Francesca Valsecchi V Linguistico
IL TEMPO CHE SCORRE E LA MEMORIA COME STRUMENTO DI RICORDO
iSchool 2012-2013
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Indice
4. Mappa concettuale 5. Introduzione 6. Filosofia Henri Bergson 10. Francese Marcel Proust 14. Italiano Italo Svevo 18. Inglese Virginia Woolf 23. Fonti
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Mappa concettuale
Filosofia
Francese
Henry Bergson: “Materia e memoria”
Marcel Proust: “Dans une tasse de thé”
IL TEMPO CHE SCORRE E LA MEMORIA COME STRUMENTO DI RICORDO
Inglese
Italiano
Virginia Woolf: “To the lighthouse”
Italo Svevo: “La coscienza di Zeno”
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Introduzione
Il tempo che passa corrisponde allo scorrere della vita, al passaggio di momenti, di attimi, che ormai sono stati vissuti e non torneranno più; senza la dimensione temporale, nulla avrebbe senso. Cercando il significato di questo termine sul vocabolario, possiamo vedere che esso è “quella dimensione nel quale si concepisce e si misura lo scorrere degli eventi”. Ognuno di noi potrebbe dare una propria definizione di tempo, a seconda del proprio modo di pensare e delle proprie esperienze. Il tempo che scorre porta via con sé tante situazioni, tante esperienze: alcune di esse vengono cancellate per sempre dalla nostra mente, altre rimangono fisse nella nostra memoria. Alcuni momenti si ricordano con più facilità, forse perché più piacevoli e significativi, forse perché nella nostra vita c’è sempre qualcosa o qualcuno che ci rimanda ad essi; altri vengono rimossi, forse perché siamo noi che cerchiamo in tutti i modi di cancellarli, anche se non è facile. Le esperienze meno piacevoli o che hanno lasciato un segno indelebile in ciascuno di noi sono quelle che riaffiorano prima alla nostra memoria. È proprio grazie alla nostra mente che siamo in grado di ricordare...la memoria non ci impedisce di dimenticare quello che lo scorrere del tempo porta via con sé e non ci ridà più. Nel tentativo di comprendere cosa fosse in realtà il tempo, molti autori nel corso della storia si sono impegnati nel dare la propria visione di questo argomento; conseguentemente, per ricordare gli avvenimenti che hanno caratterizzato il nostro passato, gli storici hanno colto gli avvenimenti, anche quelli più tragici e appunto “indimenticabili”, che ora si trovano sulle pagine dei libri o vengono raccontati in filmati. La tematica “Tempo e memoria” mi ha sempre affascinata. Il tempo che scorre mi ha permesso di crescere, di capire i miei errori e di imparare. Il ricordo mi permette tuttora di pensare, di riflettere e comprendere, ma soprattutto di non dimenticare nulla, sia momenti spiacevoli sia momenti felici. È attraverso la spiegazione di alcuni autori e di alcuni argomenti particolari che posso evidenziare questa tematica. Il tempo si può dire che acquisti una indeterminatezza che lo scrittore o l’artista colgono in chiave soggettiva, mostrando il fluire del tempo come “vissuto” psicologico dei propri personaggi, come sequenza non cronologica, ma associativa, in chiave psicanalitica, come punto di domanda a cui cercare un significato. Su tale problematica si basa la tecnica narrativa dello Stream of Consciousness, realizzata in alcune opere di Virginia Woolf, come in “To the lighthouse”. Questa tecnica consiste nel libero accostamento di parole e di immagini, di ricordi ed impressioni, così come essi emergono dal nostro inconscio, senza successione cronologica né tantomeno logica: è una traduzione immediata in parole del nostro pensiero non razionalizzato. Questa innovativa tecnica narrativa si basa sulle nuove concezioni del filosofo Henri Bergson, secondo cui la memoria è indipendente dalla materia, definita come una dimensione dello spirito, ed è la vera facoltà del conoscere, la facoltà dello spirito non situabile nel cervello, di natura completamente diversa dalla percezione. Proust, autore francese, si riferisce esplicitamente al concetto di durata e di dimensione coscienziale bergsoniano: egli si rifà al recupero della memoria del passato, suscitato da associazione di idee in non-successione cronologica., mentre Italo Svevo si attiene ad un linguaggio narrativo più tradizionale, recuperando, però, le memorie di Zeno in ordine non cronologico ma tematico. 5
Filosofia Henri Bergson
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«L'io vive il presente con la memoria del passato e l'anticipazione del futuro. Fuori dalla coscienza il passato non è più e il futuro ancora non è. Passato e futuro possono vivere soltanto in una coscienza che li salda nel presente.» (H. Bergson)
Nato a Parigi nel 1859 da famiglia ebrea, Henri Bergson è un filosofo di notevole preparazione scientifica. Il filosofo, durante i suoi studi di meccanica e fisica, si rende conto che il concetto di tempo, inteso come dimensione psicologica del vissuto, richiede concetti diversi da quelli usati per lo spazio. Alla concezione tradizionale del tempo, pensato come successione indefinita di istanti omogenei e uniformi, sia pure distinti gli uni dagli altri, Bergson contrappone una concezione differente, nella quale il tempo è una successione di stati qualitativi della coscienza, diversi gli uni dagli altri, ma anche intimamente connessi tra loro. A questa rappresentazione del tempo, egli dà il nome di “durata reale” e per lui, solamente questo modo di concepire il tempo è in grado di spiegare la temporalità propria dell’ambito biologico, cioè i fenomeni della vita. Nel “Saggio sui dati immediati della coscienza” del 1889, osserva che nella meccanica il tempo è trattato con le stesse coordinate con cui è trattato lo spazio, e che questa confusione tra la durata e l’estensione va risolta. Per il filosofo, ci sono fenomeni che non occupano spazio, ma che ci si ostina tuttavia a voler conoscere in termini spaziali: questo è il caso dell’intensità degli stati psicologici. L’intensità di un’emozione o di un sentimento non è un fenomeno quantitativo, ma l’aumento di intensità di un dolore o di una gioia, è il loro progressivo penetrare in tutti gli aspetti della nostra soggettività provocandone un cambiamento qualitativo. Per Bergson, lo spazio e il tempo sono analizzati come due forme distinte di molteplicità. Nella molteplicità spaziale le unità si danno nell’esteriorità dello spazio geometrico, sono simultanee, ripetibili; la molteplicità temporale invece, è un fenomeno completamente differente in quanto è interno alla coscienza, dove i suoi elementi si danno in una successione continua. Il tempo è una dimensione creativa, il tempo è invenzione, è continuità nella quale il passato coesiste, contratto, nel presente, dove il tempo spazializzato, quello dell’orologio, si rivela del tutto inadeguato per rappresentare la durata. In “Materia e memoria” del 1896, egli analizza il rapporto tra percezione e conoscenza, le quali per lui, sono diverse per natura.
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La psicologia positivistica considerava il pensiero come una funzione del cervello, mentre la teoria opposta, sosteneva che mente e cervello sono la stessa cosa vista da prospettive diverse. Bergson critica entrambe le teorie, e il suo intento è quello di dimostrare l’esistenza di una dimensione spirituale indipendente da quella fisica, ma legata ad essa da complesse modalità. Allo stesso tempo, intende dimostrare l’esistenza reale della materia e dello spirito, il loro rapporto e la loro differenza. Noi conosciamo il mondo come un insieme di immagini che supponiamo derivare da una realtà separata da noi; con queste immagini noi interagiamo mediante il nostro io, che per un verso è esso stesso immagine (aspetto materiale), per un altro è invece memoria, ricordo. Quindi da un lato sentiamo le cose e agiamo su di esse mediante il corpo, dall’altro abbiamo una dimensione indipendente dalle cose, la coscienza. Queste due polarità sono la percezione e la memoria. Il rapporto con le cose avviene mediante la percezione in modo attivo, come azione tesa a modificare la realtà, la dimensione della coscienza, invece è studiata a partire dall’analisi della memoria. La struttura della memoria è assai complessa, Bergson individua in essa diverse dimensioni: alcuni dei nostri ricordi sono infatti coscienti e di essi ci serviamo per interagire immediatamente con la realtà. Della maggior parte dei ricordi invece non siamo consapevoli e riemergono solo in determinate circostanze; essi conservano tutte le nostre esperienze passate e il loro insieme costituisce la nostra coscienza. Bergson definisce questa dimensione ricordo puro, indipendente dal ricordo che evochiamo in vista dell’azione, dove tra la percezione e il ricordo puro si situano i ricordi-immagine, cioè i ricordi utilizzati per agire sulle cose. Essi hanno quindi una funzione pragmatica, mentre il ricordo puro costituisce la coscienza e l’individuo stesso. La nostra vita psicologica si colloca quindi in regioni intermedie della pura percezione e del puro ricordo, dove l’individuo percorre diversi piani psichici a seconda delle attività che svolge e degli stati di coscienza. L’attività artistica è ad esempio maggiormente legata alla coscienza profonda, al ricordo puro, mentre l’abitudine, l’attività quotidiana è orientata al piano della realtà, in quanto di volta in volta vengono selezionati i ricordi utili per l’azione.
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Bergson inoltre dimostra l’indipendenza del ricordo puro dal cervello analizzando le lesioni cerebrali, che inibiscono il ricordo ma non lo cancellano, notando infatti che sono numerosi i casi di amnesie anche ampie, relative a interi periodi dell’esistenza, alle quali non corrisponde nessuna lesione cerebrale. Quindi mente e cervello sono distinti. La prima è memoria, ricordo puro; il secondo viene visto come strumento dell’azione, come filtro che seleziona i ricordi-immagine per utilizzarli nel quotidiano. Bergson, però, sottolinea che la percezione si presenza come una sintesi di percezione pura e ricordo puro, essa è intrisa di ricordi, non è una semplice reazione meccanica a uno stimolo e sono la percezione e l’attività del cervello tesa all’azione a far risalire i ricordi dall’inconscio conferendo loro efficacia. In questo modo risulta spiegato il rapporto anima/corpo o mente/cervello: tra essi c’è un continuo dialogo grazie ai ricordi-immagine, il cervello attinge dalla memoria i ricordi utili per agire sulla realtà e i ricordi diventano coscienti trasformandosi in immagini che si esprimono nella percezione. La memoria quindi, è indipendente dalla materia, definita come una dimensione dello spirito, è la vera facoltà del conoscere. Per Bergson, conoscere è ricordare; la memoria non è situabile nel cervello, è una facoltà dello spirito, di natura completamente diversa dalla percezione. Con la percezione siamo nel campo della materia, dello spazio, della molteplicità esteriore, in cui contano le differenze di grado e non di natura; con la memoria siamo invece nel campo dello spirito, della molteplicità fondata sulla continuità, la creatività, la durata. In ogni punto del presente è vivo, contratto, tutto il mio passato: è cioè presente in tutte le sue vicende in modo sintetico, inconscio. Ogni punto del tempo è sempre nuovo: presuppone tutto il mio passato con tutta la ricchezza di esperienze. Per questo motivo il tempo ha carattere innovativo e non è possibile in esso la ripetizione: ogni attimo si aggiunge ai precedenti arricchendoli e innovandoli, rendendo ogni presente irripetibile; la memoria, portatrice del passato, è la leva che porta il futuro come novità. L’accumularsi dei ricordi non è tendenza alla conservazione, ma luogo di nascita del nuovo, del futuro.
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Francese Marcel Proust
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« Il en est ainsi de notre passé. C'est peine perdue que nous cherchions à l'évoquer, tous les efforts de l'intelligence sont inutiles. Il est caché hors de son domaine et de sa portée, en quelque objet matériel (en la sensation que nous donnerait cet objet matériel), que nous ne soupçonnons pas. Cet objet, il dépend du hasard que nous le rencontrions avant de mourir, ou que nous ne le rencontrions pas. » (Marcel Proust, “Du côté de chez Swann”, ch. I)
Passionné de philosophie sur les bancs du lycée, Marcel Proust a approfondi la pensée d’Henri Bergson, qui est aussi un parent éloigné de sa mère. En effect, écho de la philosophie de ce philosophe, le sujet du temps et de la mémoire est central dans l'oeuvre proustienne. La mémoire permet de récupérer le passé, autrement condamné à une consommation inéxorable, où le temps passe très vit et il contribue à structurer l'identité du moi et de la conscience. Au-delà de la mémoire volontarie, qui dépend de notre volonté, Proust souligne l'importance de la mémoire involontaire, c’est-à-dire la mémoire qui est indipendente de notre volonté. C’est une mémoire immédiate, où le passé surgit à l'imprévu, à travers des sensations comme par exemple les couleurs, les odeurs, les goûts, où tous les détails d’un passé loin affleurent à la surface, en frappant la sphère inconsciente et ses pulsions profondes. La restitution du passé atteint la perfection à travers le mot et l'art, capable de fixer depuis le temps dehors les différentes sensations. L'art, en absence d'autres valeurs, c'est la seule possibilité de sauver l’homme, condamné à la solitude et à la perte, donc c’est le seul moyen capable de donner une image globale du vrai. Son oeuvre “À la recherche du temps perdu”, faite de cycles, de réminiscences, d’allers-retours entre le présent, le passé et le futur, mais c’est aussi une chronique des transformations de la société française en une cinquantine d’années. Proust scrute en psychologue les usages et les tics de la société qu’il connaît depuis son enfance: la bourgeoisie snob, l’aristocratie parisienne, la société mondaine, riche, close et dominée par des femmes, sont analysées avec une bonne dose de cruauté et d’ironie. Dans la philosophie de Proust il y a aussi l'amour, mais malgré une gamme ample de manifestations, c’est un amour patologique, c’est-à-dire que quand il possède une femme, l’amour fait place à la jalousie et donc l’amour pour Proust c’est seulement souffrance.
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L’auteur dans cette oeuvre, a compris que la vie ne s’entend pas dans le moment dans lequel on la vit, tandis que le souvenir, filtré par la méditation, même la contemplation devient encore la pause d'un passé tout à vivre. Proust ne se demande pas, comme les symbolistes, ce que les choses veulent signifier, mais qu'il y a dans elles. Le moi s'empare des événements, il les filtre dans la mémoire et ils se rencontrent avec le "flux de conscience" qu'il unit à la réalité des choses. Dans une ouverture interprétative multiple, il récrée des personnages et des choses en les confiant de nouveau à la vie intérieure aussi bien de l'auteur que du lecteur. Ces personnages comme Swann, Odette, Robert de Saint-Loup, Albertine, la duchesse de Guermantes deviennent les camarades de rue de qui dans le Recherche redécouvre la vie. L'importance de l'oeuvre de Proust ne va pas cherchée dans la description des changements de la société française, mais dans le développement psychologique des personnages et dans la philosophie qui sous-tend l'emploi révolutionnaire des catégories temporelles. En ce qui concerne le protagoniste, Proust est à la recherche de vérités éternelles, des souvenirs enterrés qui peuvent être reportés à la lumière des expériences quotidiennes, de la beauté de la vie à lequelle on peut parfois accéder à travers l'art qui est apte à nous rouvrir les yeux aveuglés par la coutume. La dimension temporelle est interprétée par Proust à la lumière des théories bergsoniennes comme la flux constant, comme coexistence, avec un égal degré de réalité, de passé et de présent. Proust revit et interprète tout une série de vicissitudes et de moments, partiellement autobiographiques et partiellement relatifs à l'aristocratie, à travers de soudaines interventions de la mémoire involontaire. Il en dérive une succession continuelle d’un réalisme méticuleux et de digressions lyriques et un bouleversement incessant de l'ordre chronologique. Le narrateur décrit sa propre enfance, la découverte de la société à travers la mondanité de Swann et la noblesse hautaine des Guermantes et du Fauburg Saint-Honoré; d'ici l'intention de l'auteur d'écrire une oeuvre qu'il renferme le mystère de cette transformation. De “Du coté de chez Swann” à “Le temps retrouvé”, le parcours est long et pour exprimer ses conceptions philosophiques et esthétiques d’une manière adéquate, Proust doit créer une nouvelle manière d'écrire, il doit chercher de dépasser les formulaires objectifs des réalistes et des naturalistes en gravant à la page un dynamisme subjectif fort, à l'intérieur duquel les personnages, les milieux, les choses deviennent les symboles d'événements simplement intérieurs. Et pour faire cela, il utilize un son style avec ses volutes et ses dilatations amples et concentriques, où les phrases sont longues et complexes.
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Dans le premier tome de son ouvre “Du côté de chez Swann” (1913), il y a un épisode très important intitulé: “Dans une tasse de thé” qui raconte un moment bien heureaux de son enfance. Le passé de Proust déferle dans son présent de manière tout à fait inattendue, sans une apparente logique, simplement à travers quelques miettes immergées dans une tasse de thé fumant. Dans cet episode, l'odorat et le goût ont un rôle fondamental pour la mémoire et pour le recouvrement des souvenirs, en effet ces deux sens sont les seuls directement unis à l'hippocampe qui c'est le centre de la mémoire à long terme et il s'agit de perceptions intimes et difficilement Pierre-Auguste Renoir, La tasse de thé, 1907 condivisibles. Tous les autres sens sont élaborés par contre par la chambre nuptiale qui est la source du langage, et leurs traces sont plus éphémères et moins capables de rappeler le passé. En mangeant une petite madelaine avec du thé, Marcel se rappelle du dimanche matin chez sa tante Léonie à Combray où il revit son enfance. Dans ce cas donc il s'agit de la mémoire involontaire, c'est à dire associer à une sensation du présent un souvenir du passé, qui le porte dans un état de bonheur et presque d'extase qu'il tente de comprendre et de déchiffrer. Donc le hasard a une valeur considérable, car il permet de récupérer des images et des sensations authentiques comme l'endroit des vacances de son enfance, ne passant qui à travers une tasse inoffensive de thé.
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Italiano Italo Svevo
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« Avviene di ricordarsi con più fervore del passato quando il presente acquista un importanza maggiore. » (dal libro "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo)
La nascita di Italo Svevo a Trieste, città che fece parte fino al 1918 dell’Impero austroungarico, è un fatto di importante rilevanza per questo autore, che appare sin dalla sua formazione positivamente condizionato sia dalla grande cultura mitteleuropea (da autori come Schopenhauer, Nietzsche, Freud e Kafka, i quali indagavano l’io ed erano interessati all’inconscio), sia dalla cultura che caratterizzava il nord Italia. Lo pseudonimo stesso di Italo Svevo, il cui vero nome è Ettore Schmitz, rivela la duplicità culturale dello scrittore, per metà italiano e per metà invece tedesco. Nel 1891 scrive “La vita” e nel 1898 “Senilità”, che però non gli procurano successo. I motivi di questo insuccesso sono essenzialmente due: il primo è sicuramente il fatto le opere sono scritte in un italiano sciatto, trascurato in quanto Svevo non è madrelingua italiana; il secondo motivo è attribuito al tema. In questi componimenti infatti, il nucleo tematico cardine è la vecchiaia, che contrapposto al panismo dannunziano, non viene apprezzato dai lettori. Il tema che troviamo quindi, è quello della noia di vivere, dove il protagonista di “La vita” Alfonso Nitti è il prototipo dell’inetto sveviano che alla fine si suicida, il quale conduce una vita noiosa, grigia, monotona, è un perdente che si lascia vivere e rappresenta dunque il fallimento. Come anticipato in precedenza, grazie alle correnti culturali europee, Svevo sviluppa un interesse particolare per la psicoanalisi, in relazione all’attività di divulgazione del freudismo del dottor Weiss, uno psicanalista che operava nella città nativa dell’autore. La conoscenza della teoria freudiana è alla base della Coscienza; il titolo del romanzo riflette sulla consapevolezza da parte di Svevo del suo carattere sperimentale che lo distingueva dalla produzione italiana del suo tempo, oppure può anche significare “coscienza morale”. È grazie alla “Coscienza di Zeno” del 1923, che Italo Svevo viene rivalutato anche grazie all’amicizia istaurata con lo scrittore inglese James Joyce. L’autore, dopo un soggiorno lavorativo in Inghilterra, inizia a prendere lezioni di lingua inglese alla Berlitz School. Il capolavoro “La coscienza di Zeno”, steso tra il 1919 e il 1922, viene inviato a Joyce, che allora abitava a Parigi, il quale si impegna a far conoscere l’opera ai critici francese che lo accolgono con grande interesse ed entusiasmo. Questo romanzo modernista è vicino ad opere come: “À la recherche du temps perdu” di Marcel Proust, all’“Ulysses” di James Joyce, a “To the Lighthouse” di Virginia Woolf. In queste opere, il tempo viene scandito dalla nostra coscienza, dove è importante quanto un evento abbia influenzato la nostra coscienza rispetto al tempo.
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Quest’opera di Svevo, non è un’autobiografia, ma è la narrazione del decorso di una malattia, della nevrosi del protagonista Zeno Cosini. Egli trascorre la vita in uno stato di perenne irresponsabilità, impegnato ad analizzare la sua malattia e a studiarne i sintomi, giudicando negativamente la cura che gli è stata proposta dal suo medico curante, il dottor S., che come spiegato nella Prefazione, induce il paziente a scrivere una storia della sua malattia. Il dottor S., attraverso questo metodo, spera di curare Zeno, ma fallisce, in quanto il paziente abbandona il trattamento e la cura. In conseguenza di ciò, il dottor S., promette di pubblicare il memoriale del paziente “per vendetta”. Più che la storia di una malattia, “La coscienza di Zeno” è pertanto la storia del rifiuto della guarigione, in cui non solo il singolo individuo è malato, ma la stessa vita è malata, è inquinata alle radici, dominata da un mondo caotico, in preda alla follia autodistruttiva della guerra, dove gli ordigni sono costruiti dall’uomo. Italo Svevo quindi, rifiuta quindi di aderire totalmente al sistema teorico di Freud, nel senso che accetta la psicoanalisi come tecnica di conoscenza, ma la respinge sia come ideologia, sia come terapia medica. Il rifiuto della psicoanalisi come terapia rivela nell’opera“La coscienza di Zeno”, una difesa dei diritti degli “ammalati” rispetto ai “sani”. La nevrosi per l’autore, è anche segno positivo di non rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi della società, la quale impone lavoro e obbedienza alle leggi morali, che in questo modo sacrificano la ricerca del piacere. L’ammalato è colui che non vuole rinunciare alla forza del desiderio, dove la terapia lo renderebbe più “normale”, ma ne spegnerebbe le pulsioni vitali. Per questo motivo Svevo difende la propria inettitudine e la propria nevrosi, preferisce quindi essere un inetto, un dilettante. A parte la Prefazione, la restante narrazione è attribuita a Zeno Cosini, il quale è appunto il protagonista-narratore. A differenza di altre opere sveviane come “Una vita” e “Senilità”, in cui la voce narrante interviene con giudizi che marcano il netto dislivello fra la sua coscienza e quella del protagonista, in questa opera invece siamo in presenza di una confessione in prima persona, dove appunto la distanza fra io narrante e io narrato è più sottile. Lo Zeno narrante mediante la memoria destinata allo psicoanalista, compie un’indagine per ricostruire come è nata la sua nevrosi; il livello di consapevolezza dello Zeno che scrive quindi, si suppone sia più alto di quello dello Zeno di cui si scrive, il quale deve conquistarsi la propria legittimazione continuamente in quanto dubita. Quest’insicurezza dell’io narrante ha come conseguenza una serie di dubbi e di interrogazioni e per questo motivo Zeno non può condurre ordinatamente la narrazione. In questo romanzo è particolare dunque il trattamento del tempo, dove il tempo della narrazione è il tempo interiore della coscienza; un tempo definito da Svevo “impuro” o “tempo misto”, poiché gli avvenimenti che in esso si svolgono sono sempre alterati dal desiderio del narratore. L’evoluzione della storia, nonostante l’impostazione autobiografica, non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare: “La coscienza di Zeno” sostituisce al tempo oggettivo il tempo della coscienza e del monologo interiore, Svevo distrugge quindi la trama tradizionale e struttura la narrazione non sulla vicenda, ma sulla successione di una serie di temi; tratteggia un protagonista totalmente nuovo, che non ha più l’oggettività e la staticità dei personaggi ottocenteschi, ma la problematicità e l’apertura di quelli novecenteschi, in cui il protagonista racconta la propria vita in un tempo soggettivo, che mescola piani e distanze, dove il passato (il tempo del vissuto) riaffiora continuamente e si intreccia con il presente (il tempo del racconto), in un movimento incessante, in quanto resta presente nella coscienza del personaggio narrante. Da questo deriva la struttura particolare del racconto, che non è lineare, dal momento che il tempo non è più una realtà oggettiva, ma una continua creazione della coscienza, dove c’è un continuo intersecarsi di diversi piani temporali: presente, passato e futuro.
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Oltre alla trattazione del tempo, è importante sottolineare il carattere “aperto” della narrazione, nella quale è programmata dall’autore l’assenza di un giudizio sulla vicenda narrata e sui personaggi. Quindi si può dire sia un romanzo che respinge l’ideologia, e questo anche grazie alla struttura formale che non le lascia spazio. Il carattere aperto della narrazione è sottolineato anche dall’ambiguità, dall’ambivalenza e dall’ironia dei procedimenti formali e del senso stesso del racconto, dove è frequente l’uso dell’ossimoro, il quale presuppone l’accostamento di parole di senso opposto, che dovrebbero escludersi l’una con l’altra. Nel capitolo intitolato «Storia di un'associazione commerciale» del romanzo “La coscienza di Zeno” (1923) così scrive Italo Svevo: «A Guido si sarebbe adattata una parola che hanno i Greci: astuto imbecille. Veramente astuto, ma anche veramente uno scimunito» Tornando alla struttura temporale, la ricostruzione del proprio passato operata da Zeno si raggruppa intorno ad alcuni temi fondamentali, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. Eventi contemporanei possono così essere distribuiti in più capitoli successivi, poiché si riferiscono a nuclei tematici diversi, e, inversamente, singoli capitoli, dedicati ad un particolare tema, possono abbracciare ampi segmenti della vita di Zeno. La narrazione avanza continuamente avanti e indietro nel tempo, seguendo la memoria del protagonista, che si sforza, per obbedire allo psicanalista, in quanto deve ricostruire il proprio passato. Dopo la prefazione del dottor S. ed un preambolo in cui Zeno racconta i propri tentativi di risalire alla prima infanzia, gli argomenti dei vari capitoli sono: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene, la morte del padre, la storia del proprio matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell’associazione commerciale con il cognato Guido Speier; alla fine si colloca il capitolo Psico-analisi, in cui Zeno racconta la propria presunta guarigione. La presunta guarigione del protagonista coincide con le ragioni che consentono al narratore-protagonista di denunciare, nell’ultima pagina, la futura catastrofe mondiale. Le pagine conclusive del romanzo sono fortemente contraddittorie e complesse: da un lato Zeno dichiara e sostiene nel modo più categorico di essere guarito, cioè di aver trovato la soluzione definitiva di tutti i mali psichici. Dall’altra, però, afferma anche che l’uomo è inevitabilmente destinato alla distruzione e all’estinzione, proprio a causa della società in cui vive. La conclusione del romanzo quindi contiene una specie di autodifesa, ma anche una terribile accusa all’umanità e una profezia di catastrofe per il futuro. La tesi della guarigione è ribadita dal protagonista in modo troppo insistente e appassionato, e questo genera sicuramente dei sospetti nel lettore; inoltre la presunta guarigione non sarebbe altro che la completa convinzione di essere guarito, in quanto vede la vita stessa come una malattia inguaribile, e considera dunque, più che di non essere malato, di non poter essere altro che malato in quanto uomo. Per quanto riguarda la presunta guarigione infine, essa è attribuita ad un’unica causa, paradossale, cioè il commercio. Questo termine indica il successo sociale di Zeno, che però è dovuto alla violenza che il protagonista esercita sugli altri, come la speculazione di guerra. Tra la presunta guarigione di Zeno e il destino dell’uomo, c’è l’uomo, il quale è malato, senza speranza, proprio perché per guarire, o per sentirsi guarito, deve affermare se stesso contro gli altri, utilizzare gli strumenti messi in opera dalla civiltà per favorire la sopraffazione.
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Inglese Virginia Woolf
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« Each has his past shut in him like the leaves of a book known to him by heart and his friends can only read the title. » (Virginia Woolf)
The 1910s seem to mark a diving line in the history of the novel. Indeed, the years following this date were characterized by an actual revolution in English literature, which some critics have later characterized under the general definition of Modernism. This term usually refers to those novelist who actually experimented with new forms and who, while focusing on the mental processes that develop in the human mind, tried to explore them though what is called the “stream-of-consciousness” technique. This new technique applied the theories to literature developed by two philosophers: the Frenchman, Henry Bergson and the American William James. Stream-of-consciousness fiction is concerned with that area which is beyond communication; there are two levels of consciousness: the speech level, which can be communicated either orally or writing, and the pre-speech level, which has no communicative basis and is not rationally controlled or logically ordered. The novelist must explore what initiates or constitutes the mental process, like memories, dreams, sensations and analyse how this process works. The role of the artist was not to teach, but to present the reality in all its aspects and in a more impersonal and objective as possible, and to leave to the reader the possibility to understand it through his personal perception. The methods used to depict consciousness include cinematic devices like “montage”, “flashbacks”, the use of similes and metaphors or special forms of punctuation like parentheses and dashes. The basic and most prominent method, however is the use of the interior monologue, that often disregards logical transition, formal syntax and even conventional punctuation. In England, this narrative technique was pioneered by also Virginia Woolf, that used a more repetitive style and the so-called indirect interior monologue, a monologue introduce by such clauses as “he thought”, “he decided”, which provides more rational links for the associations of ideas. Virginia Woolf was born in 1882 in London and she received elementary education mostly at home, from her parents, or from Swiss and French governesses. The unforgettable home of Virginia’s youth was Talland House, a large house at St Ives in Cornwall; she adored the ocean, the sound of the waves, the ebb and flow of the tides. All this provided, which she drew on for such works as To the Lighthouse. In 1895 Virginia was thirteen and in this year, her mother died; for this reason, for a long period she suffered from depression and it was the first sign of how frail her nervous system was.
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In 1904 his father died and she went through a period of feverish and morbid grief, even attempting suicide, and in 1912, after her marriage with Leonard Woolf, she had another mental collapse and again attempted suicide; only after two years did she temporarily recover. In 1917 the Woolfs founded the Hogarth press, which was to publish most Virginia’s works, as well as the works of talented young writers. Virginia Woolf liked to live in a cultivated environment, to be listened to, to feel the effect of her words on the people around her; when she was alone, she was overcome by anxiety and insecurity, by terror at the brevity of life. The Second World War increased her terrors and in the London streets, devastated by the bombs, she saw the disintegration of her world. Virginia, obsessed by the fear of madness decided to put an end to her life: she drowned herself in the river Ouse on March 28th, 1941. The only remedy for her anxiety was work, in fact she wrote novels, short stories, critical essays, biographies and twenty-six note-books in diary form. Virginia Woolf is obviously influenced by the psychoanalysis of Freud and by the conception of Bergson of time (the time the Interior from the exterior), and she abandoned the traditional technique of novel writing for a new, more modern form. This new form needed a new concept of the time, in fact what matters is not the event, but the thoughts, memories or feelings. Her style is very simply and the tone is colloquial and she uses metaphor and other figures of speech, and the attention she pays to the rhythm and musicality of words tinge her prose with poetry. To give voice to the inner life uses a narrator omniscient but not the various viewpoints of the mind of the characters (subjective reality) with flashbacks, associations of ideas and impressions on the spot taking the connotations of a stream of consciousness (the extremes of inner monologue). Virginia Woolf wrote many novels, including: “The voyage Out”, “Mrs Dalloway”, “Night and Day”, and one of the masterpiece of Virginia Woolf is: “To the lighthouse”. To the Lighthouse is considered one of the most important works of the twentieth century where Virginia Woolf established herself as one of the leading writers of modernism. The novel develops innovative literary techniques to reveal women's experience and to provide an alternative to male-dominated views of reality. On the surface, the novel tells the story of the Ramsay family and the guests who come to stay with them at their vacation home on the Hebrides Islands in Scotland. At its heart, however, the novel is a meditation on time and how humans reckon with its relentless passage.
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The novel was written and published during one of the most dense and impressive periods of development in English literary history. The modernist period gave rise to many groundbreaking and enduring masterworks, such as T.S. Eliot's “The Waste Land”, William Faulkner's “The Sound and the Fury”, and James Joyce's “Ulysses”. This was also a period of rapid intellectual achievement, and Woolf's emphasis on consciousness and a character's inner lives is consistent with the scientific and psychological ideas posited at the time. As Sigmund Freud explored theories of consciousness and subconsciousness, Virginia wrote a novel that focuses not on the events of the external world but on the richness and complexity of mental interiority. Thus, to convey this sense of human consciousness, Woolf's narrative departs from the traditional plot-driven structure as it is often expressed by an objective, third-party narrative. Instead she incorporates highly innovative literary devices to capture the thought process, using in particular stream of consciousness and free indirect discourse. Given that the novel is defined by subjectivity, it focuses on the subjectivity of reality, experience, and time. The novel also represents the inverweaving of various perspectives and individual trains of thought that, strung together, constitute a cohesive whole. The time is an essential component of experience and reality and, in many ways, the novel is about the passage of time. However, as for reality, Woolf does not represent time in a traditional way. Rather than a steady and unchanging rhythm, time here is a forward motion that both accelerates and collapses. The time in this novel is conveyed only through the consciousness of the various characters, and moments last for pages as the reader is invited into the subjective experiences of many different realities.
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Fonti
• Filosofia e cultura - Autori: Antonella La Vergata, Franco Trabattoni • Witness to the times. Vol. III - Autori: Rosa Marinoni, Luciana Salmoiraghi • La scrittura e l’interpretazione Vol. III - Autori: Romano Luperini http://www.marcelproust.it http://www.online-literature.com/virginia_woolf
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