STORIELLE

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Alzano Lombardo Data di Stampa 01.12.2021

Caro Papà, Ci stiamo avvicinando a celebrare il secondo Natale senza di tè, ma il tuo ricordo è sempre presente e vivo in tutti noi. Grazie alla volontà granitica della mamma, o la “Fida” come ti piaceva chiamarla, ho raccolto alcune delle storie della tua infanzia e giovinezza in questo libretto. Mi scuso in anticipo per eventuali errori grammaticali e refusi, ho cercato di fare del mio meglio ma sai che non sono mai stato un fine letterato… Per comporlo ho utilizzato i tuoi dieci anni di post nella pagina Facebook, scremando i numerosissimi post di politica e di attualità per concentrarmi sulla storia della famiglia Sonzogni e delle sue origini, che ti hanno sempre affascinato e delle quali andavi a buon diritto fiero. “PERCHÈ STORIELLE?” Ho riflettuto molto sul titolo, ne ho scartati parecchi, molti più fieri e pretenziosi come “Memorie” o “Ricordi” ed ho poi deciso per Storielle . Perché la vita in fondo è una storiella, che ognuno di noi racconta al mondo durante la sua fugace permanenza sulla terra; Speriamo allora sia una storia divertente, che tanto poi dolori ed i grattacapi arrivano da soli senza cercarli.


L’ultimo compleanno festeggiato con Saul

Narriamola con allegria ed un poco di spensieratezza, anche se a volte sembra difficile, come in questi ultimi anni, dove tante sono le famiglie che, come la nostra, hanno perso molti dei loro cari. E mi sembra papà, che tu questo metodo lo abbia sempre applicato, sia stata esistenza felice o vita tribolata, l’hai sempre vissuta appieno, con indosso quel bel sorriso allegro che tanto ti ha fatto voler bene dalla gente. Restiamo sua terra per un effimero momento, ma il ricordo che lasciamo in coloro i quali ci hanno amato è forte e ci sopravvive.

Io e Amos e la tua Amata Mariarosa ti abbracciamo forte e ti mandiamo un bacio. Ruben

INTRODUZIONE

Spero che dove sei andato ci sia gente come tè, appassionata di Moto Guzzi, di politica e di Alpini con la quale stare in buona compagnia.


STORIELLE _ INFANZIA pag 01

STORIELLE _LA GIOVINEZZA pag 17

STORIELLE _ESTER pag 44

STORIELLE _GIOTTO pag 55

STORIELLE _ “SONO ANDATI AVANTI” pag 72


SOMMARIO


STORIELLE _ INFANZIA 01

L’ASILO Sono nato a Ranica, sopra la collina, dal centro del paese distavamo circa un chilometro e mezzo. Data la lontananza ero convinto di poter schivare l’asilo, ma non avevo fatto i conti con mia madre Ester (nome di battesimo della mamma era Alessandra Cortinovis). Arrivato ai tre anni venni iscritto d’imperio all’asilo, nonostante tutti i miei pianti, mia madre non desistette dal suo proposito, e il primo giorno mi caricò seduto cavalcioni sul manubrio della bicicletta e via verso il paese. Il tragitto fu un pianto unico, ma la Ester non si intenerì affatto, arrivato davanti all’edificio mi fece entrare consegnandomi alla suora, raccontandole della mia avversione all’idea di frequentare l’asilo. Iniziò così il mio primo giorno, ci portarono in classe cercando di farci conoscere tra di noi, poi andammo nell’aula lavoro dove ricordo ancora facemmo dei giochetti con dei pezzi d legno colorati. Alle undici e trenta andammo nel refettorio per il pasto, ogni bimbo aveva un cestino in cui la famiglia metteva il pranzo e come primo piatto le suore servivano a tutti una fondina di minestra. Ora, Io dal giorno della mia nascita ho sempre odiato la minestra di brodo, sono ghiotto di minestra di latte, ma la minestra di brodo non la posso vedere. Inutile dire che non la provai nemmeno, nonostante l’impegno della suora nell’incitarmi perché la mangiassi. Mangiai quel poco che avevo nel cestino, dopodiché iniziò il calvario del dormire. Sono nato senza sonno, per me l’andare a dormire è sempre stato un incubo, esattamente come mia madre dormo 4-5 ore per notte e questo mi basta. Arrivati in classe ci sedemmo nei piccoli banchi, la suora ci racconto una fiaba dopodiché ci fece appoggiare il capo sul banco per dormire, niente cuscini ma solo le braccia sotto la testa, la stragrande maggioranza dei miei compagni dopo pochi minuti s’ addormentò, io non chiusi occhio, la suora capi il mio problema e cercò d’aiutarmi nel prendere sonno.


STORIELLE _ INFANZIA

Saul e Giulio nel cortile della casa a Ranica

Zero dormire comunque, poi finalmente arrivarono le quattro del pomeriggio, suonò la campanella e tutti ci dirigemmo saltellanti verso l’uscita. Tutte le mattine la Ester (con vera indole da Carabiniera) mi metteva sulla sua bicicletta e mi portava all’asilo, ogni scusa era buona allora per prendere tempo…andare in chiesa, dalla mia zia fornaia, ma inesorabilmente poi mia madre mi consegnava alla suora e via. Durante le due ore di sonno ero diventato un vero problema, non sapevano più cosa farmi fare, la suora mi faceva uscire in cortile a raccogliere le foglie, oppure a cercare sassolini tutti uguali. Faccio presente che nell’aula dell’asilo dove stavamo esisteva una vetrina colma di giochi regalati alle suore dalle mamme, durante tre anni non ho mai avuto la gioia di poter toccare uno di questi giochi e mai ci vidi nessuno giocare. 02


STORIELLE _ INFANZIA

LA COVA Avrò avuto cinque anni, e la nostra bella casa aveva anche un pezzetto di terra dove mia madre, come tutte le donne del tempo, allevava alcune galline. Un giorno eravamo soli in casa, mentre scarabocchiavo su di un foglio mia madre mi dice: “Saul, vado qui sotto dallo zio Zeffiro, continua a scrivere e non disturbare la gallina che sta’ covando, mi raccomando”. In tre secondi netti ed ero davanti alla gallina, mi avvicino, comincio ad importunarla con un bacchetto, ovviamente lei scende dal nido e si lancia scappando per tutta la stanza. Disperato cerco di riprenderla per rimetterla a covare, niente da fare. Dopo molti inseguimenti desisto, pensando alle uova che si raffreddano senza l’animale sopra, temo per la morte dei pulcini e vengo preso da un’idea folle, salgo io nel nido a covare le uova fino all’arrivo di mia madre la quale porrà rimedio al mio casino e rimetterà la gallina sul nido. Detto e fatto, mi siedo sopra le uova aspettando mia madre, la quale, non tarda ad arrivare. Non trovandomi in cucina mi chiama, io le rispondo dicendole che sono nel pollaio. Pessimo presentimento della Ester confermato dalla vista di me, accosciato sul nido che covavo. Non disse nulla e mi fece scendere dal nido, avevo le uova con i pulcini attaccati ai pantaloni, mi spogliò per pulirmi distribuendomi poi molti sonori ceffoni. Era detta la Carabiniera non per nulla. Molte volte quando scendevo in paese le donne amiche di mia madre mi chiedevano: “Saul, covi ancora le uova?” Ricordi di una infanzia felice passata in collina con due carissimi amici ora scomparsi, il Walter e l’Andreino Pacati.

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Nel 1955 ero in IV° elementare, a dicembre la mia famiglia si trasferì nel vicino paese di Alzano Lombardo, io restai comunque nella scuola di Ranica con il maestro Santini fino alla fine dell’anno scolastico. Tutte le mattine partivo dal centro del paese di Alzano per recarmi nel limitrofo paese di Ranica, naturalmente percorrendo a piedi i circa due Km di strada. Finito l’anno scolastico mia madre mi disse: “Saul ti conviene restare a Ranica con il tuo maestro, ti daremo una bicicletta così sarà molto più comodo arrivarci”.

STORIELLE _ INFANZIA

LA MAINO

Idea accettata immediatamente, all’inizio dell’anno mi viene consegnata una bicicletta da uomo marca Maino usata precedentemente da mio fratello Emilio. Era un biciclettone alto e pesante, con i freni a bacchetta, ma per me era una vera meraviglia. Il primo giorno di scuola arrivo con il mio cavallo d’acciaio, capannello di scolari tutti a guardare e toccare la bestiaccia increduli di tanta fortuna capitatami. Il garage della Maino era la casa di mia zia Guglielma in via Adelasio, così quando finita la scuola la ritiravo tra i ragazzi era tutto un: “Saul me la fai provare” “Dai ci vado a pedalino” “Saul vado sotto canna”. Rari quelli che sapevano montarci regolarmente. Provengo da una famiglia di commercianti…ed ecco quindi la pensata: Faccio pagare cinque lire per il noleggio della bici per un totale di 5 giri nella piazza davanti alle scuole. Grande successo, dopo la scuola iniziavano i giri della piazza con la bicicletta, spesso scattavano contestazioni sul numero dei giri fatti, però al massimo facevano ancora un giro. L’ azienda Saul se lo poteva permettere. Ripensandoci ora forse un poco mi vergogno all’idea, ma come dicono gli Inglesi ‘Business is Business’

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Un giovane scolaro Saul alle prese con i compiti


Nel 1951 sono in età scolare e, come da manuale, il primo ottobre in autonomia sono fuori dalla scuola per iniziare l’anno scolastico. La capogruppo Maestra Giannina Allegrini con il suo elenco in mano comincia a chiamarci per formare le nuove classi. Entrati nell’aula vediamo un’imponente lavagna, una stufa in terracotta, la cattedra posta sopra un rialzo, ed i banchi molto grandi, rigorosamente di legno con buco per porre il calamaio; Essendo noi primini, il buco resta vuoto e per quest’anno useremo solo la matita. Ci fanno mettere le cartelle sul banco, noto che solo il Pier Orlando detto ‘Al d’Imagnì (Val d’Imagnino) ha la cartella di cartone, tutti gli altri me compreso in stoffa, rigorosamente fatta in casa.

STORIELLE _ INFANZIA

LA CARTELLA

Le cartelle avevano una bretella per poterle mettere a tracolla lasciando le mani libere per giocare. Ora siamo ridotti alle rotelle per trainare tutto il sapere attuale ma nel 1951 erano di una leggerezza incredibile. Per la prima classe contenevano: 1 sillabario, 1 quaderno, alcuni avevano un astuccio di legno con gomma, 1 matita. Questo era tutto quanto ci serviva per iniziare la scuola. Molti bambini essendo figli di famiglie povere, non erano nemmeno andati all’asilo, ragion per cui alcuni vedevano ed usavano la matita per la prima volta. A Natale i compiti per le vacanze erano pagine di lettere dell’alfabeto da fare minuscole e maiuscole, per la fine dell’anno tutti leggevano perfettamente. E allora arrivederci al prossimo anno scolastico, il secondo, dove ci avrebbero aspettati il calamaio con pennino e la carta assorbente. 06


Classe 5° elementare (Saul fila alta terzo da sx)



STORIELLE _ INFANZIA

QUELLA VOLTA CHE CI PERDEMMO ALLA MARESANA Un giorno da bambino andai al colle di Ranica, con me c’era l’Andreino Pacati e sua sorella Bepina, io avrò avuto sette anni, l’ Andreino nove e sua sorella Bepina una quindicina circa. Partimmo verso le 11 per portare da mangiare al padre ed allo zio che stavano tagliando il bosco sul Monte Zuccone. Consegnammo i viveri, mangiammo con loro poi ci incamminammo verso casa, però arrivati all’ altezza della cascina dello zio Zeffiro decidemmo di andare alla Maresana visto che c’erano le giostre dei calci in culo detti “scagnì”. Dopo aver ammirato le giostre ma senza ovviamente salirvi per cronica mancanza di denari decidemmo di tornarcene a casa, invece di venire verso Ranica, scendemmo lungo il sentiero che porta alla valle attigua verso un altro paese chiamato Ponteranica. Quando ci accorgemmo dell’errore tornammo sui nostri passi, cominciava ad imbrunire, camminammo svelti fino alia Croce dei Morti, dove giungemmo con il buio. Entrammo nella trattoria chiedendo al padrone se qualche avventore fosse di Ranica e se potesse accompagnarci a casa perché c’eravamo persi. Un paio d’uomini erano di Ranica, ma erano talmente infervorati nel giocare a morra che ci dissero d’aspettare la fine del gioco poi ci avrebbero portati giù fino a Ranica. Il tempo passava, ma il gioco non finiva mai, poi finalmente terminò e ci incamminammo con questi due uomini mezzi ubriachi verso casa. Nel frattempo era arrivata tarda sera, ed i nostri genitori con tutti gli abitanti della contrada ci stavano cercando chiamandoci, finalmente arrivati al colle sentimmo le voci dei nostri soccorritori.

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STORIELLE _ INFANZIA

Ester e Saul nei campi della Bergamina vicino a casa

Il primo che vedemmo fu mio cugino Ermanno, giuro che mai lo vidi tanto volentieri, poi via via arrivarono tutti gli altri. Scendemmo dal colle verso casa impauriti pensando alle sgridate dei nostri genitori, però non ci dissero nulla, l’unico che disse qualche cosa fu mio padre, il quale, conoscendo gli uomini che giocavano alla morra e sapendo che ci tennero in attesa per ore li sgrido violentemente. Sono passati tanti anni ma quella giornata la ricordo benissimo. 10


STORIELLE _ INFANZIA

MANCA L’ACQUA Fino a 10 anni ho abitato sulle colline che sovrastano il paese di Ranica, il luogo è stupendo, ma in quegli anni esisteva un problema in quella grande cascina; Era l’acqua, che mancava per molti mesi all’anno. Quando mia nonna Virginia comprò una porzione di questa casa scopri che non c’era acqua corrente e che serviva ogni volta recarsi nella valle sottostante. Essendo la nonna Virginia dotata d’una volontà di ferro, in pochi anni dotò la cascina d’una cisterna da diecimila litri completa di impianto idraulico in ogni appartamento. Passati gli anni mia madre si sposò andando a vivere in paese. Più avanti negli anni una volta cessate le varie attività commerciali la mammà comprò una casa ad Alzano Lombardo, essendo la casa ancora occupata dagli inquilini ci vollero anni per stabilirci e nel frattempo, tornammo nella casa paterna. Con grande stupore della Ester ora mancava sempre l’acqua, infatti la cisterna s’era crepata e perdeva, cosicché eravamo perennemente a secco. Le varie Famiglie della cascina non si presero mai la briga di ripararla, la soluzione diventava quindi utilizzare i molti figli come porta acqua. Ricordo che al ritorno da scuola il ritornello era sempre lo stesso: “Saul manca l’acqua vai a prenderla”. Prendevo due secchi di metallo col Cadùr, una barra di legno che metti in spalla e scendevo nella valle a prendere l’acqua. Se era acqua per uso vario andavamo nelle Lesca, se al contrario serviva acqua potabile bisognava andare al Fontanì un poco più lontano. In quella casa restammo quattro anni e io, per tutto il tempo mi sono sgobbato l’acqua in casa. Ancora ricordo la grandezza dei due secchi e mi stupisco per la forza necessaria nel portarli su quei sentieri scoscesi. Logicamente i vecchi di portare acqua manco ci pensavano, era compito di noi ragazzi. Nel 1955 venimmo finalmente ad abitare nella casa di Alzano, quando entrai nella cucina vidi il lavandino con il rubinetto, la prima cosa che feci fu di aprirlo ammirando estasiato il getto d’acqua.

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Da ragazzo abitavo in collina nel paese di Ranica, la mattina partivo con il mio vicino di casa Andreino per recarci a scuola. Scendendo verso valle la fila di ragazzi s’ingrossava, e dopo una ventina di minuti eravamo tutti giù in paese. Prima d’entrare a scuola si passava in chiesa per la obbligatoria e quantomai odiata messa dello scolaro, io e altri ragazzi tentavamo di scantonare, ma aimè Don Giuseppe Martello faceva il giro del paese ben conoscendo dove ci nascondevamo, regolarmente ci beccava mandandoci alla messa, spesso con un bel ceffone omaggio. lo sono nato nel 1946 quando la guerra era finita da un anno, di fatto nei primi anni 50 la situazione economica non era molto rosea e comunque nonostante questo la gente era felice per la fine delle ostilità. Soldi pochi, giocattoli zero, ergo aguzzavamo l’ingegno per divertirci. Giocavamo a nascondino, oppure a tòc, un altro gioco molto diffuso era il salto della corda, due facevano roteare una corda gli altri partecipanti entravano e saltavano attenti a non inciampare. Questi erano i giochi misti, poi esistevano giochi per maschi tipo il gioco delle biglie, il gioco dell’elastico, oppure il tira sassi (il mio preferito). Le biglie non erano di cristallo come sono ora, ma erano di terracotta colorate, giocando si scolorivano divenendo tutte di color ocra. Per costruire il tira sassi si prendeva un legno a forcella, poi con un pezzo di camera d’aria si costruivano le bretelle e alla fine si metteva un pezzetto di cuoio dove alloggiava il sasso. Ho passato intere giornate tirando sassi, a volte ho fatto pure qualche danno, vedi una gallina centrata in testa di mia zia Maria morta stecchita. Nel 1955 ci trasferimmo al Alzano Lombardo, la nostra casa era situata all’interno di un grande cortile dove a volte erano presenti almeno 20 ragazzi e ragazze. Ora questo modo di vivere è stato soppiantato dalla tecnologia, i ragazzi non giocano più, passano intere giornate con il cellulare in mano.

STORIELLE _ INFANZIA

LA SCUOLA E I GIOCHI

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STORIELLE _ INFANZIA

Ester, Giotto ed il primo figlio Saul in una rara fotografia assieme

SANTA LUCIA Ricordo le attese spasmodiche la sera del 12 dicembre in attesa dell’arrivo di Santa Lucia, fuori dalla finestra mettevamo un tozzo di pane affinché la Santa potesse dar da mangiare al suo asinello. La mattina ci alzavamo prestissimo per vedere i regali, non erano certamente paragonabili agli attuali, qualche caramella alcune arance o mandarini e se tutto andava bene un piccolo giocattolino quasi sempre di legno, per le femmine delle bamboline di pezza. La mattina del 13 portavamo a scuola i doni arrivati per mostrarli agli amici, molti di loro purtroppo venendo da famiglie povere non avevano ricevuto nulla. Nel nostro cortile abitava una famiglia con molti figli il più piccolo aveva la mia età, di regali per Santa Lucia nemmeno l’ombra. Mia mamma Ester però metteva vicino al mio regalo un regalino pure per questo bambino dicendogli che la Santa Lucia metteva il dono in casa nostra perché dovendo passare in molte case aveva fretta. 13


Tranne il primo anno alle elementari non ho mai avuto un compagno di banco, per anni non riuscivo a spiegarmi il perché, poi la nebbia s’è diradata ed ho capito il motivo di questa situazione. Il grande maestro Orazio Santini durante i primi giorni di scuola m’aveva messo nel banco con un mio coetaneo, ma vedendo il mio compagno perennemente distratto capi che la causa di questa distrazione ero io.

STORIELLE _ INFANZIA

MAI AVUTO COMPAGNI DI BANCO IO

Non facevo alcun casino, ma con le mie piccole manie riuscivo a distrarre i miei compagni, il maestro capi al volo il problema chiamò il bidello si fece portare un grande banco di legno, lo fece piazzare in ultima fila e mi fece accomodare sol soletto. L’uomo pensava d’aver risolto il problema, ma il giovane Saul riusciva ancora a distrarre i propri compagni, fù così che il Maestro fece staccare di un metro il banco cosicché rimasi in un banco sol soletto lontano pure dall’ultimo banco. Passate le elementari mi iscrissi alle scuole di avviamento professionale di Alzano Lombardo, dopo pochi giorni la storia si ripete, ultimo banco staccato un metro dagli altri. Ora avanti con gli anni una risposta a questo me la sono data, non ero un genio ma ero abbastanza sveglio, capivo velocemente le lezioni, dopodiché il sentire ripetere continuamente le medesime nozioni m’innervosiva, quindi cominciavo a disturbare il compagno di banco, bastavano due figurine una biglia e la festa cominciava. 14


STORIELLE _ INFANZIA

OL MAZANT lo sono nato nel 1946 e per tutta la prima parte della mia giovinezza ho sempre abitato in collina dove la vita scorre seguendo il ritmo delle stagioni. Gli uomini accudivano piccoli appezzamenti di terreno dove coltivavano tutto il possibile dalla vigna al frumento al granoturco. Tutti questi contadini avevano un paio di mucche ed un maiale, le mucche se tutto andava liscio ti davano un vitello all’anno, si badi comunque che il latte prodotto da queste mucche non veniva assolutamente consumato nella famiglia contadina, ma veniva invece venduto. Il maiale al contrario veniva ammazzato nel cortile delle fattorie e per noi ragazzi era uno spettacolo a cui non potevamo mancare. Ricordo i grugniti tremendi quando ‘Ol mazant’ (Il macellaio) appendeva al balcone delle case il maiale a testa in giù per ammazzarlo. Appena scannato le massaie correvano con una bacinella per raccogliere il sangue della bestia, con il quale facevano una prelibata torta, che personalmente non ho mai assaggiato, essendo definito dalla Ester una ‘mummia’ per indicare la mia poca propensione a cibi particolari. Le famiglie contadine non mangiando il latte consumavano tantissima minestra con molta verdura e una pasta fatta in casa che chiamavano Fidelì. Ricordo la zia Cleofe, quando nel pomeriggio impastava l’acqua con un poco di farina la stendeva sull’asse apposito la lavorava poi l’arrotolava dopodiché faceva delle fettine sottilissime dalla quale ne ricavava appunto questi filetti. Per la pastasciutta del venerdì medesimo procedimento solo con i fidelì grossi. Arrivato il 1955 dalla collina la mia famiglia si trasferì ad Alzano Lombardo nella casa dove ancora oggi abito con la mia famiglia.

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Nel 1955 arrivati al Alzano da Ranica la mia vita cambiò completamente, abituato in collina con un paio d’amici il cortile dove venimmo ad abitare aveva ai miei occhi le dimensioni di un piccolo paese. Un giorno mia madre si prese la briga di contare quante persone abitassero in questo cortile, conteggio totale finito a centodieci persone tra cui circa una quarantina di ragazzi delle età più disparate. Unico problema di questa numerosa gioventù era quale gioco scegliere, le ragazze giocavano con il salto della corda oppure giochi più ragionati, noi maschi che eravamo dei diavoli scatenati, passavamo dal pallone, alla fionda, alle figurine, tutto pur di fare un bel casino. Durante le partite di pallone formavamo due squadre composte da almeno dieci ragazzi ciascuna, molti ragazzi del vicinato sapendo della partita arrivavano nel nostro grande cortile per partecipare a queste contese tremende che solitamente finivano in urla e beghe di ogni genere. Epiche le gare a nascondino, nel vecchio cortile esistevano molti sgabuzzini dove infilarsi, inoltre in questi sgabuzzini spesso i ragazzi e le ragazze più grandi per stare vicini e per darsi qualche innocente bacetto.

STORIELLE _ INFANZIA

SI VA’ AD ALZANO

Durante le partite di pallone l’unico problema esistente nel cortile era un signore chiamato Pasturo. Egli abitava al piano terreno e quando il pallone entrava in casa sua veniva sequestrato, era matto come una capra e non c’era verso di farlo ragionare. Una notte preso da questa pazzia massacrò la povera moglie dopodiché si presento dai carabinieri per denunciare l’accaduto. Differentemente da quanto oggi si possa pensare il pazzo Pasturo non fu arrestato ma venne chiuso in manicomio. Potete immaginare lo stupore di noi ragazzi per questo gravissimo fatto, l’unico vantaggio nostro stava nel fatto che con la porta chiusa della casa del Pasturo il pallone era sempre giocabile senza nessun problema. 16


STORIELLE _ GIOVINEZZA

IL GALLO DI GESSO Mio fratello Giulio ha cinque anni meno di me, ci vogliamo un bene dell’anima pur avendo caratteri completamente diversi, tra di noi funziona così sin dai tempi della nostra gioventù. Verso i quindici anni un giorno vedo sul comò della nostra camera un gallo in gesso tutto colorato avente la funzione di salvadanaio. Era stato un regalo fatto da mia madre a mio fratello Giulio per riporre i denari delle mance, io invece, essendo perennemente a bolletta non necessitavo certo di salvadanaio. Avendo io quindici anni, molte spese ed una bolletta perenne, una sera completamente privo di denaro ebbi un’idea; Presi il galletto salvadanaio di mio fratello ed utilizzando un coltello piatto da cucina riuscii ad estrarre alcune monete dalla feritoia dove venivano introdotte. La cosa andò avanti per un poco, fin quando io stesso mi accorsi che il salvadanaio anziché aumentare di peso per i soldi messi da mio fratello calava. Idea geniale del Saul: Levo i denari dal galletto ed al loro posto metto delle rondelle prese dall’officina meccanica di mio fratello Emilio. Dopo alcuni mesi di questa manfrina il salvadanaio era praticamente colmo, Giulio quindi decise di romperlo per vedere quanto denaro vi fosse accumulato. Porta il gallo in cucina, mio padre prende un martello e lo rompe, sul tavolo caddero alcune monete, ma soprattutto caddero le rondelle che avevo messo al posto dei soldi. Giulio cominciò a piangere mio padre menando il capo disse: “ Razza di dannato ma da dove sei venuto? Per questo atto verrai punito severamente e non avrai mance per tutto il prossimo mese! “. Ma la cosa non si verificò, infatti il sabato sera mio padre vedendomi seduto in cucina mogio mogio m’allungava un cinquecento lire, con il quale iniziava la baraonda. Ogni tanto quando siamo in compagnia di amici mio fratello racconta questo episodio, e tutti compreso Giulio ridono a crepapelle.

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lo sono nato nel 1946, come molte famiglie dell’epoca anche la mia veniva da un periodo veramente tremendo. I miei genitori nel 1944 avevano perso ben due figli, con un terzo figlio partito per la guerra del quale non avevano avuto più notizie vi lascio immaginare il morale del Giotto e della Ester a che livello fosse. Poi grazie a Dio nel 1945 la guerra finì e mio fratello Emilio tornò dalla guerra. Nel 1946 nasco io, normale che i miei genitori fossero felicissimi per l’evento. Poi complice pure il mio caratterino leggermente da paraculo e la marcata differenza di età con mio fratello Emilio divenni il cocco di famiglia. Arrivato verso i 15 anni mio padre mi affibbiò l’ironico soprannome di ‘Conte’. L’unico problema del Conte, che tentava sempre a girare ben vestito e con look curato erano i denari (O i Daneè come mi piace chiamarli). Infatti avendo tutte le passioni del mondo ero sempre alla canna del gas ed uscire a far baldoria era sempre molto problematico. Regolarmente al sabato sera, quando tutto cambiato mi preparavo ad uscire, il Giotto sfregando l’indice ed il pollice della mano destra voleva sapere a che punto fossero le mie finanze per la serata, io lo guardavo poi alzando gli occhi al cielo gli facevo capire d’essere strapelato, a quel punto il Giotto non facendosi vedere dalla Ester carabiniera m’allungava un cinquecento lire extra. Ci schiacciavamo gli occhi vicendevolmente dopodiché la serata per il giovane Saul cominciava terminando il mattino successivo.

STORIELLE _ GIOVINEZZA

IL CONTE

Ciao Papà Giotto, mi manchi sempre tantissimo! 18


STORIELLE _ GIOVINEZZA

IL PRIMO INNAMORAMENTO Avrò avuto circa sedici anni quando mio fratello Emilio mi cedette la sua vecchia moto, una Guzzi Zigolo color rosso, da me considerata una vera e propria sciccheria. Un giorno l’oratorio del paese organizza una gita aperta a tutti i frequentatori delle scuole serali, eravamo in molti, stipati su di un vecchio autobus senza divisione tra maschi e femmine, cosa che non avveniva spesso. Con me, c’era mia cugina Teresa e l’amica sua Marì. Conoscevo questa sua amica ma non troppo bene, in ogni caso per tutta la giornata facemmo trio e la sera eravamo diventati affiatati e amici. Finita la gita, dico alla Marì: “Lavori a Bergamo in un ufficio, potrei venirti a prendere?” Lei mi guarda e mi dice: “Se ti fa piacere fallo pure”. Gasatissimo quel lunedì rientro dal lavoro, bagno, barba, profumo, inforco la Guzzi e mi presento fuori l’ufficio dove la Marì lavorava. Lei esce e mi saluta e sale sulla moto, ovviamente non a cavalcioni ma bensì di traverso, come usavano le donne allora. Avevo il cuore che mi balzava in gola, era il mio primo appuntamento serio, quindi senza scantonare e da gran bravo ragazzo la porto a casa e resto d’accordo d’andare ancora a prenderla. Questa routine è andata avanti per un mesetto, poi una sera la Marì mi dice: “Questa è l’ultima sera che mi vieni a prendere, non voglio impegnarmi con te”. Una martellata in testa sicuramente m’avrebbe procurato meno dolore, però io con aria da tipo duro incasso e porto a casa. Quindi la riaccompagno, ci salutiamo e io rientro ben mogio a casa.

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STORIELLE _ GIOVINEZZA

Prima tessera CAI di un Saul sedicenne

Mio padre Giotto mi vede e mi dice: “Mi sembri un pulcino bagnato, hai forse litigato con la Marì?” “Assolutamente no” dico io “abbiamo deciso di non vederci più”. Il Giotto da uomo navigato mi dice che guardandomi, sembra che la decisione l’abbia presa solo lei; Io proprio non commento, ceno velocemente e poi me ne vado a letto presto. Rimuginando sull’accaduto cerco di capire dove ho sbagliato, alla fine decido che sono stato troppo servile e mi sono mostrato troppo interessato a lei. Ero giovane ma quella prima delusione amorosa amici mi ha fatto mettere in atto la tattica dell’uomo difficile da ingabbiare, la quale si è rivelata valida per tutto il resto della mia giovinezza da scapolo.

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STORIELLE _ GIOVINEZZA

LE RAGAZZE Come tutti i miei coetanei giovani adulti verso i diciotto cominciavamo a guardare le ragazze in un modo decisamente più insistente ed interessato. Erano tempi difficili in quanto le ragazze non erano assolutamente libere, durante la settimana o alla sera nemmeno pensare d’uscire con una di loro. Restavano quindi due ore risicate alla domenica pomeriggio. Dopo molti abboccamenti finalmente esco con una ragazza del nostro paese, inutile dire che ero al settimo cielo dalla felicità, ci incamminiamo verso Nese per poi prendere il sentiero per il Grumello. Arrivati in un prato ci sediamo e dopo aver parlato un po’ ci scambiamo quattro baci innocenti, quando ci alziamo la ragazza s’accorge d’avere sull’abito chiaro una bella macchia verde, vi lascio solo immaginare la seguente scena di terrore per cosa dirà la gente ma soprattutto per cosa le dirà la madre. Arrivati vicini al centro abitato la ragazza è stravolta all’idea d’essere vista dalla gente con il sedere verde, Saul allora ha un colpo di genio, la fa camminare, lui la segue quasi attaccato come se i due avessero bisticciato, cosicché nessuno vedesse la macchia. Dopo alcune centinaia di metri di questa manfrina arriviamo finalmente a casa della ragazza ed io me la filo velocemente. Arrivato il mercoledì mia madre m’affronta a muso duro facendomi una sceneggiata tremenda per il mio comportamento incivile nei confronti della ragazza, la madre della signorina era venuta a casa mia riferendo alla Ester l’onta patita dalla figlia. lo dà buon mentitore negavo il coinvolgimento in questa storiaccia, ma la Ester conoscendomi molto bene non credette ad una sola delle mie parole. Erano tempi diversi e se ora fa sorridere allora era davvero un affare serio.

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Giovane Mariarosa in vacanza al mare

Saul durante una gara podistica al campo sportivo di Alzano


STORIELLE _ GIOVINEZZA

LA GROTTA PAGANI Da ragazzo sono stato un boy scout, finito il periodo negli Esploratori verso i diciassette anni sono passato al gruppo dei Rover. Il capo clan era il dottor Vincenzo Breda, uomo eclettico ma con una spiccata passione per la montagna, cosicché una domenica mattina del mese di gennaio assieme ad altri due Rover partiamo per salire la via normale della Presolana. Arriviamo con la mitica NSU Prinz al passo, scarichiamo gli sci muniti di pelli di foca ed iniziamo la salita verso la Grotta Pagani all’attacco della parete. Come tutti gli alpinisti depositiamo gli sci all’interno della grotta iniziando l’arrampicata, dopo alcune ore abbiamo raggiunto la vetta iniziando poi la discesa verso la grotta. Verso le quattro del pomeriggio arriviamo alla grotta Pagani ed improvvisamente s’alza una nebbia tremenda, tanto da non vedere la punta degli sci; Noi che eravamo dei pessimi sciatori con il sole figuratevi come ce la cavavamo con una nebbia simile. Comunque ad un certo punto abbiamo intrapreso la discesa, fatto due curve sono caduto ed ho perso uno sci, dopo molte ricerche l’ho trovato e son tornato con gli altri, nel frattempo stava calando la sera ed il dottor Breda provetto sciatore decise di scendere a valle cercando dei soccorsi, noi tre giovanotti mettemmo gli sci in spalla iniziando la discesa tra la neve alta dove affondavi fino al ginocchio. Abbiamo continuato a camminare in discesa trovando ad un certo punto la vegetazione, indizio dal quale capimmo che la strada era esatta. Nel frattempo le ore passavano e la stanchezza aumentava, ad un certo punto decidemmo di fermarci, ma per non rimanere intirizziti accendemmo un fuoco, ci sedemmo accanto al fuoco in attesa dell’alba.

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Nel frattempo le squadre di soccorso allertate dal dottor Breda ci stavano cercando sparando ogni tanto dei razzi luminosi, noi vedevamo i razzi gridavamo forte, ma nessuno ci sentiva.


STORIELLE _ GIOVINEZZA Saul nel gruppo Boy Scout di Alzano Lombardo

La stanchezza era tantissima, seduti accanto al fuoco il sonno tentava di prendere il sopravvento, ma non potevamo dormire tutti e quindi ci mettemmo a fare dei turi di veglia. Arrivata l’alba una squadra di soccorritori ci trovò e tra la gioia di tutti ci riportò a valle dove la notizia del ritrovamento si diffuse in tutto il paese. Potete voi immaginare la gioia dei nostri genitori sapendoci sani e salvi. Arrivato a casa mio padre m’abbraccio e mi disse: “Bentornato Conte, abbiamo avuto una paura tremenda” Mia madre non parlava limitandosi a riempirmi di baci come fossi un bimbo, sono trascorsi cinquant’anni ma quella notte me la ricordo benissimo. 24


STORIELLE _ GIOVINEZZA

IL CASSIERE Durante i primi anni sessanta nei paesi s’organizzavano delle gite sciistiche rigorosamente in autobus. Essendo iscritto al GAN (Gruppo Alpinistico Nembrese) le mie uscite sciistiche erano sempre con loro. Prima d’arrivare agli impianti onde evitare code e casini alle biglietterie delle seggiovie raccoglievamo i denari per fare gli abbonamenti giornalieri. L’addetto alla raccolta fondi ero io, infatti molti miei amici non avevano dimestichezza con il maneggio del denaro e quindi delegavano volentieri. Una volta raccolto il denaro appena arrivati nella località sciistica mi recavo alla biglietteria per l’acquisto degli abbonamenti giornalieri. Il bus aveva 50 partecipanti e come minimo una trentina compravano l’abbonamento, cosicché quando arrivavo alla cassa dicevo all’addetto: devo comprare 30 abbonamenti, però uno me lo devi dare in omaggio, il tipo parlava con il capo il quale sempre mi dava un abbonamento omaggio, ergo il buon Saul sciava gratuitamente. Dopo alcune domeniche passate come cassiere un socio si alza e dice: “troppo comodo caro Saul raccogliere i soldi degli abbonamenti, poi ti danno un giornaliero gratis”. Io lo guardo e gli rispondo: “Facciamo così, oggi se vuoi li puoi raccogliere tù” Durante il viaggio il tipo raccoglie i denari, poi arrivati a destinazione si reca alla cassa e con grande sorpresa s’accorge d’aver sbagliato i conti cosicché mancavano i denari per un abbonamento. Inutile raccontarvi il casino avvenuto per questo ammanco e le parolacce dette al povero raccoglitore; La frase più gettonata era la seguente: “Saul ha raccolto i denari per gli abbonamenti decine di volte e non ha mai sbagliato una volta, tu la prima volta che fai il cassiere sei nei casini”.

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Ridivenni quindi il cassiere ufficiale con annessa dote di un abbonamento giornaliero gratuito, molto utile per mè in quanto cronicamente a bolletta.


STORIELLE _ GIOVINEZZA

Foto ricordo del gruppo GAN (Gruppo Alpinistico Nembrese) Saul secondo da destra


STORIELLE _ GIOVINEZZA

CAMBIA LA VITA Anno 1965. Avevo diciannove anni compiuti ed ero un giovane alpinista iscritto al GAN (Gruppo Alpinistico Nembrese). Tutti gli anni prima dell’inizio della stagione invernale si svolgeva una mitica festa con ‘castagnata’. Andavamo in un albergo a fare la cena sociale, dopodiché caldarroste a gogò seguite dagli attesissimi canti e balli serali. Finito di mangiar caldarroste tutti volevano iniziare a ballare, ma il pavimento era lercio di bucce di castagna. Noto che nessuna delle ragazze presenti fa’ un minimo accenno al gesto di pulire, se non che ad un certo punto vedo una bella morettina armata di scopa e pattumiera che inizia a pulire la sala. Vedendola pulire pure le altre ragazze cominciano ad aiutarla e voilà il pavimento è bello che pulito. Sotto quindi con i balli, arrivato il primo lento chiedo alla morettina se vuol ballare. Risponde lei: “io ballo, ma non sono tanto capace” Dico io: “Guarda che ballare un lento non è difficile, devi solo stringerti a me e seguire movimenti”. Finiti i balli risaliamo sul bus, guardo attento dove la morettina si siede e le chiedo se posso sedermi vicino, risposta affermativa, mi siedo e comincio a chiedere un poco su di lei. Il suo nome è Maria Rosa, diciannove anni, vive a Nembro e lavora in un cotonificio a Torre Boldone. lo che ho esattamente la sua stessa età per darmi tono le dico il mio nome ma mento spudoratamente sull’ età dicendole d’avere ventidue anni. Durante il viaggio prendo le sue mani nelle mie notando che ella non si sottrae alle mie carezze sulle sue mani.

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STORIELLE _ GIOVINEZZA Mariarosa e Saul

Prima di scendere dal bus le chiedo se posso andare una sera ad aspettarla all’uscita del lavoro e già il martedì sera puntuale sono davanti alla portineria della fabbrica con la mia moto. L’ accompagno a casa chiedendo di poterla rivedere domenica pomeriggio. Il suo sì mi manda al settimo cielo, cosicché la domenica pomeriggio mi presentai nel punto stabilito per l’incontro vestito come un principe. Avevo un abito rifatto di babbo, completo di gilet e scarpe nuove lucide. Non per vantarmi ma mi sentivo un vero schianto. Da quel giorno son sempre con la mia fida Maria Rosa, sono passati cinquantacinque anni e nulla è cambiato. In cuor mio mi reputo molto fortunato d’avere incontrato una donna veramente eccezionale, e questa amici è un’altra storia…. 28


STORIELLE _ GIOVINEZZA

RICORDI MILITARI

POCO EROICI

Nel 1967 ero caporale nel Battaglione alpino Tirano di stanza a Malles Venosta nel cuore del Sud Tirolo. Erano quelli anni molto tesi, caratterizzati dagli attentati contro i tralicci elettrici, compiuti dai krukki altoatesini. In quel periodo sono capoposto alla centrale di Sluderno distante solo pochi chilometri dal paese di Malles, accompagnato dal Tenente prendo il comando della postazione costituita da una casetta sotto la centrale. Partito il tenente faccio un giro per la casermetta, entro in una stanza e vedo 8 sacchi da 50 chili di pasta. Chiedo al cuciniere cosa sono tutti quei sacchi di pasta, lui mi dice che il comando manda ogni settimana un certo quantitativo di pasta, ma i militari non la mangiano tutta, ed in molti mesi si è accumulato un bel quantitativo. Riflessione volante e poi gli dico: “Ma perché non vendiamo tutto quel ben di Dio?”. Al mattino arriva la camionetta con i viveri e chiedo all’autista di portarmi a Glorenza per un’urgenza, lui mi accompagna e quando sono in paese entro in un negozio di generi alimentari, dietro il banco campeggia un omone che mi chiede lesto cosa voglio. Io estraggo dalla tasca la pasta e gli chiedo se la vuol comperare, l’uomo la esamina, parliamo e alla fine stabiliamo il prezzo in cento lire al chilo. Esco e dico all’autista: “Domani quando vieni per il rancio, attacca un rimorchietto alla camionetta”. Ovviamente lo metto al corrente della transazione appena conclusasi e prometto che pure lui avrà avuto la sua parte, aggiungo poi: “Quando carichiamo la pasta sulla camionetta, devi dire che torna in caserma”. Il giorno dopo si presenta con il rimorchietto, carichiamo i sacchi, corsa a Glorenza, scarico e incasso quaranta mila lire lire.

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STORIELLE _ GIOVINEZZA

Saul durante il servizio militare nel battaglione alpini Tirano

Pago il bocia autista con diecimila ed inoltre, dietro insistenza del grato omone salumiere ricevo anche un bel salame e un pagnotta da 2 chili. La sera salame per tutti, alla domanda da dove viene rispondo che è un pacco inviatomi da mia madre. Non ne vado fierissimo amici, ma la bolletta è brutta ed io in bolletta nel periodo della naja vi ero perennemente. 30


STORIELLE _ GIOVINEZZA

IL GRADO DI CAPORALE Vedendo la foto inviatami dall’amico Pino ho notato che dei quattro militari ritratti io sono l’unico che porta la cravatta, al momento, non capivo il perché poi mi sono ricordato d’essere stato capoposto in servizio di ordine pubblico presso la centrale elettrica di Sluderno in Alto Adige. Questo grado da caporale ha una storia singolare, esso mi venne dato alla fine del corso esploratori e quando rientrai a casa per una licenza mamma Ester s’offrì d’attaccarmi a modo il grado sulla camicia: “No mamma non cucirlo, fissalo con quattro bottoni automatici” dissi io. Rientro in caserma dalla licenza con il mio grado di caporale ‘mobile’ il quale funzionava come segue: quando cercavano un caporale lo levavo e diventavo soldato, quando cercavano un soldato lo rimettevo ed ero di nuovo caporale. La cosa mi era molto facilitata dal fatto d’essere un esploratore, ragion per cui giravo vari battaglioni, ergo i sergenti non mi conoscevano ed io potevo agevolmente fare il giochetto del grado. Un giorno un sergente mi prende di petto e mi dice: “Sonzogni ma tu che cazzo di grado hai?” Io rispondo imperterrito: “Dipende dal momento in cui me lo chiede signor sergente” Gelo allo spaccio con tutti militari zitti in attesa di una punizione esemplare. Il sergente mi guarda truce e poi scoppia a ridere di gusto: “Figli di puttana ne ho visti moltissimi, ma uno così non mi era ancora capitato”. Anni splendidi ed irripetibili quelli della naja.

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Squadra esploratori della Brigata Orobica in sosta durante una marcia estiva Qui sotto dediche sul retro delle fotografie


Ultima lettera inviata a Mariarosa dal servizio militare


Saul in tenuta da marcia


STORIELLE _ GIOVINEZZA

RIFLESSIONI ALPINE, UN POCO AMARE Come sapete amici domenica si svolgerà a Milano la grande adunata nazionale degli alpini. Vedere tutte queste persone arrivare fin qui da ogni parte del paese è uno spettacolo incredibile. I veci alpini sono generalmente persone laboriose e senza grilli per la testa, innamorate del loro paese, fedeli e grati nella memoria nostri padri hanno combattuto duramente e sono morti per difendere la patria. Logicamente un corpo come questo non piace minimamente all’intellighentia burocrate di stato. Uomini troppo indipendenti e non facilmente controllabili, alias da eliminare con ogni mezzo. La mutilazione di questo glorioso corpo è iniziata cinquanta anni fa con lo smantellamento delle brigate alpine; Iniziarono con la mia Orobica, poi con la Cadore e via via praticamente tutte a parte un paio. Ora questo glorioso corpo è composto da volontari, i quali si battono nei vari scenari mondiali con lo stesso ardore dei padri, infatti buon sangue non mente. I genialoidi di stato però non erano soddisfatti di come avevano ridotto gli Alpini, allora cominciarono l’attacco alla leva obbligatoria, molto costosa e soprattutto causa della perdita di tempo dei nostri fenomenali giovanotti. Ora l’esercito fatto di volontari va benissimo ed è un esercito moderno, ma così facendo abbiamo assestato un colpo tremendo alla crescita morale e l’indipendenza dei nostri ragazzi. Poche balle, la spensieratezza finiva con la naja, una volta tornato dovevi iniziare la vita da uomo, e lavorare, se volevi pure farti una famiglia. Le mamme in primis esultarono per la fine della leva obbligatoria, ora abbiamo in casa milioni di insulsi che all’alba dei trent’anni non sanno infilarsi un calzino.

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Dopo il servizio militare con i miei amici andavamo spesso a ballare, l’unico problema era la cronica carenza di donne dei miei amici. Erano tutti con alcuni anni più di me, ma di donne al seguito nemmeno l’ombra. Io ero già fidanzato, quindi per venire in assistenza alla mia banda di amici e d’accordo con la fida maria Rosa chiesi ad alcune mie amiche se gradissero venire a ballare.

STORIELLE _ GIOVINEZZA

IL GIOVANE SAUL RECLUTATORE DI BALLERINE

Alcune risposero di sì perché erano convinte di venire a ballare in mia compagnia, Io per non insospettirle dicevo loro che sarebbe passato un mio amico a prenderle perché ero impegnato e sarei arrivato al ballo un pochino in ritardo. Detto fatto arriva il sabato, i miei amici passano a prendere le ragazze e si recano in balera, io arrivo un pochino dopo con al seguito la mia fidanzata. Vi lascio immaginare il casino che scoppia appena arrivo in sala, come sono entrato tutte le signorine a turno si sono avvicinate dicendomi: “Noi credevamo di venire a ballare con te, mentre invece hai già la fidanzata!” Cercavo quindi di spiegar loro che i miei amici erano tutti liberi e felici di stare in loro compagnia, ma le ragazze non intendevano ragione e tenevano gran musi. Poi ad un certo punto la musica è partita, le canzoni erano bellissime e gli angoli si sono decisamente smussati, le ragazze hanno cominciato a ballare ed alla fine della serata mi hanno ringraziato per averle invitate. 36


Pranzo di nozze al ristorante Papillon


Ieri sera con mia moglie ed il nostro amico Nisio ci siamo recati in una location per visionare il posto dove tenere uno spettacolo pirotecnico in occasione d’uno sposalizio. Appena arrivati pioveva, ed abbiamo aspettato seduti nel furgone che il temporale passasse. Ad un certo punto della conversazione Nisio dice: “Saul ma dove siete andati voi in viaggio di nozze?” Mia moglie s’è messa a ridere dicendo che il nostro non fu un viaggio di nozze, ma un campeggio ambulante in giro per l’Italia.

STORIELLE _ GIOVINEZZA

VIAGGIO DI NOZZE

Ci sposammo al sabato come da manuale, poi la domenica mattina forti di trecentomila lire partimmo a bordo della nostra auto con tenda e tutto l’occorrente per un giro d’Italia. Io ero stato un boyscout, avevo perciò molta dimestichezza con la tenda e la Rosa si adattò a meraviglia all’ avventura. Scendemmo lungo la penisola dalla dorsale adriatica, valicammo la Sila e tornammo risalendo dalla costa tirrenica. Fu un viaggio meraviglioso che ancora ricordiamo con nostalgia, non spendemmo assolutamente tutto, ma riportammo a casa circa cinquanta mila lire che servirono per l’inizio della nostra vita in comune. Era l’anno 1970 mi sembra sia stato ieri mattina, eravamo figli del dopoguerra, pochi grilli per la testa e il desiderio di cominciare una vita assieme.

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Foto ricordo a Capri durante il viaggio di nozze



STORIELLE _ GIOVINEZZA

ARRIVA LA PIZZA A BERGAMO Nei primi anni sessanta a Bergamo non esistevano pizzerie, noi giovanotti favoleggiavamo su questa leccornia ma nessuno l’aveva mai assaggiata. Ad un certo punto arriva in città nei pressi delle poste centrali la prima pizzeria di Bergamo chiamata Pio da nome del proprietario. Alcuni vanno in avanscoperta per vedere il posto, ma soprattutto per vedere il costo di una pizza, devo dire che non era eccessivo, ma per le nostre tasche vuote rappresentava sempre una settimana di risparmi. A finanza raccolta ci presentammo per assaggiare questa nuova leccornia. Appena il Pio ci vide venne presso di noi, prendendoci da parte ed indicandoci il posto in cui dovevamo stare a mangiare. Eravamo piazzati dietro una scala a chiocciola dove praticamente non vedevamo nessuno e soprattutto con la nostra cagnara non disturbavamo gli altri clienti. Arriva la lista delle pizze con relativi costi, la guardiamo per bene, poi come da manuale scegliamo la più economica Margherita. Dopo alcuni minuti il cameriere porta questi bei piatti con le pizze fumanti, inutile dirvi che la divorammo tanto era buona. Finita la pizza niente caffè, pagato il conto con immediato ritorno al bar del paese dove diffondemmo la notizia della nostra pizzata. Ricordo gli uomini anziani che guardandoci dimenavano la testa dicendoci: “ghi botep oter zuegn” (avete buontempo voi giovani). Dopo poco tempo presso la partenza della funivia di Albino per Selvino arrivò la pizzeria dello Zio Gino molto più comoda ed economica della pizzeria Pio, molte volte recandoci nella pizzeria di Albino mangiavamo tre pizze in due persone tanta era la fame e la gola. All’esterno della pizzeria in una sala c’era pure un bel Jukebox, ricordo che con cento lire suonava tre canzoni cosicché si poteva pure ballare, una vera bellezza per noi ragazzi giovanotti e molto goderecci. Bei tempi quelli, eravamo al settimo cielo per una pizza ed un po’ di musica.

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Appena finito il militare chiedo a mio padre l’acquisto di un’auto per poter muovermi con la morosa, l’uomo mi guarda e dice: “Abbiamo appena ristrutturato la casa non è il momento per comprarti l’auto continua ad usare la motocicletta” Io la prendo malissimo e gli rispondo: “Abbiamo quel comò antico che vengono tutti i giorni gli antiquari per comprarlo, vendilo e usiamo i soldi per un’auto e chi se ne frega del comò.” Il Giotto si indigna: “Pazzo quello è un mobile pregiato proveniente da un’antica famiglia alzanese, guai a venderlo”

STORIELLE _ GIOVINEZZA

LA SEICENTO

Provo un po’ a fare il matto ma il Giotto è irremovibile, il suo amico ribatto arrabbiato giurando che, se un giorno viene in casa antiquario e sono solo lo vendo. Mi guarda severo e sentenzia: “Non farai questo a tuo padre!” Passano i giorni, un sabato pomeriggio sono solo in casa, arriva un ometto che si qualifica come antiquario e chiede di poter visionare il comò, io lo faccio entrare e lo porto in camera per visionarlo, alla fine mi chiede: “Quanto vuole per questo mobile?” Io: “Voglio quattrocento mila lire” che guarda caso era esattamente il costo di una bella Fiat seicento usata appena vista dal meccanico. L’uomo borbottando mi risponde: “Per 400 mila lire dovrebbe darmi pure quella piccola specchiera che sta sull’altro comò” Un nanosecondo di riflessione e l’ affare è fatto, levo dal comò i panni, li depongo sul letto e poi lo aiuto a caricarlo sul furgoncino, poi con i denari incassati corro dal meccanico e pago la mia seicento, dopodiché torno tranquillo a casa dove trovo mio padre appena rientrato dal bar. 42


STORIELLE _ GIOVINEZZA Un Saul estivo al lago di Sarnico

Verso le sette torna mia madre dal suo giro di vendite e và nella stanza per depositare le sue borse, io sono seduto sul sofà mentre mio padre sta cucinando dandomi le spalle. Un secondo dopo l’entrata di mia madre in camera sento un urlo disumano, il Giotto imperterrito senza voltarsi dice: ”A ghe n’dacc ol comò” (è partito il comò). Mia mamma viene in cucina e comincia la tiritera sulla vendita di quel gioiello, io non faccio un plissé, poi mi siedo a tavola per la cena, mio padre stranamente non dice più di tanto non toccando mai l’argomento mentre mia madre al contrario è un fiume in piena e non la smette più. Il lunedì torno dal lavoro non prima d’essere passato a ritirare la mia seicento, arrivo in cortile tutti a guardare e commentare il mio gioiello. Anche mio padre scende dalle scale, controlla l’auto e dice: “E’ proprio bella, qualche volta mi porterai alle fiere dei cavalli” Poi avvicinandosi bisbiglia: “Non potevo venderlo io il comò, tua madre avrebbe protestato per anni, per fortuna l’hai fatto tu e mi hai evitato un sacco di beghe”. 43

Altri tempi, altri uomini e decisamente altre finanze.


Essendo avanti con gli anni penso spesso a mia madre Ester, da me soprannominata ‘Carabiniera’. Era una donna bionda e alta, con occhi verdi da brivido, di carattere molto allegro ma dotata d’una volontà di ferro e uno spirito al limite del temerario. Negli anni cinquanta abitavamo a Ranica in una casa in collina di proprietà di mio zio, eravamo in quattro, mio padre mia madre io e mio fratello Emilio. Alla fine del 1951 nacque mio fratello Giulio, mia madre aveva quarantasei anni e mio padre cinquantadue, sebbene fossero avanti con gli anni era immensa la gioia per questo dono di Dio, e la Ester accolse con grande gioia il piccolo Giulio.

STORIELLE _ ESTER

MIA MADRE

Nel 1953, mio padre s’ammalò di asma cardiaca e non potette più lavorare, la Carabiniera dette quindi le chiavi di casa a mio padre, andò dai sui cugini commercianti di tessuti a Busto Arsizio dove comprò a credito un camion di scampoli, prese poi due enormi borse di cuoio, le riempi di scampoli e con la sua bicicletta si mise a girare per le cascine per venderli. Prima d’iniziare l’attività andò anche dal sindaco per avvisarlo della sua intenzione, l’uomo non fece una piega, prese carta penna e scrisse: “ Autorizzo la signora Cortinovis Ester alla vendita ambulante di scampoli” Si mise nel portafoglio il permesso e lo tenne con sé per tutti gli anni del suo lavoro. Con il passare degli anni era diventata un’istituzione, le donne delle campagne l’aspettavano per comperare lo scampolo per la nuova gonna o camicetta, alcune volte non avevano soldi a sufficienza e davano come saldo un coniglio o una gallina. Due figli piccoli, il marito invalido, il primo figlio lavorante in proprio con alterne fortune ma nonostante questo nel 1953 compro la nostra grande casa ad Alzano Lombardo accendendo come sola e unica garante un mutuo bancario. 44


STORIELLE _ ESTER Cortinovis Alessandra detta “Ester”

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Mio padre di Lei si fidava ciecamente e la lasciò fare cosicché alla fine si trovò proprietario della casa dove viviamo ora. Vendette scampoli fino a che noi figli fummo adulti e cominciammo a lavorare, mio padre fece sempre l’uomo di casa soprattutto il cuoco, arte nella quale era bravissimo, morto lui nella mia famiglia non s’è mangiato più così bene. Nel frattempo praticamente obbligò mio fratello Giulio all’acquisto del palazzo dei conti Zanchi adiacente al nostro, dove La Ester visse fino a 90 anni circondata dall’affetto di figli e nipoti.


Mia madre nacque nel 1907, ragion per cui attraverso le due guerre mondiali. Come tutti in quegli anni, arrivò fino alla terza elementare, recandosi poi dalle suore per imparare il cucito visto che il non saper cucire era considerata nelle donne una grave carenza. Divenuta giovane donna lavorò presso il cotonificio del paese, dove partecipò attivamente alle lotte sindacali degli anni venti. In quegli anni lesse a destra e manca studiando in autonomia la cosa che più l’affascinava, la Medicina. Diventando nella contrada il riferimento di tutta questa povera gente senza istruzione alcuna e spesso semianalfabeta. Sposatasi con mio padre si porta in dote il suo kit di pronto soccorso, consistente in una grande scatola di cartone rigido, colma di fascette, unguenti, alcool, e la mitica siringa per le iniezioni con due aghi, sottile e grosso. Gli anni passano e la sua autorità in materia infermieristica sale, lo stesso medico condotto, quando viene chiamato, vuole che ci sia mia madre cosicché possa poi procedere con le cure, in genere iniezioni. Un contadino si faceva male, non avendo in casa nulla veniva dalla Ester, la quale lo medicava, lo fasciava, e sotto pena di scomunica gli ingiungeva di riportargli le fascette di cotone lavate e ben riavvolte. Casa mia al mattino era un via vai di persone che venivano per fare l’iniezione, praticamente la siringa era perennemente in ebollizione per sterilizzarla. Il compenso data a mia madre da questa povera gente era di solito costituito da alcune uova o qualche altro genere alimentare. In casi più gravi, l’ho vista pure suturare qualche taglio profondo con dei punti, messi con un piccolo ago ricurvo, che probabilmente le aveva dato il medico. Quando nel 1955 siamo venuti ad abitare ad Alzano Lombardo, eravamo a tre chilometri dalla vecchia casa di Ranica, quindi la Ester inforcava il suo motorino Legnano e sì recava da questi poveri contadini per curarli.

STORIELLE _ ESTER

LA DOTTORESSA

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STORIELLE _ ESTER 47

Anni più tardi, quando mio padre si ammalò si inventò una vendita di scampoli porta a porta alle donne delle cascine in paese. Ad ogni modo anche qui la fama di donna di medicina la seguiva, cosicché compravano la stoffa, ma volevano in aggiunta dei pareri su come curarsi. La ricordo anziana, quando il nostro medico condotto il dottor Zamboni veniva a trovarla, si sedeva e davanti al caffè e diceva in dialetto: “Dùtura che medesine ta Olet” (dottoressa che medicine vuoi oggi). Immediatamente da parte della Ester iniziava una dissertazione sul beneficio di questa o quella medicina seguita subito dalla ricetta del Siur Dutùr. Grande donna la Ester al suo funerale ho visto piangere persone che non conoscevo, tanti di loro piangendo mi han ricordato di quanto bene ha fatto. Mia madre alle famiglie più sfortunate durante quegli anni difficili e duri. In ricordo di mia madre Ester, donna buona ma pure molto severa.

Una giovane Ester in compagnia di parenti


STORIELLE _ ESTER

CONFESSIONI

Ester con Saul

Mia madre proveniva da una famiglia profondamente cattolica, pur non essendo affatto bigotta era una fervente credente. Quand’ero piccolo vedendo il mio poco amore verso tutto ciò che era cattolico ogni tanto mi prendeva da parte facendomi delle piccole lezioni di catechismo le quali finivano sempre con questa frase: “Saul ricordati che Dio vede tutto, sa tutto ed è in ogni luogo”. Come tutti i ragazzi della mia età almeno una volta al mese ci confessavamo per poi fare la comunione. Diventato adulto un giorno dico a mia madre: “ Mi hai sempre detto che Dio è in ogni luogo vede tutto e sa tutto d’ognuno di noi, non vedo perché debba raccontare i miei peccati al prete il quale li trasmette a Dio, visto che l’Altissimo è in ogni luogo parlo direttamente con Lui saltando l’interprete”. La Ester mi fissa con quei suoi occhi verdi mormorando: “Ma Signore Iddio da dove viene questo benedetto figliolo?”. Ciao Mamma, ovunque tu sia mi manchi sempre tanto

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IL PARROCO DI RANICA Quando ancora abitavo a Ranica paese morì il parroco, era un sacerdote molto ben voluto e immaginatevi quindi tutto lo sgomento che la sua dipartita generò. Come da manuale mia madre da buona fedele mi portò a far visita alla camera ardente del defunto parroco per l’ultimo saluto. Tornando verso casa mi raccontò una storia il cui ricordo amici miei mi fà ancora accapponare la pelle. Disse che anche quando lei era piccola mori il curato del paesino, ed anche lì tutti in processione a far visita alla salma del prete rammentando la sua giovane età. Dopo tre giorni d’esposizione venne il giorno dei funerali, arrivò il falegname con gli addetti delle onoranze funebri e la cassa da morto. Mentre gli uomini lavoravano per riporre la salma nella cassa improvvisamente il prete si mosse ed iniziò a parlare, immaginatevi la paura ed il fuggi fuggi generale. Quando gli animi si furono calmati gli uomini tornarono nella canonica ove trovarono il giovane prete sveglio e sgomento. Raccontò loro che durante i giorni d’esposizione della sua salma sentiva tutti i loro discorsi ma era completamente immobilizzato e privo di parola. La notizia si diffuse per tutta la provincia ed il prete venne soprannominato ‘Ol resuscitat’. Visse ancora per parecchi anni portandosi appresso questo nomignolo ma, quando morì, pretese che gli venisse praticata un’iniezione letale, infatti la paura d’essere sotterrato vivo era fortissima. Parlando con dei guardiani del cimitero mi dissero che durante il lavoro di disseppellitori era capitato a volte di scoperchiare casse di persone morte e d’aver trovato il coperchio della cassa graffiato dall’interno. Saranno sicuramente suggestioni e storie ingigantite ma io ricordo benissimo l’emozione e la paura di questa storia quando la Ester me la raccontava.


Alle prese con i panni nel cortile di Alzano

STORIELLE _ ESTER

OL CANTUNAL

Nella mia casa esisteva un mobile triangolare che veniva posto nell’angolo della cucina, questo mobile in bergamasco si chiama ‘cantunal’. Questo mobile era dominio di mia madre Ester, un ripiano era dedicato a stipare tutti gli avanzi di cibo e guai a toccarli. Ricordo bene le risate con i miei amici che, quando venivano a casa mia ridendo chiamavano questo mobile il porta cadaverini. Dopo aver accumulato diversi avanzi di cibo la Ester s’esibiva nella sua specialità, quella di creare delle polpette fatte con tutti questi avanzi. Prendeva il tritacarne manuale tritava tutti questi avanzi poi li impastava con pane grattugiato li metteva in padella con un poco d’olio dopodiché il pranzo o la cena erano pronti. Noi ragazzi chiedevamo a mia madre cosa contenessero queste polpette, ma la risposta era sempre la stesse ‘maia e fa sito’ Dopo più di 50 anni sento ancora il profumo delle sue polpette. 50


STORIELLE _ ESTER

COCCO DI MAMMA Molti di voi amici conoscono mia madre che io chiamo Ester Carabiniera, per il suo cipiglio nel fare e nell’imporsi, la donna però dietro questa scorza era di una bontà e dolcezza incredibili, ora vi racconto alcuni fatti. Come ben sapete io sono nato nel quarantasei, mia madre solo due anni prima aveva perso due figli, uno di dieci anni ed una bimba di alcuni mesi. Inoltre io fratello Emilio era militare e non sì sapeva dove fosse. Perciò quando sono nato, mia madre aveva già quaranta anni e non avendo notizie di Emilio era sicura che io fossi rimasto l’unico figlio in vita. In casa avevamo la nostra governante Nene e devo dire che sono cresciuto circondato dall’amore di queste due donne, poi nel 1951 è arrivato Giulio il mio ultimo fratello, la donna aveva già quarantacinque anni suonati. A differenza di mio fratello io ho sempre avuto un carattere dolce nei riguardi di mia madre, mio fratello era molto più ruvido e brontolone. Diventati grandi mia madre brigò tanto affinché io andassi a vivere vicino a Lei, come sempre riuscì nel suo intento e io venni ad abitare nell’appartamento affiancato al suo, per non farsi mancare nulla fece una porta comunicante fra i due appartamenti. Ogni tanto quando siamo con amici mio fratello racconta alcuni episodi in cui mia madre dimostrava smaccatamente la sua preferenza nei miei confronti. Lui faceva il parrucchiere ed ogni tanto mi diceva: “Saul vieni che ti taglio i capelli” Io che proprio non ne avevo voglia dicevo di no, e quando mio fratello insisteva e la Ester interveniva dicendo: “Lascialo stare, non vedi che Saul è stanco?”. Un’altra sera magari dovevo uscire e volevo tagliarmi i capelli chiedevo a Giulio di farlo lui mi rispondeva: “Sono stanco oggi è sabato e in negozio ho lavorato tutto il giorno” interveniva la Ester la quale diceva: “Pigro tagliaglieli, sarà poi per quello che hai fatto oggi”.

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Ester e Nene con un piccolo Saul

Quando era allettata mi recavo dopo pranzo a trovarla, siccome di notte facevo sempre molto tardi spesso mi addormentavo vicino a Lei, entrava mio fratello il quale vedendomi dormire le diceva: “Guarda il tuo bambino che bella compagnia ti fa”

STORIELLE _ ESTER

E lui brontolando me li tagliava.

La risposta della Ester era immediata: “Parla a bassa voce che sta riposando! non vedi com’è stanco?”. Quando eravamo a tavola fra amici con mia madre presente, per prenderla per i fondelli il Giulio gli diceva sempre: “Guardate Saul il cocco della Ester” Immediata la risposta della carabiniera: “Per me i figli sono tutti uguali” E dopo questa affermazione scoppiava una risata generale. Ogni tanto con mio fratello, a cui sono legatissimo rammentiamo questi episodi e lui mi dice: “Certo che la mamma ti voleva veramente bene, calcolando il grandissimo paraculo che eri. E qui caro Giulio, hai proprio ragione. 52


Saul ed Ester alla prima comunione


La storia che vi voglio raccontare è vera ma sembra uscita da un racconto ottocentesco. La prima donna che cito è mia nonna Virginia Ostini La Brianzola, la seconda è la signora Margherita Ghilardi alias Margherèta del David mentre la Terza è Semperboni Giovanna detta Gioanina Pacati, nonna del mio grande amico d’infanzia l’Andreino Pacati. Di queste tre donne nessuna era nata a Ranica ma erano capitate in questo paese seguendo le loro famiglie, erano nate tutte intorno agli anni dell’unità d’Italia, infatti io le ho conosciute già anziane e tutte e tre cariche di figli. Particolare che le accomunava era che tutte sapevano leggere e scrivere benissimo, ma soprattutto sapevano recitare. Infatti da piccole nei paesi di montagna i preti nella stagione invernale radunavano questi bimbi facendo loro imparare a leggere scrivere, inoltre chi si dimostrava particolarmente dotato veniva fatto recitare con qualche piccolo pezzetto di prosa o racconto popolare. Amavano tenersi sempre informate ma siccome avevano famiglie molto numerose e assai povere le tre signore si erano così organizzate; Compravano il quotidiano una settimana di fila ciascuna poi se lo passavano, e io stesso facevano con tutto quello che poteva essere utilizzato in comune e così che i costi venivano abbattuti. Leggevano un giornale chiamato ‘Italia’ di chiara ispirazione cattolica. Molte volte sentivo uomini anziani chiedere a mia nonna: “Eugenia che dighel ol foi” (Virginia cosa dice il giornale oggi). Molti di loro non sapevano leggere, allora mia nonna faceva un riassunto delle notizie principali, sembravano bimbi davanti alla maestra. Queste tre meravigliose donne allevarono famiglie numerose morirono tutte molto anziane, lasciando ai loro eredi proprietà e un discreto gruzzolo. Sapevano leggere e scrivere, ma pure benissimo far di conto. Queste donne rimarranno sempre impresse nela mia memoria, piccole e minute e con rigorose gonne lunghe fino alle scarpe. Altri tempi, altre storie, altre donne.

STORIELLE _ ESTER

DONNE ANTICHE

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STORIELLE _ GIOTTO

GIOTTO SONZOGNI In questo momento di caos politico molte volte ricordo le parole di mio padre sui corsi e ricorsi storici. Il Giotto nacque nel gennaio del millenovecento, come tutti i nati all’ inizio del secolo viene arruolato solamente nel corso del diciotto. La grande guerra in corso lo vede milite a Tirano in Valtellina, uno sbrigativo corso reclute CAR e dopodiché tutti al fronte. Durante il viaggio verso il fronte mi raccontava che molti ragazzi piangevano dalla paura, infatti i giovani nati verso la fine del novecento avevano praticamente diciassette anni, Immaginiamoci la paura e lo sconquasso interiore che tutti questi giovani uomini potessero provare all’ idea di essere mandati al macello in una guerra di trincea. Arrivati al fronte vennero dispiegati nei vari reparti, stavano per raggiungere la prima linea e soccombere al loro destino quando all’ improvviso la guerra terminò. Potete facilmente Immaginare la gioia di questi ragazzi scampati per un pelo ad una carneficina, infatti | famosi ragazzi del novantanove ebbero decine di migliaia di caduti. Tornato a casa Giotto seppe del fratello Emilio perito sul Monte Grappa. Nel frattempo l’Italia era piombata in un caos politico tremendo, gli scioperi e le manifestazioni spesso violente si susseguivano in modo incessante, la criminalità era a livelli insopportabili, infatti venivi assalito mentre facevi dei trasporti come accadde a mio padre. Poi nel ventidue arrivò il fascismo e tutto finì.

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Foto sul documento di identità di Giotto Sonzogni


Un Giotto giovane


Nel 1931 si risposa con la Ester mia madre, che è di fatto la sorella più giovane della sua prima moglie, la quale prende con sé il primo figlio della sorella Emilio, unico sopravvissuto alla sciagura della polmonite.

STORIELLE _ GIOTTO

Nel 1928 perse la sua giovane moglie e la figlioletta per una epidemia fortissima di polmonite, emigra quindi in Argentina per lavorare ma purtroppo il clima umido ed una malattia respiratoria seria (penso fosse silicosi) lo costringe a rientrare dopo poco in Italia.

Tutto procede senza grossi intoppi (Seconda guerra Mondiale a parte si intende) fino al 1944. Questo per mio padre è veramente un anno maledetto, prima gli muore il figlio di 10 anni Saul per una forma di meningite fulminante, poi muore la figlioletta di un anno per una forma di asma bronchiale. E po Dulcis in fundo Emilio, il primo figlio ventenne arruolato forzatamente nell’ esercito della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini. Nonostante immani sforzi di lui non si avrà nessuna notizia per parecchi mesi. lo credo amici miei, che una persona con una tempra normale, a questo punto possa suicidarsi, invece l’uomo tiene duro e finalmente le buone notizie cominciano ad arrivare. Nel quarantacinque rientra mio fratello Emilio dalla Germania dove gli italiani della RSI sono stati inviati a svolgere ruoli di operai forzati. La guerra è bella che finita, quando nel quarantasei nasco io. Con grandissima sorpresa e felicità nel cinquantuno il Giotto avrà pure il dono ulteriore della nascita di mio fratello Giulio. 58


Giotto primo a dx seconda fila



STORIELLE _ GIOTTO

SOTTANE Mio padre non era un tipo molto ciarliero, era allegro sì ma non parlava più di tanto. Però vi garantisco che quando parlava era da ascoltare. Ai tempi in cui ero un giovanotto sui diciannove anni e abitavamo nel famoso grande cortile, in un appartamento vi fu un cambio di inquilini. Via quindi la vecchia famiglia arriva la nuova formata da marito, moglie ed una bambina piccola. Devo ammettere che la signora era proprio carina nonché molto simpatica. Il Saul come sempre era a caccia di sottane, alla fine tra saluti e incontri casuali, come da manuale, scoppiò l’incendio. La sera arrivavo a casa, mettevo la moto nel garage, poi se il marito lavorava di notte salivo dalla signora. Il Giotto da uomo molto navigato, s’accorse immediatamente delle mie ‘manovre’ ma rimase muto e non mi disse assolutamente nulla. Una sera ero appena salito dalla signora, quando sento il rumore dell’auto del marito che stava rientrando in maniera inattesa. Panico…una sola scala per scendere, e se l ‘uomo salendo mi incrocia sono praticamente morto dato che lì l’unico ingresso è il suo. Spinto dalla disperazione andai sul retro della casa poi dal pianerottolo che dava sulla stradina del mio garage e saltai nella strada, mi ricomposi camicia e pantaloni e, come se nulla fosse accaduto rientrai a casa mia. Il giorno seguente dopo pranzo mio padre mi chiama in disparte e mi dice: “Conte non ti pensavo così atletico, salti che è un piacere” Poi sottovoce mi disse: “Stai attento figliolo, che una volta potresti trovarti al secondo piano anziché al primo, e allora sì che son dolori” Centrato ed affondato, non dissi nulla, abbassai la testa e me ne andai al lavoro. Giotto eri un grande, forse parlavi poco, ma di sicuro ti facevi capire benissimo.

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Mano di scopa con quartino di rosso

Mio padre Giotto in gioventù con i fratelli aveva una ditta di trasporti, come tutti i trasportatori dell’epoca anche loro passarono prima dai cavalli per poi finire ad utilizzare i primi furgoncini e camion a motore.

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I PURCU’

Come molti di voi sanno i carrettieri avevano il vezzo di bestemmiare e mio padre non era esente da questo difetto. Essendo una persona intelligente lo faceva solamente quando perdeva le staffe, in quel caso i moccoli fioccavano copiosi. Mia madre Ester era donna molto pia, acerrima nemica delle bestemmie e dei bestemmiatori, ragion per cui quando mio padre “porconava” vi posso garantire era molto contrariata. La scenetta era questa; Mio padre adiratissimo tirava moccoli tremendi, mia madre rispondeva con questa frase: “Dio, abbi pietà di noi, proteggi questa casa abitata da un bestemmiatore”. Mio padre s’adirava ancora di più e continuando con ulteriori tremendi moccoli: “Ostia Ester! Ma lasciami bestemmiare in santa pace”. Come da manuale alla fine mia madre vinceva facendo poi recitare a mio padre l’atto di contrizione. Rabbia del carrettiere sbollita e pace cristiana tornata, per la gioia di tutti. 62


STORIELLE _ GIOTTO 63

IL MIO NONNO SAUL Nella nostra famiglia, come in tante altre dell’epoca si ripropongono tra generazioni gli stessi nomi. E questa è una delle storie su mio nonno Saul, la ricordo bene in quanto mio padre da giovane me l’ha raccontata svariate volte. Questo mio nonno, come tutti i Sonzogni, era arrivato in Val Seriana ma proveniva dalla Val Brembana. (Sonzogni significa: “sono di Zogno”) La sua famiglia si stabilì prima ad Alzano Sopra, e poi si spostò a Nese. Avendo egli il commercio nel DNA aprì nel centro di Nese una macelleria con annessa osteria, mentre suo fratello Amos, emigrò a Parigi dove divenne costruttore di pontoni in legno e barche da navigazione fluviale. Un giorno Amos tornò dalla Francia per visitare Saul il parentado tutto, ecco quindi celebrar feste con relative mangiate ma soprattutto grandi bevute. Una sera mio nonno ed il fratello vennero ad Alzano, cenarono, e non si fecero mancare una di quelle sane bevute appena citate. Tornando al paese percorsero la stradina del Montecchio, la quale metteva in comunicazione i due paesi. Ora faccio una precisazione, in quei tempi capitava di sovente che gli uomini, incrociandosi ai lati delle strade, vuoi per i fumi dell’alcool, per questioni di donne o per i vari attriti esistenti tra molte delle famiglie locali, spesso la finivano in una bella bega. Quella sera due fratelli originari di Nese si misero ai bordi della strada facendo transitare in mezzo i due fratelli Sonzogni, apostrofandoli con degli sfottò. Mio nonno stava partendo per la rissa, Amos lo fermò, ripresero quindi il loro cammino ma, un pezzo avanti ritrovarono questi altri, i quali usando una scorciatoia s’erano appostati per farli transitare di nuovo nel mezzo. Se la prima volta il nonno Saul ascoltò il fratello, la seconda volta non lo ascoltò per niente ingaggiando una lite tremenda con questi. Saul era dotato d’una stazza non indifferente, cosicché i due fratelli vennero bastonati a dovere, successe però che uno dei due ne prese più dell’altro, e dovette starsene per parecchi giorni fermo a letto.


STORIELLE _ GIOTTO

Il segretario comunale saputo dell’accaduto andò da mio nonno e lo consigliò di fare ammenda e dare tutti i giorni un pezzo di carne al ferito. Saul accettò e, dopo una quindicina di giorni l’uomo fu di nuovo in forma. In aggiunta il segretario comunale si ripresentò da mio nonno dicendogli che per i giorni di lavoro persi l’uomo andava indennizzato, il nonno accettò di mala voglia ma alla fine si convinse dell’utilità di dare un piccolo indennizzo al ferito. Ci fu una cena con il segretario comunale e il fratello del ferito e, al culmine della cena arrivarono le richieste economiche. Probabilmente il Saul le giudicò troppo esose, gli animi si riaccesero ed ergo la trattativa fini in una nuova rissa con bastonatura dell’altro. Quando il fratello tornò a casa il ferito chiese immediatamente quanto avesse sborsato Saul, il fratello riferì: “Non ho preso una lira, ma in compenso ho preso le legnate che non mi ero beccato quella sera, speriamo almeno arrivi la carne”

IL MIO NONNO SAUL (Il primo dei ‘Saul’ capostipite del nome e nonno del mio papà

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STORIELLE _ GIOTTO

I DUE POVERI Mattino ore sette di un mese invernale. Mio padre per contrastare la sua asma cardiaca, in inverno dormiva nella grande cucina, in cui avevamo montato un divano letto. Verso le sei e mezza io e mio fratello Giulio ci alzavamo per andare al lavoro passando prima in cucina per prendere il caffè. Mio padre una mattina uscendo ci apostrofò dicendo: “Ecco due poveri che se ne vanno al lavoro”. lo mi fermai di scatto e gli risposi: “Scusa ma perché dici cosi? Andiamo al lavoro e guadagniamo le nostre paghe, quindi non siamo davvero poveri” Mio padre ci guardò e rispose: “Uno che al mattino sa già quanto avrà guadagnato la sera è un povero” Facemmo e nostre rimostranze, borbottammo uscendo poi per il lavoro. Passando gli anni ho capito cosa significasse il Giotto. Dovete essere indipendenti, provare ad inventarvi un lavoro vostro e non essere sempre comandati dagli altri. Abbiamo ascoltato nostro padre, sia io che mio fratello Giulio abbiamo intrapreso attività autonome. In questo momento di cretinismo collettivo penso a mio Padre, uomo veramente tutto d’un pezzo, come molti degli uomini di cui era popolato il mondo di allora. Dotato di una brillante intelligenza, aveva letto davvero molto, discorrere assieme a lui era una gioia ed uno spasso. Il lunedì ci costringeva all’ascolto dei concerti radiofonici della ‘Martini e Rossi’. Era cattolico ma non bigotto, prendeva delle arrabbiature storiche, durante le quali era meglio starsene alla larga. Era un uomo felice di quello che la vita gli aveva dato, non l’ho mai sentito lamentarsi per tutte le sue tragedie famigliari. Uomini di cui purtroppo, oggi si è perso lo stampo.

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Un momento fa, mentre sistemavo vecchie fotografie, m’è venuta tra le mani una foto di mio padre trentenne. Alto magro con la faccia severa tipica di questi uomini d’altri tempi. Guardandolo mi sono ricordato di un episodio che lo riguardava. Avevo sui vent’anni e preparavo dei documenti per il militare, tra questi necessitavo del certificato penale di mio padre. Vado quindi in tribunale e me lo forniscono. Con grande stupore leggo che per una rissa era stato incarcerato quattro giorni a Clusone. Arrivato a casa chiedo lumi su questo episodio, lui mi guarda e mi dice: “La lite fù causata da una parola data e non mantenuta” “Diavolo non andavi per il sottile” dico.

STORIELLE _ GIOTTO

UN’INCAZZATURA TREMENDA

La sua risposta fu: “Una parola data vale più di una firma, essa va sempre mantenuta, costi quello che costi”. Chiedo perlomeno di raccontarmi i fatti ed egli mi spiega che, al mercato di Clusone, comprò delle pecore da un pastore sulla parola. Durante la mattinata trovò da rivenderle, andò quindi al recinto ma pecore nada. Chiede al pastore il quale dice d’averle vendute lui, incassando più soldi di quelli pattuiti al mattino e rimangiandosi la parola data. Dalle parole ai fatti fu un attimo: “Certo dico io, no devi esserci andato leggero col pastore” Mi guardò calmo e disse: “Ha preso la giusta punizione per la parola rimangiata. Mi hanno arrestato perché il pastore sembrava morto, poi l’indomani stava meglio e dopo quattro giorni mi han rilasciato”. 66


STORIELLE _ GIOTTO

EPILOGO DEL GIOTTO Avevamo lasciato mio padre a maggio del quarantacinque con due figli morti mio fratello Emilio disperso, solo con mia madre e la Nene. Verso la fine di maggio mio fratello Emilio ritorna dal fronte, immaginate la gioia della mia famiglia e del Giotto in particolare. I mesi passano ed inizia la lenta ripresa, come vi ho raccontato nel quarantasei nasco io e nel cinquantuno mio fratello Giulio. Felicità alle stelle, ora la famiglia ora è composta da tre figli, i genitori e la mitica Nene, felicissima nell’ essere alle prese con nuovi figliocci da allevare. Restiamo in collina fino a dicembre del cinquantacinque, poi ci trasferiamo ad Alzano Lombardo nella casa dove abitiamo tutt’ora. Emilio ha aperto un’officina dove ripara frigoriferi, la Ester con la sua motoretta gira le cascine vendendo stoffe, e io e Giulio andiamo all’asilo e a scuola. Il Giotto è l’uomo di casa, cuoco a tre stelle, passano gli anni e alla Nene ormai avanti con l’età è stata affiancata la Cecca, una donna del cortile che aiuta in famiglia. Gli anni passano, la Nene ci lascia, mia madre cessa l’attività, Emilio si sposa, io e mio fratello minore dopo le scuole dell’obbligo iniziamo a lavorare. Giulio è un brontolone ma buono, io sono un poco più scavezzacollo, maniaco delle motociclette, dello sci, del ballo, insomma di tutti i divertimenti. Il Giotto e mia madre lo negano, ma hanno un debole per me, io a differenza di mio fratello li sto ad ascoltare, chiedo loro notizie dal passato, delle varie sciagure famigliari, insomma mi interesso di tutto ciò che riguarda la famiglia. Verso i diciotto anni avevo la moto, mi vestivo bene, correvo appresso alle sottane, mio padre vedeva tutto e ogni tanto mi diceva: “Calmati figliolo, alza il piede dall’acceleratore”.

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Piccola discussione con la Mariarosa, e relativa promessa di rientrare presto. Inutile dire che la promessa veniva sempre disattesa e, tutte le volte che la Mariarosa veniva in casa mia, il Giotto con le dita delle mani faceva segno indicando l’ora a cui ero rientrato. Anni bellissimi, vi ricordate la vendita del comò antico per comperarmi la seicento usata? Ricordo le risate quando accompagnavo papà da qualche parte con l’auto e gli dicevo: “Vedi? Con il tuo comò non s’andava da nessuna parte”

STORIELLE _ GIOTTO

Passato il militare mi sono fidanzato con la fida Maria Rosa: Una domenica pomeriggio l’ho presentata in famiglia, mio padre dopo una serata bellissima prima di accomiatarsi le dice: “Guarda che il Conte alla sera quando lascia casa tua prima che rientri in casa passano ore, quindi controllalo”

Lui scuoteva la testa e diceva: “Conte, a tà set prope u diaol” Giotto mi manca davvero moltissimo, spesso ne parlo con gli amici, racconto loro aneddoti, frasi e comportamenti di mio padre. Nel marzo del 1970 s’ammalò gravemente, lo portammo in ospedale, ma l’asma che ebbe per tutta la vita aveva minato il suo cuore. Un pomeriggio appena pranzato presi la motocicletta e mi recai all’ospedale di Bergamo, era in una camera da solo, entrai piano mi vide mi chiamo vicino e mi disse: “Conte che bella giacca hai” Poi aggiunse: “Fammi un piacere, prendimi un gelato che ne ho proprio voglia” Corsi al bar dell’ospedale comprai il gelato e telefonai ai miei famigliari di venire all’ospedale perché il Giotto stava male. Andai in camera e gli detti il gelato, lo gustò moltissimo e parlammo un poco. 68


STORIELLE _ GIOTTO Giotto nella macelleria di famiglia

Siccome sapeva delle mie future nozze mi disse: “Guarda che la Maria Rosa è una donna in gamba, tienila d’acconto”. Nel frattempo arrivarono tutti i miei famigliari con in testa la Ester. Ci saluto uno ad uno e alla fine disse: “Ora andate pure a casa che resta la mamma a farmi compagnia”. Uscimmo tutti con le lacrime agli occhi sapendo di non vederlo mai più. Spiro tra le braccia di mia madre verso le sette di sera. Fine della vita terrena del Giotto un grande uomo, provato dalla vita, ma sempre con il sorriso sulle labbra, non lo sentii mai compiangersi. Altri tempi, altre storie, altri uomini. 69



STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI 71

NONNA ALFRIDA La nonna Alfrida era mia nonna paterna, purtroppo io non l’ho conosciuta ma la sua persona mi è stata raccontata a fondo da mio padre ed è quasi come se l’avessi conosciuta. Era originaria di Rota Imagna, e del suo paese d’ origine portava il cognome Rota. Come accadde a tantissimi valligiani, verso la metà dell’ottocento anch’ essa scese verso le valli più basse della Bergamasca formando una ben nutrita colonia di Valdimagnini noti in dialetto come ‘Aldemagn’. Caratteristica degli Aldemagn era una ottima competenza nella lavorazione del legno ed uno spiccato senso del commercio, infatti erano queste le attività principali a cui la maggior parte di essi si dedicava. Nel 1880 mia nonna sposa mio nonno Saul vedovo e con un figlio, oltre a prendersi cura amorevolmente del figlioccio scodella altri cinque maschi. Si dice fosse una cuoca eccellente, con mio nonno gestì per decenni un’osteria con annessa macelleria in paese. Allo scoppio della prima guerra mondiale l’Italia chiama molti dei suoi figli alle armi, tra questi pure il figlioccio Emilio che, tenente degli Alpini, muore sul monte Grappa e là venne sotterrato. Ora, se leggendo le storielle siete rimasti un poco confusi vi rincuoro dicendovi che, per un puro caso Emilio è sia il nome del figlioccio della Alfrida che quello della Ester. Capisco che la ripetizione intergenerazionale dei nomi come Saul-Saul e Amos-Amos crea un bel po’ di confusione, ma questo era l’uso del tempo e quindi si tratta di situazioni piuttosto comuni. La guerra finisce ma l’Alfrida non si dà pace per il figlio morto sotterrato lontano da casa, siccome è dotata d’una volontà di ferro prende il figlio primogenito Amos, un milite testimone oculare della sepoltura e con un carretto và fin sul Monte Grappa, per recuperare la salma del figlioccio, al quale era legatissima. Rientrata a Bergamo fece in modo di seppellirlo nel cimitero locale con tutti gli onori che meritava.


STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI

LA NONNA VIRGINIA

Oggi il mio pensiero corre alla nonna Virginia madre della Ester. Faccio partire la storia parte dal mio bisnonno, un Brianzolo manutentore specializzato di macchine tessili. Da Erba si trasferì ad Alzano Lombardo, la terra delle filande, dove questi specialisti erano molto ricercati. La famiglia proliferava ed era composta da numerosi figli, ma purtroppo di li a breve il mio bisnonno morì all’ improvviso lasciando tutta la famiglia nello sconforto oltre che nella miseria. Difatti in quei tempi se ti succedeva una fatto simile erano dolori, nessuno ti aiutava perché la grande maggioranza delle famiglie campava a stento, le pensioni poi erano di là dà venire e quindi era una condanna alla fame nera. Molti dei figli morirono praticamente di stenti, ma la Virginia sopravvisse e, in giovane età sposò mio nonno Cesare Cortinovis, sarto e barbiere con negozio in Ranica. Non era molto alta, con un vero carattere di ferro ed una testina di prima qualità, scodello undici, importante dire che nessuno di essi morì in giovane età, come purtroppo succedeva in quel periodo. Il segreto della Virginia era un alimentazione variata, per quanto possibile alternava sacchi di riso, sacchi di pasta, l’immancabile ed economico latte e verdure basiche tipo cavoli, rape e verze. Tra acrobazie economiche e risparmi vari negli anni riuscì ad acquistare una piccola fattoria sui colli di Ranica dove impiantò una cantina rudimentale che in bergamasco chiamiamo ‘frosca’. Qui si vendeva inizialmente il solo vino della contrada, ma negli anni ella aggiunse anche qualche piatto semplice sia per poter arrotondare che per fornire un servizio ai contadini che venivano a bere. Undici figli quindi, due maschi e ben nove femmine, come potete ben immaginare la sua frosca era frequentata da molti giovanotti attirati da tutto quel ben di Dio femminile. La donna però non era di vedute molto larghe e sulle figlie esercitava un controllo attento e severo, chi le voleva si fidanzava e dopo un fidanzamento non molto lungo se le sposava. In verità le ragazze erano parecchio belle ed andarono a ruba, sposandosi tutte in pochi anni, Fu qui che mio padre sposò la sua prima moglie, che come sapete mori giovanissima per una polmonite e sempre qui prese in moglie un’altra delle figlie della Virginia, cioè mia mamma. 72


Prima comunione Amos


seconda parte

Negli anni in cui le sue ragazze crescevano non è che la Virginia sia stata proprio con le mani in mano. Lavorando tutte le figlie, lavorando mio nonno, e tenendo aperta perennemente la cantina, riuscì con sacrificio ad acquistare alcune proprietà in paese e sul colle di Ranica. Continua imperterrita a maritare le figlie a raffica, ma a causa della prima guerra mondiale alcune dovettero rimandare il matrimonio cosicché alla fine della guerra si verifico un ingorgo risolto brillantemente dalla Virginia facendole sposare a due per volta. Quando si sposavano la donna volendo tenere la proprietà unita liquidava le figlie, cosicché non avanzassero poi delle pretese. Con questo sistema, tutto questo ben di Dio restò in eredità a mio zio Zeffiro, suo primogenito; infatti l’altro figlio Carlo dopo la prima guerra mondiale andò in seminario diventando frate carmelitano, pure il frate ebbe la sua parte con grande felicità del convento. Fra le proprietà di mia nonna una m’ha sempre incuriosito, erano due stanzette in paese vicino alla Chiesa parrocchiale, ho chiesto a mia madre a cosa servissero quelle due stanze, mi disse che servivano per la colazione di tutte noi la domenica. Infatti s’andava alla messa delle sette, poi si faceva colazione, dopodiché s’andava a messa cantata delle dieci, ma siccome la casa era distante dalla Chiesa la Virginia aveva provveduto in quel modo. Durante la prima guerra mondiale scrisse centinaia di lettere per i soldati al fronte per conto delle madri analfabete, era una specie d’istituzione nel circondario e molti venivano sia per la lettura che per la scrittura. Sposate tutte le figlie visse con il figlio Zeffiro, il quale sulle orme materne ebbe dieci figli, la Virginia era la reggitrice, e nella casa comandava lei e solo lei. Come da tradizione anche mio zio ebbe dieci figli, e pure qui nessuno di essi mori piccolo. Se ne andò ultraottantenne ed in poche ore, consumata da un’esistenza super laboriosa. Nel corpetto aveva le buste paga delle nipoti, con le quali la mattina dopo sarebbe andata in paese per saldare i conti ai vari negozi.

STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI

LA NONNA VIRGINIA, DETTA “ BRIANZOLA”

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Famiglia di origine della nonna Virginia


STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI

LO ZIO FRATE Padre Ermanno era fratello di mia mamma Ester ed era l’icona della famiglia Cortinovis. È stato sicuramente l’uomo più umile incontrato nella mia vita, durante i suoi giri di questua veniva a casa nostra, mangiava in modo frugale, poi da buon contadino riposava, intanto mia madre gli riparava le calze rotte ed il saio rigorosamente sdrucito. Era un uomo abbastanza alto con una barba bianca fluentissima, un sorriso a trentadue denti ed una vitalità da stroncare un bue. Girava con una moto Guzzi ‘Galletto’ con applicate sui fianchi due enormi borse di cuoio, nelle quali riponeva le elemosine che raccoglieva nei negozi, dove aveva piazzato migliaia di salvadanai dove la madonna del Carmelo teneva per mano un bimbo, il quale muoveva la testa. lo li ricordo benissimo questi salvadanai piazzati in tutti i negozi della Lombardia. Aveva sempre con sé borse di soldi frutto delle elemosine quando ripartiva mia madre diceva: “Ermanno, comprati delle calze” La risposta era sempre la stessa: “Io le calze le posso riparare, ma questi la fame non la possono far passare con niente da mangiare”

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Cosi alla fine le sorelle gli compravano il necessario per vestirsi. Sposo tutti i suoi nipoti, ma finita la cerimonia non c’era verso di trattenerlo a pranzo. Nominato Vescovo e Priore del convento di Concesa, andò a Roma dai suoi superiori li convinse ad accettare il suo rifiuto all’incarico, rimanendo un semplice frate. Fu bersagliere nella grande guerra, dove patì un congelamento ai piedi, congedato torno a casa, dov’era fidanzato con una ragazza del paese la quale morì di febbre spagnola nell’ anno venti. In quel versante l’uomo, da sempre molto religioso andò in seminario divenendo missionario nel tempo record di cinque anni. Missionario in India, durante la seconda guerra mondiale in quanto italiano fu fatto prigioniero dagli inglesi, alla fine delle ostilità venne liberato ma rimase in India per svariati anni. Morì ultranovantenne dopo una vita passata tra i diseredati. Caro zio proteggici da lassù.


Padre Ermanno bersagliere durante la Prima Guerra Mondiale


Un giovane Emilio Sonzogni


Mio fratello Emilio durante la seconda guerra mondiale venne arrestato perché trovato in giro per il nostro paese durante l’orario del coprifuoco. Dopo due mesi di detenzione, venne arruolato d’imperio nella RSI e mandato in distaccamento nell’Aviazione tedesca. Qui frequentò un corso come pilota di aliante, ma siccome di aerei i crucchi ne avevano pochi, dopo il corso lo misero di stanza in una batteria contraerea. Venne mandato a Rimini lungo la fragile linea di difesa tedesca, e da lì fece tutta la ritirata pressato dalle truppe alleate e dai loro bombardamenti. Parlai con lui migliaia di volte della ritirata lungo la dorsale adriatica, a volte mi diceva che gli aerei alleati erano talmente tanti e volavano talmente alti che non c’era proprio verso di contrastarli con la contraerea.

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MIO FRATELLO EMILIO

Le truppe di terra alleate erano tante e ben armate, infatti l’armata tedesca non fece altro che indietreggiare pressata dagli alleati, logorata e sfinita fino ad arrivare al collasso. Quando le truppe dell’asse arrivarono nel veronese, il comandante tedesco prese i pochi italiani ai suoi ordini e li congedo, dicendo loro d’andarsene a casa. Mio fratello prese quattro stracci da un contadino locale e se ne venne da Verona a Bergamo a piedi, attento a non incappare nei partigiani entrati in azione prepotentemente dopo il ritiro dei tedeschi. Arrivato a Brescia venne fatto prigioniero dai partigiani e rischiò la fucilazione per essere stato un soldato repubblicano e quindi un collaborazionista dei tedeschi. Lo salvò, un vecchio del luogo amico di mio padre che garanti per lui. Finita la guerra si mise in proprio con un laboratorio dove riparava frigoriferi e congelatori. 80


STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI

LO ZIO GUGLIELMO Uno dei fratelli di mio padre si chiamava Guglielmo, ma tutti in paese lo conoscevano come ‘Ol Brancù’ che si potrebbe tradurre in Italiano come pigliatutto. Lo zio era un uomo imponente come quasi tutta la dinastia, il soprannome gli era stato affibbiato per la sua abilità, di concentrare nelle sue mani molte attività. Possedeva una salumeria con tabaccheria, un forno per il pane, distribuiva il latte, era il venditore di legna e carbone, e dulcis in fundo aveva un allevamento di maiali, con i quali confezionava del salame bergamasco eccezionale. La moglie era la zia Bigia, una donna altrettanto imponente, buonissima e generosa, infatti se passavi da casa sua un dolcetto o una golosità non mancava mai. L’uomo ebbe quattro figli tutti impiegati con lui, di questi poi un paio aprirono ulteriori attività nel paese. Mio padre mi diceva sempre che tutti loro fratelli messi insieme non avevano lavorato tanto come lo zio Guglielmo. Durante la guerra da uomo generoso aiutò un poco tutto il paese nel limite delle sue possibilità, a guerra finita aveva due enormi libroni di marcate, ovverosia note di gente che aveva preso merce a credito. Una mattina li sfoglio per bene, passò in rassegna tutti i nomi e alla fine prese i due libri e li getto nel camino acceso bruciandoli. Mia zia gli disse: “Guglielmo cosa hai combinato?” L’uomo rispose: “Cosa vuoi che mi dessero questi per ripagarmi dai debiti, un figlio per caso? ne abbiamo già quattro dei nostri. E poi così in un colpo solo ho riscosso tutto”. La notizia fece immediatamente il giro del paese, molta gente venne a ringraziarlo, chiedendo come potersi sdebitare: “Rimanete miei clienti” disse,

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Mori vecchio con il suo mitico mezzo toscano incollato alle labbra, Ricordo che al suo funerale la gente era talmente tanta da non stare tutta in chiesa.


Guglielmo seduto tra i fratelli (Giotto primo da sx)


Ester e Nene


Ieri sera come per incanto mi sono trovato nel pensare alla Nene, la donna che ci ha allevato. Dopo la grande crisi del ventinove, mio padre andò con il fratello Lotto in Argentina. Tra l’asma di cui soffriva ed il clima umido, stava veramente male. Fu così che dopo un anno di sofferenze non ebbe altra possibilità che ritornare in Italia. Quando mio padre comperò il bar a Nese, la Nene già vi lavorava, era una donna minuta, colpita nella parte destra del corpo da una paralisi infantile. Quando mio padre prese possesso del bar la Nene chiese: “Ora che Lei ha comprato il bar me ne dovrò andare” Il Giotto rispose: “Resti pure se vuole Elisabetta che qua nessuno la manda via”.

STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI

LA NENE

Mio padre vedovo si risposò con la Ester, da lì in avanti cambiò attività, cambiò casa e pure paese, ma la Nene rimase sempre con la nostra famiglia aiutando mia madre nella gestione della casa e dei figli. Cessate tutte le attività si trasferì con la nostra famiglia nella casa attuale, dove visse felice servita e riverita gli ultimi anni della sua lunga vita. Ora sapete che il Giotto era un uomo buono e generoso, ma afflitto da un grandissimo difetto che qui chiamerò Semplicemente ‘L’ incazzatura’. Quando ne era colpito bisognava girargli alla larga, ma l’unica persona che, passata la rabbia potesse dire la sua era la Nene, la quale spesso gli dava torto. Sono stati insieme un cinquantennio, si sono sempre dati del lei, sia con lui che con mia madre. Ricordo le storie incredibili che ci raccontava prima di dormire, erano una vera bellezza, alcune erano tenebrose e quando la paura ci assaliva ci stringevamo forte a lei. Il suo più grande dolore, fu la morte di mio fratello Saul, causata da una meningite fulminante, infatti nelle preghiere serali una speciale per Saul non mancava mai. 84


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LA ZIA GUGLIELMA La zia Guglielma era una delle tante sorelle di mia madre, è stata la zia alla quale ero più legato, infatti per vari motivi ero sempre a casa sua. Lei abitava in centro al paese di Ranica e la Ester con tutte le sue attività faceva capo alla casa della sorella. Questa mia zia aveva alcuni anni più di mia madre ed era totalmente diversa sia caratterialmente che fisicamente. Mia madre era alta bionda naturale e sottile, la zia era scurissima con capelli nerissimi un poco meno alta, ma dotata di fianchi, sedere e seno adeguati ai giunonici canoni di bellezza di quegli anni. i vecchi del paese quando mi parlavano di questa mia zia alzavano gli occhi al cielo per indicarmi quanto era bella. Anche della Ester dicevano che era bella, ma decisamente troppo magra, ora avrebbe fatto l’indossatrice ma allora erano di moda altri tipi di donne. Questa mia zia si sposò con mio zio Moretti, in assoluto l’uomo più bello e prestante che io abbia mai visto. Sembrava una statua tanto era perfetto, ebbero otto figli uno più bello dell’altro. Infatti in paese per indicare uno di bella presenza molti dicevano: ”l’è bel come ù Moret”. Rimasta vedova presto la Guglielma non si pianse addosso, infatti dette inizio all’attività di riparatrice d’ombrelli. In quei tempi buttare un ombrello rotto corrispondeba ad un sacrilegio, come per molti altri oggetti se ti si rompeva una bacchetta o la fodera andavi dalla Guglielma la quale te lo riparava per pochi denari. Allevò tutta la sua famiglia, mori anziana circondata dall’affetto di tutto il paese, io come suo figlioccio la ricordo sempre con grande affetto, ero l’unico autorizzato a chiamarla ‘Gugli’.

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Quando la mia famiglia abitava a Ranica, i nostri vicini di casa erano i Pacati, una famiglia di montanari scesi da Lizzola in alta val Seriana negli anni trenta. La famiglia era composta da padre, madre e cinque figli, più la vecchia nonna Giovannina. Ad un certo punto la madre morì e restarono i figli tutti piuttosto piccoli e tutti accuditi alla meglio dalla nonna. Il padre Daniele dopo molti dinieghi sposò la Cleofe, la quale si caricò sulle spalle tutto quel fardello di gente. Oltre alla dote di figli del Pacati la donna aveva con sé un figlio adottivo, generato da una sua sorella morta in Francia anni prima. Mi ricordo le donne della contrada, le quali dicevano: “Quella donna è proprio matta per sobbarcarsi una famiglia del genere”

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LA SIGNORA CLEOFE E LA FAMIGLIA PACATI

Ma la Cleofe non era assolutamente matta e pian piano prese le redini della famiglia, cambiò il modo di vivere di questi montanari trasformandoli completamente. Nuovo era il modo di nutrirsi, di vestirsi, e dello stare con la gente, in effetti i Pacati erano un poco selvatici pure ai miei occhi che non ero di certo un Lord. Con gli anni la famiglia crebbe e prosperò, diventando alla fine proprietaria di quasi tutta la collina, le figlie si sposarono compreso il figlio adottivo di nome Maurj, nato in Francia. Questo figlio fu la gioia più grande della Cleofe, si sposò con la ragazza più bella del paese e divenne un grande capomastro. Poi piano piano la grande casa si svuotò e lei rimase sola con Daniele ed il figlio ultimo Andrea. Mori anziana, circondata dal rispetto e l’ammirazione di tutti. Memorabili i racconti di morti che non stavano sotterrati e dei dannati, quando uscivo da casa sua la sera avevo una paura tremenda, correvo come un gatto pur d’arrivare a casa veloce e non imbattermi nel dannato. E regolarmente il giorno dopo ero di nuovo dalla zia Cleofe per farmi raccontare un’altra storia. 86


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RIPERCORRENDO IL CAMMINO DEI MIEI AVI Ieri mattina dopo avervi salutato ho inforcato la mia Guzzi V7 e con la Maria Rosa ci siamo incamminati alla volta del Passo di Ca’ San Marco, seguendo idealmente il percorso della via Priula. Questa via fu costruita per volontà dell’allora governatore veneto di Bergamo Priolo, il suo percorso metteva in collegamento la Serenissima con la Svizzera passando da Bergamo e poi lungo tutta la via di confine. Di importanza strategica per Venezia permetteva uno scambio di merci fluido e spedito con tutto il centro e nord Europa. Anche per la mia famiglia questa strada ricopre un’importanza fondamentale, infatti tra le numerose popolazioni del triveneto anche i miei antenati si trasferirono nei secoli passati da Venezia a Bergamo, per iniziare commerci con i vicini cantoni Svizzeri. Quando durante le belle giornate arrivi al culmine del Passo di Ca’ San Marco, lo spettacolo è davvero grandioso, sulla tua destra puoi vedere la valle Brembana, a sinistra l’ amplissima Valtellina e tutto intorno a tè verso nord una vasta porzione di Alpi a far da sfondo. Spuntino al rifugio, dopodiché una discesa nella Valle Brembana, fino al paese di S. Giovanni Bianco, dove invece della direttrice principale imbocchiamo una stradina che porta a Fuipiano al Brembo, passando per Alino e poi con una vorticosa discesa si arriva dritti a S. Pellegrino Terme. Meta obbligatoria qui è sicuramente la pasticceria del Bigio con le sue inimitabili paste ed i famosi biscotti. Dopo il ristoro via di corsa verso casa, valicando Selvino e scendendo da Nembro. Il viaggio come tanti fatti con la moto è stato bellissimo ed impegnativo, quando si hanno compagni di viaggio come la mia Mariarosa e cavalli marcati Moto Guzzi il successo è assicurato.

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Saul con Amos e Ruben


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RICORDANDO WALTER A DUE ANNI DALLA SUA SCOMPARSA Oggi per me è una giornata triste, è morto l’amico Walter, mio compagno di classe ma soprattutto mio vicino di casa dalla nascita. La sua famiglia abitava sulle colline di Ranica come la mia, e tutte le mattine ci aspettavamo per andare a scuola. Il gruppo si infoltiva man mano che scendevamo la valle, la distanza era di circa due chilometri e di scuola bus manco se ne parlava, una bella sgambata ma eravamo felici di farla e io e il Walter in genere camminavamo assieme. Come il sottoscritto anch’egli è stato allievo del mitologico Orazio Santini, un maestro vecchio stile di origine mantovana, buono ma severo, se disturbavi o eri distratto distribuiva generose bacchettate sulle mani. Inutile dirvi amici che sia io che il Walter eravamo vivaci e bacchettate ne abbiam prese parecchie. Finite le elementari ha fatto il garzone in diverse officine meccaniche, poi lavorando in una carpenteria è divenuto un saldatore provetto, in quella professione era un’autorità, infatti la natura l’aveva dotato di un braccio eccezionale, adatto per fare saldature in posizioni difficilissime. Per queste qualità una società multinazionale l’aveva assunto mandandolo a lavorare soprattutto in Africa nella costruzione di oleodotti, che per trasportare il greggio necessitavano saldature davvero perfette. Lavoro duro e difficile, ma che gli permise di guadagnare bene, sposarsi e metter su una bella famiglia in un paese poco distante dal nostro. Non ci incontravamo frequentemente, ma quando accadeva era tutto un rammentare i bei tempi andati…e ovviamente le bacchettate prese dal maestro Santini.

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Ora Walter è andato avanti, ciao amico mio che la terra ti sia lieve


Da quando la mia famiglia si trasferì ad Alzano Lombardo nel cinquantasei, ho sempre abitato in centro al paese, i miei amici erano tutti ragazzi dei portoni adiacente il mio, ma siccome il mio cortile era il più grande ci si riuniva sempre lì e tra tutti questi amici c’era pure il Tino Ceruti. Abitava a cinquanta metri da casa mia, suo padre era un super operaio elettricista ed infatti quando c’era un problema di elettricità la frase ricorrente era ‘Ciama ol Ceruti’. L’uomo arrivava con la sua cassetta degli attrezzi ed in poco tempo tutto riprendeva a funzionare. Tino aveva la mia Stessa età, ma era diverso da tutti noi, in inverno portava un cappotto color cammello con il colletto di pelo, sotto il cappotto giacca e cravatta da vero commendatore. Arrivati a diciannove anni giunse la cartolina per la visita militare, assieme al Tino ed agli altri coscritti prendemmo il treno e tutti insieme ci recammo a Brescia. Il Tino sembrava un Lord tanto era ben vestito, aveva un pochino di pinguedine, portava capelli biondi corti con una leggera stempiatura ed in mezzo a tutti noi sembrava l’ unico vero uomo. Arriviamo alla caserma, ci mettono tutti in fila, il tenente vedendo pure Lui nella fila dice: “Il signore può evitare la fila”

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IL TINO CERUTI

Probabilmente vedendolo così distinto si convinse che fosse un giovane genitore e che accompagnasse un figlio. Io da maledetto dico: “il signore non accompagna nessun figlio, è stato in Svizzera e veste elegante ma è qui per la Naja pure lui” Inutile dirvi le risate e gli sfottò rivolti all’amico Tino che mesto se ne rientrava nella fila di futuri soldati. Restammo sempre ottimi amici, poi lui si sposò andando via dal paese. Poi un brutto giorno arriva la notizia che Tino era morto in un’incidente sul lavoro, fu un giorno tremendo, infatti persi uno dei miei più cari amici d’infanzia. 90


STORIELLE _ SONO ANDATI AVANTI

SPOON RIVER OROBICA Ieri mattina sol soletto ho deciso di fare una visita al cimitero del nostro paese per salutare i miei cari. Come da consuetudine la prima tomba visitata è stata quella di mia madre Ester. Nella fotografia della lapide è ritratta bella e sorridente, esattamente com’era nella vita, guardandola ho ripensato a tutto il bene che questa splendida donna m’ha voluto, ed a tutto quello che m’ha insegnato. Poi sono stato alla tomba di mio padre, come si addiceva agli uomini del tempo è ritratto con un viso severo, ma conoscendolo e sapendo tutte le opere di bene che nella sua vita ha fatto questo viso penso non gli si addiceva. A differenza di mia madre schietta e di impostazione familiare più rigida era una persona molto sottile ed ironica. capiva al volo le idee a volte bislacche di un giovane furbastro qual’ ero io, dispensava consigli sotto forma di frecciatine e spesso e volentieri riusciva a indovinare le mie parole o prevedere le mie reazioni. Finita la visita ai miei cari ho fatto un giro lento per il camposanto guardando moltissime tombe, tantissime di queste persone le ho conosciute, ci ho parlato, discusso, giocato a carte e riso. Girando il mio pensiero è corso direttamente al libro dello scrittore americano Edgard Lee Masters ‘Antologia di Spoon River’. In questo racconto girando tra le tombe del cimitero in cui erano sepolti i suoi paesani ricorda tutte le tipologie di uomini; il buono, il violento, il povero, ed il ricco, tutti differenti in vita ma alla fine messi tutti al medesimo livello. Credo che a tutti noi ogni tanto una visita al cimitero del nostro paese farebbe bene perché ricordando chi non c’è più possiamo ridare un senso diverso alla nostra vita ed apprezzare le piccole cose che rendono felice l’esistenza.

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Saul e Mariarosa

Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura di questo libro, A mia madre Mariarosa per la tenacia con la quale lo ha voluto, Ad Amos per le correzioni ed a Giulio Sonzogni per aver guardato indietro nel passato e fornito spunti sul vissuto nonchè parecchie delle foto più vecchie. A Ludovico Sonzogni per l’iniziale razionalizzazione dei testi e Paolo Biava per l’inimitabile supporto grafico e creativo









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