28 minute read
Principi di sostenibilità ambientale e risparmio energetico. Le opportunità per le aziende alimentari dall’impiego di fonti di energia rinnovabile
Principi di sostenibilità ambientale e risparmio energetico
Le opportunità per le aziende alimentari dall’impiego di fonti di energia rinnovabile
Il comparto agroalimentare è responsabile del consumo nazionale di una quota di energia primaria importante, anche se fra i diversi sistemi industriali non è il più energivoro: i consumi valgono infatti circa l’11% del totale dei consumi industriali (fonte dati: Rapporto Annuale Efficienza Energetica RAEE - Enea 2020). Il settore manifatturiero alimentare presenta alti tassi di consumo di energia metanifera, necessaria sia per la produzione di acqua calda che di vapore nei processi termici del calore, e di energia elettrica che alimenta la forza motrice per il funzionamento di pompe e motori degli impianti e dei compressori per la produzione del freddo (congelazione, refrigerazione e condizionamento ambientale dell’intera area produttiva). Il condizionamento è per sua natura un fabbisogno di tipo termico, ma le macchine delegate a questa funzione sono generalmente alimentate da fonte elettrica. Inoltre lo smaltimento di taluni sottoprodotti comporta costi, se questi sono trattati come rifiuti. In modo analogo se le acque di scarico utilizzate per i lavaggi o che intervengono nei processi di servizio a perdere (scongelo, cottura, ecc.) devono essere trattate e anche depurate, prima di essere inviate a colmatori e scaricate nella rete idrica, queste operazioni di bonifica comportano costi e tariffe tanto più elevate quanto più lo scarico deve essere purificato. In tale quadro si comprende come interventi di riduzione dei consumi energetici e valorizzazione di determinati sottoprodotti (altrimenti scarti), non solo potreb-
Giuseppe L. Pastori
Tecnologo e consulente alimentare Specialista delle carni e piatti pronti
L’impiego delle bioenergie è un volano per le aziende che decidono di investire in questi sistemi
bero ridurre l’ammontare della bolletta per il consumo di energia elettrica e di metano che incidono sui costi di produzione in maniera significativa, ma potrebbero anche contribuire a gestire meglio i sottoprodotti stessi che diversamente sarebbero eliminati come rifiuti, valorizzandoli in modo più adeguato e sostenibile per l’ambiente.
Obiettivo 2030
I principi della sostenibilità ambientale sono attualmente dettati dall’Accordo di Parigi del 2015 e dall’Agenda 2030 dell’ONU (in attesa di conoscere anche gli aggiornamenti della COP26 del Glasgow Climate Pact 2021 che dovrebbero rendere gli Accordi di Parigi pienamente funzionali) e la Comunità Europea è in prima linea per realizzarli. Il termine del 2030 per ridurre ulteriormente l’emissione dei gas serra, incrementare l’impiego delle energie ecosostenibili prodotte da fonti rinnovabili, favorire la riduzione di rifiuti incrementando l’utilizzo dei materiali organici come biomasse da utilizzare nella produzione di biogas aumentando l’efficienza energetica, è ulteriormente definito dall’Europa nell’adozione del Green Deal [1] come parte integrante della strategia della Commissione per attuare l’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. L’UE ha dato l’esempio fissando obiettivi
ambiziosi per ridurre le emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e per diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Considerato che l’uso dell’energia è all’origine del 75% delle emissioni dell’UE, le ambizioni climatiche dell’Europa non possono prescindere dalla trasformazione del sistema energetico. Un maggior risparmio di energia e l’aumento della quota di rinnovabili in quella che consumiamo sono fattori chiave di crescita, creazione di posti di lavoro e riduzione delle emissioni. Per centrare l’obiettivo 2030, la revisione della direttiva sulle energie rinnovabili [2] propone di portare l’obiettivo vincolante complessivo di rinnovabili nel mix energetico dell’UE dall’attuale 32% al 40%.
Il ruolo dell’Italia
Anche l’Italia è consapevole dei benefici insiti nella diffusione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, connessi alla riduzione delle emissioni inquinanti e climalteranti, che portano a un miglioramento della sicurezza energetica a vantaggio di famiglie e sistema produttivo. Per questo nel 2019 si è dotata di un Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) [3] che condivide pienamente l’orientamento comunitario e rafforza l’impegno del Green Deal per la decarbonizzazione dell’economia a vantaggio dell’impiego delle energie rinnovabili. Questa evoluzione sarà guidata dalla costante attenzione all’efficienza e sarà agevolata dalla riduzione dei costi di alcune tecnologie ecologicamente sostenibili, tra le quali una crescente importanza assumerà il fotovoltaico, in ragione della sua modularità e del fatto che utilizza una fonte ampiamente e diffusamente disponibile. Tuttavia nel PNIEC (che è un documento antecedente quelli aggiornati dell’UE) l’obiettivo per il 2030 di quote da energia rinnovabile in carico all’Italia è ancora indicato al 30% di miglioramento (rispetto al dato del 1990), anche se non mancheranno gli sforzi per superarlo. Per soddisfare questa esigenza il nostro Paese ricorrerà a un mix di strumenti di natura fiscale, economica e programmatica, calibrati per settore di intervento e tipologia dei destinatari. Perseguendo gli obiettivi di efficienza energetica, si dovranno ottimizzare il rapporto tra costi e benefici delle diverse azioni. Oltre al fotovoltaico sono da considerarsi altre tecnologie come l’impiego del solare termico, delle pompe di calore, della cogenerazione ad alto rendimento, soprattutto se alimentate con gas rinnovabili. Tenendo conto di queste disposizioni, il fotovoltaico da solo non è sufficiente: devono perciò essere impiegate altre tecnologie per far fronte alle necessità energetiche di tipo elettrico e termico.
COMBUSTIBILE COGENERAZIONE
Schema di un impianto di trigenerazione
GRUPPO FRIGO
ENERGIA TERMICA ENERGIA FRIGORIFERA
perdite
ENERGIA ELETTRICA
Il ruolo delle aziende
Per le industrie agroalimentari ciò è oltremodo interessante perché, laddove i fabbisogni energetici sono importanti e si dispongono di determinate quantità di sottoprodotti da valorizzare, si possono adottare misure efficienti atte a ridurre i consumi di energia e l’impatto dei rifiuti nell’ambiente, incidendo direttamente sui costi aziendali e sui risparmi tariffari. Alcuni interventi possono già essere presi in considerazione senza la necessità di particolari investimenti, come ad esempio il recupero del calore residuo di processo, il miglioramento dell’isolamento termico, l’adozione di pompe e motori più efficienti, la sostituzione dell’illuminazione con lampade a LED, ecc. Accanto a questi miglioramenti di efficienza dovuta più che altro all’attenzione di manutenere al meglio le strutture in uso, da alcuni anni è possibile effettuare interventi mirati integrando apparati di produzione dell’energia elettrica/meccanica e dell’energia termica, ottenuti in appositi impianti che utilizzano l’energia primaria di rete, che rappresentano essi stessi un intervento di incremento dell’efficienza. Conoscere tuttavia i valori di consumo specifici della propria attività è fondamentale non solo per adottare azioni atte all’incremento dell’efficienza ma, prima ancora, per valutare il livello di competitività e impostare nuove stra-
tegie di crescita. La raccolta puntuale delle informazioni sui consumi, relative a tutti i macchinari e i processi, al fine di individuare eventuali criticità e valutare la fattibilità e la convenienza economica delle azioni da intraprendere, si effettua mediante la diagnosi energetica. Grazie a questa diagnosi è possibile:
§ definire il bilancio energetico dell’azienda o del sito produttivo; § individuare le inefficienze degli impianti/processi anche a seguito di confronti con benchmark di settore; § identificare gli interventi di efficientamento; § valutare la fattibilità tecnica e il ritorno economico di un intervento.
La diagnosi energetica, obbligatoria per le grandi imprese e per quelle energivore (D. Lgs. 102/2014) [4], può essere richiesta da qualsiasi struttura voglia porre l’attenzione sul risparmio. Deve essere certificata e accreditata per la conformità alle norme tecniche dalle “Società che forniscono servizi energetici” (ESCO), dagli Esperti in Gestione dell’Energia (EGE), dai Sistemi di Gestione dell’Energia (SGE). Per far fronte alle notevoli richieste energetiche dei propri siti produttivi e, al tempo stesso, imprimere un cambiamento di riconversione verso un futuro ecosostenibile, oggi le aziende hanno a disposizione diversi sistemi. Quelli più “green” sono:
§ gli impianti fotovoltaici; § gli impianti che sfruttano la geotermia; § gli impianti di cogenerazione; § la produzione di biogas da recupero delle biomasse di aziende alimentari (sottoprodotti di origine vegetale o animale), fanghi di depurazione, liquame e letame da aziende agricole.
Vediamo nel dettaglio di che cosa si tratta.
IL SISTEMA FOTOVOLTAICO
Il sistema fotovoltaico è un insieme di componenti meccanici, elettrici ed elettronici che concorrono a captare e trasformare l’energia solare disponibile, rendendola utilizzabile sotto forma di energia elettrica. Questo avviene sfruttando un fenomeno fisico, noto come effetto fotovoltaico, che consiste nella capacità che hanno alcuni materiali semiconduttori opportunamente drogati di generare elettricità quando esposti alla radiazione luminosa. Quando i fotoni (le particelle di energia del sole) colpiscono una cella fotovoltaica, una parte di energia è assorbita dal materiale e alcuni elettroni, scalzati dalla posizione che occupano nella struttura atomica, scorrono attraverso il materiale semiconduttore (opportunamente trattato) producendo una corrente continua che può essere raccolta sulle superfici della cella. Più celle sono collegate in serie o in parallelo e impacchettate per formare un modulo che rappresenta il componente base dell’impianto fotovoltaico. Il sistema fotovoltaico è impiegato per la produzione di energia elettrica senza alcuna emissione di gas a effetto serra. Per un’azienda l’impianto ha un minimo impatto visivo, che si annulla completamente nel caso di totale integrazione architettonica, cioè quando i moduli sostituiscono il manto di copertura di un tetto o di una parete (coppi, lamiera, ecc.). L’impianto richiede inoltre la realizzazione di poche opere civili nel sito di installazione e, producendo energia direttamente nel luogo di consumo, non necessita di infrastrutture per la distribuzione dell’energia prodotta. Per questo motivo è anche molto più efficiente delle tradizionali reti di trasmissioni elettriche in quanto l’autoconsumo “sul posto” annulla completamente le dispersioni e le inefficienze della rete elettrica nazionale.
IMPIANTI GEOTERMICI
La geotermia racchiude in sé un concetto molto semplice: usufruire di energia già presente sotto terra senza doverne produrre altra. Se un’azienda dispone di proprie falde acquifere e di propri pozzi, può impiegare la risorsa idrica di falda – che ha una temperatura sempre costante – per avere sia acqua calda che fredda. Per mezzo di una pompa di calore, che scalda o raffredda l’acqua, si possono rifornire tutti i processi industriali, oltre a effettuare il condizionamento o il riscaldamento dei locali. Al termine del processo l’acqua viene reimmessa in falda attraverso un pozzo di resa. Si può evitare il consumo di energia elettrica necessaria a far funzionare la pompa di calore se l’energia deriva da quella prodotta da un impianto di cogenerazione o fotovoltaico.
IMPIANTI DI COGENERAZIONE
“Cogenerare” significa generare contemporaneamente più forme di energia secondaria partendo da un’unica fonte primaria. Più precisamente per cogenerazione si intende la produzione simultanea di energia termica ed energia meccanica; quest’ultima viene subito tramutata in energia elettrica, tramite un unico sistema integrato, cosiddetto a “energia totale”. Questo avviene in contrasto con la pratica comune di acquistare energia elettrica dalla rete e produrre caldo o freddo in loco. Di impianti di cogenerazione ne esistono di diversi tipi, come ad esempio a combustione interna, turbina a gas, fuel cell, ciclo Rankine organico (ORC). Come è noto, in ogni ciclo termodinamico motore, che generi energia elettrica utilizzando come fonte energetica il calore ad alta temperatura ottenuto bruciando un combustibile, è necessario cedere calore a più bassa temperatura, in genere all’ambiente. Se questo calore viene recuperato in tutto o in parte si realizza un processo cogenerativo. Se si riesce a produrre contemporaneamente energia elettrica, calore e freddo (tutte energie utili) il processo si definisce di trigenerazione.
Il sistema è costituito da: § un motore endotermico alimentato a gas metano dalla rete pubblica; § un sistema di recupero dei gas di scarico e/o del circuito di raffreddamento del motore, con produzione di calore utile ed energia elettrica (ceduta alla rete); § il calore utile del cogeneratore può alimentare a sua volta un sistema di generazione del freddo, normalmente costituito da un impianto frigorifero basato su macchine a
ciclo inverso a compressione oppure un impianto frigorifero con macchine ad assorbimento (queste ultime non utilizzano ulteriore energia elettrica perché non hanno bisogno di un compressore). Grazie al minor consumo di combustibile in relazione alla produzione separata di energia elettrica e termica, la cogenerazione permette una significativa riduzione delle emissioni di gas associati con l’inquinamento atmosferico (SOx e NOx) e con il riscaldamento della terra (CO). Si veda a questo proposito lo schema in Figura 1, che riporta come a parità di produzione elettrica e termica ottenuta con i sistemi convenzionali il consumo di combustibile che alimenta l’impianto di cogenerazione sia sensibilmente inferiore a quello degli impianti convenzionali separati e come al tempo stesso le perdite vengano minimizzate.
Figura 1. Schema risparmio energetico usando la cogenerazione
Meno spazio ai biocarburanti di prima generazione a favore di quelli di seconda e soprattutto sostegno al biometano che ha grandi potenziali di crescita. Potrebbe essere questa l’ottica di sviluppo della green economy se si optasse per la produzione di gas dalla digestione anaerobica delle biomasse organiche piuttosto che per la realizzazione di biocarburanti. In effetti la produzione massiva di colture dedicate a scopo energetico (mais, sorgo, frumento) sottratte all’utilizzo alimentare potrebbe porre alcuni problemi di carattere economico, energetico e ambientale: la produzione alimentare deve avere l’assoluta priorità nell’uso della superficie agricola e la produzione di biocombustibili non deve influenzare troppo i prezzi delle produzioni alimentari medesime. Tanto è vero che la Direttiva 2009/28/CE [5], poi abrogata e sostituita (per renderla aggiornata ai Protocolli di Parigi) dalla Direttiva (UE) 2018/2001 [6], si preoccupava di osservare che “l’aumento della domanda mondiale di biocarburanti e gli incentivi all’uso dei biocarburanti previsti dalla presente direttiva non dovrebbero avere l’effetto di incoraggiare la distruzione di terreni ricchi di biodiversità”. Per di più, la produzione di biometano da biogas rappresenta un sistema sostenibile per l’ambiente in quanto la digestione anaerobica non avviene in regime di combustione e pertanto non emette gas serra, mentre il nostro Paese per la sua conformazione geomorfologica non è in grado di produrre quantità significative di biocarburanti di origine vegetale e sarebbe costretto a importare biomasse da trasformare con dubbio beneficio ambientale, scarso impatto industriale e impatto negativo sulla fattura energetica. Al contrario, l’Italia può estrarre consistenti quantità di biometano da allevamenti, imprese di trasformazione alimentare, discariche: alcuni stimano di raggiungere 4 miliardi di metri cubi entro il 2026 per poi toccare i 6 miliardi nel 2030: circa il 10% del consumo totale di gas naturale (fonte: IlSole 24ore 28/10/2021: Enzo Losito Bellavigna, AD AB Energy SpA). Inoltre anche per il biometano, oltre all’utilizzo come combustibile in un impianto di cogenerazione nel medesimo complesso industriale, sono possibili forme di incentivazione per l’immissione in rete delle eccedenze prodotte al pari di quanto concesso per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Infatti, come gli elettroni prodotti da fonti rinnovabili sono indistinguibili da quelli generati in altro modo, alla stessa condizione una molecola di CH4 (metano) non cambia la sua natura in funzione della sua origine. La quantità di biogas prodotta e la percentuale di metano contenuta nel biogas (in genere il 50-70% di CH4, il resto CO) dipendono sia dalla materia prima impiegata che dalla tecnologia di conversione utilizzata. In generale i reflui fognari, il liquame e il letame producono meno gas del rifiuto di origine alimentare e dei sottoprodotti animali dell’industria di macellazione o vegetali derivanti dalla lavorazione delle olive e altre.
BIOMASS/Fresh organic matter
Complex organic matter- proteins, lipids, sugars
Hydrolic bacteria
Hydrolysis Hydrolic bacteria
Acetogenesis bacteria
Methanogenesis bacteria
Blogas
Metanogenesis
Soluble organic matter
Acidogenesis Acetogenesis
Acetate and Hydrogen
Acetogenesis bacteria
Methanogenesis bacteria
Metanogenesis
Sludge
Schema digestione anaerobica
PRODUZIONE DI BIOGAS (DA SOTTOPRODOTTI DI LAVORAZIONE DI ORIGINE VEGETALE E ANIMALE)
La valorizzazione energetica tramite Digestione Anaerobica (DA) dei sottoprodotti di origine animale (quelli di categoria 2 e 3 della macellazione) e quelli di origine vegetale derivanti dalla sansa di olive, le buccette dei pomodori, fino ai cruscami, sembra essere la soluzione più appropriata per il recupero energetico di quelli che, diversamente, sarebbero scarti di processo. La DA, soprattutto dei grassi animali e vegetali, valorizza il contenuto energetico di questa matrice ricca in carbonio, che ha un elevato indice di produttività in metri cubi di biogas per tonnellata di substrato. Il recupero energetico delle matrici organiche animali e vegetali è inoltre una valida alternativa di gestione del residuo, dal momento che un’azienda di trasformazione rappresenta un’utenza con elevate richieste di energia nei diversi fabbisogni di calore, freddo e condizionamento. Si tenga ulteriormente conto che nella biomassa da trattare possono essere opportunamente miscelati rifiuti organici, fanghi della depurazione delle acque, recuperi alimentari di prodotti a fine scadenza o difettosi per imballo che non si sono potuti commercializzare. Tale situazione rappresenta un ottimo sfruttamento dell’intera energia disponibile del biogas, opportunamente purificato a metano, per via cogenerativa. Il biometano viene prodotto attraverso un procedimento costituito da 3 fasi:
§ Pretrattamento. Questa fase comprende qualsiasi tecnica di selezione, triturazione e miscelazione della materia prima (rifiuto organico) per renderla la più adatta possibile al digestore; può essere prevista anche una fase di separazione da materiale proteico (diversamente recuperato) la cui concentrazione in sostanze azotate potrebbe comportare problemi nel riutilizzo delle matrici esauste come fertilizzanti; su matrici parzialmente liquide si possono impiegare anche gli ultrasuoni [7] per aumentare le potenzialità di digestione delle particelle.
§ Digestione. È il processo principale durante il quale la sostanza organica è trasformata in biogas e digestato, che è il residuo finale del processo.
§ Raffinazione. Si tratta del processo in cui il biogas grezzo è trasformato in un combustibile ad alto contenuto di metano (≥ 95%) eliminando la CO e altre impurità e contaminanti. Il processo di digestione dura circa 15-20 giorni a seconda della materia prima e della tecnologia utilizzata. Le principali tecnologie di DA sono:
§ Processo termofilo e mesofilo. Il sistema mesofilo si svolge a una temperatura di circa 35°C, mentre il quello termofilo prevede il riscaldamento della massa da digerire fino a temperature intorno a 55°C: in questo modo il processo di digestione avviene più velocemente e con maggiori rese. Generalmente nel caso di impiego prevalente di matrici organiche complesse la DA avviene in più fasi: a una prima di idrolisi ne segue una di acetogenesi e infine quella di metanogenesi, con produzione del biogas e del digestato.
§ Sistemi a singolo stadio o multistadio. Un digestore a singolo stadio svolge tutte le fasi del processo di digestione in un unico vascone, mentre il digestore multistadio ottimizza il processo in diversi vasconi (predigestore, digestore, postdigestore).
§ Sistemi in batch (discontinui) o sistemi in continuo. Come suggerisce la definizione, alcuni sistemi funzionano in modalità discontinua, mentre i sistemi a flusso continuo comportano un’introduzione di materia prima e una contemporanea estrazione di gas e digestato. § Oltre al biogas, il processo di
DA produce il digestato come residuo finale composto da una frazione solida e da una liquida.
Questo sottoprodotto a determinate condizioni (deve essere soggetto al rispetto delle direttive ambientali e deve esserne fatto un uso controllato) può essere usato come fertilizzante organico da distribuire sul terreno in sostituzione di fertilizzanti chimici, anche nella produzione biologica [8].
SE LA BIOMASSA ORGANICA È UN RIFIUTO NON LA SI PUÒ USARE: STORIA DI UN CAVILLO ALL’ITALIANA CASE STUDY
L’impiego dei sottoprodotti di origine animale (SOA) come biomassa da destinare agli impianti di produzione del biogas è stato oggetto di controversia per parecchio tempo. Oggi il loro impiego è reso possibile dal D.Lgs. n. 46 del 4/3/2014 [9]. Tale decreto ha sbloccato una situazione complessa modificando una precedente disposizione, il D.Lgs. n. 152/2006, che impediva l’impiego dei sottoprodotti di origine animale non riconoscendoli come biomassa semplicemente... perché non li menzionava tra i materiali organici permessi. Tutto ciò nonostante il Reg. CE 1069/2009 [10], che al punto 4 delle considerazioni iniziali così recita: “Le nuove tecnologie hanno esteso le possibilità di impiego dei sottoprodotti di origine animale o dei prodotti derivati da ampio numero di settori produttivi, in particolare per la produzione di energia”. Mentre all’art. 10 del medesimo regolamento si identificano i materiali di categoria 3 (come già riportava il Reg. CE 1774/2002) che possono essere impiegati come biomassa e il documento si chiuda con la frase di rito: “Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”. È risaputo che un regolamento comunitario è gerarchicamente superiore a qualunque legge nazionale, quindi le disposizioni si sarebbero dovute applicare immediatamente nei termini sopra descritti. Alcune Regioni hanno quindi interpretato in modo estensivo la legge italiana allora vigente consentendo l’utilizzo dei SOA negli impianti di produzione di energia mentre altre – con un’interpretazione letterale – li hanno continuati a vietare. Ci voleva pertanto il D. Lgs. 46/2014, che attua la Direttiva 2010/75/UE e modifica il D. Lgs. 152/2006, per chiarire anche in ambito nazionale che gli scarti di macellazione utilizzabili come biomassa sono esclusi dal regime dei rifiuti. In particolare l’art. 15, comma 2, lettera b, punto 3 che modifica l’art. 237 quater “Ambito di applicazione ed esclusioni” della vecchia legge, così riporta:
“2. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente titolo (...) b) gli impianti che trattano unicamente i seguenti rifiuti: (...) 3) rifiuti animali, come regolati dal regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano”. Sembra banale ma qualunque materiale organico, anche derivante da raccolta dell’umido, può essere impiegato come biomassa solo qualora non lo si sia classificato come rifiuto.”
Conoscere i valori di consumo specifici della propria attività è fondamentale per adottare azioni atte all’incremento dell’efficienza, valutare il livello di competitività e impostare nuove strategie di crescita
Considerazioni finali
L’impiego delle bioenergie è un volano, per le aziende che decidono di investire in questi sistemi, che si traduce innanzitutto in un vantaggio sia economico che di sostenibilità ambientale, legato alla riduzione dei costi energetici e produttivi e dei costi di smaltimento del rifiuto. La convenienza dipende da diversi fattori ma il primo è sempre quello economico: per ridurre la dipendenza da fonti energetiche esterne (diminuzione dei costi delle bollette), per ottimizzare i costi di produzione, per valorizzare gli scarti di produzione come sottoprodotti, per sostenere l’ambiente. La valutazione del tipo di impianto da scegliere condizionerà l’investimento e soprattutto i tempi di ammortamento che saranno redditizi se proiettati in un orizzonte massimo di 4-6 anni. Tuttavia è bene considerare che i migliori rendimenti energetici si ottengono sfruttando in modo ibrido e contemporaneamente più sistemi, così che un sistema possa alimentare l’altro: infatti i rendimenti elettrici sono di pochi punti percentuali per i soli sistemi fotovoltaici (che però possono sfruttare ampie superfici a disposizione come i tetti dei capannoni), mentre sono molto maggiori nel caso appunto di ibridazione. È il caso ad esempio dello sfruttamento dell’energia fotovoltaica per far funzionare motori e pompe o dell’impiego dell’energia elettrica prodotta dalla cogenerazione per alimentare una pompa di calore. Anche la produzione di biogas, convertita opportunamente a metano, può costituire la fonte di alimentazione per un sistema di cogenerazione, riducendo quindi il prelievo del combustibile dalla rete nazionale. Per quanto riguarda la produzione di biogas la valutazione dell’impianto per un‘industria non può non prescindere dalla disponibilità dei sottoprodotti da destinare a biomassa: se è vero che i sottoprodotti di origine vegetale e animale hanno un valore di conversione maggiore in energia, piuttosto che essere trattati come rifiuto o destinati a impianti di
Blocco motore dell’unità di cogenerazione a biogas. Combustione di biogas di scarto e produzione di energia elettrica
compostaggio, la prima cosa da valutare in assoluto è capire di quanta materia prima si dispone, tale da alimentare in modo continuo (o se discontinuo, tale da produrre sufficiente energia) il digestore anaerobico. In effetti è per questo motivo che, al momento, l’impiego di questi impianti è favorevole soprattutto per le grandi imprese agro-industriali e per talune industrie di macellazione piuttosto che per quelle di trasformazione delle carni, le quali dispongono di sufficiente materiale organico da trattare – senza dovere necessariamente acquistare biomasse – a costi pressoché pari a “zero” avendolo disponibile in casa. Tuttavia le aziende di trasformazione più piccole o che da sole non riescono a garantirsi sufficiente materiale organico da trattare possono sempre aggregarsi per costruire un unico digestore consortile allo scopo di raggiungere la massa critica che renda sostenibile un impianto condiviso: le energie prodotte o i profitti così ottenuti andranno ridistribuiti in base a quote di capitale o alla produttività di biogas generato dal materiale afferito mediante semplici test di laboratorio. Dal punto di vista economico la miscela di alimentazione ideale deve garantire il minor costo del biogas producibile (€/m3), abbinandolo con la maggiore produttività di biogas (misurabile attraverso test di laboratorio chiamati Bio-Methane Potential o BMP, espressa in m3/ton) e con il minor costo di approvvigionamento della biomassa (€/ton). Per valutare la convenienza dei sistemi è bene affidarsi a società di consulenza o ai costruttori – nominativi reperibili in base alle esperienze già acquisite o presso le unioni industriali – i quali in riferimento ai consumi annuali e alle necessità operative di ciascuna azienda possono fare una valutazione di impatto economico e offrire impianti chiavi in mano per tutte le esigenze. Perciò un’azienda che si volesse avvicinare solo adesso alle “green energy” non potrà investire in tutti i potenziali sistemi in modo simultaneo ma dovrà optare – fatte proprie le potenzialità e le necessità – per quelli che garantiranno nel più breve tempo possibile il ritorno economico (al netto di quote di ammortamento dell’impianto, i costi di gestione / manutenzione, ecc.), senza dimenticare però che i prodotti delle diverse tecnologie possono alimentare gli altri impianti. È quindi evidente come per decidere di investire nelle bioenergie non sia sufficiente la sola compatibilità tecnologica e neppure la vicinanza alla “grid parity” (cioè al costo dell’energia della rete) di una determinata soluzione, ma è necessario tenere conto di due fattori: il rendimento economico “relativo”, misurato in termini di IRR (Internal Rate of Return), e in periodo di crisi come questo soprattutto il TPB (Time of Pay Back – tempo di ritorno dell’investimento), che deve essere competitivo di per sé e in relazione alle possibili alternative che l’investitore si trova di fronte. Bisogna inoltre considerare che vi è un atteggiamento sempre più favorevole nei confronti delle tematiche ambientali e delle energie rinnovabili da parte
Schema di un impianto di cogenerazione
dell’opinione pubblica e dei media. I cittadini-consumatori e le imprese orientano sempre di più le proprie scelte d’acquisto a favore di prodotti ecocompatibili e sostenibili dal punto di vista etico e sociale. Se fino a pochi anni fa la sostenibilità ambientale veniva considerata un’attività legata alla responsabilità sociale dell’impresa, vista con risvolti etici e morali ma priva di impatto sul business, oggi l’importanza di questo tema è notevolmente cresciuta perché sono i clienti finali a esserne sensibili. Considerando poi che l’evoluzione delle tecnologie sarà tale da poter diventare più accessibile e redditizia anche per piccoli impianti, si potranno sviluppare sinergie positive legate alla tipologia e dimensione dell’impianto e al contesto in cui esso è inserito: ad esempio integrando la propria biomassa con quella derivante dalla FORSU (cioè la Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano), sotto forma di tariffe per il trattamento dei rifiuti. Anche la sfera politica mondiale manifesta un interesse sempre più persistente alle problematiche ambientali, stabilendo obiettivi e promuovendo programmi di incentivazione per le fonti rinnovabili e per la riduzione delle emissioni di gas serra. In base ai dati della Comunità Europea il settore alimentare è uno di quelli maggiormente impattanti dal punto di vista dell’ecosistema, essendo responsabile di circa il 30% del surriscaldamento globale. Lo spreco alimentare ha un doppio costo in questo scenario, in quanto racchiude in sé l’impatto legato alla produzione dei cibi mai consumati e quello legato alla raccolta e smaltimento dei rifiuti alimentari. Ponendo, ad esempio, l’accento sulla grande distribuzione è noto che quotidianamente tonnellate di alimenti passino dagli scaffali dei supermercati ai cumuli di rifiuti delle discariche. Nei casi migliori una parte di essi può essere ridistribuita ad associazioni benefiche che assistono persone indigenti. In questa prospettiva, è evidente come l’adozione di impianti bioenergetici possa generare un ritorno di immagine positivo oltre a procurare immediati vantaggi economici (visibilità mediatica e pubblicitaria) e ambientali collettivi. Nel caso un impianto sia dimensionato per produrre più energia elettrica o biogas di quella che serve e non sia necessaria accumularla in batterie o depositi, l’eccedenza non utilizzata può essere immessa in rete – previo contratto con un distributore – ma deve essere convertita, nel caso dell’energia elettrica, in corrente alternata mediante un inverter dato che questa è la forma con cui viene distribuita e utilizzata per le utenze domestiche oppure in metano nel caso del biogas; sono perciò necessarie altre opere che possono fare lievitare i costi al di là degli incentivi. Per questo è più opportuno dimensionare l’impianto solo per il lavoro che deve svolgere. E nel contesto odierno in cui l’UE cerca di incrementare il proprio utilizzo di energie rinnovabili, la ricerca europea e soprattutto italiana si spinge a guardare al futuro prossimo, alla produzione di massa di idrogeno verde a prezzi sostenibili. Il Politecnico di Torino è stato infatti il capofila del progetto BIOROBURplus [11], finanziato dalla UE (2017-2021), per dimostrare il potenziale insito nel biogas, nonché il suo utilizzo sostenibile, in qualità di combustibile rinnovabile per la produzione decentralizzata di idrogeno verde, noto anche come bioidrogeno.
LA POLITICA SOSTENIBILE DI SAINSBURY’S
La catena di supermercati inglese Sainsbury’s ha deciso di sperimentare un’altra via, per rendere quello che una volta era un rifiuto alla discarica un bene da valorizzare. Già dona gli alimenti in eccesso a un ente di beneficenza per la distribuzione di cibo, mentre il pane invenduto viene lavorato per l’alimentazione degli animali. Però per tutti quei prodotti che non possono essere ricollocati (perché scaduti o guasti) è prevista un’utile riconversione, una “seconda vita”. Grazie a un accordo definito 9 anni fa con il gruppo Biffa, che si occupa del trattamento e smaltimento di rifiuti, Sainsbury’s è riuscita ad alimentare il punto vendita di Cannock, nello Staffordshire, con l’energia generata dal cibo scartato e invenduto (e destinato in discarica) proveniente da tutti i negozi del Regno Unito. E lo scorso anno ha annunciato di aver raggiunto uno dei suoi principali obiettivi di sostenibilità: deviare tutte le sue 85.000 tonnellate di rifiuti dalla discarica. Ciò avviene grazie al processo di digestione anaerobica realizzato all’interno dei vicini impianti di trattamento dei rifiuti organici di Biffa, la quale ha dovuto organizzare un sistema logistico di conferimento su due fronti: raccogliere i rifiuti trasportati dai grandi supermercati e il materiale dai minimarket urbani dove
CASE STUDY
le restrizioni operative impediscono alle reti di collegamento intermedi. Nell’impianto Biffa di Cannock il cibo e i rifiuti biodegradabili sono trasformati in biogas e il combustibile che ne deriva viene convertito in energia elettrica pronta da essere utilizzata per le attività del supermercato. Il passaggio dell’energia dall’impianto di trattamento al punto di vendita avviene grazie a un cavo lungo 1,5 chilometri che collega direttamente le due strutture. Inoltre l’impianto è in grado di generare abbastanza elettricità per alimentare circa 2.500 abitazioni in un anno (per approfondimento: https://www.biffa.co.uk/case-studies/ sainsburys). Tra i numerosi progetti a cui le due società stanno lavorando ci sono piani per vendere il digestato, il prodotto di scarto della DA che può essere utilizzato come fertilizzante, agli agricoltori dell’area di Cannock. Viste le elevate disponibilità di materia prima, la diffusione della digestione anaerobica, come trattamento idoneo allo smaltimento dei sottoprodotti industriali di origine animale e vegetale, dei cibi scaduti e dei rifiuti organici, potrebbe perciò contribuire alla produzione di energia elettrica, termica e frigorifera consumabile proprio dagli stessi esercizi commerciali o dalle aziende di produzione che saranno in grado di utilizzarla.
BIBLIOGRAFIA
1. “Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni” Il Green
Deal europeo - COM/2019/640 final. 2. Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva n. 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio - COM/2021/557 final. 3. Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima - PNIEC (2020). A cura del Ministero per lo Sviluppo Economico, Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e del
Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti. 4. Decreto Legislativo 4 luglio 2014, n. 102. Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga
le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE. (GU Serie Generale n.165 del 18-072014). 5. Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. GU L 140 del 5.6.2009, pagg. 16-62. 6. Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. GU L 328 del 21.12.2018, pagg. 82-209. 7. Amirante R, Demastro G., Distaso E.,
Hassaan M.A., Mormando A., Pantaleo A.M., Tamburrano P., Tedone L.,
Clodoveo M.L. (2018). Effects of Ultrasound and Green Synthesis ZnO
Nanoparticles on Biogas Production from Olive Pomace. In: 73rd Conference of the Italian Thermal Machines
Engineering Association (ATI 2018), 12-14 September 2018, Pisa, Italy 8. Rossi L., Bezzi G., Fichera D., (a cura di). (2018). Linee Guida per l’uso del digestato agricolo in Agricoltura Biologica. Pubblicazione congiunta di
FederBio e CIB – Consorzio Italiano
Biogas. 9. Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 46 Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento). (GU
Serie Generale n.72 del 27-03-2014 - Suppl. Ordinario n. 27). 10. Regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21 ottobre 2009, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale). GU L 300 del 14.11.2009, pagg. 1-33 11.https://cordis.europa.eu/project/ id/736272/it (2017-2021). Advanced direct biogas fuel processor for robust and cost-effective decentralised hydrogen production (https:// www.bioroburplus.org/pages/home. aspx).