![](https://assets.isu.pub/document-structure/220523083442-4f83d835d742d7cf2d3880f52b29cbb3/v1/ed922958344a784712e4c67ee0df5809.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
4 minute read
Una “piccola” alternativa
BENEDETTA BOTTARI
Professore Associato Microbiologia degli Alimenti Università degli Studi di Parma
Mentre gli scaffali dei supermercati si svuotano, a causa della nostra ormai nota maggior inclinazione all’isteria che alla resilienza (ma è pur vero che dopo due anni di pandemia, la resilienza suona un tantino ossimorica rispetto a un conflitto armato dietro l’angolo), le aziende alimentari devono iniziare a fare i conti con la scarsità di alcune materie prime. Dopo esserci a lungo scervellati per trovare alternative al tanto demonizzato olio di palma, adesso ci troviamo nella necessità di sostituire un altro olio vegetale, l’olio di girasole, per il cui approvvigionamento le nostre industrie dipendono fortemente dai paesi in guerra. Non sarà certamente una soluzione nell’immediato, ma forse sarebbe il caso di iniziare a considerare alternative che a medio e lungo termine possano affrancarci dalle questioni di sostenibilità ambientale economica e di autonomia produttiva. Una di queste alternative è rappresentata dai cosiddetti oli unicellulari o oli microbici. Si tratta di oli alimentari prodotti da microalghe, lieviti, funghi o muffe, in grado di accumulare lipidi a livello intracellulare. Tali microrganismi possono Microrganismi produrre oli analoghi a quelli generati da oli vegetali terrestri, composti prevalentemente da acido che producono oli analoghi palmitico, stearico, oleico e linoleico. Tuttavia, i profili lipidici degli oli prodotti da microrganismi possono facilmente essere guidati, regolando le a quelli generati da oli condizioni di coltura in modo da ottenere una composizione in acidi grassi perfettamente identica a vegetali terrestri quella desiderata, senza la necessità di riformulare, idrogenare o utilizzare costose miscele di oli esotici o ingegneria genetica. Se la produzione di oli da alghe fototrofe (tra i primi microrganismi oleosi studiati, in particolare grazie alla capacità di produrre una quantità di olio 30 volte superiore, per unità di superficie, rispetto alle piante oleaginose) è stata congedata in quanto tecnicamente irrealizzabile, a causa delle basse rese, degli elevati costi di essiccazione e dei rischi di contaminazione microbica dovuti alla coltivazione in vasche aperte, un’alternativa ritenuta ancora valida è quella di altre microalghe, questa volta eterotrofe (che usano la sostanza organica anziché luminosa per ricavare energia), già utilizzate per la produzione di acido docosaesaenoico (DHA), della serie degli omega-3, impiegato in particolare per gli alimenti in formula per lattanti, che non può essere sintetizzato da piante terrestri. Altre specie oleaginose eterotrofe includono alcuni lieviti, la cui produzione di oli unicellulari per uso alimentare, a partire da un’ampia varietà di materie prime e sottoprodotti, è ben documentata. In tal caso lo sviluppo cellulare è molto maggiore che per le alghe fototrofe, ma per produrre oli il lievito, diversamente da quanto accade nella produzione di vino e birra, necessità di areazione, perciò di grandi superfici per lo sviluppo di bioreattori, e quindi di un costo di investimento iniziale non trascurabile. Oltre a questo, i costi variabili a valle, necessari per estrarre e omogeneizzare i lipidi dalla cellula e l’incertezza delle prestazioni del sistema su larga scala, hanno per ora limitato la possibilità di rendere tali oli alternativi economicamente competitivi. Ma è difficile parlare di economia di scala se la scala traballa. Allora, nella speranza di tornare presto a pensare a girasoli e palme, valutiamo intanto una “piccola” alternativa.
LE SFIDE DEL FOOD&BEVERAGE TRICOLORE
L’export agroalimentare italiano è uno dei più rappresentativi del Made in Italy, con oltre 200 miliardi di euro di fatturato aggregato nel 2021 e 65 miliardi di euro di valore aggiunto. Ora però si temono le ripercussioni del conflitto russo-ucraino, due importanti partner commerciali per la filiera agroalimentare italiana, anche a causa dell’ulteriore innalzamento del costo di alcune materie prime agricole. A ciò si deve aggiungere un’inflazione che non arresta la sua crescita.
La filiera agroalimentare è uno degli asset chiave del Made in Italy
La filiera agroalimentare italiana è un asset strategico chiave per la competitività del Paese e in crescita nonostante i recenti numerosi shock. L’aggregato ha raggiunto un fatturato nel 2021 di 204,5 miliardi di euro (cresciuto del +3,8% dal 2015) e occupa 1,4 milioni di persone (di cui 483.000 nell’industria del Food&Beverage e 925.000 nel comparto agricolo), con un Valore Aggiunto (inteso come contributo diretto al Pil) di 65 miliardi di euro. La filiera agroalimentare è prima in Italia per Valore Aggiunto generato tra i principali settori del Made in Italy e la seconda economia europea per incidenza del Valore Aggiunto agrifood sul Pil (3,9%, seconda solo alla Spagna che raggiunge il 4,7%).
La guerra minaccia export e import
![](https://assets.isu.pub/document-structure/220523083442-4f83d835d742d7cf2d3880f52b29cbb3/v1/6f6b6c82f12de103e867822b2d22b3f6.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Il conflitto tra Russia e Ucraina si è immediatamente fatto sentire sul costo delle materie prime alimentari. L’impennata dell’inflazione è stata avvertita già una settimana dopo l’inizio delle ostilità militari. Particolarmente colpito il grano tenero, il cui prezzo ha subìto un rincaro del 13%. Gli impatti del conflitto sulla filiera agroalimentare italiana sono molto rilevanti: i due Paesi valgono per 932,7 milioni di Euro di esportazioni agrifood (con la Russia come 18° partner commerciale) e 901,2 milioni di importazioni (con l’Ucraina come 18° partner commerciale). È proprio dal lato importazioni che le minacce del conflitto sfociano in nuovi rischi per alcune filiere agroalimentari chiave del Paese: infatti, l’Ucraina è 1° fornitore di olio di girasole per l’Italia, 1° fornitore di semi e 2° fornitore di mais e elementi nutritivi per le coltivazioni, con pesi sul totale dell’import che vanno dal 15% fino al 63% (è il caso dell’olio di girasole, elemento chiave anche per alcune filiere di trasformazione).
Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo.
Efficienza, trasparenza, flessibilità – questo è ciò che conta ora. L’IT è la chiave per ottenerlo. Che si tratti di ERP, MES, rintracciabilità o software per la pianificazione intelligente: il CSB-System è la soluzione completa per le aziende del settore alimentare. Così già oggi potete ottimizzare la vostra produzione e domani digitalizzerete l’intera azienda.
Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore alimentare: www.csb.com