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TECH

Materiale antisiccità che raccoglie l’acqua potabile

Una membrana di idrogel che riesce a produrre acqua sia attraverso la generazione solare di vapore che tramite la raccolta delle goccioline della nebbia

Piccole strutture ispirate alla forma delle spine dei cactus che consentono di raccogliere l’acqua potabile dall’aria sia di giorno che di notte. Il materiale, una membrana di idrogel ideata dal California Institute of Technology, può produrre acqua sia attraverso la generazione solare di vapore d’acqua che tramite la raccolta della nebbia; due processi indipendenti che in genere richiedono due dispositivi separati. Secondo Ye Shi, ricercatore della Ucla: “I cactus sono adattati in modo univoco per sopravvivere ai climi secchi. Nel nostro caso, queste spine che chiamiamo micro-alberi, attraggono goccioline d’acqua microscopiche sospese nell’aria, consentendogli di scivolare lungo la base e di fondersi con altre goccioline in gocce relativamente pesanti che alla fine convergono in un serbatoio”. Le spine sono costituite da un idrogel, ovvero una rete di polimeri idrofili che attraggono naturalmente l’acqua. Grazie alle loro dimensioni ridotte possono essere stampati su una membrana sottilissima.

COME FUNZIONA?

Durante il giorno, la membrana in idrogel assorbe la luce solare per riscaldare l’acqua intrappolata al di sotto, che diventa vapore. Dopodiché, il vapore si ricondensa su un coperchio trasparente, dove può essere raccolto. Durante la notte, la copertura trasparente si ripiega e la membrana di idrogel viene esposta all’aria umida per catturare la nebbia. I risultati dei test hanno messo in evidenza come durante la notte i campioni dei materiali con una superficie compresa tra 55 e 125 cmq siano stati in grado di raccogliere circa 35 millilitri di acqua dalla nebbia. Nei test durante il giorno il materiale è stato in grado di raccogliere circa 125 millilitri dal vapore solare. L’auspicio è di trovare un partner privato in grado di commercializzare la tecnologia, da dedicare soprattutto alle regioni alle prese con scarsità d’acqua.

Batterie ricaricabili in cemento, l’innovazione che potrebbe rivoluzionare le costruzioni

Dalla Svezia una miscela in calcestruzzo con fibre di carbonio rivestite da metalli che trasformerebbe gli edifici in gigantesche batterie

Un edificio in cemento che immagazzina energia come una gigantesca batteria. A sviluppare il concept è stato un gruppo di ricerca della Chalmers University of Technology in Svezia. L’innovazione parte da una miscela a base di cemento con piccole quantità di fibre di carbonio, aggiunte per aumentare la conduttività e la resistenza alla flessione. Nella miscela è incorporata una rete in fibra di carbonio rivestita di metallo: ferro per l’anodo e nichel per il catodo. La ricerca ha prodotto una batteria ricaricabile a base di cemento con una densità energetica media di 7 wattora per metro quadrato (o 0,8 wattora per litro). La densità di energia viene utilizzata per esprimere la capacità della batteria e, secondo una prima stima, le prestazioni della nuova batteria Chalmers potrebbero essere dieci volte più potenti rispetto ai precedenti tentativi di batterie di cemento. La densità di energia è ancora bassa rispetto alle batterie commerciali, ma questa limitazione potrebbe essere superata grazie all’enorme volume a cui la batteria potrebbe essere costruita quando utilizzata negli edifici. DALLO STOCCAGGIO ENERGETICO AL MONITORAGGIO DELLE INFRASTRUTTURE

Il fatto che la batteria sia ricaricabile è sicuramente la qualità più rilevante e le possibilità applicative potrebbero essere diverse, dallo stoccaggio energetico al monitoraggio. I ricercatori immaginano che la batteria potrebbe alimentare l’illuminazione LED, così come contribuire alla connessione 4G in aree remote o alla protezione catodica contro la corrosione nelle infrastrutture in calcestruzzo. L’idea è ancora in una fase iniziale. Le questioni tecniche che devono ancora essere risolte prima che la commercializzazione dell’innovazione possa essere una realtà includono l’estensione della durata della batteria e lo sviluppo di tecniche di riciclo. “Poiché le infrastrutture in calcestruzzo sono solitamente costruite per durare cinquanta o anche cento anni, le batterie dovrebbero essere raffinate per adattarsi a questo arco temporale o per essere più facili da sostituire e riciclare una volta terminata la loro vita utile. Per ora, questo rappresenta una sfida importante dal punto di vista tecnico”, afferma Emma Zhang.

Dalle microplastiche una schiuma per l’isolamento delle abitazioni

Marco Caniato, ricercatore e docente dell’Università di Bolzano, ha inventato e brevettato un biopolimero efficace come isolante termico e acustico

Un biopolimero ricavato dalla lavorazione delle alghe rosse che permette di sfruttare materiali plastici o inerti di altro genere per realizzare una schiuma per l’isolamento acustico e termico delle abitazioni: l’invenzione è stata brevettata da Marco Caniato, ricercatore e docente della Facoltà di Scienze e Tecnologie di Bolzano, e pubblicata sulla rivista Sustainable Materials and Technologies. Per creare il biopolimero, Caniato ha impiegato un estratto dell’alga agar agar, un polisaccaride normalmente usato come gelificante naturale della consistenza di un gel che, dopo essere stato addizionato con carbonato di calcio, può essere mescolato alla plastica polverizzata. Come materiali rappresentativi delle microplastiche che più comunemente si trovano in ambiente marino, sono state utilizzate materie plastiche derivate dai rifiuti industriali e domestici (polietilene, bottiglie di tereftalato, polistirolo espanso e schiumato). Dopo la gelificazione, i campioni vengono congelati a -20 °C per 12 ore e infine liofilizzati per rimuovere l’acqua. Il risultato finale è un materiale poroso che può essere utilizzato, ad esempio, al posto della lana di roccia. Il processo di realizzazione prevede anche il riciclo dell’acqua che viene raccolta al termine della liofilizzazione, dopo lo scongelamento.

L’EMERGENZA MICROPLASTICHE NEI MARI

L’invenzione, realizzata in collaborazione con l’Università di Trieste, rappresenta uno sviluppo promettente nella battaglia contro la dispersione ambientale delle microplastiche, che costituiscono oggi una vera emergenza. Le microplastiche secondarie, ovvero i frammenti di plastica di dimensioni inferiori ai 5 mm che derivano dall’utilizzo e dall’abbandono di oggetti come buste o bottiglie di plastica, rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti negli oceani. Nel 2017 l’ONU ha dichiarato la presenza di 51 mila miliardi di particelle di microplastica nei mari della Terra: “500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia”. In tutto il mondo, i mari sono una delle aree più inquinate da micro e macro plastiche. Di conseguenza, il trattamento e la gestione del ciclo di vita dei materiali plastici si sono trasformati in un problema enorme la cui mancanza di soluzione minaccia la biodiversità marina e la sopravvivenza di moltissime specie ittiche. Senza considerare che ancora non si conoscono con esattezza i pericoli per l’uomo derivanti dall’ingresso di questi minuscoli frammenti di plastica nella catena alimentare.

Le prove di caratterizzazione condotte hanno confermato che il prodotto possiede ottime proprietà isolanti e che può facilmente competere con gli isolanti tradizionali. Abbiamo dimostrato che un approccio sostenibile, pulito ed ecologico può essere usato per riciclare i rifiuti marini e per costruire con un materiale ecologicamente ed economicamente conveniente

MARCO CANIATO, ricercatore e docente della Facoltà di Scienze e Tecnologie di Bolzano

Stabilizzare le celle solari in perovskite… usando i capelli?

A partire dai capelli umani, un gruppo di scienziati australiani ha creato dei punti quantici di carbonio in grado di stabilizzare e rendere più efficienti le celle solari in perovskite

L’idea potrà sembrare strana, ma un gruppo di ricercatori della Queensland University of Technology ha utilizzato dei capelli umani – ricavati dai rifiuti di un barbiere di Brisbane – per realizzare punti quantici di carbonio (carbon dot) nelle celle solari in perovskite. I carbon dot sono una classe di nanomateriali di carbonio, con dimensioni inferiori a 10 nm, impiegati per migliorare le prestazioni di un’ampia gamma di dispositivi fotovoltaici. Nel caso delle celle in perovskite, i punti quantici formano intorno ai cristalli una sorta di strato protettivo che protegge il materiale dall’umidità e da altri fattori ambientali, oltre a garantire una maggiore efficienza. Le celle in perovskite hanno fatto di recente alcuni importanti passi in avanti per quanto riguarda i risultati di efficienza, e rappresentano quindi una delle tecnologie più promettenti per il futuro del fotovoltaico. Tuttavia hanno diversi problemi di instabilità e vulnerabilità, che rendono ancora difficile la loro commercializzazione su larga scala. I capelli umani sono ricchi di carbonio e azoto: per trasformarli in nanodot, vengono spezzati e bruciati a 240°C. Lo studio è stato pubblicato sul numero di marzo del Journal of Materials Chemistry A da un team di ricercatori guidato dalla professoressa Hongxia Wang.

Il nostro obiettivo finale è rendere l’energia solare più economica, accessibile e durevole, e quindi creare dispositivi fotovoltaici leggeri, dato che le attuali celle solari sono molto pesanti

HONGXIA WANG, Queensland University of Technology

Polimeri termoplastici per asfalti più sostenibili

Mapei e Iren hanno siglato un accordo per l’utilizzo di polimeri riciclati per la realizzazione di pavimentazioni stradali in ottica di economia circolare

Mapei e Iren hanno siglato un accordo per l’utilizzo di polimeri termoplastici riciclati per la realizzazione di pavimentazioni stradali sostenibili e durature. Il progetto, gestito da Iren attraverso la controllata I.Blu, operatore nazionale nel settore della selezione e riciclo dei rifiuti di imballaggio in plastica da raccolta differenziata, ha come obiettivo l’implementazione di una tecnologia che possa far ottenere un significativo aumento della vita utile delle pavimentazioni stradali. Test congiunti, realizzati con il supporto del Laboratorio Stradale del Politecnico di Milano, hanno consentito di individuare le formulazioni che, grazie all’utilizzo dei tecnopolimeri sviluppati da Mapei e Iren, portano alla realizzazione di asfalti più sostenibili e duraturi particolarmente adatti a strade, autostrade, aree industriali, aeroporti, centri logistici e commerciali. I conglomerati bituminosi additivati con i tecnopolimeri conferiscono, infatti, alle pavimentazioni, a parità di spessore, un aumento significativo della vita utile con conseguente riduzione dei costi di manutenzione e una resistenza alla deformazione permanente dovuta al carico d’esercizio. Incrementano anche le resistenze alle escursioni termiche e ai raggi UVA, determinando meno degradi superficiali e riducendo così i rischi, in particolare, per cicli e motocicli.

Nanoparticelle biocompatibili per la sanificazione dell’acqua

Un gruppo di ricerca dell’Università di Roma Tre, in collaborazione con l’Università Boku di Vienna, ha realizzato nuovi materiali biocompatibili in grado di rimuovere i metalli pesanti di origine antropica dalle acque

Le risorse idriche stanno diventando un bene sempre più prezioso e poco accessibile a tutti, sia per la continua crescita della popolazione mondiale che per una sempre maggiore contaminazione di origine antropica che porta all’inquinamento di laghi, fiumi, mari e risorse sotterranee. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona su nove non ha accesso a fonti di acqua pulita e ogni anno più di 840.000 persone muoiono a causa di malattie legate all’acqua. Per risolvere questo problema un’efficace soluzione potrebbe venire dallo studio di un gruppo di ricercatori dell’Università Roma Tre che ha portato allo sviluppo di nanoparticelle magnetiche di ossido di ferro, ricoperte di un coating polimerico biocompatibile, in grado di rimuovere dall’acqua ioni provenienti da metalli pesanti. Questa scoperta apre nuovi scenari nell’ambito dello sviluppo sostenibile. Infatti, l’assorbimento degli inquinanti da parte delle nuove nanoparticelle, la biocompatibilità e le proprietà magnetiche, che ne permettono una estrazione controllata, rendono il nuovo materiale intelligente ed estremamente promettente per un potenziale utilizzo nell’ambito della purificazione e monitoraggio delle acque sia all’interno di filtri, sia in soluzione per future possibili applicazioni in ambito industriale. La ricerca Theoretical and Experimental Design of Heavy Metal-Mopping Magnetic Nanoparticles, pubblicata sulla rivista ACS Applied Materials and Interfaces di American Chemical Society, è il frutto della collaborazione di un gruppo di chimici (prof. ssa Tecla Gasperi, dott. Elia Roma) e fisici (dott.ssa Barbara Capone, dott. Pietro Corsi) del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, in partnership con il team del prof. Erik Reimhult dell’Università BOKU di Vienna. L’articolo riporta i risultati ottenuti, sottolineando come la ricerca rappresenti il primo passo verso la produzione di materiali che siano in grado di contrastare la dispersione di pericolosi metalli pesanti nell’ambiente. Partendo dal design teorico del materiale, il gruppo del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre ha sviluppato la sintesi delle macromolecole funzionalizzate. I nanomateriali sono poi stati analizzati e le loro proprietà sono state studiate in collaborazione con la BOKU di Vienna. Ne è stata, inoltre, verificata la capacità di rimuovere inquinanti dalle acque. Un elemento importante nella realizzazione del progetto è la biocompatibilità del materiale utilizzato in quanto permetterebbe un utilizzo su larga scala delle nuove nanoparticelle.

La combinazione tra un approccio teorico innovativo e tecniche sperimentali che abbiamo utilizzato quasi ‘pionieristicamente’ nel campo dei materiali, come la calorimetria isotermica di titolazione, ci ha permesso di comprendere come le nanoparticelle funzionalizzate interagissero con gli ioni di metalli pesanti. Alla luce delle nuove conoscenze acquisite, possiamo realizzare nanoparticelle utilizzabili per un risanamento ambientale, argomento di prioritaria importanza al giorno d’oggi

ERIK REIMHULT, professore presso l’Università di Vienna

Per la climatizzazione di grandi spazi

Efficienza e flessibilità con le soluzioni innovative Hoval

Come garantire un microclima ottimale nei grandi ambienti commerciali, industriali o espositivi? Indipendentemente dalla destinazione d’uso è importante che l’ampiezza degli ambienti non comporti problemi di disomogeneità nella distribuzione del calore e dispersioni con conseguenti consumi eccessivi. L’ultima generazione di sistemi decentralizzati per la climatizzazione di grandi ambienti Hoval è la soluzione più pratica ed efficiente per riscaldare e raffrescare ambienti di altezza elevata. Questi sistemi innovativi non comportano infatti la necessità di canali di distribuzione dell’aria e consentono quindi di risparmiare spazio; non creano problemi di interferenza con gli altri impianti, eliminano la necessità di manutenzione dei canali e, infine, non comportano perdite d’aria normalmente frequenti in presenza dei canali di distribuzione, con inutili dispersioni di energia. Ogni singola unità riesce, da sola, a coprire un’area molto vasta, perché teoricamente è in grado di sostituire 3 o 4 aerotermi tradizionali e ha un peso inferiore del 70% rispetto ai sistemi centralizzati. I sistemi non canalizzati Hoval sono adatti sia per la fase invernale che per la fase estiva e sono utilizzabili anche abbinati a una pompa di calore o a una caldaia a gas a condensazione, in grado di lavorare con acqua a bassa temperatura e con una ridotta differenza di temperatura tra mandata e ritorno. Un ulteriore valore aggiunto è determinato dal sistema di regolazione Hoval Digital Top Tronic® C che consente di customizHOVAL ROOFVENT® RC. Sistema di climatizzazione decentralizzato per grandi ambienti

zare ogni singola unità: nello stesso ambiente possono cioè coesistere situazioni diverse: in una determinata area, per esempio, se occorre si può modificare la geometria di lancio dell’aria per ottenere situazioni di particolare comfort e differenziare le singole zone.

PROGETTAZIONE E MANUTENZIONI SEMPLIFICATE

La decentralizzazione degli impianti di climatizzazione Hoval comporta notevoli vantaggi. Ottimizzazione dei consumi. L’assenza di canalizzazioni significa che non si verifica nessuna perdita di portata e le dispersioni d’aria vengono notevolmente ridotte, così come i consumi, grazie anche alla tecnologia Airinjector e all’algoritmo di controllo Variotronic che garantiscono una stratificazione di soli 0,15°K per metro di altezza. Facilità di progettazione. È possibile combinare diversi tipi di impianto per realizzare soluzioni ad hoc per ogni singolo progetto. Dotate di design compatto e di peso ridotto, le unità Hoval di climatizzazione si integrano facilmente in qualsiasi progetto. Il sistema decentralizzato consente inoltre di ampliare gli impianti esistenti con la successiva eventuale aggiunta di impianti nuovi. Tempi di montaggio ridotti. Le varie unità di climatizzazione vengono fornite già pronte per l’allacciamento, quindi si installano facilmente e rapidamente. Essendo montate a soffitto si risparmia inoltre spazio che altrimenti andrebbe occupato nei locali sottostanti. Manutenzione più semplice. La presenza di più unità che funzionano in autonomia, consente infine di eseguire gli interventi di manutenzione sulle singole macchine, senza disattivare l’intero impianto. Più igiene. L’aria di mandata non viene inquinata dalle impurità presenti nei canali, difficili da pulire e si mantiene quindi più salubre.

Hoval S.r.I.

Via XXV Aprile 1945, 13/15 24050 Zanica (BG) Tel. +39 035 6661111 info.it@hoval.com | www.hoval.it

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