambito della terminologia statunitense che, ovviamente, rispecchia i fenomeni che si sviluppano in un sistema politico-istituzionale che ha non poche caratteristiche di eccezionalità, di anomalia, il fenomeno più visibile non sarebbe il realignment quanto, piuttosto, il dealignment, vale a dire che se le vecchie fratture non tengono più, le nuove non riescono però a tradursi in partiti e a consolidarsi. Cosicché, i partiti e il sistema dei partiti invece di ricomporsi sono entrati in un processo di decomposizione.

Negli Stati Uniti questa decomposizione è rallentata dalla natura bipartitica del sistema e degli imperativi politici della conquista della Presidenza. In Europa, la decomposizione appare sicuramente molto lontana. Oltre alla segnalazione della non scomparsa di nessuno dei partiti già storicamente rilevanti, l'altro indicatore è costituito dall'incapacità dei partiti nuovi, espressione di fratture sociali nuove, di andare oltre la soglia del 10 per cento dei voti neppure nella Repubblica Federale Tedesca dove la mancanza di alternative avrebbe potuto proiettare i Verdi oltre quella soglia, ma dove, peraltro, il loro effetto sulla formazione delle coalizioni di governo si era inizialmente sentito a livello di parecchi Lnder.

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La conclusione interlocutoria di questa sezione è relativamente semplice. Le fratture sociali classiche mantengono in vita il maggior numero dei partiti politici delle democrazie occidentali; i sistemi di partito non si sono in generale «scongelati»; le nuove fratture sociali non sembrano essere così forti da rimpiazzare le vecchie, e quindi i partiti che su di esse si fondano e non hanno finora dato una spinta molto significativa alla crescita elettorale e all'insediamento sociale dei nuovi partiti; non è all'opera un processo di rapido e incisivo dealignment né un processo di significativo realignment; potrebbe invece, essere che i partiti vengono svuotati piuttosto che rimpiazzati, che sopravvivono come strutture con poca vita e poca importanza, come involucri mentre la politica è emigrata altrove. Quanto fondata e verificabile è questa tesi?

COMPITI FIJNGIBILI O NON FUNGIBILI?

La letteratura sull'argomento è ampia e disorganica, diffusa e variegata. Lasciando da parte gli elenchi minuziosi di compiti che i partiti svolgono o dovrebbero svolgere, addirittura di funzioni che richiamano una specie di indispensabilità dei partiti e non solo nei regimi democratici, tuttavia un certo accordo su alcuni pochi compiti particolarmente importanti che i partiti adempiono esiste (ma emerge il quesito se solo i partiti siano in grado di adempiere questi compiti, se comunque lo

facciano meglio di altre organizzazioni, che cosa significhi «meglio» e, in definitiva, se dobbiamo chiamare partiti tutte quelle organizzazioni che svolgono i compiti che andremo a definire).

Selezione del personale politico, partecipazione alle elezioni, formazione del governo: pur con talvolta forti differenze lessicali, la maggior parte degli studiosi concordano sul definire questi compiti come qualificanti il ruolo dei partiti politici. Si intende, naturalmente, che i partiti svolgono questi compiti se non in maniera esclusiva, sicuramente in maniera significativa più di qualsiasi altra organizzazione politica, sociale, culturale, economica, a prescindere dal sistema politico (purché sia democratico) analizzato.

Selezione del personale politico: in tutti, nessuno escluso, i regimi democratici, i partiti funzionano sia da luogo di addestramento del personale politico sia da filtri (gate keepers). Vale a dire che il personale politico «passa» attraverso i partiti, a prescindere dalle sue prime esperienze politiche, le quali, peraltro, nella grande maggioranza dei casi sono avvenute entro organizzazioni di partito. Se situiamo su una specie di continuum i partiti delle democrazie occidentali e poniamo ai due estremi i regimi che non solo il senso comune considera da un lato più partiticizzato, l'Italia, dall'altro il meno partiticizzato, gli Stati Uniti, tutti i dati disponibili indicano che il personale politico è di estrazione partitica in entrambi i sistemi (e quindi anche per i casi intermedi).

Questa considerazione non deve in nessun modo essere interpretata come se la politica sia o debba necessariamente essere monopolizzata dai partiti. Piuttosto è la rilevazione empirica che, anche coloro che hanno esperienze iniziali diverse da quelle del reclutamento partitico, entrano poi in contatto significativo e sostanzialmente determinante con i partiti. A riprova, basterà ricordare che i nomi degli outsiders, di coloro che hanno una traiettoria esterna, ai partiti, vengono menzionati per l'appunto come eccezioni che confermano la regola. È possibile iniziare la propria carriera come sindacalisti, come funzionari dello Sato, come esponenti di movimenti collettivi, ma il passaggio cruciale è costituito dalla selezione ad opera dei partiti. Senza di essa si potrà continuare ad essere attivi nella vita politica, si potrà fare parte, in senso lato, del ceto politico, ma solo con essa si ha l'ingresso a pieno titolo (e con qualche probabilità aggiuntiva di una certa permanenza) nella politica come sfera della rappresentanza e della decisione.

Fra l'altro, né i sindacati né i movimenti collettivi, per prendere i due attori più forti che hanno sfidato i partiti, hanno mai tentato di sostituire i partiti in questa funzione di selezione del personale politico. Semmai, hanno svolto il compito di mettere in rilievo i loro candidati alla selezione, di sponsorizzarli, di garantire che ne sarebbe seguito un sostegno efficace da parte dell'organizzazione di provenienza in termini

di campagna elettorale, di voti, di conoscenze.

Partecipazione alle elezioni: una volta si sosteneva che, automaticamente, tutte le organizzazioni che presentassero candidati e partecipassero alle campagne elettorali acquisivano lo status di partiti. In tempi recenti, la definizione è divenuta più restrittiva cosicché è possibile distinguere tra organizzazioni che partecipano saltuariamente al processo elettorale, con candidati e simboli propri, e alle quali, quindi, non è corretto attribuire l'etichetta di partiti, e organizzazioni, invece, che partecipano con continuità, quasi con specializzazione al processo elettorale. La questione terminologica o di etichetta non è molto importante. Ciò che conta e che vale la pena contare è quante organizzazioni, quanti gruppi, quanti movimenti, che non siano partiti, presentano candidati e simboli e si impegnano in una campagna elettorale, e in special modo quale è la loro insistenza su questo terreno. Le democrazie occidentali hanno conosciuto non poche liste di candidati e addirittura di eletti che sono durati lo spazio di un mattino (di una campagna elettorale), talvolta detti partiti flash. L'interrogativo rilevante in questa fase è duplice: da un lato, quanti gruppi e/o partiti presentano con continuità e costanza liste senza ottenére rappresentanza nazionale ma contribuendo in qualche modo a strutturare l'ambito delle scelte praticabili dagli elettori? Dall'altro, quanti partiti attualmente rappresentati nelle assem7

blee nazionali dei rispettivi sistemi politici sono nati attraverso prove elettorali e, ancor più significativo ai nostri fini, quanti di questi partiti sono recenti o addirittura nuovi (volendo si potrebbe dividere il secondo dopoguerra in tre fasi: immediato dopoguerra; 1968-fine anni Settanta; gli anni Ottanta)?

Una prima ricognizione conduce alla conclusione, certo preliminare, che la percentuale di nuovi partiti sia molto bassa e che, in sostanza, i vecchi partiti tengano banco. Ma, soprattutto, che siano pochissime le trasformazioni da gruppi di interesse e da movimenti in partiti che abbiano avuto successo. E, infine, che, anche quando quella trasformazione è avvenuta, solo molto raramente la partecipazione alle elezioni di nuovi partiti struttura il campo delle scelte degli elettori in maniera tale da mettere in crisi i precedenti allineamenti. Può forse essere stato il caso del Poujadismo al tramonto della Quarta Repubblica francese; più probabilmente è stato il caso, ma già non lo è più, del Partito del Progresso, un'organismo anti-tasse, in Danimarca; con maggiore sicurezza è il caso dei Verdi, soprattutto in Germania, anche se il fenomeno non può dirsi del tutto consolidato.

Fatti questi opportuni rilievi, rimane fermo, però, che in nessun caso si è assistito alla consapevole decisione di un gruppo, di un'organizzazione (ad esempio sindacale oppure imprenditoriale), di un movimento di opinione di trasferirsi armi e bagagli nell'arena elettorale 8

(e, per i movimenti collettivi veri e propri, questa è stata comunque una scelta complicata e non particolarmente fruttuosa). Insomma, la creazione di un partito che sappia competere con qualche probabilità di successo nell'arena elettorale è operazione che richiede capacità organizzative, politiche, culturali non comuni.

Formazione del governo: anche in questo caso si può costruire un continuum che va dal massimo di presenza partitica al minimo. E un'esplorazione che è stata fatta in maniera eccellente, sia teoricamente che con riferimento ai più importanti casi concreti, sotto l'etichetta del party government. Naturalmente, il problema consiste nel definire con chiarezza quale sia lo spazio del governo. Un conto sono le posizioni formali, le cariche ufficiali, in breve: ministri e sottosegretari; un conto sono tutte quelle cariche e posizioni che un governo può assegnare (sottogoverno?). Un conto sono le scelte effettuate su base di competenza, oltre che di affiliazione partitica (spoils system?); un conto sono le scelte nelle quali l'affiliazione partitica prevale su qualsiasi altro criterio (lottizzazione?), in particolare, quando il governo che lottizza è un governo di coalizione.

Dunque, i criteri che si incrociano e debbono essere utilizzati per analizzare e valutare il party government sono almeno due: come e quanto. Come indica la prevalenza del criterio di appartenenza partitica su tutti gli altri criteri. Nella sua versione pura, forse riscontrabile

in Gran Bretagna, significa che tutte le cariche formali di governo sono attribuite a rappresentanti del partito che ha vinto le elezioni. In generale le democrazie anglosassoni, Stati Uniti compresi, si discostano poco o nulla da questo criterio. Il venir meno del party government, un suo affievolirsi (magari sotto la spinta di una società che richiede meno partiticità) potrebbe essere colto nell'apertura di cariche di governo a personale non partitico, ai tecnici, agli esperti, agli indipendenti, agli esterni. Ma, è una ricognizione tutta da fare nell'Europa continentale mentre in Gran Bretagna il sistema di attribuzione di cariche governative è solidamente partitico; e negli- Stati Uniti, nonostante il processo sia più complesso, le eccezioni rimangono tali.

Più complesso è il discorso che concerne il quanto di party governrnent. Probabilmente, la prospettiva migliore dalla quale affrontare questa analisi e la relativa valùtazione è, anzitutto, tenere 'conto dell'estensione del settore pubblico e, in subord-ine, del numero dei partiti rilevanti (vale a dire quelli necessari alla formazione del governo di coalizione e quelli che posseggono dall'opposizione un certo potenziale di intimidazione). La dimensione del settore pubblico offre le opportunità di intervento ai partiti; il numero dei partiti agisce come fattore di lottizzazione e addirittura di moltiplicazione delle cariche (uno studio sulle vice-presidenze e sui consigli di amministrazione potrebbe essere rivelatore). Sarebbe anche -

utile valutare quanto la mancata alternanza fra coalizioni, come in Italia e in Giappone, abbia effetti sul quanto della presenza partitica e della sua moltiplicazione neI corso del tempo. I costi della non-alternanza sono da confrontare con quelli che, secondo alcuni autori, sarebbero i costi della troppo frequente alternanza, ad esempio in Gran Bretagna.

All'incrocio con queste ricognizioni e con queste valutazioni, è opportuno situare il discorso relativo alle sfide che i partiti occidentali hanno dovuto affrontare in special modo sull'onda del Sessantotto.- Infatti, alcune di queste sfide sono state motivate proprio dall'eccesso di partiticizzazione, di party government, di lottizzazione e sottogoverno. Ma, altre sfide, fòrse altrettanto significative, non si sono appuntate sul come e sul quanto di party government, ma sulla sua qualità: sono le sfide che meritano, in larga misura, la definizione di «post-materialiste».

LA SFIDA: AL DI LÀ DEI PARTITI?

In realtà, di sfide se ne possono distinguere due. La prima riguarda l'esistenza stessa dei partiti, cui si è già brevemente fatto cenno discutendo i compiti espletati dai partiti. Rispetto a quei cenni, vale a dire ai tentativi effettuati dai sindacati, dai gruppi di interesse, dai movimenti collettivi, di soppiantare i partiti, va probabilmente aggiunto un altro sfidante: i mass media. Secondo alcuni autori, infatti, e proprio con riferimento

alle tre funzioni principali, qualificanti dei partiti, l'ingresso dei mass media, in particolare della televisione, sulla scena politica, ha avuto effetti enormi, addirittura devastanti.

Per quanto attiene la selezione del personale politico, ad esempio, la capacità degli aspiranti a conquistare visibilità, exposure sui mass media, la loro telegenia, il loro fascino personale assumerebbe sempre maggiore rilevanza nei processi interni ai partiti attraverso i quali si scelgono, valutano, promuovono i «politici)). Se i mass media non possono surrogare questa funzione dei partiti, possono però influenzarla in maniera significativa (senza contare che molti giornalisti risultano essere o diventare aspiranti politici appetibili e appetiti).

Per quanto riguarda la partecipazione alle elezioni, è evidente che il discorso va condotto non con riferimento alla presenza di un partito dei media (che esiste solo in senso lato, traslato e trasversale). Il quesito, invece, concerne da un lato la determinazione dei media di strutturare essi stessi le alternative politico-programmatiche e di influenzare la scelta dei candidati e la loro campagna elettorale, dall'altro, la disponibilità o meno e la consapevolezza o meno di questa disponibilità da parte dei dirigenti di partito a preparare programmi e a presentare candidati sulla base delle reazioni previste del mondo dei media.

Anche se la professione di esperti dei mass media (di media consultant) può

lo

non essere ancora molto diffusa nelle democrazie occidentali, il fenomeno dell'attenzione ai media e della sua importanza fu intuito ai suoi primi albori da Otto Kirchheimer. Il politologo tedesco ne denunciò immediatamente gli effetti di distorsione sui processi dccisionali dei partiti. Questa rimane una ricerca tutta da fare. Ma molti segnali: la scelta di candidati «indipendenti)), l'attenzione al look, l'enfasi sull'immagine, il richiamo all'importanza del carisma (raramente soppesato e interpretato nel senso weberiano), spingono a pensare che la sfida dei media alle modalità di impostazione delle campagne elettorali è stata forte e forse già vittoriosa. Naturalmente, un'affermazione di questo genere può essere provata o confutata soltanto sulla base di ricerche apposite, di cui non disponiamo; ciononostante, gli spezzoni di materiale raccolti in qua e in là suggeriscono che i mass media sono riusciti a plasmare le campagne elettorali di non pochi partiti.

Per quanto riguarda la formazione dei governi, poiché rimane valido tutto quanto scritto a proposito del party government e della sua pervasività, è indubbio che, tranne ovviamente nei regimi presidenziali dove i media possono avere influenzato la scelta dei candidati-presidenti e forse la vittoria di uno piuttosto che dell'altro, sono e rimangono i partiti che scelgono i governanti. Eppure anche su questo terreno, i mass media possono esercitare e hanno esercitato un'influenza significativa.

Possono, in effetti, favorire le dimissio-

ni di alcuni governanti. Il caso classico che viene abitualmente citato è quello del «Washington Post» contro Nixon.

Probabilmente, scavando con questa ottica, si troveranno molti altri casi a livello nazionale e a livello locale nei quali i mass media hanno saputo imporre, certo quando insieme con il fumo vi era l'arma che aveva sparato, o ottenere le dimissioni di personale politico di governo (casi francesi, tedeschi, britannici alquanto numerosi; casi italiani ben più rari: questo dice qualcosa sulla natura sia della classe politica che del party government). Se non sulla formazione dei governi, dunque, i mass media sono efficaci sulle dimissioni dei governanti e talvolta sulla dissoluzione dei governi.

Le sfide dei sindacati, dei gruppi di interesse, dei movimenti collettivi, dei mass media sono dirette prevalentemente al ruolo dei partiti e del loro personale nel sistema politico. Prevalentemente non vuol dire esclusivamente. Infatti, quelle sfide hanno una componente che inevitabilmente tocca l'organizzazione interna dei partiti. E, in special modo, il processo decisionale interno che la sfida anti-partitocratica e anti-partitica ha inteso colpire, influenzare, migliorare, stravolgere.

Questa sfida dall'esterno si è incontrata con una sfida proveniente dall'interno, una sfida che saliva lentamente ma che trovò nuova lena e sostegno nelle critiche esterne ai partiti. E il classico problema della democrazia interna ai partiti per il quale serve ancora fare ricorsò

a Roberto Michels e, nella misura in cui il problema venga letto come inevitabile processo di burocratizzazione, a Max Weber e ai suoi antitodi. Il paradosso è che proprio mentre sfidavano i partiti per la mancanza di democrazia interna (che anche ove esisteva rivelava non pochi inconvenienti, ritardi, problemi), né i sindacati né i gruppi di interesse n i movimenti collettivi potevano ergersi a modello di organizzazioni rette da procedure democratiche. E, quindi, i dirigenti di partito non potevano trovare ispirazione (ammesso che volessero cercarla) né nella leadership burocratica dei sindacati né nella struttura professionale e verticistica dei gruppi di interesse né, infine, nelle procedure assembleari e lideristiche dei movimenti collettivi. D'altronde, i sindacati declinavano rapidamente sotto il peso di una irrisolta crisi di rappresentatività, i gruppi di. interesse si frammentavano lungo le linee rivendicative sempre più specializzate, i movimenti collettivi esplodevano. Solo i partiti rimanevano a fare fronte alla sfida di una società più esigente che, correttamente, li individuava come controparte stabile, duratura, efficace, seppur da riformare.

E la società è diventata più esigente perché ha preso sul serio quei valori di partecipazione e di influenza politica che i partiti, soprattutto ma non solo quelli di sinistra, avevano diffuso e propagandato come il loro apporto alla cittadinanza e al governo del sistema politico.

D'altronde perché stupirsi se, nel momento in cui, party governrnent o parti11

tocrazia, si produce un consenso di fondo sull'importanza dei partiti, i cittadini vogliono influenzare i processi decisionali interni? Non è solo questione di selezionare il personale politico, preparare un programma e nominare i candidati alle cariche rappresentative, proporre i nomi dei governanti. E anche trovare un luogo di espressione di solidarietà e di riconoscimento, di identità dei compiti collettivi e di trasformazione. Solo su questo terreno, ma mai molto a lungo, i movimenti collettivi riuscirono a sfidare i partiti. Ma, nel medio periodo, nonostante la crisi delle ideologie, i partiti sono riusciti, almeno parzialmente, a risalire la china anche della perdita di identità e della ricostruzione di identità.

A meno che si ritenga che quelle associazioni collettive che sono i partiti hanno fatto fronte alla sfida non tanto perché hanno saputo riassorbire un pubblico esigente, colto, post-meterialista offrendo loro un luogo significativo di partecipazione e influenza politica, ma soltanto perché controllano il potere politico, le risorse, la distribuzione di beni individuali e collettivi. Può anche essere così. E paradossale, peraltro, che una tesi di questo genere sia stata avanzata congiuntamente alla tesi di coloro che sostengono che i partiti non «contano», o quantomeno mettono in dubbio che essi contino. Fanno o non fanno una differenza, i partiti?

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CHE DIFFERENZA FANNO I PARTITI? Le prospettive dalle quali questa tematica, decisamente importante per la stessa teoria democratica, è .stata affrontata, sono molteplici. Dal puntò di vista della political economy, il quesito stato posto in relazione alla volontà e alla capacità dei partiti (più precisamente di governo) di manovrare l'economia in maniera tale da condizionare il comportamento degli elettori. La verifica empirica, seppur non del tutto soddisfacente, suggerisce che, in presenza di determinati fattori, i partiti possono effettivamente utilizzare la leva eonomica a scopi elettorali (e, comunque, in molti casi lo tentano con cognizione di causa).

Sempre rimanendo nell'ambito della political economy, seppure di una sua versione leggermente diversa, numerosi studi hanno accertato che i partiti fanno una differenza, o cercano di farla per ciò che concerne il cosiddetto trade off fra inflazione e disoccupazione. Vale a dire che, mentre i partiti conservatori sono inclini ad operare per mantenere basso il tasso di inflazione anche a scapito della crescita di quello di disoccupazione, i partiti in senso lato laburisti e socialisti seguono il percorso opposto. Naturalmente, le analisi si complicano e le risultanze si offuscano quando il riferimento è costituito dai governi di coalizioni, alquanto numerosi nell'Europa continentale. Ma la prevalenza di un obiettivo rispetto all'altro sembra trovare conferma, maga-

ri meno netta, nella differenziata composizione dei governi di coalizione, e cioè nella prevalenza politica di un partner rispetto ad un altro.

Quando si passa alla prospettiva dello Stato sociale o della spesa sociale, prospettiva che ha attratto grande attenzione nell'ultimo decennio o poco più, le risultanze delle comparazioni e delle serie storiche rafforzano la convinzione che i partiti qualche differenza la facciano. Più specificamente, esiste una correlazione fra la spesa sociale e i partiti di governo. La spesa sociale è in generale più elevata quando sono stati al governo partiti socialisti e partiti democristiani piuttosto che partiti liberali e conservatori. Anche nella composizione della spesa sociale e nelle modalità di erogazione sembrano riscontrarsi differenze significative fra i partiti socialisti e i partiti democristiani, i primi maggiormente orientati da una concezione imperniata sui diritti del cittadino, i secondi più influenzati da una concezione di assistenza al cittadino. Naturalmente, soltanto analisi in profondità di casi specifici consentono di pervenire a differenziazioni così raffinate ma, in taluni contesti, almeno la linea di tendenza e gli effetti del passato sembrano sufficientemente ben delineati.

La terza prospettiva di carattere generale collega i partiti alla competizione elettorale e rapporta le loro (eventuali) realizzazioni alle loro promesse. Da un lato, si afferma che i partiti tendono sempre più ad assomigliarsi, essendo costretti nel corso delle campagne elet-

torali a scavalcarsi con le promesse (la politica dell'outbidding), promesse che in parte non riusciranno a mantenere e che, nella misura in cui verranno mantenute, hanno effetti inflazionistici. Sarebbe questo il presunto costo della democrazia che non spiega, però, perché l'inflazione, anche quella a due cifre, sia rientrata senza mettere in nessun modo in pericolo i regimi democratici occidentali. Dall'altro lato, si sostiene che i partiti non sono comunque capaci di dare attuazione concreta alle loro promesse, in particolare se promettono di cambiare. I fattori storico-strutturali del bilancio dello Stato oppure l'apertura dell'economia alle correnti internazionali ostacolano qualsiasi politica di mutamento che i partiti vogliano introdurre. Di qui l'affermazione che, nel lungo e anche nel medio periodo, le politiche seguite dai vari partiti, in particolare nei sistemi bipartitici con alternanza, tenderanno ad essere molto, molto simili. Di qui l'attacco implicito alla teoria democratica: infatti, se l'alternanza fra partiti (e fra coalizioni) non produce effetti significativi sulla gestione dell'economia e sull'assegnazione delle risorse (strutturalmente determinate e anche condizionate dall'esterno), allora la scelta elettorale è illusoria e la competizione democratica inutile o, peggio, soltanto dispendiosa.

In questa prospettiva, i partiti non farebbero nessuna differenza rispetto al sistema socio-economico perché non hanno la forza per cambiare. Vi è anche chi sostiene che i partiti non vogliono 13

introdurre cambiamenti perché, una volta giunti al governo, prendono atto dei vincoli esistenti e decidono consapevolmente di non sfidare gli altri attori consolidati. Non essendo e non reputandosi più forti degli altri Attori socioeconomici, i partiti si accomodano all'esistente perseguendo non una strategia di mutamenti socio-economici, ma più saggiamente una strategia di ricon quista del potere politico che, peraltro, a giudicare dai frequenti e periodici rovesciamenti dei governi in carica, non sarebbe comunque adeguata.

Se si accetta una delle ultime prospettive indicate, è possibile sostenere sia che altri attori esercitano maggiore peso sulle decisioni e quindi riportare al centro dell'attenzione gli sfidanti dei partiti: sindacati, gruppi di interesse, movimenti collettivi, sia che i processi decisionali sono dominati non da attori così visibili quanto piuttosto da issue o policy networks, da aggregazioni di esperti, da iron triangles. Nella prima alternativa, anche se qualche decisione può essere effettivamente influenzata dai sindacati oppure da specifici gruppi di interesse oppure dai movimenti collettivi, è opportuno distinguere tra politiche specifiche e la politica governativa, sulla quale i vari. sfidanti esercitano influenza ma che difficilmente possono determinare in toto. Un discorso simile vale per i networks di qualunque tipo e di qualunque consistenza essi siano.

Può essere benissimo, ed anzi in alcuni casi e in alcuni contesti, è provato che esperti, networks, triangoli possano pla14

smare una decisione. Ma è decisamente improbabile che riescano ad impadronirsi del processo decisionale governativo. In entrambi i casi, la verità è che i partiti hanno la capacità di fungere da gate keepers, vale a dire di decidere ad ogni buon conto quale interesse abbia accesso alla sfera decisionale, quale networle debba essere rappresentato al tavolo della contrattazione, quale triangolo sia utile per l'applicazione di una specifica legge.

Tutte queste considerazioni possono non essere convincenti e comunque delineare un quadro nel quale i partiti non sono più i dominatori esclusivi dei processi decisionali. E legittimo allora domandarsi in alternativa se i partiti abbiano mai dominato davvero, a fronte ad esempio delle corti reali o delle burocrazie o delle grandi imprese capitalistiche, i processi decisionali, e se il fatto che non dominino più oggi i processi decisionali significhi che sono sorte organizzazioni capaci, in varie forme, di esercitare maggiore influenza complessiva e generalizzante dei partiti politici. Se, come è probabile, risposte serie e documentate vengono date a questi interrogativi, allora la conclusione è che i partiti contano sia in quanto sistema dei partiti sia in quanto singoli partiti nella gestione delle risorse e nell'attribuzione dei beni collettivi. E contano secondo modalità che, periodicamente sottoposte alla sanzione elettorale, meritano l'appellativo di democratiche.

Questa conclusione, di per sé impor-

di un decennio a questa parte si è aperta una lotta, è in atto una competizione proprio per una diversa distribuzione dello spazio politico. Poiché il pubblico delle democrazie occidentali è oggi più esposto alla politica, meglio informato, più consapevole che le scelte politiche incidono sul suo destino personale, meglio attrezzato a partecipare alla vita politica, più disponibile a fare ricorso a strumenti non convenzionali (di protesta), la sfida ai partiti è non solo più evidente, ma anche più efficace che nel passato.

Rispetto al passato, però, non è una sfida distruttiva. Al contrario, è una sfida costruttiva nel senso che è orientata alla SOCIETÀ, PARTITI, ISTITUZIONI ricostruzione di più spazi politici ritaIl fenomeno più significativo negli ulti- gliati sulle capacità delle tre sfere, de jumi venti anni circa delle democrazie oc- re condito (che cosa stanno effettivacidentali è stato costituito congiunta- mente facendo) e de jure condendo (che mente dalla moltiplicazione dei gruppi cosa dovrebbero in effetti fare). E quine delle associazioni portatrici di interes- di una sfida alle degenerazioni dei partisi e dalla loro attivazione sulla scena ti e alla partitocrazia piuttosto che ai politica. Questa attivazione, a sua vol- partiti in quanto tali e alle caratteristita, ha prodotto una crescente richiesta che della loro competizione reciproca. di decisioni, ha pertanto costituito uno In assenza di una reale concorrenza, i stimolo al funzionamento delle istitu- partiti avevano potuto espandersi per zioni e, nei casi di cosiddetto sovracca- anni. Adesso, la concorrenza è apparsa. rico, ha fatto emergere la crisi di gover- E sono proprio i cittadini dotati di nabilità. In qualche modo, comunque, maggiori risorse politiche che spesso interessi e istituzioni o, se si preferisce partecipano nei partiti e nelle organizsocietà civile e Stato minacciano lo spa- zazioni che li sfidano, con le modalità zio politico dei partiti. Questo è il pro- convenzionali e con l'ardore della protesta, mirando ad ottenere potere per la blema.

L'espansione del ruolo dei partiti aveva società civile e a trasferirlo sulle istitucomportato una occupazione da parte zioni legalmente preposte ai processi di loro di spazio politico a scapito della rappresentanza e decisione. società civile e delle istituzioni. Da più Se questo processo ha successo (con

tante, come importanti sono state quelle relative all'inadeguatezza funzionale degli sfidanti, non è tuttavia sufficiente a spiegare perché sia diffusa una notevole (crescente o no) insoddisfazione concernente il ruolo dei partiti nelle democrazie occidentali. Poiché l'insoddisfazione sembra avere investito con le degenerazioni del party government lo stesso governo dei partiti e con la partitocrazia lo stesso sistema dei partiti, l'esplorazione di questa tematica è imprescindibile per qualsiasi analisi dei partiti politici nelle democrazie occidentali.

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qualche titubanza si può citare il caso degli Stati Uniti nel quale però alla comprensione del ruolo dei partiti e alla riduzione del loro spazio politico ha fatto da contrappeso negativo il crollo della partecipazione politico-elettorale), allora la partitocrazia non verrà rimpiazzata da nessun'altra «crazia» (l'errore del pansindacalismo, della società radicale, del movimentismo). Ricondotti in uno spazio politico che è loro più consono, i partiti potranno esercitare meglio, la loro funzione classica di tramiti fra la cittadinanza e le istituzioni e, al tempo stesso, la loro funzione moderna di formatori di una classe politica di governo. Se, dal lato della società civile, il loro compito rimarrà, anche se le difficoltà sono cresciute, quello di creare, dare forma, sostenere identità collettive, dal lato delle istituzioni, il loro compito è divenuto quello di garantire responsabilitì collettive.

Rispetto a qualsiasi altra organizzazione, infatti, i partiti godono, almeno in linea teorica, proprio di questo vantaggio: potersi presentare e caratterizzare come i portatori storici di un programma e i selezionatori di una équipe alla quale è affidato, come esigeva Schumpeter, il compito di tradurre quel pro-

gramma in scelte concrete; e, se quella quipe non è al governo, essa è comunque depositaria di quel programma, di quelle speranze, di quelle prospettive; e se ha perso il potere di governo è comunque impegnata, al momento del suo ritorno alla guida del paese, a riprendere il discorso, con gli opportuni correttivi, dove la sconfitta elettorale lo aveva interrotto.

Tutto questo, dalla creazione di identità alla garanzia di responsabilità, è certamente diventato più difficile. Infatti, così si spiegano le critiche ai partiti e ai loro ritardi. Sicuramente, rimane un compito democratico di enorme rilevanza per il quale tutte le alternative finora emerse, con varia ma jn definitiva scarsa fortuna, si sono rivelate inadeguate. La,democrazia di massa, almeno come l'abbiamo conosciuta fino ad ogi, nasce e si trasforma con i partiti. E soddisfacente e forte quanto efficaci sono i suoi partiti. Questa è una ragione non per distruggere i partiti, quando la democrazia che essi hanno costruito è inefficiente, quanto piuttosto per pretendere che, proprio nell'interesse dell'esistenza e dell'ampliamento della democrazia, essi si riformino: un compito difficile, ma non impossibile, non esaltante ma indispensabile.

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I partiti francesi da de Gaulle a Mitterrand: affermazione o declino? di Aldo Di Virgilio

da una politica a base localistica e notabiliare e da un esteso ricorso all'ammiRispetto ai loro omologhi europei i nistrazione dello Stato come strumento partiti francesi si presentano come atto- di regolazione politica. ri politici tradizionalmente deboli per Questo quadro di relazioni scoraggiava insediamento e configurazione organiz- il perseguimento di strategie partitiche zativa e minori per collocazione nel si- di penetrazione territoriale (assai costostema politico. Nascono più tardi che se anche per l'estrema frammentazione altrove e non trovano condizioni am- delle unità di base del governo territobientali favorevoli al loro sviluppo e riale: i trentaseimila comuni compresi consolidamento. Tra i principali fattori negli oltre novanta dipartimenti prefetdella loro debolezza storica occorre ri- tizi) e sfavoriva lo sviluppo di partiti di cordare anzitutto alcune caratteristiche integrazione. Le caratteristiche delle redel modello di sviluppo politico della lazioni fra centro e periferia aiutano a Francia post-rivoluzionaria. In primo fissare anche due aspetti assai rilevanti luogo si deve richiamare la lunga fase di del fenomeno partitico in Francia: a «mobilitazione politica pre-partigiana»' differenza di quanto avvenne in altri che «anticipò» l'emergere dei partiti e contesti europei, quali quello britanniprecedette tanto i momenti più acuti co o tedesco, le forze moderate sono del processo di urbanizzazione e indu- state in grado, in Francia, di controllare strializzazione quanto l'affermarsi di il potere senza strutturarsi in forme orun governo responsabile. La precoce ganizzative a carattere partitico; uno estensione del suffragio 2 stabilizzò for- specifico aspetto della debolezza storica me di iiitermediazione politica incen- dei partiti francesi è stata la loro incapatrate sul potente apparato amministra- cità di sostituirsi alla classe politica dei tivo di origine napoleonica (i prefetti e notabili provinciali nella gestione della i sindaci di nomina governativa) e sulle politica locale, rimasta fino a tempi rerisorse «civili» dei notabili delle provin- centi, e in parte tuttora, una non parti. ce e favorì un'incorporazione dèile san politics3 masse rurali e provinciali caratterizzata A dispetto della presenza, già nella priUN FENOMENO (<RECENTE E CONTESTATO»

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ma fase della Terza Repubblica, di «tendenze» e «temperamenti» politico-ideologici4 ben identificabili e radicati, i primi partiti politici sono nati soltanto all'inizio di questo secolo5, hanno superato di rado la soglia di istituzionalizzazione6 , in un panorama politico caratterizzato per di più da un elevato grado di instabilità e discontinuità. A sfavore dei partiti hanno giocato anche fattori di carattere culturale, in particolare la tradizionale concezione dell'«Unità e Indivisibilità» della Repubblica e le radicate diffidenze nei confronti dei corpi politici intermedi (si pensi alla tradizione giuridica anti-associativa che risaliva alla Loi le Chapellier del 1789, oppure al fatto che soltanto nel 1911 i gruppi parlamentari trovarono ufficiale riconoscimento nei regolamenti della Assemblea nazionale). E la stessa sfortuna del termine «partito», al quale sono state preferite di solito locuzioni di altra evocazione quali mouvernent, union, centre, rassemblement, federation, alliance, ligue, appare indicativa dell'ostilità ambientale agli orientamenti di tipo partitico7 .

La debolezza storica dei partiti francesi ha trovato espressione anche in una limitata strutturazione del sistema partitico e nel mancato «congelamento» delle opzioni elettorali.

Mentre nella maggior parte delle liberai-democrazie europee questo duplice processo, come hanno mostrato Rokkan e Lipset, giunge a maturazione tra gli anni Venti e gli anni Trenta «fissando>' generalmente la configurazione del

mercato elettorale per molti decenni a seguire, fino al momento attuale 8 , in Francia l'andamento è del tutto diverso. E indicativo che l'anzianità di servizio delle tre attuali principali formazioni politiche del paese (Parti Socialiste, Rassemblement Pour la République, Union de la Démocratie Franaise, la cui consistenza è giunta nelle elezioni legislative del 1988 a oltrepassare i 4/5 del totale di voti e seggi) sia di circa vent'anni e che l'unica continuità tra i partiti odierni e le formazioni del primo dopoguerra sia rappresentata dal partito comunista (e, ma solo in parte, da quello socialista).

Sul piano elettorale l'avvicendarsi delle sigle impegnate nelle competizioni elettorali ha continuato ad essere incessante e il grado di volatilità complessiva estremamente elevato. Indicativo, nel secondo, dopoguerra, il lento consumarsi o la scomparsa di etichette partitiche di prima grandezza (i moderati del Centre Nationale des Indipendents et des Paysans, i radicali del Parti radical et radical-socialiste, i cattolici del Mouvement Républicaine Populaire), le effimere fortune di partiti flash quali il Mouvement Poujade e, soprattutto l'affermarsi del movimento gollista, formazione non solo nuova, ma capace di conseguire in breve tempo ragguardevoli dimensioni elettorali e di mantenere a lungo la guida politica del paese.

Fenomeno «recente e contestato» 9 , i partiti hanno esercitato un'effettiva influenza nel processo politico francese soprattutto nella fase del tripartitismo 19

postbellico, l'intesa di governo tra cattolici (MRP), socialisti (SF10) e comunisti (PCF), uniche forze politiche presenti nell'intero territorio nazionale e caratterizzate da un modello organizzativo più o meno vicino a quello del partito di massa. Tali partiti definirono il nuovo assetto istituzionale (forma di governo parlamentare; legge elettorale proporzionale), influenzarono la formazione dei governi, controllarono i lavori del parlamento. Questo esordio orientato al party govrnment non ebbe seguito. Col passaggio dal tripartitismo alle coalizioni centriste di «terza forza» si ebbe un ritorno alla République des députés, caratterizzata, sul modello della Terza Repubblica, da indisciplina parlamentare (e rilevanza spesso decisiva di piccoli raggruppamenti di deputati o addirittura di singoli «non iscritti»), precarietà delle maggioranze, instabilità ministeriale. Il sistema partitico venne a caratterizzarsi per la presenza di partiti anti-sistema (comunisti e gollisti raccolsero quasi il 48% dei voti alle elezioni del 1951; comunisti, gollisti e poujadisti superarono il 40% nel 1956) e per le profonde divisioni fra i partiti della coalizione pro-regime, e all'interno di essi, sulle questioni sostantive più rilevanti del momento (il riemergere della querelle scolaire, la politica di integrazione europea, la decolonizzazione) 10. In questo quadro il peso dei partiti nei processi di policy making si contrasse progressivamente (soprattutto a vantaggio dei vertici della burocrazia pubblica) e la loro incapacità di con20

trollare il gioco e l'agenda politica e di disciplinare il regime d'assemblee costituì un importante elemento del mancato consolidamento, e del crollo, della Quarta Repubblica.

L'avvento della Quinta Repubblica comportò un ulteriore svilimento del ruolo dei partiti, ritenuti da de Gaulle fra i principali responsabili della crisi del paese. Il nuovo assetto istituzionale (parlamentarismo «razionalizzato», ampia discrezionalità regolamentare dell'esecutivo, accresciuta rilevanza politica della burocrazia pubblica) e soprattutto la leadership carismatico-plebiscitaria esercitata da de Gaulle nella fase di instaurazione del regime ridussero il margine d'azione dei partiti e la loro rilevanza nei processi decisionali. La stessa costituzione ne confinava il ruolo a un'attività di mero concorso all'espressione del suffragio' 1 Nata contro i partiti, la Quinta Repubblica si è però legittimata e ha conseguito un consolidamento forte anche grazie allo strutturarsi di un sistema partitico stabile e alla formazione di partiti rinnovati nella loro struttura organizzativa e in piena sintonia con la logica istituzionale del nuovo regime. Questa rivincita dei partiti, sviluppo indubbiamente fra i più paradossali del regime instaurato da de Gaulle, va peraltro interpretata con la dovuta cautela. Se la Francia si caratterizza a buon diritto come un contesto in cui parties refuse to fail' 2, e si segnala come il caso più adeguato al controllo dell'ipotesi secondo cui non si danno democrazie senza che .

i partiti non siano tra le principali strutture del regime, considerare la Quinta Repubblica come un esempio di party government, assimilabile addirittura al tipo britannico o a quello tedesco, appare però un'azzardata forzatura 13 . I partiti francesi permangono deboli su scala comparata e il sistema partitico continua ad essere una variabile largamente dipendente dai vincoli istituzionali. Le recenti elezioni legislative (marzo 1993) hanno mostrato ancora una volta come si debba al meccanismo elettorale, e non certo alla forza dei partiti, la «ricomposizione» (parziale e provvisoria») del paesaggio politico. E stato, infatti, il doppio turno a fabbricare una maggioranza parlamentare schiacciante e ad imporre un bipolarismo destra/sinistra che sembra rispondere assai meno che in passato alla sensibilità dell'elettorato francese.

L'impatto delle istituzioni, e della riforma gollista del 1959-1962 che ne ha fissato la confining conditions, è un necessario punto di partenza per esaminare le più recenti evoluzioni dei partiti e del sistema partitico. Ad esso è destinato il prossimo paragrafo, cui fanno seguito un'esame della tesi della rinascita dei partiti francesi, riformulata in termini di rivitalizzazione senza rafforzamento, e alcune considerazioni sui molti mutamenti dell'ultimo decennio e sulle loro principali cause. Queste tre tappe disegnano un andamento circolare (crisi dei partiti tradizionali e adattamento alle nuove regole; affermazi9ne di attori partitici rinnovati e definizio-

ne di un nuovo sistema partitico; riproporsi del nialaise politico e nuova crisi, arginata questa volta dal peso delle istituzioni) e definiscono tre scansioni temporali grosso modo decennali. Tali scansioni coincidono con ben definiti stadi del regime e con sequenze presidenziali. Alla fase gollista di instaurazione del nuovo regime, (e, per i partiti, di apprendimento istituzionale, selezione di nuove strategie competitive e rinnovamento delle élItes interne), se gue la fase del consolidamento della Quinta Repubblica (e di rivitalizzazione partitica) e, infine, la variegata stagione mitterrandiana. Inaugurata dalla geometrica alternanza del 1981, e dalle (malriposte) ambizioni al party government nutrite dai socialisti, l'era Mitterrand si sviluppa in una successione di novità politico-istituzionali (riforme elettorali, coabitazione e esperienza del «governò diviso», decentramento e regionalizzazione) che favorisce il disincanto e la disaffezione nei confronti dei partiti, accresce la volatilità del sistema e caratterizza i primi anni Novanta come momento di transizione partitica 14 .

FRA ADATTAMENTO E DEFINIZIONE DI NUOVE STRATEGIE: I PARTITI E LA RIFORMA ISTITUZIONALE GOLLISTA

Due elementi dominarono la dinamica partitica francese negli anni Sessanta: l'emergere della frattura gollismo/antigollismo come dimensione nuova e strutturante dello spazio politico; l'a21

dattamento dei partiti al cambiamento di regime e al nuovo quadro istituzionale.

La personalità di de Gaulle ebbe effetti dirompenti sui modelli di aggregazione elettorale dei discreditati partiti della Quarta Repubblica. L'esercizio carismatico dell'autorità cui si attenne una volta tornato al potere 15, le politiche adottate nei primi anni di governo' 6, la diversa percezione che della sua figura politica, e del nuovo regime, mostrarono di avere le élites politiche e l'elettorato di massa spiegano la capacità aggregativa del tutto trasversale rispetto alle tradizionali linee di divisione dell'elettorato francese dimostrata da de Gaulle' 7. Il ricorso al referendum e l'adozione di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno per l'elezione dell'Assemblea Nazionale si rivelarono strumenti tecnici assai efficaci nell'evidenziare in modo drammatico lo scollamento prodottosi fra élites politiche tradizionali e elettorato di massa, sollecitandone l'espressione e amplificandone la portata.

La frattura gollismo/antigollismo finì col «tagliare» l'elettorato di massa molto più a sinistra di quanto non dividesse le élites politiche; le nuove regole elettorali facilitarono il tradursi di tale incongruenza in un profondo riallineamento politico-elettorale' 8 . Questo processo di dinamizzazione politicoelettorale si produsse con particolare evidenza alle elezioni del 1962, in cui il nuovo partito gollista (1' Union pour la Nouvelle République) 19 e i suoi alleati 22

moderati - un drappello di notabili di centro-destra provenienti dal CNIP e riuniti per iniziativa di Valery Giscard d'Estaing nella Federation National des Républicaines Indipendentes - conquistarono oltre un terzo dei suffragi espressi al primo turno di voto e, per effetto della forza dis-rappresentativa della nuova legge elettorale, la maggioranza assoluta dei seggi all'Assemblea Nazionale (si vedano i risultati elettorali nella Tab.1).

L'affermazione del gollismo come fait majoritaire - il costituirsi cioè di una coalizione pro-regime dotata di una confortevole maggioranza parlamentare e di un elevato grado di coerenza e disciplina interna - modificò profondamente il quadro politico francese che prese a strutturarsi attorno al conflitto fra la maggioranza gollista e l'opposizione e iniziò ad assumere una configurazione tendenzialmente bipolare. In contrasto col consolidato modello del «centrismo di governo» 20, la frontiera fra governo e opposizione divenne rigida e permanente» e il sistema partitico, per la prima volta nel dopoguerra, si trovò caratterizzato da un'opposizione unilaterale, in quel momento composita e frammentata ma comunque interamente collocata alla sinistra delle forze di governo. il voto legislativo confermava, e cristallizzava in termini parlamentari, il consenso popolare ottenuto da de Gaulle nella consultazione referendaria sull'introduzione dell'elezione diretta del Capo dello Stato22. Il risultato referenda-

rio, il cui esito convinse il Generale a sciogliere l'Assemblea Nazionale e a indire elezioni anticipate, ebbe, al pari del «governo maggioritario» uscito dal voto legislativo, un'importanza decisiva per la prassi istituzionale della Quinta Repubblica, incorporandovi la presidenzializzazione del regime.

La presidenza elettiva venne pensata dai suoi promotori e fu percepita dall'opinione pubblica come sostanzialmente antagonistica rispetto al sistema partitico. Con l'iniziativa referendaria, de Gaulle, ormai risolta la questione algerina, intendeva chiudere il contenzioso che ancora io opponeva ai partis de jadis e scongiurare un possibile ritorno ai precedente «regime dei partiti» 23 .

Questo originario orientamento antipartitico non impedì peraltro alla riforma presidenziale di favorire nei corso degli anni Sessanta e Settanta una profonda ristrutturazione del sistema partitico24 e di costituire uno degli ingredienti principali della (resistibile) ascesa dei partiti rinnovati che ne sarebbero diventati i protagonisti.

Tutto ciò segnala la doppia consultazione del 1962 come momento conclusivo della fase di instaurazione della Quinta Repubblica e come punto di riferimento obbligato di qualsiasi riflessione sui fenomeno partitico francese.

In primo luogo è da quel momento che viene a stabilirsi uno stretto nesso tra presidenzializzazione e «mutazione maggioritaria». Smessi i panni «arbitrali» della transizione e abbandonata la ricerca di un consenso tendenzialmente

unanimistico, che nel disegno politico originario dovevano qualificarlo come figura collocata «al di sopra dei partiti», il Presidente diventava infatti leader ed espressione di una maggioranza (la maggioranza presidenziale, (.<annunciatax') nel 1962 dalla maggioranza popolare referendaria), cui doveva affiancare una coerente majorité parlamentare che io sostenesse nei sette anni del suo mandato e gli consentisse il pieno esercizio delle sue prerogative. Il Capo dello Stato e i candidati alla presidenza diventavano in tal modo fulcro ed elemento unificante di alleanze partitiche capaci di esprimere o di prefigurare quella duplice aggregazione maggioritaria. E la competizione presidenziale (regolata da un sistema elettorale maggioritario a due turni, con turno di bailottaggio limitato ai due candidati meglio piazzati) veniva a sua volta a qualificarsi come un potente incentivo alla ristrutturazione bipolare del sistema partitico.

In secondo luogo la logica binaria dell'elezione presidenziale («anticipata» dal referendum del 1962) si armonizzava pienamente con le proprietà del sistema maggioritario a doppio turno utilizzato per l'elezione dell'Assemblea Nazionale 25 . Una volta costituitosi il poio dominante gollista, la nuova legge elettorale dispiegò effetti fortemente selettivi e un impatto di tipo bipolare, a dispetto delle intenzioni dei costituenti26. Ne scaturì una contrazione dell'offerta elettorale e, soprattutto, una progressiva semplificazione del turno di baliottaggio, caratterizzato, già a parti23

re dalle legislative del 1967, da una prevalenza di «duelli» anziché di competizioni a tre o più candidati (si veda la Tab.2).

A partire dal 1962, dunque, un nuovo dato politico (la supremazia gollista all'Assemblea) e la sua configurazione istituzionale (presidenza elettiva, sistema maggioritario a doppio turno) incalzano il mukipartitismo estremo ereditato dalla Quarta Repubblica e imprimono una svolta alla logica e alla direzione della competizione elettorale, spingendo i partiti a rinnovarsi e il sistema partitico a ridisegnarsi.

L'esistenza di una supremazia gollista all'Assemblea e la necessità per de Gaulle di essere il capo di una maggioranza - necessità manifestatasi in tutta evidenza alle elezioni presidenziali del 1965 in cui il Generale è costretto al ballottaggio dal candidato unico delle sinistre Franois Mitterrand - congiurano alla nascita di un partito gollista, primo partito politico organizzato sul versante moderato dello spettro politico francese. L'UDR Si presenta come «strumento secolare del gollismo» 27 pronto a difendere sul campo le politiche della maggioranza presidenziale e le nuove istituzioni, apparato servente del presidente e del suo più ristretto entourage e sostanzialmente privo di autonomia d'azione. Nella misura in cui l'«elettorato personale» del Generale appare in graduale declino (62% di voti favorevoli al referendum del 1962, 44% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali del 1965) e il «gollismo 24

partitico)), invece, in graduale ascesa (36% dei voti al primo turno delle elezioni legislative del 1962, 38% nel 1967 e 46% nel 1968), il partito gollista viene a precisare e a rafforzare il proprio profilo. Al Congresso di Lille del 1967 l'UDR si dà un proprio Statuto e un apparato centrale meno evanescente, si dimostra capace di assolvere a un ruolo di mobilitazione del consenso e riesce a imporre una selezione centralizzata delle candidature. Se il partito gollista resta incapace di radicamento in sede locale28, dove si misura l'incompatibilità fra il potere tradizionale rappresentato dai notabili e il potere carismatico rappresentato da de Gaulle, riesce con successo nell'oggettivazione del carisma29. Mette capo così a un'organizzazione fortemente centralizzata, coesa e disciplinata, il cui baricentro risiede nella stretta connessione fra organi direttivi del gruppo parlamentare e personale governativo 30 .

Più complesso e laborioso si presenta l'adattamento alle nuove condizioni ambientali del fronte partitico antigollista. Strutturalmente inadeguati ad acquisire in proprio quella «vocazione maggioritaria» necessaria per poter contrastare la supremazia gollista e richiesta dalle nuove regole del gioco, nessuno dei vieux partis, ad eccezione del PCF, riuscì a sopravvivere, in quanto tale, al mutamento di regime. Entro lo schieramento antigollista ebbe così inizio un processo di adattamento e apprendimento istituzionale, caratterizzato dalla selezione di nuove strategie

competitive, da un rinnovamento anche generazionale di élites interne, da numerosi tentativi (mancati o riusciti) di dar vita a raggruppamenti politici e aggregazioni elettorali nuovi. Nell'arco di un decennio lo schieramento antigollista perse la precedente connotazione di opposizione al regime per assumere i tratti dell'opposizione nel regime: al conflitto sulle istituzioni subentrava il confronto sui contenuti dell'azione presidenziale e di governo e sulla strategia delle alleanze.

Così come l'affermazione dell'UDR Si realizzò malgrado l'avversione del gollismo storico verso i partiti, altrettanto singolarmente la ristrutturazione dello schieramento partitico antigollista si realizzò per impulso di una contestazione esterna del tradizionale ruolo dei partiti. Si deve ricordare in proposito soprattutto il fenomeno dei club, circoli e associazioni politico-culturali sorti in polemica con partiti ritenuti ormai del tutto incapaci di attrarre leforces vives de la nation e di promuovere un'alternativa progressista al gollismo 31 . Dichiarata la loro piena adesione alle istituzioni della Quinta Repubblica, essi si diedero a costruire una candidatura presidenziale in grado di sfidare de Gaulle. Il punto è importante, da un lato, perché i candidati antigollisti alla presidenza ebbero effettivamente, a partire dalla metà degli anni Sessanta, un ruolo trainante nel processo di rinnovamento partitico e, dall'altro, in quanto il fenomeno della progressiva presidenzializzazione dei partiti francesi

ne definisce un nuovo e cruciale aspetto caratterizzante.

Stante la riluttanza dei partiti tradizionali, ancora fiduciosi in un rapido ritorno al regime parlamentare una volta conclusasi la «parentesi» gollista, ad accettare la centralità dell'elezione presidenziale, tali candidature emersero negli anni Sessanta per lo più all'esterno agli apparati partitici. Fu così sia per Gaston Defferre, il cui tentativo fallì però proprio di fronte alle resistenze di quegli apparati, che per Franois Mitterrand e Jean Lecanuet, la cui partecipazione alle elezioni presidenziali del 1965 ne legittimò il ruolo di personalità politiche di rilievo nazionale presso un'opinione ormai largamente guadagnata al presidenzialismo. Sulla scia di quell'investitura, Mitterrand e Lecanuet riuscirono a imporsi, pur se con diversa fortuna, come punto di riferimento per il raggruppamento e la riorganizzazione delle forze che si collocavano fra gollisti e comunisti: il primo promosse, con successo, una strategia di federazione della sinistra non comunista e di raccordo elettorale e programmatico di essa col PCF, e per questa via catalizzò dall'esterno il rinnovamento del socialismQ francese e la formazione del Ps; il secondo percorse invece la strada, rivelatasi ben presto un vicolo cieco, dell'unificazione e del rilancio dell'opposizione di centro.

Questa caratterizzazione dei candidati presidenziali come personalità esterne se non indipendenti dai partiti cessò negli anni Settanta e Ottanta, in cui la p025

sizione di candidato presidenziale ha teso ad associarsi a quella di leader di partito. I principali leader politici - Mitterrand, Chirac e Giscard d'Estaing devono però più la leadership partitica alla candidatura presidenziale che non viceversa. Poter disporre di un leader che fosse un credibile candidato alla presidenza diventa infatti, dopo la fase del riallineamento, condizione necessaria al successo di un partito; le forze che se ne trovarono prive finirono per ciò stesso con l'essere condannate a una posizione di secondo piano in ogni alleanza. E quanto accadde al PCF - la cui collocazione spaziale rendeva assai improbabile e comunque votata alla sconfitta la partecipazione di un proprio candidato al ballottaggio presidenziale - all'interno dello schieramento di sinistra.

Il PCF, unico partito capace, per il suo elevato grado di istituzionalizzazione 32 e per l'autonomia ambientale ad esso connessa, di superare indenne o quasi la traumatica fase della transizione di regime, rimase in larga parte estraneo a tali sviluppi. In tutta la fase di riallineamento, in cui la vita politica francese, considerata l'inconsistenza dei vieux partis, si riduceva, secondo la nota espressione di Malraux, all'alternativa fra gollismo e comunismo, il PCF Si presentava come la forza politica più vicino al modello del partito di massa. Il partito conservava un ampio seguito militante e un apparato assai consistente 33 , e solidi legami subculturali con la sua base sociale ed elettorale attraverso una fitta rete di

organismi collaterali da esso strettamente controllati (fra cui la Confederation Générale du Travail e le molte associazioni: giovanili, femminili, studentesche, sportive e per il tempo libero), configurandosi, anche per i suoi stretti legami con l'Unione sovietica, come una sorta di «contro-società» 34 .

Gli accordi elettorali conclusi con la SF10 - che consentirono al PCF di contenere in parte la sottorappresentanza cui lo condannava la nuova legge elettorale maggioritaria (e il ritaglio dei collegi effettuato nel 1958) - e la partecipazione dal 1972 al patto di Unione delle sinistre assieme al Ps e al Movimento dei radicali di sinistra (MRG) favorirono una maggiore integrazione del PCF nella vita politica nazionale, ma anche l'erosione del suo modello di partito. Il partito continuò ad assicurare prevalentemente una fonction tribunicienne, di organizzazione e canalizzazione della protesta36, ma la partecipazione organica a un'alleanza elettorale e i vincoli della politica presidenziale (che spinsero il partito a chiedere ai propri sostenitori di appoggiare Mitterrand, nel 1965 e nel 1974 fin dal primo turno, nel 1981 al ballottaggio) contribuirono a generare una spirale di decadenza elettorale e organizzativa che nel giro di dieci anni si sarebbe rivelata dirompente.

La presidenzializzazione dei partiti francesi e la crescente importanza della loro funzione elettorale indicano una direzione cruciale del processo di rinnovamento partitico degli anni Sessan-

ta. Sollecitata dalla rinnovata importanza del fatto elettorale connessa al passaggio dalle «elezioni di rappresentanza» della Quarta Repubblica alle «elezioni di designazione» della Quinta Repubblica37, questa vocazione elettoralistica definiva anche il principale ambito di rilevanza funzionale dei partiti nel sistema politico, benché la strutturazione partitica del voto non fosse ancora completa38 .

Su altri piani, in particolare nei processi decisionali, l'influenza partitica resta infatti assai ridotta. La marginalizzazione del ruolo del parlamento rispettò all'esecutivo, la regola dell'incompatibilità tra carica ministeriale e ufficio parlamentare, l'autonomia dell'quipe presidenziale 39 hanno favorito un reclutamento non partitico del personale di governo il cui reclutamento, soprattutto in una fase iniziale ma anche in seguito, risente assai poco dellafihière partitica tradizionale e insiste invece sui vertici della pubblica amministrazione e sul vivaio delle grandes écoles40. La politicizzazione dei ministri-funzionari del primo gollismo, la crescente penetrazione gollista nell'apparato statale (industria pubblica, enti bancari e assicurativi, mezzi di comunicazione radiotelevisivi), l'impiego di espressioni come Etat-UDR o Etat-Giscard indicano non tanto fenomeni di «occupazione» partitica dello Stato quanto piuttosto la partecipazione, in via subordinata, dell'UDR e della FNRI al sistema delle spoglie.

LA TESI DELLA «RINASCITA» DEI PARTITI FRANCESI E I SUOI LIMITI Esauritosi il periodo di riallineamento, caratterizzato, dall'affermazione del gollismo come fait maforitaire e da un processo di apprendimento istituzionale e selezione di nuove strategie connesso al mutamento di regime, il sistema partitico francese assume una nuova e stabile configurazione e una strutturazione senza precedenti. Per tutti gli anni Settanta e fino, alla metà degli anni Ottanta si fonda sul confronto fra un disciplinato schieramento governativo e un'opposizione altrettanto coesa orientata a proporsi 'come affidabile alternativa al governo in carica. I due schieramenti antagonisti si compongono ciascuno di una coppia di partiti (gollisti e giscardiani a destra; socialisti e comunisti a sinistra) i quali, in grado diverso, si sono ormai adattati alla nuova struttura delle opportunità politiche (definita dalla nuova forma di governo e in particolare dalla presidenza elettiva) e dalla nuova struttura della competizione elettorale (il maggioritario uninominale a doppio turno, reso vieppiù selettivo' e costrittivo da una severa soglia di ammissione al turno di ballottaggio41).

Dinamica presidenziale e sistema elettorale, che nel periodo del riallineamento avevano avuto l'effetto - lo si già visto - di rendere visibile e amplificare la dissonanza esistente fra elettorato di massa e élites politiche rispetto alla figura di de Gaulle e al nuovo regi-

27

me, nella fase successiva esercitano un'influenza di altro tipo 42 . Più specificamente, ridottosi il livello di frammentazione partitica e affermatasi un ben definita contrapposizione bipolare fra destra e sinistra, il meccanismo elettorale tende a favorire il partito più moderato di schieramento (i socialisti a sinistra, i liberali a destra) e a premiare la coerenza interna di blocco (intesa come affinità ideologica dell'elettorato dei partiti che ne fanno parte) quando lo scarto fra le due alleanze si riduce a poca cosa.

Alle elezioni legislative del 1978 ne scaturì una quadrille bipolaire perfettamente simmetrica: i quattro partiti raggiunsero al primo turno un livello di consensi equivalente, con una leggera prevalenza del blocco di sinistra; dopo il turno di ballottaggio la destra si trovò maggioritaria all'Assemblea. A ben guardare tali simmetrie erano però più apparenti che reali. Anzitutto il dualismo fra i blocchi alimentava anche una contrapposizione all'interno dei blocchi fra i frères-ennemis di schieramento (nel 1978, ad esempio, neogollisti e comunisti si presentarono all'elettorato su posizioni assai più critiche verso i rispettivi alleati che non verso i loro avversari). Favorendo come si è appena detto i partiti moderati di schieramento - più vicini all'elettorato privo di una forte identificazione e collocato in posizione centrale di solito decisivo nel turno di ballottaggio -, lo stesso meccanismo elettorale che aveva cementato la coesione dei due schieramenti contrap28

posti poneva, al tempo stesso, le condizioni della loro conflittualità interna 43 Inoltre, mentre tra Riu e UDF correvano differenze di ordine tattico o di personalità, tra Ps e PCF le distanze erano soprattutto di carattere ideologico. Al due «blocchi» elettorali coriispondevano, pertanto, tre «poli» ideologici, uno dei quali, quello comunista, interessato più a non perdere il monopolio della protesta e il controllo egemonico sulla propria classe gardée che ad accettare i vincoli istituzionali di tipo centripeto in vista dell'esercizio del governo.

La configurazione a due blocchi e quattro partiti costituì tuttavia una sorta di (fragile) sostituto del bipartitismo e pose le premesse per l'alternanza del 1981.

Il definirsi di una credibile possibilità di alternanza (più che il suo effettivo realizzarsi) e il fatto che essa si fondasse sulla frattura destra/sinistra, di cui i partiti francesi si sono dimostrati interpreti assai efficaci, furono fra i fattori principali della ripresa del fenomeno partitico che dagli anni Settanta si protrae ai primi anni Ottanta.

Nello schieramento partitico di governo questi sviluppi modificarono il profilo del partito gollista e favorirono una (assai debole) aggregazione partitica dell'area liberale.

Il partito gollista perse negli anni Settanta la sua connotazione di partito a vocazione maggioritaria. Pur continuando a eleggere larga parte dei suoi deputati al primo turno44, diventò una componente di un blocco conservatore non privo di tensioni interne. A segui.

to dell'assimilazione di gruppi e formazioni del così detto centrismo d'opposizione (Progrès et Démocratie Moderne di Jacques Duhamel nel 1968-69; i centristi cattolici di Lecanuet e i radicali di Jean-Jacques Servant-Schreiber nel 1973-74), la rrzajorité nata nel 1962 assunse una configurazione più pluralistica e conflittuale, entro la quale il peso specifico del gollismo, inevitabilmente, si trovava diminuito. D'altro canto l'UDR, col passaggio da de Gaulle a Pompidou, perse buona parte del proprio elettorato popolare e la capacità di esercitare un ampio appello interclassista - elemento questo che aveva costituito l'originalità e la forza del gollismo sotto de Gaulle - ritrovandosi così con una base elettorale non solo più ristretta ma anche socialmente più conservatrice.

Involontario protagonista della modernizzazione politica del paese - sottoprodotto largamente imprevisto degli scopi di modernizzazione economica e di riforma dei processi decisionali da esso assunti invece in modo pienamente consapevole - il gollismo sembrò così essere vittima del proprio successo ed esaurire in tali sviluppi la propria missione politica. Lo sbandamento interno e le lotte di fazione seguite alla morte di George Pompidou45 e il crescente attivismo della componente giscardiana della majorité favorirono un complessivo indebolimento della posizione dell'UDR che nelle legislative del 1973 si trovò .per la prima volta minoritaria sul totale dei voti della destra e del centro.

Alle presidenziali del 1974 l'unità del movimento venne messa a dura prova: Jacques Chirac tradisce il candidato ufficiale gollista (Jacques Chaban-Delmas), appoggiando sin dal primo turno Giscard d'Estaing. Oltre all'Eliseo, nel giro di due anni anche la premiership di governo sfugge ai gollisti (passando dallo stesso Chirac a Barre), e I'Etat-UDR subisce un progressivo smantellamento. Per una forza nata «al governo» come partito delle istituzioni e che per lungo tempo aveva mantenuto il coni trollo delle principali cariche politiche del regime la sfida non poteva essere più dirompente.

La risposta del movimento a questi mutamenti ambientali fu un processo di rinnovamento, al termine del quale avrebbe assunto una fisionomia difficilmente riconducibile a quella delle precedenti sigle golliste 46. Il passaggio dall'UDR al RPR seguì linee presidenziali, di rafforzamento e personalizzazione della leadership, e di conseguente centralizzazione del circuito decisionale interno. Non potendo affidarsi come per il passato a risorse di tipo istituzionale, il neo-gollismo fece maggiore ricorso a risorse organizzative. La nascita del RPR comportò ad esempio un ampio rinnovamento, anche generazionale, dei quadri politici interni, a seguito della nomina di nuovi segretari in tutte le federazioni dipartimentali e dell'ampio turnover delle candidature alle elezioni del 1978, e coincise con una maggiore strutturazione organizzativa del partito a livello locale (nel tessuto 29

della France profonde) che sempre aveva fatto difetto al gollismo storico. Possono interpretarsi in tal senso anche il rilancio del militantismo, un ricorso costante al «radicalismo verbale», l'impulso dato al reclutamento di nuovi aderenti48 .

Verso l'esterno questo rinnovamento comportò una costante affermazione dell'identità e dell'autonomia del movimento all'interno della maggioranza di governo49 e, sul piano elettorale, una sfida aperta alle componenti non golliste della maggioranza. Al primo turno delle legislative del 1978 il partito neogollista presentò candidature autonome in tutte le circoscrizioni, iniziativa che, adottata a fini di mobilitazione interna, accresceva la competizione nello schieramento governativo e rompeva la prassi delle candidature unitarie, trasformando il primo turno in una sorta di elezione primaria all'interno del blocco conservatore.

All'inizio degli anni Ottanta il partito neo-gollista presentava così un bilancio in chiaroscuro. Chirac era riuscito a costruire una macchina elettorale disciplinata, centralizzata ed efficiente e un partito ben strutturato (su scala nazionale). Anche per questo suo stesso monolitismo, e per l'incapacità di presentare candidati rassembleurs, il RPR fallì però la conquista dell'Eliseo, suo obiettivo di fondo (Chirac fu eliminato al primo turno nel 1981 e sconfitto nel 1988 al turno di ballottaggio da Mitterrand).

In risposta all'attivismo neo-gollista e III]

all'innalzamento della soglia di voti necessaria a un candidato per l'ammissione al secondo turno, adottata da Giscard proprio a fini aggregativi, le componenti non golliste della maggioranza di governo - quella liberale giscardiana, quella centrista democratico-sociale di matrice cattolica, quella radicale - si riunirono nell'UDF, formazione nata a pochi mesi del voto legislativo del 1978 secondo una logica di difesa delle spoglie all'interno della majorité e di capitalizzazione della «dinamica presidenziale». L'UDF non è mai giunta a sviluppare rispetto alle sue singole componenti50 un'autorità e una capacità decisionale autonome e si è trovata spesso paralizzata dal gioco incrociato delle influenze locali e delle trattative nazionale. Vera e propria confederazione di partiti, sospesa tra le tendenze centrifughe (il patriottismo delle sue componenti, tutte ben decise a preservare la loro indipendenza, tanto più in quanto sorrette da identità e tradizioni ideologiche diverse) e il riflesso centripeto della sopravvivenza elettorale, l'Ui» Si è tuttavia dimostrata capace di durata.

Alle risorse di un ceto politico come quello giscardiano reclutato prevalentemente nell'alta funzione pubblica e nel mondo degli affari 51 , l'Ui» affiancava il variegato insediamento locale delle sue singole componenti e il seguito clientelare dei loro maggiorenti. E se questo retroterra politico-elettorale spesso moderato e tradizionalista non mancò di ostacolare e frenare gli slanci riformisti della «presidenza liberale» 52 contribuì

in maniera decisiva a fissare nel panorama partitico francese un nuovo poio aggregativo, organizzativamente inconsistente ma politicamente solido.

Ancor più rilevanti, negli anni Settanta, furono le trasformazioni nello schieramento dell'opposizione di sinistra.

La più rilevante fu la riorganizzazione (Congresso di Epinay del 1971) e il rilancio politico del socialismo francese.

Nell'arco di un decennio passò dal 5% (candidatura Dafferre alle presidenziali del 1969) alla conquista della presidenza della repubblica e della maggioranza assoluta dei seggi all'Assemblea Nazionale53 . Questo balzo si fondava su più fattori, riconducibili soprattutto a un consapevole adeguamento del nuovo Parti socialiste alla logica politico-istituzionale del regime e all'azione tattica e strategica di Mitterrand 54. Pur essendo stato un campione del centrismo istituzionale durante la Quarta Repubblica55, Mitterrand fu il primo politico della sinistra francese a riconoscere e accettare le implicazioni della politica presidenziale e della bipolarizzazione elettorale. Dapprima con la sua candidatura alle presidenziali del 1965 e con la creazione della FGDS fra il 1965 e il 1968 56 ; poi con la cattura della leadership del nuovo Ps nel 1971, la negoziazione di un accordo programmatico col PCF nel 1972 e l'incorporazione progressiva di tutti gli elementi della sinistra non comunista nel suo nuovo partito57, egli diventò il principale artefice e il simbolo della Unione delle sinistre.

Attorno a questo asse strategico il Ps

sviluppò un'identità politica non priva di ambiguità in cui l'orientamento ideologico-programmatico non revisionista e radicale 58 conviveva con una ben definita vocazione al governo.

Questo mix, che avrebbe trovato soluzione nella svolta moderata degli anni Ottanta, assicurò il rilancio del socialismo francese e la sua affermazione elettorale che, come era nelle prospettive della nuova leadership, avvenne sulla base di un riequilibrio del rapporto di forze all'interno della sinistra. Elezione dopo elezione il Ps accrebbe il proprio peso radicandosi ben al di là dei confini della tradizionale geografia elettorale della SF10, «nazionalizzando» la propria influenza. Questa dinamica si avvantaggiò dei mutamenti sociologici in atto nella società francese (urbanizzazione, terziarizzazione, secolarizzazione) e della capacità del nuovo partito di esercitare un appello «pigliatutto». Più specificamente, i socialisti calamitarono il voto delle nuove classi medie, si trovarono costantemente sovrarappresentati nell'elettorato giovanile, si avvantaggiarono della diminuita correlazione tra condizione femminile, pratica religiosa e preferenza elettorale per la destra 59 Alla rinascita elettorale si accompagnò un rilancio organizzativo, modesto su scala comparata ma nient'affatto trascurabile se inquadrato nel contesto francese, che invertì il processo di decadimento organizzativo della SF10 negli anni Sessanta. Il Ps attrasse nuovi militanti60 istituì nei luoghi di produzione proprie Sections d'entreprise61 , rinnovò i .

,

31

quadri dirigenti rivitalizzando le fede- di ballottaggio di un riporto dei voti di razioni locali. Sul piano dell'articola- gran lunga più favorevole rispetto ai zione interna, il nuovo partito presen- candidati comunisti 64. In secondo luotava un elevato grado di frazionalismo, go, le necessità tattiche della strategia come in precedenza la SF10. Tutelata unitaria (le sempre più frequenti indicadalle regole proporzionali previste dal- zioni di voto per i candidati socialisti al lo statuto per la formazione degli orga- secondo turno; la rinuncia a presentare ni esecutivi interni a tutti i livelli, la di- un candidato proprio alle presidenziali visione in correnti stabilizzò la centra- del 1974) indussero parte dell'elettorato liti arbitrale del raggruppamento mit- comunista a votare «utile» (cioè socialiterrandiano e consentì al Ps di conse- sta) sin dal primo turno, il che determiguire con successo una doppia direttri- nò un trasferimento di lealtà dal partito ce espansiva, l'area di centro e quella di all'Unione delle sinistre, sempre più sinistra, configurandosi come ottimo rappresentata dal Ps. In altri termini, il competitore di secondo turno 62 .

PCF pagò una maggiore integrazione L'affermazione socialista determinò, lo nel sistema politico nazionale (partecisi è già ricordato, un rovesciamento dei pazione alle alleanze, accettazione delle rapporti di forze nella sinistra francese nuove regole istituzionali) con una proe un ridimensionamento del partito co- gressiva decadenza elettorale. Questo munista. Il PcF godeva ancora nei primi processo dapprima comportò per il anni Settanta di un'indiscussa suprema- partito una scelta fra l'isolamento polizia nello schieramento di sinistra. Riu- tico e lo status di partner minore (e scì a imporre le linee di fondo del Pro- sempre meno rilevante) del blocco di sigramma unitario nel 1972, nell'illusio- nistra; più tardi, nel corso degli anni ne di poter subordinare per questa via Ottanta, si tradusse in una crescente l'allora debole partner socialista, attri- marginalizzazione politica e in un debuendo alla strategia di Unione delle si- clino organizzativo65. Il partito perse il nistre obiettivi di carattere legittiman- suo carattere di forza nazionale, conte, come anche le misure di (<rinnova- quistato nel 1936 e consolidato dopo la mento» (eurocomunista) adottate in Liberazione, e tornò ad assumere, coquella fase sembrarono dimostrare 63 . me ai suoi inizi, un radicamento terriLa dinamica unitaria si rivelò però, alla torialmente e socialmente assai delimiprova dei fatti, tutt'altro che vantaggio- tato. sa per il partito comunista. Se gli accor- Questo excursus sui singoli protagonidi di désistement consentirono al PCF di sti della quadrille bipolaire degli anni ridurre la sua cronica sottorappresenta- Settanta avvalora la tesi della «rinascizione all'Assemblea Nazionale, il Ps ne ta» dei partiti politici, formulata dalla ricavò vantaggi ben superiori, poiche' i letteratura degli anni Ottanta 66 . candidati socialisti godevano nel turno La nascita del R1R e la creazione della 32

(organizzativamente assai malcerta) UDF definisce, per la prima volta nella Francia moderna, una compiuta partitizzazione dello schieramento moderato. La formazione del RPR e del Ps, partiti senz'altro deboli su scala comparata ma strutturalmente assai più solidi rispetto ai loro immediati predecessori, segna inoltre l'affermazione, accanto al PCF, di due nuove formazioni tendenti al modello del partito di massa.

Nel periodo considerato, in terzo luogo, si registra un aumento della disciplina e della coesione partitica, tanto nell'arena parlamentare quanto nell'arena elettorale (selezione delle candidature; strategia delle alleanze) 67. Questi assetti e comportamenti, in quarto luogo, tendono a nazionalizzarsi e a trasferirsi in ambito locale. Quest'ultimo passaggio rappresentò il risultato di una crescente permeabilità dei sistemi politici locali alle evoluzioni del sistema politico nazionale, determinata dal moltiplicarsi delle consultazioni nazionali (referendum e elezioni presidenziali), dall'adozione anche in sede locale di norme elettorali fortemente selettive 68 , dall'uniformarsi delle strategie partitiche ai vari livelli elettorali (presidenziale, legislativo, municipale). Ne scaturì una riduzione delle differenze tradizionalmente riscontrabili tra elezioni locali e nazionali, un diminuito scarto tra zone di forza e zone di debolezza elettorale dei diversi partiti e quindi una nazionalizzazione del loro seguito elettorale, la trasformazione del voto locale in enjeux politico nazionale e in un test di legitti-

mità per il governo in carica. Più specificamente, nelle elezioni municipali, àmbito in cui le dinamiche competitive e le alleanze partitiche tipiche della Quarta Repubblica sopravvivevano quasi inalterate ancora nella tornata del 1971, si registra nel 197769 una considerevole crescita dei confronti destra/sinistra. Ed anche le elezioni cantonali, pur mantenendo la loro connotazione di elezioni di notabili, assunsero un più definito profilo partitico e diventarono maggiormente competitive, con un aumento del numero dei candidati per seggio e la necessità di un maggior ricorso al turno di ballottaggio.

Occorre infine tener presente, come ulteriore indicatore della rinascita partitica, la crescita della partecipazione elettorale, giunta per due volte nel corso degli anni Settanta ai livelli massimi dal 1945 in avanti (87,9% al secondo turno delle presidenziali del 1974; 84,9% al secondo turno delle legislative del 1978).

In ambedue i casi si trattava di elezioni percepite dagli elettori come decisive, anche perché strutturate, secondo linee partitiche, su uno scontro fra destra e sinistra il cui oggetto, nella tematizzazione e drammatizzazione nel «discorso» radicale tenuto dagli attori, era non solo il governo del paese ma una vera e propria «scelta di società».

L'insieme di queste dimensioni, che comprova l'ipotesi di un recupero di forza e legittimazione dei partiti francesi, non sembra tuttavia giustificare la pretesa trasformazione della Quinta Repubblica in un sistema di party go33

vernment70, ma semmai una (momentanea) rivitalizzazione senza rafforzamento del loro ruolo nel sistema.

La loro rinnovata influenza sulla strutturazione del voto (legislativo e anche municipale), ad esempio, si configura come una funzione di raccolta e di sostegno delle maggioranze presidenziali.

Rispetto al circuito presidenziale in quanto tale, il ruolo dell'organizzazione partitica resta però marginale, sia nella fase di selezione delle candidature che durante la campagna elettorale, i cui temi, immagine e finanziamenti sono prerogativa di équipes autonome dai partiti, collegate ai singoli candidati alla presidenza71 .

Ma è soprattutto sul piano del reclutamento del personale politico di governo e dei processi di policy making che si misura la persistente debolezza funzionale dei partiti francesi.

E vero che durante il settennato giscardiano alcune novità sembrano indicare una più forte presenza istituzionale dei partiti72 . Si trattava però di novità connesse, ancora una volta, a sviluppi istituzionali e soprattutto alla nuova configurazione della majorité presidenziale che, dopo l'elezione di Giscard, revocava (in via provvisoria) la simbiotica relazione che aveva legato fino a quel momento Presidente, primo ministro e partito dominante all'Assemblea a causa della posizione minoritaria del Presidente all'interno della sua maggioranza parlamentare.

Più significativo come riprova del mancato decollo funzionale dei partiti fran34

cesi è il passaggio successivo: l'alternanza del 1981 e la conquista del governo da parte di uno schieramento tradizionalmente partitizzato. Le premesse sembravano propizie ad un rafforzamento del ruolo di partiti che, dal canto loro, non nascondevano (malriposte) ambizioni al party government. Per la prima volta dal 1958 ad essere eletto alla presidenza è un candidato ufficialmente investito da un partito politico; la distribuzione degli incarichi ministeriali del secondo governo Mauroy (1981-1983) segue criteri strettamente partitici (negoziato fra Ps e PCF sull'ingresso di ministri comunisti nel governo; confronto all'interno del Ps per la distribuzione degli incarichi fra le varie correnti interne); nella primissima fase del nuovo settennato Mitterrand tiene regolari incontri cui prendono parte, assieme al primo ministro e ad alcuni ministri, anche i vertici del gruppo parlamentare socialista e la leadership extraparlamentare socialista 73 . Il Ps gode in questa fase di un accesso diretto alla presidenza e assume una non trascurabile influenza pubblica attraverso la nomina di esponenti socialisti nei Cabinets ministeriali, ai vertici del settore economico pubblico, nelle istituzioni creditizie e finanziarie, in quello della comunicazione. Questa deriva «partitocratica» si esaurisce però con la svolta moderata del marzo 1983, vero e proprio turning point dell'esperienza di governo della sinistra francese negli anni Ottanta. L'inizio della stagione del «rigore» economico e finanziario segna un

ritorno a pratiche più presidenzialiste.

Il criterio della professionalità e della competenza recupera la sua precedente supremazia su quello dell'affiliazione politica; il Presidente si pone al di sopra del partito, chiudendo gli accessi inizialmente accordati; la selezione del personale politico con responsabilità di governo torna ad essere esclusiva prerogativa presidenziale. Con la scelta di Laurent Fabius, ad esempio, la regola non scritta secondo la quale al primo premier del settennato, figura politica di primo piano di solito partiticamente connotata, subentrano primi ministri dal profilo tecnocratico, politicamente leali al presidente, trova puntuale conferma (si veda la Tab.3).

Questa evoluzione è evidente anche sul piano del processo di policy making. Sia sul piano delle scelte di politica economica che in merito alle questioni a maggior contenuto ideologico e simbolico (ad esempio il progetto sulla riforma del servizio scolastico) il peso del partito si ridimensiona, misurando tutta la debolezza del parlamento francese nei confronti dell'esecutivo e, indirettamente, del Presidente.

Dono

L'ALTERNANZA: UN PAESAGGIO POLI-

TICO IN MOVIMENTO, DEI PARTITI IN TRANSIZIONE

In tutte le sue principali dimensioni dal numero dei partiti rilevanti all'evoluzione dei rapporti di forza elettorale, dalle interazioni competitive fra le sue

singole componenti al loro profilo ideologico-programmatico - il sistema partitico francese è attraversato negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta da mutamenti incessanti e significativi.

La vita politica francese dell'ultimo decennio si presenta, del resto, densa di paradossi e di situazioni senza precedenti. Brusche rotture ideologiche «socialista» nel 1981, «liberale» nel 1986, entrambe più annunciate in sede «retorica» che effettivamente realizzate - coincidono con una crisi di identità dei partiti che si prolunga in una crescente indifferenza e disillusione dell'opinione pubblica verso la politica e i partiti e in comportamenti elettorali conseguenti74 . Cas de figure istituzionali inediti (contrapposizione tra maggioranza presidenziale e prlamentare e, esperienza del «governo diviso» dal 1986 al 1988; elezione di una Assemblea priva di maggioranza nel 1988; nuova cohabitation dal marzo 1993), mutamenti delle regole elettorali, riforme dell'assetto dello stato (istituzione delle regioni e altre misure di decentramento politico-amministrativo) sono andati di pari passo con una tendenziale convergenza tra i principali partiti (Ps, RPR, UDF) e con un consenso crescente, non solo sulle istituzioni e sul regime ma anche sui contenuti delle politiche pubbliche75 , che ha fatto dichiarare superata l'xeccezionalità» francese 76 .

La permanena di Mitterrand all'Eliseo - presidente socialista («radicale» fino al 1983, «pragmatico» poi) dal 1981 al 1986; presidente «dimezzato», ma non 35

privo di poteri propri, durante la coha- gramma politico radicale e ad accreditabitation dal 1986 al 1988; presidente re al tempo stesso la sua nuova posiziodell'ouverture al momento della ride- ne di partito di governo. La duplice sfizione del 1988; di nuovo presidente in da si rivelò in breve insostenibile e, docoabitazione dal marzo 1993 77 - costi- po aver perseguito la rapida e quasi intuisce, di questo quadro, il denomina- tegrale realizzazione del proprio protore comune e il principale fattore di gramma79, il partito socialista adottò continuità. un atteggiamento pragmatico che si traSul piano partitico, l'«era Mitterrand» dusse in un'azione di governo più mopresenta cinque scansioni interne, cui derata e «modesta» 80. Questo processo corrispondono altrettanti tempi di una di de-radicalizzazione, rispetto al quale congiuntura in cui periodi di composi- la longevità governativa garantita dalle zione si alternarono a fasi di decompo- istituzioni della Quinta Repubblica, e sizioni e allineamenti elettorali a prima percepita inizialmente soprattutto covista solidi a subitanei capovolgimenti me «opportunità», esercitò, in quanto (Tab.4). «vincolo», una vera e propria funzione In una fase iniziale il principale impul- pedagogica, determinò la crisi dell'Uso al cambiamento del sistema partitico nione delle sinistre nata nel 1972 e il proviene dagli stessi partiti che ne fan- passaggio del PCF all'opposizione. no parte. L'alternanza e le dimensioni Componente marginale e subalterna del successo elettorale socialista del nei governi di coalizione Mauroy, cui 1981 esacerbarono infatti le tensioni già partecipò con quattro ministri, il PCF esistenti nei partiti e nelle alleanze, po- ha finito col trovarsi «stretto» tra una nendo i singoli attori di fronte a situa- lealtà ministeriale scomoda, che comzioni e problemi nuovi78 . Alla metà del portava il sostegno a una politica di ridecennio a queste tensioni e spinte di ti- gore economico, e la propria vocazione po endogeno si aggiunsero fattori ester- «tribunizia». La scelta del ritorno alni quali l'emergere di nuovi attori par- l'opposizione, tuttavia, non risollevò le titici, un mutato comportamento degli sorti del partito: paralisi politica e straelettori, una parziale ridefinizione dei tegica e destrutturazione organizzativa vincoli e opportunità di carattere istitu- ne ridussero ulteriormente la rilevanza zionale. sistemica e il peso elettorale (9% alle leA sinistra la prova del governo divaricò gislative del 1986 e del .1993, 7% alle le posizioni e gli obiettivi dei due parti- presidenziali del 1988)81. L'exit comuti della sinistra. «Partito dominante)> nista giovò invece ai socialisti. Grazie del sistema ad appena dieci anni dalla soprattutto al senso tattico di Mittersua costituzione e senza alcuna precerand, essi seppero recuperare, dal 1984 dente esperienza ministeriale, il Ps si in avanti, molti consensi perduti nel trovò impegnato a realizzare un pro- triennio precedente. Il presidente im36

pose lo stralcio dei temi più ideologici mo turno alle legislative del 1988 e del dall'agenda politica (ad esempio il già 1993, nel primo caso con la sigla di ricordato progetto sulla riforma del ser- Union du Rassemblement et du Centre, vizio scolastico), sostituì Pierre Mau- nel secondo con quella di Union Pour roy con un premier più consensuale e la France) che però non ha risolto i promoderato come Laurent Fabius, adottò blemi di convivenza fra le diverse comuna legge elettorale proporzionale per ponenti della «destra classica» 83 . Due le elezioni politiche del 1986. Riuscì a fattori, in particolare, hanno favorito le porre le premesse della propria rielezio- divisioni e indebolito nell'ultimo dene e a conservare al Ps, fino alle elezio- cennio lo schieramento moderato: gli ni del marzo 1993, le dimensioni di irrisolti problemi di leadership e di investitura presidenziale, da un lato, e le maggiore forza politica del paese.

L'alternanza del 1981 pose anche ai mutate condizioni competitive e la partiti dello schieramento moderato concorrenza di una rinata estrema deuna sfida affatto nuova, quella dell'op- stra, dall'altro. posizione. RPR e UDF vi sperimentaro- I problemi di leadership hanno condino, dopo un triennio di aspri conflitti zionato per tutto il decennio lo schiera(1978- 1981), il recupero di un orienta- mento moderato e sono destinati a rimento comune. Sul piano ideologico e proporsi in vista delle elezioni presiprogrammatico fu soprattutto il partito denziali del 1995. Dopo il 1981 ne fu di Chirac ad avvicinarsi all'UDF, adot- interessata soprattutto l'UDF. La scontando, soprattutto sul piano economico fitta presidenziale di Giscard privò l'u(elogio del mercato e adesione al mood nione di una guida incontestata e favorì neo-liberale) ma anche in politica estera il manifestarsi di dinamiche centrifughe (moderato europeismo), posizioni in che interessarono principalmente la sua buona parte estranee alla tradizione componente cattolico-sociale. Il CDS, gollista82 . Al tempo stesso il RPR si af- rimasto nel 1986 ai margini della coabitazione (condotta invece da Chirac in fermò come ala marciante dell'opposizione anti-socialista e tese a imporre la sintonia con la componente repubblicapropria direzione sullo schieramento di na dell'Unione), costituì nel 1988 un centro-destra, opponendo alla debole gruppo parlamentare autonomo all'Asfederazione giscardiana il proprio dina- semblea (l'Union du Centre), adottò mismo organizzativo e la propria lea- una posizione di benevola attesa nei dership monocratica. Questi sviluppi si confronti del governo Rocard, presensono tradotti in una rinnovata solida- tò una propria lista alle elezioni eurorietà elettorale (lista unitaria alle elezio- pee del giugno 1989 (9,6% dei voti). ni europee del 1984 e in oltre la metà Occasione di conflitto furono, in sedelle circoscrizioni alle legislative del condo luogo, l'opportunità e le modali1986; candidature unitarie sin dal pri- tà della cobabitation col presidente so37

cialista, tematizzate con immediato ri- rale, in termini sistemici, l'imporsi del ferimento alle ambizioni presidenziali FN come nuova e principale demarcadei leader moderati (la guerre des chefs zione ideologica dello spazio politico che contrappose Chirac, sostenuto dal francese 85 e il suo sostituirsi al PCF quaRPR, Barre, emerso come speranza prele punto di riferimento simbolico nella sidenziale del CDS, e Giscard, sostenuto divisione destra/sinistra 86 prospettava dal suo Parti Republicain). Sul finire del alla destra moderata una situazione spedecennio, infine, la lotta per la leader- culare a quella del Ps negli anni Settanship segue anche linee di rinnovamento ta. Dalla metà degli anni Ottanta in generazionale. Dopo l'insuccesso presi- avanti, il FN diventa per i socialisti ciò denziale di Chirac nel 1988 i dirigenti che il partito comunista era stato per i promossi all'inizio del decennio (i golli- gollisti negli anni Sessanta e Settanta: sti Michel Noir, Alain Carignon, Phi- un «oggettivo» alleato sotto le spoglie lippe Sguin, il repubblicano Franois del più irriducibile e radicale avversario.

Leotard e i centristi Charles Millon e L'affermazione elettorale dell'estrema Dominique Baudis) si lanciano, in no- destra alla metà degli anni Ottanta dime del «rinnovamento», contro gli ((ap- pese anzitutto da un quadro competitiparati», senza nascondere le proprie vo estremamemte favorevole, (<perfeambizioni presidenziali. zionato» da Mitterrand e dal governo Al partiti moderati, come si è detto, si è socialista con l'adozione di un sistema posto nell'ultimo decennio anche un elettorale proporzionale nel 198587. Lo problema di mercato elettorale connes- svolgimento di una serie di elezioni loso al riemergere di un'estrema destra cali e di alcune legislative parziali nel elettorale. L'irruzione sulla scena elet- corso del 198388 e di un'elezione naziotorale del Front National84 ha sottratto nale sans enjeux e a scrutinio proporzioa RPR e UDF il monopolio della rappre- nalistico come le elezioni europee nel sentanza politica dell'area di centro e di 198489 favorì l'espressione e la cristaldestra e costituito un ulteriore elemen- lizzazione di un voto di protesta attorto di perturbazione dei rapporti tra le no ai candidati del Fronte nazionale. A componenti della «destra classica» (la consacrare definitivamehte il reinsediadivaricazione tra i centristi del CDS e i mento di una destra estrema nel sisteliberali del Parti Republicaine all'inter- ma politico francese furono però la sorno dell'UDF) e all'interno di esse (anche prendente conferma del risultato delle in senso verticale, con le organizzazio- europee (11% dei voti) alle elezioni leni centrali orientate in linea di massima gislative e regionali del 1986. Col 9,8% al rifiuto-isolamento nei confronti del- dei voti, il FN ottenne 35 seggi, livello l'estrema destra e le strutture periferisufficiente alla formazione di un grupche propense piuttosto al coinvolgi- po parlamentare autonomo e 137 consimento e alla cooptazione). Più in gene- glieri regionali, eletti in 11 consigli re38

gionali su 22 e il clamoroso risultato presidenziale di Le Pen nel 1988 (14,6% dei voti al primo turno).

Questi risultati dimostrarono la capacità di Le Pen e del FN di proporsi come l'interprete più autentico del disagio e delle paure della Francia urbana 9° e della crescente domanda di law and order che ne derivava e come difensore dell'identità culturale e razziale della Francia. Come in altri paesi europei in quello stesso arco di anni, ma con una visibilità maggiore che altrove91 , l'estrema destra francese politicizzò e impose nell'agenda nuove tematiche (l'immigrazione) esi fece portatrice di uno stile politico e di un linguaggio dirompenti rispetto agli equilibri e ai partiti tradizionali (stigmatizzati da Le Pen come «la banda dei quattro» 92). L'incapacità di questi ultimi di opporre al discours dell'estrema destra controargomenti efficaci e l'abilità di Le Pen di utilizzare gli spazi che, dopo i primi successi del FN, gli si aprirono nel sistema delle comunicazioni di massa contribuirono a legittimare la presenza del Fronte nazionale.

Tra il 1984 e il 1986 il FN riuscì a darsi un'organizzazione relativamente solida, compatta dietro al suo presidente, capace di presentare i propri candidati in tutti i tipi di consultazione e in larga parte del territorio nazionale. Con l'ingresso nell'arena parlamentare, inoltre, l'estrema destra diversificò la strategia politica. Accanto alla dimensione della protesta e del rifiuto (la denuncia del «binomio» Mitterrand-Chirac durante

la coabitazione; la dura opposizione al ripristino del sistema maggioritario a doppio turno che «spuntava» il voto per il FN, privandolo di buona parte della sua efficacia politica), il FN sviluppò la dimensione della rispettabilità e della moderazione, nel tentativo di integrarsi alla «destra classica» massimizzando la propria rilevanza coalizionale.

Questa opzione diede alcuni risultati concreti nella seconda metà degli anni Ottanta (ago della bilancia in cinque regioni dopo le elezioni del 1986, il FN ottenne in Linguadoca-Rossiglione e in Provenza-Alpi-Costa azzurra posizioni di governo; decisivo in alcuni collegi dopo il primo turno legislativo del 1988, concluse nove accordi di de'sistement con l'UcR), ma si rivelò poco remunerativa nei primi anni Novanta dopo l'adozione da parte del RPR e UDF di una linea di chiusura.

Oltre all'affermazione del FN, la seconda metà degli anni Ottanta ha visto anche il riemergere dei Verdi, presenti elettoralmente a livello locale (e presidenziale) già negli anni Settanta. Come nel caso del FN, la loro nuova visibilità fu favorita dalla proporzionale adottata per eleggere le assemblee regionali, i rappresentanti francesi al Parlamento di Strasburgo e, in parte , i consigli municipali. La loro più significativa affermazione fu proprio alle elezioni europee del giugno 1989, in cui conquistarono più del 10% dei voti e nove seggi.

Questo risultato, ottenuto da una lista comprendente sia i «realisti» di Brice Lalonde che i «fondamentalisti» di An39

toine Waechter ha indotto i verdi a correre da soli anche in scrutini di tipo maggioritario. Rifiutando di collocarsi sul continuum destra/sinistra, Géneration écologie ha deciso di lavorare alla costruzione di un autonomo «polo» ecologista, senza più concordare, come per il passato, accordi politici col Ps (Lalonde, candidato alla presidenza nel 1981, sostenne Mitterrand al secondo turno e assunse nel 1988 l'incarico di ministro dell'ambiente nel governo Rocard).

Queste dinamiche partitiche hanno ridisegnato lo spazio politico francese degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta. Il lineare modello della quadrille bipolaire, già incrinatosi nel 1981, si trovato soppiantato da un assetto a geometria variabile, mal definito nella sua configurazione e più opaco nelle sue dinamiche interne.

Alla metà degli anni Ottanta, il sistema partitico appare formato da «tre partiti e due metà» e fondato su due blocchi centrali di forza paritaria e in competizione per il governo (il Ps e l'alleanza RPR-UDF, che raccolgono per tutti gli anni Ottanta un livello di voti oscillante fra il 30 e il 40%), «puntellati» da due partiti periferici 93, entrambi al 10% dei voti, disposti a volte ad assecondarli e propensi in altre ad avversarli (il FN e il PCF) (si veda la Fig. 1).

A partire dal 1984, le nuove coordinate e dinamiche spaziali hanno sbilanciato le geometrie del sistema partitico della Quinta Repubblica, vanificando la sovrapposizione delle fratture governo/ 40

opposizione e destra/sinistra nel quadro di una competizione di tipo bipolare, la semplificazione del formato competitivo, l'uniformarsi delle strategie dei singoli partiti nei diversi livelli competitivi nel quadro di un processo di nazionalizzazione della vita politica locale.

Su questi sviluppi pesarono anzitutto sviluppi strettamente politici. Il ritorno a opposizioni bilaterali e il conseguente riemergere del centro, ad esempio, ha fatto seguito dapprima alla crisi dell'Unione delle sinistre e al passaggio del PCF all'opposizione (1984), poi, durante la prima coabitazione, al successo elettorale del FN e al suo ingresso all'Assemblea (1986-1988), infine, per tutta la legislatura 1988-1993, alla svolta neocentrista di Mitterrand e alla costituzione dei governi di minoranza Rocard, Cresson e Brgovoy.

Un'influenza decisiva su questi sviluppi hanno avuto poi, in secondo luogo, fattori di natura istituzionale e in particolare l'instabilità delle regole elettorali.

Nell'ultimo decennio il grado di coerenza complessiva dell'impianto maggioritario dell'ordinamento elettorale della Quinta Repubblica è sensibilmenté diminuito e ciò ha ridotto le pressioni coercitive del sistema elettorale sul sistema partitico (si veda la Tab.5).

Non si tratta tanto dell'elezione su base proporzionale dell'Assemblea nel 1986, cui ha fatto seguito l'immediato ripristino del sistema maggioritario uninominale a doppio turno deciso dal governo Chirac94 , quanto piuttosto delle mo-

difiche intervenute negli altri livelli.

Allo scrutinio proporzionale adottato da Giscard nel 1979 per le elezioni europee95 si sono aggiunte la (assai contenuta) dose di proporzionalità prevista per le consultazioni municipali (1983)96 e l'elezione su base proporzionale (a base dipartimentale e con soglia di rappresentanza del 5%) dei nuovi consigli, regionali.

Questo quadro ha incoraggiato i partiti a perseguire strategie di competizione diverse nei diversi livelli elettorali e non ha scoraggiato l'emergere di nuove forze. Se la contrainte majoritaire del ballottaggio presidenziale, legislativo e municipale ha sollecitato i partiti, come in passato, a «fabbricare» l'unione (e il dualismo destra/sinistra), la logica degli scrutini proporzionalistici (regionale o europeo) ha allentato tali vincoli e innescato meccanismi a carattere centrifugo. Ne è stata favorita una crescente sconnessione tra strategie elettorali e strategie parlamentari e di governo che, prima a sinistra (rottura politica dell'Unione delle sinistre, continuità degli accordi fra Ps e PCF in sede elettorale) poi a destra (tendenza dei centristi a recuperare un proprio autonomo' spazio parlamentare; episodici accordi elettorali fra destra moderata e destra estrema, contrapposizione parlamentare fra UDF-RPR e FN), ha riproposto pratiche da Terza Repubblica97 .

I modelli di competizione dei partiti francesi hanno iniziato a dipendere in tal modo dal calendario elettorale, che ne fissava condizioni e possibilità, in

un'altalena di scomposizioni e ricomposizioni. L'enfasi sul rassemblement di blocco a speranza maggioritaria (puntando la sinistra a mantenere nel 1989 le posizioni municipali acquisite in precedenza e la «grande destra» a non lasciarsi sfuggire nel 1986 come nel 1992 il controllo di alcun consiglio regionale) si alternava così a fasi in cui ciascun partito puntava invece soprattutto a differenziarsi dall'associato-rivale.

Il bipolarismo è stato rimesso in causa soprattutto in sede locale. Tanto nelle elezioni municipali del 1989 che nelle elezioni regionali del 1992 la specificità delle singole situazioni ha avuto la meglio sulla ventennale tendenza precedente alla nazionalizzazione della vita politica locale e quindi sull'attribuzione al voto di un significato politico generale. Nel caso delle municipali, il tentativo degli apparati partitici centrali di strutturare la contesa secondo l'abituale confronto bipolare, affermatosi già nelle elezioni del 1971 e generalizzatasi in quelle del 1977 e del 1983, ha trovato nel 1989 forti resistenze a livello periferico e comportato la dissidenza aperta di notabili locali in rotta coi rispettivi partiti98 . Il' riemergere del localismo e di un'offerta elettorale a carattere notabiliare e la presenza di nuove formazioni hanno modificato non solo il dispositivo delle candidature del primo turno, ma anche le condizioni del ballottaggio, il cui formato, soprattutto per l'affermazione e il mantenimento al secondo turno delle liste del FN e degli ecologisti, è stato prevalentemente 41

triangolare o quadrangolare anziché bipolare come nel 1977 e nel 1983.

Un terzo, decisivo fattore esplicativo del «movimento» del sistema politico è da ricercarsi infine nelle mutate condizioni dell'elettorato francese, importante indicatore delle attuali difficoltà dei partiti francesi.

Le disillusioni provocate dall'alternanza del 1981 e la successiva «banalizzazione» della stessa nozione di alternance, la persistenza di una crisi economica (acuta o strisciante) e di un elevato tasso di disoccupazione, la convergenza delle politiche e dei programmi dei principali partiti, l'emergere di nuovi enjeux politici legati alla immigrazione e una maggiore richiesta di law and orcler10 ° hanno lasciato tracce profonde nell'elettorato francese' 01 . Il riemergere del malaise politico ha definito i tratti di una nuova Francia elettorale, più instabile e volatile che nel recente passato, ma soprattutto di un '<nuovo» elettore, più sensibile all'offerta elettorale e all'espressione di un vote-sanction (contro Giscard nel 1981, contro i socialisti nel 1986, contro Chirac, almeno in parte, nel 1988, di nuovo, e con maggior forza, contro i socialisti nel 1993). L'elettorato francese appare nell'ultimo decennio meno chiaramente definibile in termini sociali e culturali - pur se gli anni Ottanta non mancano di registrare anche da questo punto di vista alcuni significativi cambiamenti quali lo spostamento a destra del voto giovanile, il venir meno della differenzialità del voto femminile, la comparsa di una 42

frattura fra settore pubblico e privato nell'universo delle nuove classi medie'°2 - e sempre più issue-oriented'03 Questo insieme di caratteristiche ha favorito un'elevata propensione alla mobilità, manifestatasi nell'ultimo decennio con una crescente differenziazione di comportamenti nei diversi tipi di elezioni, con l'altalenare dei rapporti di forza fra destra e sinistra, con l'irruzione sulla scena politica del Fronte Nazionale e con un'impennata del tasso d'astensionismo favorita anche da un calendario elettorale surinenagé (su alcuni di questi aspetti si veda la Tab.6).

Quali sono le prospettive dei partiti francesi all'orizzonte delle non lontane elezioni presidenziali del «dopo Mitterrand»?

Pur avendo conservato il grado di strutturazione politica ed elettorale conseguito negli anni Settanta, i partiti francesi sembrano aver perduto nell'ultimo decennio buona parte della loro capacità di rappresentanza 104 . Gli indicatori che in quel decennio avevano segnalato un recupero del fenomeno partitico in termini di credibilità e di legittimità sono mutati di segno. Aspetto di una più generale fenomenologia di «demoralizzazione economica e sociale», che non ha mancato di manifestarsi in sede elettorale ad esempio al referendum del settembre 1992 sulla ratifica del Trattato di Maastricht, la fiducia nella loro capacità di risolvere i problemi economici del paese appare in declino. L'identificazione partitica ne ha sofferto' 05 e i legami tra società politica e società civile sono diventati più evanescenti che in .

passato, anche a seguito degli scandali e dei fatti di corruzione di cui la classe politica si è resa protagonista' 06 .

D'altro canto, lo scenario politico appare più consensuale e meno ideologizzato che in passato' °7. Nuove demarcazioni sono intervenute a ridefinire lo spettro delle opinioni, ad esempio la distinzione tra un «elettorato di governo», largamente maggioritario e orientato verso i tre maggiori partiti (Ps, UDF, RPR), e un più marginale «elettoratò di contestazione», addensato sulle due ali estreme dello spettro partitico ostili al sistema (PCF e FN) 108 .

Di fronte a questi sviluppi, le tradizionali alleanze bipolari e lo stesso dualismo destra/sinistra sembra indicare ormai sempre più una forma d'espressione politica e sempre meno dei concreti contenuti politici. Cosa possa rimpiazzare tali alleanze non è affatto evidente.

Dopo il fallimento della ouverture caldeggiata da Mitterrand e da Rocard nel 1988-89, le elezioni del marzo 1993 hanno del resto riproposto uno scenario «classico»: FN e Verdi non sono riusciti ad entrare all'Assemblea, il centrodestra vi detiene invece una schiacciante maggioranza assoluta e l'indebolita sinistra vi compare tuttora «unitaria», legata com'è alla discipline républicaine grazie alla quale il PCF ha potuto eleggere oltre 30 deputati pur avendo ottenuto al primo turno meno voti del R. Sia l'effettività di quest'ultima ricomposizione che la possibilità di nuove sperimentazioni dipenderanno dal risultato della scadenza elettorale presi-

denziale prevista per il 1995. La destra vi giunge in condizioni. di grande vantaggio. La sua forza parlamentare però non nasce. né da un'attesa né da una mobilitazione a suo favore e non le assicura di poter risolvere il problema della leadership di schieramento connesso al voto presidenziale. Il rischio di una nuova incerta e logorante primaria, che potrebbe negare al centro-destra per la seconda volta la riconquista dell'Eliseo può essere evitato soltanto con la presentazione sin dal primo turno di un'unica candidatura 109 . Nonostante l'esperienza delle candidature unitarie delI'UcR alle legislative del 1988 e dell'UPF alle legislative del 1993, l'eventualità che RPR e UDF assumano l'articolazione confederale necessaria a tale scopo appare piuttosto remota. Non si vede quale potrebbe esserne il nucleo federatore né dove se ne collocherebbe il centro di gravità, se al centro-destra come pretenderebbero i liberali «sociali» di Barre e Mhaignerie, o più a destra (lungo l'asse liberale RPR-PR di Balladur o magari in direzione del Fronte nazionale come richiesto a suo tempo da Charles Pasqua).

Un sicuro vantaggio il centro-destra lo troverà nell'attuale disorientamento del suo più temibile avversario. Dopo le elezioni legislative del marzo 1993, il Ps si è dimostrato infatti non solo incapace di mantenere il livello elettorale che ne ha fatto negli anni Ottanta il polo dominante del sistema, ma anche di preservare la sua stessa unità interna.

Alle «lotte ideologiche» degli anni Set43

tanta, vanificate dall'esperienza ministeriale degli anni Ottanta, è subentrata già dopo la rielezione di Mitterrand nel 1988 una «guerra di successione» 0 che potrebbe disgregare il partito, il cui «superamento» è stato apertamente auspicato alla vigilia delle elezioni legislative del marzo 1993 da un leader di primo piano come Rocard.

Ed è a fattori di carattere istituzionale che si deve la specializzazione dei partiti francesi in ciò che di solito i partiti meglio sanno fare: l'assunzione della funzione elettorale - soprattutto sul terreno parlamentare, visto che restano a volte ai margini della contesa presidenziale e non sono riusciti a strutturare il voto a livello locale se non per interposti notabili 111 - e l'articolazione della contrapposizione fra destra e siniCONCLUSIONI stra. La strutturazione assunta dal sistema partitico, modellato dal duplice imUna constatazione di fondo ed alcuni pulso maggioritario dello scrutinio precorollari ad essa connessi si ricavano sidenziale e di quello legislativo, rispecdall'analisi del sistema partitico france- chia assai efficacemente questa «prose e dell'evoluzione delle sue compo- pensione». nenti.

Una prova a contrario della constataIn Francia, assai più che altrove, i partizione di cui sopra è che anche durante ti si presentano come una sorta di varia- la fase di riaffermazione e perfino quanbile dipendente da vincoli e opportunido si manifesta (da parte del Ps) una tà di ordine istituzionale. Si tratta di esplicita volontà «di contare di più», in una «dipendenza» da intendersi sia in àmbiti di altro tipo - i processi decisiosenso stretto, in riferimento quindi alla nali del policy ma/eing o il circuito funnormativa elettorale e all'istituto della zionale della rappresentanza 112 - i parpresidenza elettiva, sia in senso lato, titi francesi (salvo una breve parentesi cioè considerando caratteristiche am- nei primi anni di governo socialista) rebientali quali il parlamentarismo «ra- stano deboli e scarsamente rilevanti (al zionalizzato», la forma di governo se- confronto comparato). mi-presidenziale, la forza e la qualità La rilevanza dei fattori istituzionali si ridella burocrazia francese. propone, da ultimo, anche nella recente E principalmente a fattori di questo ti- fase di crisi partitica. A tale crisi, che acpo che è possibile attribuire i passaggi comuna il caso francese ad altri casi euroche definiscono l'andamento circolare pei e si fonda sulla ricomparsa di un diffudescritto dalla vicenda politica nei sette so malaise politico e sui suoi riflessi preslustri di Quinta Repubblica: un'iniziale so l'elettorato, i fattori istituzionali offrocrisi di transizione e di apprendimento, no un argine in grado sicuramente di conuna fase di adattamento e riaffermazio- tenerne gli effetti e forse di favorirne anne, una nuova crisi di rappresentatività. che il superamento.

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Note Cfr. R. Huard, Comrnent apprivoiser le suffrage universel?, in D. Gaxie (a cura di), L'explication du vote.

Un bilan des e'tudes électorales en France, Presses de la FNSP, Parigi, 1985, pp.126- 148.

2 Dopo la 'falsa partenza' del 1793, il suffragio universale maschile venne istituito nel 1848. Durante la Terza Repubblica, peraltro, non mancarono tentativi di 'organizzare' il suffragio secondo criteri capacztaires.

E quanto si ricava, ad esempio, dalle ricerche condotte da Sidney Tarrow: cfr. Tra centro e periferia. Il ruolo degli amministratori locali in Italia e in Francia, il Mulino, Bologna, 1979. La prevalenza di una 'politica non partitica' ha largamente influenzato il tipo di rappresentanza espresso dalla classe politica locale (a carattere prevalentemente territoriale anziché funzionale), la qualità del conflitto politico locale (<cretorica dell'apolitisme»; alto numero di competizioni elettorali a lista unica: cfr. J. Becquart-Leclercq, Paradoxe dii pouvoir locale, Presses de la FNSP, Parigi, 1977), i processi di reclutamento e di circolazione delle élites locali (la cui stabilità nell'ufficio è stata tale da prescindere in molti casi dagli stessi mutamenti di regime a livello centrale).

Si cfr. in proposito A. Siegfried, Tableau politique de la France de l'Ouest sous la IIIème République, Colin, Parigi, 1913 e F. Goguel, La politique des partis sous la liiime République, E. du Seuil, Parigi, 1946 e Ge'ographie des électionsfranaises de 1870 à 1951, Colin, Parigi, 1951. il più antico partito francese - il Parti Républicaine Radical et Radical Socialiste - venne fondato nel 1901.

Quattro anni più tardi fu la volta della Seccion Franaise de l'Internationale Ouvri.ère (SFI0), da una cui scissione nacque alla fine del 1920 la Section Franaise de l'International Communiste ( SFIc).

6 E significativo che nel quadro partitico francese l'unica organizzazione a forte istituzionalizzazione - il Parti Communiste Franais - abbia attinto prevalentemente ad una fonte di legittimità «esterna» al sistema politico nazionale. Cfr. A. Panebianco, Modelli di partito. Organizzazione e potere nei partiti politici, il Mulino, Bologna, 1982, ppl5OlS7.

L'osservazione è di Stefano Bartolini, Il mutamento del sistema politico in «Il Mulino)> marzo-aprile 1981, pp. 169-219.

Per un'analisi comparata della strutturazione dei sistemi partitici europei, si veda S. Rokkan, Costruzione della nazione, formazione delle fratture e consolidamen-

to della politica di massa, in Cittadini, elezioni, partiti, il Mulino, Bologna, 1982 (la ed. 1972), pp. 131-229 e S.M. Lipset e S. Rokkan, Cleavages Structures, Party Systems and Voter Alignments: An Introduction. in S. Rokkan, S.M. Lipset (a cura di), Party Systems and Voter Alignment: Cross National Perspectives, Free Press, New York, 1967, pp. 1-64.

L'espressione è di Jean Charlot, Les partis politiques, Colin, Parigi, 1971.

Su questi sviluppi, cfr. Ph. Williams, Crise and compromise. Politics in the Fourth Republzc, Longman, Londra, 1972.

Cfr. M. Fromont, La regolamentazione dei partiti politici in Francia, in «Quaderni costituzionali», 2, 1988, pp. 249-260. Nella Carta del 1958 i partiti concorrono «all'espressione del voto» (art. 4), e non, come ad esempio nella Costituzione italiana del 1948, «a determinare la politica nazionale» (art. 49).

12 E il titolo del saggio di Frank L. Wilson in K. Lawson e P.H. Merkl (a cura di), Wben Parties Fail.

Emerging Alternatives Organizations, Princeton University Press, Princeton, 1988, pp. 503-532. u E la tesi di K. Reif, Party government in the Fzfth French Republic, in R.S. Katz (a cura di), Party Government: European and American Experiences, de Gruyter, Berlino, 1987, pp.27-77. L'affermazione in Francia, tradizionale «Repubblica dei deputati», di una «Repubblica dei cittadini» (M. Duverger, La République des citoyens, Ramsay, Parigi, 1982) non significa necessariamente che essa si sia trasformata anche in una Repubblica fondata sui partiti. Ciò che sembra accomunare i casi considerati da Reif non sembra tanto il ruolo dei partiti quanto la forza delle strutture decisionali e di governo e le modalità della loro legittimazione elettorale.

14 Si cfr. i contributi raccolti da A. Cole (a cura di), French politica1 parties in transition, Pinter, Londra, 1990. s La leadership carismatica gollista si fondò, soprattutto nella fase di instaurazione del nuovo regime, sul dialogo permanente tra presidente e popolo, sia in forma «quotidiana» - attraverso un sistematico impiego di mezzi radiotelevisivi e i molti viaggi all'interno del paese - sia in forma istituzionale, attraverso il reiterato ricorso allo strumento referendario. I temi referen dari erano tali da suscitare difformità di orientamento fra base elettorale e vertici partitici delle forze d'opposizione, e quindi indisciplina al momento del voto (la 45

consultazione popolare sulla nuova Carta costituzionale del 1958), oppure impedivano ai partiti di differenziarsi dalle posizioni del Generale (consultazioni sul problema algerino del gennaio 1961 e dell'aprile

1962).

16

In particolare, de Gaulle riuscì, con la risoluzione del problema algerino e con la loi Debré del 1959 sulle scuole religiose, a neutralizzare l'estrema destra e acquietare la corrente democristiana e, con la modernizzazione delle forze armate (force de frappe nucleare) e con una politica economica di rigore affidata a personalità come Pinay, Reuff, Giscard d'Estaing, a sedare la fronda dell'esercito e ad alienare ai moderati del CNIP il loro tradizionale elettorato.

Su questo come su molti altri aspetti della questione, cfr. S. Bartolini, Riforma istituzionale e sistema po.

Ittico. La Francia go/lista, il Mulino, Bologna, 1981.

Se a livello di élItes politiche la frattura gollismo/ antigollismo divideva l'UNR e il piccolo drappello di notabili giscardiani dei Républicains Indipendents dalle forze politiche della Quarta Repubblica, a livello di massa la base elettorale dei primi si estendeva all'intero centro-destra, contando un ampio consenso anche nell'area di sinistra. Sull'estrema instabilità del voto tra le elezioni del 1956 e quelle del 1958 e poi tra quest'ultime e quelle del 1962, cfr. G. Dupeux, Le compor. tament des électeurs franais de 1958 1 1962, in Franois Goguel et al., Le referendum d'octobre et les élec-

tions de novembre 1962, Colin, Parigi, 1965.

19

L'UNR fu creata nel 1958, all'indomani del referendum sulla nuova Costituzione, da ex dirigenti del RPF. Dopo di allora, il partito gollista ha mutato varie volte denominazione: UNR-UDT alla vigilia delle elezioni legislative del 1962 (a seguito della fusione fra UNR e Union dmocratique du travail, la formazione creata nel 1959 dai gollisti di sinistra); Union des Démocrates

pour la Veme République nel 1967; Union poar la Défense de la République nel 1971; Rassemblement Pour la République dal 1976.

20 Cfr. M. Duverger, L 'eternel marais. Essai sur le cen• trisme franais in «Revue franaise de science politique», 1, 1961, pp. 33-51.

2!

Fatta eccezione per l'assodata collocazione dei comunisti all'opposizione, che dal 1947 segnalava una dimensione fondamentale dello spazio politico francese: la frattura ideologica che contrapponeva il PCF a «tutti gli altri», fino al 1962 il cleavage maggioranza/opposizione non era mai emerso in modo così inequivocabile, restando per lo più legato alle issues politiche in agenda.

46

22

Il che modificava la Carta del 1958 malgrado essa non contemplasse la procedura referendaria come modalità di revisione costituzionale.

23

«... je voulais briser les partis, j'était le seul à pouvoir lefaire et le seul à croire la chose possible au moment que j'ai choisi. J'ai eu raison contre tous'>: in questi termini

de Gaulle misurò l'ampiezza della propria azione referendaria. A. Passeron, De Gaulle parle, Fayard, Parigi,

1966, p. 64 (citato in J.L. Quermonne, Le gouvernment de la France sous la Veme République, Dalloz, Parigi, 1980, p. 410).

24

Su scala comparata, il presidenzialismo francese è senz'altro quello che maggiormente ha inciso sul sistema partitico. Cfr. S. Bartolini, Sistema partitico ed e/e.

zione diretta del capo dello stato in «Rivista italiana di scienza pobtica» 2, 1984.

25 Cfr. A. Cole e P. Campbell,

French Electoral System

and Elections since 1789,

Gower, Aldershot, 1989, ifi ed.

26 Con la scelta del sistema maggioritario a doppio turno, nel 1959 de Gaulle intendeva depoliticizzare la contesa elettorale parlamentare avvicinandola quanto più possibile a quella locale, scongiurare l'apparizione di un partito dominante, ridurre la rappresentanza dei comunisti, evitare il formarsi di alleanze contrapposte, destra vs. sinistra, che avrebbe indebolito la sua posizione di leader di unità nazionale. La possibilità che la nuova legge elettorale.favorisse un consolidamento del nuovo regiome attraverso una ristrutturazione partitica non rientrava di certo nelle sue intenzioni, né forse nelle sue previsioni. Cfr. J. Chapsal e A. Lancelot, La

vie politique en France depuis 1940,

Presses de la FNSP, Parigi 1979, pp. 355-361.

27 L'espressione è di Michel Debré ed è riportata in H. Portelli, La politique en France sous la Veme Républi. que, Grasset, Parigi, 1989, p. 90.

28

Si pensi che pur conseguendo il 48% dei seggi nell'Assemblea Nazionale eletta nel 1962 e il 41% in quella del 1967, il partito gollista non superò il 9% dei seggi alle elezioni municipali del 1965.

Si cfr. l'analisi che ne fa A. Panebianco, Modelli di partito, cit., pp. 27 1-285. ° Su questi aspetti si cfr. di J. Charlot, L'UNO. Etude

de pouvoir au sein d'un grand parti politique, Cahiers FNSP, Colin, 1967 e Le phénomène gaulliste, Fayard, 1970.

SI Sul fenomeno dei Clubs, cfr. J. Mossuz, Les clubs et la politique en France, Colin; Parigi, 1970 e F.L. Wilson, The Political Club Phenomenon in France, in «Comparative Politics» 3, 1971.

32 Impiego il termine nell'accezione di A. Panebianco, Modelli di partito..., cit., che si riferisce al PCF come al

«partito europeo che piò si avvicina al tipo ideale della istituzione forte dove un massimo di autonomia dall'ambiente (nazionale) si combina con un elevatissimo livello di «sistematicità», di coerenza organizzativa» (p. 157).

Si tratta, all'inizio degli anni Settanta, di 225.000 iscritti, di circa 100.000 quadri e di oltre 2.000 funzionari a tempo pieno all'inizio degli anni Settanta. Cfr. F. Wilson, The French Lefi in the Fifìh Rublzc, in W.G. Andrews, S. Hoffmann, The Fzfth Republic at Twenty, State University of New York Press, Albany, 1981, pp. 172-190.

Sull'organizzazione del partito comunista di quegli anni, cfr. A. Kriegel, Le communistes franais. 19201970, ed. du Seuil, Parigi, 1985 (III ed.) e R. Tiersky, French Communism, 1920-1972, Columbia University Press, New York, 1974.

In virtò dei quali accrebbe la propria rappresentanza parlamentare dai 10 seggi del 1958 (col 19% dei voti al primo turno) ai 41 del 1962 (col 22°h) e ai 72 nel 1967 (col 22°k).

36 Cfr. G. Lavau, A quoi sert le Parti communistefran. ais?, Fayard, Parigi, 1981. ° Cfr. J. Jaffr, Trente années de changement électoral, in «Pouvoirs» 49, 1989, pp. 15-26.

38 La debolezza dei partiti era particolarmente evidente a livello locale. Ancora nel 1965, ad esempio, nonostante la riforma Frey che adottava per le città con oltre trentamila abitanti uno scrutinio di lista maggioritario a doppio turno che dava luogo a consigli municipali politicamente omogenei, privi cioè di qualsiasi rappresentanza delle minoranze, «il grande vincitore delle elezioni municipali fu un partito inesistente: quello di ALIM [Action Locale Intér&s Municipaux] (Année Politique, 1966, p26). Ho sviluppato questi temi in Il rendimento dei sistemi elettorali a livello municipale e regionale in Francia, in G. Riccamboni (a cura di), Cittadini e rappresentanza in Europa, Angeli, Milano, 1992.

Cfr. H. Portelli, La presidentialization de partis franais, cit., e A. Cole, The Presidential Party and the Fzfth Republic in «West European Politics», 2, 1993, pp. 48-66.

Sul punto, cfr. P. Birnbaum, Les sommets de l'Etat.

Essai sur l'élite du pouvoir en France, ed. du Seuil, Parigi, 1977 e E.N. Suleiman, Elites in French Society, The Politics of Survival, Princeton UP, Princeton, 1978.

Tale soglia era pari al 5% del totale dei voti espressi nella circoscrizione alle elezioni del 1962, al 10% degli elettori della circoscrizione alle elezioni del 1967, 1968

e 1973, al 12,5% degli elettori della circoscrizione alle elezioni del 1978, 1981, 1988 e 1993. La legge elettorale prevede che se un solo candidato supera le soglie previste possa partecipare al turno di ballottaggio il primo dei non ammessi; nel caso in cui nessun candidato si qualifichi per il secondo turno, partecipano al ballottaggio i due candidati piò votati al primo turno.

42 Cfr. S. Bartolini, Institutional Constraints and Party Competition in the French Party System, in «West European Politics», 4, 1984, pp. 103-127.

Un'analisi del contenuto dei programnmi dei partiti ha mostrato la corrispondenza di questo carattere bimodale della competizione partitica con la natura delle due fratture dominanti nello spazio politico francese, l'una principale, la polarità destra/sinistra (Reo e UDF vs. Ps e Pcr), l'altra secondaria, la polarità liberalismo/populismo (Uor e Ps vs. RPR e PCF). Cfr. F. Petry, France 19581981: the Strategy of Joint Government Platforms, in I. Budge, D. Robertson e D. Hearl (a cura di), Ideology, Strategy and Party Change: Spatial Analyses of post-war Election Programmes in 19 Democracies, Cambridge UP, Cambridge, 1987, pp. 324-344.

Cfr. J.A. Schlesinger e M. Schlesinger, The Reaffirmation of a Multiparty System in France, in «American Political Science Review», 4, 1990, pp. 1077-1101.

45 I conflitti interni avevano una duplice articolazione: fautori dell'ouverture (il progetto di nouvelle societé di Chaban-Delmas vs. fautori dell'ordre; baroni gollisti vs. ala pompiduiana. L'alleanza tra seguaci di Pompidou e conservatori, che nel 1972 determinò l'uscita di scena di Chaban-Delmas ed evolse nella marginalizzazione dei 'baroni' - il 'cerchio interno' del movimento che aveva creato l'UNR nel 1958 attorno a Chaban-Delmas e a Roger Frey - e nella sconfitta del sindaco di Bordeaux al primo turno delle presidenziali del 1974.

46 Si cfr. P. Crisol, J.Y. Chommeneau, La machine RPR, Fayolle, Parigi, 1977, «Pouvoirs», 28, 1984, dedicato al R1'R (e soprattutto M. Offerlé, Transformation d'une entreprise politique: de l'UDR au RPR, pp. 5-26) e A. Knapp, Un Parti comme les autres: Jacques Chirac and the RaIly for the Republic, in A. Cole (a cura di), French Politica1 Parties in Transition, Pinter, Londra, 1990, pp. 140-184.

41 Su questi specifici aspetti, cfr. W.R. Schonfeld, La stabilité des dirzgeants des partis politzques: le persone1 des directions nationales du Ps et du mouvement gaulliste, in «Revue franais de science politique», 3, 1980.

48 Dai 155.000 iscritti dichiarati dall'Uno nel 1975 si passa ai 510.000 iscritti del Ro nel 1977. I dati sono ri47

portati in C. Ysmal, Les partis politiques sous la Iteme République, Montchrestien, Parigi, 1989, p. 163. Nel presentarli, l'autrice ne sottolinea la poca affidabilità e ricorda l'estrema reticenza degli apparati partitici francesi nei confronti della ricerca socio-politologica.

Dalla formazione del governo Barre, il RPR Si considerò schierato alla semi-opposizione. A piò riprese criticò la politica governativa (in particolare la politica economica di rigore adottata da Barre nel triennio 1978-8 1) e presidenziale (reclamando di fronte al «lassismo» giscardiano provvedimenti di law & order e contrastando duramente l'orientamento europeista di Giscard stigmatizzato come «la voix paisible et rassurant dii parti de l'etrangem). La frase è tratta dall'Appel de Cochin' (novembre 1978) con cui Chirac aprì la campagna per le elezioni europee e presentò una proposta di legge che, con l'appoggio del PCF, l'astensione socialista e il voto contrario dell'UDF, vietò il ricorso a qualsiasi finanziamento comunitario o straniero per quel tipo di elezioni.

L'Unione - che trasse la propria denominazione da D6nocratzefranaise (Parigi, Fayard, 1975), il volumetto in cui Giscard esponeva la propria visione politica del futuro francese - comprendeva Parti Républicain, Centre des Democrates Soczaux e Parti Radicale, i clubs Perspectzves et Réalite's, strettamente legati al presidente, e il Parti social-d6nocrate, nato nel 1973 come scissione della destra socialista ostile all'alleanza col PCF e ai contenuti del Programma comune. ' Analizzando la composizione del ceto politico gi. scardiano, Pierre Birnbaum ne mostra la larga provenienza dai circoli di ex-allievi delle grands écoles tecnico-amministrative (Ecole Nationale d'Administration, PoIytechnique, Ecole Normale Superieur). Cfr. P. Birnbaum, Les sommets de l'Etat, cit., cap. V, pp. 151-183.

52 Debbono ricordarsi in proposito l'estensione del diritto di voto ai diciottenni, la legge sull'interruzione della gravidanza, l'orientamento europeista e, sul piano politico-organizzativo, la modernizzazione della struttura della FNRI, strutturata su base regionale anziché dipartimentale.

Due fenomeni sono indicativi della crisi politicoorganizzativa cui era giunta la Suo: la sua territorializ. zazione (caduta delle iscrizioni nelle federazioni piò deboli; potere interno concentrato nelle federazioni Bouche du Rhòne e Nord-Pas-de-Calais) e la sua trasformazione in un'organizzazione di rappresentanze locali con un rapporto fra numero degli iscritti e numero degli eletti locali inferiore a uno (cfr. J. Charlot, Le partis politiques en France, a cura del Servizio stam48

pa del Ministre des Relations Exterieures, 1986, p. 29 fa riferimento a 35.000 iscritti per il 1971). Della vasta bibliografia sul Ps si segnalano Ch. Hurtig, De la SF10 au nouveau Parti socialiste, Colin, Parigi, 1970, che fo. tografa il momento della rifondazione, e D.S. BelI e B. Criddle, The French Socialist Party. The Emergence of a Party of Government, Clarendon Press, Oxford, 1988 (il ed.), che analizza le tappe successive.

Analizzando l'atteggiamento della sinistra francese di fronte alle istituzioni golliste, Olivier Duhamel segnala il passaggio dal rifiuto iniziale (lo stesso Mitterrand attaccò violentemente il «poavoir personnel» del Generale nel pamphlet Le coup d'Etat permanent, Plon, Parigi, 1964), ad una progressiva accettazione (a partire dalle elezioni presidenziali del 1965) e poi alla consapevole utilizzazione di una strumentazione istituzionale nata contro la sinistra. Cfr. La gaucheface t la VineRépublique, Puf, Parigi, 1980.

Assieme a René Pleven che ne guidava l'ala destra, Mitterrand, sul versante sinistro, capeggiava l'Union Démocratique et Socialiste de la Resistence (UD5R), piccolo gruppo parlamentare di matrice radicale collocato «al centro del centro» e quindi al crocicchio di qual. siasi maggioranza di governo, con elevatissima rendita in termini di tasso di partecipazione ministeriale.

56 La Féderation de la Gauche Démocratique et Socialiste riuniva le forze che avevano sostenuto la candidatura Mitterrand alle presidenziali del 1965: la SF10, il partito radicale e i Clubs (L'Union des Chubs pour le Renouveau de la Gauche di Alain Savary e la Convention des Institutions Républicaines dello stesso Mitterrand).

Dopo aver concluso un patto elettorale di reciproco dészstement col Pcr nel 1966 e col PsU nel 1967 e presentando un solo candidato «federale» per collegio, tali forze registrarono alle legislative del 1967 una crescita in termini di eletti (118 deputati contro 192 del 1962) pur avendo perso voti (18,8% contro 20,3%).

Oltre a mantenere nella propria orbita il piccolo Mouvement des Radicaux de Gauche, nato nel 1972 dal. la scissione dell'ala sinistra del partito radicale di JeanJacques Servant-Schreiber, il Ps accolse nelle proprie fila la deuxième gauche rocardiana proveniente dal Psu, alcuni leaders e militanti sindacali della CFOT di matrice cristiana e personalità di centro-sinistra un tempo vicine a de Gaulle come Jacques Delors e Edgard Pisani.

11 programma del nuovo partito (Changer la vie) parlava il linguaggio della «rottura» e della trasforma. zione rivoluzionaria della società (anche attraverso «l'approvazione collettiva dei mezzi di produzione»),

dando rilievo anche ai temi dell'autogestione, del decentramento, della partecipazione politica dal basso.

Si cfr. H. Portelli, Nouvelles classes moyenne et nonveau parti socialiste e G. Grunberg, E. Schweisguth, Le virage ì gauche des couches moyennes salari ées, entrambi in G. Lavau, G. Grunberg e N. Mayer (a cura di), L'univers politiques des classes moyennes, Presses de la FNSP, 1983, pp. 238-273 e 351-371 e G. Michelat e M. Simon, Classe, religion et comportement politique, Presses de la FNSP, Parigi, 1977.

60 Si tratta di iscritti giovani, di estrazione sociale diversificata e spesso nuovi alla politica, ma anche di operai e insegnanti sindacalizzati (aderenti prevalentemente alla Fédération de l'Education Nationale e alla Confédération Franaise Démocratique du Travail).

Beil e Criddle riportano 61.000 iscritti per il 1971, 100.000 per il 1973, 146.000 per il 1974, 164.000 per il 1977, 170.000 per il 1979 (The French Socialist Party..., Cit., p200).

61 Cfr. R. Cayrol, Le parti socialiste à l'entreprise. Une énque'te sur le sections et groupes socialistes d'entreprise, in «Revue franaise de science politique», 2, 1978, pp.

296-312.

62 Lo dimostrano le prestazioni presidenziali di Mitterrand (1965: 31,7% al primo turno, 44,8»/o al secondo contro de Gaulle; 1974: 32,6% al primo turno, 49,2% al secondo contro Giscard; 1981: 25,8% al primo turno, 51,8% al secondo contro Giscard; 1988: 34,1% al primo turno, 54,0% al secondo contro Chirac) e quelle dei candidati socialisti, eletti in larga parte al secondo turno, alle legislative. Su quest'ultimo punto, cfr. J.A. Schiesinger e M. Schiesinger, The Reaffirmation o/a Multiparty System in France, art. cit.

63 In quel periodo, che coincideva con la breve stagione eurocomunista, il Pcr abbandonò la nozione di «dittatura del proletariato» e i suoi dirigenti dichiararono di accettare il pluralismo politico, accentuando le critiche all'Urss. Si cfr. O. Duhamel, La gauche et la lteme République, cit.

64 socialisti mantennero presso gli elettori comunisti un'immagine costantemente migliore di quella del partito. comunista presso gli elettori socialisti. Nel 1978, ad esempio, soltanto il 65% di coloro che avevano votato Ps al primo turno «trasferì» il proprio voto al candidato comunista se al turno di ballottaggio quest'ultimo si contrapponeva a un candidato UDF (il 73% quando l'avversario era un gollista). Cfr. i sondaggi post-elettorali Sofres citati in S. Bartolini, Il mutamento del sistema partitico, cit., p. 193.

65 Anche se nel 1977 il partito dichiarava di superare i

600.000 iscritti (contro i 225.000 dei primi anni Sessanta). Si cfr. F.L. Wilson, The French LeJl in the FiJlh Republic, in W.G. Andrews, S. Hoffmann, The Fflh Republicat Twenty, cit., pp.l72-l90.

66 Cfr. F.L. Wilson, The revitalisation of French Parties, in «Comparative Political Studies», 12, 1979, pp.

82-103, S. Bartolini, Il mutamento del sistema partitico, cit. e F.L. Wilson, U21,en Parties refuse to/ail, cit.

67 Cfr. F.L. Wilson e R. Wiste, Party Cohesion in the French National Assembly, 1958-1973, in «Legislative Studies Quarterly», 1, 1976, pp. 467-490. P.E. Converse e R. Pierce assumono la disciplina di voto all'Assemblea come la più evidente manifestazione di un comportamento partitico strutturato (Political Representation in France, Harvard UP, Cambridge, 1986, p.

552).

68 Rimando di nuovo al mio lavoro su Il rendimento dei sistemi elettorali a livello municipale e regionale in Francia, cit.

69 A sinistra le liste di Unione della sinistra rappresentarono nel 1977 il 91% dei voti della sinistra (nel 1971 il 79%), mentre le liste Rr'R/UDF soltanto il 61% dei voti conservatori, per la persistenza di numerose liste di hors partis. 11 duopolio Rvo/Uor sullo schieramento moderato si afferma nel 1983. Cfr. E. Dupoirier, G. Grunberg, B. Roy, L'evolution e'lectoral de la France urbaine (1971-1983), in «Revue franaise de science politique», 1, 1984, pp. 46-70, in riferimento ai comuni con oltre 9.000 abitanti (726 unità nel 1971, 806 nel 1977, 868 nel 1983).

70 E la tesi di K. Reif, Party Government in the Fifth French Republic, cit.

71 Cfr. H. Portelli, La pre'sidentialisation des partis franais, in «Pouvoirs», 14, 1980, pp.97-106. L'autore ricorda che soltanto il Ps ha definito una procedura di designazione del proprio candidato alla presidenza sulla base di un sistema di primarie interne, evitando peraltro accuratamente di farvi concreto ricorso.

72 Con la nomina di Chirac all'Hotel Matignon, ad esempio, per la prima volta si ha coincidenza fra leadership partitica e incarico di primo ministro. Il governo guidato dal leader neo-gollista accolse le personalità più rappresentative degli altri partiti della coalizione (Poniatowski per la FNRI e Lecanuet per il Cos); e analogo riconoscimento della presenza partitica venne dal primo governo Barre (1976-1978) e dallo stesso Giscard, che ne ricevette ufficialmente le delegazioni.

Cfr. H. Portelli, Les partis et les institutions, in «Pouvoirs», 24, 1989, pp.57-68. ' Si cfr. T. Pfister, La via quotidienne 1 Matignon au 49

telnps de l'Union de la gauche, Hachette, Parigi, 1985 e M. Schifres e M. Sarazin, L'Elysée de Mitterrand, Alain Moreau, Parigi, 1985, pp. 278-220.

Cfr. A. Lancelot e M.T. Lancelot, The Evolution of the French Electorare, in G. Ross, S. Hoffmann e S. Malzacher, The Mitterrand Experiment. Continuity and Change in Modern France, Polity Press, Cambridge, 1987, pp.77-79.

71 Cfr. Y. Meny, La France de Mitterrand à Mitterrand: politique et politiques, Quaderni/Papers ISPI, 12, 1988.

76 Serge July è stato tra i primi a cogliere i segni della «normalizzazione» della politica francese avvertendo come «non ci siano piui due concezioni del mondo che si fronteggiano sull'inflazione o sul bilancio dello Stato ( ... ). Una cultura economica s'è imposta e ciò rende possibile una coabitazione di idee ancora ieri impensabile ( ... ). La Francia scopre la politica del consenso».

Les années Mitterrand. Histoire baro que d'une normalisation inachevée, Grasset, pp. 16-17. In questa stessa prospettiva si cfr. i saggi contenuti in G. Ross, S. Hoffmann e S. Malzacher (a cura di), The Mitterrand Experiment, cit. e le riflessioni di F. Furet, J. Jullard e P. Rosanvallon, La République du centre. LaJln de l'exceptionfranaise, Calmann-Lévy, Parigi, 1988.

Tra i molti ritratti e resoconti, si cfr. J.M. Colombani, Portrait du President, Gallimard, Parigi,1985, C. Nay, Le noir et le rouge, Grasset, Parigi, 1984 e Les sept Mitterrand ou les métamorphoses d'un septennat, Grasset, Parigi, 1988, S. Sferza e S. Lewis, The second Mitterrand experiment: charisina and the possibility ofpartisan renewal, in J. Howorth, G. Ross (a cura di), Contemporary France, Pinter, Londra, 1988.

78 A proposito della tendenza di ciascun partito di uscire dalla propria posizione sistemica, si è parlato di «partiti contro il sistema partitico». Cfr. H. Machin, Stages and Djnoamics in the Evolution o/the French Party System, in «West European Politics'>, 4, 1989, pp.

59-8 1.

Per un resoconto della produzione normativa dei governi Mauroy, cfr. Les reforines de la gauche. 19811984, in «Revue politique et parlamentaire», 916-917, maggio-giugno 1985.

80 dibattiti e le risoluzioni dei due Congressi socialisti della prima metà del decennio fornirono la misura del passaggio dagli entusiasmi e certezze del 198 1-1983 alle successive revisioni e lacerazioni. Se al Congresso di Valenza del 1981 si reclamano, con un «discorso» ideologico e classista, la «rottura col capitalismo» e la «decapitazione» dei vertici burocratici dello Stato, in50

neggiando all'Unione delle sinistre, al Congresso di Tolosa del 1985 l'enfasi è ormai posta sul risanamento economico del paese e sulla coesione sociale necessaria a tal scopo, nonché sull'ambizione di acquisire stabilmente una vocazione maggioritaria e la rappresentanza dell'intera «sinistra di governo». Cfr. B. Criddle, D.S. Beil, The French Socialist Party. The Emergence of a Party of Govemnment, cit.

81 Mentre nel primo turno delle legislative del 1978 il Pcr aveva superato il Ps in 28 dipartimenti su 96, nelle legislative del 1988 non ebbe la meglio in nessuno di essi.

Tre lavori riassumono al meglio l'evoluzione del PcF negli anni Ottanta: J. Ranger, Le declin du Parti communistefran-aise, in «Revue franaise de science politique», 1, 1986; F. Platone, J. Ranger, L'echec electoral du parti communiste, in A. Lancelot ( a cura di), Les élection de l'alternance, cit.; F. Platone, Parti communiste: sornbre dimanche, triste époque, in G. Grunberg e E. Dupoirier (a cura di), Mars 1986: la drole de defaite de la gauche, Presses de la FNSP, Parigi, 1986, pp. 189-2 10.

82 Cfr. W.R. Schonfeld, Le RPR et l'UD,' ì l'epreuve de l'opposition, in «Revue franaise de science politique», 1, 1986, pp. 14-31 e C. Ysmal, Le programme économique des partis de droite, in «Critique de l'économie politique», aprile-giugno 1985, pp. 63-76.

83 Cfr. in proposito C. Ysmal, RPR et Uo,": Connivence et convivence, in «Revue politique et parlamentaire», 913, 1984, pp. 6-20 e W.R. Shonfeld, L'UDF et le RPR à l'epreuve de l'opposition, cit., che discordano peraltro su un punto fondamentale: se il RJ'R nel suo spostamento abbia radicalizzato o deradicalizzato, le sue posizioni e stile politico.

04 P. Perrineau, Les étapes d'une implantation électorale (1972-1988), in N. Mayer e P. Perrineau (a cura di), Le Front National >ì decouvert, Presses de la FNSP, Parigi, 1989, pp. 3 7-62.

85 Cfr. J.L. Parodi, Le nouvel espace politiquefranaise, in Y. Meny (a cura di), Ideologies, partis politiques et groupes sociaux. Pour George Lavau, Presses de la FNSP, Parigi, 1989, pp. 147-158. Parodi cita un'inchiesta IFOP-Liberation del dicembre 1987 da cui risulta l'esistenza di una frattura fra FN e «tutti gli altri»: il 68% degli intervistati indicano il Fronte nazionale come partito per il quale «non votare in nessun caso», il 12% il Ps e l'Uor, il 17% il Rp, il 45% il PCF. 86 Cfr. M.A. Schain, Politics at the margin: the French Communist Party and the National Front, in P. Godt (a cura di), Policy-rnaking in France. From de Gaulle to Mitterrand, Pinter, Londra, 1989, pp. 73-90. Sul ti-

1981 a 577, pari al numero di deputati eletto con la ming del processo si veda oltre nel testo; sulla sua entiproporzionale nel 1985). tà si rimanda ai dati elettorali della tab. 1. u L'elezione dei deputati europei avviene in Francia Si tratta di una proporzionale d'Hondt su base dicon proporzionale d'Hondt, sulla base di un collegio partimentale, con soglia di rappresentanza del 5% e unico nazionale e soglia di esclusione del S%. dunque molto selettiva.

88 Incapace di superare fino al 1981 la soglia dell'l% 96 La nuova legge elettorale resta nella sostanza maggioritaria, ma consente la rappresentanza delle minodei voti e di raccogliere in quello stesso anno le 500 firranze consigliari. Al primo turno di voto si attribuisce me di elus necessarie a depositare una candidatura presidenziale, il FN raccolse il 16,7°h dei voti a Dreux (do- la metà dei seggi alla lista che abbia raggiunto la maggioranza assoluta dei voti espressi. L'altra metà viene ve si pose al crocicchio delle alleanze di destra, concluripartita proporzionalmente tra tutte quelle liste che dendo per il turno di ballottaggio un accordo con il abbiano raccolto almeno il 5% dei voti. Se nessuna liRPR, disposto ad accogliere nella propria lista alcuni sta consegue la maggioranza assoluta al primo turno, candidati frontisti), il 9,3% a Aulnay-sous- Bois, il 12°h si procede a un turno di ballottaggio, cui hanno facolnella seconda circoscrizione del Morbihan.

89 Alle elezioni del 1984 il FN Si trovò avvantaggiato tà di partecipare tutte quelle liste che abbiano ottenuto anche dalla improvvida strategia di RPR e UDF che pre- almeno il 10% dei voti al primo turno.

Per un esame e un confronto degli effetti politici sentarono una lista comune condotta da una personadel doppio turno nella Terza e nella Quinta Repubblilità centrista come Simone Veil, scoprendo così un ca, cfr. D. Goldey e Ph. Williams, France, in V. Bogdaampio spazio alla propria destra.

90 Cfr. P. Perrineau, Front national: L'e'cho politique nor e D. Butler (a cura di), Democracy and Elections.

Electoral systems and their politica1 consequences, Camde l'anomie urbaine, in La France en politique, Fayardbridge hP, Londra, 1983, pp.62-83.

Esprit-Le Suil, Parigi, 1988. Come dimostra Jerome 98 A sinistra Ps e Pcr hanno concluso un'intesa elettoJaffré (Front nationale: la relève protestataire, cit.), il rale unitaria, limitata però a meno dei due terzi dei cotrovò strettaSi FN profilo sociologico del voto per il muni con oltre 30.000 abitanti. A destra, invece, le limente correlato a tre variabili: tasso di urbanizzazioste unitarie sono state insidiate dalla presenza del ne, tasso di presenza di popolazione immigrata sul totale della popolazione attiva, grado di insicurezza ur- Fronte Nazionale, determinato a mantenersi al secondo turno e a radicarsi così nei consigli municipali (Cfr. bana. ' Si cfr. K. von Beyme (a cura di), Right-wing Extre- P. Perrineau, Front Nationale: une minorite' de blocage, mism in Post-war Europe, in «West European Poli- in Ph. Habert e C. Ysrnal (a cura di), Elections Municitics», 2, 1988 e P. Ignazi, Nuovi e vecchi partiti di estre- pales 1989, Le Figaro/Etudes Politiques, aprile 1989, ma destra in Europa, in «Rivista italiana di scienza po- pp. 27-28). Quanto alle dissidenze dei notabili, se ne deve segnalare il successo, sia a sinistra che a destra, in litica),, 2, 1992, pp. 293-333.

92 Sul FN, Si cfr. M. Charlot, L'emergence du Front na- alcuni grandi centri (Robert Vigouroux, dissidente Ps, tionale, in «Revue franaise de science politique», 1, e Robert Jarry, dissidente Pc, sono stati ad esempio 1986, pp. 30-45; J. Jaffr, Front National: la relève pro- rieletti sindaci, rispettivamente, di Marsiglia e di Le testataire, in E. Dupoirier e G. Grunberg (a cura di), Mans contro il loro partito; Michel Noir - RPR - ha Mars 1986, la drale de defaite de la gauche, cit., pp. 2111- invece sconfitto a Lione il sindaco uscente Francisque Collomb - UDF - dopo aver imposto in sede locale 229; N. Mayer e P. Perrineau (a cura di), cit. (e in particolare P. Perrineau, Les étapes d'une implantation delle primarie «selvagge», in contrasto con gli accordi électorale, cit. e P. Ignazi, Un nouvel acteur politique, conclusi dai due partiti moderati a livello nazionale).

Il numero delle città con oltre 30.000 abitanti in cui pp. 37-62).

Cfr. M.A. Schain, Politico at the Margins: the French si è reso necessario lo svolgimento del ballottaggio Communist Party and the National Front, cit., pp. 73-90. passato da 78 nel 1983 a 121 nel 1989. I «duelli», la cui incidenza nel 1983 era stata pari al 90% delle competi11 doppio turno adottato nel 1986 ha però modificato, sotto la supervisione del ministro degli interni zioni di ballottaggio, non rappresentano nel 1992 che il 40% dei casi. Cfr. Ph. Habert e C. Ysmal, Elections Charles Pasqua, il disegno delle circoscrizioni, provvedimento resosi necessario per l'aumento del numero Municipales 1989, cit. °° Cfr. P. Perrineau, Front national: l'écho politique dei deputati da eleggere (le circoscrizioni uninominali della Francia metropolitana sono passate dalle 474 del de l'anomie urbaine, cit., pp. 22-38.

51

101 Indagate con regolarità da panels e sondaggi. Se ne possono leggere alcuni risultati nei rapporti annuali SOFRES, Opinion publique..., (fino al 1986 pubblicato da Gallimard) e SOFRES, L'etat de l'opinio. Cléspour... (pubblicato dal 1987 da Le Seuil). Si cfr. anche G. Grunberg, F. Hagel, B. Roy, La bataille pour la crédibilité: partis et opinion, in E. Dupoirier, G. Grunberg, cit. pp.117-l35.

102 Cfr. N. Mayer, Pas de chi-ysanthèmes pour les variabies sociologiques, in E. Dupoirier, G. Grunberg, Mars 1986: la drole de defaite de la gauche, cii, pp.149-l65.

Queste trasformazioni sono analizzate in relazione a dinamiche di medio periodo (la «trasformazione sociale» degli anni 1965-1980 e i due macro-processi che la caratterizzano: la secolarizzazione culturale e demografica causa prima della «crisi terminale del cattolicesimo»; la terziarizzazione e de-industrializzazione dell'economia che si risolve in una crescita di nuove classi medie e, icasticamente, nella «fine degli operai» da E. Todd, La nouvelkFrance, Le Seuil, Parigi, 1988.

103 Cfr. A. Lancelot, 1978-1981: le rendez-vous manquée de la structure et de la conjoncture, introduzione a A. Lancelot (a cura di), Les élection de l'alternance, Presses de la FN5P, Parigi, 1986 e G. Grunberg, Recent Developments in French Electoral Sociolog-y, in «ElectoraI Studies», 1, 1988, pp. 3-14.

104 Cfr. P. Rosanvallon, Malaise dans la répresentation, in F. Furet, J. Julliard, P. Rosanvallon, La République du centre..., cit., pp. 131-182.

105 Cfr. J. Charlot, La transformation de l'image des partis poIitiques franais, in «Revue franaise de science pPolitique», 1, 1986, pp. 5-13.

52

106 Sul punto, cfr. Y. Meny, La corruption de la République, Fayard, Parigi, 1992.

107 Questo nuovo consenso ha interessato sia le istituzioni (cfr. F. Goguel, Vingt-cinq ans après, la bonne santédes institutionsfranaises, «Projet», 1984, pp. 731740) che i contenuti delle politiche pubbliche (cfr. Y. Meny, La France de Mitterrand ì Mitterrand: politique etpolitiques, cit.). lOS O. Duhamel, J. Jaffr, Le nouveau Président, le Seuil, Parigi, 1987, p. 41.

109 Tale ipotesi è stata sostenuta già alla vigilia delle presidenziali del 1988 da Giscard d'Estaing e da Edouard Balladur, architetto della prima coabitazione e protagonista, da primo ministro, della seconda coabitazione.

110 Cfr. E. Dupin, L'àpres Mitterrand. Le parti socialiste à la dérive, Calmann-Lévy, Parigi, 1991. Il degradarsi dell'influenza di Mitterrand è emerso subito dopo la sua rielezione: Mauroy, anziché Fabius come auspicato dall'Eliseo, è stato eletto segretario del partito al posto del dimissionario Jospin; nella corrente mitterrandiana, che dal 1971 ha costituito l'asse del Ps, emergono sempre più profonde divisioni interne (con due principali sottogruppi che fanno capo a Fabius e a Joxe, da un lato, e aJospin e Mauroy, dall'altro).

Cfr. Y. Meny, Decentralisation in Socialist France.the Politics of Pragynatism, in «West European Politics», 4, 1984.

112 Anche a questo proposito ciò che conta sono gli assetti istituzionali (la forza dell'esecutivo, gli scarsi poteri del parlamento) che hanno reso i gruppi «più dei gruppi pressati che dei gruppi di pressione». F.L. Wilson, Interest Group Politics in France, Cambridge UP, Cambridge, 1987, p. 240.

Tab. la - Riepilogo dei risultati dell'elezione dell'Assemblea Nazionale 1958-1993 (primo turno; 1986: RP) 1958

1962

1967

1968

1973

1978

1981

1986

1988

1993

Votanti Voti validi Voti non validi

77,2 75,2 2,0

68,7 66,6 2,1

81,1 79,3 1,8

80,0 78,6 1,4

81,3 79,5 1,8

83,2 81,6 1,6

70,9 69,9 1,0

78,5 75,1 3,4

66,2 64,9 1,3

69,2 65,5 3,7

SFIO-PS Radicali PCF Conservatori MRP Gollisti Poujadisti Altri estrema sinistra Altri estremadestra PSU RI-PR CD Partiti Regionalisti CDP Lutte ouvrière MRG Mouvement Rformateur Altri di sinistra Verdi FN UDF Altri

15,5 97 18,9 20,0 11,1 20,6 1,5 1,1

189

16,5

19,1

22,8

36,6

31,3

36,6

17,6

-

-

-

-

-

-

21,4 3,4

20,5 1,9

16,1 2,7

9,7 1,9

11,2 2,7

9,2 4,6

-

12,4 7,4 21,9 11,5 7,8 33,7 0,3 0,5 0,0 2,0 2,3

-

-

-

-

'

'

22,5 3,3

20,0 1,9

-

-

-

-

-

-

-

-

33,0

38,0

26,0

22,3

21,2

26,8

19,1

20,3

-

-

-

-

-

-

-

-

0,6 0,1 2,1 5,5 14,1 0,0

0,1 0,1 3,9 8,4 10,5 0,0

0,5 0,4 2,0 7,2

0,5 0,5 1,2

0,1 0,1 0,7

0,2 0,9

0,1 0,4

0,2

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

0,2

0,1

0,1

-

-

-

-

-

-

-

0,4 1,5

0,6 1,2

-

-

1,2

0,9

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

3,8 0,8 1,7 13,3 0,4

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

1,0

0,1

-

0,5

-

-

-

1,7 2,2, -

-

-

1,4 2,0 0,3 22,0 0,1

0,2 1,1 0,2 18,9 0,0

0,4 1,2 9,8 15,8 -

-

-

-

0,4 9,9 18,6 0,1

7,7 12,5 19,2 5,7

53

Tab. Ib -Distribuzione dei seggi all'Assemblea Nazionale (1958-1993)

SFIO-PS Radicali PCF Conservatori MRP Gollisti Poujadisti Altri estrema destra Altri estrema sinistra PSU RI-PR CD Partiti Regionalisti CDP Lutte ouvrire MRG Mouvement RĂŠformateur Altri di sinistra Verdi FN UDF Altri Totale

54

1958

1962

23 10 133 57 198 0 O O -

41 41 32 37 230 3 O O 2 18

-

-

-

1967

1968

118

57

72 7

33 8

1973

1978

1981

1986

1988

1993

89

102

268

198

260

53

-

-

-

-

-

-

73 15

86 20

43 10

32 4

24 8

23 34

-

-

-

-

-

-

191

282

173

142

80

145

123

-

-

-

-

-

-

-

-

O O 0 64 26 O

O O 2 54

O O 0

O O 0

O O

O O

O O

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

O O 3 41 38 O

-

O

O

O

-

-

-

-

-

-

21

-

-

-

-

-

-

-

-

-

b

o

o

o

-

-

-

-

-

-

13

9

5

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

O

-

O

O 0 0 59 O

O 0 35 128

O

11.10 30 O O 0 O 124 O

14

-

465

465

470

470

474

-

-.

-

-

-

-

-

473

474

233

-

-

-

0 1 130 O

0 0 202 O

556

555

555

Fig. I Lo spazio politico francese negli anni Settanta e negli anni Ottanta.

D

S

2° turno

1° turno PCF I

I PS

I UDF I

I RPR

La quadrille bipolaire degli anni Settanta.

PCF

PS

UDF+RPR

FN

Il sistema a tre partiti e due metà degli anni Ottanta.

55

Tab. 2 - Sistema elettorale e «bipolarizzazione» negli anni Sessanta e Settanta

Totale seggi n. candidati eletti allo t.

Totaleballottaggidi2°t. n. ballottaggi binari

1958

1962

1967

1968

1973

1978

466 40 426 80

465 96 369 227

470 72 398 335

470 154 316 269

490 60 430 360

491 68 423 409

Tab. 3-Primi ministri «politici» e primi ministri «a-politici».

Presidente

10 primo ministro (»hommepolitique»)

2° primo ministro (»homme du president»)

Ch. de Gaulle 1958-1965

M. Debré 1958-62

G. Pompidou 1962-65

Ch. de Gaulle 1965-1969

G. Pompidou 1965-68

M. Couve de Murville 1968-1969

G. Pompidou 1969-1974

J. Chaban Delmas 1969-72

P. Messmer 1972-74

V. Giscard d'Estaing 1974-1981

J. Chirac 1974-76

R. Barre 1976-81

F. Mitterrand 1981-1988

P. Mauroy 1981-84 J.Chirac 1986-8 8

L. Fabius 1984-86

F. Mitterrand 1988-

M. Rocard 1988-1991 E. Balladur 1993-

E. Cresson-P. B&govoy 1991-1993

MI

0

Tab. 4-I tempi del1'era Mitterrand» e la dinamica partitica.

Presidente e Primo ministro

Maggioranza di governo RPR

UDF [PR-Rad.-CDS]

1978

Giscard d'Estaing Barre/UDF

1981

Mitterrand Mauroy/PS

PS-MRG + PCF Union de la gauche

1984

Mitterrand Fabius/PS

PS-MRG Monocolore socialista di maggioranza

1986

Mitterrand Chiarac/RPR

RPR + UDF Cohabitation

1988

Mitterrand 11 RocardlPS CressonlPS Brégovoy/PS

PS monocolore socialista di minoranza

1993

Mitterrand 11 Balladur/RPR

RPR

+

+

IJDF [PR-Rad.-CDS] Cohabitation

Opposizioni PS-MRG

+

PCF

Sistema partitico quadrille bipolaire

RPR

+

UDF

sistema a partito predominante

PCF, RPR

+

UDF, (FN)

sistema a partito predominante

PCF, PS-MRG, FN PCF, CDS, RPR

+

UDF [PR-Rad.], (FN)

PCF, PS, (Verdi), (FN)

sistema a tre partiti e due metà sistema a tre partiti e due metà

sistema a coalizione dominante

u

Ul 00

Tab. 5-Tipo di consultazioni e sistemi elettorali in Francia.

Tipi di consultazione

Frequenza

Sistema elettorale

ogni sette anni (o in caso di vacatio)

scrutinio maggioritario a doppio turno con collegio unico nazionale e ballottaggio riservato ai due candidati rieglio piazzati

Legislative

ogni cinque anni (o in caso di dissoluzione da parte del Presidente)

scrutinio maggioritario uninominale a doppio turno con soglia di ammissione al ballottaggio del 12,25% degli elettori iscritti

Senatoriali

ogni tre anni (rinnovato per 1/3)

scrutinio di secondo grado; quattro categorie di elettori: deputati, consiglieri regionali, consiglieri dipartimentali, delegati dei consigli municipali

Regionali

ogni sei anni

scrutinio pròporzionale su base dipartimentale, con soglia di esclusione del 5%

Cantonali

ogni tre anni (rinnovato per 1/2)

scrutinio maggioritario uninominale a doppio turno con soglia di ammissione al ballottaggio del 10% degli elettori iscritti

Municipali

ogni sei anni

scrutinio maggioritario di lista a doppio turno, con rappresentanza proporzionale delle minoranze nei comuni con oltre 9.000 abitanti

ogni cinque anni

scrutinio proporzionale su base nazionale, con soglia di rappresentanza del 5%

Presidenziali

Europee Referendum

-

per iniziativa del Presidente (Otto volte dal 1958)

Tab. 6 - Aspetti della volatilità elettorale in Francia nell'ultimo quindicennio 1978L.

1979E. 10

LII

'.0

1981P. 2° t.

Centro-destra Centro-destra + PN Sinistra

44,8 45,1 43,4

43,5

46,3

48,2

44,3

41,1

51,8

PS

22,8 88,2 11,8

23,7 87,8 12,2

25,8 87,4 12,6

51,8

«Quadriglia bipolare» Altre candidature Voti senza rappresentanza Astenuti

7,8 16,8

12,1 38,8

18,9

14,1

1988P. 1 0 t.

2 11 t.

1981L.

1984E.

1986L.

40,1 40,3 52,7

42,7 53,8.

32,0

42,6 52,4 41,0

36,4 50,8 40,9

46,0

36,6 92,8 7,2

20,8 74,7 25,3

31,3 83,6 16,4

34,1 77,3 22,7

54,0

2,8 29,1

13,2 42,8

2,8 21,5

18,6

15,9

t.

54,0

1988L

1989E.

1993L.

37,7 47,5 47,9

28,9 40,6 31 5 3

39,5 52,0 26,0

36,6 85,6 14,4

23,6 60,2 39,8

17,6 66,3 33,7

10,7 33,8

51,3

30,8

Dal vecchio sistema di blocco al nuovo blocco dei sistemi: i partiti nella Germania riunificata di Klaus von Beyne

L'unificazione tedesca è stato uno dei maggiori esperimenti sociologici «dal vivo» della storia. Essa è avvenuta senza un piano perché è sopraggiunta di sorpresa. I fatti si sono svolti con antico machiavellismo: Gorbaciov offriva fortuna, mentre il governo federale dava dimostrazione di virtzi costringendo gli economisti riluttanti a riconoscere la necessitì, dettata dalle condizioni sociali dell'economia tedesco-orientale in disfacimento e dall'esodo di centinaia di migliaia di persone. Il socialismo era stato adottato senza metodo, e questo anche in Russia. E dal passaggio all'economia di mercato poteva ancor meno scaturire un programma, in quanto ciò sarebbe stato contrario al sistema. Tuttavia è da notare che il governo democristiano esorcizzò i «diavoli» dell'economia pianificata con il «belzebù» di una società fiduciaria accentratrice e di una politica di privatizzazione su tutto il territorio.

Contrariamente agli altri paesi ex socialisti, nella Germania Orientale fu possibile affrontare immediatamente le questioni economiche. Dall'Occidente si importò l'ordinamento politico nella sua globalità. L'ordinamento giuridico

consentiva solo un regolamento transitono, per uno o due anni. A ciò è dovuto il fatto che l'autonomia dell'Est restò modesta anche al di sotto del livello statale - nell'ambito delle associazioni e dei partiti. Pressoché nessuna forza politica riuscì a sopravvivere alle elezioni del marzo 1990, che fecero registrare una travolgente vittoria elettorale delle forze anti-SED. Le elezioni dell'unificazione tedesca hanno ciònonostante portato disordine nel sistema.

Nell'Est l'identificazione con I. partiti era per natura modesta, in Occidente si allentò ancor più. Da tempo in Germania si discuteva se il concetto americano di identificazione partitica - che negli Stati Uniti si sostituisce, per così dire, alla formale appartenenza ad un partito di tipo europeo - fosse applicabile o meno.

LA RIUNIFICAZIONE A LIVELLO DI ELETTORI Non appena il concetto di identificazione partitica è parso essere riabilitato, la riunificazione tedesca ha prodotto una nuova anomalia nello sviluppo. In occasione delle elezioni della riunificazione non poteva esserci, nella Germa-

nia dell'Est, una lealtà di partito stabile.

La CDU e la FDP, i partiti con il maggior numero di iscritti, disponevano di organizzazioni precedentemente costituite tra i partiti di blocco. Sebbene l'organizzazione di partito della Germania riunificata abbia ereditato parte degli iscritti dai vecchi partiti di blocco, l'identificazione non si riferiva al vecchio partito di blocco, bensì ai gruppi di riferimento in Occidente, i quali, dopo un'iniziale riluttanza, accettarono come interlocutori e nucleo organizzativo la DDR-CDU (democristiani della Repubblica democratica tedesca) e la LDPD (liberal-democratici). Mentre nella Repubblica Federale ci si poteva basare sull'esistenza di un'alta percentuale di convinti sostenitori, pienamente identificati (CDu/Csu 62%, SPD 58%), nella Germania dell'Est il legame con il partito era molto debole (Alleanza per la Germania 15%, SPD 11%). Per il PDS (35%) ed i Grùnen (Verdi) (30%) i valori erano più alti. Ma anche in questi partiti la più forte identificazione nel partito difficilmente superava il livello del partito occidentale con la percentuale minore di sostenitori convinti, cioè quello dei Republikaner (27%), il quale proprio per questo è stato definito come tipico «partito di protesta del momento» 1 (cfr. Tab. 1). In tutte le analisi pertanto l'elettore della RDT del 1990 si configura come il classico elettore «post-moderno», privo di identificazione nel partito, guidato dal freddo calcolo del proprio vantaggio economico.

L'issue-voting in occasione delle votazioni per la Volkskammer del marzo 1990 sembrò contraddire anche altri principi interpretativi correnti nella Germania Ovest. La ricerca sociologica di costanti socio-strutturali ha scoperto un paradosso: il sud della RDT, maggiormente urbanizzato e con un'alta percentuale di forza lavoro qualificata, mostra una propensione particolarmente debole verso la SPD. Gli elettori di sinistra si localizzano piuttosto nel Nord agrario. Si poteva spiegare questa contraddizione esaminando le linee conflittuali interne nella RDT: la Turingia e la Sassonia si sentivano trascurate dal centralismo di Berlino Est. E stato il conflitto interno tra centro e periferia a portare al voto di protesta nel sud della RDT2 ; Anche le prime elezioni nella Germania riunificata non furono elezioni normali. In queste però le particolarità dei conflitti della RDT risultarono attenuate e si registrarono avvicinamenti ai comportamenti tedesco-occidentali che consentono di concludere che una unificazione elettorale in tempi relativamente brevi è possibile. Nel 1990 la Germania è stata teatro di un esperimento unico. Con una offerta di partiti ed una legge elettorale pressoché identiche è stata imposta l'unità a due aree elettorali.

Il comportamento della popolazione tedesco-orientale è stato fortemente determinato dal rapporto tra le forze nella RFT. L'elettore ha però trasposto l'offerta dei partiti tedesco-federali secon61

do le linee conflittuali della RDT. La spiegazione, seguendo il modello di Lipset e Rokkan, si basava nella RDT su tre linee conflittuali: conflitto di classe, conflitto confessionale, conflitto tra centro e periferia 3 .

Nel marzo 1990 i gruppi svantaggiati dal socialismo votarono prevalentemente per l'Alleanza. Il PDS ebbe l'appoggio dei privilegiati del sistema. Data questa polarizzazione, la SPD riportò un risultato negativo. Il voto ad un partito alternativo scaturiva piuttosto da condizioni che nella Repubblica Federale inducono a votare per i Verdi.

Gli elettori legati alla dimensione religiosa votarono contro il sistema della RDT. Le regioni del Sud, che ritenevano di subire imposizioni da Berlino, con il voto dato all'Alleanza espressero anche la loro protesta verso la metropoli. Per quanto chiara possa apparire a prima vista l'ipotesi di un conflitto tra il centro e la periferia nella RDT, non è possibile negare l'avversione del sud della Germania dell'Est contro Berlino.

Le zone svantaggiate nell'ex-RDT vanno peraltro localizzate al Nord piuttosto che al Sud. Al Nord - come in altri paesi socialisti fin giù in Bulgaria - le componenti della popolazione meno modernizzate hanno votato per le forze del vecchio regime.

Alle elezioni del marzo 1990 la distribuzione di forza dei partiti non è risultata un prodotto del caso. Una certa costanza dei componenti elettorali si è vi-• sta anche in occasione delle elezioni per

i Lànder e delle prime elezioni comuni per il Bundestag. Anche in tali occasioni le previsioni della vigilia si rivelarono errate.

La Forschungsgruppe Wahlen attribuiva all'SPD il 39% dei voti ancora nel giugno del 1990 4 . Pertanto anche nel 1991, nel quale non vi furono elezioni, le distribuzioni di simpatie accertate con le consuete interviste nelle giornate elettorali si dovevano accettare con la dovuta cautela. E probabile che i valori per la SPD tenderanno ad approssimarsi ai livelli tedesco-occidentali, in considerazione della socialdemocratizzazione della politica del governo Kohl a partire dalla primavera del 1991. E invece alquanto improbabile che il PDS riuscirà ad entrare ancora una volta nel Bundestag senza una particolare clausola di sbarramento per la Germania Est. Nei Landtage il PD5 potrà avere un suo ruolo anche in futuro, come partito regionale. L'arrivo dei Verdi di sinistra dall'Occidente ha rappresentato ad Est un ostacolo per questo partito, data la particolare difficoltà di dialogo tra gli ex rappresentanti dell'establishrnent ed il nuovo anti-establishment, sebbene entrambe le parti seguano una variante annacquata del patrimonio ideale marxista.

Specifici eventi hanno reso alquanto modesto lo spostamento dei rapporti di forza, in una tornata elettorale trionfale per i partiti di governo. I Verdi, ad esempio, riuscirono a mettersi fuori gioco da soli sebbene si fossero impegnati maggiormente - oltre al PDS - a

favore dell'istanza presentata a Karlsruhe, e coronata da successo, che aveva reso possibile la loro sopravvivenza in una unione di liste.

Alle elezioni per la Volkskarniner, eccetto che nel PDS, non erano in corsa dei politici che potessero già vantare un bonus personale. La presunzione di competenza dei partiti da parte dei cittadini qui era più importante del bonus personale come politico. Nelle questioni relative ai campi della politica considerati tipicamente socialdemocratici, quali la sicurezza sociale e la politica del mercato del lavoro, l'SPD ottenne un certo vantaggio sull'Alleanza. Ma nel corso della campagna elettorale la SPD, a causa dell'atteggiamento apparentemente tentennante nella questione dell'unità tedesca, si ritrovò largamente superata in tutte le questioni concernenti le prospettive economiche, nel suo vantaggio di competenza presunta rispetto all'Alleanza. Con la mobilitazione della paura economica, anche il PDS conquistò punti a spese dell'Spo5 .

Solo alle elezioni del Bundestag del dicembre 1990 il bonus di politico e di cancelliere si andò ad aggiungere alla presunzione di competenza dei partiti.

Nello Stato partitico parlamentare, l'orientamento dei candidati appare meno marcato che nello stato presidenziale americano. La ricerca sull'influenza della persona del cancelliere incontrò ulteriori difficoltà con la figura di Helmut Kohl, «candidato impopolare» con notevoli successi elettorali 6. Già la con-

sultazione del 1987 era stata una elezione atipica. Si arrivò alla parità tra Kohl (46%) e Rau (46%). Nel 1983 Kohl (44%) aveva avuto un vantaggio maggiore su Vogel (3 5%). Nella battaglia tra Schmidt (61%) e Strauss (29%), nel 1980, l'enorme vantaggio di Schmidt si tradusse in una vittoria elettorale molto risicata. Nella Repubblica Federale lo slogan auf den Kanzler kommt es an (quel che conta è il cancelliere) si rivelò giusto solo a certe condizioni. I legami con i partiti risultarono più forti dell'influenza del candidato che i due grandi partiti mandavano in pista per la battaglia elettorale.

Alle elezioni dell'unità del dicembre 1990 non era possibile stabilire in anticipo con chiarezza il vantaggio del candidato. Rispetto allo sfidante socialdemocratico Lafontaine, il Cancelliere Kohl andò in testa molto tardi, non prima del giugno 1990. Questo trend arrivò all'apice nell'ottobre 1990, quando Kohl raggiunse una accettazione del 60%. Ancora nella primavera del 1990 i valori di Lafontaine erano buoni. A partire dai primi mesi del 1991 le sue scettiche domande sui costi della riunificazione ed il suo atteggiamento titubante risultar9no senz'altro giustificati.

Ma con l'adozione delle prime decisioni inerenti l'unione monetaria non fu più possibile conquistare gli elettori ad una strategia della polarizzazione; questi sembrarono avere più fiducia nell'ottimismo economicamente poco illuminato del Cancelliere federale. Lo straordinario successo della politica di 63

riunificazione di Kohl sembrava confutare continuamente la propaganda psicologica negativa. La riunificazione tedesca divenne il tema dominante della fiacca lotta elettorale del 1990. Separare nettamente competenza del cancelliere e preferenza per gli issues presso gli elettori è pressoché impossibile. Ciò invalido la regola secondo cui la popolarita del governo dipende anzitutto dalla situazione economica7 e gli elettori reagiscono con minore forza alla stabilità del valore monetario che non alla crescita della disoccupazione. I partiti di opposizione affermarono a più riprese che la riunificazione tedesca poteva far aumentare la disoccupazione non solo all'Est. La maggioranza degli elettori credette però alle previsioni più ottimistiche. Indubbiamente gli sviluppi sarebbero stati diversi se, nel 1990, la situazione economica non fosse stata ancora così straordinariamente favorevole a un confronto internazionale, per la Repubblica Federale. Sembra che anche la traumatica preoccupazione dei tedeschi per la stabilità del valore monetario abbia messo in allarme solo poche persone, sebbene molti esperti economici criticassero della precipitosa unione monetaria, soprattutto i pericoli per la stabilità del valore monetario. Questa preoccupazione, con sorpresa della Bundesbank, si rivelò esagerata 8 .

Le elezioni della riunificazione hanno gettato scompiglio nella ricerca elettorale. Da un lato, dopo una separazione protrattasi per 41 anni, si registrò una sorprendente armonia della distribuzio64

ne dei partiti nell'elettorato. Le previsioni, ancora relativamente imprecise, per le elezioni della Vol/eskammer della RDT nel marzo 1990 consentirono già in dicembre delle proiezioni senz'altro buone. Solo per il Bùndnis 90/Griine, come in Germania Federale per i Verdi, le previsioni sbagliarono quasi del 100% (Tab. 2). La continuità del voto, oggetto di indagine da parte della Forschungsgruppe Wahlen 9, anche in Germania Est - confrontando le elezioni per la Volksleammer di marzo e le elezioni per il Bundestag del dicembre 1990 - si avvicinava alle percentuali di invariabilità occidentali. Per la CDU queste si collocavano addirittura al di sopra dei livelli occidentali. Il vantaggio dei sondaggi exit pools da un punto di vista metodologico è di intervistare - diversamente da altre indagini non gli aventi diritto al voto, bensì solo gli elettori effettivi, scontando con ciò la forte distorsione dei risultati che una minore affluenza alle urne potrebbe comportare. Le risposte pertanto sembrano offrire un quadro di maggiore affidabilità. Le differenze correlate al sesso - per quanto riguarda i partiti - si riscontrano ai margini dello schema: in Occidente i Verdi sono votati più dalle donne che dai maschi. Sono più uomini che donne a dare il voto ai Republikaner e al PDS. Il voto giovanile va in misura maggiore a questi tre partiti che non ai soliti gruppi. Fino al 1987 non vi sono state variazioni drammatiche nella correlazione alle classi sociali: il voto viene registrato, a seconda della profes-

sione del capofamiglia, nelle categorie operai qualificati, operai non qualificati, impiegati, funzionari (di livello inferiore e medio/dirigenti), lavoratori autonomi.

L'SPD ha perso voti in tutti i gruppi degli impiegati e dei funzionari e, nel 1987, in modo rilevante, anche tra i lavoratori autonomi. Tra gli operai qualificati l'SPD è riuscita a mantenere la sua percentuale del 52% e a portare al 55% quella tra gli operai non qualificati.

Negli anni Ottanta i partiti dell'Unione hanno registrato varie oscillazioni nelle percentuali relative agli operai. In Germania non è stato possibile avvalorare la tesi, sviluppata soprattutto in Gran Bretagna, del crescente voto conservatore degli operai qualificati. Anche in altri paesi ciò dipende fortemente dai relativi contenuti della politica' 0 Mettendo in relazione il voto e la confessione con le categorie professionali, si registrano perdite della SPD tra la classe operaia, specie quella cattolica. Nel 1987 ancora una volta aveva votato per la SPD un numero di operai cattolici al di sopra della media (44%). Nel 1990 la percentuale si ridusse al 34%. Ma anche tra gli operai non cattolici alla fine degli anni Ottanta la percentuale si ridusse dal 60% al 55%. Presso gli impiegati ed i funzionari, nonché i lavoratori autonomi, la tendenza era contraria, partendo da un livello più basso. Tra i funzionari e gli impiegati si rilevava un ulteriore incremento dell'FDP (Tab. 3).

Ulteriori perdite per l'SPD tra i cattolici ed i non cattolici si sono evidenziate .

mettendo in relazione l'iscrizione ai sindacati con i dati confessionali". Sorprendente era il notevole incremento della FDP tra gli iscritti cattolici ai sindacati della classe operaia: dall'l% all'll%. Solo le elaborazioni future potranno dimostrare se si tratta di uno spostamento durevole dei pesi sociali, o se la classe operaia cattolica legata ai sindacati abbia reagito negativamente soprattutto al candidato socialdemocratico alla cancelleria, Lafontaine, figura considerata lontana dai sindacati.

Per quanto riguarda la Germania Ovest e la Germania Est, devono àncora essere elaborati i dati per il 1990. E stato soltanto rilevato per la Germania Est che in gran parte la classe operaia ha fatto suo il pregiudizio della tesi britannica. Ma non perché essa sia affluent, bensì per motivi opposti: perché l'operaio, sfruttato come classe portante dello Stato, doveva digerire particolari delusioni derivategli dal sistema della RDT. Nell'ex RDT tra i Republikaner si contava un numero sorprendentemente alto di operai.

All'Est, l'elettorato della CDU è più che altro rurale, mentre l'SPD è rappresentata maggiormente nelle grandi città. Nel 1990 tuttavia la CDU aveva una posizione di dominio tale da sopravanzare la SPD in tutte le categorie professionali ed in tutte le classi.

Tra i giovani elettori la CDu è meno ben rappresentata che presso le altre classi di età. Bùndnis 90 e PDS, ma anche i Republileaner, risultano sovrarappresentati tra i giovani. Presso la SPD la di65

stribuzione per classi di età è equilibrata, mentre la FDP - specie ad Ovest conta soprattutto tra i 40-60enni 12 Bindnis 901Grùne e PDS - per quanto tra di loro ostili - ottennero molti voti tra gli impiegati (il PDS soprattutto dagli impiegati in posizione dirigente, i quali avevano fatto parte dei quadri direttivi del passato regime), ma anche tra gli studenti delle superiori e delle università.

Per ora è ancora problematica una analisi della struttura sociale nella parte orientale della Germania. Si risente ancora delle categorie strutturali del modello delle «due classi ed uno strato», inventato per motivi ideologici' 3 . Anche se queste classi sono state «inventate» per motivi ideologici, nel corso di 40 anni queste avevano sviluppato una forza determinante. Gli operai, come categoria, si comportarono semplicemente in modo diverso da quel che avrebbero dovuto fare secondo la sociologia elettorale occidentale. In una situazione post-rivoluzionaria vennero sospettati - in occasione delle elezioni per la Volkskarrimer, alle quali avevano già votato in misura massiccia per la CDu - di «mancanza di legami maturati» 14 . Per questo un unico problema, quello dell'adeguamento delle condizioni di vita attraverso la riunificazione, potè assumere una importanza capitale proprio in questa «classe». I voti per la CDU sono stati interpretati anche come azione di punizione contro la SED da parte degli operai. Alle elezioni per la Volkskammer, a Berlino, ha votato .

T.

invece per la SPD un numero superiore alla media di operai, e per il PDS un numero inferiore alla media. La spiegazione più probabile è quella della forza di penetrazione della SPD di Berlino Ovest.

Alle elezioni della Volkskammer, nel marzo del 1990 la Forschungsgruppe Wahlen si è avvalsa di un modello professionale che contemplava l'intellighentia nella vecchia forma, ma non la seconda classe portante, quella dei contadini dell'LPG (Landwirtschafihiche Produktionsgenossenschaft: consorzio di produzione agricola). Paradossalmente il PDS ha raggiunto la percentuale massima dei voti - dopo Berlino Est (30,2%) - nel Meclemburgo (22,8%), regione già definita da Engels come la più reazionaria. Qui dovrebbero aver avuto un ruolo importante i contadini dell'bG (come nel Brandeburgo, dove il PDs ha raccolto il 18,4% dei voti). Solo molto tardi si avverarono così le parole di Engels, secondo cui «Il diritto alla rivoluzione in effetti è l'unico diritto veramente "storico", l'unico sul quale si basano tutti gli Stati moderni senza eccezione alcuna, Meclemburgo incluso»' 5 . Una parte dei contadini della LPG venne spinta tra le braccia del PDS dall'incertezza per il futuro della «conquista» della riforma agraria. Da un'analisi Infas relativa alle elezioni della Volkskarnmer del marzo 1990, nelle regioni prevalentemente agricole è risultata una media del 18,6% dei voti per il PDS. Solo le regioni nelle quali prevalgono la burocrazia ed i servizi i

voti per il PDS si attestarono ancora più in alto, al 22,7%16.

Solo il vecchio partito di blocco, la Demokratische Bauernpartei Deutschland (DBD: Partito democratico contadino tedesco), sembrava rappresentare una alternativa per i contadini dell'LPG. Con il 4,9% dei voti raggiunse in Meclemburgo il miglior risultato.

Questa prima analisi trovò conferma nelle successive elezioni del 1990.

Quando il futuro delle LPG, una volta fissato nei documenti il rispetto della riforma agraria del 1946, da problema di ordine giuridico si trasformò in un problema di sopravvivenza economica, il PDS subì un forte crollo nelle zone nord-orientali della RDT. Nel Meclemburgo-Pomerania occidentale il PDS alle elezioni del Landtag nell'ottobre del 1990 scese dal 22,8% al 15,7% e nel Brandeburgo dal 18,5% al 13,4°h. Negli altri tre Under tedesco-orientali maggiormente industrializzati - il PDS erse invece solo il 2-3%.

E difficile arrivare ad un chiarimento definitivo del comportamento elettorale dei contadini dello LPG sulla base dei dati fin qui acquisiti. Nella sua analisi la Forschungsgruppe Wahlen non ha considerato specificatamente gli addetti all'agricoltura. Dai buoni risultati nelle regioni agrarie, l'analisi Infas ha invece dedotto un'elevata percentuale di voti per il PDS e la SPD nei piccoli centri.

D'altra parte dall'indagine svolta dall'Infas il giorno delle elezioni risulta che il PDS era rappresentato con il 9v/o tra le professioni agrarie, percentuale

altrettanto bassa di quella ottenuta tra gli operai. Solo tra i commercianti ed artigiani questa percentuale era ancora più bassa (4% dei voti per il PDS: Tab. 4). La categoria denominata nel vecchio regime intellighenzia, definizione a volte tradotta con «classe politica» in tedesco-occidentale 17 , era quella che aveva più privilegi da perdere. In questa categoria naturalmente la percentuale dei voti per il PDS era la più alta. Pertanto non fa meraviglia che Berlino Est sia diventata la roccaforte del PDS. Solo a Berlinò Est il leader del PDS, Gregor Gysi, è riuscito ad entrare nel Bundestag con un mandato diretto.

Nella ex Repubblica democratica tedesca, le principali linee di divisione tra i partiti erano costituite dalle regioni, dalle dimensioni del centro abitato e dalla professione. Di minore importanza risultarono la differenza di sesso e, sorprendentemente, la differenza generazionale. L'Alleanza registrava un leggero vantaggio presso i maschi, mentre negli altri partiti non vi erano pressoché differenze tra il voto maschile e quello femminile. L'Alleanza ha conseguito i risultati migliori nel gruppo generazionale di mezza età, la SPD tra la popolazione più anziana e il PDS tra i. giovani, tra i quali solo Bindnis 90 potè registrare una forza equivalente. In contrasto con quanto di solito risulta dagli studi in materia elettorale, nella RDT sono state più le giovani donne che non gli uomini a votare «a sinistra». A questo proposito sembrano essere stati determinanti i timori per le «conqui67

ste» delle donne. Tra i cittadini più anziani invece le donne appaiono più conservatrici dégli uomini.

Le elezioni del 1990 si dimostrarono atipiche anche sotto molti altri aspetti.

Non appena la ricerca elettorale 18 ha abbandonato il suo atteggiamento titubante nella questione della valutazione della capacità di persistenza dei Verdi, parlando di un «consolidato sistema quadripartitico», proprio tale sistema si ritrovato in pericolo nella Germania Ovest. A questo risultato ha certamente contribuito, pur non potendolo spiegare in toto, l'insolita tattica dell'AL che portò alla rottura della coalizione berlinese per avere lé spalle coperte contro la SPD durante la campagna elettorale. Anche i ricercatori elettorali di Mannheim non pensavano che il cattivo risultato elettorale del 1990 fosse da interpretare come la «fine dei Verdi» 19 .

Le elezioni berlinesi ebbero un ruolo particolare, in quanto coincidevano con le elezioni per il Bundestag della Germania riunificata. Proprio per questo la partecipazione elettorale (81,1%) fu nettamente superiore alla media federale. Vennero eletti direttamente tredici deputati, Otto della CDU, quattro della SPD ed uno del PDS (Gregor Gysi).

La CDU riuscì a rovesciare il governo formato dalla SPD e dall'Associazione dei Verdi di Berlino, ma tutti e tre i partiti consueti si collocarono al di sotto della media federale: la CDU ottenne il 40,3% dei voti, la SPD il 30,5% e la FDP il 7,1%.

La SPD subì drastiche perdite a Berlino Ovest, mentre la CDU registrò modesti 68

guadagni. Con il 9,2% dei voti (Berlino Est 30%) il PDS si affermò come terzo partito: non era un buon auspicio per le ambizioni da capitale di Berlino. I Verdi scesero dall'11,8% al 6,9%: una dura sconfitta, che rispondeva alla loro poco solidale politica di coalizione del periodo pre-elettorale, politica orientata regolarmente al conflitto con la SPD. Proprio questa lezione dovrebbe avere un effetto salutare nel futuro per un riordinamento dei Verdi.

Negli anni Ottanta la discussione americana suiio sganciamento degli elettori dai partiti è stata riproposta in Germania. Mentre in America non si presentava nell'arena una forza politica del tutto nuova, in Germania si pose l'interrogativo se l'afflusso di elettori verso i Verdi potesse essere equiparato ad un realignement. La linea di conflitto ecologica sembrò per un certo periodo condurre ad una nuova dimensione del conflitto. Per questo proprio in Germania dealignement e realignement poterono procedere di pari passo 20. Tra i temi di interesse per l'elettore l'ecologia e l'economia sembravano essere pressoche' di pari importanza 21 . Nel 1990 entrambi questi temi, sono stati rimossi, oppure percepiti attraverso le lenti della riunificazione. Indubbiamente nella RDT si arriverà al realigneinent. Fino ad ora non è stato possibile riempire con nuove strutture organizzative il vuoto politico lasciato dal socialismo reale in disfacimento. L'appartenenza ad un partito e anche la disponibilità ad organizzarsi in gruppi di in-

teresse sono ancora ben inferiori di quel che non lasci supporre la parvenza esteriore di un inserimento stabile nel sistema dei partiti tedesco-occidentali.

Solo un quinto dei cittadini della RDT intervistati dall'Infas alle elezioni per la Vol/es/eammer del 1990 aveva già una chiara identificazione in un partito, nel senso di definirsi «sostenitori convinti». Solo per il PDS e il Bindnis 90 la percentuale era maggiore. Nella vecchia Repubblica Federale, invece, i ricercatori elettorali si basavano sul fatto che i sostenitori convinti dei partiti rappresentassero il 52%-62%. dell'elettorato. Solo presso i Republikaner si contava - e ciò consola - una percentuale straordinariamente alta di elettori di protesta momentanei, privi di un legame durevole con questo partito. La SPD è stata penalizzata in modo particolare dalla modesta percentuale di sostenitori convinti alle elezioni nella Germania Est22 .

Negli studi elettorali finora realizzati, stato necessario separare la Germania Ovest dalla Germania Est. Quanto più a lungo durerà il processo sociale della riunificazione e quanto più costoso tale processo minaccia di rivelarsi, tanto più questi svilupperà la sua influenza sulla stabilità dei legami degli elettori sia ad Est che ad Ovest del Paese. Per questa ragione gli scarsi dati sulla forza di fatto dei partiti, per quanto riguarda iscritti e risorse, attualmente sono più eloquenti dei risultati delle elezioni del 1990. Privi di una sviluppata identificazione nei partiti, gli elettori tedesco-

orientali del 1990 hanno votato con relativa razionalità nel senso della loro preferenza di interessi. Ma ciò può cambiare in tempo relativamente breve.

INTEGRAZIONE DEL SISTEMA DEI PARTITI

Tra tutte le istituzioni di rilevanza politica sono i sistemi dei partiti a reagire con maggiore sensibilità ai nuovi conflitti sociali. Nella sua fase iniziale il sistema dei partiti della Repubblica Federale contava ancora partiti di livello regionale che davano voce ai conflitti tra il centro e la periferia. Anche nella ex RDT esisteva un conflitto tra il centro e la periferia. La Sassonia e la Turingia si sentivano sopravanzate da Berlino. La protesta regionale del Sud si unì al conflitto tra gli strati nel determinare il comportamento elettorale del marzo e del dicembre 1990. La classe operaia continuava a votare contro il sistema, specie alla fine dello «Stato degli operai e dei contadini». Ciononostante, le varie linee conflittuali continuarono ad avere una influenza sorprendentemente scarsa sui partiti della Germania Orientale. La riunificazione ebbe invece ef fetti relativamente limitati sul panorama dei partiti nella vecchia Repubblica Federale. I vecchi partiti di blocco abituati alla collaborazione - sostituirono i loro leader, in quanto gli insigniti del premio Lenin mal si adattavano ad uno scenario democristiano o liberale, e riuscirono a conservare gran parte degli iscritti. I partiti di blocco vennero

così inseriti senza frattura alcuna nel nuovo «blocco del sistema», basato sulla costituzione, prima ancora che questo blocco acquistasse validità nella RDT. Nel preambolo dell'accordo di coalizione tra la CDU, Dsu, SPD e Liberali del 12 aprile 1990 il nuovo blocco del sistema si impegnava a «mettere da parte gli interessi di ordine tattico dei singoli partiti e a formare una grande coalizione per il periodo di integrazione dei due stati tedeschi». Veniva già messa in discussione l'elaborazione di una costituzione per la RDT e ci si limitava a delineare gli obiettivi di contrattazione del nuovo governo per la «variazione della costituzione». Le organizzazioni sociali che godevano dei privilegi di partito nel vecchio sistema di blocco, quali i sindacati, le organizzazioni femminili, giovanili e dei contadini, ancora in parte rappresentate alle elezioni di marzo, non avevano alcuna possibilità di sopravvivenza. Il privilegio dei partiti della costituzione si è andato pienamente affermando nella RDT. I piccoli partiti come la Dsu che tentavano di sopravvivere politicamente a rimorchio della Csu naufragarono. La Dsu non è più rappresentata neanche nei Landtage della Germania Est. Al congresso del partito nel maggio del 1991 fu duramente criticata dagli amici bavaresi della Csu per le sue aperture verso i radicali di destra nella Repubblica Federale. Non è improbabile che i giorni di questo raggruppamento siano contati. Gli altri gruppi che facevano parte del governo di coalizione de MaiMA

zière si sono dissolti da tempo nel nuovo blocco del sistema.

Nella Germania Federale le ripercussioni sul sistema dei partiti sono state di tipo indiretto. Nessun raggruppamento della RDT era in grado di farsi proseliti, in particolar specie il PDS. Nel conflitto sulla giusta strategia per la riunificazione i rapporti di forza si modificarono.

Ma in considerazione dell'importanza dell'occasione, la vittoria elettorale della CDU/Csu risultava alquanto modesta. Solo la FDP usciva chiaramente vincitrice. I cambiamenti più importanti consistevano nella ulteriore marginalizzazione dell'estremismo di sinistra.

Il partito che nel contesto della riunificazione tedesca aveva subito la perdita relativamente maggiore era la Csu. E improbabile che la Csu possa mai ritornare ad essere il terzo partito, davanti alla FDP, anche se la FDP non dovesse conseguire vittorie spettacolari e la Csu non dovesse subire qualche altra perdita come in occasione delle elezioni del 1990. In un periodo di riflessione sulla perdita di status, la Csu fece uso nel dibattito di una spada arrugginita, già brandita occasionalmente da Franz Josef Strauss, senza mai arrivare ad un serio scontro a due con la CDU: quella di una candidatura Csu a livello nazionale. Nel periodo di opposizione, anche esponenti della CDU avevano preso parte alle riflessioni sull'opportunità di due partiti cristiani, che potevano meglio servire ad assicurare la maggioranza ai democristiani che non l'attuale assetto.

Le stime e le inchieste tra i votanti per l'Unione hanno dimostrato il carattere illusorio della speranza di poter ampliare, con una doppia candidatura dei partiti cristiani, il blocco degli elettori democristiani23 . Probabilmente le perdite della Csu in Baviera sarebbero maggiori dei guadagni della Csu nella Germania settentrionale. Solo nel Baden-Wiirttemberg viene data qualche chance alla Csu. Una candidatura a livello nazionale della Csu si configurerebbe pertanto per questo partito come un suicidio dilazionato nel tempo. I vertici della Csu sembrano averlo capito e nel 1991 hanno cessato di pensare seriamente ad un attacco ai rapporti di forza nel campo borghese.

Nelle strutture interne dei partiti si potrebbero ipotizzare dei cambiamenti durevoli del paesaggio dei partiti in tutta la Germania. Dopo la riunificazione il numero degli iscritti ai partiti tedeschi è mutato (Tab. 5). Un partito classico basato sugli iscritti come la SPD è riuscito a mobilitare solo 30.000 iscritti in più. La FDP, classico partito di notabili, ha quasi triplicato il numero dei suoi iscritti, passando da 65.000 a 178.000. E in Turingia che la FDP conta il maggior numero di iscritti (28.000) e non nello Sachsen-Anhalt, (24.000) dove ha conseguito il miglior risultato alle elezioni del dicembre 1990. Nel Meclemburgo e nel Brandeburgo la crescita è stata minore, pur ammontando pressoché al totale degli iscritti alla SPD dell'ex RDT. Con i suoi nuovi 186.000 iscritti la CDU Si colloca tra questi due

estremi. Queste cifre non possono essere spiegate unicamente con le speranze di carriera, se si considera che la CDU aveva da offrire un numero ben maggiore di posizioni di potere nei nuovi Linder rispetto alla FDP. Le spiegazioni correnti dello sviluppo delle iscrizioni ai partiti si rivelano in questo contesto del tutto inutilizzabili.

Nella prima fase della riunificazione, la SPD Si trovò fortemente ostacolata dal rifiuto di ogni forma di socialismo presso la maggioranza della popolazione nei Lànder tedesco-orientali. Il vantaggio dei due partiti borghesi in termini di affiliazioni dovrebbe ricercarsi principalmente in una certa continuità degli iscritti dei vecchi partiti di blocco. Non si dispone di dati su quanti fra i «nuovi» iscritti alla CDU e alla FDP fossero gi stati iscritti ai vecchi partiti di blocco, CDU e LDPD. Dato che negli anni Ottanta i due partiti contavano ancora, rispettivamente, 120.000 e 80.000 iscritti, sembra che una base di iscritti sia rimasta con il proprio partito anche dopo la svolta. Non si può escludere un eventuale guadagno netto di nuovi iscritti da parte della CDU, superiore alle nuove adesioni alla SPD. Nelle federazioni della SPD nei Lii nder tedesco-orientali l'aumento delle iscrizioni è stato in parte ostacolato dal divieto di ammissione per gli ex iscritti alla SED. Le federazioni locali potevano decidere in proprio sulle richieste di ammissione degli ex iscritti alla SED 24 e alcune federazioni regionali, ad esempio quella dello Sachsen-Anhalt, non hanno tenuto conto 71

di queste limitazioni. Ciò contribuirà kaner superarono la Dvu ottenendo il probabilmente al superamento della 7,1% dei voti, mentre alle elezioni per stagnazione dell'organizzazione della il Bundestag del 1990, pur conseguendo SPD tedesco-orientale, anche se i partiti il 2,1% sopravanzarono ancora di molborghesi potranno stigmatizzare in mito la NPD (0,3%). Nel 1989 la NPD racsura crescente «l'infiltrazione» della coglieva su scala federale 48 seggi nei SED nella SPD. consigli comunali. L'essersi uniti senza Non pochi commentatori nazionali e successo contro i Republikaner ha gettastranieri avevano temuto che nella Gerto questi gruppi in una profonda crisi mania riunificata ci sarebbe stato un au- acutizzata dalla rapida riunificazione mento dell'estremismo di destra e di si- della Germania. nistra. Nessuna delle due ipotesi si è ve- Sebbene i media - specie all'estero rificata. annuncino ad ogni piccolo aumento di L'estremismo di destra, dopo gli anni voti di qualche raggruppamento di di crescita a partire dal 1982, è caduto estrema destra l'inesorabile riproporsi in una profonda crisi. Il partito con la del pericolo neofascista in Germania maggiore continuità è la NPD (Partito mentre l'8% dei voti del Msi in Italia e nazionaldemocratico tedesco), che eb- l'll% per Le Pen in Francia vengono be una sua prima fase di crescita duran- accolti con ben maggiore pacatezza -, te la crisi economica del 1966-67. I na- finora non si è verificata alcuna nuova, zionaldemocratici non raccolgono che durevole distribuzione degli equilibri 7.000 iscritti. L'intero entourage delle di forza a seguito di una sterzata a deorganizzazioni di destra è stato stimato stra. Una qualche ridistribuzione dei nel 1989 in 35.900 unità25 . Parte di que- rapporti di forza si è avuta tutt'al più a sti gruppi erano in stato di forte ostilità seguito della drescita dei Verdi a partire reciproca. Appariva pertanto pericolo- dal 1980. so l'accordo elettorale raggiunto nel Nella terza ondata dell'estremismo di 1987 tra il NPD ed il gruppo Deutsche destra nella storia della Repubblica FeVolksunion per impulso di Gerhard derale Tedesca, la sfida dei RepublikaFrey, proprietario dei tre più impor- ner è apparsa particolarmente pericolotanti settimanali di estrema destra, tra sa. Per la prima volta la propaganda fecui la Deutsche Nationalzeitung. La coa- ce distinzione tra radicalismo di destra lizione venne poi a circoscriversi in e estremismo di destra. Sebbene il consenso riduttivo: la NPD -rinunciò a par- cetto di radicalismo non avesse per tratecipare alle elezioni europee del giu- dizione - contrariamente ai paesi neogno 1989, mentre la Dvu non prese par- latini - un significato molto positivo, i te alle elezioni per il Bundestag del Republikaner sono stati spesso classifi1990. Non si riuscì tuttavia a riunire le cati solo come «radicali)> e non come forze. Alle elezioni europee, i Republi- «estremisti». Nel 1989 solo la federazio72

ne regionale dei Republiieaner del Nordrhein-Westfalen venne tenuta in osservazione dai servizi di informazione 26 Gli spettacolari episodici successi dei Republi/eaner resero difficile ai partiti consolidati trattare con questa nuova forma di estremismo di destra. Per la prima volta un partito del genere ebbe l'appoggio di cittadini che fino a quel momento non facevano parte dell'estrema destra. Il «cortese vicino della porta accanto» non sembrava più particolarmente sensibile alla diffusa campagna antifascista. Alle elezioni per i Landtage del 1986, i Republikaner conquistarono il 3% in Baviera ed il 7,5% a Berlino (Ovest). Alle elezioni europee l'ostacolo della clausola del 5% venne superato in cinque Lànder federali, in Baviera col 14,6% dei voti. In alcune grandi città in cui più gravi erano i problemi della disoccupazione giovanile o della carenza di case, i Republikaner registrarono successi inaspettati, minimizzati come fuoco di paglia della protesta o consolidati in un partito della Weltanshauung estremista di destra (sulla base dei dati dei sondaggi) 27 . L'esame del legame elettori/partiti indica, lo si è già visto nella Tab. 1, che i Republikaner, contando soltanto su un 27% di sostenitori convinti tra i loro elettori, avevano a riguardo la posizione più debole tra tutti i partiti tedeschi. I successi dei Rir non restarono peraltro senza conseguenze rispetto alla strategia dei partiti di governo. L'esitazione del cancelliere Kohl nel riaffermare il riconoscimento del confine dell'Oder.

Neisse nel corso del processo di riunificazione tedesco può essere spiegato anche con la sua preoccupazione per questo potenziale nazionalista.

Il 62% dei Republikaner rifiutava infatti il riconoscimento del confine dell'Oder-Neisse28 . L'oscillante andamento elettorale di un partito che contava nel 1989 solo 14.000 iscritti sembra avvalorare l'interpretazione che motiva il voto di protesta su basi più politiche che sociali. Nell'ottobre del 1990 anche in Baviera la percentuale dei voti per i Republikaner scese al 4,9%: l'unificazione tedesca sembrava così porre almeno temporaneamente in ombra i Republi/eaner. Un sondaggio sulla propensione dei cittadini tedesco-occidentali ad una rapida attuazione dell'unità tedesca ha mostrato che tra i simpatizzanti dei Republikaner la percentuale dei sì era paradossalmente piuttosto modesta. Questo risultato depone piuttosto a favore del fatto che i motivi sociali soppiantassero le intenzioni elettorali di ordine politico. Molti Republikaner avevano infatti messo in risalto soprattutto i costi sociali ed economici dell'affrettata unità. Pareva così entrare nella sfera delle possibilità interpretative una forma di «protesta razionale» radicale di destra, fino a quel momento ritenuta impossibile dalle vecchie tesi fasciste 29 L'aspetto nuovo dei Republikaner era che il radicalismo di destra, pur mostrando chiari tratti autoritari in politica interna e del diritto, in politica economica si era avvicinato all'economia di mercato, non sostenendo più il cor.

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porativismo autoritario. Anche l'atteg- stimato in un multiplo di questa cifra. giamento tradizionalmente negativo Dopo il crollo della RDT, Si rese necesverso gli USA si era andato attenuando sario chiudeie il centro di formazione durante questa terza ondata. Nella di- giovanile della DKP, nonché case editrisposizione dei partiti su una scala de- ci e organi di stampa. Anche organizzastra-sinistra i Republi/eaner si trovano zioni collaterali quali la DFU (gli Amici chiaramente collocati a destra. Nel dell'unione tedesca), che si era a più ri1989 si trovavano più o meno nella po- prese e pubblicamente difesa con sucsizione attribuita nel 1980 alla Csu. La cesso dall'accusa di aver ricevuto finanposizione della Csu con l'avvento dei ziamenti dalla RDT, dovettero riconoRepublikaner si era spostata leggermen- scere che le fonti di finanziamento si te verso il centro 30. Nella mobilitazione erano improvvisamente esaurite. L'asdei loro elettori i Republikaner sono sociazione giovanile M5B Spartakus, un riusciti a raccogliere consensi non solo tempo vicina alla DKP, prese le distanze fra i gruppi tradizionalmente propensi dal partito. I tentativi di avvicinamento alla «politica di destra». E inquietante al PD5 vennero respinti. La DKP non soprattutto il fatto che anche gli operai riuscì ad essere accolta nella lista di sicattolici in Baviera ed in Alta Svevia ap- nistra per le elezioni per il Bundestag parissero disponibili alla tentazione del del 1990. Nel 1991, pertanto, la DKP radicalismo di destra. Il notevole rilietentò di prendere piede nell'ex RDT, vo dato a singole questioni, quali la po- raccogliendo quegli sbandati per i litica verso gli Asylanten e gli stranieri, quali il PDS era già troppo «occidentarendeva più difficile collocare i Republi- lizzato». kaner tra i partiti. Ma ciò riduceva an- Dal crollo della RDT e della SED nacque che il pericolo, perché i Republikaner - in occasione del congresso straordiebbero ancor meno successo dei Verdi nario di quest'ultima del dicembre 1989 nell'offrire un organico programma - il PDS (Partito del socialismo demopolitico. cratico). Il 6 dicembre 1989, dopo soli Anche l'estremismo di sinistra entrò in 44 giorni di presidenza di governo, si crisi verso la fine degli anni Ottanta, ritirò Egon Krenz, successore di Hoancor prima quindi di essere colpito dal necker. Gregor Gysi, neoeletto presicrollo del socialismo reale. Nella secon- dente del partito, promise per il futuro: da metà degli anni Ottanta la DKP (Par- «non si tratta di avere una tappezzeria tito comunista tedesco) scese da circa nuova, vogliamo un partito nuovo».

40.000 a 22.000 iscritti. Nel 1988 conta- Tale dichiarazione non era del tutto va ancora 500 funzionari a tempo pie- credibile: il partito abbandonò con rino. Tra i dati manipolati del rendicon- luttanza il vecchio nome (il 27 dicemto risultavano 7 milioni di marchi per bre, con 2753 voti contro 647, adottò spese di personale. Il costo effettivo era l'etichetta di compromesso SED-PDS e 74

solo il 4 febbraio 1990 la denominazione PDS) e anche il principio del centralismo democratico venne abbandonato con ritrosia. La continuità con la SED veniva relegata in secondo piano. Solo in materia di patrimonio il nuovo partito si è dimostrato saldamente attaccato al diritto di successione. Nel corso dei dibattiti del Runde Tish (la Tavola rotonda), Gysi e Berghofer si sono adoperati per lo scioglimento del servizio di sicurezza di Stato. Il governo Modrow ha però messo in atto questa dichiarazione con una titubanza tale da far nascere diffidenza32 . Solo nel periodo di interregno della Doppelherrschaft (doppio potere) - in contrasto con il senso leniniano originario - si verificò l'erosione del potere della vecchia SED. Molti «combattimenti di ripiegamento» del partito - tattiche previdenziali per i vecchi compagni e creazione di dati di fatto quali il trasferimento di terreni alla propria clientela - tennero viva la diffidenza verso la trasformazione interna di questo partito.

Nel suo programma il PDS ha ribadito la necessità di una alternativa socialista nonostante il fallimento del socialismo reale. Gregor Gysi sperava ancora che con le riforme nell'Unione Sovietica, o quantomeno in una Repubblica socialista federativa sovietica russa, il socialismo sarebbe ben presto diventato una «alternativa reale» al capitalismo 33 . La SPD ha rivendicato per decenni il socialismo democratico come punto programmatico; il PDS tentò di dimostrare che la SPD aveva concluso «la pace con

il capitale». Non è stata perdonata alla SPD dell'Est la sua partecipazione al governo de Maizière. Ma Hans Modrow non riuscì a dimostrare alla SPD che una coalizione alternativa sarebbe stata possibile, quando definì questo passo come un suicidio nel senso degli interessi propri dei socialdemocratici 34 . Anche in questo punto il PDS Si presentò come il partito successore della SED. Pur riconoscendo che sotto il vecchio regime la SPD aveva subito ingiustizie e sebbene volesse restituire parte del patrimonio confiscato alla SPD, il PD5 era costretto a distinguersi soprattutto dai socialdemocratici.

Il PDS venne ostacolato nel suo sviluppo anche perché non ebbe la forza di rompere ogni continuità con la Sui Più eloquente di qualsiasi continuità politica apparve l'aver preso possesso dell'intero patrimonio della SED. Gregor Gysi si lamentò in un'intervista che nessun giornalista dimenticasse di aggiungere a PDS la dicitura «partito successore della SED».

In realtà era stato lo stesso PDS a dichiararsi partito successore della SED e gli espedienti impiegati per nascondere ed occultare parte del patrimonio della SED avevano rafforzato, anziché dissipato i sospetti. Già nel contratto di coalizione dei partiti della RDT dell'aprile 1990 si affermava di voler «espropriare e consegnare al bilancio pubblico i patrimoni acquisiti indebitamente». La legge sui partiti della RDT, entrata in vigore il 10 giugno 1990 e tuttora in vigore, e il trattato di unificazione erano già 75

volti a garantire che l'enorme patrimonio della SED non avvantaggiasse il PDS durante la campagna elettorale e non determinasse distorsioni competitive. Il patrimonio dei partiti e delle organizzazioni di massa venne posto sotto amministrazione fiduciaria. Una commissione indipendente e la Treuhandanstalt (Società di amministrazione fiduciaria), cooperarono alla verifica del patrimonio. Sebbene il PDS abbia contestato a lungo che il patrimonio della SED fosse stato acquisito indebitamente, era stato il partito stesso a far sorgere dubbi in merito.

Ai tempi di Modrow, ad esempio, il PDS offrì alla SPD parte di quel patrimonio come riparazione per l'unificazione coatta dei beni della SPD con quelli della KPD-SED avvenuta cinquant'anni prima.

Nel novembre del 1990 la direzione del PDS decise di trasferire l'80% del patrimonio in questione alla Treuhand in cambio della rinuncia alla revisione del restante 20%.

Sotto il profilo dello stato di diritto questa procedura appariva dubbia; in considerazione delle annose controversie giuridiche che in questo modo potevano essere evitate poteva invece essere praticamente un vantaggio. Gysi considerava così estinte le colpe del partito: «Abbiamo consumato in minima parte il 75% della proprietà ed in massima parte l'abbiamo consegnata, in gennaio tre miliardi di marchi. Nessun altro partito ha consegnato un solo oggetto o un solo marco»36 .

Il giornale Neues Deutschland erá parte

!I1

del patrimonio del partito. Quando la Treuhandanstalt ricordò l'obbligo di rendiconto, il PDS stigmatizzò questo fatto come un attacco senza precedenti alla libertà di opinione 37 .

La SED era scesa da 2 milioni e 300.000 iscritti (metà 1989) a meno di 650.000 (marzo 1990). Nel corso del 1991 gli iscritti scesero a 241.000. La vecchia clientela della SED Si trovava esposta a notevoli incertezze, dovute alle aperture del partito guidato da Gysi, che favorirono l'ingresso di uomini tedesco-occidentali di sinistra. Dal punto di vista quantitativo il PDS non costituiva ancora una entità di rilievo nella Germania Occidentale (secondo le sue stesse indicazioni vi conta circa 5.000 iscritti).

Già alle elezioni per il Bundestag del 1990 era però evidente che una parte dei Verdi di sinistra era simpatetica col PDS, e invitava ad appoggiarlo alle elezioni. Molti Verdi di sinistra, ad esempio Jutta Ditfurth o Christian Schmidt, ben presto sentirono ripulsa per il PDS, definendolo il «Club dei nostalgici della SED»38 .

Per la maggioranza dei Verdi una più stretta collaborazione con il PDS non era neanche da prendersi in considerazione: il partito gemello era Bùndnis 90, vittima del vecchio regime della SED, anche se, con grande danno per i Verdi, non si era fatto a tempo a presentare liste comuni alle elezioni per il Bundestag.

Alle elezioni per il Bundestag del 1990 il PDS Si è presentato nella lista dell'alleanza elettorale della Germania riuni-

ficata PD5/Linke, alleanza che risultò in larga misura una sorta di «autocontrazione». L'unico gruppo con una certa rilevanza potenziale era la DKP, i cui iscritti, in calo, venivano stimati in 10.000.

La DKP cercò di essere accolta nell'alleanza. Ma in considerazione del suo dogmatismo e del mantenimento del principio del «centralismo democratico», abbandonato invece dal PDS, gli strateghi del partito di Gysi non ritennero opportuno un tale accostamento.

La vera forza del PDS stava nella categoria impiegatizia che aveva tratto profitto dal vecchio regime.

Armonizzare questa clientela con la nuova sinistra non ortodossa della vecchia Repubblica Federale risultò, sia in termini ideologici •che di stile di vita, quasi impossibile. La collaborazione fu resa più ardua dall'invadenza ideologica dell'Ovest e dal tradizionale clientelismo dell'Est. Questa base sociale eterogenea offriva al PDS poche chance di crescita. Nel 1990 il suo declino si profilava di elezione in elezione. Il PDS p0trà forse sopravvivere come partito regionale in qualche Land dell'Est; è alquanto improbabile invece che possa di nuovo entrare al Bundestag quando la clausola di esclusione del 5% varrà per l'intera Germania unificata. Inoltre, nel 1991, in Baviera è stato chiesto per la prima volta di vietare il PDS39 .

Il precedente del bando della KPD Kommunistische Partei Deutschland (Partito comunista della Germania) da parte della Corte di Karlsruhe non è a riguar-

do incoraggiante 40. Per la Germania unificata il dover lavare con manovre analoghe il marchio di illiberalità non sarebbe però una pagina gloriosa considerando che tutti gli altri paesi ex socialisti tollerano i partiti successori dei partiti comunisti.

I Verdi sono stati il partito più ostile alla riunificazione. A lungo ignorarono la realtà degli umori del Paese. L'aver evitato di stabilirsi ad Est, si tradusse in una tardiva politica di alleanza con Bùndnis 901Grùne. L'aver ignorato la realtà dell'inarrestabile processo di unificazione ha portato i Verdi in occasione delle elezioni della riunificazione al di sotto della soglia del 5% e quindi all'esclusione dal Bundestag.

Bùndnis 901Grine si è così ritrovato a dover rappresentare da soio le posizioni verdi in parlamento.

Il gruppo non ha dovuto confrontarsi con le difficoltà affrontate dai Verdi nel 1983, alloro primo ingresso nel Bundestag. Come rappresentanti della rivoluzione pacifica nella RDT, Bindnis 901 Griine è stato considerato con una certa• benevolenza, e ciò in un primo tempo sembrò coprire l'ostilità dei partiti consolidati. Per Biindnis 90 le difficoltà scaturivano semmai dalla sua distanza rispetto ai Verdi. Il gruppo non si sentiva il successore dei Verdi al Bundestag. Secondo Bùndnis 90, i Verdi avevano ottenuto troppo poco in Otto anni di attività parlamentare. Al Congresso dei Verdi di Neumùster (aprile 1991) la profonda frattura emotiva tra i Verdi dell'Ovest e dell'Est divenne evidente 41 .

77

La sconfitta dei Verdi tedesco-occidentali alle prime elezioni comuni promosse inoltre anche a livello nazionale un processo di moderazione e contenimento degli obiettivi da tempo avviato a livello di Land. Molte federazioni regionali avevano già rinunciato a professare il parlamentarismo ed il principio maggioritario in senso meramente tattico. Per future coalizioni - come ad esempio in Assia nella primavera del 1991 - si pensava a «normalissime coalizioni».

Questo nuovo orientamento si affermò a livello nazionale non senza scene tumultuose. Il congresso di Neumiinster adottò a riguardo importanti riforme.

Dalle risoluzioni del partito sparirono le dichiarazioni anticapitaliste. La struttura organizzativa venne riformata attraverso la sostituzione del comitato direttivo nazionale con i consigli di Land.

L'ala moderata uscì rafforzata da questa accresciuta influenza dei dirigenti regionali. L'unica concessione all'ala fondamentalista fu il mantenimento della separazione tra cariche di partito e mandato elettorale che l'ala pragmatica voleva invece abbandonare. Jutta Ditfurth, in qualità di esponente dei fondamentalisti, annunciò la sua uscita dai Verdi con il plauso della maggioranza.

Nonostante tali risultati, i tumulti non hanno però rafforzato le prospettive di una coalizione tra SPD e Verdi nei Lander.

Il mito del «partito di tipo nuovo» andò in frantumi. Alla democrazia di base subentrava anche nel caso dei Verdi «il 78

rigido predominio delle élites di corrente»42. Per assicurare una qualche continuità con la vecchia retorica, venne proposto di democratizzare le scelte mediante un sistematico ricorso al referendum. Non si percepì che anche tale strumento avrebbe riprodotto nel gruppo parlamentare le vecchie battaglie, questa volta per la formulazione della domanda da sottoporre agli associati, e che il pluralismo elitario su base plebiscitaria non avrebbe necessariamente promosso una partecipazione di base non manipolata.

All'inizio degli anni Novanta anche secondo osservatori ben disposti verso di loro, era evidente che la tendenza dei Verdi a puntare ad una auto-mobilitazione dell'ambiente non era affatto fruttuosa. Ne erano derivate una Strutturazione debole e l'esasperazione dei conflitti interni.

Anche se è prematuro definire i Verdi come un'«edizione tascabile dell'UsPD» dei primi anni della repubblica di Weimar (Joschka Fischer), il movimento ecologista sembra minacciato da un destino simile43 . Le elezioni per il Bundestag del 1990 hanno però dimostrato che nella ex Germania Occidentale non solo la SPD ma anche i Verdi erano stati coinvolti in un processo di invecchiamento.

La tesi generazionale, insieme all'impegno per la «nuova politica», sembrò acquistare di plausibilità rispetto alla ipotesi di un uniforme trend di crescita delle idee postmaterialistiche. In tempi di costante crescita economica alla fine de-

gli anni Ottanta la gara per accaparrarsi i voti della nuova classe media, specie degli impiegati qualificati e dei giovani in formazione, si è fatta sempre più accesa.

I Verdi riconobbero il fallimento del loro concetto di democrazia di base. Al congressi, i delegati che andavano esponendo le loro opinioni non erano più numerosi di quelli dei partiti consolidati. La differenza consisteva nel fatto che la rapida circolazione del personale ostacolava la continuità. La rotazione, pur se prolungata ad Otto anni - come presso la maggior parte delle federazioni regionali e dal 1991 anche a liv'llo nazionale - ha impedito la formazione di quadri di partito. Nel 1989 ha abbandonato Otto Schilly; nell'aprile 1991 Petra Kelly ottenne un risultato scoraggiante alle elezioni per le cariche del partito. Il partito, che si era presentato come fautore di una nuova umanità in politica, continuava a comportarsi in modo a dir poco disumano con i più meritevoli portabandiera del movimento. Il concetto di democrazia di base non ha prodotto neanche un miglior controllo sulla direzione del partito. Il controllo, in quanto critica in blocco, ebbe fin da principio un effetto distruttivo e trascurò un controllo mirato a singoli contenuti e orientato al successo delle decisioni del partito. In questo modo è stata finora impossibile una politica di carattere professionale. Non si è riusciti a superare i limiti di un movimento settoriale e a dotare il partito di

una propria solidità a livello organizzativo.

Viste dall'America queste difficoltà non apparivano tali. Ciò che in Europa, con la sua fedeltà all'immagine dei partiti popolari rigidamente organizzati, poteva apparire arcaico, veniva accolto occasionalmente in America come l'avanguardia di una americanizzazione della politica europea. E stato fatto notare che anche la SPD ebbe bisogno di 40 anni, e la CDU di quasi 30, per sviluppare una solida organizzazione di partito44 . Un tempo l'avversione di Ostrogorski per gli apparati di partito appariva di natura utopico-socialrivoluzionaria; con i Verdi, la visione di Ostrogorski che concludeva «abbasso i partiti, viva la lega» (intesa come confederazione flessibile di gruppi) sembrava essersi concretata. Ma anche per conclusioni di questo genere è troppo presto. Appare più probabile un compromesso tra i principi del feticismo organizzativo di stampo continentale europeo ed il sistema flessibile dei movimenti di opinione che ha in larga misura dominato la politica americana, specie al di sotto del livello nazionale.

Tutti i grandi partiti sono dovuti arrivare ad un equilibrio precario tra la propria organizzazione e lacooperazione con un qualche movimento. Se i Verdi vogliono collocarsi a sinistra della SPD dovranno continuare a presentarsi come movimento alternativo per proteggersi dall'inglobamento nella SPD. Se il partito però vuole diventare e restare capace di entrare in una coali79

zione, allora non potrà appoggiarsi troppo al «movimento». L'equilibrio tra distanza e vicinanza dovrà essere elaborato in maniera tale che i Verdi vengano ancora accettati come partito dal movimento tuttora esistente e dal suo ambiente 45 .

Le chance di successo accreditate ai Verdi dipendono largamente dalla spiegazione del comportamento elettorale fornita dai ricercatori. La ricerca elettorale di impostazione socio-strutturale, nonostante i metodi comuni, non è riuscita a dire se, a seguito dell'affermazione dei Verdi nel sistema dei partiti tedeschi era emersa una nuova duratura linea conflittuale (cleavage) o se i Verdi costituivano un fenomeno passeggero, limitato ad una generazione. I ricercatori che si sono accostati ai Verdi con spiegazioni di carattere socio-psicologico, sulla base di sondaggi di opinioni e di idee, hanno accreditato al gruppo una maggiore rilevanza potenziale, rispetto ai teorici delle linee di conflitto sociali. Ogni nuovo calo di consensi peraltro, e in particolare il crollo del dicembre 1990, ha prodotto nuove ipotesi ad hoc. La loro validità di breve durata era in singolare contrasto con gli sforzi teorici e concettuali della ricerca.

Le previsioni dei ricercatori elettorali raramente si sono rivelate migliori di quelle degli esperti di partito che operavano in modo convenzionale.

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CONCLUSIONI La pubblicistica sulla «crisi dei partiti» è un settore in espansione. Ad essere criticato in modo crescente è il fenomeno di «sganciamento» della classe politica. Gli scandali finanziari hanno minato la fiducia nei suoi confronti. Tra tutte le funzioni svolte dai partiti, la politica di reclutamento aveva fatto registrare i maggiori successi. La penetrazione in tutti i campi, anche in quello dei media pubblici, non è però molto popolare tra gli elettori. I «giganti irresoluti»46 tuttavia non hanno avuto una seria concorrenza. I «nani» non erano meno irresoluti: i Verdi si trovavano in una crisi profonda ed i Republikaner hanno non poche difficoltà a darsi il profilo di un partito che lavora con continuità. I sostenitori di queste ultime formazioni sono i più diffidenti verso i partiti: il 77% degli elettori dei Republikaner ed il 65% di quelli dei Verdi non ha fiducia nei partiti. Ciò vale peraltro anche per I. partiti di governo; solo il 46% del loro elettorato ha affermato di nutrire fiducia nei partiti 47 .

La tesi della crisi dei partiti continua a basarsi su sondaggi di questo genere.

Non vi è dubbio che con il 37% i partiti raccolgono la percentuale di fiducia più bassa espressa dai cittadini nei contenuti delle istituzioni; solo i giornali conseguono un risultato ancor peggiore 48 . Il 55% dei cittadini, del resto, continua a considerare la politica uno «sporco affare»49 . E di conseguenza non hanno troppa stima per coloro che la svolgo-

no. È aumentata però la cognizione del fatto che i partiti sono irrinunciabili.

Solo nella ex Germania Est questa cognizione non è ancora molto sviluppata.

Note 17 D. Roth, Die Wahlen zur Volkskammer in DDR, cit., U. Feist e H.-J. Hoffmann, Wabien in der DDR 1990: p.379.

Referendum fzr die Einheit und Exempelfur ein moderIO M. Kaase e H.D. Klingemann (a cura di), op. cit., P. nes Wabiverbalten, «Journal fùr Sozialforschung», 732.

1990, p. 274.

2 R.-O. Schultze, Wiihlerverhalten und Parteiensystem, 20' W. Gibowski/M. Kaase, art, cit., p. 20.

Dalton e Rohrschneider, in M. Kaase/H.-D. Klin«Der Biirger im Staat», 3, 1990, p. 143. gemann (a cura di), op. cii, p. 322.

Th. Emmert, Konfliktlinien, Sozialismus und Wahl2!

Kiichle, in M. Kaase e H.D. Klingemann (a cura di), verbalten. Eine sozialstruktureller Erkhrungsversuch op. cii, p. 443.

DDR, del Volkeskammerwahlen am 8. Marz 1990 in der 22 Cfr. U. Feist e H.J. Hoffmann, art. cit., p. 274.

Tesi di Magister, Heidelberg, 1991, pp. 87 e ss.

23 J.W. Falter e S. Schumann, Konsequenzen ezner bunD. Roth, Die Wahlen zur Volkskammer zn der DDR, desweiten Kandidatur der Csu bei Wahlen, «Aus Poli«Zeitschrift fiir Parlamentsfragen, 1990, p. 391. tik und Zeitgeschichte», 11/12, 1991, pp. 33-45.

U. Feist e H.J. Hoffmann, art. cit., p. 269.

24 Confronta: Frankfurt Allgemeine Zeitung, 25 mar6 Der unbeliebte Kanzler Helmut KobI in D. Roth, zo 1991,p.4.

Licht (oder Schatten?) demoskopische befunde, in R. Ap- 25 Verfassungschutzbericht 108, 1989, pi30. pel (a cura di), Helmut Kohl in Spiegel seiner Macht, 26 Ivi. Bouvier, Bonn, 1990, pp. 285-299.

27 R. Stòss, Die extreme Rechte in der Bundesrepublik, Norporth, in M. Kaase/H.-D. Klingemann (a cura Westdeutscher Verlag, Opladen, 1989, p. 221. di), Wahlen und Wdhler. Analysen aus Anlass der Bun28 Cfr. il sondaggio pubblicato su Der Spiegel, 15, destagswahl 1987, Westdeutscher Verlag, Opladen, .1989, p. 156.

29 1990, p.327.

FU. Pappi, Die Republikaner im Parteiensystem der 8 Cfr. Monatsberichte, febbraio 1991, pp.8 e ss.

Bundesrepublik, «Aus Politik und Zeitgeschichte», 21, ' Bundestagswahl 1990. Eine A nalyse der ersten gesam1990, pp. 44, 38. tdeutschen Bundestagswahl am 2. Dezember 1990, For- 30 Ivi, p. 41. schungsgruppe Wahlen, Mannheim, 1990, p. 25.

Verfassungsschutzbericht, 1989, p. 28.

IO 32 Dòring in M. Kaase e H.D. Klingemann (a cura di), U. Thaysen, Der Runde Tisch. Oder: Wo blieb das op. cit., pp. 74 e ss.

Volk?, Westdeutscher Verlag, Opladen, 1990, p. 119.

W. Gibowski/M. Kaase, Aufdem Weg zum politi" L. Runge-Stelbrink, Gregor Gysi: Ich ben Opposischen Alltag. Eine Analyse aus Anlass der ersten Gesamtion, Dietz, Berlino, 1990, p. 9. tdeutschen Bundestagswahl, «Aus Politik und Zeitge- 14 H. Modrow, AuJbruch und Ende, Konkret Verlag, schichte», 11/12, 1991, p. 17.

Amburgo, 1991, p. 106.

12 Frankfurt Allgemeine Zeitung, 27 febbraio 1991, Bundestagswahl 1990..., cit., p.36.

13 Sozialreport 1990. Daten und Fakten zur sozialen La- pi7. ge der DOR, Wissenschaftszentrum in Berlin, Berlino, 36 L.Runge-Stelbrink, opcit., pi3.

Frankfurt Allgemeine Zeitung, 2aprile 1991, pL3.

1990, p. 15.

14 D. Roth, Diè Wahlen zur Volkskammer in der DDR, 38 Der Spiegel, 17, 1991, p.9l.

11 primo ministro Streibi sosteneva la tesi secondo cit., p377.

15 cui: «il Pus sta alla SED così come la NSDAP nel 1946 saMEW, vol.7, p.524.

16 rebbe stata a una 'nuova' formazione che avesse contiCfr. U. Feist e Hj. Hoffmann, ari cit., p. 261.

81

nuato ad agire senza problemi sotto la guida di Hermann Gòring e del Gauleiter della Sassonia». Bild am Sonntag, 5 maggio 1991.

40 Quando, nel 1956, questo divieto venne pronunciato, Adenauer non vi aveva più alcun interesse, per via della ripresa dei rapporti diplomatici con l'Unione Sovietica. La DKP, la cui leadership e il cui programma non erano certo rinnovati, poté esistere solo per la tolleranza dei principali partiti. Cfr. W. Mensing, Wir wolien unsere Kommunisten wiederhaben, Demokratische Strthilfen Zurigo die Grùndung der DKP, Interfrom, Zùrich, 1989.

4!

J Verdi tedesco-orientali si espressero in termini sprezzanti su quella «associazione puberale»; i Verdi tedesco-occidentali fecero fatica ad imporre la percentuale di tedeschi orientali, dato che molti delegati con-

82

sideravano «filistee e fiduciose nell'autorità» le candidature presentate.

42 R. Van Hùllen, Ideologie und Machtkampf bei dcii Grinen, Bouvier, Bonn, 1990, p. 475.

J. Raschke, Die Grinen nach zehn Jahren - der erste oder das letzte Kapitel?, «Gewerkschaftliche Monatshefte», 4, 1991, p. 247.

H. Kitschelt, The Logics of Party-Formation. EcologiCal Politics in Belguum and West Gerinany, Cornell UP, Ithaca, 1989, pp. 287 e 310.

F.U. Pappi, Die Anhànger der neuen sozialen Bewegungen un Parteiensystem der Bundesrepublik, Aus Politik und Zeitgeschchte, 26, 1989, p. 27.

46 R. Wildemann, Volkspateien. Ratiose Riesen?, Nomos, Baden-Baden, 1989.

Emnid Information, 9-10, 1990, p.39.

48 Ivi, pp.31 e ss.

R.Wildemann, op.cit., p48.

Tab. i - Legame con i partiti nella Germania Ovest e nella Germania Est al momento della riunificazione (valori percentuali)

RDT nel complesso fra i sostenitori di: Alleanza per la Germania SPD PDS Liberali Verdi Biindnis90

sostenitori convinti

partito preferito

nessuna indicazione

18

78

4

15

81 84 64 80 57

91

4 5 1 4 13 4

58

40

22

62 58 56.

52 27

37 40 43 46 73

1 2 1 2 0

11 35 16 30 5

RFT nel complesso fra i sostenitori di: CDU/CSU SPD FDP Verdi REP

Domande: Qual è il partito politico che attualmente le piace dipis?

Potrebbe asserire di essere un sostenitore convinto ditale partito?

Fonti: Indagine rappresentativa nella RDT (campione composto da 2.529 persone dai 18 anni in su), Deutscher Fernsehfunk/Infas, marzo 1990, RandomAuswahl; Indagini rappresentative Infas sul territorio federale, inclusa Berlino Ovest, P trimestre 1990 (campione composto da circa 5.600 persone dai 18 anni in su), Random-Auswahl.

83

00

Tab. 2 - I sondaggi della vigilia e il voto del dicembre 1990, a confronto con le elezioni per il Bundestag deI 1987 e della Volkskammer del 1990 Bundestag 1987

Ovest

Bundestag 1990

Sondaggio i Sondaggio 2

CDU/CSU SPD FDP Verdi

44,3 37,0 9,1 8,3

PDS Biindnis 90/Griine Republikaner

42,5 34,5 10,0 8,5 2,5

42,0 37,0 10,0 8,5 0,3

Est

Volkskammer

Ovest

Tot

Est

Sondaggio 3

1990

44,1 35,9 10,6 4,7

43,8 33,5 11,0 3,6 2,4 1,2 2,1

43,4 23,6 13,4

44,0 24,0 10,5

9,9 5,9 1,3

9,5 9,0

40,8 21,9 5,3 2,0 16,4 2,9 6,3

2,3

(DSU) Votanti Fonte: Allensbach.

84,3

78,5

77,8

74,5

93,2

Tab. 3 - Voto e confessione secondo la categoria professionale nella Germania Ovest (valori percentuali) Operai Non cattolici

Cattolici Voto CDU/CSU FDP SPD Verdi

N.

1976

1980

57 3 39 -

52 7 40 0

244

155

1990

1976

1980

1983

1987

1990

47 58 4.3.

44 36 2 6

52 6 34 5

24 8 67.

-

17 12 70 0

33 1 63 3

25 5 60 9

36 3 55 5

164

109

207

186

211

346

144

1983

1987

320

Funzionari ed impiegati Non cattolici

Cattolici Voto CDU/CSU FDP SPD Verdi

1976

1980

1983

1987

1990

1976

1980

1983

1987

1990

65 8 27

51 9 39 2

67 21 9

58 8 25 6

55 13 29 2

34 14 51

36 18 43' 2

47 3 41 8

35 12 39 13

34 19 36 8

181

160

351

221

254

241

206

381

311

-

200,

N.

5

-

Lavoratori autonomi Non cattolici

Cattolici Voto CDU/CSU FDP SPD .

Verdi

N.

1976

1980

1983

1987

1990

1976

1980

1983

1987

1990

74 3 23

76 11 11 2

71 16 6 6

72 16 '12

54

-

68 4 24 0

-

-

48 20 20 3

45 22 21 2

45 27 22 6

52 19 20 9

52

52

41

79

43

70

63

58

95

76

7

39

'

Fonte: Sondaggio post-elettorale della Forschungsgruppe Wahlen, Mannheim, in W.Gibowski e M.Kaase, Aufdem Weg zum p01itischen Alltag. Eine Analyse aus Anlisss de,- ersten Gesamdeutschen Bundestagwahl, Aus Politik und Zeitgeschichte, 11/12, 1991, p17.

85

00

o'

Tab. 4 - Il comportamento elettorale secondo la categoria professionale nella Germania Est (valori percentuali)

Professione

Alleanza per la Germania di cui: CDU DA DSU Liberali SPD Verdi Biindnis '90 PDS DBD altri

Totale

Operai

Impiegati

Dirigenti

Intellighentia

Autonomi.

Studenti sup. e univ.

48,1 40,9 6,3 5,3 21,8 2,0 2,9 16,3 2,2 1,4

55,4 47,4 7,2 3,7 22,2 1,5 1,6 11,9 2,6 1,1

45,0 38,5 5,5 6,1 20,6 2,4 3,6 19,2 1,9 1,2

44,3 37,3 6,8 6,1 20,6 0,8 2,3 20,2 3,5 1,2

27,8 22,1 4,9 6,7 22,7 3,2 6,4 31,0 1,3 0,9

64,6 53,5 10,3 11,5 12,8 0,2 2,5 4,7 2,4 1,4

34,5 28,3 4,8 59 17,4 8,7 6,2 19,7 2,0 5,7

.

.

.

Fonte: Forschungsgruppe Wahlen: Indagine del giorno delle elezioni, RDT 18 marzo 1990.

Commerc. e artigia.

Operai Centri rurali Impiegati Pensionati In formazione Intellighentia

Nr. intervistati

Alleanza

SPD

507 3.753 435 2.151 2.163 409 2.094

66 58 50 47 43 34 32

14 21 .18 20 26 17 23

.

PDS

Liberali

Biindnis 90

DBD

Verdi

Altri

4 9 9 17 15 23 24

8 4 3 6 9 5 8

2 3 1 4 2 8 7

0 1 15 1 2 1 1

2 2 1 3 1 7 4

4 2 3 2 3 5 1

Fonte: Infas-Wahlberichterstattung zur DDR-Volkskammerwahl am 18 Miz 1990- indagine del giorno delle elezioni: 12.410 intervistati (dopo aver votato)

Tab. 5-Iscritti ai partiti (in migliaia) Anno 1968 1069 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 di cui ted. orientali

CDU

CSU

FDP

286 303 329 355 422 457 530 590 652 664 675 682 393 705 718 734 730 718 714 705 676 662 784 128

73 76 76 109 106 111 122 132 144 159 165 169 172 175 178 185 184 182 182 184 182 185 186

57 58 56 53 57 63 70 74 79 79 80 83 85 86 81 71 71 66 64 65 64 65 178 97 â&#x20AC;˘

Verdi

PDS

18 21 25 30 32 39 39 39 37 37 242'

SPD 732 778 820 847 954 973 957 998 1.022 1.006 997 998 986 956 926 925 916 916 916 910 911 921 920 30

Fonte: Dati forniti dai partiti e resoconti dei partiti al presidente del Bundestag.

11 dato si riferisce al marzo 1991.

-

87

I partiti britannici: strutture vecchie ed elettori demobilizzati di PercyAllum

PREMESSA

I partiti politici hanno la reputazione di essere tra le invenzioni istituzionali politiche più significative dell'epoca moderna. Si dice che senza di essi non sarebbe possibile organizzare elezioni n scegliere i nostri leader politici; che senza di essi l'istituto legislativo dei iegimi democratici non potrebbe funzionare, e così via. In una parola, senza i partiti politici la democrazia rappresentativa, che è la sola forma moderna di democrazia reale, non esisterebbe. Se la responsabilità del deterioramento delle istituzioni pubbliche è veramente provocata dai partiti, significa che esiste, oggi come oggi, una netta distinzione tra attività statale ed attività partitica.

Porre i problemi dei rapporti tra Stato e partiti in questo modo vorrebbe dire, però, accettare una visione troppo meccanica (e quindi troppo tecnocratica) del mondo, e presupporrebbe che gli obiettivi politici possano (e debbano necessariamente) essere definiti in modo preciso e certo. Una conseguenza di ciò è che se essi non vengono raggiunti, la responsabilità è necessariamente attribuita al cattivo funzionamento isti88

tuzionale e anzitutto all'invadenza, se non all'ingerenza, dei partiti.

A riguardo occorre anzitutto chiarire che l'intenzionalità dei vari attori politici ed economici non consente spesso di disegnare in modo incontrovertibile i contorni degli obiettivi politici. Per questa ragione, e non a caso, i cosiddetti «effetti perversi o inattesi» e lo «slittamento)> delle politiche sono al cuore dell'attuale dibattito politologico, poiché rappresentano la cartina di tornasole della continua e necessaria connessione tra Stato e società civile in un sistema politico democratico rappresentativo. L'eccessivo numero di gruppi di tutti i tipi (economici, sociali e politici) protagonisti, in un modo o un altro, del processo politico è, per molti, la causa di questa impossibile separazione.

La proposta di semplificazione istituzionale (cioè l'eliminazione di molti gruppi come protagonisti politici in prima persona) rinvia in questo caso, a mio parere, a questioni di scelta ideologica anziché di semplice ingegneria istituzionale. Il problema di fondo, che non si può discutere in questa sede perché ci porterebbe troppo lontano, rimane sempre la definizione concettuale di un tema classico della dottrina politi-

Ca, almeno da Platone e da Aristotele: la «buona politica)> o piuttosto il «buon governo». E qui ognuno ha le sue valutazioni personali. Come si dice in inglese: you pay your money and you make your choice.

Ci si può chiedere, inoltre, quale «legge storica» abbia attribuito ai partiti la funzione di selezionare ed aggregare politicamente la domanda proveniente dalla società civile per presentarla allo Stato. La domanda è retorica, e la risposta è quindi ovvia: l'analisi politologica occidentale dei partiti con il suo accento sul versante della società civile li ha investiti di tale funzione. Va notato però che un'altra analisi può contrapporsi alla precedente, mettendo l'accento sul versante dello Stato e su un ruolo diverso dei partiti, che potrebbero definirsi di «sostegno» e di «controllo politicosociale». Per ogni cittadino che parla di «rappresentanza», c'è sempre un uomo politico che parla di «governabilità».

Ciò detto, va sottolineato che se la scienza politica occidentale colloca tradizionalmente i partiti nella società civile e affida loro il compito di definire, per mezzo delle elezioni, la politica governativa, essi sono storicamente nati, di fatto, all'interno dello Stato (come fractio, Fraktion, ecc.) e sono così, e sono stati, strumenti impiegati dallo Stato stesso per penetrare la società civile. E se certe forme di partito si identificano con la grande stagione di mobilitazione della società civile tra fine dell'Ottocento e prima metà del Novecento, altre sono sempre rimaste collocate nelle

istituzioni come una sorta di «lunga mano» dello Stato. Lo spostamento generale dei partiti verso lo Stato (per non parlare di un certo loro assorbimento al suo interno - assunto da molti osservatori come una tendenza generale degli ultimi lustri -) non dev'essere di conseguenza interpretato a mio parere in termini patologici.

In tale quadro, lo scopo di questo lavoro non può che essere assai modesto, fornendo soprattutto alcune indicazioni sulla situazione dei partiti britannici.

A tal fine esso è introdotto da una breve discussione sulla forma di partito, cui segue un'esposizione dei principali tratti caratteristici dei due maggiori partiti britannici.

LA FORMA DI PARTITO

È cosa ben nota ai politologi che Maurice Duverger individuò, nel suo famoso studio di quarant'anni fa, alcune forme di organizzazione partitiche di base che collegò ad altrettante forme di partito 1 . Nonostante le critiche - anche quelle recenti e molto pertinenti, di Angelo Panebianco 2 - due delle sue forme (il partito di notabili o di quadri e il partito di massa) sono un utile punto di partenza per una discussione dei partiti britannici. Non è il caso di delineare in questa sede le note caratteristiche dei due modelli; vale la pena però sottolineare che essi riassumono due esperienze politiche diverse, accennate nella premessa: una parte dallo Stato, 89

l'altra dalla società civile. Il partito di notabili è un partito delle élites, nato all'interno dello Stato per difenderne i privilegi. I suoi problemi si manifestano con l'allargamento del suffragio che richiede un'organizzazione nella società civile. I compiti demandati al partito sono di assicurare l'elezione dei parlamentari ed il sostegno fedele al leader: come disse Gaetano Mosca, che di questa forma di partito e dei suoi problemi se ne intendeva, era il deputato che si faceva eleggere dall'elettore, e non l'elettore che eleggeva il deputato 3 . Di conseguenza, la politica si faceva nelle istituzioni (parlamento, governo, ecc.), e non nei comitati elettorali. Il partito di massa, per contro, è il partito dei militanti, nato nella società civile, generalmente come parte di un movimento sociale, per propagandare una dottrina politica (socialismo, cattolicesimo, ecc.). La sua partecipazione politicoelettorale è concepita, almeno in un primo momento, più per far conoscere la dottrina, che per farsi rappresentare nelle istituzioni statali. I compiti demandati al partito sono la diffusione della (e l'istruzione nella) specifica ideologia politica, con l'intento della sua eventuale attuazione.

Queste due forme di partito, costituite come sono a base di ricostruzioni storiche (anche grossolane), non prevedono la selezione e l'aggregazione della domanda politica come compiti primari del partito. Ciò accade perché il momento elettorale è secondario per entrambi: il momento forte è per il parti-

Ra

to di notabili, lo si è detto, la politica istituzionale e l'attività parlamentare, per quello di massa la politica militante (e quindi la mobilitazione). Ciò può anche spiegare le differenze tra le due forme di partito per quanto riguarda la vexata quaestio della democrazia interna.

Nel partito di notabili sono i leader a controllare il partito e, quindi, non vi si manifesta nessuna pretesa di democrazia interna, fornita semmai dalla partecipazione elettorale nazionale. Nel partito di massa, invece, la democrazia interna è rivehdicata sulla base della partecipazione attiva degli iscritti alla vita di partito, anche se generalmente è disattesa nei fatti dalla «ferrea legge di oligarchia» di michelsiana memoria.

La novità nel secondo dopoguerra, individuata per la prima volta da Otto Kirchheimer, è la progressiva sintesi delle due forme di partito in un nuovo modello definito il «partito popolare pigliatutto» 4. Il suo tratto più caratteristico, proprio della politica occidentale dell'epoca, è la progressiva «elettoralizzazione» dell'attività partitica, cioè lo spostamento del momento elettorale al centro della politica.

I compiti demandati al partito sono, non a caso, quasi esclusivamente elettorali e, fra questi, il principale è il successo. Per Kirchheimer ciò comporta un insieme di trasformazioni per le due precedenti forme di partito: accentramento dell'organizzazione in macchina politica con il compito di vincere le elezioni; attenuazione dei «richiami ideologici», reclutamento di simpatizzanti

piuttosto che militanti, ecc. Nella prospettiva di Kirchheimer, il ruolo devoluto alla nuova forma di partito è la scelta dei candidati per la legittimazione popolare (tramite il suffragio universale) come titolare di uffici pubblici.

Non si tratta in questa sede di giudicare corretta o meno la formulazione di Kirchheimer, salvo notare per inciso che sembrava applicarsi particolarmente bene al paese che gli è servito d'esempio, la Repubblica Federale Tedesca.

A questo punto è necessario fare riferimento alla ricca ed articolata analisi dei partiti di Panebianco 5 . Due sono gli elementi da considerare: 1) l'importanza fondamentale accordata alla fase genetica, cioè al modo in cui il partito nasce e si istituzionalizza, in quanto essa corrisponde alla formazione della sua identità collettiva, in seguito assai difficile da modificare (basti pensare alla vicenda recente dei partiti comunisti europei); 2) la concezione del partito «sponsorizzato», che, a mio parere, può essere estesa dalle istituzioni della società civile (chiesa, sindacati, ecc., cioè le basi di importanti movimenti sociali ottocenteschi) allo Stato: i partiti nati al suo interno possono, in un certo qual modo, essere considerati «sponsorizzati» dallo Stato stesso. Da qui viene la nozione di «partito naturale di governo» che si oppone a quello di «partito ospite del potere» che è lo status concesso ai partiti storici della sinistra, quando, di tanto in tanto, vincono le elezioni e formano un governo.

Al termine di questa breve discussione,

conviene ricordare la struttura di potere ed i comportamenti più significativi dei partiti. Si sono individuate tre forme di partito corrispondente grosso modo a diversi rapporti tra leader, militanti ed elettori. Come ha osservato Jean Charlot, «tutti i partiti sono in un certo senso, un insieme di partiti di notabili, di militanti e di elettori; l'importante è sapere su che cosa mettono l'accento e perché» 6 Si è visto che il cosiddetto partito di notabili privilegia le istituzioni statali e l'attività parlamentare, mentre quello di massa (o meglio di militanti) l'azione nella società civile. Il cosiddetto partito «pigliatutto» (o meglio di elettori) privilegia, dal canto suo, l'attività elettorale. E vero che i leader sono generalmente in grado di controllarli, ma è altrettanto vero che per farlo devono tener conto dei gruppi privilegiati della struttura partitica in cui operano, poiché le varie forme procurano mezzi legittimi ai vari gruppi privilegiati per sconfessare i propri leader (e di tanto in tanto li usano). Con l'elettoralizzazione della lotta politica in Europa occidentale si è assistito nel dopoguerra al predominio del partito di elettori: il potere dei leader è sempre più fondato sul successo elettorale; la tattica politica e la scelta dei candidati sono sempre più dettate dalle reazioni anticipate dell'elettorato, così come sono colte dai sondaggi e da altri strumenti di analisi elettorali. Il controllo partitico passa, inoltre, sempre più attraverso la manipolazione elettoralistica: più che ai militanti, i lea.

der orientano il loro appello agli elettori (i quali sono collettivamente meno politicizzati). Il predominio del partito di elettori significa in generale una politica più moderata e personalizzata ed un disimpegno partitico dei militanti che spesso cercano altri luoghi e istituzioni (movimento ecologico, movimento per la pace, ecc.) per esprimere il loro impegno e la loro attività politica.

I PARTITI BRITANNICI

Il sistema partitico.

Prima di considerare la struttura dei principali partiti britannici, è necessario delineare il contesto in cui operano, cioè il sistema partitico. A differenza dei singoli partiti, esso è ben conosciuto dagli studiosi e dagli osservatori stranieri. Come è noto, infatti, è generalmente presentato come modello del bipartitismo. Va detto, subito, che si tratta di una rappresentazione molto parziale, come rivela un'analisi un po' approfondita della realtà storica. Questo sistema illustra due aspetti largamente trascurati, almeno fino a tempi relativamente recenti. Il primo aspetto riguarda la sua natura bipartitica, che è più quella di un sistema di «alternanze al governo», che quella di un bipartitismo vero e proprio (cioè alternanza di governo regolare tra due partiti di forza paritaria).

Il secondo aspetto è uno sviluppo del precedente: con una realtà storica sem92

pre in movimento un sistema partitico non può essere classificato una volta per tutte. La Gran Bretagna ha così conosciuto, come altri paesi europei, periodi di dominio di un solo partito, con conseguente ridotta competitività. La sua storia politica, a partire dal 1688, può, infatti, definirsi scandita in termini di egemonia di una corrente (Whig 1688-1760; Tory 1760-1832) o di un partito (Liberale 1832-1885; Conservatore 1885-1945). I periodi di alternanza governativa pertanto sono generalmente limitati: il più recente, che va dal 1945 al 1981, è stato uno dei più lunghi.

Attualmente la Gran Bretagna sta attraversando un periodo di competitività limitata. Le ragioni di questo stato di cose emergono, in un certo senso, dall'argomento di questo lavoro. Tuttavia, data la sua rilevanza non solo per il funzionamento del sistema partitico ma anche per i partiti stessi è necessario dedicarvi alcune osservazioni.

Si dice, ed è senz'altro vero, che la chiave del funzionamento del sistema partitico britannico stia nel sistema elettorale che, come è noto, è un sistema maggioritario ad un turno. E un sistema quindi, va detto per inciso, che non solo favorisce i grandi partiti, ma, a causa del meccanismo deformante del rapporto voti-seggi (winner takes all), aumenta anche la mobilità della rappresentanza parlamentare. I partiti sono generalmente coalizioni di diverse tendenze (broad churches). E il premio all'unità spiega alcune particolarità del si-

stema ed alcune polemiche intorno ad esso.

Una delle particolarità è costituita dai cosiddetti whips (fruste) che assicurano la disciplina parlamentare fondata sulla lealtà al partito. Una scissione, che il sistema dei whips ha il compito di impedire, è il modo più sicuro per provocare la sconfitta elettorale di un partito, come è stato confermato nei primi anni Ottanta, a spese del partito laburista.

La scissione social-democratica e la formazione della Alliance hanno assicurato le vittorie elettorali dei Conservatori nel 1983 e 1987, con grandi maggioranze malgrado un calo nei suffragi (dal 44% al 42%; si veda l'Appendice), proprio perché i voti dell'opposizione sono andati a due partiti anziché a uno. Le scissioni partitiche segnano momenti di svolta nella vita politica britannica e sono generalmente momenti più significativi delle stesse consultazioni elettorali, se non altro perché sono all'origine del dominio di un singolo partito (scissione liberale del 1885: dominio conservatore fino al 1906, scissione liberale, sostituzione dei Liberali con i Laburisti; scissione laburista del 1931: dominio dei Conservatori fino al 1945, scissione laburista del 1981: dominio dei Conservatori fino ad oggi).

In questo contesto si può sostenere, come è stato effettivamente sostenuto, che il cosiddetto «bipartitismo britannico),, se così lo si può chiamare, è una creazione del sistema elettorale, anche se evidentemente altri fattori (ad esem-

pio le fratture socio-ideologiche) vi hanno senz'altro contribuito. Ad ogni modo, è il sistema elettorale che tiene in piedi ancora oggi il bipartitismo, malgrado l'erosione più o meno costante dei consensi dei due maggiori partiti (Fig. 1).

Basti pensare che nessun partito ha conquistato il 50% dei voti validi nelle 13 elezioni post-belliche (ma solo in una di esse, quella del febbraio 1974, con la maggioranza dei seggi parlamentari non è stata raggiunta da alcuno). Il risultato è che minoranze elettorali vengono mascherate da maggioranze parlamentari (Tab. 1) con tutto quello che ne segue in termini di dissenso politico- sociale e di perdita di legittimità da parte del sistema politico britannico.

Queste brevi notazioni vogliono sottolineare che la rappresentazione del sistema partitico britannico come modello di «bipartitismo perfetto», per riprendere la fortunata espressione di Giorgio Galli, è una lettura assai parziale della realtà politica del paese. Nei confronti dei sistemi partitici europei, quello britannico risulta emblematico, sia come caso deviante che come caso paradigmatico. Comunque sia, si tratta di un sistema complesso, soggetto a periodici cambiamenti e oggi in fase di riassestamento. Per questa ragione è difficile individuarne con certezza linee di tendenza (sia di sviluppo, sia di regressione).

93

Le strutture organizzative.

rimanenti organizzazioni (National Union, Central Office, Conservative As I due maggiori partiti, anche se organiz- sociations, ecc.) sono subordinate alla zati in modi assai diversi, hanno strut- conquista e al mantenimento del potere ture abbastanza simili (Figg. 2 e 3). Esse statale. Nel partito Laburista, fondato contano di due elementi distinti: il par- nel 1900, l'organizzazione è più articotito parlamentare, da un lato, e, dall'al- lata. Benché i legami tra PLP e le altre tro, le organizzazioni partitiche di base istanze organizzative del partito (NEC, nella società civile. I rapporti tra questi Constituency Labour Parties, cioè seziodue elementi assumono nei due partiti ni circoscrizionali, ecc.) siano pochi, una connotazione diversa. L'appellati- nondimeno gli scambi reciprochi inforvo partito Conservatore (come quello mali sono numerosi. Tradizionalmente Liberale) si riferisce in quanto tale al il vero potere è esercitato dalla leaderpartito parlamentare (composto cioè ship parlamentare, che gode di una nodai soli parlamentari); le relative orga- tevole autonomia. Robert McKenzie ha nizzazioni partitiche presenti nella so- potuto concludere il suo importante cietà civile si chiamano Conservative studio sui partiti britannici negli anni and Unionist Associations e fanno capo Cinquanta, affermando che nella prassi al National Union of Conservative and quotidiana, qualunque fossero le forme Unionist Associations, denominazione esterne, le strutture interne ditali partidel movimento politico nella società. ti si somigliano7. Dalla metà degli anni L'appellativo partito laburista identifiSettanta alla scissione del 1981, tuttaca al contrario il partito nel suo insievia, il partito Laburista è stato travolto me, la cui struttura federale nella socieda una feroce lotta tra correnti, che ha tà comprende sezioni locali ed organiz- prodotto non soltanto la scissione, ma zazioni affiliate (i sindacati, le società ha modificato anche i rapporti interni a socialiste, ecc.) che fanno capo al Natio- beneficio delle organizzazioni extranal Executive Committee (la direzione parlamentari. nazionale), mentre il partito parlamenA partire dal 1985, tuttavia, la leadertare si chiama Parlianentary Labour ship parlamentare ha ripreso il controlParty (PLP). Queste differenti denomilo del partito, assicurandosi il controllo nazioni non sottolineano solamente del NEC. origini contrapposte (parlamentare ed Se il concetto di partito parlamentare extra-parlamentare rispettivamente), non pone problemi per la politologia ma concezioni di partito divergenti italiana (perché equivalente alla nozio(partito di notabili e partito di massa). ne di gruppo parlamentare), per le orSenza dubbio nel partito conservatore ganizzazioni partitiche di base vi sono conta sia il potere parlamentare sia notevoli differenze. Come si è detto, il quello istituzionale, ma niente altro. Le movimentò Conservatore, vale a dire le

wn

Struttura del Gruppo ENI Attività fondamentali

I

ENERGIA Snam

AgipPetroli

Agip '.'

Approvvigionamento dei greggi, raffinauione e

commercializzazione di idrocarburi: sviluppo

distribuzione di prodotti petroliferi. Fornitura

..... i

di servizi per il risparmio dell'energia e per la

Esplorazione, produzione e ed impiego di fonti rinnovabili di energi (fotovoltaica).

e vendita di gas naturale. Trasporto di idrocarburi liquidi. Informatica. Servizi idrici e - ambientali. Attività immobilisri.

razionalizzazione dei consumi.

II

CHIMICA

,Appr9vvigionamento, trasporto, distribuzione

INGEGNERIA E SERVIZI

EniChem

Snamprogetti

Saipem

Chimica di base, intermedi, fibre, gomme, .

Studio, progettazione e realizzazione di

Perforazioni terra e mare. Costruzioni terra

sintetiche, detergenza, chimica fine, maìei-ie

impianti chimici e petrolchimici, di raffinazione

(pipelines, impianti industriali). Lavori mare

cdi trattamento gas, condotte in terra e in

(sealines, piattaforme, terminali).

.

plastiche e altri materiali.

mare, tecnologia offshore, impianti per

lnfrastrutture civili (centrali elettriche,

l'ecologia e grandi infrastrutture.

acquedotti, trasporti urbani).

FINANZIARIA Sofid

Eni International Holding

Compravendita e gestione di partecipazioni e

Gestione di partecipazioni; finanziamento

titoli; finanziamento delle attività del gruppo

delle attività del gruppo Eni all'estero.

Eni in Italia.

Altre Attività lWt.RI1'.ìIik

I

I

I

MECCANICA

MECCANO - TESSILE

Enichem Agricoltura

NuovoPignone

Savio

Produzioni e commercializzazione di

Progettazione e costruzione di macchine,

Produzione e fornitura di.macchine per

fertilizzanti, intermedi per l'industria e

apparecchiature e strumenti per l'industria e

l'industria tessile. Produzione di caldaie

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degli idrocarburi, petrolchimica, elettrica,

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organizzazioni partitiche nella società civile, è organizzato in tre raggruppamenti: le Conservative Associations (sezioni locali); la National Union (l'Associazione nazionale) e il Central Office (la burocrazia centrale). Le Conservative Associations sono organizzate territorialmente sulla base dei collegi parlamentari (come d'altronde i Constituency Labour Parties); si riuniscono una volta all'anno per eleggere un consiglio esecutivo (presidente, segretario, ecc.) e, se hanno i mezzi finanziari, per nominare un electoral agent (in più della metà dei collegi esiste un agente elettorale professionale a pieno tempo), o, in caso contrario, un volontario. L'iscrizione all'Association è libera e richiede una quota minima, ma fa affidamento soprattutto sui soci sostenitori ad alto reddito. E difficile ricavare il numero preciso degli iscritti: si è stimato che si aggiri sulle 2.400 persone per sezione, per un totale complessivo di un milione e mezzo di iscritti in tutto il paese. Negli anni Cinquanta il partito affermava di superare i tre milioni di iscritti. E probabile, comunque, che questi dati fossero gonfiati; nondimeno, non vi è dubbio che, malgrado l'incertezza, negli ultimi venticinque anni vi sia stato un declino sostanziale degli iscritti.

Ancora più difficile è avere informazioni esatte sulla composizione sociale degli iscritti Conservatori poiché il partito non pubblica dati. Dai vari indizi disponibili, è chiaro che la larga maggioranza proviene dai ceti medi e che gli operai sono piuttosto scarsi. In ogni ca-

so non sembra che, al di fuori dei periodi elettorali, gli iscritti siano politicamente attivi. Essi si sentono soprattutto investiti del compito politico di assicurare l'elezione di un governo Conservatore. Fra i dirigenti delle Associations prevale l'appartenenza ai ceti medio-alti, di sesso maschile. Nel dopoguerra, comunque, si è verificato un allontanamento dei benestanti e la loro sostituzione con liberi professionisti. E noto che questi ultimi tendono a collocarsi a destra. I più anziani lo sono per sentimento patriottico, i più giovani utilizzano la politica per un rapido avanzamento di carriera. Oltre alla campagna elettorale e alla raccolta di finanziamenti, il compito più importante dell'Association è infine la selezione dei candidati parlamentari scelti fra una rosa di candidati proposti dal Central Qflhce. Dalle ricerche effettuate, sembra che le opinioni dei singoli candidati siano meno importanti dei problemi del collegio, della capacità personale e della potenziale visibilità nell'arena nazionale.

Il National Union, che fu fondato nel 1867 per coordinare l'attività (soprattutto elettorale) delle associazioni locali, svolge attualmente il ruolo di sostegno del partito parlamentare e del leader. Non ha mai preso in considerazione la possibilità di controllare l'attività del partito parlamentare in nome degli iscritti. E costituito da un consiglio centrale che si riunisce una volta all'anno, e da una serie di comitati specializzati. I membri sono rappresentanti delle Associations, di altre articolazioni

partitiche (parlamentari, deputati e pari, candidati, esperti, ecc.), di formazioni affiliate. Il presidente è generalmente un noto industriale ed in contatto diretto con il leader del partito, a cui comunica le aspettative politiche degli iseritti. Tuttavia, l'attività maggiore del Aationai Union è quella di organizzare il Congresso annuale. Il Congresso non ha funzioni deliberative e il giudizio di Balfour, leader del partito nel primo Nuvecento, secondo cui avrebbe dato pui rilevanza ai consigli politici del suo maggiordomo che a quelli del Congresso del partito, manifesta bene la conceiine del Congresso come un grande palcoscenico di pubiic reiations per raccogliere consensi e gratificare i militanti per la attività svolta durante l'anno.

Le mozioni discusse sono attentamente vagliate per assicurarsi che il dissenso, quando si verifichi, non emerga pubblicamente. Il Congresso è generalmente usato dai politici per lanciare nuovi programmi, in particolare quando il p.irtito è al governo. La capacità oratoria dimostrata da un politico durante i suoi interventi congressuali determina l'avanzamento, o la fine, di una carriera politica. Si dice; ad esempio, che i ministri Quentin Hogg nel 1963 e Maudling nel 1965 abbiano entrambi perso la possibilità di accedere alla leadership proprio a causa di interventi congressuali poco brillanti.

Il Centrai Office è ormai considerato la macchina politica personale del leader.

Il capo del Centrai Office, il quale è Party Chairman (presidente del partito), è

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designato personalmente dal leader, generalmente fra le personalità politiche conosciute, spesso di primo piano, come il ministro Norman Tebbit (presidente 1985-87) o Chris. Patten (attuale Chairman). Il ruolo del presidente non è soltanto assicurare pieno sostegno al leader, ma soprattutto fornirgli tutte le indicazioni per comprendere gli atteggiamenti e gli umori della base, sia elettorale che partitica. Il compito principale del Centrai Office è la diffusione delle politiche, dei programmi e delle proposte del partito, cioè la pubblicità e l'animazione del dibattito politico dei conservatori. Tuttavia come, si è notato, l'interesse tra gli iscritti è estremamente ridotto, tanto che sono stati definiti «politicamente addormentati ... ».

L'organizzazione del partito Laburista è più complessa di quella dei Conservatori. Non bisogna dimenticare che il partito era formato da gruppi extra-parlamentari in cerca di rappresentanza parlamentare. A livello di base vi sono così Constituency Labour Parties, che comprendono due tipi di iscritti: diretti ed indiretti. L'organo principale è il Generai Managernent Committee che è responsabile dell'attività locale del partito. Viene eletto dagli iscritti, ma nel suo seno vi è anche la rappresentanza dei delegati delle diverse organizzazioni affiliate (sezioni sindacali locali, società socialiste e cooperative, ecc.). Di norma si riunisce una volta al mese, elegge un comitato direttivo ed i delegati al Congresso nazionale. Come nelle associazioni dei Conservatori, i suoi compi-

ti sono soprattutto elettorali ma esso è anche responsabile della scelta dei candidati parlamentari e/o per gli enti locali. Come nel partito Conservatore, peraltro, dato che l'approvazione del NEC è necessaria, il candidato è scelto tra la rosa dei nomi approvati dal NEC, e spesso da persone «sponsorizzate» dai sindacati, poiché quest'ultimi finanziano direttamente le spese elettorali del partito locale.

Gli iscritti diretti del partito Laburista sono circa 300 mila, e quelli affiliati intorno a 5 milioni. Agli inizi degli anni Cinquanta, gli iscritti diretti erano circa un milione. Si è poi verificato un declino pressoché continuo: i dati négli anni Sessanta sono presumibilmente gonfiati, ma si attestano intorno alle 600 mila unità, per giungere a circa 280 mila nel 1980, con qualche aumento alla fine del decennio. La riduzione nel numero degli iscritti affiliati riflette il declino dei sindacati, soprattutto negli anni di recessione dello scorso decennio. Un ulteriore indicatore del declino organizzativo del partito è la riduzione degli electoral agents stipendiati a tempo pieno (da 296 nel 1955 a 60 nel 1987).

Per quanto riguarda la composizione sociale degli iscritti, sembra che ci sia stato un profondo cambiamento negli anni Settanta, soprattutto nelle inner cities in cui la vecchia guardia sindacale ed operaia, che come «comunità chiusa» controllava le sezioni locali, è stata sostituita da nuove figure di attivisti radicali, spesso di origine operaia, ma con una formazione vicina al ceto medio. Il

successo di questa nuova generazione nel conquistare il potere a livello locale è stato reso più facile dal numero degli iscritti. Questa nuova generazione si è attivata per favorire una riforma statutaria che accrescesse la democrazia interna, e per l'adozione di un programma più radicale e socialista. Essa è stata spesso identificata con Militant Tendency e con l'entrismo trotskysta, ma, di fatto, comprendeva anche qualche altro gruppo: i disoccupati, i locatari, i gay, e, soprattutto, la gente di colore. Era principalmente la fiducia nell'efficacia della politica extra-parlamentare nutrita da questi gruppi a spaventare la leadership del partito. Assieme al programma radicale, era quest'ultimo aspetto che aveva provocato la scissione «socialdemocratica» nel 1981 (uscita della «banda dei quattro» - Jenkins, Owen, Roger e Shirley Williams -, formazione della SDP, «.Alliance» elettorale con il partito Liberale). Un'ultima cosa da notare è che la storia del Laburismo è costellata da continue scissioni e dal fenomeno del «correntismo», che, anche a causa dei mutamenti subiti dalla base partitica aveva, tra gli anni Settanta e Ottanta, un notevole incremento. Oltre al Militant Tendency trotskysta, cui si è già accennato, sono stati attivi, a sinistra, Tribune, Campaign for Labour Democracy, Labour Coordinating Committee, e, a destra, Labour Solidarity Campaign. Con la riaffermazione della leadership Kinnock-Hattersley, dopo la terza sconfitta elettorale successiva al 1987 l'attività e la visibilità 97

di questi gruppi si sono sensibilmente attenuate, fino a sparire.

Alla base dell'organizzazione del partito Laburista vi è il Congresso nazionale annuale che, come conseguenza della origine extra-parlamentare del partito, è stato sempre considerato il vero «parlamento» del movimento. In questa sede vengono dibattuti e decisi i programmi e le proposte del partito. I delegati sono eletti dai Constituency Parties e dai diversi gruppi affiliati, ognuno dei quali rappresenta proporzionalmente gli iscritti della sua organizzazione. Ne deriva la questione del famoso biock vote dei sindacati affiliati, forti di un numero complessivo di iscritti pari a 5 milioni, cui si contrappongono 300.000 iscritti diretti. L'esistenza di questa massa di voti pone due ordini di problemi, fonti di conflittualità e di giudizi divergenti all'interno del partito. Il primo riguarda i vincoli che le decisioni congressuali pongono al PLP e ad eventuali governi Laburisti. Nei primi anni di vita del partito, questo problema non venne mai sollevato. Fu solo dopo il tradimento di Ramsay MacDonald, primo premier laburista (1931), che il Congresso tentò di controllare l'azione del PLP. Nel 1937, Clement Attlee accettò il mandato vincolante del Congresso, ma una volta diventato primo ministro (1945), la sua posizione a riguardo si fece sempre più ambigua. Il problema si ripresentò drammaticamente nel 1960 con Hugh Gaitskell, successore di Attlee, sull'issue del disarmo nucleare unilaterale, rispetto al qua98

le rifiutò di accettare le decisioni del Congresso.

In generale, il biock vote non è stato una issue politicamente rilevante, poiché i sindacati avevano sempre sostenuto la leadership parlamentare del partito. Questa certezza è però venuta meno negli anni Ottanta. Da qui il rinnovato interesse di questo aspetto del problema. Un secondo aspetto che rende rilevante la questione è l'alterazione della rappresentatività del Congresso prodotta dal biock vote. La doppia forma di iscrizione mina la democrazia interna del partito, in quanto consente ad alcuni delegati di agire per delega con un numero eccessivo di voti. La democrazia, come la rappresentatività, può essere tale solo con il voto individuale (one person, one vote).

L'altro importante compito del Congresso nazionale è l'elezione del NEC (direzione nazionale), che avviene attualmente sulla base di quattro collegi: 1) dodici membri sono nominati dai sindacati, scelti fra i loro delegati al Congresso ed eletti direttamente da loro; 2) un membro viene nominato dalle società socialiste e cooperative; 3) sette membri sono eletti dai delegati dei Constituency Parties, anch'essi nominati dai delegati presenti (e che possono comprendere i loro parlamentari); 4) cinque membri debbono essere donne, nominate dalle organizzazioni ed elette da tutto il Congresso. A questi 25 membri si aggiungono, come membri di diritto, il leader ed il suo vice (eletti in altra sede), ed il tesoriere del partito,

eletto dal plenum del Congresso. Dal IlJìnanziamento dei partiti.

1945, più della metà del NEC sono stati parlamentari i quali hanno occupato Fra gli aspetti dell'attività partitica, tutti i posti riservati ai Constituency quello del finanziamento è non solo il Parties e alle sezioni femminili. La posi- meno noto, ma anche quello di cui si zione strategica del NEC e delle sue hanno meno informazioni. I partiti bricommissioni nel formulare il program- tannici pubblicano ogni tanto dei bilanma del partito e le sue proposte specifi- ci che, per la loro genericità, sono conche sono un punto di riferimento poli- siderati documenti poco affidabili. A tico. Di conseguenza, ciò ha provocato differenza di Germania, Italia e Franuna lotta continua tra le correnti per cia, in Gran Bretagna non esiste finanassicurarsi la maggioranza. Lotta che è ziamento pubblico dei partiti considevenuta meno negli ultimi anni, quando rato, dai Conservatori, ideologicamenla leadership parlamentare intorno a te inaccettabile dato che i partiti sono associazioni private anziché istituzioni Kinnock si è assicurata una maggioranpubbliche. Esiste soltanto, dal 1975, un za più o meno omogenea. sovvenzionamento di circa 500 mila Per quanto riguarda, infine, la burocrasterline l'anno al partito principale di zia centrale del partito, se ne devono riopposizione per far fronte ai costi del cordare la tradizionale inefficacia orga«governo ombra» (shadow cabinet). nizzativa e «pubblicitaria». Le campa- Il rapporto fra la provenienza del finangne elettorali dei laburisti sono abitual- ziamento e finanza-partito è, tuttavia, mente giudicate dilettantesche nei con- abbastanza chiaro (Tab. 2). Il partito fronti del professionismo dei Conserva- Laburista dipende per oltre il 75% del tori. Anche a questo riguardo, però, le suo finanziamento dai sindacati e senza cose stanno cambiando. Uno sforzo questo sostegno non potrebbe sopravper professionalizzare le campagne elet- vivere materialmente. torali e la presentazione del Congresso Il partito Conservatore riceve un connazionale, ad esempio, è stato condotto tributo simile dagli ambienti economici con successo sotto la leadership di Kin- e finanziari della city. Per il partito lanock, tanto che la campagna elettòrale burista il tipo di finanziamento è ovdel 1987 ed i Congressi del 1990 e del vio: date le origini sindacali del partito, 1991 sono stati considerati superiori a i contributi vengono dal cosiddetto poquelli dei Conservatori. C'è da vedere litical levy (tributo politico), pagato dase queste nuove professionalità frutte- gli iscritti sindacali con la formula del ranno il successo alle elezioni politiche silenzio-assenso. Nel 1984, il governo del 1992, di cui il partito avrebbe asso- Thatcher tentò di mettere fine a questa luto bisogno, dopo tre successive scon- forma di finanziamento, costringendo, per legge, i sindacati a consultare i profitte.

MA

pri iscritti, ogni dieci anni e a scrutinio segreto, sul mantenimento del political levy e, quindi, della loro affiliazione al partito laburista. In quell'occasione gli iscritti di tutte le Unions votarono massicciamente a favore del politica1 levy, annullando il tentativo conservatore di portare un grave colpo non soltanto al partito laburista in quanto tale, ma al principale partito di opposizione, e quindi alla nozione stessa di opposizione. E anche vero che il colpo fu tentato in un momento delicato per il partito Laburista, nel senso che le sue finanze si trovarono in condizioni particolarmente precarie. Nondimeno, il partito è riuscito, più o meno, a pareggiare il bilancio nella seconda metà degli anni Ottanta a scapito della propria attività organizzativa, con l'ulteriore riduzione del numero di electoral agents a tempo pieno e con la riduzione dello staff centrale. L'approssimarsi delle elezioni politiche del 1992 e la recessione economica l'hanno riportato in situazione debitoria nonostante uno sforzo eccezionale di aumentare il suo reddito (campagne di sostegno, abbonamenti, ecc.).

Il finanziamento del partito conservatore è molto più complesso e controverso. Si dice che il partito abbia avuto gravi difficoltà a metà degli anni Ottanta. Il licenziamento di circa un terzo dei funzionari del Central Office e la situazione debitoria di oltre un milione di sterline sembrano confermarlo ampiamente. La situazione continua tuttora ad essere di indebitamento, non spe100

cificato, ma pari, probabilmente a 4-5 milioni di sterline. Le fonti di finanziamento sono essenzialmente due: le quote o piuttosto le donazioni dei singoli iscritti e le elargizioni da parte di imprese e società finanziarie. E difficile conoscere i dettagli di questi finanziamenti. Si calcola che il contributo del mondo degli affari alle spese elettorali del partito conservatore si aggirasse intorno ai nove milioni di sterline. Più recentemente è stato rivelato che durante la recessione economica del 199091 di fronte alla reticenza degli industriali britannici e della city e all'accumulo di debiti, il partito abbia sollecitato, e ricevuto, contributi da parte di finanziatori stranieri. Va notato che il fabbisogno finanziario, e quindi i contributi, segue l'andamento del ciclo elettorale: esso è più alto negli anni delle elezioni politiche 1974, 1979, 1983, più basso negli altri anni (si veda la Tab. 2). Sulla base delle spese delle campagne elettorali precedenti, si stima che il costo della campagna del partito conservatore nel 1992 sarà dell'ordine di 20 milioni di sterline e quello dei Laburisti di 10 milioni!

Qualunque cosa accada, non vi è dubbio quindi che il partito conservatore troverà risorse comunque superiori rispetto agli altri partiti.

A proposito di spese elettorali, mi sembra necessario chiarire un malinteso; si sostiene spesso che in Gran Bretagna, a causa del controllo rigoroso della spesa elettorale dei singoli candidati (ciascuno dei quali non può spendere più di

3500 sterline per la propria campagna), le elezioni siano meno costose che altrove. In realtà se è vero che le spese elettorali dei singoli candidati (cioè quelle locali) sono rigorosamente controllate, altrettanto vero è che le spese elettòrali nazionali non lo sono. La pubblicità televisiva, murale e dei giornali, in cui non si fa cenno di singoli candidati, non è affatto regolamentata.

Ciò è tanto più importante oggi, in quanto è la campagna politica nazionale, e non più quella locale dei singoli candidati nei collegi, a decidere il risultato elettorale. Le elezioni britanniche sono quindi molto più costose di quanto non si dica. Le cifre sono là per comprovarlo: secondo un documento della Camera dei comuni, la campagna elettorale nazionale (escluse cioè le spese locali dei singoli candidati) del partito conservatore nel 1987 è costata 9 milioni di sterline (di cui 4,5 milioni per la pubblicità) e quella del partito laburista 4,2 milioni (1,9 milioni per la pubblicità).

Per quanto riguarda, infine, gli altri partiti nazionali Sociai and Liberai Democratic Party, Scottish Nationai Party, Piaid Cyrnru (partito nazionale gallese), le loro risorse finanziarie sono modeste: si tratta di quote piuttosto basse di iscrizione e di contributi finanziari limitati a qualche industriale o mecenate eccentrico.

La struttura dei potere.

Con struttura del potere intendo i rapporti tra vertice e base, tra il leader e le diverse componenti del partito (parlamentari, iscritti, elettori). Nel caso del partito Conservatore, si è usato un'analogia hobbesiana che mi sembra abbastanza significativa: il leader è il Leviatano a cui si consegna il potere assoluto fino a quando dimostra di saper tutelare gli interessi del partito, assicurando il successo elettorale e, quindi, il potere. Se il patto si rompe (per l'insuccesso elettorale o per il rischio di una sconfitta), allora l'obbligo di obbedienza non è più vincolante. A seguito di una concessione allo spirito democratico dettata dal clima degli anni Sessanta, il leader è ormai elettò dai deputati della Camera dei comuni (a maggioranza assoluta e, alla prima votazione, con un margine di 15 punti rispetto al secondo candidato). Nel periodo precedente, la designazione emergeva da un'oscura consultazione interna.

A causa del forte lealismo e della solidarietà ideologica, per cui il compito fondamentale di un Conservatore è di assicurare il successo elettorale del partito, il leader gode all'interno del partito di una forza eccezionale. Il partito, per le sue origini di partito di notabili, non ha nessuna tradizione di democrazia interna. Il ruolo del leader consiste nel guidarlo, senza l'apporto degli iscritti, i quali d'altronde non hanno nessuna volontà di influenzare il programma. Gli iscritti che partecipano al Congresso si 101

considerano infatti, come si è visto, «rappresentanti» e non «delegati» delle loro associazioni locali.

Per quanto riguarda i parlamentari, non bisogna dimenticare che le procedure (soprattutto quando il partito è al governo) conferiscono al leader i poteri di nomina e di controllo sul programma partitico e di governo. Per il leader i problemi cominciano solo quando i sondaggi e le elezioni parziali sono sfavorevoli e le elezioni incombenti. Se i deputati si convincono che, mantenendo inalterato il programma politico, il partito verrà sconfitto e loro rischierebbero di perdere il seggio allora si attivano, spesso precipitosamente, come insegnano, a quasi trent'anni di distanza l'uno dall'altro, i casi di Macmillan e Thatcher. Il ragionamènto è più o meno il seguente: se non si cambia si va verso la sconfitta. Quale cambiamento migliore allora della sostituzione del leader, che consente al partito di presentarsi agli elettori in veste completamente nuova? E accaduto così con l'improvviso ritiro di Macmillan, sostituito da Douglas-Home nell'ottobre 1963, e con la candidatura di Haseltine contro la Thatcher nel novembre 1991, risoltasi con il ritiro della Thatcher e l'elezione di Major come leader e primo ministro. Da una posizione elettorale senza speranza Douglas-Home è arrivato nel 1964 ad un soffio dalla vittoria. Meno brillante, ma vincente, è stata la performance di Major del giugno 1992.

Il leader laburista si trova in una situazione molto più difficile del suo collega 102

conservatore. Si dice generalmente che egli è molto più vulnerabile all'opposizione che al potere. Il successo elettorale non è il soio criterio impiegato per giudicare il leader laburista. Il contenuto politico del programma laburista, sia al governo che all'opposizione, è un secondo e qualche volta più importante criterio. Il leader laburista deve infatti accontentare tre diverse componenti: i sindacati, gli iscritti (o piuttosto i militanti) e gli elettori.

Una volta, la forza della dirigenza sindacale all'interno del partito era tale da assicurargli il controllo del partito e ciò gli consentiva di dedicarsi tranquillamente alla ricerca del successo elettorale. Negli anni Settanta e Ottanta una nuova generazione di militanti ha giocato la carta della democrazia interna per richiedere cambiamenti statutari.

I cambiamenti adottati (elezione del leader da un nuovo collegio in cui i deputati contassero per il 30%, gli iscritti per il 30% e i sindacati per il 40%; norme sulla rieleggibilità dei deputati uscenti, ecc.) sono solo formalmente democratici, poiché la partecipazione degli iscritti vi resta molto ridotta.

Inoltre, lo si è già accennato, l'uso del biock vote, di cui la leadership KinnockHattersley ha annunciato la soppressione entro il 1993, si dimostra poco rispettoso delle regole democratiche. Ciò detto, bisogna aggiungere che il vigore del dibattito politico interno ha creato, grazie ai mass-media, l'immagine di un partito sempre diviso da conflitti interni tra correnti, con negative conseguen-

ze elettorali. La leadership Kinnock- ecologista piuttosto attiva. Se saranno i Hattersley si è data molto da fare, dopo parlamentari o gli attivisti ad avere la sconfitta del 1987, per riorientare il maggiore influenza dipenderà quasi partito verso la lotta elettorale e per esclusivamente dal successo, o dall'increare una nuova immagine del partito. successo, del partito alle elezioni del E, in un margine di azione piuttosto ri- .1992: in caso di successo prevarranno i stretto, sembra esserci riuscita. Il dilem- parlamentari, in caso di insuccesso gli ma con cui si confronta è che più spin- attivisti. Per quanto riguarda il gruppo ge in avanti una politica di riforme vol- owenite, superstite del Social Democrata ad attirare nuovi elettori, essenziali tic Party, esso si è sciolto nel 1991 e il per una vittoria alle elezioni politiche, suo leader ha annunciato il suo ritiro più scontenta i militanti (alla Benn) e dalla politica attiva.

In secondo. luogo, devo sottolineare, viceversa.

A questo proposito, va ricordato che la ancora una volta, che questo lavorò ha leadership Kinnock- Hattersley è stata inteso essere di taglio più informativo rieletta dopo la sconfitta elettorale del che analitico, puntando a fornire informazioni e indicazioni sulla base delle ri1983 allo scopo di ribaltare il declino cerche in corso, per permettere il condel partito. Pur senza conseguire risultati definitivi, nel 1987 vi è stato un si- fronto con la situazione dei partiti italiani. L'intenzione è stata soprattutto di curo miglioramento in questa direzione; la scommessa delle elezioni politi- focalizzare l'attenzione sulla natura dei che del 1992 però è andata perduta e partiti britannici anziché sul loro apKinnock ha lasciato la guida del partito. porto ideologico o dottrinario, poiché è questo l'aspetto più particolare e meno conosciuto all'estero.

Si è osservato che il partito conservatoCONCLUSIONI re era originariamente un partito di noPrima di formulare alcune brevi consi- tabili, ma può vantarsi anche di essere, derazioni conclusive, è necessario giu- quantitativamente, un partito di massa, stificare l'assenza di una discussione sui e di rispondere ai criteri kirchheimiani del partito «pigliatutto», dato il suo partiti della terza forza politica britannica: i cosiddetti Ailiance Parties. Lara- orientamento decisamente elettoralista. gione è semplice: nonostante la trava- La ridotta partecipazione politica degli gliata formazione del Sociai Democratic iscritti, al di fuori dell'attività elettoraand Liberai Party nel 1988, si tratta, in le, porta a escludere la sua caratterizzafin dei conti, della ricostituzione del zione di partito di massa. La sua natura, vecchio partito liberale sotto una nuo- di conseguenza, si definisce nella tenva etichetta, cioè di un classico partito sione fra la sua origine di partito di nodi notabili, arricchito da una militanza tabili (accentramento del potere nelle 103

mani del leader) e la sua natura elettoralistica, che è quella del partito pigliatutto. Si potrebbe prevedere il trionfo del secondo aspetto, ma l'analisi del partito conservatore (partito tradizionale par excellence) dimostra la forza della tradizione e quindi del potere quasi assoluto del leader.

Il partito laburista è assai più difficile da caratterizzare in termini delle forme proposte. Si tratta di un vero ibrido. E un partito di massa «sponsorizzatoX., per impiegare la terminologia di Panebianco, che però ha sviluppato aspetti propri del partito pigliatutto. Il risultato è una doppia dialettica, da un lato, tra le istituzioni sponsorizzatrici e gli iscritti diretti, e, dall'altro, tra iscritti e leader parlamentari. Queste tensioni hanno avuto esiti diversi a diversi momenti nel corso del dopoguerra.

A questo punto, è possibile trarre dal caso britannico alcune conclusioni. 1) Nonostante i sostanziali mutamenti economico-sociali e, quindi, politicoelettorali degli ultimi quarant'anni, le tradizioni partitiche continuano a farsi sentire fortemente nel comportamento dei due principali partiti (si veda in Appendice la Fig. A). 2) I due partiti sono investiti da persistenti tensioni tra struttura di potere e bisogni elettorali.

Se il partito conservatore le ha risolte meglio, ciò è anche dovuto, oltre alla sua lunga permanenza al potere, anche ad alcune connotazioni della cultura britannica, che sono di natura autoritaria ed anti-democratica, all'insegna del

104

famoso detto leaders know best: (i leader ne sanno di più). Se il partito laburista ha maggiori difficoltà a superare le crisi, ciò è dovuto, più che alle sue strutture organizzative, al fatto che riesce meno a dominare tali tensioni interne, almeno fino a tempi molto recenti. Per di più, quando il partito conservatore attraversa crisi simili si trova di solito all'opposizione e per superarle trae profitto dalla nozione del «partito naturale di governo», opzione preclusa al partito laburista. 3) I partiti britannici non si adeguano se non parzialmente ai modelli «classici»: non si sono dati come compito principale quello di selezionare ed aggregare la domanda politica della società civile, ma semmai di proporre ed imporre un programma, scelto dai leader, alla società civile (comunicazionedal vertice alla base, e non viceversa). Cosa che poteva essere fatta in quanto i britannici votano più per orientamento ideologico che per scelta programmatica e perché lo stesso sistema elettorale è congruente con tale predisposizione.

Va osservato, infine, che la politica di tutti i partiti britannici sarebbe completamente capovolta se nessuno di essi raggiungesse una maggioranza parlamentare e se dovessero affrontare un periodo di governo di coalizione, anziche' di governo monopartitico tradizionale. Un sistema di governo di coalizione porrebbe ai partiti britannici problemi per i quali le loro strutture apparirebbero fatalmente inadeguate.

Note M. Duverger, Les partis politiques, Colin, Parigi, 1951 (trad.it . I partiti politici, Milano, ComunitĂ , 1961).

2 A. Panebianco, Modelli di partito. Qrganizzazione e otere nei partiti politici, Il Mulino, Bologna, 1982.

G. Mosca Elementi di scienza politica, Laterza, Bari, 1985 (4a. ediz., 1953).

O. Kircheimer, The Transformation of the Western Party Systems, in J. La Palombara e M. Weiner (a cura di), Politica1 Parties and Politica1 Development, Prince-

ton University Press, Princeton, N.J., 1966 (trad.it . in G. Sivini, a cura di, Sociologia dei partiti politici, Il Mulino, Bologna).

A. Panebianco, op. cit.

6 j Charlot (a cura di), Les partis politiques, Colin, Parigi, 1971.

R.T. MacKenzie, British Politica1 Parties, Heinemann, Londra, 1963, (2a. ediz.).

i(u1;l

Tab. I - Il Bipartitismo britannico 1945-1990: voti e maggioranze parlamentari. su voti validi 1945 1950 1951 1955 1959 1964 1966 1970 1974 (feb.)

1974 (ott.)

1979 1983 1987

% su elettorato

Seggi di maggioranza

Partito al governo

37,0 39,3 39,5 37,9 38,5 34,6 37,2 33,2 30,0 29,3 34,2 31,6 31,9

146 5 17 58 100 4 96 30 -33 3 43 144 101

Laburista Laburista Conservatore Conservatore Conservatore Laburista Laburista Conservatore Laburista Laburista Conservatore Conservatore Conservatore

48,3 46,1 48,0 49,7 49,0 44,1 47,9 46,4 37,1 39,2 43,9 42,2 42,3

.

Tab. 2- Reddito dei due principali partiti britannici a livello centrale, 1973-1984.

Partito Conservatore Anni

Contributi (principalmente da imprese)

19734* 1976-7 1979.80* 1981-2 1983.4*

2,4 1,3 4,5 2,9 8,7

Versati dalle Associations

Sovvenzioni statali

%

£m

%

86 62 80 71 89

0,4 0,6 0,9 1,0 1,1

14 28 16 24 11

£m

%

0,2

10

Totale

£m

%

2,8 2,1 5,6 4,1 9,8

100 100 100 100 100

Partito Laburista Anno

1974* 1977 1979* 1981 1983*

Sovvenzioni sindacali

0,7 1,3 1,8 2,5 3,0

Versati da C.O.

%

£m

%

39 87 58 68 48

0,1 0,1 0,2 0,6 0,6

6 7 7 16 10

Sovvenzioni statali £m

0,1 0,3 0,3

Altro

Totale

%

£m

%

£m

%

3 8 5

1,0 0,1 1,0 0,3 2,4

55 6 32 8 39

1,8 1,5 3,1 3,7 6,2

100 100 100 100 100

(+) = negli anni delle elezioni politiche questo consiste prevalentemente dei contributi sindacali al fondo elettorale del partito * = annodi elezioni politiche.

Fonte: ParliamentaryAffairs, XXXVIII, n. 3, 1985, pp.328•347

106

Tab. A - Risultati delle elezioni politiche (percentuali e seggi), 1945-1990.

Voti

1945 1950 1951 1955 1959 1964 1966 1970 1974 1974 1979 1983 1987

(feb.) (ott.)

39,8 43,5 48,0 49,7 19,4 43,4 41,9 46,4 37,9 35,8 43,9 42,4 42,3 Partito conservatore 48,3 46,1 48,8 46,4 43,8 44,1 47,9 43,0 37,1 39,2 37,0 27,6 30,8 Partito laburista 9,1 9,1 2,5 2,7 5,9 11,2 8,5 7,5 19,3 18,6 13,8 Partito liberale 22,6 25,4 -----------Alleanza social-liberale 0,4 0,3 0,1 0,1 0,1 0,2 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1 Partito comunista (CPGB) 0,1 0,2 0,5 1,1 2,0 2,9 1,6 1,1 1,3 0,1 Partito nazionale scozzese (SNP) Partito nazionale gallese 0,2 0,3 0,3 0,2 0,6 0,5 0,6 0,4 0,4 0,4 0,1 0,1 (Paid Cymry) partiti dell'Irlanda i Altri (compresi 2,1 0,9 0,5 0,8 0,4 0,6 0,7 1,3 3,1 2,8 3,2 3,1 2,6 del Nord)

Vtanti

0,3 84,0 82,5 768 78,7 77,1 75,8 72,0 78,1 72,8 76,0 72,7 75,4

Seggi 213 299 321 345 365 304 253 330 297 277 339 397 376 Partito conservatore 393 315 295 277 258 317 363 287 301 319 269 209 220 Partito laburista 6 14 13 11 9 f2 6 6 6 9 12 Partito liberale 22 23 ------------Alleanza social-liberale 3 2 2 7 11 1 ------Partito nazionale scozzese (SNP) Partito nazionale gallese 3 2 2 2 3 --.

(Paid Cymry) 12 12 12 15 13 -------Union isti* 24 2 6 2 122232 Altri

Totale

640 625. 625 630 630 630 630 630 635 635 635 650 650

* Prima del 1974 gli unionisti irlandesi facevano parte del gruppo parlamentare conservatore

107

Tab. B - Posizione occupazionale dei deputati, 1959, 1974, 1983 Conservatori

Avvocati/medici Funsionari/ufficialj Docenti Impieg., dirett./industriali Commerc./assicurazjonj Editori/giornalisti Agricoltori Operai Altri

1959

1974

1983

1959

1974

1983

25 14

25 5 4 22 8 10 14 1 11

25 8 7 33 13 8 5 1 2

17 4 14 2 3 10 1 35 14

15 2 24 6 1 7

10 5 25 7 3 4

1 24 6 7

10 -

13

Decine Totale N.

Laburisti

-

-

28 17

34 12

3

3

3

5

4

5

100

100

100

100

100

100

(365)

(277)

(397)

(258)

(319)

(205)

Alternanza

Altri

Totale

Tab. C Profilo degli elettori dei partiti britannici nel 1987. .

Elettorato Conservatori Laburisti Elettorato

100

43

32

23

2

100

Classi: Ceti medi Operai specializzati/tecnici Operai non-specializzati Sindacati

43 27 30 23

54 40 30 30

18 36 48 42

26 22 22 26

2 2 2 2

100 100 100 100

Sesso: Maschio Femmina

48 52

43 43

32 32

23 23

2 2

100 100

14 19 33 34

37 39 45 46

40 33 29 31

21 25 24 21

2 3 2 2

100 100 100 100

44 14

51 41 35 35

24 29 45 35

23.

29 17 25

2 2 2 2

100 100 100 100

EtĂ : 18-24 25-34 35-54

Oltre 55 Religione: Anglicano Prot. non-conformista Cattolico Laico (Fonte: Mori)

108

11 32

Fig. i - Declino del bipartitismo britannico, 1950-1990 100%

........'...........

......

........

Seggi vinti dai due principali partiti

9%

Voti per i due principali partiti iâ&#x20AC;˘

Elettorato votante i due principali partiti

.

80% I'

I

V\

'

.4 4' 4.

\V

4'

4.-.4 .4 .4 4.

70%

.4 4. .4.. 4.

4.

4. .4 .4 .4

.4 4.

4..

A I

I.

60%

I,

I

I

li

v

v 50% '51

'55

'59

'64 '65

'70 '74(F) '74(0) '79

'83

'87

109

Fig. 2 - L 'organizzazione del partito Conservatore

LEADER

Consiglio centrale

Partito parlamentare

Apparato amm.vo Direzione centrale l'residente del partito

Comitato 1922

Livello nazionale

Consiglio di area

Uffici di area

Livello di area Partiti circoscrizionali Funzionari di

Uniti organizzative di base

-

Livello locale â&#x20AC;˘ Si tcitra di un potente Comitato dci hack &ncheer che deve il suo nome ad una riunione dci l)cputati Laburisti che neI 1922, Carlton Club, decise di rovesciare il Governo Lloyd Gcorgc.

110

Fig. 3 - L 'organizzazione del partito Laburista

LEADER

sede entrale Segreteria Congresso annuale

I

/

Uffici regionali'

Federazioni regionali

Livello ro'ionale

Partiti circoscrizionali Funzionari di partito Organismi sindacali affiliati al partito

UnitĂ&#x152; organizzative di base Livello locale

Fig. A - Tendenze della polarizzazione conservatori-laburisti, 1945-1990 (valori percentuali)' 90 80 70 60 50 40 30 20 10

o -10 45 50 51

70 F74 074 79 83 87 64 66 55 59 Anno dell'elezione generale

Nota Polarizzazione di classe: crescita dei ConservĂ tori sui Laburisti tra i celi medi meno crescita tra la classe operaia Polarizzazione regionale: avanzata dei Conservatori sui Laburisii in Inghilterra meno avanzata in Scozia.

111

I partiti politici e la democrazia in Spagna: 19771992 1 di Antonio Bar Cendon

INTRODUZIONE

Una delle principali caratteristiche che contraddistingue l'attuale sistema partitico spagnolo e che lo differenzia dagli altri sistemi partitici europei è la sua giovane età. Il sistema partitico spagnolo venne alla luce soltanto pochi mesi dopo le elezioni generali del giugno del 1977 quando i primi partiti politici vennero legalizzati dopo quasi quarant'anni di proibizione sotto la dittatura franchista. L'aspetto più importante di questa particolarità è costituito non solo dal fatto che il sistema partitico spagnolo abbia preso il via soltanto di recente, insieme al nuovo sistema democratico, ma dal fatto che tale rinascita abbia avuto luogo soltanto dopo quarant'anni di dittatura. Ciò ha creato un sistema partitico che, oltre ad essere giovane, è nuovo come forma, contenuto e dinamica, poiché tutti i partiti e il contesto politico in cui essi agiscono sono completamente mutati rispetto a quelli che caratterizzarono il precedente periodo democratico, la Seconda Repubblica (1931-1939).

La giovane età e la novità del sistema partitico significano che quest'ultimo 112

sta ancora attraversando un processo di formazione ed evoluzione, anziché essere un sistema partitico già cristallizzato o consolidato2. Nei pochi anni trascorsi dalle prime elezioni generali av venute nel giugno del 1977, si sono avute soltanto sei elezioni generali (1977, 1979, 1982, 1986, 1989, e 1993), la prima delle quali, che ha dato luogo alle Cortes Costituenti, si svolse a metà del periodo di transizione, quando alcuni partiti ancora erano illegali. Pur essendosi avute anche due elezioni per il Parlamento Europeo e molte altre consultazioni per costituire i Parlamenti regionali e per eleggere le autorità locali, tutto ciò non rappresenta un'esperienza abbastanza vasta da formare una struttura consolidata e permanente.

A questi ostacoli di tipo storico che hanno impedito il cristallizzarsi di un concreto modello di sistema partitico se ne sono aggiunti negli ultimi anni di ulteriori, sia di carattere interno che internazionale. Anch'essi hanno contribuito a rendere difficile il consolidamento, investendo tanto i singoli attori partitici che l'insieme delle loro relazioni e dei parametri sistemici. Tra queste circostanze si debbono evidenziare

in particolare: a) il crollo dei regimi socialisti dell'Europa dell'Est e b) la crescente sfiducia di ampi strati di popolazione nei confronti dei partiti maggiori e delle loro élìtes dirigenti. La caduta dei regimi socialisti, in primo luogo, ha comportato un certo «svuotamento» ideologico e programmatico della sinistra e, di conseguenza, una delegittimazione e una perdita di appoggio popolare che investe con maggior evidenza i partiti socialisti maggioritari che si vedono allontanati dal governo e dal potere (in Germania, Gran Bretagna, Francia). La sfiducia della popolazione nei partiti maggioritari, che penalizza anzitutto il partito al governo, è, in secondo luogo, non solo il prodotto di un'azione politica incoerente o contraddittoria (cambiamento di alleanze, inattuazione delle promesse elettorali, incapacità di portare a soluzione i problemi politici e economici più gravi, incapacità di rappresentare i nuovi interessi emergenti, ecc.), ma, soprattutto negli ultimi anni, il risultato degli atti di corruzione tesi al finanziamento illegale dei partiti.

Tutto ciò ha investito il pieno il giovane sistema partitico spagnolo, modificando in modo rilevante, anche se non in termini assoluti, lo scenario del dibattito politico e i parametri del confronto. Da un lato, la sinistra è alla ricerca di una ridefinizione ideologica e, forse, di nuovi appoggi sociali; la destra, dal canto suo, una volta scomparso il nemico tradizionale, è costretta a modificare le proprie strategie e si muo-

ve verso posizioni più moderate, di centro. Ciò relativizza il contenuto del confronto sinistra/destra e, se non riduce la sua rilevanza in quanto elemento di analisi, ne muta quanto meno il significato. La sfiducia verso i partiti maggioritari, dall'altro lato, sebbene il problema della corruzione politica non abbia raggiunto in Spagna la gravità e la diffusione che presenta in Italia, ha favorito lo sviluppo delle alternative di minoranza. I partiti minoritari più recenti, tuttavia, non presentano in Spagna la forma di partiti settoriali - i verdi e gli ecologisti non hanno ancora conseguito un proprio radicamento nell'elettorato spagnolo - bensì quella di gruppi e movimenti a carattere locale, provinciale o regionale, simili in questo alle Leghe dell'Italia del Nord.

Questi piccoli partiti, tuttavia, sono diversi dai tradizionali partiti nazionalisti regionali - baschi, catalani, o della Galizia -; si tratta infatti di gruppi localisti che nascono come scissione dei partiti maggioritari o a sostegno di fasce di un leader carismatico concentrandosi in poche circoscrizioni elettorali.

L'effetto delle nuove condizioni appena descritte sul sistema partitico spagnolo non è ancora definibile. Di certo i mutamenti del sistema partitico o di alcune sue componenti non porranno in questione la stabilità dell'attuale sistema democratico-parlamentare (a differenza del caso italiano, in Spagna non si pone in alcun modo una questione di mutamento di regime; d'altro canto, se già il quadro precedente aveva reso dif113

ficile se non impedito la cristallizzazione del sistema partitico spagnolo, le nuove condizioni potranno renderla ancor più difficile e, comunque, ritardarla ulteriormente.

Questa mancanza di consolidamento del sistema partitico spagnolo si manifesta chiaramente tanto nell'assenza di chiari modelli comportamentali tali da caratterizzare la dinamica generale del sistema, quanto nei cambiamenti anche sostanziali subiti dai soggetti del sistema, cioè i partiti politici. Non solo essi hanno visto mutare, in alcuni casi in modo drammatico, il proprio peso elettorale specifico, ma nel periodo considerato sono sorti partiti nuovi, ne sono scomparsi altri, ed altri ancora hanno modificato la loro natura e denominazione.

Paradossalmente, si potrebbe forse dire che l'elemento caratterizzante dell'attuale sistema partitico spagnolo è precisamente l'assenza di queste caratteristiche generali e permanenti che consentirebbero la sua identificazione o definizione in base a uno dei modelli ampiamente trattati nella bibliografia disponibile sull'argomento3 .

I PARTITI Come il sistema a cui appartengono, così i partiti politici spagnoli sono molto giovani e/o nuovi e mancano anch'essi di un consolidamento organico definitivo.

Il lungo periodo di dittatura aveva 114

comportato la scomparsa di tutti i vecchi partiti del periodo repubblicano e, dall'impressionante numero di 941 partiti politici registrati formalmente al giorno d'oggi - o meglio, dei tredici gruppi politici presenti al Congresso dei deputati nella legislatura 1989-1992 -, soltanto tre potrebbero rivendicare una continuità coi partiti esistenti prima della dittatura. Tutti gli altri erano nati come gruppi clandestini negli ultimi anni della dittatura o immediatamente dopo la morte di Franco. Per di più, lo si è già detto, tanto quei pochi partiti di vecchia data, quanto quelli creatisi di recente, hanno subito nel periodo considerato cambiamenti anche importanti sia di peso elettorale, che di natura politica 4 .

I partiti su scala nazionale Il Partido Socialista Obrero Espaol (PsOE) è forse il partito più stabile e consolidato. Fondato nel 1879, fu riorganizzato nel 1974, dopo la crisi sofferta durante la dittatura e la clandestinità, con l'elezione dell'attuale Primo Ministro, Felipe Gonzlez, a segretario generale. Il suo congresso straordinario del settembre 1979 ha segnato, indubbiamente, una delle fasi pii importanti di questo processo evolutivo. In qùell'anno il PSOE abbandonò la propria definizione di partito marxista a favore di un sincretismo ideologico di formulazioni liberal-progressiste e marxiste solo in senso lato, che lo collocano sul

versante socialdemocratico moderato del quadro politico 5 .

La sua politica rappresenta un coacervo di radicalismo terminologico e di pragmatismo teso a fra prevalere l'efficacia della dottrina6 . E stata questa politica moderata che lo ha portato a crescere e a stravincere nelle elezioni del 1982 e poi a mantenere la posizione maggioritaria nelle elezioni del 1986 e del 1989.

Il PSOE è infatti passato da 118 seggi nel Congresso e 28,8% dei voti nel 1977, e da 121 seggi e 30% dei voti nel 1979, a 202 seggi e 47,2% dei voti nel 1982, per poi registrare un calo a 184 seggi e 44,4% dei voti nel 1986, e 175 seggi e 39,33% dei voti nel 1989 (vedi Tab. i).

Dieci anni di solitario esercizio del potere hanno prodotto nel PSOE un enorme logoramento. E ciò non solo come conseguenza dell'adozione di politiche a volte assai impopolari - riconversione industriale, politiche economiche di orientamento monetarista e liberale o contraddittorie rispetto alle sue precedenti impostazioni ideologiche e programmatiche - il permanere nella Spagna nella NATO -, ma anche come conseguenza di atti di corruzione tesi al finanziamento illegale del partito. Dal primo punto di vista, le relazioni del PSOE con la classe operaia si sono poco a poco deteriorate, fino alla rottura con la UGT, l'organizzazione sindacale collaterale, che è giunta a convocare uno sciopero generale contro il governo socialista8 . Dal secondo punto di vista, durante la legislatura 1989-1992 sono emersi con grande scandalo e sottoposti

a procedimento giudiziario molteplici atti di corruzione, tutti più o meno connessi con la ricerca di modalità illegali di finanziamento del partito (il caso Juan Guerra, il caso 011ero, il caso Filesa, ecc.), alcune delle quali hanno finito col provocare prima le dimissioni del vicepresidente del governo e vicesegretario del partito Alfonso Guerra e poi del ministro della sanità Julian Garcia Valverde.

A tutto ciò si deve aggiungere come elemento negativo, l'approfondirsi delle divisioni interne tra le diverse correnti o «sensibilità» - come si dice eufemisticamente - del partito. Negli ultimi anni, la divisione principale corre lungo il duro conflitto per il potere interno fra la corrente dei «rinnovatori» - il settore moderato e di tendenza liberale, dominante nel governo e che si appoggia a Felipe Gonzlez - e l'«apparato», ovvero la burocrazia dirigente del partito - settore più radicale e gauchi sta capeggiato da Alfonso Guerra. Dal momento del suo arrivo al governo, il PSOE è stato diretto in modo quasi esclusivo e con mano dura dal vicesegretario generale Alfonso Guerra, poiché Felipe Gonzlez si dedicava completamente al governo. Il caso Juan Guerra - e gli altri atti illegali, duramente criticati dai «rinnovatori» - ha provocato non soltanto l'uscita di Alfonso Guerra dal governo9, ma ha accentuato la divisione interna fra «rinnovatori» e «apparato», responsabile della gestione del partito nell'ultimo decennio e a cui vengono imputate le attività illegali di finanzia115

mento e gli atti di corruzione finora venuti alla luce 10. Questa divisione e le vicende che l'hanno provocata, vicende cui Gonzlez non è riuscito a porre rimedio, hanno assai indebolito il partito e ne hanno appannato l'immagine.

Nonostante tutti questi elementi di carattere negativo, cui si aggiungeva l'incidenza di altri fattori tanto interni (la recessione economica che ha interessato la Spagna all'inizio degli anni Novanta, con un conseguente, rilevante aumento del livello di disoccupazione) che internazionali (la generale regressione dei partiti socialisti nel contesto europeo), e nonostante le previsioni dei sondaggi d'opinione 11 il PSOE è riuscito a contenere la sua flessione elettorale alle elezioni del 1993 e a mantenersi alla testa del governo.

Sempre a sinistra, ma a una gran distanza dal PSOE, Si colloca Izquierda Unida (Tu), coalizione elettorale attraverso cui, dal 1983, agisce il Partito comunista. Il Partito comunista spagnolo (PcE) fu fondato nel 1920 e, malgrado fosse stato il gruppo clandestino più attivo durante gli anni della dittatura, ha subito importanti trasformazioni e un netto declino dalla sua legalizzazione nel 1977 in poi. Esso si era autodefinito «eurocomunista» nel 1978, in occasione del suo IV Congresso e dopo essere riuscito a ottenere 23 seggi e il 10,4% dei voti nelle elezioni del 1979 (il livello più alto raggiunto nell'intero periodo) ha registrato diverse difficoltà e tensioni fra le sue diverse correnti, il che comportò numerose defezioni e seces,

116

sioni. Queste defezioni indebolirono seriamente il partito e ne causarono la sconfitta del 1982, quando riuscì ad ottenere soltanto 4 seggi e il 3,9% dei voti. Ciò portò a un cambiamento radicale di leadership e di strategia, nel disperato tentativo di recuperare le vecchie posizioni. Tale cambiamento produsse la successione di tre segretari generali - Santiago Carrillo, Gerardo Iglesias e Julio Anguita - e il lancio di una nuova coalizione, l'Izquierda Unida, che raggruppò - in un nuovo processo di convergenza - i vecchi gruppi usciti dal PCE, i progressisti, gli ecologisti, i socialisti radicali, i repubblicani, alcune personalità indipendenti e lo stesso PCE. All'inizio, i risultati ditale coalizione furono poco significativi (7 seggi e il 4,6% dei voti alle elezioni del 1986)12. L'lu è giunta tuttavia a duplicare i suoi risultati alle elezioni del 1989 (17 deputati e il 9% dei voti); i sondaggi d'opinione della primavera del 1993 l'accreditavano di un esito ancor più consistente 13 , e il risultato alle elezioni di giugno è stato pari al 9,5% dei voti e a 18 seggi (si veda la Tab. 1).

Il PCE ha ormai cessato di agire in forma pubblica come partito politico. La sua azione si riconduce interamente all'attività di Tu, organizzazione di cui costituisce la struttura portante e la forza egemonica. Tu punta ad essere qualcosa di più di una mera coalizione elettorale di partiti e si autodefinisce «movimento politico e sociale» e si pronuncia a favore del «socialismo democratico» 14 . Tu, tuttavia, non è giunta a conso-

lidarsi in quanto struttura unitaria e organica. Al suo interno, i raggruppamenti originari (PCE, PASOC, li, indipendenti) mantengono la propria autonomia e ciò provoca tensioni interne ricorrenti e azioni esterne tra loro contraddittorie, che finiscono col danneggiarne l'immagine e hanno rischiato in più occasioni di farla deflagrare 15 .

Il centro dello spettro politico è lo spazio più tormentato e ambìto dalle forze maggioritarie, ma al tempo stesso è, paradossalmente, uno spazio «maledetto», che ha fagocitato tutti i partiti che, dall'inizio del nuovo regime democratico, hanno preteso di collocarvisi. In una posizione di centro si sono collocati, ad esempio, la Union de Centro Democratico (UcD), partito al governo durante la transizione e l'instaurazione democratica, così come il Partido Democrata Popuiar (PDP), la Union Liberai (UL), il Partido Reformista Democratico (PR) e altri piccoli gruppi del genere, tutti ormai scomparsi. Il più importante di questi, a cui farò riferimento più avanti, è forse il Centro Democratico y Sociai (CDS), anch'esso in grande difficoltà dopo il ritiro del suo fondatore, Alfonso Su.rez.

L'UcD nacque nel gennaio 1977 come coalizione elettorale tra quindici piccoli partiti - liberali, democratico-cristiani, socialdemocratici, burocrati ex franchisti e indipendenti -, che si fusero in un unico partito nell'agosto dello stesso anno. Traendo profitto dal successo della transizione democratica, simbolizzata dal suo leader e allora Primo Mi-

nistro, Adolfo Surez, l'UcD vinse le elezioni del 1977 e 1979, ottenendo 166 seggi al Congresso e il 34% dei voti e 168 seggi e il 34,3% dei voti, rispettivamente. I conflitti interni fra le diverse correnti e personalità del partito condussero tuttavia al declino. Nel febbraio del 1983, dopo la schiacciante sconfitta nelle elezioni generali dell'ottobre del 1982 (12 seggi e il 6,7% dei voti), l'UcD Si sciolse e sparì come partito' 6 .

L'UcD lasciò al centro dello spettro politico spagnolo un vuoto che alcuni piccoli partiti tentarono di colmare, ma senza successo. Tra questi partiti, predomina il Centro Democratico Sociai (CD5), fondato nell'agosto del 1982 da quello che fu il leader principale dell'UcD e Primo Ministro, Adolfo Suirez. Pur se organizzato soltanto due mesi prima delle elezioni generali del 1982, esso riuscì a ottenere 2 seggi nel Congresso e il 3% dei voti in quella sua prima prova elettorale, passando a 19 seggi e al 9% dei voti nelle elezioni del 1986, e a 14 seggi e al 7,9% dei voti nelle elezioni del 1989. Da quel momento il CDS ha avuto scarsa fortuna, conseguendo una serie di vistose sconfitte in elezioni locali e regionali. Il suo leader carismatico, Adolfo Surez, ha abbandonato la direzione del partito e l'attività politica nel maggio 1991 e il CDS, dopo le elezioni politiche del giugno 1993, è scomparso dalla scena parlamentare. In realtà il CDS è caduto. vittima della sua incoerenza e della sua eccessiva ambizione di potere. Sul piano ideologico, ad esempio, il partito si de117

finì inizialmente «progressista» - e alcune sue posizioni ebbero effettivamente un carattere gauchista -, ma aderì alla Internazionale liberale, di cui Surez fu eletto vicepresidente. Sul piano dell'azione politica, ancora nella legislatura 1989-1992, dapprima si alleò col PP per estromettere il PSOE da alcuni governi locali e regionali e subito dopo raggiunse un accordo col PSOE per appoggiare il governo, avversato dal Pp, nella politica nazionale.

A destra si incontra il Partido Popular (Pe) il quale, nonostante un'origine marcatamente di destra, si muove verso il centro dello spettro politico, puntando a collocarsi in uno spazio di centrodestra, lasciato vuoto dalla scomparsa della UCD e dalla crisi del CDS. Il nuovo Pp è nato nel 1989 dalla riconversione - o «rifondazione», nella terminologia del partito - di Alianza Popular (Ao).

Ap era sorta da una federazione di alcuni piccoli gruppi franchisti - con la presenza fra loro di sei ex-ministri del generale Franco - creata nell'ottobre 1976. Man mano che abbandonava il suo iniziale carattere neofranchista ed autoritario, l'Ap evolveva verso un partito unificato (marzo del 1977) che si presentò in tutte le elezioni generali insieme a diversi partiti di destra o di centrodestra, soprattutto liberali, democratici cristiani e alcuni gruppi regionalisti. All'inizio ebbe uno scarso successo (16 seggi e l'8,2% dei voti nel 1977; 9 seggi e 5,8% dei voti nel 1979), ma migliorò la sua posizione quando l'UcD crollò nel 1982 (106 seggi e il 26,1% dei 118

voti). Nelle elezioni generali del 1986, l'Ap e i suoi alleati mantennero le loro posizioni (105 seggi e il 25,6% dei voti), tuttavia, dato che le loro aspettative erano state molto più alte, ciò venne considerato un fallimento politico. Il partito entrò in una profonda crisi e il suo padre-fondatore, e vera «alma pater» del partito, Manuel Fraga, diede le dimissioni da presidente e fu sostituito subito dopo da. Antonio Hernndez Mancha (febbraio 1987). La stessa coalizione si spaccò e il PDP, il PDL e alcuni militanti dell'Ap si ritirarono lasciando l'Ap da solo con i suoi soli 68 deputati nella Camera dei Deputati. L'incapacità di Hernndez Mancha di unificare la destra dietro il progetto di Ap e, addirittura, di risolvere le tensioni all'interno del suo stesso partito, indussero Fraga a assumere di nuovo la presidenza e a realizzare una profonda riforma interna. Tale riforma ha comportato un mutamento di denominazione (Partido Popular), di strategia, di organismi direttivi e, in parte di orientamento ideologico, che si pretende democristiano (al IX Congresso - gennaio 1989 - si è parlato di «umanesimo cristiano»). Il mutamento si produsse appena prima delle elezioni generali dell'ottobre 1989, in cui il PP ottenne un risultato appena migliore di quello di Ci' nel 1986 (107 seggi e il 25,6% dei voti: si veda la Tab. i)'.

Il nuovo PP nasce quindi con un profilo diverso da quello di Ap e con l'intenzione di occupare lo spazio di centrodestra ancora disponibile. Come prova

evidente della volontà di abbandonare la precedente collocazione di destra pura e dura, a pochi mesi dalla sua fondazione, il Pp abbandonò al parlamento di Strasburgo il gruppo conservatore per integrarsi nel gruppo popolare europeo (giugno 1989). Il passaggio più importante della nuova linea è stato tuttavia il X Congresso (marzo 1990), in cui, ritiratosi ancora una volta Fraga nel suo feudo di Galizia, di cui presiede il governo regionale 18 , viene nominato presidente José Maria Aznar. Attorno al nuovo leader si forma un gruppo dirigente composto da esponenti di una nuova generazione politica, giunta sulla scena dopo la transizione democratica e non implicata nel consenso politico che ispirò quel processo' 9 . Il PP inizia a proporre paradossalmente, allo scopo di allontanare il PSOE dal governo, una politica di cambiamento, di onestà, di pragmatismo e di razionalizzazione della cosa pubblica: esattamente le stesse armi con cui il PsoE giunse al potere nel 1982, sostituendosi all'UcD. Questa nuova dimensione del P - partito rinnOvato, di centro-destra, con una collocazione fra democristiano e liberale -, il vuoto ancora esistente al centro, la critica situazione attraversata dal PSOE nell'ultima legislatura hanno contribuito alla crescita del partito di Aznar - nonostante il coinvolgimento in fatti di corruzione politica e di finanziamenti illeciti, venuti alla luce negli ultimi anni20 - e a un considerevole aumento delle aspettative di voto per le

elezioni del 199321, poi parzialmente deluse dal risultato del voto di giugno (34% dei consensi e 141 seggi al Congresso).

Da questa descrizione dei principali partiti di ambito nazionale risulta un aspetto peculiare del sistema partitico spagnolo, che lo differenzia da altri sistemi partitici europei: la totale assenza di forze politiche di estrema sinistra e di estrema destra. Finora, soltanto un gruppo di estrema destra è riuscito ad ottenere una propria rappresentanza al congresso dei deputati: 1' Union Nacional (UN), una coalizione di partiti di carattere franchista e falangista capeggiata da Fuerza Nueva e dal suo leader Blas Pifiar (un seggio al Congresso eletto nel 1979 e il 2% dei voti). Da allora la destra estrema non è più stata rappresentata né al Parlamento, né nelle assemblee legislative delle Comunità autonome. Per quanto concerne l'estrema sini•stra, il panorama è lo stesso. Soltanto il gruppo radicale basco di Herri Batasuna ottiene regolarmente una propria rappresentanza. Si tratta però di un gruppo regionale, la cui azione non si estende alla totalità del territorio spagnolo. Neppure i gruppi verdi o ecologisti hanno fin qui ottenuto una qualche rappresentanza e la situazione di profonda divisione interna e di virtuale atomizzazione in cui si trovano aggiunge una difficoltà ulteriore al sua radicamento nell'elettorato spagnolo. Elettorato che, in tal senso, si presenta come uno dei meno radicali d'Europa.

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I partiti regionali Se questa è la situazione dei partiti su scala nazionale, essa viene ad essere complicata, dalla presenza di un importante sottosistema di partiti regionali.

Questo sottosistema è importante sia in termini quantitativi che qualitativi.

Una parte considerevole del totale dei voti va ai partiti regionali o «nazionalisti» dando loro un ragionevole numero di seggi nelle Cortes Generales. Nelle elezioni generali del 1977, essi ottennero il 6,7% dei voti e 24 seggi (7%) nella Camera dei deputati; nel 1979, l'8,7% dei voti e 28 seggi (8%); nel 1982, il 7,5% dei voti e 24 seggi (7%); nel 1986, il 9,5% dei voti e 35 seggi (10%); e nel 1989 il 10,8% e 37 seggi (10,6%) (si vedano le Tabb. 4 e 5). Queste percentuali, in progressivo aumento, sono persino più alte se considerate entro la sfera esclusiva di ciascuna Comunità Autonoma o se si prendono in considerazione i risultati delle elezioni dei Parlamenti regionali.

Questi partiti sono riusciti ad ottenere una maggioranza assoluta in tutte le elezioni generali o regionali svoltesi nei Paesi Baschi (salvo l'elezione generale del 1977) e risultati soltanto leggermente inferiori in Catalogna, Galizia, e in altre regioni (vedi Tab. 2).

In termini qualitativi, la presenza dei partiti regionali è rilevante poiché essi hanno introdotto nella competizione politica il contrasto nazionalismo-centralismo quale fattore indipendente dalla classica opposizione destra-sinistra. E 120

anche vero, tuttavia, che i gruppi regional-nazionalisti più importanti o di maggiori dimensioni sono partiti situati al centro-destra o al centro dello spettro ideologico, mentre i più piccoli sono radicali e perfino violenti, si trovano all'estrema sinistra e agiscono come veri partiti anti-sistema. Questo è completamente diverso da quello che avviene fra i partiti su scala nazionale o a livello statale, dove i partiti di destra sono decisamente i più nazionalisti e quelli di sinistra i meno nazionalisti.

La gravità del problema regionale ha spesso significato che i partiti di portata nazionale si affermassero nelle aree dove il problema è più sentito come veri e propri partiti regionalisti, trasformando la loro struttura interna in una struttura federale (col che gli organismi regionali di tali partiti paiono agire in modo completamente autonomo, quali partiti regionali praticamente indipendenti) e formando alleanze stabili, o coalizioni, con partiti decisamente regional-nazionalisti di uguale ideologia in quelle regioni dove la loro presenza era o troppo debole o precedentemente insistente22 . In ogni modo, la situazione è tale che i partiti su scala nazionale, da un punto di vista elettorale, sono obbligati ad agire come partiti regionalisti, non solo in occasione delle elezioni regionali, ma anche molto spesso nelle elezioni generali.

I più importanti partiti regionalisti al contrario, hanno teso a creare un gruppo politico di portata nazionale che potesse rappresentare a livello nazionale i

loro interessi e la loro ideologia di impronta centrista o di centro-destra, mediante il coordinamento, la confederazione, o perfino la creazione di un nuovo partito.

Tutti gli sforzi intrapresi in questa direzione sono finora falliti. L'esempio più rappresentativo di questa esperienza politica è forse costituito dall'effimero Partido Reformista Democratico (PRD).

Costituito grazie al supporto dei Ciu catalano, della CG della Galizia e di altri gruppi nazionali e regionali poco prima delle elezioni del 1986, rastrellò soltanto lo 0,97% dei voti, senza riuscire ad ottenere rappresentanza in parlamento, e scomparve poco dopo. Un tentativo analogo di coalizione o, quanto meno, di azione politica coordinata, sia elettorale che parlamentare, è attualmente in atto fra alcuni dei più rappresentativi di questi piccoli partiti regionali di centro e di destra, per iniziativa del PAR, di Uv e di UA23 .

L'obiettivo è inoltre quello di trarre vantaggio dagli sviluppi elettorali a livello nazionale, che potrebbero conferire ai .gruppi regionali la posizione di ago della bilancia politica spagnola.

I partiti regionali e locali tendono quindi attualmente a proliferare. Il motivo ditale proliferazione, che si produce di preferenza nello spazio di centro-destra, sta, da un punto di vista strutturale, nel forte decentramento politico e amministrativo realizzato in Spagna dal 1978 in avanti. Ne sono scaturite innumerevoli istanze rappresentative di potere, facilmente raggiungibili dall'elet-

torato; ciò favorisce il sorgere di gruppi politici prossimi ad esse e che si limitano ad agire esclusivamente in quegli ambiti. Da un punto di vista dinamico, la ragione di questa proliferazione sta invece nel comportamento dei partiti di ambito nazionale, e in particolare di quelli collocati a destra e al centro-destra, i quali non sono stati capaci di offrire un'alternativa politica in grado di coprire compiutamente il grande vuoto esistente in quest'area dello spettro politico e di assicurare, al tempo stesso, un adeguato contemperamento degli interessi nazionali o generali e della difesa degli interessi regionali e locali. A ciò deve aggiungersi, inoltre, lo scontento e le divergenze che, in modo sempre più pronunciato negli ultimi anni, la condotta del centro suscita nelle periferie partitiche.

Dalla Fig. i si ricava come non soltanto il numero di nuovi partiti che di anno in anno si iscrive nel Registro dei partiti del Ministero degli interni perviene nel 1991 a una cifra non lontana da quella raggiunta nel 1977, ma che il numero dei partiti tende a aumentare dopo ciascun periodo elettorale (si veda nella stessa figura ciò che è avvenuto nel 1983, nel 1987 e nel 1990, dopo le elezioni del 1982, del 1986 e del 1989), quando cioè in vari gruppi politici è più probabile l'insorgere di. una certa frustrazione per i risultati elettorali ottenuti.

Se si analizzano i diversi sottosistemi regionali di partito, si ricava l'effettiva importanza dei partiti regionali nel sistema politico spagnolo, che è senz'al121

tro maggiore di quel che i risultati ottenuti da tali partiti alle elezioni lascino intendere. Tale importanza dipende non soio a) dai risultati che tali partiti ottengono nelle rispettive Comunità autonome (in alcuni casi, come la Catalogna, detengono una vera e propria posizione egemonica), ma anche, come si è detto, b) dall'ampiezza del potere politico esercitato nelle loro rispettive Comunità, in virtù del considerevole decentramento politico realizzato a partire dalla Costituzione del 1798, e, di conseguenza, c) dalla loro capacità di pressione sul potere centrale e sui suoi agenti, i partiti politici nazionali. Tale pressione può diventare ancora maggiore se, come sembra potere accadere nell'immediato futuro, i partiti nazionali dovranno sollecitare il sostegno dei partiti regionali per poter formare il governo.

Dopo le ultime elezioni regionali, tenutesi fra il 1989 e il 199224, nei parlamenti delle comunità autonome sono rappresentati 28 partiti regionali, dei quali soltanto nove sono presenti nel Congresso dei deputati 25 . Nelle 12 Comunità (su 17) dove sono presenti, tali partiti detengono nel complesso alle ultime elezioni regionali una media del 32,2% dei voti e del 34,3% dei seggi, giungendo ad ottenere oltre la metà di voti e seggi in quattro casi: Baleari, Canarie, Catalogna e Navarra. Inoltre, pur se attualmente soltanto due di questi gruppi sono al governo da soli, forti di una maggioranza assoluta (Ciu in Catalogna e UPN in Navarra), in altre sei Co122

munità i partiti regionali partecipano a governi di coalizione, sia con partiti di carattere nazionale (in cinque casi), sia esclusivamente con altri partiti regionali (è il caso delle Canarie) (si veda Tab. 3).

D'altro canto, i sottosistemi regionali non sono uguali tra loro e, malgrado le Comunità autonome presentino una legislazione elettorale simile, mutuata da quella utilizzata per l'elezione del congresso dei deputati, i risultati variano da una Comunità all'altra, nonché rispetto al sistema partitico nazionale. In quattro Comunità (Castiglia-LaMancha, Madrid, Murcia e la Rioja) si ha una competizione a due, che interessa i due grandi partiti nazionali (PsoE e Pe), con la presenza di un terzo partito (di solito Tu) che segue però a grande distanza. In dieci altre Comunità, l'assetto del sistema partitico è a pluripartitismo moderato, analogo a quello esistente al Congresso dei deputati: due partiti si disputano il governo e tra di essi e gli altri esiste una larga differenzia di voti. In tali casi, dopo le elezioni del 1991, il numero di partiti rappresentati oscilla fra quattro e sei; a competere per il governo sono PsoE e PP in Otto casi (Andalusia con quattro partiti al parlamento; Asturie, con cinque; Baleari, con sei; Cantabria, con quattro; Castiglia-Leon, con quattro; Estremadura, con quattro; Galizia, con cinque; Valencia, con quattro) e un partito nazionale e uno regionale in due (PsoE e PAR in Aragona, nel cui parlamento siedono rappresentanti di quattro partiti; PSOE e Ciu in Catalogna, nel cui parlamento

siedono rappresentanti di cinque partiti). Nelle restanti tre Comunità, esiste un pluripartitismo estremo, con un grande equilibrio di voti fra i partiti maggiori. Si tratta di Canarie, il cui sistema partitico conta sette partiti dopo le ultime elezioni, Navarra (cinque) e Paese Basco (sette). In questi tre casi si sono formati governi di minoranza regionale26 .

L 'inconsistenza ideologica Il mancato consolidamento del sistema partitico spagnolo si manifesta anche nella carenza di consolidamento ideologico e nella conseguente proliferazione di contraddizioni e paradossi ideologici. Non solo quasi tutti i partiti sono cambiati ideologicamente rispetto ai loro precedenti storici e persino dal 1977 ad oggi, ma queste contraddizioni o paradossi si manifestano anche rispetto alle loro attuali formulazioni ideologiche o programmatiche.

Prendiamo, ad esempio, il caso del PSOE. Formalmente il partito non solo mantiene orgogliosamente nella propria sigla la «o» di operaio, ma rivendica di essere - almeno secondo il suo vicesegretario e ex-vicepresidente del governo Alfonso Guerra - il partito dei poveri e, naturalmente, un vero partito di sinistra. Ciononostante, da quando andato al potere nell'ottobre del 1982, il Governo del PsoE ha attuato una politica economica decisamente liberale, rifiutando la purché minima statalizza-

zione, e incoraggiando inoltre l'impresa e gli interessi privati: molte industrie nazionalizzate sono state privatizzate; i salari e l'indennità per la disoccupazione sono stati ridotti; sono state aperte le porte al capitale straniero e ridotte, quando non del tutto soppresse, le tasse sugli investimenti di capitale. Se prendiamo in considerazione altri aspetti, quali la struttura territoriale dello Stato, il PSOE Si è trasformato da partito federalista, difensore del diritto all'autodeterminazione delle nazionalità e delle regioni di Spagna, in un partito moderato su questo terreno, geloso guardiano del principio di unità della nazione spagnola. Se si passa a considerare la politica estera, osserviamo che il PSOE, pur mantenendo una posizione di sinistra prima delle elezioni del 1982 - un atteggiamento di leggero antiamericanismo e pro-terzomondismo; una predisposizione anti-NATO e pro neutralità, ecc. -, ha mutato posizione da quando entrato in carica. I socialisti hanno non solo completato con successo il processo di integrazione della Spagna nella Comunità europea, ma hanno anche difeso la continuità dell'appartenenza della Spagna alla NATO chiedendo il «Sì» . in quel referendum che nel suo programma elettorale prevedeva originariamente la richiesta del ritiro da questa organizzazione. Il PSOE ha presentato inoltre domanda d'ingresso nell'UEO e, infine, ha dimostrato atteggiamenti molto più pro-occidentali ed europeisti rispetto ad alcuni alleati occidentali.

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Una simile incoerenza è stata dimostrata per il Pi'. Come già detto, in precedenza, il partito è nato come Ai' con un'evidente impronta neofranchista e autoritaria, ma dopo aver messo da parte alcune fra le più eminenti personalità franchiste ed aver accettato senza limitazioni il nuovo sistema democratico nel suo congresso del gennaio 1983 si definì partito «liberale-conservatore», tentando di seguire il modello britannico e unendosi all'Internazionale dei Conservatori. La sconfitta dell'UcD incoraggiò il partito a tentare di guadagnare i voti del centro e così a presentare un carattere più moderato e di centro-destra. Ciò spiega le coalizioni elettorali formatesi nel 1982 e 1986, alla ricerca della cosiddetta «maggioranza naturale», miranti a sconfiggere il PSOE. Questo tentativo di spostamento verso il centro, così lontano dal punto di partenza, indusse il partito, superati alcuni problemi di leadership al proprio interno, a ricostituirsi come Pi' nel 1989, allargando la propria base di riferimento e rinnovando i propri organismi dirigenti e il proprio orientamento ideologico. A questo punto si tratta di realizzare una «apertura al centro», di creare un «partito al centro» (e, si afferma, non centrista), che promuova i valori dell'«umanesimo cristiano». Nel 1989, il Pp ha così abbandonato l'Internazionale conservatrice, per aderire poco dopo all'Internazionale democristiana e al Gruppo popolare europeo. Tutto ciò ha comportato per il partito non poche contraddizioni: da una parte, la sua po124

sizione era - ed è ancora - molto conservatrice su argomenti quali l'aborto, il divorzio, l'istruzione, la difesa, la giustizia e l'ordine pubblico. D'altro canto, la sua politica anti-PsoE l'ha portato ad adottare posizioni contro le proprie formulazioni ideologiche naturali.

Esemplare, a riguardo, il passaggio del Pi' sul terreno della struttura territoriale dello Stato, da una posizione di strenuo difensore dell'unità della patria alla proposta di un approfondimento del processo di decentramento, che contempli anche il passaggio alla «amministrazione unica» 27. L'aspetto più clamoroso di questa contraddizione ideologica è stato però l'atteggiamento tenuto al referendum del 1986 sulla permanenza della Spagna nella NATO, in cui, malgrado la propria posizione atlantica, il Pp si schierò per l'astensione; e tutto ciò soltanto per antagonismo alla politica del governo socialista.

Il CDS costituisce un altro esempio della confusa situazione ideologica che caratterizza l'attuale sistema partitico spagnolo. Nato quale partito centrista e progressivo, esso ha difeso alcune politiche attuate dalla sinistra nell'ambito dell'economia, della difesa e delle relazioni internazionali - per i servizi sociali, contro la NATO, contro le basi statunitensi in Spagna, per la riduzione della leva a tre mesi, e così via -. Al tempo stesso, tuttavia, il CDS ha aderito (settembre 1988) all'Internazionale Liberale. Così facendo, ha dato l'impressione, puressendo un partito di centro, di voler raccogliere voti non solo dal

centro, ma anche dal centro-sinistra e persino dalla sinistra stessa, spazi occupati elettoralmente dal PSOE. Persino il PCE ha subito alcune modifiche e si è spostato avanti e. indietro dal 1977 in poi: moderazione e eurocomunismo durante il periodo di transizione e i primi anni della democrazia; radicalizzazione, scomparsa dell'eurocomunismo, perdita d'identità e forte crisi interna all'inizio degli anni Ottanta; ricerca di un nuovo spazio politico di un nuovo tipo di sinistra, paladina delle nuove domande della società quali l'ecologia, la partecipazione, ecc., e di coalizioni stabili con altri gruppi progressisti di sinistra (in Tu) in questi ultimi anni. Allo stesso tempo però il PcE ha tentato di recuperare la propria identità, un certo carattere di purezza marxista - il proprio «filo rosso», per riprendere l'attuale segretario generale J. Anguita -, che potrebbe restituire di nuovo al PCE una forza egemonica nella sinistra spagnola 28 .

Come il sistema politico in generale, anche i partiti politici spagnoli sono piuttosto nuovi e questo li rende in un certo senso dinamici, alla ricerca del loro spazio politico e persino della propria identità; tutto ciò comporta una certa instabilità e una mancanza di consolidamento, sia a livello strutturale sia ideologico, che si riflette sui sistema partitico.

IL SISTEMA PARTITICO

Frammentazione

Per quanto si è fin qui detto, il sistema partitico spagnolo dovrebbe essere molto frammentato: i partiti nazionali sono molti e quelli regionali e locali ancor più numerosi. E anche vero che non tutti questi partiti posseggono uguale forza elettorale e che molti di loro non hanno mai conseguito rappresentanza né al parlamento nazionale Cortes Generales - né nei parlamenti regionali.

Nelle cinque elezioni generali che hanno avuto luogo dal 1977 al 1992, un totale di 21 formazioni politiche - partiti e coalizioni elettorali - sono state presenti nella Camera dei deputati, ma soltanto 6 di esse in tutte e cinque le legislature. Ciò suppone che nelle cinque legislature succedutesi dal 1977 al 1992, vi è stata una media di 12 forze politiche presenti al parlamento, con un minimo di dieci gruppi (Cortes del 198286) e un massimo di 14 (Cortes del 197982). Si tratta nel complesso di 30 partiti politici, 5 dei quali si sono presentati soli alle elezioni, mentre il resto si è presentato in coalizioni elettorali in una o l'altra delle elezioni.

Questo livello di frammentazione è evidente, in puri termini quantitativi, nella distribuzione dei seggi nella Camera dei deputati, dove circa l'80% dei gruppi politici, (partiti e coalizioni), non supera i 23 seggi, mentre solo due hanno ottenuto più di 100 seggi in ciascuna 125

delle cinque elezioni generali (si veda la Tab. 4). Il fatto più rilevante, tuttavia è che la maggior parte di quelle 21 formazioni politiche sono regionali. Esse sono state più numerose di quelle nazionali in tutte e cinque le elezioni, salvo in quelle del 1982, e nelle elezioni del 1986 e del 1989 hanno raddoppiato il numero dei gruppi nazionali. Il loro numero, secondo quanto si desume dalla Tab. 5, è in progressivo aumento, eccetto che alle elezioni del 1982.

Se dal numero dei gruppi o partiti presenti nello scenario politico si passa a considerare il loro peso elettorale, la prospettiva cambia leggermente.

La legge elettorale (per la Camera dei deputati un sistema proporzionale basato sulla formula d'Hondt, con soglia di esclusione del 3%) riduce considerevolmente il numero dei partiti. La formula d'Hondt tende a favorire i partiti maggiori e quelli minori che concentrano la loro forza in uno o pochi collegi elettorali. Ciò è esattamente quel che succede in Spagna, dove la rappresentanza parlamentare a livello nazionale è più facilmente conseguibile dai partiti regionali con una piccola percentuale dei voti totali che dai partiti nazionali più piccoli (si vedano le Tabb. i e 6).

Se, seguendo l'indice di frammentazione di Rae29 prendiamo in considerazione non solo il numero dei partiti ma, contemporaneamente, anche il loro peso elettorale e parlamentare, le prospettive non sono poi così drammatiche, almeno in termini comparativi. Come si desume dalla Tab. 7, l'indice di fram,

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mentazione ha subito fino al 1986, anno in cui ha ricominciato a salire di nuovo, un leggero rallentamento. Il livello medio di frammentazione partitica registrato in Spagna nell'intero periodo democratico non è peraltro molto più elevato rispetto al resto dei paesi europei.

Come si vedrà più avanti, ciò è dovuto al fatto che, sebbene il numero dei partiti aventi una rappresentanza parlamentare sia molto elevato, e sia persino aumentato nel tempo, il voto si è concentrato nei due partiti maggiori nazionali, e soprattutto nel primo, attualmente il PsoE. Anche se in Spagna il livello medio di frammentazione è superiore soltanto di poco alla media europea (0,74 vs. 0,71), esso è inferiore a quello registrato nello stesso periodo in sistemi partitici vicini a quello spagnolo come quello italiano (0,78) - con un maggior numero di partiti rappresentati «al Parlamento - o quello francese (0,81) - con un minor numero di partiti rappresentati, ma con una distribuzione dei voti assai più equilibrata.

D'altra parte, sebbene il numero dei partiti non sia diminuito, il voto ha dimostrato una progressiva tendenza a concentrarsi sui due maggiori partiti, eccezion fatta per le elezioni del 1989 (si veda la Tab. 8). In proposito si debbono sottolineare tre aspetti. In primo luogo la concentrazione dei voti interessa soltanto i partiti a portata nazionale, quelli cioè che hanno subito le maggiori trasformazioni elettorali l'UcD, il PsoE, il P -. I singoli partiti

regionali tendono a rimanere entro una percentuale di voti e seggi più o meno stabile, che difficilmente raggiunge il cinque per cento. In tal senso, le elezioni generali del 1986 sono state le prime in cui un gruppo regionale — il catalano Ciu — ha raggiunto la quarta posizione quanto a numero di, voti e seggi a livello nazionale, pur avendo presentato candidati in solo quattro collegi. Tale posizione potrebbe migliorare ulteriormente se, come sembra, (e come è poi effettivamente accaduto alle elezioni generali del giugno 1993), il CDS dovesse perdere ancora posizioni. In secondo luogo, nelle prime due elezioni generali e nelle elezioni generali del' 1989, la differenza fra il primo e secondo partito si è ridotta e si è fatta ancor più stretta dopo le elezioni del 1993.

Alle elezioni del 1982 e del 1986, invece, la concentrazione dei voti ha teso a favorire soprattutto il primo partito e la differenza di voti fra il primo e il secondo partito è raddoppiata. In terzo luogo, il livello della concentrazione dei voti sui due gruppi principali non raggiunge una percentuale sufficientemente alta per designare la Spagna come sistema bipartitico. Secondo Rae, si può parlare di sistema bipartitico quando la somma dei voti dei due partiti principali eccede il 90% del totale e il partito principale raccoglie meno del 70% del totale. Come si ricava dalla Tab. 8 il sistema partitico spagnolo è ben lungi da questo modello, sebbene si debba riconoscere che la percentuale totale dei seggi ottenuti dai due maggiori gruppi politi-

ci al Congresso è abbastanza vicina al minimo richiesto da Rae 30 In generale, come si è già detto, questo livello piuttosto elevato di frammentazione deve attribuirsi in Spagna principalmente al problema regionale e alla presenza di partiti regionali e inoltre, almeno in una fase iniziale, alla rottura dell'UcD e alla crisi dell'area di centro e di destra all'indomani delle elezioni del 1982. A ciò deve aggiungersi, infine, la menzionata crisi dei grandi partiti tradizionali nell'attuale situazione di mutamento, il che ha indotto l'emergere di nuove forze politiche.

Il sistema partitico spagnolo dei primi anni Novanta può essere caratterizzato, in questa prospettiva, come a) un sistema multipartitico con quattro importanti gruppi politici di portata nazionale — attualmente il PsoE, il Pp, il CDS e l'lu -, e con circa Otto partiti molto più piccoli di portata regionale — attualmente la Ciu, il PNV, l'HB, il PA, l'Uv, l'EA, il PAR, e le Aic —; b) un sistema con il livello di frammentazione (calcolato utilizzando l'indice di Rae) leggermente superiore alla media europea, ma inferiore al livello che esso registra in sistemi vicini come quello italiano o francese; e c) un sistema che elettoralmente è ancora, ben lungi dall'essere un sistema puramente bipartitico. .

Vo1atilitì elettorale La mancanza di consolidamento è evidente anche nel livello estremamente 127

elevato di volatilità elettorale 31 , in particolare nelle elezioni generali del 1982.

In quelle elezioni, non solo il PSOE raggiunse la vittoria elettorale, e per la prima volta nel nuovo periodo democratico potendo contare su una maggioranza assoluta, ma vi fu anche un importante cambiamento a .destra, con l'UcD messo da parte da Ap. L'UcD perse non solo il proprio primato - e con esso il governo - a favore della sinistra, ma si è vista soppiantata dalla coalizione di destra, la Coalicicn Popular, guidata da Ap. Il periodo democratico analizzato qui potrebbe essere in proposito diviso in due fasi: la prima, che copre le prime due legislature (1977-79; 1979-82) la seconda le ultime tre (1982-86; 1986-89 e 1989-92). Il livello di volatilità fra la prima e la seconda elezione generale, così come fra la terza, la quarta e la quinta è relativamente basso (8,2%, 10,7% e 6,3% rispettivamente). Si tratta di un livello comparabile a quello di altri sistemi partitici europei più vecchi e più consolidati, più basso, ad esempio, di quello della Francia (si veda la Tab. 9). In ambedue le fasi il primo partito - e il partito al governo - rimane lo stesso in due - l'UcD nella prima fase - o tre elezioni consecutive - il PSOE nella seconda - e persino la differenza dei voti fra il primo partito ed il secondo era anch'essa simile - circa 5 punti percentuali nel 1977 e 1979, e circa 20 punti percentuali nel 1982 e 1986 mentre si riduce nel 1989 (si vedano le Tabb. i e 8).

128

Le elezioni del 1982, in cui il trasferimento dei voti fu così grande che l'indice di volatilità saltò al 40% (si veda la Tab. 9), separano le due fasi. In quelle elezioni, 9 milioni di elettori cambiarono partito. Se tale spostamento è avvenuto sia a destra che a sinistra, esso stato maggiore a destra (volatilità = 26%) che a sinistra (volatilità = 12%).

La disintegrazione o la sconfitta elettorale dell'UcD aprirono a destra la strada al grande trionfo della coalizione elettorale guidata da Ap, che passò da 9 a 106 seggi. A sinistra, il PSOE vide aumentare il proprio elettorato a spese del PCE e UCD, passando da 121 a 202 seggi. Sulla base dei dati disponibili, quasi la metà dei voti ottenuti dal PSOE nel 1982, proveniva da altri gruppi politici - principalmente dall'UcD (il 16%) - o dalle astensioni. Nel caso di Ap, tale quota cresce al 65% (con affiussi provenienti anche in questo caso principalmente dall'UCD (il 43%) (si veda la Tab. 12)32 .

Dal 1982 in avanti, la situazione si è di nuovo leggermente stabilizzata, col consolidamento della maggioranza socialista e col ridursi, nelle elezioni del 1986 come in quelle del 1989, dello spostamento di voti. La volatilità di quelle elezioni (10,7% e 6,29% rispettivamente) dev'essere attribuita alla riuscita dei partiti regionalisti e del CDS. Tali spostamenti verificatisi alle elezioni del 1986 sono illustrati nella Tab. 13. La Tab. 14 reca invece gli ipotetici spostamenti di voto che, secondo un'inchiesta d'opinione condotta alla vigilia del

voto del giugno 1993, avrebbero potuto prodursi in quelle elezioni. Le previsioni di un vistoso calo del PSOE (soprattutto a vantaggio di lu), della scomparsa del CDS (soprattutto a vantaggio del Pp) e di un rafforzamento del P - previsioni solo parzialmente cònfermate dal voto - segnalano una crescita dell'indice di volatilità. L'esperienza dell'ultimo quindicennio sembra tuttavia indicare che l'indice di volatilità tenderà anche nei prossimi anni a mantenersi entro i livelli fin qui registrati (ad eccezione della difficilmente ripetibile situazione del 1982).

La situazione spagnola può quindi essere ritenuta simile a quella di paesi come la Francia, la Germania o l'Italia dopo la seconda guerra mondiale, ed è simile anche ai casi di Grecia e Portogallo dopo la transizione democratica degli anni Settanta.

L'elettorato francese, tuttavia, ha dimostrato di essere più incoerente dell'elettorato spagnolo non solo nel dopoguerra, ma anche in tempi recenti, producendo frequenti alternanze al potere e facendo registrare un livello di volatilità fra i più elevati d'Europa (si veda la Tab. iO).

L'aumento del livello di volatilità elettorale è un fenomeno riscontrato, d'altra parte, in numerosi paesi europei dagli anni Sessanta in poi (si veda Tab. ii), fenomeno che non deve essere attribuito necessariamente o esclusivamente ad un elettorato estremamente instabile, ma piuttosto a cambiamenti prodottisi nei partiti 35 . Ed è questo, an-

cora una volta, ciò che è accaduto nel caso spagnolo.

Polarizzazione Per capire il significato della polarizzazione, in quanto variabile che spiega le dinamiche e la stabilità del sistema partitico, e del sistema politico complessivo, è necessario rapportare la polarizzazione del sistema partitico a quella dell'elettorato, vale a dire, alla polarizzazione sociale, fattore decisivo per la vita del sistema politico 36. A questo proposito si deve dire anzitutto che la società spagnola aveva avuto esperienza di una situazione molto conflittuale e polarizzata nell'ultima esperienza democratica e cioè durante la Seconda Repubblica. Attualmente la società spagnola è molto più omogenea di allora e la struttura del sistema democratico ha dato prova di essere generalmente ben accettata37. Dove c'è un vasto accordo sulle questioni fondamentali - democrazia, organizzazione dello Stato, ecc.

-, per lo meno tra i più vasti e determinanti settori della società il confronto politico verte su problemi più contingenti. Inoltre, è relativamente basso anche il livello di polarizzazione su questioni politiche attuali, in particolar modo se si considerano le circostanze da cui è emerso il nuovo sistema democratico e sotto le quali si è sviluppato.

Come risulta da quasi tutti i numerosi studi sociologici effettuati sulla transizione politica e sull'attuale sistema de129

mocratico, la maggior parte della popolazione spagnola si colloca al centro.

Sulla scala dall'i al iO, la posizione media si situava tra il 1976 e il 1983 al 4,7 e nel 1992, si trova in una posizione che oscilla fra 4,6 e 5,4; si tratta di una posizione di centro-sinistra, molto simile a quella registrata in altri paesi europei quali l'Italia (4,5) o la Francia (5 ,0)38.

Spostandosi dall'elettorato al sistema partitico, il quadro diventa più complesso. Se prendiamo come riferimento i cinque partiti più importanti dello schieramento parlamentare - il PCE (lu), il PSOE, l'UcD, il' CDS e l'Ap (P) 39 - e se consideriamo la collocazione che ne dà l'elettorato (lungo il continuum sinistra-destra) possiamo vedere come questo indice di polarizzazione abbia oscillato con piccole variazioni tra lo 0,64, nelle elezioni del 1977, e lo 0,63 dopo il 1979, elevandosi allo 0,67 dopo il 1982 e il 1986. Si trattava in quel momento di uno degli indici più elevati in Europa - simile a quello italiano (0,63) e a quello finlandese (0,64) - e ciò era dovuto alla situazione prodottasi con la scomparsa dell'UCD, al vuoto apertosi al centro dello spazio politico e alle posizioni radicali assunte dai due maggiori partiti, il PSOE a sinistra e Ap a destra, che mantennero una posizione egemonica nei due rispettivi poli dello spettro politico. Nel 1992, il grado di polarizzaziòne è considerevolmente diminuito e si colloca nella scala attorno al valore di 0,52. Il livello di polarizzazione cade leggermente se si considera la distribuzione dei singoli partiti sullo stesso ar130

co sinistra-destra secondo i rispettivi elettori, ed anche se si prende in considerazione la autocollocazione degli elettori di ciascun partito. In ambedue i casi i valori sono più bassi e più vicini al centro rispetto alla posizione in cui gli elettori generalmente collocano i partiti politici. In questo caso il livello di polarizzazione oscilla attorno allo 0,4.

Se ne desume che l'elettorato è meno polarizzato di quanto esso ritenga siano i partiti politici, o il sistema partitico.

Ne deriverebbe un effetto centripeto sulla competizione politica, in quanto il sistema partitico tende ad adattarsi alle condizioni generali del sistema politico. E nonostante l'esistenza di una tendenza costante e latente nel sistema verso il consolidamento di due partiti dominanti al livello nazionale di competizione (il PSOE e il Pe), che sopravanzano di gran lunga il seguito elettorale degli altri e inducono una dinamica bipolare, tale dinamica non è centrifuga ma centripeta. Ciò che accomuna i due maggiori partiti è così la lotta per l'occupazione dello spazio politico di centro, il che fa sì non solo che le loro formulazioni politiche tendano alla moderazione, ma che essi siano percepiti in tal senso dall'elettorato. Le antiche etichette di sinistra e di destra, che identificavano in passato i due maggiori partiti e che ebbero una rilevanza eccezionale nei primi anni del nuovo sistema democratico, tendono così a diluirsi pur conservandosi, soprattutto nel caso del PSOE, almeno nominalmente. Anche dopo le elezioni del 1982, nono-

stante il collasso dell'UcD e il successo di due forze relativamente lontane fra loro come il PSOE e il Pi', la crescita del livello di polarizzazione è stato più apparente che reale, in quanto ambedue le forze hanno teso a spostarsi verso il centro.

Se analizziamo i risultati elettorali delle due elezioni generali, vediamo che nelle prime due (1977 e 1979) il risultato ottenuto dai due principali partiti nazionali si è adattato quasi perfettamente alla posizione ideologica dell'elettorato spagnolo; i voti si sono concentrati su quei partiti che si collocavano nell'arco ideologico che collega la sinistra alla destra, dove molti elettori spagnoli intendevano collocarsi. Nelle tre ultime elezioni (1982, 1986 e 1989) c'è stata un'enorme alterazione, e ciò è dovuto al fatto che nessun partito di centro è riuscito a raccogliere la maggioranza dei voti che si collocavano in quella posizione - il collasso dell'UcD ha indicato che gli elettori hanno votato per il PSOE o per l'Ap (Pe) - e che, di conseguenza, il PSOE e soprattutto il Pp sono sovrarappresentati rispetto alla quota di elettori che si collocano nella loro rispettiva posizione ideologica.

Se si esamina graficamente l'evoluzione della collocazione dell'elettorato nell'arco che collega la sinistra alla destra, possiamo vedere come l'opinione pubblica si distribuisca su una curva unimodale rimasta inalterata dopo le prime due elezioni e spostatasi leggermente a sinistra dopo le elezioni del 1982, a seguito di un considerevole aumento

della percentuale di cittadini che si autocollocavano nelle aree di centro-siùistra e di sinistra. Confrontando queste curve con quelle ottenute dalla collocazione dei partiti dello stesso continuum sinistra-destra e dalla percentuale di voti ottenuti in ciascuna elezione, se ne ricava nel 1977 e nel 1979 un andamento parallelo e ad altezza uguale (Fig. 2).

Nel 1982, si registra invece una netta rottura, proseguita nel 1986 e nel 1989, (Figg. 3 e 4); dovuta soprattutto al collasso dell'UcD e all'improvviso aumento della coalizione elettorale guidata dall'Ap. E per questo che si assiste oggi a un'enorme alterazione nella correlazione tra posizioni ideologiche dell'elettorato e dei partiti politici: mentre l'elettorato continua a presentare una curva unimodale, il vertice della quale si è spostato ora leggermente a sinistra, i partiti presentano una distribuzione bimodale che ha sorpassato di gran lunga la posizione dell'elettorato nei due vertici superiori, sia a sinistra che a destra e che è inferiore ad essa nel vertice inferiore di centro. La differenza fra forza elettorale dei singoli partiti e distribuzione dell'elettorato lungo il continuurn sinistra-destra si fa persino più marcata nella Fig. 5, riferita alle elezioni del 1989, in cui si può apprezzare la «anormale» sovrarappresentanza, nel caso dei due partiti maggiori in particolare, rispetto alla posizione occupata nello spettro ideologico sinistra/destra.

In base alla situazione successiva alle prime due elezioni (1977 e 1979) e all'attuale sovrarappresentanza del PSOE e 131

di A (Pe) rispetto alla posizione ideologica dell'elettorato, emergono con chiarezza alcune indicazioni non solo sulla natura critica delle elezioni del 1982 ma anche sulla mancanza di consolidamento e definitiva cristallizzazione del sistema partitico spagnolo. Questa situazione ci fa ritenere che in futuro il sistema partitico spagnolo sarà maggiormente coerente con la collocazione ideologica dell'elettorato: sia perché è avvenuto uno spostamento nella posizione ideologica - così come è percepita dall'elettorato - dei maggiori partiti, sia perché il partito o i partiti di centro, fino ad oggi sottorappresentati, si sono rafforzati, e anche perché i due partiti maggiori di destra e di sinistra (PP e PSOE) Si spostano verso il centro, modificando la loro posizione ideologico-programmatica e le loro strategie politiche e adattandole a un elettorato di centro, non dogmatico e pragmatico.

Come si è già visto, si può dire che attualmente è soprattutto il PP che, dopo la sua «rifondazione» del 1989, ad aver compiuto i maggiori sforzi in tal senso.

Se l'eccezionalità delle elezioni del 1982 segnò il collasso del centro e una crescita di polarizzazione, quelle del 1986 sembrano aver segnato, in certo modo, un ritorno alla «normalità», dal momento che la percentuale del centro o per lo meno del suo partito più importante, il CDS (9% dei voti) ha superato i risultati ottenuti dall'UDC nel 1982.

A pochi mesi dallo svolgimento delle elezioni generali del 1993, questo cammino verso la «normalità» - intesa co132

me adattamento del sistema partitico allo spettro ideologico dell'elettorato e quindi verso un'adeguata copertura dello spazio di centro e verso una riduzione della sovrarappresentanza della sinistra e della destra, sembra realizzarsi in modo diverso. Malgrado abbia mantenuto alle elezioni del 1989 le sue posizioni, con una lieve perdita di voti e seggi, il CDS non sembra ormai più in grado di occupare né di rivendicare a sé lo spazio di centro, che si troverà ad essere preda del Pp, partito dato in crescita da tutte le inchieste d'opinione, e, in minor proporzione dal PSOE, nonostante i consensi che i socialisti potranno cedere a loro volta a favore del PP e di lu (si veda la Tab. 14).

In questo modo il sistema partitico spagnolo si rivela un sistema moderatamente bipolare con dinamiche fluttuanti. Tali dinamiche per il mancato consolidamento e la conseguente instabilità hanno agito inizialmente in modo centripeto (elezioni generali del 1977 e 1979: fase dominata dal consenso costituente e dal governo dell'UcD); poi in modo leggermente centrifugo (elezioni del 1982: momento in cui la UCD crolla e ha inizio il confronto diretto fra PSOE e Ao); per poi tornare ad essere di nuovo centripete con le elezioni del 1986 e da allora in avanti, secondo una tendenza accentuatasi dopo la riconversione del PP e la sua sfida al centro 40 .

Il sistema partitico e la democrazia Mancanza di modello consolidato, frammentazione, volatilità e polarizzazione del sistema partitico spagnolo fanno sorgere non pochi interrogativi su come il sistema politico abbia potuto funzionare negli ultimi anni in modo stabile e corretto. Ciò è avvenuto grazie a diversi fattori. Anzitutto, le dinamiche sociali, come si è visto esaminando il grado di polarizzazione esistente fra l'elettorato ed i partiti, sono state più moderate di quanto non fosse la competizione fra i partiti, e così hanno agito da contrappeso con la loro forza centripeta e moderata. D'altra parte, queste differenze erano più apparenti che reali. Mentre l'elettorato definisce la propria posizione ideologica con riferimento a questioni di fondo relative alla società e al sistema politico, i partiti fondano la loro collocazione ideologica su questioni politiche più a breve termine, aspetto che necessariamente aumenta il divario esistente fra di loro.

La stabilità del sistema democratico è determinata, in secondo luogo, dal considerevole aumento del peso specifico del sistema partitico nell'ambito del sistema politico nel suo insieme. Si tratta del risultato dell'indebolimento di forze influenti o dei gruppi di pressione che avevano avuto tanto peso nella transizione e nei primi anni della democrazia. Forze armate, polizia, burocrazia, Chiesa, ecc., hanno trovato il posto «giusto» all'interno della società e la loro pressione si è fatta sentire so-

prattutto all'inizio del periodo democratico. In tal senso si può affermare che l'attuale sistema democratico spagnolo sia ormai pienamente consolidato41 . Al consolidamento del sistema politico democratico in generale corrisponde il considerevole radicamento sociale raggiunto in questi ultimi anni dal sistema partitico. Un importante indicatore del consolidamento sociale raggiunto dal sistema partitico appare essere la diffusa lamentazione sull'invasione di ogni ambito della società (istituzionale come economico) da parte degli stessi partiti, che avrebbero lasciato liberi dalla loro influenza e dal loro contiollo pochi spazi. Questi giudizi, non del tutto ingiustificati, restituiscono la forza e il radicamento sociale del sistema dei partiti e non sarebbero stati espressi se tale sistema fosse debole e poco influente, come è stato nei primi anni di regime democratico.

L'incoerenza globale del sistema partitico, e questo è il terzo e ultimo fattore, è stata più che compensata, dal 1982 in avanti, dal peso specifico del PSOE. La maggioranza assdluta ottenuta da questo partito in quelle elezioni e poi ancora nel 1986 e nel 1989 e la sua solidità• interna hanno conferito al PSOE un'indiscussa capacità di governo, il che ha giocato un ruolo decisivo nel contrastare le disfunzioni dovute alla debolezza iniziale del sistema partitico e alla sua mancanza di consolidamento. In tal modo il PSOE ha favorito la stabilità ed il consolidamento del sistema politico democratico complessivo.

133

A questo punto, però, un indebolimento del PSOE, che dalla fine degli anni Ottanta sembra effettivamente indebolirsi nel proprio sostegno esterno e nella forza organizzativa, non dovrebbe comportare un indebolimento globale del sistema politico. Mi sembra si possa affermare che il sistema democratico spagnolo è ormai consolidato - il che non significa pietrificato - e che la mancanza di consolidamento di cui ancora patisce il sistema partitico dipende più dall'incompiuta configurazione di un modello determinato, con attori ben definiti e relazioni stabili fra loro, che da una mancata stabilizzazione del sistema partitico nella struttura globale del sistema politico. In proposito occorre ricordare non solo che il sistema partitico funziona, e ha funzionato, indipendentemente dalle variazioni dei suoi assetti interni - tanto a livello nazionale che regionale -, ma che su di esso è caduto in modo esclusivo il peso della direzione politica in tutta questa nuova fase democratica, ad eccezione dei primi anni della transizione dalla dittatura alla democrazia e della istituzionalizzazione del sistema, in cui altri fattori, anche esterni al sistema dei partiti, ebbero un'influenza decisiva. Si pensi che l'edificio del nùovo Stato spagnolo viene ad essere completato soltanto nel 1983, allorché iniziano a funzionare le ultime Comunità autonome formalmente costituite: è soltanto a partire da quel momento, una volta superata la fase di costruzione, che si può 134

iniziare a parlare di fase di consolidamento.

Alla vigilia delle seste elezioni politiche generali (giugno 1993), un ulteriore aspetto della trasformazione e del consolidamento del sistema partitico - e del sistema politico nel suo complesso - è il tipo di dibattito politico che si produce nel sistema partitico e il carattere delle alternative cui ci si trova di fronte. Il dibattito si presenta non più come contrapposizione destra/sinistra, quanto in termini di confronto continuità/mutamento. E l'aspetto parados sale è che il partito che giunse al potere nel 1982 con la bandiera del cambio e del rinnovamento sia percepito da molti come il passato, di fronte al quale occorre affermare un nuovo cambiamento. E probabilmente è questa la vera prova dell'avvenuto consolidamento del sistema democratico spagnolo: dimostrare di essere capace di produrre e sopportare un mutamento della maggioranza di governo e un'alternanza al potere senza costi drammatici.

CONCLUSIONI

La principale, ed ovvia, conclusione che si può trarre da questa analisi è che il sistema partitico spagnolo, come gi affermato più volte, non è ancora consolidato né cristallizzato in una configurazione stabile, pur avendo conseguito un ragguardevole consolidamento e radicamento sociale in questi ultimi anni. Malgrado l'egemonia del PSOE, nuo-

vi importanti cambiamenti sembrano alle porte. A meno che il PSOE non subisca una crisi interna simile a quella che portò al collasso dell'UcD, non sembra tuttavia che tali cambiamenti possano avvenire a breve termine e in modo così drammatico come accadde nel 1982.

Se i modelli dinamici del sistema e la collocazione ideologica dei partiti non sono stati ancora definitivamente stabiliti, neanche il semplice numero dei partiti può essere stabile. La spaccatura dell'UCD, la crisi interna e la scissione del PCE e la sua successiva conversione in lu, la iniziale mancanza di coesione e di guida nell'area di destra, da ultimo egemonizzata dal Pr', il crescente peso dei partiti regionali - non senza casi di crisi interne e scissioni _42 hanno favorito un significativo spostamento di voti e affiliazioni, il permanere di un elevato numero di partiti e persino la creazione di nuovi. L'ampio spettro dei partiti oggi esistenti può però essere ridotto alle seguenti opzioni, esaminate nei paragrafi precedenti: Iniziando con i partiti su scala nazionale, 1) a sinistra si trova il PCE che dalle elezioni del 1986 guida una coalizione chiamata Izquierda Unida (lu) che ha conseguito il 4,6% dei voti alle elezioni del 1986, ma è cresciuta al 9% nel 1989 e ha continuato in seguito ad essere accreditata nelle inchieste di opinione di una dinamica elettorale ascendente. 2) al centro-sinistra vi è l'attuale forza maggioritaria e di governo, il PSOE, 44% dei voti ottenuti nel 1986, che sta

però sperimentando una dinamica decrescente (39% dei voti nel 1989 e 38% nel 1993). 3) Al centro vi è il CDS di A. Su.rez, 9% dei voti nel 1986 e l'8% nel 1989, ma con un successivo calo verticale che lo ha condotto all'uscita di scena, soprattutto dopo il ritiro politico del suo fondatore nei 1990. Nonostante tutto, è questa l'area più fortemente contesa e, pur se nelle precedenti elezioni alcuni piccoli partiti hanno tentato di occupare quello spazio (PDP, UL, PRD), essi sono scomparsi e alcuni di essi hanno aderito al Pr', col che il centro si è ormai trasformato in un'area in cui sono collocati principalmente piccoli partiti di ambito regionale. 4) A destra si pone il Pr' - erede di Ar' - che è giunto a conseguire, nel 1989, il 26% dei voti e il 31% dei seggi, per crescere nel giugno 1993 fino al 34,8% dei voti e al 40,3% dei seggi. Peraltro, pur se l'elettorato continua a considerano un partito di destra (collocandolo nella posizione 7,7 della scala 1-10), il Pr' si dichiara partito di centro ed è alla ricerca del consenso dell'elettorato di centro.

Tra i partiti regionali che sono riusciti ad avere una rappresentanza parlamentare, i più forti sono il gruppo catalano Ciu e il partito nazionalista basco (5% dei voti e 18 deputati e 1,2% dei voti e 5 deputati rispettivamente nel 1989).

Inoltre hanno anche ottenuto una propria rappresentanza parlamentare, tanto nel 1986 che nel 1989, la CG (1 deputato e 0,4% dei voti), il PAR (1 deputato e 0,4% dei voti), l'Uv (2 deputati e 0,7% dei voti), l'Aic (1 deputato e 1% dei vo135

ti). Tali formazioni presentano tutte un'impronta centrista. A sinistra i più forti partiti regionalisti sono i baschi EE (2 deputati e 0,5% dei voti), EA (2 deputati e 0,7% dei voti) e HB, quest'ultimo (4 deputati e 1,1% dei voti nel 1989) partito separatista radicale che appoggia politicameiite l'ETA. Se si considerano i risultati elettorali, questa frammentazione viene riaimensionata nella concentrazione dei voti sui due partiti maggiori, in particolare sul PSOE che nelle elezioni del 1982, del 1986 e del 1989, ha ottenuto, rispettivamente, il 47%, il 44% e il 39% dei voti, pari al 58%, al 53% e al 50% dei seggi.

Si deve rilevare inoltre che in Spagna l'estrema sinistra e l'estrema destra praticamente non esistono. All'estrema sinistra, l'unico gruppo di qualche rilevanza è il citato HB, partito anti-sistema, che rifiuta quelle istituzioni parlamentari che gli hanno permesso di ottenere rappresentanza sia a livello regionale che nazionale. All'estrema destra l'unico partito che, in coalizione con altri gruppi franchisti e falangisti Unicn Nacional (UN) - ha cercato di ottenere rappresentanza parlamentare è stato Fuerza Nueva (FN) (elezioni del 1979: 1 deputato e 2% dei voti). Nel novembre 1982 però il partito si è dissolto e da allora nessun altro partito di estrema destra ha più ottenuto seggi al Congresso.

Dopo quanto è stato detto, è molto difficile far rientrare il sistema partitico spagnolo in qualcuno dei modelli fin qui delineati. Non rientra nel modello 136

bipartitico, non solo perché i risultati delle elezioni non lo permettono (pur se la rappresentanza parlamentare dei due partiti più importanti si avvicina molto a questo modello), ma anche perché il secondo partito non è stato un partito unitario, ma, dal 1982 al 1989, una coalizione di partiti. Soltanto nella legislatura 1989-1992 Ap e alcuni suoi alleati si sono uniti in un nuovo partito, il Partido popular (Pe), che occupa la seconda posizione nello scacchiere partitico e aspira a diventare il primo partito del paese. E non è, almeno fino a questo momento, nemmeno un sistema a «due partiti e mezzo», dal momento che non esiste una unica, stabile terza forza con una rappresentanza parlamentare tale da consentirle di svolgere un ruolo di cerniera al momento della formazione del governo, alleandosi ora con l'uno ora con l'altro dei partiti maggiori. In termini puramente numerici, e facendo riferimento ai risultati delle elezioni degli anni Ottanta (1982, 1986, 1989), l'attuale sistema partitico spagnolo rientrerebbe nel modello di sistema del «partito predominante» 43 per il rilevante numero di partiti e per la differenza di voti esistente tra il primo e il secondo partito. Questo modello però mal si adatta alla situazione verificatasi dopo la prima e la seconda elezione generale e, pertanto è impossibile farvi rientrare una volta per tutte il sistema partitico spagnolo, come se fosse un sistema cristallizzato.

Altrettanto difficile è far rientrare il sistema partitico spagnolo nel modello

del «pluralismo moderato» 44 . Il numero dei partiti rilevanti rispetta le prerogative del modello soltanto fino alle elezioni del 1982; il livello di polarizzazione ideologica inoltre è troppo elevato. In secondo luogo, non si è in presnza di coalizioni bipolari che si alternano al governo, né di una competizione coerentemente centripeta, come il modello richiede. Tuttavia è altrettanto vero che se il PP mantenesse la sua vocazione di partito di centro, il sistema partitico spagnolo potrebbe rientrare al modello del «pluralismo moderato» di Sartori.

E chiaro infine che il sistema partitico spagnolo non è neppure un caso di «pluralismo polarizzato», a meno di non voler distorcere sia la realtà che lo stesso modello. Anche se esistono in Spagna partiti anti-sistema, nessuno di loro ha rilevanza a livello nazionale.

HB è un tipico partito anti-sistema, ma non è andato al di là dell'l% alle elezioni generali in cui si è presentato (18% in quelle regionali basche). Neppure il PCE (o Tu) né il Pp, nonostante la sua iniziale impronta franchista rientrano in questa categoria, dacché entrambi i partiti hanno svolto un ruolo determinante nella creazione dell'attuale regime democratico e nella sua conservazione.

Si potrebbe affermare invece che, durante i governi UCD, sia esistito in Spagna un sistema di opposizioni bilaterali. Dal 1982 in avanti la situazione è però cambiata radicalmente: l'opposizione è unilaterale - PSOE vs. PP - e gli altri partiti svolgono un ruolo esclusiva-

mente simbolico, a meno che nelle future prove, elettorali la virtuale parità fra i due partiti maggiori renda necessario far ricorso a uno dei piccoli partiti per formare un governo di maggioranza. Ancora, se durante le prime due legislature 1'UcD Si collocava al centro, dopo il 1982 il centro è stato occupato solo dal CDS e dai partiti regionali moderati (16% dei voti e il 13% dei seggi nel 1989), mentre il PsoE, partito al governo, si colloca tra la sinistra e il centro-sinistra (occupa nella scala 1-10 la posizione 4,3). Infine, e con riferimento ad altre caratteristiche del modello di «pluralismo polarizzato», non si può affermare né che esista oggi in Spagna una profonda e sostanziale mancanza di accordo sul sistema politico, né che l'opposizione politica sia totalmente irresponsabile.

In conclusione, il sistema partitico spagnolo sta ancora soffrendo della fase di formazione e di cristallizzazione e per questo è ancora difficile tentare di inserirlo nelle tipologie disponibili. Sebbene si possano distinguere fin qui due tappe storiche ben differenziate (19771982: governo di minoranza e lieve differenza di voti tra i due partiti maggiori; 1982-1992: governo maggioritario e grande differenza di voti tra il primo e il secondo partito) emergono tuttavia alcune dinamiche chiare: la sempre minore frammentazione del sistema partitico (in termini di concentrazione del voto non di numero di unità partitiche), la sua volatilità e la sua discendente polarizzazione. Ciò permette di for137

mulare alcune ipotesi e di offrire un'interpretazione. Questi aspetti, d'altra parte, non caratterizzano unicamente il sistema partitico spagnolo. I più recenti mutamenti politici registrati in diversi paesi europei hanno infatti investito anche i rispettivi sistemi di partito, con conseguenti e considerevoli incrementi del livello di frammentazione e di vola-

tilità e, quindi, con uno «scongelamento» di modelli che sembravano perfettamente consolidati. Se ne può concludere che la fluidità sembra essere la nuova caratteristica comune dei sistemi partitici europei alla fine del 1992 e di ciò il sistema partitico spagnolo è stato un esempio precoce.

Note Questa relazione è stata presentata al convegno su «Le trasformazioni dei partiti politici nelle società occidentali», tenuto a Roma il 26-27 settembre 1988 e trae larga parte dei suoi dati da un articolo precedente: The Emerging Spanish Party System: Is There a Model?, pubblicato su «West European Politics», 7, 1984, pp.

128-155, e nel volume di S. Bartolini, P. Mair (a cura di), Party Polztics in Contemporary Western Europe, F. Cass, Londra, 1984, pp. 128-155. La presente versione è frutto di una revisione realizzata all'inizio del 1993, in cui si sono introdotti numerosi aggiornamenti. Peraltro, sebbene successivamente si siano svolte le elezioni generali del 1986 e del 1989 e si siano verificati alcuni cambiamenti interni nei partiti, ciò non ha fatto che confermare le tesi allora esposte. Pertanto, oltre a includere il riferimento alle modificazioni prodotte, non vedo ragione alcuna per modificare in modo generale quanto ho detto allora.

2 Vedi di A. Bar, EI sistema de partidos en Espasia. Ensayo de caracterizaci6n, «Sistema», 47, 1982, pp. 3-46; The Emerging Spanish Party System: Is There a Model?, cit., e Normalidad o excepcionalidad?: Para una tipologia del sistema de partidos espaiiol, 1977-1982, «Sistema)>, 65, 1985, pp. 3-37.

La gran difficoltà di calare il presente sistema partitico spagnolo in uno dei pis comuni modelli di sistemi partitici è stata analizzata in dettaglio in due mie relazioni già citate: The Emerging Spanish Party System: Is There a Model?, pp. 149 e succ.; e Normalidad o excepcionalidad?: Para una tipologia del sistema de partidos espaìiol, 1977-1982, pp. 33 e succ. Simili difficoltà di confronto sono state rilevate da altri autori, come J.J. Linz, Consideracionesfìnales, in J.J. Linz, J.R. Monte138

ro (a cura di), Criszs y cambio: Electores y Partidos en la Espana de los anos ochenta, CEC, Madrid, 1986, pp.

645-662; M. Caciagli, Elecciones y Partidos en la transicio'n espanola, CIS, Madrid, 1986, pp. 32-36, e M. Ramirez, EI sistema de partidos en Espana: 1977-1987, «Revista de Estudios Politicos», 59, 1988, pp. 7-26; quest'ultimo autore è, nonostante tutto, a favore del pluralismo moderato e non polarizzato di Sartori. Vedi, G. Sartori, Parties and party system: A framework for analysis, Cambridge University Press, Cambridge, 1976, pp. 173-185.

Una lista completa dei 941 partiti registrati al dicembre 1992 si trova in Anuario de el Pais, 1993, pp. 73-85.

Nel 1988 i partiti formalmente registrati erano 506, dei quali 203 di ambito nazionale e 303 a carattere regionale o locale. Per un'analisi tipologica delle caratteristiche dei partiti iscritti nel Registro dei partiti politici del Ministero degli interni, cfr. M. Buse, La nueva democraca espanola, Uniòn Editoria!, Madrid, 1984.

Le Risoluzioni politiche del XXVII Congresso che recitano : «Il PsoE riafferma il suo carattere di partito di classe e perciò partito di massa, marxista e democratico» - sono state sostituite da un paragrafo, aggiunto nel manifesto del partito, che recita: «Il PsoE ritiene il marxismo uno strumento teorico, critico e non dogmatico, destinato all'analisi e alla trasformazione della realtà sociale; perciò adotta le distinte formulazioni marxiste e non marxiste che hanno contribuito a rendere il socialismo la grande alternativa emancipatoria del nostro tempo, e rispettando interamente tutte le credenze personali».

6 Lo si coglie in piena evidenza in alcuni punti della relazione quadro presentata al XXXI Congresso del

(gennaio 1988), laddove si afferma, ad esempio, che «i socialisti sostengono che si possa ridurre la povertà e la diseguaglianza accrescendo al tempo stesso l'efficacia e la solidarietà» e, soprattutto, quando si esplicita l'abbandono delle concezioni economiche classiche del socialismo: «si ritiene che oggigiorno i compiti produttivi siano di pertinenza del settore privato, mentre la redistribuzione deve essere anzitutto di carattere pubblico» (Ponencia marco, XXXI Con greso, «EI Socialista», gennaio 1988, pp. 10-11). Al XX)(I Congresso si stabilì anche, d'altro canto, che tutti gli organi del partito e le liste elettorali socialiste dovevano accogliere una presenza femminile minima del 25%.

Sul PsoE, vedi J.F. Tezanos, Sociologia del socialismo espaiiol, Tecnos, Madrid, 1983, e Continuidad y cambio en e1 socialismo espafiol. EI PSOE durante la transicidn democra'tica, «Sistema», 68-69, 1985, pp. 19-60; A. Garcia Santesmases, Evolucio'n ideolo'gica del socialismo cii la Espaia actual, «Sistema», 68-69, 1985, pp. 6-78; S. Julia, Continuidad y nuptura en el socialismo espanol del siglo XX, «Leviatn», 17, 1984, pp. 121-130; E. Diaz, Socialismo cii Espana: EI partido y e1 Estado, Mezquita, Madrid, 1982; H.J. Puhle, EI Psoe: Un parti. do predominante y heterogéneo, in J.J. Linz, J.R. Montero (a cura di), Crisis y cambio, cit., pp. 289-344; J. De Esteban, L. Lopez Guerra, Los partidos politicos cii la Espana actual, Pianeta, Barcelona, 1982, p. 113 e Ss.; M. Caciagli, Elecciones y partidos, cit., pp. 19 1-232; R. Gunther, G. Sani, G. Shabad, EI sistema de partzdos cii Espa?ia: Génesis u evolucidn, CIS, Madrid, 1986, pp.

82-90; A. Guerra, J.F. Tezanos (a cura di), La de'cada del cambie. Diez anos de gobierno socialista, Sistema, Madrid, 1992; J. Tuseli, J. Sinoya (a cura di), La década socialista, EI ocaso de Felipe Gonza'lez, Espasa, Madrid, 1992.

8 1114 dicembre 1988 il sindacato socialista UGT e l'altra centrale sindacale, Comisiones Obreras, convocarono uno sciopero generale di 24 ore contro la politica economica del governo del Psoe. Lo sciopero ebbe uno straordinario successo e paralizzò l'intero paese.

Il 28 maggio 1992 l'esperienza si è ripetuta, questa volta con uno sciopero generale durato 12 ore.

Juan Guerra, fratello dell'allora vicepresidente del governo e vicesegretario del PsoE, Alfonso Guerra, fu denunciato per aver incassato illecitamente denaro in cambio dell'ottenimento di favori da parte dell'amministrazione pubblica. Egli realizzava tali attività illegali da un ufficio pubblico occupato, indebitamente, su autorizzazione del fratello Alfonso.

Dopo il XXXII Congresso dei PSOE (novembre

PSOE

1990), Felipe Gonzlez rivendicò per sé la piena e autonoma direzione del governo, lasciando il partito nelle mani dell'»apparato» che, a sua volta, accentuò ancor piò la sua autonomia nei confronti del capo del governo. Esempio di questa separazione fra «apparato» di partito (Guerra, Benegas) e governo (Gonzlez) è stata la dichiarazione di quest'ultimo che affermò di aver appreso dalla stampa delle operazioni fraudolente di finanziamento del partito realizzate attraverso l'impresa fantasma di consulenze denominata Filesa (E! Pais, 21 aprile 1993).

Il Una inchiesta di Demoscopia commissionata da Ei Pais nel marzo 1993, concedeva al Psoe il 33,9% dei consensi (e ai Pi' il 33,3%), mentre un sondaggio Sigma-Dos commissionato da EI Mundo negli stessi giorni l'accreditava del 34,4% (contro il 35,8% per il Pp) (cfr. EI Pais, 21 marzo 1993 e EI Mundo, 18 marzo 1993). Si deve tener conto che il Psot ottenne alle elezioni del 1989 il 39,3% dei voti. Alle elezioni del giugno 1993, il PSOE ha raggiunto il 38,8% perdendo 16 seggi.

12 Sul PCE, vedi S. Carrillo, Partido Comunista de Espaiia, Avance, Barcelona, 1976, e Eurocommunism and the State, Lawrence and Wishart, London, 1977; F. Claudin, Eurocomunismo y socialismo, Siglo XXI, Madrid, 1977; M. Azcarate, Crzsis del eurocomunismo, Argos Vergara, Barcelona, 1982; J. Rodriguez Ibafiez, Spànish Communism in Transition, in C. Boggs, D. Plotke (a cura di), The Politics of Eurocommunism: Socialism in Transition, Macmillan, London, 1980, pp.

77-100; J. De Esteban, L. Lopez Guerra, Los partidos poi iticos, cit., pp. 137-159; P. Vega, P. Erroteta, Los herejes del PCE, Pianeta, Barcelona, 1982; E. Mujal Leon, Communism and politica1 change in Spain, UP, Bloomington, 1983; R. Gunther, G. Sani, G. Shabad, EI sistema de partidos cii Espana, cit., pp. 68-82.

13 Le citate inchieste di Demoscopia e di Sigma-Dos accreditavano lu nel marzo 1993, rispettivamente, dell'11,5% e del 12,1%. lu aveva ottenuto alle elezioni de!

1989 soltanto il 9% dei voti, livello che le elezioni del giugno 1993 hanno confermato.

14 Accordi della III Assemblea di Izquierda Unida, 22/ 24 maggio 1992 (EI Pais, 25 maggio 1992).

15 Nel dibattito parlamentare sul Trattato di Maastricht, ad esempio, un settore, maggioritario, si pronunciò contro la sua ratifica e una minoranza votò a favore.

16 Sull'Uco, vedi C. Huneeus, La Unu$n de Centro Dei'nocra'tico y la transicio'n a la democracia cii Espaia, CIS, Madrid, 1985; E. Attard, Vide y inuerte de Uco, Pianeta, Barcelona, 1983; E. Chamorro, Via)e al centro 139

de fico, Pianeta, Barcelona, 1981; F. Jaregui, M. Soriano, La otra historza de Uco, E. Escolar, Madrid, 1980; J. Figuero, UCO: La Empresa que creo' Adolfo Sua'rez, Grijalbo, Barcelona, 1981; J. De Esteban, L. Lopez Guerra, Los partidos politicos, cit., pp. 83-112; M. Ramirez, The Union of the Democratic Centre in Spain, in R. Morgan, S. Silvestri (a cura di), Moderates and Conservatives in Western Europe, Heinemann, Londra, 1983, pp. 30 e succ.; M. Caciagli, Elecciones y Partidos, cit., pp. 233-279; R. Gunther, EI hundimiento de UCD, in J.J. Linz, J.R. Montero (a cura di), Crisis y cambio: Electores y partidos en la Espana de los anos ochenta, cit., pp. 433-492. v' Sull'Ap, vedi M. Fraga, Alianza Popular, Aibia, Bilbao, 1977; Ai', QuéesAp, Madrid, 1977; L. Lopez Nieto, Alianza Popular: Estructura y evolucin electoral de un partido conservador (1976- 1982), CIS, Madrid, 1988; J. De Esteban, L. Lopez Guerra, Los partidos politicos, cit., pp. 160-171; J.R. Montero, Los fracasos poIiticos y electorales de Iz derecha espanola: alianza Popular 1976-1986, «Revista Espaola de Investigaciones Sociol6gicas'>, 39, 1987, pp. 7-43, e EI subtriunfo de la d.erecha: Los apoyos electorales de A&Pop, in J.J. Linz, J.R. Montero (a cura di), Crisis y cambio: Electores y partidos en la Espana de los anos ochenta, cit., pp. 345432; R. Gunther, G. Sani, G. Shabad, EI sistema departidos, cit., pp. 9 1-107.

18 Manuel Fraga Iribarne venne nominato presidente della sua regione dopo aver conseguito la maggioranza assoluta alle elezioni regionali della Galizia del dicembre 1989 (43,7% dei voti, pari al 51% dei seggi) e aver deciso di abbandonare la politica nazionale per dedicarsi esclusivamente al governo della Galizia.

19 La nuova éllte dirigente del Pi' è non solo giovane (Aznar al momento della sua elezione a presidente del Pi' aveva 39 anni), ma ha anche allontanato dal vertice del partito gli esponenti della vecchia guardia, ministri e alti burocrati durante il regime di Franco.

20 Tra le più clamorose illegalità attribuite al Pi' vanno ricordati il caso Sanchis-Palop (finanziamento illegale del partito) e i casi Pefia e Hormaechea, rispettivamente sindaco di Burgos e presidente di Cantabria (corruzione politica).

21 Le citate inchieste di Demoscopia e di Sigma-Dos accreditavano il Pi' nel marzo 1993, rispettivamente, del 33,3% (contro il 33,9% per il Psot) e del 35,8% (contro il 34,4% per il Psoe). Il Pi' aveva ottenuto alle elezioni del 1989 il 25,6% dei voti e nel giugno 1993 il 34,8%.

22 L'esempio più recente e significativo del riconosci140

mento del predominio di un partito regionale da parte di un partito nazionale in una specifica regione è l'ingresso del Pi' della Navarra nell'Unin del Pueblo Navarro (UPN), principale partito moderato di quella regione (marzo 1991).

23 Quest'ultimo e più recente tentativo di coordinare su scala nazionale i gruppi regionali di centro e di destra più significativi comprende il Partido Aragonese Regionalista (PAR), l'Unin Valenciana (Uv), L'Unidad Alavesa (UA), il Partido Riojano Progresiste (PRi') (EI Pais, 6gennaio 1933, p.l7).

24 Le elezioni regionali si tengono in uno stesso giorno (le ultime il 26 maggio 1991) nelle regioni di secondo livello; nelle regioni di primo grado (Galizia, Paese Basco, Catalogna e Andalusia) seguono invece un calendario autonomo.

25 Si tratta di Civ, PNV, Et, PA, HB, PAR, Aic, Uv, EA. 26 Sui sottosistemi regionali di partito in Spagna, cfr.: A. Bar, EI sistemade partidos en Espana, cit., e The Emergzng Spanish Party System, cit.; G. Shabad, Las elecczones de 1992 u las Autonomi'as, in JJ. Linz, G.R. Montero (a cura di), Crisis y Cambio, cit., pp. 525-585; J.M. Valles, Quante Spagne elettorali? Dimensioni territoriali del fenomeno elettorale della Spagna odierna, in M. Caciagli, P. Corbetta (a cura di), Elezioni Regionali e sistema Politico Nazionale, Il Mulino, Bologna, 1987; J. Botella, The Spanish «New» Regions: Territorial and Political Pluralism, «International Political e Science Review», 10, 1989; U. Liebert, From Polarization to Pluralism.- Regional-Nationalist Parties in the Process of Democratic Consolidation in the post-Franco Spain, in G. Pridham (a cura di), Securing Democracy: Political Parties and Democratic Consolidation in Southern Europe, Routledge, London, 1990, pp. 147-178; F. Pallares, Estado autono'mico y sistema de partidos: Una aproximacio'n electoral, «Revista de Estudios Politicos», 71, 1991, pp. 28 1-323.

27 Il passaggio alla «amministrazione unica» presuppone il passaggio alle amministrazioni regionali della gestione di tutti i servizi propri dello Stato nei rispettivi territori, con la conseguente eliminazione della duplicità delle amministrazioni. L'idea, formulata inizialmente da Fraga Iribarne, è stata fatta propria dall'XI Congresso del Pi' nel febbraio 1993.

28 Intervista in «EI Pais», 17marzo 1988, p17.

29 D.W.Rae, The Political Consequences of Electoral Laws, New Haven, YIJP, 1971.

30 Vedi D.W. Rae, op.cit.

31 Mi riferisco qui al concetto di volatilità formulato da M. Pedersen, The Dynamics of European Party

Systems: Changing Patterns ofElectoral Volatility, «Eu- to l'l°h della popolazione era contrario al sistema deropean Journal of Politica! Research», 7, 1979, pp. 1-26. mocratico nel 1980, mentre gli indifferenti erano il 12%. Nel 1991, il 76% della popolazione ritiene che in 321 dati utilizzati qui provengono dallo studio del CIS Spagna la democrazia s a ormai pienamente assestata no. 1327 del mese di novembre 1982. i espaiola, 1992-1993, AlianVedi M. Pedersen, op.cit.; I. Budge, Electoral Vola- (A. de Miguel, La sociedad za, Madrid, 1992, p. 706). tility: Issue Effect and Basic Change in 23 Post. War De38 Vedi G. Sani, G. Sartori, Polarisation, Fragmentamocracies, «Electoral Studies», 1, 1982, pp. 147-168; I. tiori and Competition, cit., pp. 307-340; G. Sani, J.R. Electoral Change in Western DemoCrewe (a cura di), cracies, Croom Helm, Londra, 1985; S. Bartolini, P. Montero, EI espectro politico: izquierda, derecha y cenMair, The Class Cleavage in Historical Perspective: A tro, in: J.J. Linz, J.R. Montero (a cura di), Cs-isis y camAnalitical Reconstruction and Empirical Test, docu- bio, cit., pp. 155-200; F. Jimenez Losantos, EI debate ideoldgico actual, in: A. de Miguel, La sociedad espa6omento presentato all'incontro della Associazione Tedesca di Scienze Politiche, ottobre 1983. Sul dibattuto la, cit., pp. 659-673; C. Malo de Mulina, L. Arroyo, La concetto di volatilità elettorale, vedi S. Bartolini, La evolucidn del voto socialista, in: «E! Mundo», Madrid, 10ottobre 1992, p.9. volatilit.ì elettorale, «Rivista Italiana di Scienza Politin Questi partiti ottennero l'80% dei voti nel 1977 e ca», 16, 1986, pp. 363-400. nel 1979, l'84% nel 1982 e nel 1986, e l'82% nel 1989 ' Vedi P. Mair, Party Politics in Contemporary Euro(vedi Tab. 7). si deve ricordare che i riferimenti all'Ap pe: A Challenge to Party?, in S. Bartolini, P. Mair (a cura di), Party Politics in Contemporary Western Europe, (Pe) non riguardano solo il partito in quanto tale, ma anche la coalizione elettorale con la quale si è presenF. Cass, Londra, 1984, pp. 170-184. tato nelle prime quattro elezioni generali. I riferimenti Vedi G. Sjòblom, Politica1 Change and Politica1 Acall'Uco sono solo validi per le prime tre elezioni genecountability: A propositional Inventory of Causes and rali. Nel 1982, l'Uco e il Cos si sono fusi e nel 1986 ci Western EuEffects, in H. Daalder, P. Mair (a cura di), .ropean Party Systems: Continuzty and Change, Sage, si riferisce al Cos solo.

La maggior parte dei dati empirici qui menzionati Londra, 1983, pp. 3 69-404. sono presi dagli studi n. 1137, 1138, 1141, 1157, 1165, ° Mi riferisco qui al concetto di polarizzazione formulato da G. Sani e G. Sai-tori nel loro articolo Polari- 1183, 1327, 1340, 1346, 1351 e 1542 del Centro delnvesation, Fragmentation and Competition in Western De- stigaciones Sociol6gicas, Madrid. Vorrei esprimere i mocracies, in: H. Daalder, P. Mair (a cura di), Western miei ringraziamenti al CIS per l'aiuto fornito in queEuropean Party Systems: Continuity and Change, cit., sta ricerca.

41 Si vedano in questa prospettiva, i riferimenti al caso pp. 307-340. spagnolo che compaiono nei lavori di Pridham, PaSulla trasformazione della società spagnola in una squino, Gillespie e Liebert in: Pridham (a cura di), SeUna interpretacio'n sosocietà consensuale, cfr. A. Bar, In-e las causas de la ca/da del régimen franquista y de la curing Democracy: politica1 parties and democratic contransictidn paczìca a la democracia en Espaia, in: Escri- solidation in Southern Europe, Routledge, Londra, 1990.

42 Nei Paesi Baschi, il già egemonico PNV ha subito tos jurz'dicos en memoria de Luis Mateo Rodr/guez, Universidad de Cantabria, Santander, 1933, pp. 53-87. Nel nel 1985 la scissione da Eusko Alkartasuna (EA), attualmente il quarto partito per quanto riguarda il peso 1978, l'83,4% della popolazione spagnola considerava la democrazia come la miglior forma di governo, men- elettorale in quella regione. In Galizia, i gruppi regional-nazionalisti sono così divisi e riformantisi che ditre per esempio nella Germania Occidentale, tra il venta molto difficile migliorare il loro peso elettorale 1967 e il 1978, la percentuale della popolazione della stessa opinione variava tra il 68% e il 74% (vedi J.J. rispetto ai partiti su scala nazionale.

Vedi J. Blondel, An introduction to Comparative Linz et al., Informe socioldgico sobre el cambio politico en Espana, 1975-1981, Euroamrica, Madrid, 1981, pp. Government, Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1989.

Vedi G. Sartori, Parties and Party Systems, cit., pp.

613-614). Secondo J.M. Maravall, La Politica de la transicidn, 1975-1980, Taurus, Madrid, p. 108, soltan- 173-185.

141

SIGLE DEI PARTITI E DELLE COALIZIONI

AC: Asamblea Canaria AGI: Agrupaci6n Independiente MC: Agropaciones Independientes de Canarias AHI: Agrupaci6n Herrea Independiente AM: Asamblea Majorera AP: Alianza Popular BNG: Bioque Nacionalista Galego BNPG: Bioque Nacional Popular Galego CAIC: Candidatura Aragonesa Independiente de Centro CCNC: Convergencia Nacionalista Canaria CD: Coalici6n Democrtica CDC: Convergencia Democratica de Catalunya CDS: Centro Democrtico Social CG: Coalici6n Galega CG: Centristas de Galicia CIC: Centro Independiente Canario.

CllvI: Candidatura Independiente Mallorquina CiU: Convergencia i Uni6 CP: Coalici6n Popular DC: Democracia Cristiana EA: Eusko Alkartasuna EE: Euskadiko Ezquerra EG: Esquerda Galega EM: Esquerra Maliorquina ERC: Esquerra Republicana de Catalunya EXU: Extremadura Unida FIEF: Federac16n de Independientes de Ibiza y Formentera FN: Fuerza Nueva FP: Federaci6n Progresista HB: Herri Batasuna IC: Iniciativa per Cataiunya ICAN:Jniciativa Canaria ICU: Izquierda Canaria Unida IU: Izquierda Unida PA: Partido Andalucista PAR: Partido Aragons Regionalista PAS: Partido Asturianista

142

PASOC:Partido de Accin Socialista PCE: Partido Comunista de Espaiia PCG: Partido Comunista de Galicia PCPE: Partido Comunista de ios Pueblos de Espafia PG: Partido Galequista PDL: Partido Dem6crata Libera!

PDP: Partido Dem6crata Popular PNG: Partido Nacionalista Galego PNV: Partido Nacionalista Vasco PP: Partido Popular PR: Partido Riojano PRC: Partido Regionalista Cntabro PRD: Partido Reformista Dem6cratico PSA: Partido Socialista de Andalucfa PSA: Partido Socialista de Arag6n PSC: Partit Socialista de Catalunya PSG: Partido Socialista Galego PSG: Partido Socialista de Galicia PSI: Partido Socialista Independiente PSM: Partido Socialista Mailorquln PSOE: Partido Socialista Obrero Espafiol PSP: Partido Socialista Popular PSUC: Partit Socialista Unificat de Catalunya SI: Soluci6n Independiente UA: Unidad Alavesa UCD: Uni6n de Centro Democrtico UDC: Uni6 Democrtica de Catalunya UDF: Uni6n Democratica Forai UG: Unidade Galega UIM: Uni6n Independiente de Mallorca UL: Uni6n Liberai UM: Uni6 Mallorquina UN: Uni6n Nacional UNA: Uni6n Nacionalista Asturiana UPC: Uni6n del Pueblo Canario tJPCA: Uni6n para el Progreso de Cantabria UPN: Uni6n del Pueblo Navarro UV: Uni6n Valenciana

Tab. I - Elezioni parlamentari in Spagna: Congresso de Los Diputados

% Vot. Seg.

UCD

Psot PCE'

Ap2 Psp CDS

.

Citi3 PNV

ERC EE CAIc UN

1-18

Uc PAR UPN CG

Aic Uv EA

Totale 2

-

uj

4

.

% Vot.

Seg. % Seg.

168 121 23 9

48,00 34,57 6,57 2,57

6,5 47,23 3,94 25,85

3,43 12 202 57,71 4 . 1,14 106 30,29

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

2,29 2,00 0,29 0,29

280 3,60 1,85 0,64 0,47

2 12 8 1 1

0,57 3,43 2,29 0,29 0,29

8,97 4,95 1,51

19 18 6

5,4 5,1 1,7

.7,9 5,0 1,2

14 18 5

4,0 5,1 1,4

-

-

-

0,98

2

0,57

-

-

-

-

-

.-

100

94,02

350

% Vot.

34,26 29,89 10,44 5,83

166 118 20 16 .6

47,43 33,71 5,71 4,57 1,71

-

-

-

3,69 1,69 0,77 0,32 0,20

13 8 1 1 1

3,71 2,29 0,29 0,29 0,29

2,64 1,50 0,67 0,47

8 7 1 1

-

-

-

-

-

-

- .

-

-

2,03 1,78 0,94 0,32 0,21 0,15

1 5 3 1 1 1

0,29 1,43 0,86 0,29 0,29 0,29

-

-

-

100

91,15

350

91,20

luda 1986.

CDin 1978; Cpin 1982e1986Ppin 1989.

CaceUr.cinl97Z P4in1989.

350

% Seg.

Seg. % Seg.

% Seg.

34,00 28,75 9,22 8,18 4,38

.

1989

1986

1982

1979

1977

.

-.

-.

% Vot. Seg.

% Seg.

% Vot. Seg.

-

-

-

-

-

-

43,43 4,56 25,60

184 7 105

52,6 2,0 30,0

39,3 9,0 25,6

175 17 .107

50,0 4,8 30,6

-

-

-

-

-

-

0,52

2.

0,5

0,51

2

0,6

-

-

1,13

5

1,4

-

--

0,36

1

-.

-

-

-

-

1,0 1,1

2 4

0,6 1,1

-

-

-

-

0,3

0,4

1

0,3

-

-

-

1 2 2

0,3 0,6 0,6

350

100

-

-

-

0,39 0,32 0,31

1 1 1

0,3 0,3 0,3

-

-

-

-

0,3 0,7 0,7

100.

92,06

350

100

92,7

Tab. 2- Forza elettorale dei partiti nazionali e dei partiti regionali (% dei voti)'

1977' 1979' 1980 2 1982' 1983 3 1986' 1987 PAESE BASCO

1989' 1991

P. nazionali6 P. regionali7

51,3 35,2

44,0 50,7

31,5 64,5

44,3 54,4

33,8 65,3

42,2 53,1

30,8 68,0

28,1 55,7

27,5 66,1

CATALOGNIA P. nazionali 8 P. regiona11 9

66,9 26,9

68,8 20,6

51,5 39,2

68,2 26,2

43,2 51,0

60,4 34,7

46,5 49,8

54,5 32,6

40,5 54,8

GALIZIA

P. nazionali' 0 P. regionali"

65,3 4,3

82,2 11,2

79,8 12,7

92,9 4,7

72,7 22,5

83,5 11,8

76,1 13,1

76,5

-

-

-

ALTRE REGIONI' 4

P. nazionali' 2 P. regionali' 3

84,5 6,7

82,5 8,7

-

86,5 7,5

90,1 4,4

82,6 9,5

85,5 6,3

81,9 10,8

82,6 9,2

ALTRE REGIONI' 5

P. regionali

-

-

-

-

8,3

-

12,0

-

13,6

-

* Sono stati presi in considerazione soltanto i partiti rappresentati in parlamento.

Elezion, politiche generali.

2 Elezioni regionali. In Galizia tali elezioni si sono svolte nel 1981.

Elezioni regionali. In andalusia tali elezioni si sono svolte nel 1982, in Catalogna nel 1984, in Galizia nel 1985, nelle altre Comuniti autonome nel 1983.

Elezioni regionali. Nel Paese Basco e in Andalusia tali elezioni si sono svolte nel 1986, in Catalogna nel 1988, in Galizia nel 1989, nelle altre comunità autonome nel 1987.

Elezioni regionali. Nel Paese Basco e in Andalusia tali elezioni si sono svolte nel 1990, in Catalogna nel 1992, nelle altre Comuniti autonome nel 1991. In Galizia le prossime elezioni regionali si terranno nell'autunno del 1993.

6 Uco, Psoe, PCE (lu), Ao (Po), Cos. ° PNV, Ee, EA, Hs, UA. Psc-Psoo, Psuc-Pct (Ic-Iu), Cc-Uco, Sc-Ap (Po), Cm. Ciu, ERC, P5A. io Uco, Psc-Psoo, Ao, PCG-PCE, Cos. " BNPC-PSG, BNG, Ec, PSG-EG, CG, UG, Pc. UCD, Psot, Pce, Ao, Cos, Por, Ui.. ' PSA (PA), PAt, PAS-UNA, PSM-EN, U,,, Eoi, FIEF, UM, P5M, C,oi, Upc, CCNC, Ac,, Ai, A,c, AC-INC, Au,, Icu, AH,, ICAN, UPcA, PRc, Si, Exu, UPN, EA, HB; PNV, UDF, PR, PRP, Uv. Totale. ' Media.

144

Tab. 3 - Partiti e governi regionali nel 1992

Tipi di governo regionale

ComunitĂ autonome con partiti regionali rappresentati

n.

% di voti

n. seggi

Andalusia' Aragona2 Asturie3 Baleari4 Canarie 5 Cantabria6 Catalogna7 Galizia8 Navarra9 Paese basc& ° LaRioja" Valenza 12

1 1 1 5 5 2 2 3 3 5 1 1

10,8 24,6 2,8 58,2 (b) 49,8 (C) 39,4 54,8 13,1 50,6 66,1 5,3 10,3

9,2 25,4 2,2 64,4 51,7 43,6 60,0 12,0 58,0 70,7 6,1 7,9

naz. coal. naz. coal. reg. coal. reg. naz. reg. coal. coal. naz.

(Psot) (PAR-PP) (Pso) (PP-U4) (AEc-Cic-IcAN-AM-AH1) (UPCA-PP) (Cio) (Pe) (UPN) (PNv-P50E) (PsoE) (PsoE) -

2,5

32,2

34,3

-

-

Media

.

(1) PA. (2) PAR. (3) PAS-UNA. (4) UM, Pssi-Nsi, UIM, EeM, FIEF. (5) Aic, Cic, ICAN, AN, AHI. (6) UPCA, PRC. (7) Psc-Eo, CG. (9) UPN, HB, EA. (10) PNv, Hs, EA, EE, UA. (11) PR. (12) Uv.

Ciii, EEC. (8) BNC,

Sono privi di partiti regionali le Assemblee di Castiglia- Leon, Castiglia-La Mancha, Estremadura, Madrid e Murcia.

Pp e UN si sono presentati alle elezioni regionali su liste comuni, e per questo nella tabella i voti di un partito nazionale e di un regionale compaiono congiuntamente. (c) Dopo la mozione di censura contro il governo del PSOE del marzo 1993.

Naz.: governo monopartitico formato da un partito nazionale.

Reg.: governo, monopartitico o di coalizione, formato da partiti regionali.

Coal.: governo di coalizione fra un partito nazionale e un partito regionale.

145

o'

Tab. 4-Numero di gr첫ppi (*) rappresentati nel Congreso de los Diputados e loro numero di seggi 1977

Numero di seggi 1 2 3- 5 6- 10 11 20 21- 50 51-100 100 -

-

Totale (*) Partiti e/O coalizioni %digruppi.

2 %di seggi.

1979

1982

1986

1989

n.

(1)

(2)

n.

(1)

(2)

n.

(1)

(2)

n.

(1)

(2)

n.

(1)

(2)

3 1

27,3 9,1

0,9 0,6

6

42,9

1,7

-

-

-

2 3

14,3 21,4

2,3 6,9

4 1 1 2 2

33,3 8,3 8,3 16,7 16,7

1,2 0,6 1,4 3,7 10,6

0,6 2,3 2,6

-

-

-

-

0,6 1,1 1,1 2,3 6,9

15,4 30,8 15,4

-

20,0 20,0 10,0 10,0 20,0

2 4 2

-

2 2 1 1 2

3

23,1

14,0

-

-

-

2 3

18,2 27,3

4,0 13,4

-

-

-

1

7,1

6,6

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

2

18,2

81,1

2

14,3

82,6

2

20,0

88,0

2

16,7

82,6

2

14,4

80,6

11

100

100

14

100

100

10

100

100

12

100

100

13

100

100

Tab. 5 - Numero di gruppi nazionali e regionali rappresentati al Congreso de los Diputados

Gruppi Gr. nazionali Gr. regionali Totale

1989

1986

1982

1979

1977 no

%

no

%

no

%

no

%

n째

%

5 . 6

45,5 54,5

5 9

35,7 64,3

5 5

50,0 50,0

4 8

33,3 66,7

4 9

30,8 69,2

11

100

14

100

10

100

12

100

13

100

Tab. 6 - Peso elettorale e parlamentare dei gruppi nazionali e regionali rappresentati al Congreso de los Diputados 1989

1986

1982

1979

.

1977 Gruppi

(1)

(2)

(1)

(2)

(1)

(2)

(1)

(2)

(1)

(2)

Gr. nazionali Gr. regionali

84,5 6,7

93,1 6,9

82,5 8,7

92,0 8,0

86,5 7,5

93,1 6,9

83,6 9,5

90,0 10,0

81,9 10,8

89,4 10,6

Totale

91,2

100

91,2

100

94,0

100

93,1

100

92,7

100

l % dei voti. % dei seggi.

2

Tab. 7 - Frammentazione elettorale e parlamentare in Spagna e in Europa Media

Anno

SPAGNA ITALIA FRANCIA GERIvIANIA

Fr. elettorale Fr. parlamentare Fr. elettorale Fr. elettorale Fr. elettorale

A

B

C

D

E

0,78 0,66 0,75 0,79 0,55

0,77 0,64 0,75 0,75 0,68

0,69 0,57 0,78 0,86 0,69

0,72 0,63 0,78 0,79 0,65

0,76 0,65 0,85 0,87 0,64

Nazionale Europea

.

0,74 0,63 0,78 0,81 0,64

0,71 0,62 0,71 0,71 0,71

Spagna: 1977. Germania: 1976. Francia: 1978. Italia: 1976.

Spagna: 1979. Germania: 1980. Francia: 1981. Italia: 1979.

Spagna: 1982. Germania: 1983. Francia: 1986. Italia: 1983.

Spagna: 1986. Germania: 1987. Francia: 1988. Italia: 1987.

Spagna: 1989. Germania: 1990. Francia: 1993. Italia: 1992.

147

Tab 8- Percentuale dei voti e dei seggi nel congresso ottenuta dai quattro partiti principali 1977

1979

1982

1986

1989

%v.

%s.

%v.

% S.

%v.

%s.

%v.

%s.

%v.

%s.

1° partito 2° partito 3° partito 4° partito

34,0 28,8 9,2 8,2

47,4 33,7 5,7 4,6

34,3 29,9 10,4 5,8

48,0 34,6 6,5 2,6

47,12 25,9 6,7 3,9

57,7 30,3 3,4 1,1

44,4 25,6 9,0 5,0

52,6 30,0 5,4 5,1

39,3 25,6 9,0 7,9

50,0 30,0 4,9 4,0

1 11 +2° 1 0 +2 0 +3 0 +4 0

62,8 80,2

81,1 91,4

64,2 80,4

82,6 91,7

73,1 83,7

88,0 92,5

70,0 84,0

82,6 93,1

64,9 81,8

80,6 89,5

1° partito: UCD nel 1977 e 1979; Psot nel 1982, 1986 e 1989.

20 partito: PSOE ne! 1977 e 1979; Ar nel 1982 e 1986 e Pr nel 1989.

3° partito: Pct nel 1977 e 1979: Uco nel 1982; Cos nel 1986 e lune! 1989.

4° partito: Ar nel 1977 e 1979; PCE nel 1982; Ciu nel 1986 e Cos nel 1989.

Tab. 9- Volatilità elettorale del sistema partitico spagnolo e di altri sistemi europei

Media Paese Spagna Portogallo Grecia Italia Francia Germania

A

B

C

D

Nazionale

Europea

8,23 8,23 15,89 4,55 14,22 6,05

40,07 7,90 4,70 7,00 22,03 8,60

10,70 20,95 10,30 6,35 12,99 6,10

6,29 22,33

16,32 14,85 10,30 8,34 15,75 7,55

9,30

-

15,47 13,77 9,01

Spagna: 1977-79. Portogallo: 1976-79. Grecia: 1977-81. Italia: 1976-79. Francia: 1978-81. Germania: 1976-80 Spagna: 1979-82. Portogallo: 1979-83. Grecia: 1981-85. Italia: 1979-83. Francia: 1981-86. Germania: 1980-83.

Spagna: 1982-86. Portogallo: 1983-85. Grecia: 1985-90. Italia: 1983-87. Francia: 1986-88. Germania: 1983-87 Spagna: 1986-89. Portogallo: 1985-87. Italia: 1987-92. Francia: 1988-93. Germania: 1987-90.

148

Tab. 10- Volatilità elettorale di cinque sistemi partitici europei: 1948-1977 Periodo Paese

1948-59

1960-69

1970-77

Media Nazionale

21,8 5,5 15,2 6,3 10,3

11,9 8,9 9,5 7,9 8,0

10,6 18,7 4,9 12,7 6,8

16,8 11,0 9,8 9,1 8,4

Francia Danimarca Germania Paesi Bassi Italia

Fonte: M.Pedersen, The Dynarnics of European Party Systems, «European Journal of Politica! Research», 7, 1979

Tab. 11 -Evoluzione della volatilità elettorale media in Europa Occidentale 1960-64

1965-69

1970-74

1975-79

1980-83

6,5

7,4

8,8

8,3

9,3

Volatilità media

Fonte: P. Mair, Party Politics in Contemporary Europe: A Challenge io Party?, cit.

Tab. 12 - Origine del voto del 1982 rispetto a quello del 1979 Voto in 1982 Voto in 1979

PSOE

Ap

Psoe Ap(C)

55

UCD

regionalisti altri (1)

16 5.

1 1 22

3 35 43 -.

1 2 16

Totale

100

100

PCE

-

UCD

Pce

Cos

reg.

altri

(1)

4 3 87 1 1

2

3

5

4

-

-

-

3 3 76

7

83

-

-

-

-

80

4

2 13

3 15

10

12 6 18 44 15

10 1 2 182

100

100

100

100

100

100

-

-

-

-

(1) Non hanno votato + scheda bianca + nessùna risposta Fonte: Studio del CIS n° 1327.

149

Tab. 13 - Cambiamento dei voti fra il 1982 e il 1986 (%)

Voto in 1982 Voto in 1986

PCE

UC

24.

63 7

PcE(Iu)

Psot

CDS

Ciu

PNV

UCD

Ap

-

-

-

-

-

-

1 1 2 89

12 6

12 38 4

2 5 1

-

-

25 12 9 100

3 78 7

CDS

1

PRD Ciu

1

PNV

-

7 60 3 2

-

-

-

A(Cp) Altri (1)

I 1 3

3 2 1

12 4 12

1 2 1

68 1 9 4

Totale

100

100

100

100

PSOE

-

. 100

(1) Non hanno votato + scheda bianca Fonte: Studio del CIS n° 1542.

+

-

altri

(1)

-

1

7 6 1

86 2 4

1 1 3 78 3

10 45 9 1 3 1 12 8 10

100

100 .

100

-

nessuna risposta.

Tab. 14- Possibile cambiamento dei voti fra il 1989 e il 1993 (%)

Voto in 1989 Voto in 1993

lu

PSOE

Cos

lu

85 4

5 67

3 8 17 1 30

PSOE

Cos Citi Pp altri (1).

Totale

. .

.

-

2 2 7 100

100

(1) Astensione + scheda bianca + nessuna risposta.

Fonte: El Mundo», 19ottobre 1992 e 18aprile 1993.

MI1

-

1 9 4 14

Cui

Pp

-

-

2

1

-

-

41

80 6 5 7

1 93 1 5

100

100

100

-

Fig. i - Numero dei partiti registrati per anno (1976-1991) 250

200

150

no 100

50

o 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91

anno

Fig. 2- Posizione dell'elettorato e dei partiti, secondo i voti, nell'elezione del 1977 40

30

n

20

10

I

0 1-2

3-4

5-6

7-8

9-10

sinistia-destra

151

Fig. 3 - Posizione dell'elettorato e dei partiti, secondo i voti, nell'elezione del 1982 50

A I'

- - - - POSiZione/VOto partiti

I t I I

- Posizione elettorato

40

30

20

' I

10

o

I 1-2

3-4

I

I

5-6 sinistra-clestra

7-8

9-10

Fig. 4 - Posizione dell'elettorato e dei partiti, secondo i voti, nell'elezione del 1989

- - - - Posizione/voto partiti l'osiziorie elettorato

1

0 -I1-2

152

3-4

5-6 sinistra-destra

7-8

9-10

Fig. 5 - Sopra rappresentazione dell'elettorato dei partiti, secondo ti posizionamento ideologico (1989)

40

30

20

10

1-2

3-4

5-6 sinistra-destra

7-8

9-10

153

Ricette boomerang e comparazioni superficiali di Giuliano Urbani

Per il lettore italiano, credo che da queste pagine scaturisca, naturale e immediata, soprattutto una domanda, una curiosità: quali potrebbero essere le ricette, i rimedi più utili al nostro caso? Il fatto è che noi stiamo oggi leggendo e rileggendo la più recente esperienza compiuta dai sistemi politici di altri paesi, con l'inevitabile occhio interessato di chi si ritrova a dover inventare quasi su due piedi una profondissima mutazione genetica delle istituzioni della Prima Repubblica. Nello spazio di pochi mesi, il vecchio sistema partitico se ne è andato praticamente in mille pezzi, con tutti i suoi equilibri e le sue specificità; mentre un sistema di tipo nuovo è ancora in grembo a Giove. Di qui l'interesse a comparare, a confrontarci con quanto è avvenuto in altri paesi, per apprendere tutto ciò che è concretamente possibile, nel bene e nel male.

Dico subito che la mia particolare «lettura» di questo specialissimo confronto, e quindi la mia particolare risposta al quesito iniziale, parte da due avvertenze che riguardano sia il metodo di analisi che la sostanza del nostro tema. Avvertenza numero uno: non ritengo che dalla comparazione emerga alcun modello-paese. Cioè a dire, tutti o quasi i paesi offrono elementi utili e significativi, ma nessuno è in grado di fornire una soluzione completa e completamente adeguata ai problemi di casa nostra. Avvertenza numero due: non è affatto vero né che le costituzioni democratiche sono intrasforrnabili (se non per effetto di crisi traumatiche), né che sono sostanzialmente inconfrontabili (in quanto caratterizzate da elementi culturalmente autoctoni). Sono anzi trasformabilissime, anche e soprattutto in tempi di «pace»: e la stessa esperienza storica delle democrazie dei nostri giorni dimostra la loro continua dinamica istituzionale. In più, sono anche confrontabilissime, soltanto chè si sappia guardare non tanto alla struttura di governo quanto alle funzioni da queste effettivamente svolte. Per chi voglia documentarsi meglio, mi permetto suggerire una sola fonte recente: I modelli di democrazia in Europa e il caso italiano, curato da Zeffiro Ciufoletti e Serge Noiret, per le edizioni Ponte alle grazie, 1992.

Per il nostro sistema partitico, ancor prima e ancor più del sistema istituzionale at large, qual'è la lezione da apprendere? Per rispondere, partiamo 155

dalla radice dei nostri mali. Per dirla con Giovanni Sartori, occorre ricordare che per lunghi decenni siamo stati soprattutto un sistema di pluralismo estremo (cioè affollatissimo) e polarizzato (cioè largamente radicalizzato in due principali famiglie politiche, contrapposte e reciprocamente incompatibili, se non nel chiuso - e nel peso contrappeso - del cosiddetto «consociativismo parlamentare»). Col tempo siamo certamente cambiati. Ma l'evoluzione non è affatto avvenuta verso il più incoraggiante «pluralismo moderato» (sia nel numero dei partiti rilevanti, che nella lontananza delle reciproche posizioni politiche), bensì altrove. Detto in buona sostanza, l'evoluzione è per ora avvenuta soprattutto verso forme di pluralismo atomistico: una miriade di partitini sempre più piccoli e separati - l'uno contro gli altri - da una gran quantità di «spaccature» di varia origine.

Non pretendo di aver certo proposto una diagnosi esauriente di tutti i malanni di cui soffre il nostro attuale sistema partitico, ma il cuore del problema mi sembra essenzialmente questo. E, si sa, qualsiasi discussione sulle terapie possibili deve prendere pur sempre le mosse da una diagnosi ragionevolmente condivisa. Non so e non pretendo affatto di dare per scontato che la mia diagnosi sia di generale accettazione, ma l'evidenza empirica mi sembra per lo meno copiosa: infatti, ancora oggi abbiamo a che fare con non meno di dieci-undici partiti, tutti suscettibili di far fare delle possibili coalizioni di governo, con nessun partito veramente egemone (con i tre maggiori che restano però pur sempre inferiori alla modesta soglia del venti per cento dei consensi elettorali; e tutti gli altri addirittura al di sotto di quella del dieci per cento). In più, dobbiamo mettere nel conto l'introduzione del nuovo sistema elettorale a prevalenza uninominale maggioritario: dal quale potrebbe venire (ed è veramente difficile che non venga) un formidabile incentivo ulteriore alla frammentazione dei vari gruppi parlamentari in altrettanti agglomerati di «notabili locali». Il quadro, tutt'altro che futuribile, del nuovo pluralismo atomistico all'italiana, è quindi già sotto gli occhi di tutti (fatta naturalmente eccezione per quelli che non vogliono vedere...).

Come si può rimediare all'atomizzazione, alla polverizzazione della nostra democrazia? Giudicando dalle esperienze compiute, positivamente e negativamente, dai sistemi politici considerati in questa Rivista, direi proprio che c'è ben poco su cui fantasticare. I rimedi paiono infatti pressoché obbligati: aggregare, aggregare, aggregare. E farlo, assicurando al contempo il massimo possibile di rappresentatività, tanto dell'istituzione-parlamento quanto dell'istituzione-governo. Il che, detto in estrema sintesi, riguarda almeno due istituti cruciali: le regole elettorali, per un verso; l'autonomia (e, 156

conseguentemente, l'autentica responsabilità politica) del governo rispetto al Parlamento, per l'altro.

Stando alle mere apparenze, sui primo punto sembrerebbe che i giochi siano stati già fatti e che, con l'approvazione della cosiddetta legge Mattarella (parziale fotocopia di un referendum mal impostato e ancor peggio interpretato), si sia anche finito con l'importare ciò che la lezione degli altri paesi consentiva di importare. E invece le cose non stanno affatto così; e meritano più di una riflessione, se non altro per farne tesoro per il futuro.

Il nocciolo della questione sta tutto nel fatto che abbiamo per ora adottato una medicina radicalmente estranea ai malanni che, almeno a parole, volevamo curare. Dovevamo ridurre la frammentazione; e ci ritroviamo con la prospettiva di un parlamento affollatissimo di partiti e partitini di ogni tipo e dimensione. Dovevamo creare maggioranze e governi «di legislatura» (capaci di durare cioè da un'elezione all'altra); e ci troviamo invece condannati tanto ai soliti governi «di coalizione» (la specie meno stabile e più travagliata che sia stato dato finora conoscere), quanto all'incognita di gruppi parlamentari stradominanti dalla logica degli interessi localistici (qualcosa a metà strada fra i notabili dei quali parlava un secolo fa De Sanctis e i «texani» del congresso nordamericano).

Cosa è accaduto? Semplicemente questo: che, come dice un vecchio proverbio statunitense, abbiamo «preteso di preparare un buon pranzo di festa, lasciando la cucina nelle mani dei tacchini»! La nostra riforma è stata affidata proprio ai... riformandi, con la conseguenza che costoro hanno anche cercato di riformare il meno possibile, nella speranza (secondo me, nell'illusione) di non finire in pentola e riservarsi invece qualche remota speranza di futura salvezza elettorale. Peccato davvero. Perché, così facendo, hanno commesso un grossolano errore di valutazione (per se stessi) e in più hanno privato il Paese della medicina di cui aveva, e continua ad avere, più bisogno. Insisto sull'errore compiuto «nel loro stesso interesse», perché è quello più macroscopico e - contemporaneamente - anche quello che mette maggiormente a nudo l'incultura dei nostri ineffabili riformatori suicidi.

Sul punto, la lezione proveniente dalle esperienze comparate era davvero inequivocabile: per fronteggiare i rischi della frammentazione eccessiva e per «darsi un futuro», i maggiori partiti (penso in particolare alla Dc) avevano un rimedio pressoché naturale. Questo, era rappresentato dal doppio turno alla francese, ovviamente senza ballottaggio (che costituisce solamente una sorta di roulette russa, in chiave territoriale). Caso quasi eccezionale nel panorama della scienza politica contemporanea, anche i «medici» di tutto il mondo avevano questa volta espresso pareri sòstanzialmente conver157

genti. Tutti i politologi italiani - come mostra anche un documento elaborato per l'occasione - si sono trovati d'accordo sul doppio turno. E invece, soli contro tutti, i nostri «riformatori-riformandi» hanno preferito la strada masochistica dell'autoflagellazione. Se fosse solo per questo, si dovrebbe concludere... «contenti loro»! Il guaio, però, è che così facendo la loro stupidità masochistica ha finito coi nuocere anche all'intero Paese.

In materia di provvedimenti boomerang - o di mancate riforme all'insegna dell'autolesionismo - i precedenti peraltro non mancano. Basti pensare a quello della Commissione bicamerale presieduta da Aldo Bozzi, più di dieci anni fa. Anche a quei tempi la lezione proveniente dalle èsperienze compiute nelle altre democrazie occidentali era stata infatti estremamente eloquente. Allora il problema italiano era soprattutto quello di dare «compattezza e stabilità» alle coalizioni governative storicamente possibili (e cioè, prive di alcuna alternativa praticabile), sottraendole al contempo all'eccessivo «consociativismo» parlamentare (con Pci filosovietico di quegli anni). Ebbene per curare quel male, la riforma era davvero a portata di mano: incentivare in qualche modo la formazione di adeguate coalizioni preelettorali, potendo per il resto mantenere quasi intatto l'impianto del sistema proporzionalistico. Qualcosa, tanto per intenderci, che avrebbe potuto ispirarsi alla legislazione spagnola del post-franchismo, così come a molti altri paesi dove la proporzionale convive benissimo con la logica dei «premi di coalizione». Insomma, una decina di anni fa minore era il male e molto meno costoso sarebbe stato perciò il rimedio. Ma tant'è: e nulla fu fatto.

Molto fumo, ma davvero niente arrosto. L'incultura comparativa (e politico-ingegneristica) era tale allora; e tale è rimasta fino ad oggi, con tutte le implicazioni del caso.

La paura - anzi l'autentico terrore - è che si tratti per altro di una incultura che continua implacabilmente a colpire, giorno dopo giorno, in un crescendo senza soste. E in un momento in cui la marcia verso la mitica Seconda Repubblica ci rende tutti «ingegneri costituzionali» della domenica (un po' come se si trattasse della formazione della nazionale di calcio), della odierna e reiterata incultura politica in materia di comparazioni storico istituzionali, ne vediamo uscire veramente di tutti i colori. Da ultimo, proposte come quella dell'.xuninominale pura inglese», o come quella del «capo del governo eletto a suffragio universale», oppure quella del «federalismo» come panacea.

Prendiamo, ad esempio, la prima proposta difesa soprattutto da Pannella. Il valoroso Marco dice «in Italia, come in Gran Bretagna, come negli Stati 158

Uniti» e, ciò dicendo, fa di ogni erba un fascio. Come se il sistema partitico dei tre paesi fosse (o potesse essere) praticamente il medesimo e presentasse, oggi, i medesimi problemi di funzionamento. Basta, invece, davvero poco per accorgersi che non è così. Per il semplice fatto (notissimo a tutti gli studenti di qualsiasi corso ben fatto di scienza della politica ... ) che, mutando le culture politiche dei paesi via via interessati, nessuna regola elettorale finisce per produrre mai gli stessi effetti nei diversi paesi dove dovesse venire applicata. E allora, differente la cultura politica, molto differenti possono essere (e sono) le conseguenze del medesimo sistema elettorale: poniamo, di tipo uninominale maggioritario, a un solo turno. So bene che Pannella non fa il politologo, ma il politico. E che il suo reale problema è un altro: sradicare definitivamente il vecchio sistema di partiti (la tanto, e giustamente, vituperata «partitocrazia»). Ma Pannella promette anche un bipartitismo di tipo anglosassone; e qui promette semplicemente il falso. Un mera illusione onirica. E allora proprio per questo che la sua poposta dovrà essere sottoposta al vaglio di un attento controllo di tipo comparativo. Per il bene di tutti, a cominciare proprio dalle aspettative (peraltro condivisibilissime) dell'on. Pannella.

Ma pensiamo alla proposta avanzata fra gli altri dall'on. Segni; all'idea di eleggere il capo del governo a suffragio universale.

Per carità non dico che non si debba fare, né che possa risultare un proposta priva di una sua utilità intrinseca nel caso italiano dei nostri giorni. Da parte mia sono prontissimo a discuterla al meglio. Ma non nei termini sbrigativi e, anche qui, illusori, in cui è stata finora avanzata. Come mostra infatti la lezione comparativa, il nocciolo della questione sta tutto in due problemi-chiave: l'esistenza (o meno) di una maggioranza parlamentare sulla quale il premier-eletto possa effettivamente contare; l'esistenza di alcuni poteri governativi non sottoposti ai poteri parlamentari. Ove si diano queste condizioni, far eleggere direttamente dal popolo il capo del governo può essere utile; dove invece non si diano (quanto meno in misura significativa), allora la proposta diventa, prima ancora che inefficace, addirittura insensata. Per le mille implicazioni negative che comporta: paralisi decisionale, scontro fra legittimazioni popolari, populismo misto ad assemblearismo, ecc.

Insomma, pensiamo pure di far eleggere il premier a suffragio diretto dagli stessi elettori, ma non diciamo - nemmeno per un attimo e nemmeno per scherzo - che questo può servire per dare «un governo» al Paese. Per la evidentissima ragione che un governo che sia davvero in grado di governare non può in alcun modo provenire dalla modalità di elezione, ma soltanto 159

da due altre condizioni: dai poteri che gli conferiamo e, considerata la natura comunque un po' parlamentare della nostra repubblica, dal tipo di maggioranza esistente in Parlamento. O no?

Concludo con un solo accenno per gli avvocati del federalismo. Anche qui, avrei ben poche obiezioni se la parola avesse un senso univoco, se le cose stessero davvero nel modo ultrasemplificato, com'è quello che risuona dalle parole dell'on. Bossi. Un'avvertenza. Personalmente mi ritengo quasi un antesignano (stavo per dire: un «antemarcia» ... ) del federalismo, inteso come criterio ispiratore e organizzatore delle democrazie contemporanee. Il lettore curioso può andare a rintracciarne le fonti in un vecchio volumetto pubblicato da Il Mulino, addirittura nel febbraio del lontano 1975, con scritti di autori come Finer, Rose, Sartori e altri: Sindacati e politica nelle societì postindustriali. Lì il federalismo era auspicato e descritto proprio in quanto modello di organizzazione dello stato e della politica, capace di favorire la convivenza costruttiva fra realtà sociali e culturali contrassegnate da valori e interessi largamente diversificati. Ciò ricordato, occorre anche sapere che il federalismo praticato, inteso cioè come particolare tipo di (<sistema politico», non è affatto univoco e non dispensa eguali benefici dappertutto. Una cosa è risultato il federalismo statunitense e tutt'altra quello iugoslavo. Una cosa quello svizzero e tutt'altra quello belga e quello canadese. Chiediamo allora troppo, se chiediamo all'on. Bossi e alla Lega tutta (Miglio compreso) di essere meno generici, ambigui e quindi oggettivamente anche un p0 ' meno avventurosi nel proporci la loro quotidiana panacea?

La morale d'assieme è, insomma, molto facile da trarre. I costituenti della Seconda Repubblica italiana hanno davvero molto da imparare dalla comparazione fra i vari sistemi politici e partitici contemporanei, proprio a cominciare da quelli analizzati negli articoli che seguono. Ma possono imparare bene oppure male. E questo non dipende per nulla dai «modelli» ai quali ci si riferisce; ma solo e unicamente da noi stessi.

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democrazia e diritto trimestrale dell'Associazione Crs

numero 2 aprile-giugno 1993 anno XXXIII

Diritto sessuato?

IL TEMA Oltre i limiti dell'astrazione giuridica Tamar Pitch, Diritto e diritti. Un percorso nel dibattito femminista Luigi Ferrajoli, La differenza sessuale e le garanzie dell'uguaglianza Giuseppe Bronzini, Nuove avventure dell'astrazione giuridica Lia Cigarini, Libertà femminile e norma Marina Graziosi, Infirmitas sexus. La donna nell'immaginario penalistico Hanne Petersen, Dalla Scandinavia una interpretazione femminista postmoderna del dirittò LA QUESTIONE Un altro diritto Judy Fudge, Differenza sessuale in Canada: il boomerang della Carta dei diritti Catharine A. MacKinnon, Nei tribunali statunitensi una legge delle donne per le donne Grazia Zuffa, L'insidia della moralità sessuale «per legge» Clara Jourdan, 194: un cattivo compromesso Maria Luisa Boccia-Roberta Tatafiore, Cancelliamo l'abo'to dal codice penale Roberta Tatafiore, Fare vuoto di norma intorno alla prostituzione Paola Ronfani, L'eguaglianza nelle relazioni familiarr cultura giurl dica e strategie femministe Maria Grazia Campari, La misura maschile della parità IL DIBATTITO Il tallone d'Achille Adriana Cavarero, «Riscoprire la mascolinità»: un libro di Victor Seidier Renato Sebastiani-Claudio Vedovati, «Turisti per caso». Viaggio difficile intorno alla differenza maschile Fabio Giovannini, Il sano disordine della differenza Maria Luisa Boccia, Da «soprà la legge» una critica a un punto di vista maschile L. 20.000 - abb. annuo L. 70.000 - c.c.p. 00325803 - Edizioni Scientifiche Italiane, via Chiaramone 7, 80121 Napoli, reI. (081) 7645443

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La proposta italiana per un Tribunale sui crimini di guerra e contro l'umanità nella ex Jugoslavia

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Discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite al Senato

XXV anniversario dell'Unione Forense e tavola rotonda su "Le minoranze in Europa oggi" Matteo Carlioizelii

Carta di Treviso e protocollo aggiuntivo: informazione e minori

La Conferenza di Taormina sui diritti dell'uomo nel Mediterraneo. L'Unione forense propone una Commissione permanente Sili'ana Arbia

D.L. 10711993 su trattamento penitenziario ed espulsione di cittadini extracomunitari e Circolare del Ministero di grazia e giustizia

Parlamento a sovranità limitata Alfredo Biondi

Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna: Risoluzione per il popolo Saharawi

Carta dei doveri dei giornalisti italiani

Diritti umani in Etiopia

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