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EDITORIALE

Suggerimenti pratici per la ripresa

GABRIELLA GHERARDI, Vicepresidente Finco

Alcune idee per riattivare il circolo virtuoso della crescita, abbattere la barriera tra patrimonio e debito pubblico e contrastare i grandi rischi naturali

Il circolo virtuoso fra investimenti, filiere produttive e mercati era già compromesso nell’Italia pre-Covid, che non cresceva da più di vent’anni. Tuttavia, l’incertezza del momento ha ulteriormente paralizzato gli investimenti privati. Per questo, ora più che mai, è necessario individuare strumenti pratici volti a incentivare gli investimenti, stimolare la produttività delle filiere e sostenere la ripresa dei vecchi circuiti. Finco suggerisce tre semplici strategie: un investimento pubblico a doppio bersaglio, progetti a più uscite per le filiere e le imprese maggiormente colpite dagli effetti negativi della pandemia e la promozione dei mercati più floridi attraverso una specifica leva fiscale.

L’intervento pubblico dovrà svilupparsi attraverso strumenti di promozione industriale mirati e suddivisi in una percentuale liquida e una in Buoni del Tesoro a medio-lunga remissione. Tale divisione sarebbe vantaggiosa sia per lo Stato promotore che per l’impresa promossa. Infatti, sia qualora la provvista europea risultasse insufficiente, sia per poter trasformare parte del debito pubblico internazionale in debito domestico, un polmone di provvista finanziaria suppletiva consentirebbe allo Stato di completare i propri piani per la ripresa con maggior respiro. D’altra parte, le imprese promosse disporrebbero di una quota di investimento pubblico da destinare a patrimonio. Tali finanziamenti pubblici dovranno essere destinati solo a imprese, filiere e categorie produttive gravemente danneggiate dagli effetti della pandemia e, ove possibile, assegnati sulla base dei progetti di riconversione industriale presentati dalle stesse imprese e filiere.

La promozione pubblica dovrebbe partire dall’individuazione dei settori dell’economia maggiormente performanti per incentivarli ulteriormente attraverso una leva fiscale. Un valido esempio lo fornisce la mobilità su strada, che complessivamente assicura allo Stato un gettito fiscale di oltre 80 miliardi all’anno, dei quali tuttavia poco o nulla viene destinato al settore d’imposizione. Se almeno un 10% di tali proventi fosse destinato all’ammodernamento e alla gestione del settore, in particolare per quanto attiene le strutture stradali, queste ultime potrebbero giovarsi dell’andamento positivo del mercato di riferimento. Sarà inoltre necessario investire in mercati ancora poco sviluppati, ma con un alto potenziale di crescita, come i mercati green, l’economia del riciclo, l’innovazione tecnologica delle imprese tradizionali e la promozione di imprese specialistiche. Anche in questo caso, potrebbe essere utile giovarsi di imposte per destinazione ritagliando, settore per settore, almeno un 10% del gettito fiscale.

CONSIGLI PER ABBATTERE LA BARRIERA TRA PATRIMONIO E DEBITO PUBBLICO Il debito pubblico italiano è fra i più alti d’Europa e a causa degli effetti della pandemia arriverà a sfiorare – e forse superare – il 150%. Tuttavia, sia il patrimonio pubblico sia quello privato degli italiani sopravanzano di multipli il debito. Per abbattere questa barriera tra patrimonio e debito è necessario concentrarsi su due elementi.

Costituzione di Patrimonio S.p.A. Una società di proprietà del Tesoro in cui far confluire tutto il patrimonio pubblico, sia disponibile che indisponibile, sia immobiliare che mobiliare, comprese le infrastrutture di proprietà dello Stato. Questa iniziativa non è mai stata adottata sia per carenza di catasti e inventari sia per mancanza di estimi, criticità che potrebbe essere ovviata attraverso la ricostruzione

deduttiva di valori standard. Allo stesso tempo, lo scopo di Patrimonio S.p.A. dovrebbe essere quello di destinare parte degli utili alla riduzione del debito pubblico e raccogliere risparmio tramite l’emissione di obbligazioni pubbliche per investimenti prioritari in misura non superiore a un terzo dell’intero patrimonio. Attraverso queste operazioni si potrebbe sgravare larga parte del debito pubblico a venire. Infine, in Patrimonio S.p.A. dovrebbero confluire anche i finanziamenti pubblici non spesi nell’anno in cui sono stati disposti, fino a quando non verranno impiegati.

Lotta all’evasione Secondo le stime del Tesoro, in Italia l’evasione fiscale ammonta a circa 100 miliardi annui. Ciò significa che la ricchezza prodotta al nero si aggira intorno ai 300 miliardi all’anno. In aggiunta, sappiamo che il debito di cassa è assai inferiore al debito di esercizio. Non è noto a quanto ammonti precisamente tale divario, ma considerando che solo il MIT presenta un saldo di mancato impiego dei fondi destinati negli anni a lavori pubblici di circa 150 miliardi, possiamo ipotizzare che si tratti di una somma pari a circa il doppio. Questo aggiungerebbe altri 300 miliardi nella disponibilità dello Stato, seppur virtuali dal momento che le spese di investimento si finanziano con le aste periodiche di Buoni del Tesoro. Di conseguenza, se aggiungessimo 300 miliardi al PIL e togliessimo 300 miliardi al debito, arriveremmo a un rapporto debito/PIL di poco inferiore al 100%. Contabilmente si tratta di due operazioni improponibili, a meno che non si adottino alcuni espedienti contabili. Il primo è che il Tesoro, in attesa che il finanziamento venga speso, attribuisca l’equivalente a una struttura finanziaria pubblica (quale CDP o, appunto, Patrimonio S.p.A) e ne riceva in cambio titoli per eguale importo che abbattano il debito dello Stato nel periodo di “giacenza”. In questo modo, i debiti di esercizio coinciderebbero con quelli di cassa, pronti a far risorgere il debito dello Stato al momento dell’utilizzo dello stanziamento con un’operazione tra Tesoro e struttura depositaria.

Più difficile la seconda ipotesi, ossia caricare sul PIL le attività in nero, operazione che denuncerebbe l’incapacità dello Stato italiano di far pagare le imposte ai cittadini. Nondimeno, il tessuto economico italiano ha una caratteristica peculiare, ossia un tessuto di lavoratori autonomi di oltre il 30% (media europea 10%) e un corpo industriale composto per oltre il 95% di PMI, settori nei quali risulta difficile riscuotere tasse in qualsiasi Paese. Apprezzare contabilmente tale aspetto porterebbe l’Italia, se la sospensione del Patto di Stabilità dovesse cessare, a presentarsi in Europa con un PIL incrementato proporzionalmente alla ricchezza in surplus effettivamente prodotta, ma non tracciabile tramite il sistema fiscale. Non considerare ai fini del PIL la ricchezza prodotta in nero significa punire due volte lo Stato, sotto il profilo di mancati introiti fiscali e sotto quello di una consistente perdita del PIL.

In ultima analisi, spetta al Tesoro trovare gli strumenti contabiliamministrativi idonei a rapportare il debito reale con il PIL reale, cosicché il rapporto debito/PIL possa scendere a livelli più accettabili. Di tutto questo non troviamo traccia nel cosiddetto Decreto Agosto (D.L. 104/20). Anzi, troviamo qualcosa che va in senso contrario: all’art. 70, difatti, si concede una proroga di un anno per effettuare gli inventari pubblici richiesti dalla legge, nonostante catasti immobiliari, inventari mobiliari e relativi estimi siano necessari e urgenti per poter valorizzare il patrimonio pubblico con le finalità sopra descritte.

IL CONTRASTO AI GRANDI RISCHI NATURALI DI MASSA Negli anni lo Stato ha adottato due linee: investire attraverso i Comuni; assegnare bonus ai privati tramite la concessione di un credito d’imposta proporzionale ai lavori effettuati. Poiché nessuna di queste strategie ha realmente funzionato, e tenuto conto che oltre 1/5 della popolazione viene periodicamente investito da una catastrofe di questo tipo, è necessario trovare nuove soluzioni. Finco propone i seguenti suggerimenti (si veda anche lo speciale contenuto in questo numero dedicato al piano Per un’Italia più sicura e più bella, a pag. 21).

Aiuti agli enti locali Ad oggi questo canale ha ottenuto scarsi risultati e solo una piccola parte degli investimenti pubblici è stata spesa. Il motivo risiede nei difetti dei progetti elaborati dagli Enti Locali e nella lentezza del dialogo tra Stato centrale e periferia, oltre al timore degli amministratori locali nell’assumere decisioni di spesa, per paura di essere inquisiti per abuso d’ufficio. Tali difficoltà si aggravano ulteriormente quando ad assumere le decisioni sono piccoli Comuni che non hanno le capacità per far fronte alla complessità di progetti e procedure.

Finco propone un netto cambio di direzione: lasciare

il pagamento delle ricostruzioni post-catastrofe

alle assicurazioni mercé una polizza obbligatoria per tutti i proprietari di immobili e dedicare le risorse pubbliche alla prevenzione e al contrasto dei rischi. Per capire i vantaggi di tale proposta basti pensare a cosa succederebbe se lo Stato fosse costretto a pagare ogni anno circa 30 miliardi di sinistri stradali. Al contrario, ogni cittadino paga pro-quota un premio assicurativo ed esiste un fondo “Vittime della strada” consortile fra imprese di assicurazione per far fronte ai sinistri stradali i cui responsabili siano ignoti. Se un sistema simile fosse esteso anche ai rischi sismico e idrogeologico, ogni danneggiato potrebbe disporre in tempi più celeri dei mezzi economici per la

ricostruzione, seguendo un piano regolatore definito dai singoli Comuni. Si otterrebbe un duplice risultato: la velocizzazione della ricostruzione e uno sgravio economico per lo Stato. In contropartita, tutti i proprietari di casa dovrebbero obbligatoriamente assicurare i loro fabbricati contro il rischio sismico e idrogeologico oltre che contro l’incendio, con un premio tuttavia ridotto sia per effetto dell’obbligatorietà sia per un eventuale accordo fra Stato e Ania nella ricerca di una soluzione più conveniente. Tale premio dovrebbe poter essere portato in detrazione fiscale.

Sovvenzioni pubbliche tramite bonus dello Stato Dal momento che l’Idrobonus non è ancora decollato, pur essendo stato richiesto a gran voce da Aises/Finco, questa seconda linea riguarda solo il Sismabonus. Anche quest’ultimo non ha avuto molto successo finora: pochi privati sono inclini a impegnare liquidità in anticipo per un evento futuro e incerto. Tuttavia, la modifica contenuta nel D.L. Rilancio che dà la possibilità di cedere il bonus sotto forma di credito d’imposta alle banche fino al 110% del costo dei lavori lascia sperare che questa difficoltà possa essere superata. Per dare maggiore slancio alla politica dei bonus, una soluzione potrebbe essere l’estensione della durata della provvidenza pubblica. Sovviene a ciò la dichiarazione di Patuanelli, titolare del MiSE, circa l’intenzione di rendere “strutturale” la politica dei bonus. Per quanto concerne la progettualità, questa difetta sia nel pubblico sia nel privato, mentre per le ristrutturazioni di interni e risparmio energetico essa è matura, sicché i bonus hanno avuto uno sviluppo eccezionale, migliorando la vivibilità dei fabbricati e tenendo in attività tante piccole imprese e relativi lavoratori nel territorio. Allo stesso tempo, sarà necessario creare una connessione fra interventi per la prevenzione dei grandi rischi naturali, assicurazione obbligatoria privata per i singoli proprietari e bonus ai privati per la bonifica dei rischi. Tale connessione dovrebbe produrre valore aggiunto sui premi assicurativi, che diminuirebbero in proporzione agli interventi di prevenzione effettuati da Comuni e privati dietro incentivo dei bonus. In conclusione, è necessario attivare un circuito virtuoso, che eviti sprechi di denaro pubblico e privato e crei valore aggiunto attraverso la prevenzione e il costo dei premi assicurativi.

Ricerca e documentazione a cura di Maria Rosaria Giuzio

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