Produzione & Igiene Alimenti n. 3/2022

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INGRANDIMENTI

Una “piccola” alternativa Mentre gli scaffali dei supermercati si svuotano, a causa della nostra ormai nota maggior inclinazione all’isteria che alla resilienza (ma è pur vero che dopo due anni di pandemia, la resilienza suona un tantino ossimorica rispetto a un conflitto armato dietro l’angolo), le aziende alimentari devono iniziare a fare i conti con la scarsità di alcune materie prime. Dopo esserci a lungo scervellati per trovare alternative al tanto demonizzato olio di palma, adesso ci troviamo nella necessità di sostituire un altro olio vegetale, l’olio di girasole, per il cui approvvigionamento le nostre industrie dipendono fortemente dai paesi in guerra. Non sarà certamente una soluzione nell’immediato, ma forse sarebbe il caso di iniziare a considerare alternative che a medio e lungo termine possano affrancarci dalle questioni di sostenibilità ambientale economica e di autonomia produttiva. Una di queste alternative è rappresentata dai cosiddetti oli unicellulari o oli microbici. Si tratta di oli alimentari prodotti da microalghe, lieviti, funghi o muffe, in grado di accumulare lipidi a livello intracellulare. Tali microrganismi possono produrre oli analoghi a quelli generati da oli vegetali terrestri, composti prevalentemente da acido palmitico, stearico, oleico e linoleico. Tuttavia, i profili lipidici degli oli prodotti da microrganismi possono facilmente essere guidati, regolando le condizioni di coltura in modo da ottenere una composizione in acidi grassi perfettamente identica a quella desiderata, senza la necessità di riformulare, idrogenare o utilizzare costose miscele di oli esotici o ingegneria genetica. Se la produzione di oli da alghe fototrofe (tra i primi microrganismi oleosi studiati, in particolare grazie alla capacità di produrre una quantità di olio 30 volte superiore, per unità di superficie, rispetto alle piante oleaginose) è stata congedata in quanto tecnicamente irrealizzabile, a causa delle basse rese, degli elevati costi di essiccazione e dei rischi di contaminazione microbica dovuti alla coltivazione in vasche aperte, un’alternativa ritenuta ancora valida è quella di altre microalghe, questa volta eterotrofe (che usano la sostanza organica anziché luminosa per ricavare energia), già utilizzate per la produzione di acido docosaesaenoico (DHA), della serie degli omega-3, impiegato in particolare per gli alimenti in formula per lattanti, che non può essere sintetizzato da piante terrestri. Altre specie oleaginose eterotrofe includono alcuni lieviti, la cui produzione di oli unicellulari per uso alimentare, a partire da un’ampia varietà di materie prime e sottoprodotti, è ben documentata. In tal caso lo sviluppo cellulare è molto maggiore che per le alghe fototrofe, ma per produrre oli il lievito, diversamente da quanto accade nella produzione di vino e birra, necessità di areazione, perciò di grandi superfici per lo sviluppo di bioreattori, e quindi di un costo di investimento iniziale non trascurabile. Oltre a questo, i costi variabili a valle, necessari per estrarre e omogeneizzare i lipidi dalla cellula e l’incertezza delle prestazioni del sistema su larga scala, hanno per ora limitato la possibilità di rendere tali oli alternativi economicamente competitivi. Ma è difficile parlare di economia di scala se la scala traballa. Allora, nella speranza di tornare presto a pensare a girasoli e palme, valutiamo intanto una “piccola” alternativa.

Microrganismi che producono oli analoghi a quelli generati da oli vegetali terrestri

BENEDETTA BOTTARI Professore Associato Microbiologia degli Alimenti Università degli Studi di Parma

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Produzione & Igiene

Giugno 2022


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