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“Wax on Wax o ”

“Wax ON Wax OFF”

UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA

di arch. Massimo Corsico

Pitture rupestri, Grotte di Altamira (Spagna)

Di recente mi sono imbattuto in un saggio di James Wines (artista e architetto americano). Pubblicato su Blueprint Magazine con il titolo “From Hand to Mouse and Back Again” , il saggio dell’architetto statunitense propone l’argomento del disegno a mano come mezzo di rappresentazione architettonica nell’era digitale.

Mentre leggevo il sopracitato saggio la mia mente correva indietro nel tempo. Erano gli anni Novanta quando, preparando l’esame del corso tenuto dal Professore Gianni

Ottolini di Architettura degli Interni, incontrai e conobbi

Roberto Poggi. Gli chiesi subito appuntamento e corsi a

Pavia in Via Campagna presso lo stabilimento che aveva fondato con il fratello Ezio (morto prematuramente).

Mi diede preziosi consigli sul progetto d’esame e mentre si chiacchierava schizzava con una mina H2 da 0.5 con una precisione che mai fino ad allora ebbi modo di ammirare.

Tirata una linea ne controllava in seguito la lunghezza con un decimetro di precisione in acciaio. Ogni linea era corretta al decimo, con un timido sorriso mi guardava con gli occhi luccicanti quasi a non voler mostrare vanto della sua incredibile capacità di misurare lo spazio sulla carta. Simili capacità le ritrovai nelle mani nodose di Vittorio Gregotti che nel 2014 con il suo libro “Il disegno come strumento del pro-

getto” esprime con forza che “la linea che separa progetto e disegno è sottile, i due termini si rincorrono scambiandosi e sovrapponendosi. Il senso dell’uno si rispecchia nella forma dell’altro e il processo che entrambi compongono lega il segno all’idea e la forma al valore profondo dell’abitabilità. Disegno è sintesi estrema dell’idea di architettura”. Negli anni Novanta del secolo scorso ogni architetto progressista nel mondo era ossessionato dall’elevare la declinazione computerizzata a nuove vette di supremazia illustrativa. La competenza nel rendering al computer veniva applaudita come una sorta di impresa trascendentale alla ricerca della fedeltà fotografica del disegno digitale. James Wines racconta che tutto ciò che veniva sfornato in quei giorni sembrava troppo bello per essere

vero‥ e lo era. Che fare del desiderio di affinare le proprie capacità manuali e imparare disegnare alla vecchia maniera? Se ci si concentra esclusivamente sulla sola illustrazione generata dal computer, qualcosa di concettualmente profondo viene perso nel processo di progettazione. Un aforisma di Pablo Picasso recita a proposito della rivoluzione digitale (1960): “I computer sono inutili. Possono solo darti risposte”. Ovvero non possono formulare domande. Perché i meccanismi di risposta elettronica sostituiscono la filtrazione dello sviluppo dell’idea che invece avviene attraverso mezzi tattili guidati della punta delle dita. Il fertile territorio dell’“incidente subliminale” viene perso. James Wines parla della calligrafia marginale che gocciola fuori dal bordo della carta, alla congestione involontaria di linee ondulate senza alcun significato apparente, alle sgradite macchie di inchiostro che cadono dalla punta di una penna o all’inclusione di riferimenti visivi apparentemente irrilevanti che non hanno nulla a che fare con le intenzioni iniziali. La scia caotica di ambiguità lasciate da sbavature casuali di carboncino e acquerelli è spesso trampolino di lancio per nuove idee. Ma oggi gli occhi si sono abituati a distinguere l’asciutto dalla sostanza; James Wines ha gradualmente acquisito l’attitudine molto raffinata a rilevare la mediocrità (o una vera schifezza) in agguato sotto la lucentezza pittorica, al punto che ora può individuare l’abbagliamento. L’architetto americano ci invita a ripercorrere la storia dell’invenzione grafica e il suo rapporto con la fusione di segni, simboli e scelte estetiche. Dal ritrovamento delle pitture rupestri di Altamira e Lascaux (rispettivamente nel 1879 e nel 1940) si è confermato il fatto che le culture paleolitiche già trentamila anni fa avevano padroneggiato l’arte del disegno e posto le basi per tutta la successiva selezione grafica nella formazione di linguaggio scritto. Picasso pianse quando vide per la prima volta le pitture rupestri spagnole, esclamando che “Dopo Altamira, tutto è decadenza”. Capì che gli artisti profetici del Neolitico avevano anticipato non solo lo sviluppo dei geroglifici egizi e della calligrafia cinese migliaia di anni dopo, ma anche le basi significanti/significate della linguistica e il ruolo della mente e della mano nell’evoluzione delle idee visive. Il bisonte, il cervo e il cinghiale sono rappresentati con una

Disegni di Vittorio Gregotti

Disegni di Michele Reginaldi tratti da Quaderni senza parole

straordinaria sensibilità nelle tecniche di rappresentazione – soprattutto in termini di scelte lineari e tonali – che sono parallele a quelle stesse abilità che si ritrovano nei disegni di Da Vinci, Rembrandt, Van Gogh, Matisse e Giacometti e in architettura, Alberti, Piranesi e Frank Lloyd Wright. Questi includono la conoscenza delle origini della lingua scritta, l’evoluzione della calligrafia, la natura del significato e la dimensione astratta che unisce elementi visivi positivi e negativi sul piano dell’immagine. Wines parla principalmente di attingere dallo schizzo il ruolo sussidiario di registratore del processo di pensiero all’interno dell’obiettivo più ampio della progettazione edilizia. Come lo

studio dell’artista per un dipinto o una scultura, la natura calligrafica dello schizzo concettuale è sempre un fattore

decisivo nella sua qualificazione finale come arte. Pensando a tutto questo riprendo e ritrovo nella mia libreria i “Quaderni senza parole” di Michele Reginaldi. Ritrovo nei suoi disegni tutte queste considerazioni. Quella ricerca della qualità calligrafica di cui sopra. Nel dialogo tra Michele Reginaldi e Bruno Pedretti, d’introduzione alla pubblicazione, emerge che per l’architetto Michele Reginaldi “i quaderni bianchi annotano, sviluppano e ogni volta ripartono appunto da intuizioni sulle forme svincolate da necessità di lettura contestuale”. Infatti, il lavoro presentato in “Quaderni senza parole” traccia il senso del disegno come strumento di ricerca attraverso le sostanze di cui si compone il progetto. “Il punto di vista ricorrente nelle pagine è tridimensionale e applica le convenzioni del disegno architettonico che si sono imposte da almeno sette secoli nella disciplina dell’architettura: pianta, sezione, prospetto e assonometria”. L’architetto Reginaldi nei quaderni bianchi vuole “riportare la disciplina architettonica a una lingua compositiva. I quaderni bianchi cercano di sospendere le variabili ambientali, le domande contestuali e le soluzioni operative, che invece si riprendono tutti i loro diritti quando la spazialità astratta sottesa al mondo fisico chiede di essere progettata per diventare luogo di nuove architetture. I quaderni bianchi intrattengono dunque un rapporto stretto con l’architettura, ma assumendola nel momento di maggiore radicalità concettuale e convenzionale di arte dello spazio”. Quindi Pedretti commenta che per Michele Reginaldi “il segno è un primo tracciato non ancora finalizzato ad alcuna realizzazione, un po’ come nell’Arte della fuga di Bach, che il grande musicista scrisse senza specificare a quali strumenti fosse destinata per l’esecuzione”. Personalmente ritengo che graffiare la carta con una penna o una matita siano un modo per ripristinare l’autenticità della rappresentazione. Mantenere la connessione tra mente e mano sembra valido ora, come lo era per i maestri dell’arte rupestre che hanno immortalato la caccia a Lascaux e Altamira. Oggi è imperativo saper avvalersi in modo appropriato delle competenze manuali e digitali. “Togli la cera metti la cera”.

BIBLIOGRAFIA

“Quaderni Senza Parole - Il Disegno di Michele Reginaldi”, Bruno Pedretti, Poligrafiche Bolis, 2004, EAN 2562224144963 “Il disegno come strumento del progetto”, Vittorio Gregotti, Marinotti, 2014, EAN 9788882731519 https://architizer.com/blog/practice/details/james-wines-drawing-by-hand/ http://www.michelereginaldi.it/

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