storia enogastronomia nazionale

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I.S.I.S “Vincenzo Gioberti” Istituto Professionale Alberghiero Roma Trastevere

Origini della cultura eno-gastronomica nazionale nel 150° dell’Unità


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L’Italia ha già ospitato nel 1911 e nel 1961 i precedenti appuntamenti che festeggiarono il Cinquantenario e il Centenario. Per il grande evento del 2011, nel nostro piccolo, abbiamo pensato di rivivere i diversi secoli fino ai giorni nostri sotto il profilo della storia e della cultura eno-gastronomica italiana. Tale progetto nasce dal lavoro di squadra tra il Prof. Alessandro Cavallo docente di Cucina e della Prof.ssa Anna Saracino docente di Italiano e Storia dell’Istituto Alberghiero “Vincenzo Gioberti “ di Roma (Trastevere), con il supporto di collaborazione degli alunni della II D.

Un grazie va al Preside Raimondo Bolletta entusiasta di tale progetto e alla Prof.ssa Mariangela Varone che ha collaborato per la veste grafica e per il materiale fotografico. Proff. Anna Saracino e Alessandro Cavallo

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Presentazione Tra le tante iniziative che quest’anno hanno visto l’Istituto impegnato nella celebrazione del 150° anniversario dell’Unità, questo progetto merita particolare attenzione perché è il risultato di un lavoro intenso e di un impegno molto serio dei docenti che l’hanno avviato. Per questo ho incoraggiato i docenti a stampare questo volumetto perché rimanesse il segno di una emozione, di un bel momento di crescita che i nostri ragazzi non potranno dimenticare. Le foto che abbiamo riportato qui sono la memoria di momenti intensi in cui i nostri ragazzi hanno potuto sentire e provare la ricchezza della memoria antica, il valore di una cultura condivisa, la forze della bellezza dell’arte e della gioventù che centocinquant’anni fa ha fondato la nostra unità nazionale. Il Preside

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Introduzione ........................................................................................................................... 9 La cucina come “arte” ......................................................................................................... 11 Storia della cucina dalla preistoria ai giorni nostri ......................................................... 12 La preistoria...................................................................................................................... 12 Le civiltà antiche .............................................................................................................. 13 Gli Egizi............................................................................................................................. 13 I Greci ................................................................................................................................ 14 I Romani............................................................................................................................ 14 Il Medioevo....................................................................................................................... 15 L’umanesimo e il rinascimento...................................................................................... 16 Il Seicento.......................................................................................................................... 17 Il Settecento....................................................................................................................... 17 L’Ottocento ....................................................................................................................... 17 Il Novecento ..................................................................................................................... 18 La cucina contemporanea............................................................................................... 18 Approfondimento sulla “nouvelle cuisine”..................................................................... 19 Breve considerazioni dall’Unità d’Italia ai giorni nostri ................................................ 20 I personaggi che hanno fatto la storia della gastronomia italiana ................................ 22 La Roma Imperiale del Primo Secolo............................................................................ 22 L' Era Moderna................................................................................................................. 23 Il Rinascimento................................................................................................................. 25 Il Settecento, secolo dei lumi e la cucina franco napoletana...................................... 26 L'Ottocento - Il nuovo cuoco milanese economico ..................................................... 27 Il Novecento ..................................................................................................................... 28 Storia e cultura eno-gastronomica regionale italiana ..................................................... 31 Abruzzo............................................................................................................................. 31 Basilicata ........................................................................................................................... 33 Calabria ............................................................................................................................. 35 Campania.......................................................................................................................... 37 Emilia-Romagna .............................................................................................................. 40 Friuli Venezia Giulia ....................................................................................................... 42 Lazio .................................................................................................................................. 44 Liguria ............................................................................................................................... 46 Lombardia......................................................................................................................... 48 Marche............................................................................................................................... 50 Molise ................................................................................................................................ 51 Piemonte ........................................................................................................................... 52

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Puglia................................................................................................................................. 54 Sardegna ........................................................................................................................... 56 Sicilia.................................................................................................................................. 58 Toscana.............................................................................................................................. 61 Trentino alto Adige ......................................................................................................... 63 Umbria .............................................................................................................................. 65 Valle d’Aosta .................................................................................................................... 68 Veneto................................................................................................................................ 70 Dedicato al Tricolore a.s. 2010-11 .................................................................................. 72

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Introduzione A partire dal 1861 l’Italia diventa uno stato unitario, in nome della comune appartenenza nazionale dei suoi abitanti. Ma quanti aspetti della loro vita quotidiana condividevano effettivamente i cittadini del nuovo stato? Sappiamo che la lingua italiana era parlata e compresa solo dalla minoranza degli appartenenti alle classi aristocratiche e borghesi e che la religione cattolica era professata dalla grande maggioranza della popolazione. Più incerto è stabilire il livello di condivisione di altri aspetti della vita quotidiana. In particolare, per quanto riguarda l’alimentazione, sappiamo che esistevano alcune tradizioni locali abbastanza radicate, ma non una tradizione nazionale. Prima di passare alla descrizione della cultura enogastronomica italiana, però, vale la pena raccontare l’ultima grande operazione che portò all’unità d’Italia. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, fingendo un atto di pirateria per non creare guai al governo, gli uomini di Garibaldi si impadronirono di due piroscafi e salparono da Quarto presso Genova. Iniziava così, quasi di nascosto, la famosa spedizione dei Mille. I volontari erano 1085: età media trent’anni, quasi tutti professionisti e intellettuali, qualche operaio, tre preti, nessun contadino. I garibaldini erano armati male e vestiti peggio: a bordo mancavano perfino le <<camicie rosse>>, ce n’erano 280 per più di mille uomini. Garibaldi decise perciò di fermarsi a Orbetello, dove, indossata la divisa di generale piemontese, si fece consegnare dal comandante della fortezza armi, viveri, carbone e poi ripartì. L’11 maggio i garibaldini sbarcarono a Marsala subito e subito si misero in marcia verso l’interno dell’isola. A Calatafimi 3000 soldati borbonici sbarrarono loro il passo ma furono travolti dalle baionette delle camicie rosse. Tra il 27 e il 30 maggio fu liberata Palermo; tre settimane dopo le truppe borboniche vennero definitivamente sconfitte a Milazzo, in meno di un mese la Sicilia era stata liberata. I Mille intanto erano divenuti un esercito: dopo i primi successi, rifornimenti ed armi giunsero da tutta Italia, e migliaia di picciotti (giovani contadini siciliani) al grido <<Viva Garibaldi>> si arruolarono nelle camicie rosse. Il 20 agosto Garibaldi sbarcò in Calabria, travolgendo ogni resistenza; il 7 settembre entrò trionfalmente a Napoli e, poche settimane dopo, sconfiggeva definitivamente i borbonici sul fiume Volturno. L’Europa era stupefatta: in quattro mesi mille uomini avevano conquistato un regno difeso da centomila soldati. Sappiamo infine che il 26 ottobre del 1860 Garibaldi incontrò a Teano Vittorio Emanuele II e gli consegnò il regno appena conquistato. Così il garibaldino Alberto Mario rievocò l’incontro di Teano nel suo libro di memorie “Camicia Rossa”: “Il re, coll’assisa (divisa) di generale, in berretto, montava un cavallo arabo storno e lo seguiva un codazzo di generali, di ciambellani, di servitori; Fanti, ministro della guerra, e Farini, viceré di Napoli in pectore, esso pure insaccato in una capace tunica militare; tutta gente avversa a Garibaldi, a codesto plebeo donatore di regni. Disotto al cappellino Garibaldi s’era acconciato il fazzoletto di seta, annodandoselo al mento per proteggere le orecchie e la tempia dalla mattutina umidità. All’arrivo del re, cavatosi il

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cappellino, rimase il fazzoletto. Il re gli stese la mano dicendo: <<Oh! Vi saluto, mio caro Garibaldi: come state?>>. E Garibaldi:<<Bene, Maestà, e lei?>> E il re:<<Benone!>> . Garibaldi, alzando la voce e girando gli occhi come chi parla alle turbe gridò:<<Ecco il re d’Italia!>> E i circostanti:<<Viva il re>>. Vittorio Emanuele, trattosi in disparte pel libero transito delle truppe, s’intrattenne qualche tempo a colloquio col generale...Indi si mosse. Garibaldi gli cavalcava alla sinistra, e a venti passi di distanza il quartiere generale garibaldino alla rinfusa col sardo...Intanto i contadini accorrevano attoniti ad acclamare Garibaldi...Garibaldi procacciava di deviare quegli applausi sul re, e, trattenuto d’un passo il cavallo, inculcava loro con molta intensità d’espressione: Ecco Vittorio Emanuele, il re, il nostro re, il re d’Italia; viva lui!... Al ponte d’un torrentello che tocca Teano, Garibaldi fece di cappello al re; Questi proseguì sulla strada suburbana, quegli passò il ponte, e separaronsi l’un l’altro ad angolo retto. Noi seguimmo Garibaldi, i regi il re” Il 27 gennaio del 1861 fu eletto il primo Parlamento nazionale, in rappresentanza di 22 milioni di italiani. Debellata l’ultima resistenza borbonica a Gaeta, il 17 marzo il Parlamento, riunito a Torino, proclamò la nascita del Regno d’Italia. La situazione della gastronomia italiana al momento dell’unificazione è infatti paragonabile a quella della lingua italiana. Nel 1861 in Italia gli analfabeti costituivano quasi l’80% della popolazione, il che voleva dire che la grande maggioranza della popolazione del Regno d’Italia comunicava esclusivamente attraverso i molteplici dialetti e non era in grado di comprendere la lingua italiana, che solo una minoranza sapeva effettivamente usare. Allo stesso modo la cucina era diversa da regione a regione, neanche nell’èlite esisteva una “lingua culinaria” visto che dominava la gastronomia francese. Nel clima di acceso patriottismo degli anni successivi all’unificazione nazionale furono quindi molti i tentativi di fare un inventario delle ricette regionali, per costruire un’identità gastronomica italiana, l’opera più importante e quindi la chiave del cambiamento fu di Pellegrino Artusi. Dobbiamo ad Artusi il fatto che pur permanendo profonde e radicate differenze tra le cucine regionali italiane, nel corso del Novecento almeno alcuni piatti siano diventati autentici piatti nazionali. Il XIX secolo fu, per l’Europa, un periodo di svolta sotto molti aspetti: demografico, economico, politico e sociale. L’insieme di questi fenomeni, non poteva non avere importanti riflessi anche sul piano dell’alimentazione sia dal punto di vista della qualità e quantità dei consumi, sia sotto il profilo gastronomico, grazie all’invenzione e la diffusione di nuove tecniche di conservazione dei cibi, il crescente peso dell’industria nella manipolazione dei prodotti, la diffusione di nuovi alimenti e di nuove tecniche agricole, l’enorme sviluppo di un mercato degli alimenti di dimensione mondiale, la nascita di cucine nazionali.

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Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo, la società, il sistema politico e l’economia cambiarono profondamente. La prima guerra mondiale e la seconda guerra mondiale che coinvolsero quasi tutta l’Europa e alcuni stati extraeuropei, segnarono profondamente la società europea e di conseguenza quella italiana, sia sotto il punto di vista culturale, sociale, alimentare, politico e locale-territoriale. La storia della nostra alimentazione, quindi, è parte significativa della nostra storia complessiva; l’economia e la politica, la cultura nel senso più ampio del termine, la salute, sono tutti aspetti che hanno un rapporto diretto e privilegiato con i problemi dell’alimentazione. La sopravvivenza quotidiana è il primo bisogno dell’uomo, e poi il cibo è anche piacere e tra questi due termini si snoda una storia complessa, e spesso drammatica, fortemente condizionata dai rapporti di potere e dalle sperequazioni sociali. Una storia di fame e di abbondanza, ma anche di immaginario collettivo, di piccoli e grandi scambi commerciali e culturali con paesi vicini o lontanissimi; una storia spesso trasversale, dove gli avanzi di cibo dei ricchi diventano, tra le abili mani di cuochiservi, piatti meravigliosi che ritornano sulle tavole dei ricchi, oppure i piatti più poveri e “rimediati” in qualche modo divengono prelibatezze e simboli di un intero popolo. Dalla scoperta del fuoco, alla coltivazione dei cereali e all’uso delle pentole, molti piatti, che ci sono noti, sono rimasti sostanzialmente invariati nel corso dei secoli; ad esempio gli spiedi, gli arrosti e le grigliate rimangono tuttora piatti molto apprezzati. E così pure il pane condito con l’olio e qualche altro ingrediente. Lo stesso si può dire di molte minestre di verdure e cereali, talvolta arricchite da carne o da pesce; di molte verdure bollite e via dicendo. Paradossalmente invece, ad esempio, scopriremo che la pasta, vero vanto nazionale, è un’acquisizione molto recente della nostra gastronomia, se intesa come piatto importante e diffuso. Nel 2011, quindi sono trascorsi 150 anni dall’unificazione dell’Italia. Un secolo e mezzo durante il quale il Paese è cambiato profondamente: ha modificato i propri modelli di riferimento, ha vissuto importanti fenomeni migratori, ha conquistato un posto di primo piano nel panorama internazionale, ha affrontato e superato momenti di crisi. Le difficoltà, infatti, rappresentano spesso per le società un’occasione di rilancio, o, più semplicemente, di riflessione.

La cucina come “arte” La cucina è un'arte il cui messaggio passa attraverso sapori, profumi, sensazioni tattili, sensazioni visive, conoscenze e, in una certa misura, anche da suoni. Storicamente, con il termine cucina si è inteso quell'insieme di pratiche e tradizioni legate alla cottura, più in generale alla preparazione, di cibi e bevande. Dette pratiche sono di solito specifiche di una determinata regione geografica, in quanto influenzate dagli ingredienti ivi disponibili, e in alcuni casi anche da particolari precetti religiosi. Lo sviluppo delle tecniche di produzione, conservazione, immagazzinamento e trasporto del cibo, unito all'aumento degli scambi interculturali (favoriti dal turismo e dai flussi migratori), ha portato, almeno nei paesi più sviluppati, alla diffusione di cucine "etniche", a fianco della cucina tradizionale del paese specifico, nonché alla

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continua ricerca di nuove preparazioni e sperimentazioni da parte dei più famosi chef. La cucina ha, per tutti questi motivi, anche una forte valenza culturale ed è spesso associata all'enologia e alla gastronomia. Fin dagli albori dell'umanità l'uomo sperimentò la cottura esponendo la carne e altri alimenti direttamente al calore del fuoco. I metodi di cottura e di preparazione dei cibi si svilupparono poi insieme al progredire della civiltà. La cucina in Italia, così come in altri paesi mediterranei, è molto ricca e variegata grazie ai diversi contributi delle culture e dei popoli che vi si sono succeduti (celti, greci, etruschi, romani, longobardi, arabi, normanni, austriaci, spagnoli, …..). Questi contributi culturali, insieme alle differenze climatiche e ambientali e alla eterogenea storia geopolitica del paese hanno portato a varietà regionali ben caratterizzate. In una visione di insieme (e quindi con le dovute eccezioni regionali) i tratti distintivi della cucina italiana comprendono tutti quegli elementi che vengono oggi considerati tipici della dieta mediterranea. Negli ultimi anni si è risvegliato nella società un notevole interesse per la gastronomia e l'enologia, e numerose associazioni si occupano della riscoperta e della salvaguardia delle tradizioni regionali italiane. La cucina italiana è molto apprezzata nel mondo per la sua varietà e la qualità dei suoi prodotti.

Storia della cucina dalla preistoria ai giorni nostri La preistoria La primitiva forma di cucina fu la semplice cottura del cibo, praticata fin dai tempi dell'uomo di Neandertal, già mezzo milione di anni fa: essa poteva rendere commestibili numerosi alimenti, altrimenti indigeribili accrescendone il valore nutritivo (anche se di questo, quasi certamente, l'uomo neandertaliano non era consapevole). Dapprima, quindi, si arrostì la carne sulla fiamma viva, poi sulla brace (che garantiva una cottura più uniforme e una minore perdita di peso degli alimenti), infine si scoprì la cottura in buche, dove la carne e le radici, avvolte in foglie, subivano una specie di cottura a vapore. Di vera e propria pratica gastronomica si può cominciare a parlare durante il Neolitico, nel periodo che va dal 5000 al 4000 a.C. L’uomo attraverso l’addomesticamento degli animali e la scoperta dell’agricoltura, giunse a un’economia e produzione del cibo passando da una vita nomade a una forma di vita stanziale. Nacquero l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, portando così alla comparsa dei latticini e dei cereali come avena, orzo, miglio, farro e frumento. Attraverso la frantumazione dei cereali iniziò la preparazione di primitive focacce cotte su pietre riscaldate. La scoperta della terracotta poi consentì la costruzione dei primi contenitori in grado di resistere alla fiamma viva. Il passaggio poi alla cottura di

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alimenti nell’acqua fu veloce, da qui la nascita delle prime “zuppe”, brodi a base di cereali, carni, legumi, …..

Le civiltà antiche Il clima favorevole e la possibilità di dare vita a scambi commerciali fece comparire sulle sponde del mediterraneo le prime civiltà. La prima fu quella egiziana, seguirono poi la civiltà ellenica quindi quella romana.

Gli Egizi Gran parte delle informazioni concernenti la dieta degli antichi egizi proviene dalle tombe. Qui sono raffigurate le cosiddette "liste delle offerte", in cui vengono elencati tutti gli oggetti di cui il defunto aveva bisogno nel mondo ultraterreno. Possiamo dire che la civiltà egiziana dal 3000 a.C. fino alla nascita dell’età romana e oltre, ha creato una complessa evoluzione gastronomica. Gli antichi egizi furono un popolo ricco di cibo, questo soprattutto grazie al Nilo la cui acqua invadeva la pianura circostante ogni estate a causa delle abbondanti piogge e poi, lentamente, si ritirava, lasciando un terriccio fangoso detto limo, assai fertile, consentendo così la coltivazione di molte varietà di piante e l’allevamento di diversi tipi di bestiame. Nella valle del Nilo il faraone emanava ogni anno un ordine di semina valido per tutto l’Egitto, ricevuto quest’ordine, e non prima, gli agricoltori seminavano i campi con fave, lenticchie, farro, cipolla, porri, cetrioli, meloni, vari tipi d’insalate, fichi, melograni e mele. Ciascuno riceveva anche un programma dettagliato, nel quale era indicata la quantità e la qualità di raccolto che era tenuto a produrre sul terreno affidatogli, era indicata inoltre la parte del raccolto che si doveva consegnare ai magazzini reali sparsi per tutto il Paese. Intorno al 1000 a.C. in Egitto si imparò a setacciare la farina di frumento ottenendo in questo modo sfarinati più raffinati con il quale si produceva del pane bianco destinato alle classi più abbienti. In merito alle carni, le classi ricche erano le uniche che si potevano permettere il consumo delle carni bovine e ovine, le quali venivano per lo più arrostite. Mentre i suini, benché allevati, non venivano macellati per il consumo umano. Il popolo si cibava di pollame (anatre, oche, galline, quaglie) e una delle tecniche di conservazione utilizzate per le carni era il sale (sale minerale), l’estrazione di quello marino era vietata perché considerato impuro, poiché proveniva dal regno di Seth, dio del male. Come dolcificante principale veniva utilizzato il miele. Gli egizi cucinavano con carbone dolce e legna. Le cucine consistevano in piccoli fornelli mobili di terracotta, di forma cilindrica, aperti in alto e con una porticina nella parte inferiore. I poveri utilizzavano marmitte, poste su tre pietre; erano di terracotta, così come le casseruole. Per quanto riguarda i pasti gli egizi ne facevano due al giorno, uno all'alba e l’altro verso sera. Mangiavano inginocchiati davanti a un tavolo basso e rotondo, in piatti comuni, con le mani. I banchetti dei nobili erano invece assai sontuosi e preparati con cura.

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Gli egizi erano forti consumatori di birra ottenuta dalla fermentazione dell’orzo, del farro, o dei datteri. Anche il vino era conosciuto, all’epoca veniva preparato fermentando il mosto d’uva, di miele o di fichi.

I Greci La civiltà greca ebbe la sua origine a Creta intorno al 2500 a.C. e continuò fino all’età ellenica classica che coincise con la conquista romana nel II secolo a.C. Durante questo periodo le abitudini alimentari dei popoli dell’Egeo si modificarono profondamente, passando da una dieta povera ed essenziale a una cucina ricercata e ricca di sapori. Le carni erano considerate cibo per i ricchi e venivano cotte essenzialmente alla brace o su spiedi. Gli ortaggi e i legumi venivano preparati sotto forma di puree insaporiti da erbe e semi aromatici. Il condimento era lo stesso grasso animale. Altro ruolo veniva dato ai pesci e alle verdure, che erano per lo più destinati ai contadini. La cucina era molto importante, tanto da consacrare la gastronomia dedicandole una dea: Adefagèa. Per diventare cuoco bisognava frequentare due anni di scuola. Nella Grecia antica si praticò molto la pastorizia e fin da epoche remote si conosceva la tecnica di produzione del formaggio, in special modo quello di capra, che veniva anche fatto stagionare. Parlando poi di bevande è stato scoperto che la preparazione di liquidi alcolici per fermentazione di mosti veniva preparata fin da tempi lontanissimi. Uno dei liquori più antichi fu senz’altro l’idromele, ottenuto dalla fermentazione del miele mescolato all’acqua. La coltivazione della vite, era praticata nell’isola di Creta intorno al 2000 a.C., dove venivano prodotti dei vini che raggiungevano anche i 18 gradi. Normalmente venivano allungati con acqua e alle volte aromatizzati con erbe o profumi. Il vino puro veniva utilizzato al mattino come prima colazione dove veniva inzuppato il pane. La diversificazione delle portate e la maggiore disponibilità degli alimenti nell’età classica ci permettono di parlare di nascita di una vera e propria arte gastronomica. Cuochi professionisti venivano ingaggiati da ricchi committenti. Le ricette realizzate in quell’epoca erano composte per lo più da pesce o cacciagione.

I Romani Per meglio descrivere la storia della cucina romana cerchiamo di dividerla in tre momenti. Il primo è quello della Roma dei Re, quindi si può definire il più antico, che va dal 753 fino al 509 a.C. Il secondo invece scorre lungo tutto il periodo della Roma Repubblica che va dal 509 al 31 a.C e infine quello della Roma imperiale fino alla caduta dell’Impero romano che va dal 31 al 476 d.C. Nel V e IV secolo a.C. si mangiava in modo semplice, forse troppo, tanto che durante il pranzo di mezzogiorno il piatto forte sembrava essere solo il pane. Ma se ci spostiamo nella Roma repubblicana troviamo abitudini alimentari più simili a quelle odierne a cominciare dalla prima colazione, a base di pane e vino accompagnato da uova o formaggio e frutta, così come per il pranzo che si differenziava perché era anche composto da pietanze calde, e anche la cena.

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La cena era preparata nei triclini (triclinia), stanze così chiamate perché di solito ammobiliate con tre divani, su ciascuno dei quali si accomodavano, sdraiate, tre persone. Al centro era posta la tavola con le vivande. Il numero ideale dei commensali era quindi di nove e multipli di nove, fino a trentasei. Le donne saranno ammesse ai pranzi con invitati solo in età imperiale. I ragazzi stavano seduti su degli scranni. Gli schiavi di fiducia, quand'erano autorizzati a partecipare al pranzo (soprattutto per servire il padrone e riaccompagnarlo a casa in stato di ubriachezza), sedevano per terra, ai piedi del divano. Un'altra caratteristica, in epoca imperiale, fu la ricerca dello sfarzo e del raro tanto che, oltre ai classici capretti, agnelli, pollame, cacciagione, comparvero sulla tavola animali come pavoni, pappagalli, fenicotteri, la carne bovina veniva considerata di qualità scadente ed era destinata alle mense più povere e plebee. Sempre importante era il pesce che rappresentava il cibo più ricercato così come le verdure condite con salse raffinate. Gli ortaggi coltivati erano le rape, le cipolle, le carote, le bietole, i cetrioli, le zucchine, le zucche, i cavoli, le lattughe, i porri, i carciofi e l’aglio. Un condimento importante era il garum, usato in moltissime preparazioni, ottenuto per macerazione di avanzi di pesce assieme a sale e vino, quest’ultimo come un esaltatore di sapidità. Altre caratteristiche sono le combinazioni alimentari dolceacido, aromatico-salato. Altra caratteristica della cucina della Roma imperiale consisteva nella triturazione e sminuzzamento in poltiglia degli alimenti. Questo dava origine alla preparazione di polpette, involtini, galantine, salamelle, ….. Infine nella Roma imperiale al tempo di Plinio, si conoscevano circa 80 vitigni e più di 200 tipi di vino.

Il Medioevo Partiamo col dire che il IV secolo d.C. fu l’epoca delle grandi invasioni barbariche dove numerose tribù nomadi calarono nell’area mediterranea. Questo portò a modificare anche il modo di mangiare. Scomparvero le coltivazioni di vite e di ulivo e quelle cerealicole. Gli abitanti delle città dell’Impero romano impauriti per i saccheggi fuggirono nelle campagne e tutta l’economia subì una rapida involuzione. Scomparve quasi completamente la moneta e tornò il baratto. Scomparvero le spezie, le salse e conseguentemente anche la figura del cuoco essendoci a disposizione pochissime varietà di prodotti. Gli unici veri posti dove era ancora possibile trovare coltivazioni agricole erano i monasteri e le abbazie dove i contadini potevano svolgere il loro lavoro con tranquillità. Vennero poi gli arabi intorno al 700 che portarono alcune novità nel campo alimentare: dall’oriente furono introdotti lo zucchero, il riso, la palma e molte varietà di agrumi. Dopo l’anno 1000 si ebbe in tutta Europa un vero risveglio dell’agricoltura. Si introdusse la rotazione delle colture che consentì di sfruttare in modo più razionale i terreni ottenendo così una produzione migliore e diversificata di vegetali. Cominciò a diffondersi in modo massiccio l’utilizzo delle uova sia come piatto in sé che come legante e addensante. Un altro alimento che comparve nel medioevo fu il burro: si cominciarono a produrre diversi tipi di burro da quello salato a quello aromatizzato, così come diverse tipologie di formaggi alcuni dei quali, ancora oggi, molto apprezzati come i formaggi freschi

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francesi, il parmigiano, il padano, il groviera, lo svizzero e i formaggi fusi olandesi. Il formaggio si usava nella produzione pasticciera e veniva consumato arrostito, alla griglia e insaporito con zucchero e cannella, oppure fuso spalmato su crostini di pane condito con zucchero e spezie. In questo periodo aumentò, in maniera preponderante il consumo della carne di maiale rispetto a quella di manzo. Il motivo principale era da attribuirsi al fatto che la carne di manzo non poteva essere conservata a lungo con il metodo della salatura, al contrario, quella di maiale, veniva conservata in vari modi dando origine alla preparazione dei salumi, prosciutti, salsicce. La dieta delle popolazioni del Nord Europa era invece più ricca di pesce, soprattutto di aringhe e proprio in Olanda si scoprì il sistema per conservarle a lungo tramite la salagione e l’affumicatura. Migliorarono notevolmente in Francia, in Italia e in Spagna le tecniche enologiche che, attraverso l’uso di botti di legno, affinarono decisamente il sapore del vino e la sua conservazione. Le invasioni barbariche prima e la ripartizione politica dell’Italia poi, non fecero altro che accentuare le notevoli differenze culturali e politiche delle diverse regioni nelle quali si svilupparono progressivamente usi e tradizioni gastronomiche molto differenti tra loro. Nacquero così le prime forme di cucina regionale.

L’umanesimo e il rinascimento Siamo tra il 1300 e il 1500. Questo periodo si caratterizzò soprattutto per una notevole trasformazione della cultura europea in particolare di quella italiana. È un periodo questo in cui lo splendore, la perfezione, la magnificenza, si svilupparono coinvolgendo anche l’aspetto gastronomico. Pur non avvenendo grandi rivoluzioni in ambito culinario, gli usi alimentari furono caratterizzati dalla ricerca del nuovo e dello sfarzoso. Vennero pubblicati dei libri e trattati di buone maniere come il Galateo dell’Arcivescovo Giovanni Della Casa nel quale si codificava il corretto comportamento da rispettare quando si mangia. Sulla tavola comparvero per la prima volta il bicchiere individuale, la forchetta, gli stuzzicadenti, il tovagliolo e vennero inventati molti utensili per usi culinari come le rotelle tagliapasta, i setacci e gli spremiagrumi. Fino alla metà del 1500 l’Italia vide una notevole innovazione gastronomica grazie al fiorire di una nutrita pubblicazione di opere scritte da grandi cuochi come Maestro Martino, Cristofaro da Messibugo e Bartolomeo Scappi. Nacque una vera e propria gerarchia di specialisti del servizio il preludio della più moderna brigata di cucina. Il matrimonio di Caterina de Medici con il futuro re di Francia Enrico II spostò il centro dell’attività gastronomica da Firenze a Parigi. La nuova regina portò con sé un gruppo di cuochi, pasticceri, e altri professionisti che trovarono in Francia il terreno più fertile per far diventare “grande” la cucina francese del Seicento e del Settecento. Dal punto di vista culinario non si ebbero grandi novità: si inventarono preparazioni simili alla pasta sfoglia attuale, si importarono dalle americhe il fagiolo, la patata, il cacao, il mais e il peperone, anche se non ebbero subito una grande diffusione bensì vennero sfoggiati dalla borghesia durante i sontuosi banchetti.

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Il Seicento Sotto il dominio del Re Sole il XVII secolo vide un grande sviluppo della cultura francese. Questo successivamente portò a una visione diversa della cucina, che si trasformò poco a poco in vera e propria arte e diventò così simbolo di raffinatezza. In questo periodo nasce anche la cucina classica capostipite fu senz’altro Francois Pierre de la Varenne. Varenne compì un deciso passo avanti: nella sua opera, Le Cusinier Francois, parlò per la prima volta dei fondi o delle basi di cucina, della creazione di nuovi abbinamenti e utilizzò per la prima volta il classico bouquet garni o mazzetto aromatico. Introdusse l’utilizzo delle carni di animali nostrani, scegliendo gli animali più giovani, quindi più teneri, e iniziò a sperimentare la tecnica della steccatura con strisce di lardo e verdure introdotte nei vari pezzi di carne prima di essere arrostiti. In un secondo tempo iniziarono ad essere tenute in considerazione alcune varietà di prodotti ortofrutticoli come cetrioli, cavoli, verze, cicorie, lattughe, piselli. Mentre la patata e il pomodoro non ebbero grande successo fino alla fine del Settecento. Anche la pasticceria conobbe un periodo di grande splendore e di innovazione con la preparazione di sfoglie, amaretti, cialde e petits fours, biscottini, secchi o freschi, dolci o salati, farciti con creme al formaggio, paté di fegato, purea di salmone, ..… Ci furono novità anche nel campo delle bevande, la più importante fu la scoperta del metodo champenoise che Dom Perignon inventò nel 1688 dando origine alla prima produzione di Champagne. In Italia fu il boom della gelateria, della torrefazione del caffè e della diffusione della cioccolata. Nella cucina popolare, portato dalle americhe, si diffuse il mais che diede origine a molte preparazioni per il confezionamento di vari tipi di polenta. Al contrario della Francia la comparsa del pomodoro in Italia diede origine alla preparazione di creme e salse per il condimento della pasta.

Il Settecento Il Settecento si contraddistingue come periodo storico per l’avvento della Rivoluzione Francese quindi senza alcun dubbio possiamo definirlo un periodo di grande trasformazione. Una voglia di innovazione e un interesse anche per la cultura della tavola e del buon mangiare diede origine a movimenti conviviali e di conversazione. Come per il secolo precedente la nazione che diede vita ad importanti novità fu la Francia, alcune preparazioni importanti da ricordare furono il paté di foie gras, le meringhe, le mirepoix (dadolate di verdura) e salse di base. In questo periodo nasce pure la maionese. Non è neppure un fatto irrilevante la scoperta di nuovi sistemi per la regolazione del fuoco nelle cucine anche perché, questa innovazione tecnica, rappresentò un grande passo avanti nella preparazione delle ricette, poiché permetteva di preparare dei piatti cucinando più cose separatamente.

L’Ottocento Il miglioramento delle colture agricole in questo periodo creò una maggiore disponibilità di prodotti grazie anche all’ampliarsi dei mercati e dei trasporti. Siamo nell’epoca coloniale la quale portò all’introduzione e al consumo di nuovi alimenti

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come il mango, la soia, l’ananas, le arachidi. Mentre per cacao, caffè e tea, conosciuti durante il Seicento e Settecento, ci fu un vero boom di consumi tanto che nacquero numerosi esercizi specializzati nella vendita e nella distribuzione di questi prodotti. Due piante rivestirono una notevole importanza alimentare: la patata e la barbabietola da zucchero. Grande beneficio derivò anche dalle nuove pratiche di sterilizzazione del latte. Grazie a Pasteur si realizzò la pastorizzazione del latte su larga scala, mettendo a disposizione di molti un prodotto basilare per l’alimentazione, in maniera più sana e sicura. Si svilupparono e si migliorarono i sistemi di conservazione degli alimenti come la refrigerazione e la sterilizzazione. Con l’approfondimento delle scoperte microbiologiche e la conoscenza delle fermentazioni batteriche iniziate da Pasteur si ebbe un notevole miglioramento della produzione casearia. Infine verso la fine dell’ottocento in Francia nacque la margarina, un nuovo tipo di grasso inventato da un abate francese. Verso la fine del XIX secolo si verificò una grande trasformazione nel mondo della gastronomia, la nascita della ristorazione moderna grazie all’incontro di Auguste Escoffier chef e genio della cucina, con Cesare Ritz mago dell’imprenditoria. Alberghi, treni lussuosi, transatlantici, cominciarono a svilupparsi in tutta Europa ed Escoffier, oltre a sviluppare e studiare il funzionamento delle cucine in queste strutture, in ogni suo dettaglio, inventò piatti nuovi ed estrosi da dedicare a principi e personaggi famosi (pesche Melba, i tournedos Rossigni, il soufflè Rothschild …) Escoffier aveva gusto anche nella presentazione dei piatti abbellendoli con più decorazioni. Possiamo dire che con lui si sviluppò la classica cucina francese e di conseguenza quella italiana

Il Novecento Sia per i grandi mutamenti storici che per il notevole sviluppo tecnologico, il Novecento ha trasformato profondamente la società. La nascita dell’automobile consentì a persone e merci di viaggiare e spostarsi più rapidamente. Nel 1900 esce la prima “Guida Michelin”, una pubblicazione nata in Francia, destinata ai primi automobilisti gastronomi, allo scopo di illustrare le caratteristiche dei ristoranti di qualità presenti sul territorio. Più limitato rispetto alla Francia anche in Italia venne a svilupparsi un certo fenomeno gastronomico testimoniato dalle diverse pubblicazioni di quel periodo. Nel 1909 si pubblicò “La nuova cucina delle specialità regionali” dove per la prima volta si scrissero le ricette delle regioni italiane.

La cucina contemporanea Dopo la guerra la cucina europea era distrutta: poco cibo disponibile, per di più razionato, non consentiva di fare grandi cose tra i fornelli e la ripresa gastronomica dovette aspettare gli anni ‘60 per riscoprire un forte dinamismo. Il boom economico che avvenne in seguito portò in ogni casa il frigorifero, il forno, e gli elettrodomestici. Successivamente l’entrata della donna nel mondo del lavoro ha innescato un cambiamento nel modo di mangiare. Il tempo sempre più limitato per cucinare fa sostituire i piatti di lunga preparazione tipo polenta, legumi, frattaglie, con fettine di bovino e petti di pollo da cucinare velocemente ai ferri. Dal canto suo anche l’editoria

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culinaria ha seguito questo fenomeno proponendo ricettari facili e semplici e, per la prima volta, anche con un occhio sempre più attento all’aspetto calorico e dietetico, ne è esempio “Il Cucchiaio d’Argento”. All’inizio degli anni ‘70 gli aspetti gastronomici che si sono sviluppati e ampliati sono principalmente tre: 1) La ripresa delle tradizioni regionali col rilancio dell’artigianato alimentare locale contemporaneamente allo sviluppo del turismo 2) L’utilizzazione di modelli di cucina rapida, attenta alla dietetica, con l’uso di sistemi di cottura come il vapore o apparecchiature di nuova concezione: il forno a microonde e la cottura sottovuoto 3) La nouvelle cousine

Approfondimento sulla “nouvelle cuisine” In Francia verso la metà degli anni ’60 si affermò una nuova tendenza culinaria denominata da due giornalisti esperti di gastronomia “Nuova Cucina”, in francese “Nouvelle Cuisine”. Il primo in assoluto fu Fernand Point che cercò di semplificare e diminuire i tempi di preparazione delle cotture. Il suo motto era: “Tutte le mattine si deve ricominciare da zero. Senza niente sul fornello. Questa è la cucina”. Posso sintetizzare in breve quali sono le regole sulle quali si fonda la Nouvelle Cuisine: 1)Il rifiuto delle complicazioni culinarie e la riscoperta della semplicità; 2)Diminuzione dei tempi di cottura; 3)L’utilizzo esclusivo di quanto offre il mercato senza ricorrere ad alimenti fuori stagione; 4)Riduzione delle quantità di piatti inseriti nella lista dei ristoranti; 5)Abbandono delle lunghe marinature e frollature; 6)Sostituzione delle salse troppo grasse e pesanti con salse più leggere e digeribili; 7)Valorizzazione della cucina regionale; 8)Ricerca di una cucina dietetica e povera di grassi; 9)Valorizzazione della creatività e della fantasia nella creazione di nuove ricette nelle quali siano introdotti ingredienti mai utilizzati e sperimentati nuovi accostamenti; 10)La cottura delle verdure è fatta al dente, vengono abbandonati i fondi di cucina e le besciamelle. In Italia la lancia negli anni Ottanta, Gualtiero Marchesi che, dopo aver fatto molta esperienza in Francia, pubblica anche un libro dove raccoglie le ricette rivisitate della sua cucina creativa “La mia nuova grande cucina italiana”.

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Breve considerazioni dall’Unità d’Italia ai giorni nostri Dall’unità d’Italia, ai primi del Novecento il panorama gastronomico italiano rimane sostanzialmente invariato; la monarchia e l’aristocrazia si uniformano, seppure in maniera piuttosto sobria, allo stile francese. In fondo i Savoia sono assolutamente filo francesi, anzi si considerano di fatto francesi, anche se il loro destino di dinastia marginale li ha confinati in altri luoghi. Il menu di corte è regolarmente scritto in francese sino agli anni Venti. In tutta la penisola la cucina popolare rimane fortemente legata al territorio, seppure alcuni piatti comincino a diffondersi e ad acquisire una certa solidità nazionale: la pastasciutta, il riso, la pizza. La tragica, feroce prima guerra mondiale sarà l’occasione per far incontrare e mettere insieme culture, lingue, dialetti e anche abitudini alimentari. La nostra Storia Nazionale comincia con la Liberazione dal fascismo e un durissimo secondo dopoguerra. Anche la gastronomia è coinvolta nel tumulto di una società in totale cambiamento. Cambia completamente l’economia, la geografia, la cultura, i comportamenti, le idee e quindi anche l’alimentazione e gli stili alimentari degli italiani. Un fenomeno assolutamente di massa. Pensiamo soltanto ai milioni di uomini e donne che si spostano per motivi di lavoro, alla televisione che fa conoscere l’Italia agli italiani, allo sviluppo delle grandi industrie alimentari, all'utilizzo di massa degli elettrodomestici, come ad esempio la cucina e il frigorifero, alle donne che cominciano ad emanciparsi, ad inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro e hanno meno tempo per occuparsi di cucinare, e di fatto, cambiano le abitudini e lo stile alimentare delle famiglie, alla medicina che sostiene un’alimentazione adatta ad ogni età e stato di salute. E pensiamo alla fame, ricordo ancora recente e lacerante. Probabilmente casa, alimentazione, mobilità e abbigliamento sono i quattro “cantoni” della vita , i quattro obiettivi di ogni singolo italiano e probabilmente il primo è il cibo. Sino agli anni 50 le conoscenze e la cultura alimentare italiana sono appannaggio di una sola rivista, “La cucina Italiana”, nata nel 1929 a Milano, è ovviamente, rivista inizialmente elitaria, poi molto popolare e ancora oggi prestigiosa presenza del panorama editoriale non solo italiano. In pochi anni tutti gli italiani conosceranno, apprezzeranno e consumeranno regolarmente molti prodotti e molti piatti che formano oggi un patrimonio fantastico di base della cucina italiana, apprezzata, come è noto, in tutto il territorio nazionale e in tutto il mondo. La nostra storia finisce qui. Ora si tratta di cronaca e gli argomenti da trattare potrebbero essere infiniti. Ogni giorno una notizia e un argomento da capire, da approfondire: il benessere che dipende dall’alimentazione, la fame nel mondo e gli eccessi, le malattie, gli ogm o i prodotti naturali, la filiera produttiva da riconoscere, i mercati locali e i prodotti del territorio o il mercato globale, i piccoli produttori o i centri commerciali, i vegetariani, i

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vegani, i crudisti e le mode alimentari, le frodi, le tasse sui prodotti alimentari, cucina di casa o il ristorante. Le mode cambiano, si trasformano, si destrutturano usando un termine della cucina di Ferran Adrian che lancia la moda dei sifoni, attraverso la cucina molecolare. Ma per me la cucina che non passerà mai di moda è quella fatta col cuore, quella che ci ricordiamo e che vogliamo a tutti costi tramandare perché per noi è stata unica e ci ha lasciato quel sapore e quel ricordo in quell’attimo, in quel momento, che nonostante tutto chiamiamo vita e identità nazionale. Per preparare un pasto dignitoso o eccellente occorrono una serie di condizioni essenziali: ambiente, tempo, ingredienti di qualità, abilità e poi, anche se non vogliamo fingere la solita “retorica pseudo-poetica”, diciamo una certa dose di passione, di impegno, di piacere di cucinare. Come per ogni importante “mestiere” bisogna saper essere (attenti, precisi, puntuali, corretti, determinati, volenterosi, professionali, passionali, creativi), sapere (conoscere, studiare e approfondire le proprie conoscenze attraverso lo studio, lo scambio di idee, la sperimentazione), saper fare (esercitare continuamente la tecnica) rimangono gli elementi fondanti, che, se uniti al talento, determinano il successo.

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I personaggi che hanno fatto la storia della gastronomia italiana La Roma Imperiale del Primo Secolo Marco Gavio Apicio Comincia certamente con lui la storia della gastronomia. Patrizio romano, contemporaneo di Tiberio, probabilmente nato intorno al 25 a. C. e vissuto sempre nella Roma imperiale, Apicio era un personaggio singolare, gaudente, raffinato gastronomo e maestro di arti culinarie, sembra che dedicò tutta la sua vita e i suoi averi ai piaceri della vita e in particolare della buona cucina. Se della sua vita si hanno davvero pochissime notizie ciò che più interessa è che il suo nome rimane collegato al primo e famoso ricettario “De re coquinaria” probabilmente frutto della fusione e della trascrizione di due sue opere gastronomiche, ancora oggi un classico della letteratura gastronomica, oltre che testimonianza importante della vita quotidiana di quella epoca. Certamente il ricettario di Apicio ha condiviso il destino di altri testi antichi di cucina; i testi e le ricette originali sono state sottoposte ad un continuo aggiornamento, passando attraverso molte trascrizioni ad opera di monaci di numerosi conventi europei. Molto più recentemente alcuni storici e appassionati hanno nuovamente adattato le ricette, realizzando un ventaglio di proposte gastronomiche interessanti, superando i due classici ostacoli che si presentano ogni volta che si tenta di aggiornare dei ricettari antichi: la prima è l'assenza o la sommaria indicazione rispetto alle quantità e la seconda è l'assenza sui mercati attuali di alcuni prodotti largamente in uso in quei periodi. Per varietà e ricchezza di prodotti la cucina della Roma imperiale realizzata per le classi agiate, non ha nulla da invidiare a quella globale di oggi. I banchetti rappresentavano momenti di piacere assoluto; giungevano sulla tavola dei ricchi romani prodotti freschi da ogni angolo dell'Impero. Il vino scorreva a fiumi (e i romani, a differenza dei greci non amavano diluirlo con acqua ma piuttosto profumarlo e arricchirlo con miele e spezie); tutto era allietato da musica, spettacoli e danze e alla fine giungevano schiave e schiavi. I

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banchetti di Trimalcione, di Lucullo, le feste di Nerone, e decine di altri episodi della Roma imperiale sono raccontati in molti testi antichi.

L' Era Moderna Maestro Martino Martino de’ Rossi, Martino de Rubeis, più conosciuto con il nome di Maestro Martino, fu uno dei cuochi più importanti, se non il più importante, del XV secolo. A lui si deve la stesura dell’opera intitolata “Libro de Arte Coquinaria”, un caposaldo della letteratura gastronomica italiana. Le notizie sulla vita di questo personaggio sono poche e alcune si ricavano dai suoi stessi ricettari. La sua nascita può essere collocata agli inizi del XV secolo nel Canton Ticino, in particolare nella valle di Blenio; non si conosce la data di morte, avvenuta, presumibilmente, nell’ultimo ventennio del secolo. Si ritiene che il suo apprendistato da cuoco sia avvenuto nella cucina di qualche convento-ospizio della sua terra d’origine; successivamente Martino poté approfondire le sue conoscenze in ambito gastronomico durante un soggiorno a Napoli. In seguito si trasferì a Udine, a Milano, presso Francesco Sforza, ed infine a Roma. Fu nelle cucine vaticane che Martino acquisì la fama e l’etichetta di cuoco provetto. Dagli anni ’50 del XV secolo fino al 1465 circa fu cuoco personale del Cardinale Camerlengo Ludovico Scarampi Mezzarota, Patriarca di Aquileia, al cui nome viene legata la consuetudine di dare banchetti ricchi a tal punto da essere soprannominato “cardinal Lucullo”. Proprio grazie a questo incarico Martino raggiunge, in quegli anni, la vetta più alta della sua produzione ed elaborazione culinaria. Al termine di questo periodo si trasferisce nuovamente a Milano, al servizio di Gian Giacomo Trivulzio, dove conclude la sua carriera. Il “Libro de Arte Coquinaria” racchiude tutta l’arte culinaria, la sapienza e l’estrosità di Maestro Martino. Le prime tracce di questa opera risalgono circa al 1456. Nel frontespizio si legge: “Composto per lo egregio Maestro Martino Coquo olim del Reverendissimo Monsignor Camorlengo et Patriarcha de Aquileia”. L’opera diventò ben presto il testo di riferimento per tutti i cuochi a lui contemporanei e per i successivi. I piatti e le preparazioni di Martino si differenziano da quelli della cucina medievale tradizionale per un uso più moderato delle spezie che, in epoche

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precedenti, entravano in modo massiccio nelle preparazioni, seguendo il gusto dell’epoca. La loro presenza nei piatti sottolineava anche la magnificenza e la ricchezza del padrone di casa. L’opera è scritta in volgare e in uno stile chiaro, semplice e lineare, elementi che denotano l’intenzione dell’autore di volersi far comprendere da tutti; le ricette si susseguono in ordine di portata e a seconda della tipologia degli ingredienti in esse impiegati. Le ricette di Martino divennero, ben presto, note in tutta Italia e in Europa; il merito di questo successo si deve anche all’operato dell’umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il Platina incorporò le ricette di Martino, trascrivendole in latino e dotandole di un apparato di commenti, nel suo “De honesta voluptade et valetudine”, opera nella quale elogia apertamente Martino, definendolo “il principe dei cuochi”; in più, di lui ci racconta che era un amabile conversatore, dotato di una cultura così vasta da permettergli di sostenere, con efficacia, discussioni sui più disparati argomenti, non solo di natura gastronomica. Dobbiamo ringraziare soprattutto il Platina se l’opera di Martino è giunta fino a noi, poiché del suo libro originale non sono sopravvissute che poche copie: una è di proprietà di un privato, una è conservata nella Biblioteca Vaticana, una si trova nella Biblioteca del Congresso di Washington (Medieval Manuscript n.153). Su uno dei quattro manoscritti originali che si trova a Riva del Garda, possiamo leggere il nome Martino de Rubeis.

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Il Rinascimento Bartolomeo Scappi E' considerato il Michelangelo della cucina e ha servito ben sei Papi, l'uomo che porta a compimento assoluto il percorso della cucina rinascimentale italiana che, di lì a poco, sarà francese. Nato molto probabilmente nel Veneto dopo il 1500, si trova certamente nel 1536 al servizio del Cardinale Campeggi e, attraverso documenti scritti, è noto che si occupa di un banchetto in onore del'imperatore Carlo V. Papa Paolo III lo nomina suo cuoco e nel 1549 è al servizio di uno dei più potenti principi della Chiesa, il cardinale Carpi. Nello stesso anno si occupa dei pasti del conclave che sta per nominare il nuovo Papa; durerà più di due mesi; molti suoi contemporanei ritengono che se non fosse stato per i suoi manicaretti, il conclave sarebbe stato più rapido. Da allora in poi tutti i papi si avvalgono dei suoi servizi e nel 1570, con la benedizione papale e tutti i privilegi che essa comportava, viene pubblicata l' ”Opera di Bartolomeo Scappi”, divisa in sei libri. Sulla copertina dell'imponente opera, che si fregiava l’insegna pontificia, campeggiava l'immagine corpulenta e barbuta dell'autore. Nel primo volume un'ampia e fittizia discussione, tra il maestro e un ipotetico allievo, si approfondisce l'importanza della conoscenza perfetta delle materie prime e delle tecniche di lavorazione e cottura. Un intero libro è dedicato ai piatti freddi o da credenza ed uno alla pasticceria. Dopo cinquant'anni da questa edizione si avrà la traduzione in francese; in Italia non veniva già più stampata. Un ulteriore importante libro di cucina sarà, dopo alcuni decenni, quello scritto da Bartolomeo Stefani, grande chef dei Gonzaga, pubblicato nel 1662, col titolo, “L'arte di ben cucinare”. Per la prima volta nella storia della gastronomia moderna viene inserita una parte di ricette semplici. Il libro contiene molte ricette “vegetariane” e il racconto dettagliato di un fastoso banchetto, offerto alla regina di Svezia Cristina con dettagli sull'apparecchiatura, tipologia di tovaglioli e indicazioni sul galateo di servizio.

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La ricchezza del Paese stava svanendo tra le lotte intestine di città, ducati e Stati un tempo fiorenti. Tale ruolo passa alla Francia. All'Italia rimane anche questo merito; quello di aver dato vita e impulso all'arte culinaria europea.

Il Settecento, secolo dei lumi e la cucina franco napoletana Vincenzo Corrado La letteratura gastronomica italiana riappare soltanto alla fine del Settecento. Nell'Italia del Nord viene pubblicato nel 1794 un piccolo libro, “La cuoca cremonese”, rivolto alla borghesia cittadina piuttosto che ai professionisti; gli ingredienti sono suddivisi in maniera moderna, tra verdure, carne e pesce, con grande attenzione alla stagionalità. Nello stesso periodo, nel 1779 Antonio Nebbia pubblica “Il cuoco Maceratese” all'interno del quale presenta un’ampia proposta di primi piatti, quali pasta, gnocchi e riso al posto delle solite creme di stile francese; molti piatti sono a base di verdure mediterranee, condite con olio e erbe aromatiche. Allo stesso modo a Napoli, nel 1773 Vincenzo Corrado, pubblica “Il cuoco galante”. Poniamo l'attenzione sull'opera di questo autore e interprete della cucina del Sud per diverse e importanti ragioni: Napoli è una grande metropoli, paragonabile a Parigi, Londra e Vienna; una vera capitale di un regno non certamente arretrato come spesso si pensa erroneamente; si sviluppa a Napoli una straordinaria cucina aristocratica e ovviamente francese che si mescola alla cucina popolare partenopea, il testo lascia molto spazio alla cucina vegetariana. I viaggiatori europei che giungono in Italia raccontano tutti di una cucina italiana molto attenta all'uso di verdure, erbe, pane e olio e si meravigliano dello scarso consumo di carne. Non siamo alla dieta mediterranea e forse si tratta solo di povertà che aguzza l'ingegno. Il testo presenta tredici ricette a base di pomodoro, a cominciare da una “Zuppa alli pomodori” che sembra proprio la pappa al pomodoro toscana e quasi una sorta di anticipo della salsa di pomodoro per condire la pasta. Infine, nell'edizione del 1798 si introduce un trattato sulla patata, sulla base delle esperienze francesi seguite alla promozione dell'agronomo Parmantier. Oggi il pomodoro e le patate, la pasta al pomodoro e sughi simili, la pizza, ma anche le sfogliatelle, i gattò (gateau) i babà, la pastiera, le frittelle rappresentano un incredibile “miscuglio” gastronomico cosmopolita di prodotti americani e europei, cucina francese

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e cucina regionale, semplicità e raffinatezza, eccesso e leggerezza. Un patrimonio diventato italiano.

L'Ottocento - Il nuovo cuoco milanese economico Giovanni Felice Luraschi In questo “Nuovo cuoco milanese” si riconoscerà l'economia delle ricette, rispetto alle pratiche usate da altri Cuochi assai dispendiose. In pratica si proverà che, in queste ricette o regole di ben cucinare, non si adoperano che cose usuali ed innocenti, le vivande saranno insieme gustose e sanissime. Economia, qualità nutrizionale, igienico alimentare, bontà, rispetto per tutti gli ingredienti anche quelli più popolari. Scritto da uno dei più grandi cuochi milanesi, Giovanni Felice Luraschi; contiene molte ricette di cucina lombarda ma anche di altre città e regioni italiane e molte altre di cucina classica. Molto spazio è dedicato alle carni, vero piatto principale della cucina europea sino al dopoguerra. Non è un capolavoro della letteratura gastronomica italiana è probabilmente molto Milanocentrico. In questo libro, pubblicato nel 1829, l'autore raccoglie molte ricette ancora oggi famose e quasi fedelmente riproposte.

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Il Novecento Pellegrino Artusi Dalla fine del Seicento e per tutto il Settecento la letteratura gastronomica in Italia sostanzialmente tace. Segno da una parte di una subalternità culturale nel momento in cui la cucina francese trionfa in Europa, dall'altra, segno di un ripiegamento sulla tradizione locale che produrrà anche effetti positivi, consolidando i legami tra gastronomia e territorio e rafforzando il carattere originale della cucina italiana che, a lungo termine, si rivelerà un sicuro investimento. Per la rinascita della cucina italiana è necessario aspettare sino agli ultimi tre decenni del Settecento, anche se uno dei testi più importanti, edito nella Torino sabauda e filo francese, si intitola, non casualmente, “Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi”. Dopo l'unità d'Italia si intensifica la pubblicistica gastronomica, mostrando chiaramente come l'interazione di tre modelli, quello locale, quello statale e quello internazionale, rispondesse ad un assetto culturale profondo e permettesse di descrivere una cucina socialmente stratificata e geograficamente definita. Il capoluogo costruisce la regione a sua immagine amministrativa, pianificandone i trasporti, orientandone le produzioni e divulgandone l'identità gastronomica in concorrenza con le altre. Su questa base avviene la codificazione artusiana. Pellegrino Artusi nacque a Forlimpopoli il 4 agosto 1820. Dopo gli studi in seminario comincia ad occuparsi degli affari paterni. Nel 1852 con la famiglia si trasferì a Firenze dove rimase fino alla morte, nel 1911 a 91 anni, ma mantenne sempre vivi i rapporti con la città natale. Godette di una vita agiata, senza mai perdere di vista le sue passioni per la letteratura e la cucina. Da giovane ha accompagnato il padre nei mercati fra Senigallia e Rovigo, spostandosi con la vettura a cavalli. Ha quindi valicato in diligenza gli Appennini, sino a Livorno. Le principali città italiane le ha raggiunte con la posta, quindi con il treno: Napoli, Roma, Padova, Milano, Torino. Più di ogni altra ha frequentato Bologna con le sue buone tavole. Dal Granducato e dagli Stati della Chiesa, su fino al Polesine, giù sino alle Marche, conosce bene il territorio, strade, paesi, montagne e cittadine rivierasche. Su queste conoscenze geografiche costruisce nel 1891 la sua mappa gastronomica: “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, che conoscerà molte ristampe anche dopo la

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morte dell'autore. E' sulle città, in quanto rappresentative con i loro mercati ed i loro negozi, del contado, delle province e delle regioni, che Artusi costruisce un modello gastronomico aperto alle aggregazioni. Con questo trasferimento di risorse dalla campagna alla città, con una cucina inurbata, il modello italiano viene garantito, potenzialmente, a misura che nuovi centri e mercati si colleghino alla rete ferroviaria nazionale in cui circolano derrate alimentari, turisti e di conseguenza nuove vivande. Nella configurazione dello spazio italiano, le regioni non sono unità politicoamministrative ma “compartimenti”, con una identità fisica e storica, particolarmente importanti da un punto di vista culturale perché riuniscono alcuni caratteri generali comprensibili a tutti. Gli alimenti assumono una funzione simile a quella dei dialetti, esprimono un gusto che può essere compreso e tradotto in italiano. Trasferiti in ricette, permettono di comunicare il patrimonio domestico di famiglie lontane, la ricchezza delle loro tradizioni. Lo scambio interregionale appare dunque la chiave per accedere, progressivamente, ad una conoscenza nazionale, senza sacrificare il passato, senza alienare la propria singolarità. Questo compromesso è un passaggio importante della storia gastronomica italiana e Pellegrino Artusi diviene, agli occhi delle future massaie, il padre della cucina italiana. E' interessante riscontrare l'uso di redigere le ricette e di raccoglierle, che permane sino ai giorni nostri, anzi la crescente alfabetizzazione delle donne alla fine dell'Ottocento e nel primo Novecento delle quali si giovava l'Artusi per raccogliere il suo materiale. E' un fattore interessante da annotare e si incrementerà nel dopoguerra, nel periodo del ventennio fascista e sino a tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, questo della compilazione di diari e agende, così come l'avvento di periodici femminili stimolerà il ritaglio, la catalogazione e l'incollaggio su quaderni. Annotare ricette e riunirle non è pratica alternativa e nel contempo concorrenziale alla stampa, con la conseguenza di costringere gli editori a riservare alcune pagine bianche nei libri di casa destinate ad osservazioni e ricette personali. La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare ma dà anche piacere perché quelle volte che riuscite o che avete superato una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria. Diffidate dei libri che trattano quest'arte: la maggior sono parte fallaci o incomprensibili, potrete attingere qualche notizia utile quando l'arte la conoscete. Leggendo il testo di Artusi si può notare che già nell’ottocento ha individuato alcuni concetti che si intrecciano perfettamente con i giorni nostri “due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la propagazione della specie; a coloro quindi che, rivolgendo la mente a questi due bisogni dell’esistenza, li studiano

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e suggeriscono norme onde vengano soddisfatti nel miglior modo possibile, per render meno triste la vita stessa, e per giovare all’umanità, sia lecito sperare che questa, pur se non apprezza le loro fatiche, sia almeno prodiga di un benigno compatimento.” E’ importante una corretta alimentazione? “oltre a ciò dovrebbe l’uomo giunto a quell’età, essersi persuaso che la cura profilattica, ossia preventiva, è la migliore, che ben poco evvi a sperare dalle medicine e che il medico più abile è colui che ordina poco e cose semplici.” Prevenzione? “se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario, per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo; basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, ché questa vi farà figurare.” Professionalità? 155/97? “il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa.” Formazione? “le pentole di terra essendo poco conduttrici del calore sono da preferirsi a quelle di ferro o di rame, perché meglio si possono regolare col fuoco, fatta eccezione per le pentole in ghisa smaltata, di fabbrica inglese, con la valvola in mezzo al coperchio.” Innovazione tecnologica? Tratto da “La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” Pellegrino Artusi, Firenze, 1891

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Storia e cultura eno-gastronomica regionale italiana Quando si parla di cucina Italiana non si può dimenticare l’articolata storia che ha alle spalle il “Bel paese” e la grande influenza che i diversi popoli, che l’hanno abitata, hanno avuto sull’eno-gastronomia. La cucina Italiana risulta essere una delle più amate, tanto che tutte le popolazioni mondiali l’apprezzano e la esaltano per la grande varietà di ricette, la bontà e soprattutto la genuinità. Fondamentalmente la cucina della penisola Italiana viene identificata con la celeberrima dieta Mediterranea ma, proprio grazie alle diverse dominazioni che si sono succedute, ogni regione ed addirittura ogni provincia, può vantare una produzione culinaria differente e del tutto originale. Da Nord a Sud la cucina Italiana prende dei connotati propri sconvolgendo chiunque cerchi di trovare un filo comune: si passa dalla caponata Siciliana, all’abbacchio Laziale, alla polenta Veneta, per finire con i canederli Trentini. Mare, montagna, campagna e pianura si mescolano insieme per dare vita ad una gastronomia che fa della cucina Italiana un vero e proprio punto di riferimento per tutto ciò che riguarda il gusto del mangiare bene.

Abruzzo Storia L’Abruzzo è una regione prevalentemente a carattere montuoso e può annoverare alcune tre le più elevate vette degli Appennini, sulle quali è possibile dedicarsi allo sci fino a maggio inoltrato. Pianura e collina sono rappresentate da un ridotto lembo di terra che si trova lungo il litorale costiero dov’è possibile ammirare lo spettacolo di grandi spuntoni di roccia che si affacciano audacemente sul mare. La predisposizione, in prevalenza montana, del territorio, ha molto influito su tutto quello che riguarda la gastronomia e la tradizione Abruzzese, sposandosi perfettamente anche con quello che la presenza del mare ha da offrire.

Ricette e tradizioni In linea con un passato caratterizzato soprattutto da attività come la pastorizia e l’allevamento, fatti con quello che si può trovare senza difficoltà in natura. E’ per questo che alimenti come la pasta e la carne la fanno da padroni nei piatti degli Abruzzesi. Quella per la pasta, in particolare, è una vera e propria passione che ha portato all’invenzione del “maccherone alla chitarra” (così chiamato per la sua particolare lavorazione, per mezzo di uno strumento apposito), che viene condito principalmente col “ragù d’agnello” o col tipico “sugo di pomodoro aromatizzato al basilico”. Preparazioni tipiche sono anche i “maccarune a la mulinare”, i “maltagliati”, i “rintrocl” e le “ceppe”. L’altro amore degli Abruzzesi è quello per la carne, soprattutto quella di agnello, capra e maiale, con cui vengono preparati dei piatti

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rustici ma gustosi. Piatti come gli “arrosticini” (spiedini di carne d’agnello cotti alla brace), la “pecora alla cottora” (lasciata cuocere per molte ore in un paiolo con odori e spezie), la “porchetta”, o l’ “agnello incaporchiato”, ci riportano ad una visione culinaria completamente legata al mondo contadino e pastorizio.

La gastronomia della costa, invece, è la culla delle pietanze a base di pesce che si identificano con i famosi “brodetti di pesce”, insaporiti con peperoncino e pomodoro, e con una gran quantità di risotti, grigliate e fritture. Dall’Adriatico arrivano sulle tavole Abruzzesi una gran quantità di pesce azzurro, crostacei, scorfani, sardine, anguille, acciughe, aringhe, baccalà e gamberi. Per quanto riguarda l’agricoltura, negli altipiani Abruzzesi due colture particolari sono quelle di lenticchie di Santo Stefano, dalla forma molto schiacciata, e di aglio rosso di Sulmona, così chiamato per il colore della buccia. Vanto della produzione agricola della zona è lo zafferano che, dall’Abruzzo, viene poi esportato in tutta Italia ed Europa. L’Abruzzo ha anche la fortuna di possedere una grande abbondanza di tartufi di almeno 28 varietà. Una tradizione molto radicata nei tempi passati era la cosiddetta “Panarda” cioè l’usanza di imbandire delle grandi tavolate colme di ogni ben di Dio per festeggiare eventi importanti o particolari festività. Ai giorni nostri la “Panarda” viene allestita solo in occasione di matrimoni o battesimi.

Formaggi e salumi Ad una gastronomia che affonda le sue radici nella pastorizia e nell’allevamento non possono mancare dei formaggi e salumi di tutto rispetto. Tra i vari formaggi fatti principalmente di latte ovino, va menzionato con una nota di merito il “formaggio pecorino”, un formaggio dal gusto molto ricco che viene proposto anche nelle due varianti del “pecorino sott’olio” e del “marcetto”. Per quanto riguarda i salumi, la carne di maiale la fa da padrona. Tra i prodotti più caratteristici c’è sicuramente la “mortadella di fegato” preparata in due varianti: la variante “dolce” preparata con fegato e coratella con l’aggiunta di miele canditi e cedro, e quella “pazza” con il peperoncino messo al posto del miele. Oltre alle salsicce semplici, un'altra produzione tipica Abruzzese è il “salsicciotto di Torano” preparato con le parti più magre del maiale.

Dolci La produzione dolciaria Abruzzese è molto ricca e particolare, in particolar modo durante le festività. I “cagionetti” sono dei dolcetti tipici Natalizi a forma di raviolo

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ripieni di una sorta di purea di ceci, mosto cotto, cannella, cacao e buccia d’arancio. Altri dolci tipici sono il “Parrozzo”, preparato con farina di mandorle e ricoperto di cioccolato ed i “Fialdoni” preparati con uova e pecorino. Infine citiamo “la pupa, il cavallo ed il cuore”, dolci della Pasqua che presentano la stessa ricetta a base di farina, zucchero, uova, mandorle tritate e cioccolato, ma vengono modellati in modo diverso a seconda del destinatario: la pupa andrà alle bambine, il cavallo ai bambini ed il cuore alla persona cara o amata.

Vini L’Abruzzo ha una ricca tradizione in campo enologico che è sicuramente dimostrata dai due cavalli di battaglia proposti per accompagnare al meglio i piatti tipici. Parliamo del Montepulciano d’Abruzzo e del Trebbiano d’Abruzzo, vini che tutti conoscono ed apprezzano.

Basilicata Storia La Basilicata, o Lucania come si è chiamata per moltissimo tempo, è una regione caratterizzata dalle zone montuose che la rivestono quasi completamente lasciando un solo, piccolo spiraglio aperto verso il mar Tirreno che vede nella città di Maratea l’unica “roccaforte” marina della regione. Ovviamente un’anatomia del genere non ha potuto fare a meno di influenzare anche tutta la gastronomia del luogo escludendo quasi completamente le preparazioni a base di pesce e prediligendo invece quelle più montane e contadine.

Ricette e tradizioni Piatto forte della tradizione culinaria Lucana è senza dubbio la pasta fresca che conta una considerevole varietà. Causa influenza Pugliese troviamo anche sulle tavole Lucane le “orecchiette” che vengono condite con il sugo, le cime di rapa, i broccoli, il cavolfiore o la mollica sbriciolata del pane unita a uvetta. Oltre alle orecchiette, i principali tipi di pasta sono: i “cavatelli” (simili a degli gnocchi), i “ferretti” (simili ai più comuni fusilli), gli “strascinati”, le “manate” ed i “minuich” (simili agli spaghetti). La maggior risorsa a disposizione della gastronomia Lucana è la carne, soprattutto d’agnello e capra, che viene preparata in mille modi diversi. Simbolo indiscusso della tradizione pastorizia, i piatti a base d’agnello sono i più apprezzati e quelli che ricordano maggiormente i sapori di un tempo. Tra le pietanze più importanti ci sono sicuramente “l’agnello coi cardoncelli”, la “pignatta” (strati di carne di pecora, cipolla, patate, soppressata e pomodori cotti in un grande tegame in terracotta), il “gnummaridd” (involtini di frattaglie di agnello e pecora, simili a quelli pugliesi) e la “nghenderata”, una speciale carne salata, impreziosita con aromi vari e conservata in grossi vasi. Il piatto tradizionale per eccellenza è, però, l’agnello con asparagi, uova e cacio preparato soprattutto durante la Pasqua. Considerando il poco spazio a disposizione di qualsivoglia coltura, la Basilicata non possiede una agricoltura molto varia. Accanto al grano le altre colture importanti sono quella dei fichi, con i quali si

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preparano delle ottime ricette sia dolci che salate, del farro, grazie al quale si arricchiscono le minestre e le zuppe e di alcuni tipi di legume come fave e piselli. La piccola zona costiera presenta una gastronomia molto simile al resto della regione ad esclusione di pochi piatti a base di pesce che comunque sono destinati a cedere il passo alla tradizione tipica delle montagne. Alcuni dei piatti a base di pesce sono lo “scapece” è cioè le alici del Tirreno lasciate marinare nell’aceto, il “baccalà alla lucana” con i peperoni, la “zuppa di pesce di Maratea” (preparata con saraghi, seppie, scorfani ed altro pesce di scoglio), ed il “sughetto di patelle”. Molto amate e tipiche sono anche le ricette a base di anguilla che trovano il loro habitat ideale in molti laghi Lucani e vengono cucinate con peperoncino, pomodoro, alloro ed un pizzico di menta fresca. Importanti sono inoltre la varietà di funghi, le castagne e il peperone rosso di Senise “crusca” che viene essiccato e consumato fritto o ridotto in polvere.

Formaggi e salumi La tradizione secolare dei pastori Lucani ha dato vita ad una produzione casearia non solo molto ricca ma anche molto varia. Accanto al formaggio più tipico di queste zone, il “pecorino di Moliterno”, si possono contare una gran quantità di altri prodotti caseari: caciotte, cacioricotte, caciocavalli, scamorze, caprini, mozzarelle, tomini, manteche (scamorze ripiene di burro), “casieddu”, “tume” e formaggi cremosi che accontentano i gusti anche dei palati più raffinati. Gli insaccati sono, insieme ai formaggi, il prodotto tipico della produzione Lucana. Tra tutti spiccano la famosa “salsiccia lucanica” e la “soppressata di Rivello” conservata sott’olio.

Dolci Ancora una volta, in ricordo delle origini umili e contadine della gastronomia Lucana, dolci e prodotti da forno si rivelano molto semplici e genuini. Oltre ai classici biscotti, taralli e biscotti alle mandorle glassati, si possono trovare degli altri prodotti dolciari più particolari e tipici. E’ il caso dei biscotti con i semi d’anice, il vino cotto al miele, i dolci al mosto, le “cartellate” (simili a quelle pugliesi) e la “paparotta”, una polenta fatta di farina gialla con l’aggiunta di zucchero e mosto d’uva.

Vini Tra i vini Lucani menzioniamo quelli più pregiati e riconosciuti che sono: l’ “Aglianico del Vulture”, il “Basilicata” ed il “Grottino di Roccanova”.

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Calabria Storia Splendidamente adagiata nel Mar Mediterraneo la Calabria è una regione di grandi bellezze, storiche e naturali che ne fanno una delle mete preferite dai turisti, specialmente nel periodo estivo durante il quale possono godere di uno dei mari più belli d’Italia. Ma la Calabria non è solo mare: immense distese di boschi, cascate che si tuffano da alte montagne, laghi e fiumi caratterizzano la parte dell’entroterra Calabro, prevalentemente montuoso. Ed è proprio da questa convivenza tra due elementi così differenti, il mare è la montagna, che ha origine la gastronomia Calabrese, una cucina semplice ma allo stesso tempo varia e gustosa, fatta di sapori decisi.

Piatti tipici e tradizione Molto ha influito, dal punto di vista gastronomico, il clima aspro e soleggiato della terra Calabrese che ha portato i suoi abitanti, principalmente nell’antichità, ad inventarsi dei sistemi per la conservazione, a lungo termine, degli alimenti e dei prodotti della terra. Esigenza che si è tradotta in una vasta produzione di conserve: sott’olio, sott’aceto ed insaccati sono a tutt’oggi alcuni dei prodotti di punta della tradizione culinaria Calabrese. Ed è sempre la stessa esigenza di conservazione ad aver dato vita a delle particolari tecniche di lavorazione e conservazione della carne di maiale e del pesce spada, diffusissimo nelle acque antistanti Scilla e Bagnara, che sono state tramandate da pescatori e contadini fino ai giorni nostri mantenendo intatta una tradizione lunga secoli. In tutta la gastronomia Calabra si può seguire un filo conduttore che ci racconta di una cucina fatta si di elementi genuini, ma prevalentemente povera e modesta. La conferma di quanto detto ci viene data da una preparazione tradizionale Calabrese chiamata il “caviale dei poveri” preparato con le uova di acciuga conservate sott’olio ed insaporite con del peperoncino piccante.

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Oltre al pesce spada ed alle acciughe, la cucina Calabrese fa molto uso di pesce “azzuro”, di crostacei, di cozze e vongole che vengono spesso mixati per dare vita alle favolose fritture o grigliate miste che è possibile gustare prevalentemente nelle zone costiere. Ed ancora, in montagna è possibile gustare degli ottimi piatti a base di funghi di cui la Sila è ricchissima. Il tipico fungo Silano è il “rossitto” , così chiamato perché possiede un colore rosato, che viene messo a cuocere sulla brace ed accompagnato con aglio e pancetta. Molto importante, nella dieta Calabrese, è il pane che si può considerare uno dei vanti di questa gastronomia: filoni, pagnotte di grano duro e pitte sono le principali varietà di pani prodotte in Calabria. Dalle zone coltivate, prevalentemente collinari, si ottiene invece una gran varietà di ortaggi e verdure: melanzane, peperoni, pomodori, cipolle rosse e fave sono tra i prodotti più coltivati ed impiegati nella preparazione di ricette tipiche. Per quanto riguarda la frutta, in Calabria prevale tutto ciò che ha a che fare con gli agrumi: arance, mandarini, limoni, bergamotto la fanno da padroni, seguiti poi da altre varietà di frutta come more, albicocche, pesche, ciliegi. Considerando che le ricette Calabresi richiedono una buona dose di condimento, bisogna ricordare l’importante coltivazione di oliveti dai quali si estrae dell’ottimo olio extravergine d’oliva.

Formaggi e salumi Nonostante il pesce sia uno degli alimenti più apprezzati, i veri protagonisti della gastronomia Calabrese sono la carne, specialmente quella di maiale, ed il formaggio. Dalla lavorazione del maiale vengono ricavati alcuni dei prodotti più conosciuti della Calabria: la ‘nduja, i capocolli, le salsicce, le soppressate e gli ottimi prosciutti magri. Accanto al maiale prendono posto anche la carne di agnello e capretto, molto consumate soprattutto durante il periodo Pasquale, e la carne di cinghiale, molto amata nelle zone montane. Per quanto riguarda i formaggi, i più pregiati ed apprezzati vengono prodotti sulle montagne della Sila. Rappresentante più significativo dei prodotti caseari Calabresi è il “Caciocavallo Silano”: un formaggio semiduro a pasta filata, confezionato con il latte vaccino, che deve il suo sapore alla stagionatura fatta sulle montagne Silane. Altro punto di forza è la buonissima ricotta con la quale, molto spesso, viene addirittura condita la pasta.

Dolci Anche a livello dolciario la Calabria propone dei dolci molto semplici ma gustosi. Il gelato Calabrese è considerato una vera e propria prelibatezza ed a testimoniarlo ci sono dei prodotti molto rinomati come il “tartufo di Pizzo”, il “pezzo duro” di Gioiosa,

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il “gelato artigianale” di Reggio Calabria e la “crema reggina” sempre di Reggio Calabria. Accanto al gelato compaiono altri dolci che appartengono alla tradizione storica della Calabria e che si rifanno alle antiche tradizioni gastronomiche, ricordiamo la “pignolata”, dolce tipico di Reggio Calabria ricoperto di glassa al cioccolato o al limone; le “susumelle” biscotti tipici regionali; la “cudduredda”; il “mustazzolo”; la “cuzzupa” tipico dolce Pasquale; ed i “petrali” biscottini di pasta frolla ripieni di noci, fichi, mandorle, mandarini e buccia d’arancia e la “petfuiata” un dolce tipico del crotonese ricoperto con vincotto, frutta secca e spezie.

Vini e liquori La tradizione Calabra si distingue anche nella produzione di bibite e liquori molto particolari che solitamente riescono ad entusiasmare i turisti e gli stranieri che ne assaggiano il sapore. Tra le bevande la più celebre è senza dubbio la “brasilena”, una bibita gassata al gusto di caffè, seguita dalla “cedrata”, una gustosa bibita gassata al sapore di cedro. I liquori maggiormente apprezzati sono invece: l’ “Amaro del Capo”, il “Bergamino”, un liquore al bergamotto, il “Limoncello”, il “Nocino”, al sapore di noce, il “Liquirice” al gusto di liquirizia e la “Zagara”, liquore all’arancia. Ma non è finita qui perché la Calabria può annoverare nella sua enoteca, dei vini davvero molto buoni e particolari dal sapore deciso, tipicamente meridionale. Tra tutti ricordiamo il Cirò, il Bivongi, il Greco di bianco ed il Savuto.

Campania Storia La Campania è una delle regioni più belle ed affascinanti d'Italia, non solo dal punto di vista morfologico e naturalistico, ma anche per quanto riguarda il suo passato storico pieno di avvenimenti. Morfologicamente parlando, la Campania ha un territorio in prevalenza collinare con qualche accenno di pianure e montagne che molte volte, trovandosi a ridosso del cristallino mare, creano panorami suggestivi. Non meno seducente è poi, lo spettacolo offerto dall'imponente Vesuvio ché con la sua mole incombe sulla meravigliosa Napoli facendo, allo stesso tempo, da quartier generale ad una miriade di paeselli che hanno deciso di prosperare alle sue pendici. Una regione che ha fatto della tradizione un vero e proprio cavallo di battaglia, soprattutto per quanto riguarda la gastronomia.

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Ricette e tradizione Come già accennato, la gastronomia Campana si distingue per il suo grande rispetto delle antiche tradizioni impiantate e tramandate da grandi popolazioni come i Greci che hanno sicuramente lasciato un’impronta importante. Resa celebre dalla "dieta mediterranea", la pasta “di Gragnano è la più famosa per la sua particolare lavorazione” è considerata uno dei piatti più importanti della cucina Partenopea. La presenza così ravvicinata del mare e la vastità delle coltivazioni regionali di ortaggi, hanno fatto si che pesce, verdura e legumi diventassero gli ingredienti fondamentali dei primi piatti Campani. Ricordiamo la "minestra maritata" (preparata con una grande varietà di ortaggi, salsiccia, muso e piede di maiale, carne di gallina e di manzo), le varie "minestre coi legumi" (fave, piselli, ceci, fagioli), gli "strascinati con salsiccia e fagioli", la "pasta con fagioli e cozze", i "vermicelli alle vongole" e gli "spaghetti allo scoglio o coi ricci di mare". Accanto a queste preparazioni, troviamo anche primi piatti a base essenzialmente di carne. Tra tutti ricordiamo i "paccheri al ragù", le "zite ripiene" e la "maccaronara" (una particolare pasta fresca che si prepara con un apposito matterello rigato e si condisce con pancetta, guanciale, carne di agnello e pecorino). I secondi piatti della tradizione Partenopea risentono moltissimo dell'influenza marittima ma, allo stesso tempo, propongono delle preparazioni di carne molto gustose che provengono dall'entroterra campano. Ovviamente, i piatti più celebri sono quelli che fanno parte della cucina marittima come: l' "impepata di cozze", i "polpetielli (polpi) affogati", i "polpi alla luciana" (così chiamati dal nome degli abitanti del borgo di Santa Lucia, esperti nella preparazione di questa ricetta), i "calamari ripieni", le "alici in tortiera", l' "anguilla marinata" ed il celebre "capitone alla marinara". Tra i piatti di carne sono senza dubbio da ricordare: il "coniglio all'Ischitana", le "polpette al sugo", la "spalla d'agnello arrosto", lo "spezzatino alla Napoletana", il "polpettone", l' "agnello al forno coi piselli" e la "carne alla pizzaiola". Molti secondi piatti, che all’occorrenza possono diventare contorni o antipasti, sono composti da verdure o formaggi. I più celebri sono: la "mozzarella in carrozza", i "friarelli" (broccoli passati in padella con

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abbondante peperoncino e aglio), la "bruschetta caprese" (con pomodoro e mozzarella), e la "parmigiana di melanzane" (che molto spesso viene servita come primo piatto). Un capitolo a parte è da dedicare al piatto più tipico della tradizione Campana: la buonissima Pizza. In tutta la Campania, ma soprattutto a Napoli, la preparazione della Pizza è un vero e proprio culto e per questa ragione quella napoletana è considerata la più buona pizza in assoluto. Legata alle vicende storiche della Regina Margherita di Savoia (dalla quale prende il nome l'omonima pizza) la pizza viene preparata ancora oggi secondo l'antica tradizione e condita con i più buoni prodotti campani come la mozzarella di bufala, i pomodorini del Vesuvio ed il basilico fresco.

Formaggi e salumi Le dolci colline Campane sono l'ambiente ideale per l'allevamento di bovini e ovini che contribuiscono alla produzione di ottimi formaggi e salumi. Tra i formaggi più importanti sono sicuramente da ricordare la classica "mozzarella di bufala", la "ricotta di bufala" ed il "mascarpone di bufala". Altri prodotti caseari degni di nota sono poi il "caciocavallo", il "burrino", la "caciotta campana", la "scamorza" e il buonissimo "Auricchio". Molto importante è anche la produzione di salumi ed insaccati. Il più tipico è senza dubbio il "salame di bufalo" ma sono sicuramente da ricordare anche la buonissima “salsiccia Napoli” piccante o non, la "lonza", la "coppa", il "fiocco di prociutto", la "pancetta tesa o coppata", il "capicollo" e la "sopressata".

Dolci Per quanto riguarda la produzione dolciaria Partenopea, bisogna sottolineare come alcuni prodotti siano non solo appannagio della tradizione del posto, ma anche molto conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. Tra i più apprezzati ricordiamo il tradizionale "babà al rum" (che può essere farcito con la panna o la crema), la "pastiera napoletana" e le delicatissime "sfogliatelle", classico della pasticceria Partenopea. Ed ancora, ad arricchire la lista, ci sono gli "struffoli", le "zeppole", il "sanguinaccio" (fatto col sangue del maiale), la "zuppa inglese napoletana", i "mostaccioli", i "roccocò", il "migliaccio" ed i "cannoli alla Sorrentina".

Vini e bevande Anche dal punto di vista enologico la Campania non ha nulla da invidiare alle altre regioni Italiane. Dai suoi vigneti e dalle sue cantine escono dei vini di gran pregio che, per la loro grande bontà, vengono esportati ed apprezzati ovunque. Sono da ricordare il "Greco di Tufo", il "Taurasi", il "Taburno" ed i "Campi Flegrei" come rappresentanti della categoria. Tra gli altri meritano menzione il "Vesuvio Lacryma Christi", il "Sannio", l' "Ischia", il "Sant'Agata", il "Castel San Lorenzo" ed il "Galluccio". Accanto ai vini troviamo i liquori tipici della regione che vedono il loro rappresentante nel celebre "Limoncello" preparato con i meravigliosi e succosi limoni di Sorrento. Altri liquori apprezzabili sono: la "crema di melone", il "liquore alla liquirizia" e le varie "Grappe" che vengono prodotte nella regione.

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Emilia-Romagna Storia Ricca di storia e tradizioni, pur essendo considerata una regione unica e quindi una realtà amministrativa sola, l’Emilia Romagna racchiude al suo interno due diverse culture, quella Emiliana e quella Romagnola, estremamente differenti tra loro, ognuna con una propria individualità fatta di tradizioni e storie diverse. A causa di vicissitudini storiche particolari, l’Emilia è riuscita a diventare una terra molto ricca mentre la Romagna ha mantenuto delle origini più semplici e veraci. Una differenza che molti tendono ad accentuare quando si parla di cucina e gastronomia rivendicando una grande differenza sia negli ingredienti che nelle preparazioni. Piccole differenze che, in ogni caso, non impediscono di parlare unitariamente di una cucina così variopinta e saporita come quella Emiliano–Romagnola.

Ricette e tradizione A simboleggiare la ricca e opulenta gastronomia del luogo ci pensano sicuramente i primi piatti che sono rappresentati da una moltitudine di paste fresche e ripiene. Le paste fresche sono degnamente rappresentate delle famose “tagliatelle” condite, come tradizione vuole, con del ragù di carne. A pari merito ci sono le “lasagne”, i “maltagliati”, i “tagliolini”, i “garganelli” ed i “pisarei”(degli gnocchetti al pangrattato). Tra le paste ripiene ci sono i buonissimi “tortellini”, solitamente serviti in brodo o conditi con la panna o il ragù, i “cappelletti”, gli “anolini”, i “tortelli di zucca” ed i “ravioli di magro”, quasi tutte condite con del ragù o del sugo di carne. Passando ai secondi piatti, la tradizione Emiliana predilige i piatti a base di carne anche se, allo stesso tempo, non ci si sofferma molto. Degni di nota sono sicuramente lo “stracotto” che può essere preparato anche con carne di cavallo o asino, e la “sicula d’caval”, una ricetta a base di carne macinata di cavallo. La cucina Romagnola, al contrario, preferisce i piatti a base di pesce anche a causa dello stretto legame col mare. Tra i piatti marinari dominano la scena il “brodetto”, il “pesce in graticola” e tutte le varie “zuppe di pesce”. Molto importante, in tutta la regione, risulta la produzione di prodotti da forno. Iniziamo parlando del buonissimo “pane di Ferrara”, rinomato per la sua forma particolare, due piccoli filoni attorcigliati al centro. Altro prodotto molto conosciuto e l’ “erbazzone”, una torta salata farcita con cipolla, scalogno, barbabietole lesse, aglio e abbondante Parmigiano Reggiano. Infine, non possiamo dimenticare due dei prodotti di punta della gastronomia EmilianoRomagnola: la piadina e la tigella che rappresentano un ottimo piatto unico o un

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goloso spuntino, e che vengono farcite coi salumi tipici della zona. Tra i prodotti più pregiati della regione è sicuramente da ricordare il buonissimo “aceto balsamico” che viene prodotto in due forme diverse sia a Modena che a Reggio Emilia.

Formaggi e salumi Che l’Emilia Romagna sia famosa principalmente per i suoi salumi e formaggi non è un mistero. D’altra parte, nessun’altra regione d’Italia può vantare una tanto ampia produzione ed una così folta varietà di prodotti uno più buono dell’altro. Tra i formaggi Emiliano-Romagnoli, il re è assolutamente il “Parmigiano Reggiano” una prelibatezza esportata ed invidiata da tutto il mondo. Altri prodotti caseari degni di nota sono, poi, il “Pecorino di Fossa”, fatto di latte di capra e pecora, ed il morbidissimo “squacquerone”, ideale per farcire le piadine. Per quanto riguarda i salumi, invece, c’è innanzitutto da fare un piccola distinzione tra salumi destinati alla cottura e non. Tra quelli destinati alla cottura ce ne sono due che fanno parte oramai della tradizione natalizia di tutta Italia: lo “zampone” ed il “cotechino” consumati, insieme alle lenticchie, nella notte di Capodanno. Ancora da cuocere ci sono la “salama da sugo”, il cappello del prete” ed il particolare “Belecot” che va consumato solo dopo averlo bollito. I salumi tradizionali che produce la regione sono davvero tanti e quasi tutti sono delle vere prelibatezze riconosciute dal marchio D.O.P. Ricordiamo la “mortadella Bologna”, il “culatello di Zibello”, il “prosciutto crudo di Parma”, la “coppa Piacentina”, il “salame di Felino” e la “spalla di San Secondo”: tutti salumi utilizzati tradizionalmente come accompagnamento allo “gnocco fritto”, altro prodotto tipico del luogo.

Dolci Nei dolci l’Emilia Romagna non vuole essere da meno e per questo sfodera una gran quantità di ricette semplici e gustose. Tra tutti domina il “Panpepato”, arrivato fino ai giorni nostri direttamente dal Rinascimento insieme alla “spongata”. Altri dolci tipici sono la “torta di riso”, le “castagnole”, le “frappe”, la “ciambella”, i “bracciatelli” (dolcetti all’anice), i “sabadoni” (dolci ripieni di marmellata e castagne cotte), la “torta di tagliatelle”, le “fave dei morti”, gli “africanetti”e la “panna cotta”.

Vini Le zone di collina della generosa Emilia Romagna regalano una vasta produzione di vini, ottimi come accompagnamento ai piatti regionali e, soprattutto, ai salumi locali. Da ricordare è sicuramente il “Lambrusco”, un vino frizzantino che si adatta anche al dessert nella versione “amabile”. Tra gli altri citiamo il “Pignoletto”, la “Malvasia”, il “Gutturnio”, il “Bonarda”, il “Sauvignon” ed il “Bosco Eliceo”.

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Friuli Venezia Giulia Storia Il Friuli Venezia Giulia è una regione con una storia molto particolare formata da due territori distinti: la parte Friulana vera e propria, e la parte della Venezia Giulia che è stata annessa all’Italia solo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oltre a delineare delle nette diversità di usi e costumi, questa annessione ha provocato la nascita di una gastronomia che ha in se molte caratteristiche provenienti dai paesi vicini. Dal punto di vista morfologico, il Friuli Venezia Giulia, presenta un territorio prevalentemente pianeggiante e straordinariamente fertile che si affaccia sulla costa. Nonostante questo, la regione ha una gastronomia molto semplice e povera, dominata essenzialmente da quei prodotti che la natura offre.

Ricette e tradizione La tradizione culinaria del Friuli Venezia Giulia si rifà quasi completamente all’utilizzo di quei prodotti che vengono coltivati nelle sue pianure: rape, patate, fagioli, cereali, riso, granoturco ed in generale gli ortaggi, la fanno da padroni sulle tavole Friulane. La “passione” per verdure ed ortaggi si riscontra principalmente nella preparazione dei primi piatti, tra i quali primeggiano sicuramente le zuppe e le minestre. Le più classiche sono: la “minestra di fagioli” (fatta cuocere per due ore insieme a lardo e patate), la “minestra alle erbe” (con menta, luppolo, ortica, pungitopo e valeriana), la “bizna” (zuppa di brovada, fagioli e patate), la “minestra d’orzo”, la “minestra di zucca e castagne” e la “iota” (minestra di fagioli, crauti e farina gialla). Tra gli altri primi ricordiamo gli “gnocchetti di fegato”, lo “gnocco di pane al prosciutto”, gli “gnocchi di susine”, i “cjarsons” (dei ravioli ripieni di spezie ed erbe, conditi col burro fuso e la ricotta affumicata), ed il “riso alla greca” (con pomodoro, erbe aromatiche ed olive). Molto importante nella gastronomia del Friuli Venezia Giulia è la polenta. Utilizzata tantissimo per sostituire il pane, viene mangiata al naturale o utilizzata per accompagnare piatti di carne o pesce. Da ricordare la “polenta pasticciata” (ricoperta da carne di piccione, castrato e maiale) e la “polenta a fette” (tagliata ed abbrustolita sul fuoco). Le pietanze a base di carne sono molte e vedono come protagonista soprattutto la cacciagione. Le ricette più importanti sono: la “lepre in agrodolce”, il “cervo, il cinghiale ed il capriolo con la polenta”, le “costolette alla Viennese” ed il “gulasch friulano”. Per quanto riguarda i piatti di pesce, il mare Friulano offre una grande varietà di possibilità per realizzare gustosi secondi. Tra i piatti principali ricordiamo il “boreto gradese” (una zuppa preparata con una grande quantità di aglio tostato), i “sardoni marinati”, la “grancevola alla triestina” e “l’aringa

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alla friulana”. Da segnalare tra i contorni c’è, infine, il buonissimo “frico” preparato con delle fette di formaggio intinte nel latte e fritte in padella con abbondante burro.

Formaggi e salumi Dal punto di vista caseario, il Friuli Venezia Giulia è una regione che ha una tradizione secolare. Tra i principali formaggi troviamo il “montasio”, il “latteria”, la “ricotta affumicata”, la “malga”, il “pecorino”, il “salato morbido o duro”, il “tabor”, il “tipo malga”, ed il “caprino della Carnia”. Per quello che riguarda i salumi e gli insaccati basti ricordare che il Friuli è la patria del pregiatissimo “prosciutto San Daniele” e dello “speck di Sauris”, entrambi conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. Altri prodotti da ricordare sono: il “muset” (cotechino Friulano), il “peta” (salame di capriolo e camoscio), il “salame d’oca” ed il “salame Friulano”.

Dolci La produzione dolciaria Friulana è ancora una volta influenzata dalla “povertà” di questa regione e caratterizzata dall’utilizzo di prodotti molto semplici. I dolci più rappresentativi sono la “gubana”(una sorta di grosso bombolone farcito con noci, spezie e liquori), la “pinza” (un dolce pasquale ripieno di fichi secchi), le “castagnole”, i “chifeletti” (biscottini alle noci), i “krapfen”, gli “struccoli” (simili allo strudel) ed i “presnitz”(farciti con frutta secca, spezie ed aromi).

Vini La produzione di vini del Friuli Venezia Giulia è molto vasta e, anche se fino a qualche tempo fa non venivano molto valorizzati, al giorno d’oggi i vini di questa regione sono tra i più apprezzati e proposti in tutta la nazione. Degni di nota sono sicuramente il “Sauvignon”, il “Riesling”, il “Tocai”, il “Merlot” ed il “Cabernet”. Tra i liquori c’è da segnalare senza dubbio l’ottima “grappa” Friulana famosa per il suo meraviglioso aroma e per la morbidezza del gusto.

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Lazio Storia La storia del Lazio è profondamente segnata dalla storia di Roma, sia per quello che questa rappresentò per la regione nel suo millenario svolgersi, sia per ciò che questa storia determinò con il consolidarsi del potere della chiesa cattolica, sia per il significato fortemente simbolico ed ideologico che Roma venne ad esercitare per il Regno d’Italia, ma anche per la moderna Repubblica Italiana.

Il territorio non presenta caratteristiche fisiche omogenee, anzi si caratterizza per la sua eterogeneità, con prevalenza di zone montuose e collinari; le pianure si trovano per lo più in prossimità della costa.

Ricette e tradizioni La cucina del Lazio è di tradizione popolare e contadina, basata su sapori forti, con largo uso del cosìdetto quinto quarto, (frattaglie). Grande peso ha la personalità culinaria di Roma, fusa ad influenze più propriamente mediterranee, meridionali e toscane, e finanche alla gastronomia ebraica e kosher, grazie alla presenza del ghetto di Roma. I primi piatti sono il forte della cucina romana, un piatto simbolo per eccellenza della romana tavola sono i bucatini all’amatriciana (originari di Amatrice, un piccolo centro in provincia di Rieti), i bucatini cacio e pepe, le penne all’arrabiata, gli gnocchi alla romana e i rigatoni con la pajata (conditi con sugo a base di budella di vitellino da latte con olio, aglio, prezzemolo, vino bianco, pomodoro e peperoncino), gli spaghetti alla carbonara. Altra pasta tipica del Lazio sono le “fregnacce”, dei maltagliati all'uovo, si preparano alla sabinese con un sugo di porcini e olive nere e il timballo alla ciociara. Fra le minestre sono gustose la zuppa di scarola e fagioli, la stracciatella romana, a base di uova, semolino e cacio, la zuppa fresca di fave col guanciale e i fagioli con le cotiche, in Tuscia è diffusa “l'acquacotta”, a volte col baccalà, lungo il litorale è possibile provare tutte le specialità di mare tipiche del mediterraneo. Roma e il Lazio è la terra dell'abbacchio, si tratta dell'agnello lattante cucinato nelle più diverse maniere: l'abbacchio arrosto, con aromi vari, le costolette d'abbacchio a scottadito, la coratella d'abbacchio con i carciofi, l'abbacchio alla romana, l'abbacchio brodettato, con farina, vino e cipolle, l'abbacchio alla cacciatora. Particolarmente apprezzato il pollo alla romana, anche con i peperoni, e il pollo alla cesaretto, in umido.

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Fra le preparazioni a base di carne suina segnaliamo le spuntature di maiale e la celeberrima porchetta dei castelli. Apprezzata è la trippa alla romana, col sugo, mentuccia e pecorino. Deliziose sono le specialità di stoccafisso, filetti di baccalà una specialità ebraica e il baccalà in umido alla romana, molto amate le seppie, preparate in vari modi, soprattutto in umido o con i piselli, pregiatissimo il luccio del lago di Bolsena, preparato con pomodoro e capperi. La cucina del Lazio prevede un'ampia scelta di contorni, fritture e ghiottonerie da stuzzicare, molto amate sono le bruschette, i crostini con le acciughe, le panzanelle e i supplì di riso, reinterpretazione locale dei famosi arancini siciliani; deliziose sono le fritture di fiori di zucca, con cuore d'acciuga, le fritture di zucchine, di carciofi, di baccalà, di animelle, fegato e cervello d'abbacchio. Le insalate di puntarelle, l'insalata di misticanze, con lattughe varie, mele, pinoli e noci, l'insalata di nervetti di vitello, la cicoria ripassata e i carciofi alla giudia, altra specialità del ghetto ebraico.

Formaggi e salumi Il pecorino romano dop è come la città di Roma, millenario la sua antica zona d’origine è l’agro romano, e non c’è motivo per pensare che l’attuale formaggio differisca sostanzialmente da quello che producevano i pastori dell’antica Roma, la ricotta romana dop, che si distingue per la pasta più densa e granulosa, la ritroviamo in molte ricette tradizionali, nei ripieni delle paste fresche o usata come base di dolci e crostate. Nelle zone di Latina e Frosinone, la vicinanza della Campania ha ispirato la produzione di mozzarella e fior di latte che hanno assunto caratteristiche proprie e ben definite nel gusto, il Lazio è anche l’area della “caciotta” e del “marzolino” (formaggio caprino tenuto a scolare su assi di legno, poi stagionato in damigiane di vetro). La tradizione di salumi laziali è impostata in prevalenza sulla lavorazione delle carni intere e molto meno sugli insaccati, importanti sono i prosciutti, che hanno caratteristiche di compattezza e di sapidità simili a quelli toscano e umbro, buoni capocolli, ottimo lardo e guanciale. Troviamo inoltre le “coppiette ciociare”, strisce di carne, tagliate con speciali lame, sono condite con sale e spezie naturali, quindi infilzate con spaghi e canapa e messe a stagionare, la mortadellina affumicata prodotto tipico della zona di Amatrice, “il prosciutto di Guarcino” (Frosinone).

Dolci Se si parla di dolci, il “maritozzo” è il dolce classico della tradizione romana, una specie di panino farcito con abbondante panna, i “bocconotti”, piccoli tortini di pasta frolla ripieni di ricotta o il “pangiallo”, dolce a base di frutta secca, pinoli e miele, le

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ciambelle al vino, la crostata di ricotta, le “susamelle” a base di mandorle, le “castagnole” di carnevale la “pigna” il budino di ricotta alla romana, il bignè di San Giuseppe e la zuppa dolce.

Vini In questa terra di antiche tradizioni non può mancare il nettare degli dei, nella zona dei castelli si produce un ottimo vino bianco, il Frascati, il Velletri e i Colli Albani, sono coltivati inoltre il Trebbiano, Malvasia del Lazio e di Candia, il Grechetto, Bombino, Sangiovese, Cesanese, Ciliegiolo, Montepulciano.

Liguria Storia La Liguria è una delle regioni più piccole d’Italia ma, allo stesso tempo, una delle più particolari sia per la sua forma che ricorda una mezzaluna, sia per le sue caratteristiche morfologiche. Schiacciata tra le Alpi ed il mar Ligure, la piccola Liguria rappresenta un vero e proprio miracolo naturale, vista l’armoniosa convivenza tra due elementi così diversi come possono esserlo il mare e la montagna. Vista l’assoluta mancanza di pianure, la Liguria è una terra che ha dovuto fare a meno di attività importanti come l’allevamento e la pastorizia, basandosi su quello che la natura le ha donato: il mare, dal quale ricavare l’ottimo pesce, ed i monti dove crescono spontanee o si coltivano una grande quantità di erbe aromatiche e spezie. La gastronomia della Liguria appare essenzialmente di matrice povera e contadina ma nasconde una varietà ed una ricercatezza tale da renderla, allo stesso tempo, ricca e gustosa.

Ricette e tradizione La cucina ligure affonda le sue radici nelle tradizioni dei pescatori e delle popolazioni delle montagne che cercavano di arrangiarsi con le risorse messe a disposizione dal territorio. Vista la quasi completa mancanza di una tradizione pastorizia, le principali pietanze sono costituite da primi piatti a base di pasta, focacce varie e pesce. Senza alcun dubbio, la panificazione ha sempre occupato un posto rilevante nella gastronomia Ligure tanto che, anche ai giorni nostri, la regione è famosa per i suoi prodotti da forno. Tra i principali ricordiamo sicuramente la “farinata” (condita con cipolla, rosmarino, zucca o coi bianchetti), la classica “focaccia” (la più celebre è quella di Recco), gli “sgabei” (pezzetti di pasta per il pane fritti e farciti con formaggi e salumi), e le varie torte salate tra cui spicca la buonissima “torta pasqualina”, preparata essenzialmente nel periodo di Pasqua. Altrettanto importante risulta la tradizione che riguarda la produzione di pasta fresca

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per la realizzazione di primi piatti davvero gustosi. I più tradizionali primi piatti sono: i “corzetti”, gli “gnocchi di patate” (conditi col pesto), i “ravioli alla ligure”, i “pansoti” (conditi con sugo alle noci), le “trenette al pesto”, le “trofie al pesto”, i “panigacci”, ed infine un buon piatto a base di verdure, il “minestrone alla genovese”. Per quanto riguarda i secondi, la Liguria mette in pista il suo grande amore per il mare ed il pesce, ma anche per le erbe aromatiche e le spezie che vengono usate, moltissimo, per insaporire e creare piatti deliziosi. Preparazione tipica a base di erbe aromatiche è il famoso “preboggion”, un misto di bietole, cerfoglio, dente di cane, pimpinella, borragine e cappuccio selvatico che viene utilizzato per farcire i “ravioli alla ligure”. Altri piatti a base di verdura sono le “verdure ripiene al forno”, la “scorzonera in insalata”, e l’ “insalata di condiglione”. Per quanto riguarda i piatti di mare, la gastronomia ligure offre una grande scelta. Tra le principali preparazioni sono da menzionare il “cappon magro” (una sorta di insalatona a base di pesce, verdure e uova), le “acciughe in salamoia”, lo “stoccafisso accomodato”, il “baccalà al verde”, i “gianchetti”, la “buridda” (una zuppa a base di pesce), il “bagnun d’acciughe”, ed infine tutte le preparazioni a base di branzino, sarago, pesce luna, bianchetti e limonetti. Come già anticipato in precedenza, a causa di mancanza di spazio per l’allevamento del bestiame, i piatti a base di carne non sono molto numerosi anche se non mancano completamente sulle tavole liguri. Fra i pochi piatti, i più rilevanti sono indubbiamente la “cima alla genovese”, il “coniglio con le olive”, il “coniglio alla ligure” e la “trippa al verde”.

Formaggi e salumi Considerando l’assenza storica di un’attività importante come la pastorizia, la produzione casearia della regione Liguria non è particolarmente ricca. Tra i pochi formaggi prodotti possiamo ricordare la “formaggetta”, la “giuncata”, il “pecorino di malga”, la “ricotta ligure” e la “robiola”. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la produzione di salumi ed insaccati che in territorio ligure si contano sulle dita di una mano. Da ricordare sono sicuramente il “salame Santolcese Genovese”, la “mostardella”, la “bresaola” ed il “lardo alle erbette”.

Dolci La tradizione dolciaria Ligure è abbastanza ricca e basata essenzialmente sulla produzione di pasticceria “secca”. Tra i dolci principali sono da citare sicuramente il “pandolce”, il “pandolcino”, i “baci di Alassio”, i tipici “amaretti”, i “dolcetti all’olio d’oliva”, ed i “canestrelli”. Altra preparazione tipica è il “latte dolce fritto” molto particolare e senza dubbio gustosissimo.

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Vini Per quello che concerne i vini, la Liguria non ha nulla da invidiare ad altre regioni. Nonostante sia piccola e per niente pianeggiante, la Liguria ha degli splendidi vitigni che producono ottimi vini. Sulla carta dei vini abbiamo il “Bianco di Coronata”, il “Cinque terre”, il “Vermentino”, il “Pigato”, il “Dolcetto”, il “Colline di Levanto”, il “Colli di Luni”, ed il “Golfo del Tigullio". Tra i liquori prodotti dalla regione merita un occhio di riguardo il particolare “liquore di basilico”.

Lombardia Storia Tra tutte le regioni italiane, la Lombardia è sicuramente quella che possiede un identità culinaria meno radicata e riconosciuta. Questo, non perché la tradizione lombarda non sia ricca o la regione sia povera, ma semplicemente per una moltitudine di ragioni ed avvenimenti storici che hanno portato inevitabilmente al distacco con quelle che erano le usanze e la cucina di un tempo. La Lombardia, per la sua posizione geografica, è sempre stata, infatti, una terra di confine percorsa dagli eserciti europei e contesa e colonizzata, nel corso dei secoli, da svariate popolazioni che indubbiamente hanno lasciato un’ impronta nella gastronomia locale.

Ricette e tradizione Ai giorni nostri, quando si parla di cucina lombarda, lo si deve fare sempre e comunque tenendo presenti le enormi diversità che sussistono tra provincia e provincia. La cucina milanese è essenzialmente una cucina basata sull'utilizzo di latte e panna, di burro e mascarpone, di formaggi e ricotta. Uno dei capisaldi della cucina milanese è sicuramente il riso che trova nel risotto alla milanese un valido rappresentante della categoria. Piatti come i “casonsei”, i famosi ravioletti di magro, la zuppa d'orzo, gli gnocchetti agli spinaci e gli strozzapreti, costituiscono un esempio gustoso di pasta fresca tipica Lombarda. Un’altra colonna portante è rappresentata dalla grande varietà di paste ripiene tra cui menzioniamo, senza dubbio, gli ottimi tortelli di zucca, piatto tipico della tradizione natalizia, preparati oltretutto con la mostarda mantovana, altra specialità gastronomica della zona. Altri piatti principali sono da ricercarsi nei brodi e nei bolliti che ci riportano ai celebri “marubini” cucinati nel brodo del lesso, ai vari bolliti di carne, tra cui domina la gallina nostrana e, in particolar modo, al cotechino, piatto tipico di Cremona conosciuto in tutto il mondo. Molto importante è anche il ruolo svolto del latte: nel latte si possono cuocere l' ”urgiada” e l'arrosto di maiale o, ancora alcuni tipi di verdure come gli spinaci. In altre preparazioni, invece, il latte lascia spazio alla panna che viene spesso utilizzata per addensare salse e sughi, come condimento per i tortelli e

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le paste farcite, o ancora con le castagne in uno dei dolci più diffusi all'inizio del nostro secolo: il “lattemiele”. Per quanto riguarda il mascarpone, anche esso costituisce un alimento molto utilizzato soprattutto nella realizzazione di ripieni per paste e carni e per una grande varietà di creme da tavola. La gastronomia meneghina, in fatto di carni, ci propone una grande quantità di piatti realizzati soprattutto con la carne di maiale, pollo ed oca. Tra tutti, come non citare la famosa cotoletta alla milanese, parente dell'omologa preparazione viennese, o la ancor più famosa “cassolela”, da preparare prettamente in inverno con la carne di maiale o di oca. Il pesce, naturalmente d'acqua dolce, è un altro protagonista sulle tavole Lombarde, tipici di questa tradizione culinaria sono i pesciolini fritti e soprattutto il luccio in salsa. Anche il riso, servito sia in brodo che in risotto, risulta rivestire un’importanza strategica nell'accompagnamento del pesce. Come non citare poi la famosa "polenta e osei" accompagnata con gli uccelletti allo spiedo o ancora la "polenta taragna con la salamella", il coniglio o, ancor meglio, con il "brasato".

Formaggi e salumi I formaggi sono sopratutto quelli prodotti sulle Alpi, tra cui ricordiamo il “Branzi”, il “Formai de mut”, il “Taleggio”, il “Gorgonzola”, lo “Stracchino” e naturalmente il “Bitto”, ingrediente fondamentale nella preparazione dei famosi pizzoccheri alla valtellinese. Particolarmente rilevante è la produzione di insaccati tra cui ricordiamo il “salame di Verzi”, con denominazione di origine protetta, e le varie coppe, pancette, cotechini e cacciatorini.

Dolci La tradizione dolciaria, per altro molto ricca, viene naturalmente sostenuta dal "panettone", dolce tipico preparato per festeggiare il Natale. Altro punto di forza della gastronomia Lombarda, è il "torrone". Si racconta che questo dolce buonissimo, tipico del periodo natalizio, sia stato inventato nel 1441 dai pasticceri cremonesi, in occasione delle nozze di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti, tenutesi proprio a Cremona. Infine, come non citare la buonissima e delicatissima "torta paradiso".

Vini Per quanto riguarda i vini, la Lombardia può vantare una grande produzione vinicola con moltissimi vini D.O.C. Tra tutti ricordiamo il "Capriano del colle", il "Botticino", il "Lambrusco Mantovano", il "Tocai di San Martino", il "Franciacorta" e l' "Oltrepò Pavese".

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Marche Storia Marche

Le sono una regione molto particolare e degna di attenzione per la sua immensa bellezza dal punto di vista naturale che riesce a colpire per la varietà ed i colori dei paesaggi. Nelle Marche è possibile inebriarsi del profumo di salsedine in riva al mare per poi voltarsi e volgere lo sguardo alle alture del Conero e della zona Appenninica. Anche dal punto gastronomico, le Marche rappresentano una sorta di anello di congiunzione e punto d’incontro fra le cucine del Nord e quelle del Sud. Grazie alle contaminazioni effettuate dalle tradizioni culinarie delle regioni vicine, infatti, la cucina Marchigiana riesce a mettere d’accordo tutti i palati puntando su ricette semplici, genuine e davvero gustose sia a base di pesce che di carne.

Ricette e tradizioni La gastronomia Marchigiana si caratterizza per la presenza di sapori forti e decisi, in cui domina la carne, e sapori delicati e leggeri in cui la fa da padrone il pesce. Tra i piatti più conosciuti della cucina marchigiana spicca la famosa “porchetta”, preparata ancora oggi seguendo scrupolosamente la più antica tradizione contadina. Altro vanto della gastronomia delle Marche sono i tartufi, sia bianchi che neri, che si trovano nei boschi ed il più pregiato dei quali è il “Tuber magnatum Pico”. La tradizione culinaria delle zone marittime è costellata da una lunga serie di ricette a base di pesce che trovano la loro massima espressione in uno dei piatti più tipici della cucina Marchigiana: il “brodetto di pesce”. Di questa celebre ricetta esistono due diverse interpretazioni: quella Anconetana secondo la quale, le tredici varietà di pesce previste dalla ricetta, vanno cotte con pomodoro, cipolla, prezzemolo, olio ed aceto; contrapposta a quella di Porto Recanati che vuole il pesce rosolato e cotto in un sugo allo zafferano. Altri piatti molto apprezzati sono quelli con lo stoccafisso che viene cucinato in svariati modi: in umido, con le patate ed in “potacchio”, cioè brasato con l’aggiunta di pomodoro, peperoncino, acciughe, aglio, rosmarino e prezzemolo. Allo stesso modo, in alcune città della costa, viene preparata una deliziosa “coda di rospo”. Varietà di pesce altrettanto utilizzate nella preparazione di ricette tipiche sono i crostacei, il pesce azzurro ed i frutti di mare. Da ricordare è, inoltre, la grande e fortunata produzione marchigiana di olive che danno vita al piatto regionale più celebre: le “olive all’ascolana”.

Formaggi e salumi I salumi prodotti in territorio marchigiano sono molto particolari e completamente a base di carne di maiale che viene allevato ancora oggi con ghiande e pastoni. Il

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“ciavuscolo” è un grosso salame tipico dell’entroterra e rappresenta il salume più tipico delle Marche. Altri salumi molto particolari sono la “coppa di Ascoli Piceno”, fatta con le cartilagini, le cotenne, la lingua, il muso e le orecchie del maiale, ed il “mezzofegato di Fabriano” una sorta di soppressata fatta, in parte, con fegato ed interiora di maiale. Dai verdi pascoli di cui sono ricche le Marche, provengono degli ottimi formaggi di latte ovino e vaccino. Tra tutti ricordiamo la “caciotta di Urbino”, formaggio a pasta friabile costituito da metà latte vaccino e metà di pecora; ed il buonissimo “pecorino” che in alcune zone viene fatto stagionare avvolto nelle foglie del noce nelle profondità delle caverne di tufo. Ed ancora lo “slattato”, un formaggio morbido che può essere anche spalmato alla stessa maniera della crescenza.

Dolci I dolci marchigiani sono per la maggior parte a base di frutta secca, in particolare madorle. Un esempio è il “frustignolo”, una torta a base di noci, mandorle, cioccolata, uvetta e fichi secchi. Altra preparazione tipica sono i “caciuni”, particolari dolci ripieni di pecorino, zucchero e limone.

Vini Le Marche sono una regione particolarmente dedita alla coltura della vite e alla produzione del vino. Per questo motivo abbiamo una lista dei vini particolarmente completa che va dal rosso, al bianco, al vino per dessert. Tra i più importanti ricordiamo il “Verdicchio dei castelli di Jesi”, il “Falerio”, il “Bianchello del Metauro”, il “Rosso Conero”, il “Pergola rosso”, la “Lacrima di Morro d’Alba” e la “Vernaccia di Serrapetrona” ottimo vino da dessert ed uno dei pochi spumanti rossi di produzione Italiana.

Molise Storia Molise è

Il un delle più piccole regioni d’Italia e presenta dei tratti ambientali del tutto particolari e suggestivi. Caratterizzato prevalentemente dall’Appennino che lo percorre per tutta la sua lunghezza, il Molise è costellato da splendide zone collinari e da terrazze naturali che scendono fino al litorale Molisano, intrappolato tra la costa Abruzzese ed il Gargano Pugliese.

Piatti tipici e tradizione Troppo spesso assimilato all’Abruzzo, il Molise ha in realtà una sua identità molto forte che si rispecchia perfettamente nella sua gastronomia che per troppo tempo, hanno sottovalutato. Il punto di forza della cucina molisana è, strano ma vero, il poco sviluppo del turismo che ha garantito fino ad oggi una tradizione culinaria basata su ingredienti genuini, attenta soprattutto alla qualità e non influenzata particolarmente dalle esigenze dei turisti. La realtà gastronomica del Molise è prevalentemente di origine contadina, ed è per questo che i piatti principali e tradizionali sono preparati con ingredienti semplici e genuini. Spostandoci verso la zona collinare del Molise,

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quello che si nota immediatamente sono le grandi coltivazioni di ortaggi e verdure: lenticchie, fave, peperoni, broccoli, fagioli cannellini, ceci, cicerchie, farro e pomodori, oltre che pesche, albicocche, fichi e meloni, la fanno da padroni sulle tavole molisane. Per quanto riguarda la zona costiera, la tradizione culinaria propone moltissimi piatti a base di pesce fresco pescato nell’Adriatico. Triglie, cozze, vongole, scampi e crostacei finiscono nei piatti combinati con estrema abilità in gustosi risotti, minestre e zuppe varie.

Formaggi e salumi Essendo una regione per la maggior parte montuosa, il Molise conserva una gastronomia fatta essenzialmente di carne di maiale ed agnello dove troneggiano gli insaccati come le “soppressate”, le “salsicce di fegato” i “sagicciotti” (salsicce dalla pasta grossa aromatizzate con pepe e sale), i “capocolli”, i prosciutti e le “ventricine”. Altro modo di impiegare la carne è quella di farne dei sughi e dei ragù, spesso molto rustici ma squisiti, a base principalmente di agnello. Accanto ai salumi troviamo una produzione casearia che si fa vanto dell’ottimo “caciocavallo” e delle deliziose “burrate”.

Dolci Anche i dolci riescono a trovare uno spazio rilevante all’interno della gastronomia locale sotto la zuccherina forma di prodotti come i “cauciuni” (farciti con pasta di ceci), le “caragnole”, le “peccellate” (farciti con marmellata) e tutta una serie di dolci preparati con noci o nocciole e farciti con marmellata e mosto cotto. Legato invece al periodo dell’uccisione del maiale, è un dolce molto particolare chiamato “sanguinaccio” che viene preparato con il sangue del maiale.

Vini e liquori Dal punto di vista dei vini, il Molise ha molto da offrire e ne propone di molto buoni. Menzioniamo il “Malecoste”, il “Creta bianca” ed il “Creta rossa”, il “Liburno” ed il “Buccaro”.

Piemonte Storia Il Piemonte è una regione che racchiude in se tutta la bellezza di un paesaggio vario che comprende non solo la meravigliosa campagna, i laghi ed i parchi, ma anche la maestosità e l’imponenza delle Alpi e la particolarità delle distese acquose che caratterizzano le risaie. Figlia di una terra prevalentemente montuosa ed influenzata in parte dalla vicina Francia, la gastronomia Piemontese presenta dei tratti molto vari, appartenenti in parte al mondo rurale e contadino, ed in parte al mondo delle nobili corti che vi hanno dimorato. La tradizione culinaria Piemontese è sicuramente una delle più ricche e variegate dell’intera Italia, merito sia delle infinite risorse naturali che ha a disposizione, sia della fantasia e della creatività del popolo Piemontese che ha saputo valorizzare la propria gastronomia rendendola unica e famosa nel mondo.

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Ricette e tradizione Per iniziare la rassegna dei piatti tipici del Piemonte, si deve parlare dell’antipasto per eccellenza, il piatto che più di ogni altro rappresenta la cucina popolare Piemontese: la “bagna cauda”, una salsa che può fungere da accompagnatrice per la carne o da condimento per crostini e bruschette e che va consumata, come tradizione vuole, caldissima. Come in ogni cucina che si rispetti, anche quella Piemontese subisce il fascino dei primi piatti. Molte sono le ricette a base di preparazioni tipiche come i tradizionali “agnolotti” che vengono comunemente conditi col brodo di carne, col ragù o, più semplicemente, col solo burro, gli “gnocchi” ed i “tajarin” coi quali viene preparata la classica “agliata” (tajarin conditi con noci, pane imbevuto nel latte ed abbondante aglio). Vista l’importanza delle risaie in tutta la regione, non possono mancare le pietanze a base di riso: tra tutte citiamo sicuramente la famosa “Paniscia” (un risotto preparato con cipolla, burro, battuto di lardo e salame), ed in generale tutti i vari risotti ai funghi, al tartufo ed al vino rosso. Altrettanto importante, insieme alla pasta, è la produzione di pane. Accanto al classico pane bianco che si trova facilmente in commercio, il Piemonte propone due particolarità: il “pane nero di Coimo”, chiamato anche “pan negar”, ed il “pane di miglio”, soprannominato “pan ad mei”. Per quanto riguarda la carne, la cucina Piemontese dispone di molte ricette gustose e dal sapore abbastanza pronunciato. Basta ricordare il “brasato al Barolo”, o la cacciagione, ed in particolare il “cinghiale in civet” (cotto nel vino rosso), o ancora i “bolliti misti” accompagnati dai tipici “bagnet rosso e verde” e dalla “mostarda d’uva”. Immancabili sulle tavole Piemontesi sono, poi, il “cotechino”, la “testina di maiale”, la “rustida”, la “cassoela”, il “tapulon”, preparato con la carne d’asino, e le preparazioni alla cacciatora tra le quali spicca il “pollo alla cacciatora”. Ed ancora, parlando di carne, non si possono dimenticare le “frisse” (polpettine fritte di maiale), la “carne all’Albese”, un trito di carne cruda condita solo con olio, pepe, sale, limone ed aglio; ed il “pollo alla marengo”, così chiamato per volere di Napoleone. Altro alimento molto diffuso in Piemonte, soprattutto nella zona delle risaie, è la rana che viene cucinata in diversi modi: in guazzetto, fritta o in brodo. Prodotti molto importanti offerti dalla natura sono i “funghi”, impiegati moltissimo sia nei primi che nei secondi piatti, ed il “tartufo”, pregiatissimo quello di Alba, utilizzato nella realizzazione di piatti particolari e gustosi.

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Formaggi e salumi Dal punto di vista caseario la produzione Piemontese è molto sviluppata e varia. Particolarmente apprezzati sono la “robiola”, chiamata anche “tuma”, il “bra”, che può presentarsi morbido o duro, ed il “brus”, una sorta di collage di vari formaggi che dà vita ad un formaggio molto morbido ottimo da spalmare sui crostini. Da menzionare, anche se non tipicamente Piemontese, è il “gorgonzola”, un formaggio tipicamente Lombardo che è ormai entrato a far parte della cultura Piemontese anche nella sua variante col mascarpone. Parlando di salumi, ancora una volta il Piemonte ci stupisce per la ricchezza e la varietà dei suoi prodotti. Tra i salumi più importanti citiamo sicuramente il “cacciatorino”, il “lardo”, la “carne secca”, il “salame della duja”, il “fidighin” (una mortadella di fegato di maiale), e la “salsiccia d’Arneis” fatta con la carne magra del vitello e la pancetta. Degni di nota sono anche il “marzapane”, il sanguinaccio Piemontese, il “salame d’oca” ed il “graton d’oca”.

Dolci Punto di forza della gastronomia Piemontese è indubbiamente la produzione dolciaria e la pasticceria che, fin dall’antichità, ha sempre dato prestigio all’intera regione. Ricordando che il Piemonte è celebre per le sue nocciole, tra i dolci più importanti ricordiamo il “gianduiotto”, cioccolatino più famoso d’Italia, la “giacometta”, una crema a base di nocciole, e la “torta di nocciole”. Altri dolci tipici della zona sono i “brutti ma buoni”, i “baci di dama”, gli “amaretti”, i “savoiardi”, il “bounet”, il “monte bianco”, il “salame di cioccolato”, i “torcetti”, i “crumiri”, le “meringhe” e lo “zabaione”. Da menzionare c’è, inoltre, una buonissima e soffice “focaccia all’uva fragola”.

Vini Con una tradizione enologica secolare alle spalle, il Piemonte può contare una grande quantità di vini molto pregiati. Tra tutti si ricordano l’ “Asti”, il “Barbera”, il “Barolo”, il “Dolcetto d’Asti”, il “Dolcetto d’Alba”, le “Langhe” ed il “Monferrato”.

Puglia Storia La Puglia è la regione d’Italia dall’anatomia più curiosa e singolare soprannominata, per la sua forma lunga e stretta, il “tacco dello stivale”. E’ facile intuire come in un paese come la Puglia sia molto facile trovarsi di fronte a delle grandi differenze territoriali che vedono da una parte il mare della Penisola Salentina, con il barocco leccese, dall’altra i territori montuosi del Gargano, passando attraverso le pianure dell’Altopiano delle Murge ed i caratteristici Trulli.

Piatti tipici e tradizioni La differenza ambientale e culturale, si riflette anche nella gastronomia che rende la Puglia una regione con una grande vastità e diversità di piatti a seconda della zona di cui ci si trova a parlare; non solo, la cucina Pugliese è una delle poche a proporre delle

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pietanze differenziate in base alla stagione utilizzando al meglio tutte le risorse di cui dispone: e così in inverno sarà più facile trovare sulle tavole Pugliesi, piatti a base di legumi o paste fatte in casa e condite con vari sughi di carne tra cui spiccano gli involtini di carne di cavallo “brascioli” accompagnate dalle polpette fritte “purpette”, pesce o verdure. Tipiche e conosciutissime sono le “orecchiette”, piatto tipico della città di Bari, che viene però consumato in tutta la regione, chiamate anche “stacchioddi” sono conditi con vari sughi, come il “ragù di carne di cavallo”, o con la verdura: è il caso delle “orecchiette alle cime di rapa”. Ricordiamo inoltre nel leccese la “sagna torta o ‘ncannulata”, condita sempre con il ragù di carne di cavallo e “ciciri e tria” (ceci con le fettuccine). Particolari sono anche gli “strascinati” una specie di orecchietta di forma allungata e piatta che, nelle zone del Nord barese si realizza anche con il grano ”arso” (bruciato) che dà una colorazione grigio/nera e dal profumo delicatamente affumicato, condito con una salsa di pomodoro fresco e il formaggio “cacioricotta”. Altro piatto particolare è il purè di fave secche accompagnato da verdure varie, tra cui spiccano le cime di rapa, e il tutto condito con le varie qualità di olio di oliva dolci o pungenti (le qualità di olive vanno dal leccino al cellino, passando per il coratino. In primavera ed in estate, invece, la cucina pugliese predilige l’utilizzo delle verdure fresche e del pesce, spesso combinati insieme in gustosi piatti. Per quanto riguarda le zone più strettamente legate al mare, la gastronomia locale propone centinaia di piatti a base di pesce fresco. Le varietà più apprezzate sono senza dubbio i molluschi, le cozze e le vongole, i crostacei, le cosiddette “schiume di mare” (piccole alici che si mangiano crude col limone), i ricci di mare e le ostriche che si consumano ancora crude con una spruzzata di limone ed una spolverata di pepe. Tra le verdure più utilizzate ci sono le “cicorielle”, gli asparagi di campo, le rape e la rucola; tutti ortaggi che crescono spontaneamente in aperta campagna. Pensando alla Puglia, quasi completamente pianeggiante, non è difficile indovinare che le abitudini alimentari derivino da una lunga tradizione agricola che produce, per la maggior parte, uva grano ed olive. Questi sono i tre grandi protagonisti della gastronomia Pugliese. Basti pensare che la Puglia produce uno degli olii più gustosi d’Italia frutto degli oliveti secolari presente sul territorio ed eredità di antichi popoli dominatori. I prodotti derivati dai farinacei non

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sono certo da meno: fanno capolino dagli scaffali profumati dei panifici il famoso “pane di Altamura”, il “pane di noci” e tutta una serie di focacce, pizze e torte salate tra cui citiamo il buonissimo “calzone”, la focaccia ripiena con la cipolla “pizzu”, il rustico leccese, le “frisedde” e tutte le varietà di “taralli” esistenti, da quelli al peperoncino, a quelli coi semi di finocchio, terminando con quelli semplici al vino bianco.

Formaggi e salumi Altro punto forte delle Puglie è la produzione di formaggi, possibile grazie al ruolo molto importante che svolge la pastorizia e l’allevamento del bestiame, in particolare pecore e capre. Tipico è il “caciocavallo podolico”, un formaggio a pasta filata, prodotto con il latte di mucche allevate allo stato brado. Famosa anche la “burrata”, una sottile membrana di pasta filata farcita con pezzi sfilacciati di pasta filata e panna fresca, la mozzarella fiordilatte, la stracciatella. Non meno importante è il “canestro pugliese”, una sorta di pecorino che raggiunge la sua piena maturità dopo almeno 12 mesi di stagionatura. Non dimentichiamo la produzione Pugliese di carni ed insaccati che offre una grande quantità di salsicce, soppressate, capocolli di Martina Franca, fegatini e prosciutti.

Dolci Per quanto riguarda i dolci, la Puglia ne propone diversi tra questi ricordiamo le “cartellate” dolci tipici del periodo natalizio, i “mostaccioli”, la “scarcella”, le “chiacchiere” tipiche di Carnevale, il “mosto cotto”, i fichi essiccati con le mandorle e il limone, i “bocconotti”: delle mezzelune con varie confetture, la pasta di mandorla, il pasticciotto leccese.

Vini e Liquori Accanto ad una gastronomia così variopinta e gustosa non possono mancare di certo dei vini degni di merito prodotti grazie alla passioni pugliese per la viticoltura. I vini presenti nella tradizione della puglia sono davvero tanti ma tra i più celebri spiccano senza dubbio il “Gioia del colle”, il “Martina franca”, il “Castel del monte”, il “Nardò” ed il “Primitivo di manduria”, il “Negroamaro”, il “Nero di Troia”, il “Salento rosato”, lo “Chardonnay”, il “Moscato di Trani” e il “Madrigale” un vino dolce naturale ottenuto dal Primitivo di Manduria.

Sardegna Storia Seconda isola più grande d'Italia e circondata da un meraviglioso mare cristallino che molti le invidiano, la Sardegna è una regione veramente molto particolare. Dal punto di vista morfologico gioca molto il netto contrasto tra il mare che la cinge completamente, ed il suo territorio prevalentemente montuoso. Ma la particolarità dell'isola è prevalentemente quella che riguarda la completa lontananza culturale e rispetto al resto della Nazione. Differenza che si intravede moltissimo anche nella

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cucina e gastronomia tipica, fatta di piatti e ricette caratteristiche che si discostano parecchio, se non del tutto, dalla tradizione della terra ferma.

Ricette e tradizione I primi piatti della cucina Sarda, sono per la maggior parte molto caratteristici. Primi fra tutti citiamo i "malloreddus campidanes" (particolari gnocchetti allo zafferano conditi con sugo al pomodoro e pecorino), i "puligioni" (ravioli ripieni di formaggio e spezie varie), gli "origlias de padre" (orecchiette condite con ragù d'agnello), i “culurgiones dell’Ogliastra” (una sorta di ravioli di patate ripieni di formaggi, aglio e mentuccia), la "fregula cun cocciula" ed il "pillus" (una pasta fresca cotta nel brodo e condita con molto pecorino sardo). Ed ancora, come non ricordare gli “spaghetti alla bottarga”, i “maccarones al limone”, i “ravioli di muggine” ed i “malloreddus alla Campidanese”. Molto importante è anche la produzione del pane che in Sardegna assume delle caratteristiche particolari e diverse dal resto d’Italia. Il tipo di pane classico della gastronomia Sarda è essenzialmente uno: il “pane carasau” (una sorta di pane non lievitato e quindi molto sottile), con il quale, insieme a pomodoro, uova e pecorino, si prepara l’antichissima ricetta del “pane frattau”. Per quanto riguarda i secondi piatti va fatta una netta distinzione tra la cucina della costa, che utilizza prevalentemente i prodotti del mare, e la cucina dell’entroterra, che prevede un maggiore utilizzo dei frutti della terra e dell’allevamento. In fatto di carne i Sardi sono celebri per i loro strepitosi arrosti che, nell’antichità, venivano cotti in grosse buche scavate nel terreno e foderate con foglie ed erbe aromatiche per dare più sapore all’animale. Piatti rappresentativi di questa tradizione sono il “su porcheddu” (maialino da latte arrosto), l’ “agnello arrosto” e l’ “arrosto di vitello”. Tra gli altri piatti a base di carne ricordiamo: lo “stufato di pecora”, i “piedini d’agnello”, il “su tattaliu”, i “tordi al mirto”, le “quaglie allo spiedo”, le “pernici in guazzetto”, i “piccioni ripieni”, il “cinghiale al vino bianco”, il “coniglio a succhittu”, la “lingua ai capperi”, i “lumaconi ripieni”, il “coccoiddus”, le “panadas” (tortine salate farcite con la carne) e l’ “anatra lessa al mirto”. Per quanto riguarda la cucina della costa, anche questa è molto ricca e variegata e fa affidamento sulla pescosità del mare Sardo. I principali piatti marinari sono: le “arselle e cozze a schiscionera”, le “orzidas” (anemoni di mare fritti), la “burrida” (il gattuccio di mare condito con aceto), lo “scabecciu” (anguille che vengono conservati in olio, aceto ed aglio), l’ “aragosta alla campidanese” (condita con succo di limone ed olio d’oliva dopo essere stata bollita), il “mecca” (muggine salato, lessato ed avvolto nella zibba, una

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particolare erba palustre) ed infine tutte le ottime zuppe di pesce azzurro e frutti di mare.

Formaggi e salumi Dominata da enormi pascoli e da una tradizione millenaria per allevamento e pastorizia, la Sardegna è una regione con una grandissima produzione casearia. Nell’entroterra, infatti, vengono prodotti una grande quantità di formaggi come il “biancospino”, il “caprino”, il “fiore sardo”, il “casu marzu ed il casu friscu”, il famoso “pecorino sardo”, la “trizza”, il “casizzolu”, il “provolone sardo”, la “ricotta salata” ed il “semicotto ovino o caprino”. Ovviamente, non è da meno la produzione di salumi ed insaccati. Tra i più tradizionali citiamo il “prosciutto sardo”, il “guanciale”, la “pancetta sarda”, la “mustela”, la “salsiccia sarda” ed infine il “sanguinaccio”.

Dolci Anche dal punto di vista dolciario la Sardegna propone dei piatti molto particolari influenzati principalmente dalla presenza di frutta secca e miele. Tra i dolci più caratteristici ci sono sicuramente le “sebadas” (a base di formaggio e miele), le “padule”, il “gattò” (a base di mandorle, miele, zucchero e scorza d’arancia), i “culurgiones de mendula” (ravioli di mandorle), i “copulettas” (delle sorta di meringhe), i “pistoccos”, i “mustazzoli”, le “pabassinas” (a base di mosto), i “cucciuleddi” (ripieni di mandorle, miele, cannella, pangrattato e chiodi di garofano) ed i “pirichittus”.

Vini Per quanto riguarda i vini, la Sardegna può vantare una cantina davvero molto fornita di ottimi vini. Tra tutti ricordiamo il “Cannonau di Sardegna”, il “Terralba”, il “Madrigal”, il “Su Marchesu”, il “Carignano del Sulcis”, il “Vermentino di Sardegna”, il “Torri Bianche”, il “Nuragus di Cagliari”, l’ “Astice”, il “Malvasia di Bosa” ed il “Vernaccia di Oristano”.

Sicilia Storia A cominciare dai Greci che ne hanno fatto la patria di molti filosofi ed artisti e che l’hanno resa immortale ambientandoci alcuni passi cruciali dell’Odissea, passando per gli Arabi che hanno lasciato un segno nella gastronomia e nell’architettura, terminando con le turbolente dominazioni spagnole e normanne. Un miscuglio culturale non indifferente che ha lasciato un retaggio molto consistente anche nella gastronomia dell’isola che è una delle più particolari. Ma il vantaggio di avere una cultura così variegata non è il solo che conta: la vera ricchezza della Sicilia è quella conferitale da Madre Natura donandole un mare estremamente pescoso ed una terra fertile adatta alle coltivazioni. La cucina Siciliana è una delle poche al mondo a riuscire a conciliare la semplicità degli ingredienti con una straordinaria fantasia e, soprattutto, con una grande complessità delle preparazioni.

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Ricette e tradizioni La tradizione culinaria Siciliana propone dei piatti molto saporiti e dal gusto spiccato che tendono a valorizzare gli ingredienti che li compongono. Questo è vero per tutte le ricette sicule ma ancor di più per i primi piatti che risentono molto della vicinanza del mare. Tipico piatto Siciliano è, infatti, la “pasta con le sarde”, una preparazione semplice ma gustosa. Il “ripidadu nevicato” è un altro primo piatto di derivazione marina che vuole celebrare le pendici innevate dell’Etna in eruzione con la sua forma “vulcanica” a base di riso e nero di seppia ed il condimento a base di sugo di pomodoro (a simboleggiare la lava). Se il mare è spesso protagonista dei primi piatti siculi, anche carne e verdura non sono da meno. Come non ricordare la celebre “pasta alla Norma” con le melanzane fritte, così chiamata in onore del capolavoro di Bellini, o la “pasta ‘ncasciata” (farcita con melanzane, carne di manzo, salame e uova) o, ancora, il “timballo di aneletti al forno” (con uova e carne). Altro piatto caratteri-stico è la pasta con il “pesto alla Trapanese” tipico della città di Trapani e particolarmente indicato nel periodo estivo per la sua freschezza, viene preparato con il pomodoro fresco a dadini, il pecorino, l’aglio, le mandorle, il basilico e l’olio d’oliva. Per quanto riguarda i secondi piatti, la gastronomia Siciliana prevede centinaia di preparazioni diverse tutte molto gustose e fantasiose. Sicuramente, anche in questo caso, l’ingrediente principale resta il pesce. I piatti significativi sono davvero molti e la maggior parte di questi sono a base di pescespada o tonno la cui pesca caratterizza la Sicilia dalla notte dei tempi. Tra le ricette col pescespada ricordiamo il “pescespada gratinato”, il “pescespada alla griglia” , gli “involtini di pescespada”, il “sarmoriglio” e le “polpette di pescespada”, mentre col tonno vanno menzionati il “tonno con cipollata”, il “ragù di tonno”, il “tonno fritto o grigliato” ed il “tonno al forno”. Molto rilevante è il ruolo dello stoccafisso che viene preparato “alla ghiotta” (con sugo, capperi e patate), con i frutti di mare, o ridotto in salse per il condimento della pasta. Altro piatto a base di pesce è il “couscous”, un piatto di derivazione berbera preparato con un impasto di semola di grano duro e condito con diverse varietà di pesce, cipolla, alloro, prezzemolo, pepe nero ed olio d’oliva, il tutto cotto in un brodo di pesce. Prodotti molto particolari sono, infine, la “bottarga”, una sorta di salume di pesce preparato con le uova di muggine, tonno o cefalo pressate insieme e lasciate stagionare. Tra i piatti a base di carne, di numero sicuramente inferiore ma non meno importanti, ci sono le “stigghiole”, cioè spiedini di budella di vitello, e le “guastelle”,

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un morbido panino ripieno di milza e polmone prima bolliti, poi fritti ed infine affettati. Ed ancora, come non citare gli “involtini alla siciliana” e l’ “arrosto panato”, piatti tipici della gastronomia dell’entroterra. Accanto alla più ufficiale cucina Siciliana, si sono ricavati uno spazio abbastanza considerevole i cosiddetti “baracchini”, sorta di banchetti ambulanti dove è possibile gustare alcune prelibatezze sicule. E’ in questi posti che si possono trovare dei buonissimi “arancini di riso”, vanto della tradizione sicula, le “panelle”, o farinata di ceci fritta, i “cazzilli”, crocchette di patate, o ancora le verdure passate nella pastella e poi fritte. Come in ogni gastronomia che si rispetti, anche quella Siciliana ha dei prodotti che la caratterizzano. I più tradizionali sono indubbiamente le olive, con le quali si produce dell’ottimo olio, i fichi d’india e gli agrumi grazie ai quali la Sicilia è famosa in tutto il mondo.

Formaggi e salumi Spostandoci dal mare all’entroterra ci si rende conto che anche l’allevamento e la pastorizia sono attività molto sviluppate che rendono ottimi prodotti. La produzione casearia è sicuramente un altro vanto della tradizione culinaria Siciliana che conta un gran numero di formaggi deliziosi derivati principalmente dal latte vaccino e caprino. Il “caciocavallo palermitano”, il “canestraio” ed il “fiore sicano”, particolare per la presenza di muffe autoctone, sono i formaggi per eccellenza presenti su tutte le tavole siciliane. Non sono da meno la “provola”, preparata in diverse varianti, e la “ricotta” preparata al naturale, infornata o secca. Per quanto riguarda i salumi, vengono preparati tutti con la carne di maiale e alcuni sono molto particolari. Oltre alla classica “salsiccia” ed alla “coppa”, la tradizione Siciliana propone salumi come il “budello originato” (budella di maiale condite con origano e lasciate stagionare), le “stigghiole” (budella di capretto avvolte nel lardo e cucinate sulla brace) e le “sanacele” (particolari salsicce preparate con l’aggiunta di sangue di maiale e riempite con pecorino, ricotta, noci tritate, uvetta, miele, pangrattato, chiodi di garofano e cannella).

Dolci Il pezzo forte della cucina Siciliana è rappresentato dalla vastissima produzione dolciaria che rende la Sicilia famosa in tutto il mondo. Pensando ai dolci Siciliani tre cose vengono subito in mente: “cassata”, “cannoli” e “granita”, che i Siciliani mangiano accompagnata da una brioche a colazione o con l’aggiunta di panna. Ovviamente la pasticceria del luogo offre molto di più. Tra i dolci tipici si ricordano i “fruttini di pasta di mandorle”, la “frutta martorana”, i “dolci di marzapane”, la “pignolata”, il “riso nero” (riso cotto col latte condito col cioccolato), le “crocchette dolci di riso”, gli “spicchiteddi” (biscotti ai chiodi di garofano e cannella), la “pasta squadrata”, gli “sfinci alla zucca gialla” e le “cassatele di ricotta” (dolci a forma di raviolo aromatizzate alla cannella ed al marsala). Una delle prelibatezze della gastronomia Siciliana è il buonissimo “pistacchio di Bronte” con il quale si realizzano molti dolci tra i quali degli ottimi torroni.

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Vini Neppure per quanto riguarda i vini la Sicilia rimane indietro. Patria indiscussa del “Marsala”, vino liquoroso e dolciastro, e del “Passito di Pantelleria”, la Sicilia può vantare una secolare produzione vinicola che persino gli Arabi, i Normanni e gli Spagnoli lodavano. Tratto distintivo dei vini Siciliani è l’alta gradazione alcolica che li rende schietti ed inconfondibili. Ricordiamo l’ “Etna rosso, bianco e rosato”, il “Moscato di Pantelleria”, la “Malvasia” e l’ “Alcamo”.

Toscana Storia La toscana è una delle maggiori e più importanti regioni italiane, celebrata per storia, arte, cultura, paesaggi, eno-gastronomia, bellezza e volano per il turismo nazionale. Grazie alla sua storia e alla sua forte unità culturale, è anche una delle regioni italiane con la più antica e definita identità. Il territorio toscano è per la maggior parte collinare comprende alcune pianure e importanti massicci montuosi, si trovano aree pianeggianti sia lungo la fascia costiera che nell'entroterra e si caratterizza per un litorale molto diversificato.

Ricette e tradizioni La tradizione culinaria toscana riflette la propria origine contadina e semplice, è una gastronomia che esalta la bontà delle genuine materie prime che la compongono, la particolarità è soprattutto negli ingredienti utilizzati. Ricordiamo “l'acquacotta”, zuppa dei prodotti dell'orto e del pollaio, la “ribollita” di cavolo nero, fagioli e pane. Con il cavolo nero si preparano le celebri farinate, minestre condensate con una manciata di farina. L'utilizzo di pane raffermo alle zuppe è un'altra costante delle tradizioni povere, ricordiamo la ”pappa al pomodoro” a base di aglio, prezzemolo e basilico, la “panzanella”, dove il farinaceo si sposa all'insalata con cipolla e sedano. Il pane toscano, senza sale è famosissimo, croccante e gustoso, la tradizione della bruschetta condita semplicemente con il buon olio toscano o si utilizzano paste di acciughe, di fegatini o di olive. La ”garmugia” è una zuppa a base di fave, carciofi e piselli, troviamo i “fagioli all'uccelletto” soffritti con pomodoro e salvia, la “minestra della sciorna” che prevede fagioli, farina e lardo. Fra le paste tradizionali, i “pici”, conditi con l'anatra e le molliche di pane fritte e cosparse di peperoncino, gli “strozzapreti” tipici dell'aretino e del senese e le “pappardelle” condite con i sughi di bosco: lepre, cinghiale, funghi. Nella lunigiana si preparano i “testaroli al pesto”, a Pisa si cucina un pesto di sedano, pinoli e miele col quale si condiscono gli stracci. Fra i secondi, la selvaggina e la cacciagione hanno un posto d'onore, il cinghiale si brasa nel vino e si accompagna ai funghi e alla

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polenta, il cinghiale è una leccornia della maremma. Tradizionale è l'anatra ai semi di finocchi con la pancetta, strepitoso il fagiano tartufato; il “cibreo” di rigaglie è un'originale preparazione di fegatini e creste di pollo. Del pollo si mangia il collo imbottito di pane, aromi e fegatini a Prato si preparano i sedani imbottiti di trita di vitello, mortadella e uova e ancora il “buglione”, si bolle lungamente l'agnello precedentemente marinato col vino, in un sugo con vino, pomodoro e brodo. Lo stracotto con gli spinaci è un bollito di vitello e muscolo di vitellone in un battuto con le interiora del pollo. Interessante è l’utilizzo del sangue di maiale dove si fa cuocere in padella con il lardo e vi si aggiunge uova, uvetta, arancio, formaggio e pangrattato. La bistecca fiorentina, è la bistecca italiana par eccellenza, preparata con la carne chianina. Anche il mare offre notevoli preparazioni, il “caciucco alla livornese” è uno dei più pregiati e ricchi della gastronomia italiana, le “triglie alla livornese”, lo “scaveccio” è un gustoso piatto toscano di anguille, con rosmarino e peperoncino. Altri prodotti importanti della cultura toscana sono, il tartufo bianco della val tiberina e di san miniato, i pinoli del parco di migliarino, la zucchina mora pisana, l'agnello di zeri, i fagioli zolfini, il gallo del valdarno, il porcino, il farro della garfagnana, la “pattona” (polenta dolce con farina di castagne) ed una serie di olii di qualità, dalle spiccate e diverse caratteristiche di gusto ed olfattive.

Formaggi e salumi Tra i formaggi toscani possiamo trovare una grande varietà di prodotti realizzati con il latte dei pascoli locali, secondo antiche tecniche e processi produttivi gelosamente custoditi e tramandati nei secoli, che riflettono la tradizione dell'alimentazione rurale della popolazione toscana, basata anche sulla pastorizia, oltre che sulle altre varie colture. Il formaggio più conosciuto è il pecorino toscano, il rinomato pecorino di pienza e il pecorino maremmano. Tra gli altri formaggi toscani ricordiamo il cacio e il marzolino di Pienza (sia freschi che stagionati, anch'essi prodotti esclusivamente con latte di pecora e di forma ovale), la ricotta, il rovaggiolo e lo stracchino, formaggi rigorosamente freschi. I salumi toscani sono realizzati da suini allevati allo stato brado che offrono una carne soda e delicata dal sapore intenso, oltre al classico prosciutto toscano, alla spalla e al salame toscano, celeberrimi sono il prosciutto e la salsiccia di cinghiale, l'arista salata, il “buristo”, a base di testa e cotenna di maiale lessate e pressate, l'aromatico lardo di colonnata, la finocchiona, salame di suino aromatizzato col finocchio ed il vino, il capocollo e il guanciale toscano e da non dimenticare la mortadella di Prato. Dolci

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Nella tradizione dolciaria toscana i dolci sono preparati con alimenti semplici, come farina, uova, uvetta e anice e sono strettamente legati alle festività, i dolci toscani sono prevalentemente legati al calendario religioso, al calendario agricolo o a tradizioni pagane, dal “pan coi santi” o “pan dei morti”, dolce fatto con noci e uvetta e tradizionalmente gustato durante le ricorrenze di ognissanti e dei defunti, ai “cenci”, alle frittelle di riso di San Giuseppe fino ad arrivare alla “schiacciata fiorentina” tipica di carnevale. Non manca il “pan ramerino” (rosmarino) del giovedì santo, o la schiacciata con l'uva tradizionalmente preparata durante i giorni della vendemmia, o il biscotto di mezz'agosto, ciambella aromatizzata all'anice, che i contadini gustavano nel periodo della mietitura, o il “ciaccino” (Grosseto), prodotto anch'esso per la ricorrenza dei defunti e ancora, i “brigidini”, soffici ostie con l'anice, il “panforte” con mandorle, miele, cannella e chiodi di garofano, i “cantucci” secchi da inzuppare nel vin santo, il “castagnaccio”, la “torta di riso” e la “torta cybea” di Massa.

Vini Per quanto riguarda i vini, troviamo i grandi rossi, il “Chianti”, il “Brunello di Montalcino”, il “vino nobile di Montepulciano”, il bianco di “Pitigliano”, il “Candia dei monti apuani”, il “Montecucco” e i “Montescudaio”, tra i vini da dessert troviamo il “vin santo”, il “Morellino di Scansano” il “Moscato dell’Elba” e il “Malvasia dolce”.

Trentino alto Adige Storia Il Trentino Alto Adige è la regione che più si discosta dal resto dell’Italia sia dal punto di vista morfologico, sia da quello delle tradizioni e del modo di vivere. Il Trentino Alto Adige ha fatto parte, fino al 1919, dell’Impero Austro Ungarico che ha condizionato e plasmato a sua immagine tutte le abitudini del luogo. Entrata a far parte dell’Italia, proprio a causa di questa sua diversità, nel 1972 il Trentino Alto Adige diventa una regione autonoma, a statuto speciale. Oltre alla sua conformazione geografica prettamente montuosa, il Trentino deve le sue abitudini gastronomiche principalmente all’influenza del vicino Tirolo Austriaco del quale, ancora oggi, dimostra si sentirsi parte integrante facendosi chiamare “Sudtirol”.

Ricette e tradizione Dal punto di vista gastronomico il Trentino Alto Adige è una delle regioni Italiane con la più vasta ed antica tradizione gastronomica. Uno dei punti di forza della cucina Trentina è senza dubbio il pane che viene proposto in diverse varietà, dolce o salato, e riccamente farcito e guarnito. Le più tipiche varietà sono: il “Breatl” (classica pagnotta), il “Brotklee” (il pane alla Trigonella), il “Fela Struzn” (pane a forma di ferro di cavallo), la “Fochas” (focaccia), l’ “Hirtenbrot” (chiamato anche pane del pastore), il “Pane al miglio”, il “Pane ai quattro semi”, il “Pane ai semi di lino”, il “Pane di segale”, il “Puces” (o pane Ladino), la “Schiacciata”, il “Filone di farina integrale”, il “Pane di farine miste” ed il “Pane rustico”. Tra i prodotti da forno più famosi del Sudtirolo

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ricordiamo sicuramente il “Brezel”, tipico pane dalla forma caratteristica conosciuto in tutto il mondo. I pani dolci, invece, sono fondamentalmente a base di frutta o guarniti con frutta secca. Ricordiamo il “Pane di mele”, il “Pane alle pere”, il “Pane alle mandorle” ed il “Pane di frutta”. Altro elemento di grande importanza nell’alimentazione altoatesina sono le numerose zuppe preparate principalmente con gli ortaggi a disposizione, i funghi e la pancetta. Di derivazione Austro Ungarica è sicuramente il “Gulasch”, una sorta di minestra a base di carne servita come primo piatto. Tipici sono anche i “Canederli”, palline di pane farcite con speck e formaggio e cotte nel brodo di carne che risultano essere molto caloriche e nutrienti. Da menzionare sono anche altri classici della cucina altoatesina come gli “gnocchi” e gli “Strangolapreti”. Per quanto riguarda i secondi piatti, i più tipici sono senza dubbio la “Rostida” (ricetta a base di patate arrostite nel grasso del bue), la “Polenta e osei”, il “Cunel” (ovvero il coniglio), il “Tonco lustro”(preparazione a base di farina, burro e pomodoro che solitamente accompagna le carni), la “Luganega”, il “Tortel di patate”(delle frittelle di patate), la “Carne salmistrada” e la “Pinza”(una torta salata preparata, in antichità, con quello che si trovava in dispensa). Ed ancora, tipici della cucina Ladina, troviamo i “Cajenci”,tortini ripieni di bietole, spinaci e ricotta, ed i “Tutres”, sfoglie di patate ripiene di crauti o spinaci. Tra i controrni più tradizionali ci sono quelli a base di finferli, i funghi della zona, tra i quali ricordiamo le “Patate con i finferli e lo speck”.

Formaggi e salumi Non c’è dubbio che il punto di forza della cucina del Trentino Alto Adige siano formaggi e salumi che la regione produce in vaste quantità. La sola produzione casearia è già molto abbondante e comprende alcuni dei formaggi che gli Italiani portano sulle loro tavole. Tra questi c’è sicuramente l’ ”Asiago” ed il “Caprino”, oltre al “Trentingrana”, il Grana Padano prodotto in Trentino. Altri formaggi di una certa rilevanza sono: il “Casolet”, il “Canestrato trentino”, il “Dolomiti”, il “Nostrano”, il “Punteria”, il “Puzzone di Moena” e la “Spressa”. La parte del leone nella tradizione gastronomica altoatesina, la fanno indubbiamente i salumi. Pensando al Trentino, la prima cosa che viene in mente è il buonissimo “Speck”, apprezzato in tutto il mondo, che viene molto utilizzato nella preparazione, non solo dei tipici antipasti altoatesini, ma anche di varie ricette. Accanto allo Speck, altro prodotto principe è il “Wurstel”. I più pregiati sono quelli di Merano chiamati “Meraner wurstel”, ma è possibile trovarne di molte tipologie diverse, addirittura spalmabili. Ed ancora abbiamo la “Pancetta affumicata”, il “Lardo”, la “Ciuiga” (un salume farcito con le rape), la

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“Mortandela” (salume di maiale con l’aggiunta di fegato), la “Luganega”, i “Salamini di cervo”, la “Salsiccia di camoscio”, il “cacciatore”, la “Carne fumada” (un salume affumicato), il “figadet” (insaccato preparato con la carne, il fegato ed il cuore del maiale), le “Fritole” (carne magra residuo della preparazione dello strutto), ed infine la “Salsiccia” ed il “Cotechino”.

Dolci Ancora una volta, nella produzione dolciaria, il Trentino Alto Adige stupisce per la varietà e bontà dei suoi dolci. Al primo posto c’è sicuramente lo “Strudel”, dolce tipico preparato con le pregiate mele Trentine, esportate in tutto il mondo per la loro bontà. Ancora abbiamo i “Canederli di albicocca e di marroni”, il “Pandolce di Bolzano”, la “Crostata di rabarbaro” e la “Torta di polenta e fichi”. Assolutamente da assaggiare sono poi i famosi “Krapfen”, le varie “Crostate” a base di frutti di bosco, i “Grostoli” (tipico dolce carnevalesco), la “Torta di ricotta”, la “Torta di mele”, le “Frittelle di mele” alle quali si possono aggiungere anche i mirtilli rossi, le dolcissime “Conserve” e “Marmellate”, ed infine il “Brezdel”, una morbida ciambella ricoperta di bianco zucchero, preparata in occasione dei matrimoni.

Vini Anche a livello enologico il Trentino è in grado di offrire una grande scelta. Tra i vini più pregiati ricordiamo lo “Chardonnay”, il “Cabernet”, il “Merlot” ed il buonissimo “Trentino D.O.C. Metodo classico”. Da menzionare ci sono anche il bianco “Nosiola”, il “Teroldego” ed il “Marzemino”.

Umbria Storia Parlando dell’Umbria non si può dimenticare la ricchezza storica di questa splendida regione che, oltre ad aver ospitato personaggi del calibro di “San Francesco d’Assisi”, porta ancora i segni di una meravigliosa cultura sotto forma di monumenti ed opere d’arte sparse tra le stradine dei borghi medievali che la caratterizzano. Splendida anche dal punto di vista naturalistico, con le sua vallate, i suoi monti ed i suoi suggestivi panorami, l’Umbria è la sola regione italiana a non avere uno sbocco sul mare. Caratteristica, questa, che ha indubbiamente influito sulla sua gastronomia cancellando, quasi completamente, i piatti a base di pesce marino e prediligendo quelli a base di carne e di pesce di lago. Al contrario di quanto si possa pensare, questa sorta di mancanza non ha assolutamente portato scompensi alla popolazione Umbra che ha creato ad hoc una gastronomia basata sulla ricchezza delle carni, sull’allevamento e sull’agricoltura.

Ricette e tradizione Quella Umbra è una cucina molto genuina, fatta essenzialmente di quello che la natura ha deciso di offrire alla regione. Per questo motivo il culto per la preparazione della pasta fresca è molto radicato ed è difficile tenere il conto di tutte le varietà che vengono

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prodotte. Tra i piatti principali troviamo i “cappelletti in brodo” (pasta fresca cotta in brodo di cappone), gli “gnocchi al ragù o al castrato”, gli “strozzapreti”, gli “strangozzi al tartufo”, le “pappardelle al sugo di lepre”, i “quadrucci” ed i “vincisgrassi” (altro nome delle tipiche lasagne umbre). Accanto alla pasta occupa un posto d’onore il pane che, secondo la tradizione, deve essere assolutamente cotto nel forno a legna. Il più tipico è il “pane sciapo di Terni” che viene preparato solamente con acqua, lievito e farina ed a fine cottura, oltre ad essere insipido, risulta molto croccante. Con lo stesso pane vengono preparate anche le “bruschette” che possono essere consumate insieme alle zuppe di legumi o da sole condite con l’olio d’oliva del luogo. Ed ancora citiamo due preparazioni tipiche e particolari: la “pizza sotto lo focu” (una sorta di focaccia cotta sui mattoni del camino e farcita con salumi e verdure) e la “ciaccia” (focaccia cotta su un disco incandescente e farcita con formaggi e salumi). Come già accennato, nella cucina Umbra, il ruolo fondamentale è affidato alla carne sia di maiale, di capra, di agnello, di volatili o cacciagione. Tra le preparazioni a base di cacciagione ci sono le “palombe alla ternana”, il “piccione alla ghiotta”, la “faraona alla leccarda” (farcita con la pancetta tagliata a dadini e servita in tavola su bruschette di pane) ed il “piccione arrosto ripieno”. Altre ricette a base di carne sono anche le più conosciute: l’ “agnello fritto”, l’ “agnello o il castrato scottadito”, la “coratella d’agnello”, la “galantina” (una gallina perfettamente disossata la cui pelle è riempita con carne di manzo e pollo, pistacchi, uova, formaggio, pepe e noce moscata), le “lumache”, l’ “oca arrosto” e per finire la deliziosa “porchetta” con la quale vengono anche farciti i panini. Accanto a queste preparazioni molto ricche, la cucina Umbra offre dei piatti di decisa origine povera che vede un più largo utilizzo della verdura. Piatti come la “panzanella” (una ricetta fresca ed appetitosa a base di pane raffermo, cipolla, pomodori, basilico, olio e aceto), la “bandiera” (a base di peperoni verdi, pomodori e cipolla), e la “parmigiana di gobbi” (preparazione simile alla parmigiana di melanzane che vengono sostituite dai cardi) ci mostrano un immagine molto contadina e rurale della gastronomia Umbra. E’ senza dubbio doveroso, annoverare, tra le ricchezze che la terra ha donato all’Umbria, il tartufo che viene considerato di ottima qualità nelle città di Norcia e Spoleto. Nonostante l’Umbria non disponga di sbocchi al mare, la cucina locale ha comunque a disposizione delle ottime ricette a base di pesce d’acqua dolce. Tra tutte, quella più rappresentativa è,

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senza dubbio, i “carbonaretti alla Piedilucana”, cioè del persico reale abbrustolito a fiamma viva e condito semplicemente con olio, pepe, sale ed aglio.

Formaggi e salumi Considerata l’importanza che la carne ha nella gastronomia Umbra, non sorprende la grande quantità di salumi di cui dispone. La città di Norcia, in particolare, è una vera e propria roccaforte del salume in cui gli abili norcini producono delle vere e proprie prelibatezze. Accanto alle più tipiche salsicce e capocolli, la tradizione Umbra propone il “barbozzo” o guanciale, i “budellacci affumicati”, il “ciavuscolo” (un salume spalmabile), la “corallina”, la “salsiccia di cinghiale”, il “salame di daino”, il “lombetto” (prodotto con la carne dei lombi del maiale), i “mezzifegati” (salsicce realizzate per metà col fegato del maiale), la “ventresca” (simile alla pancetta), ed infine il celebre “prosciutto di Norcia”. Di pari passo alla produzione di salumi, c’è quella dei formaggi. I più apprezzati sono senza dubbio il “pecorino umbro”, un formaggio ricavato dal latte di pecora a pasta dura, e la “ricotta salata”, lasciata stagionare per almeno due settimane e poi grattugiata.

Dolci Per quanto riguarda i dolci, l’Umbria può contare non solo su una interessante tradizione, ma può addirittura far si vanto di alcuni artisti della pasticceria: Spartaco Pazzaglia, mastro pasticcere di Terni, fu il pasticcere ufficiale della Casata dei Savoia nei primi anni del Novecento. Personaggi famosi a parte, l’Umbria annovera dei dolci ottimi tra i quali primeggia senza dubbio il “panpepato”, ricco di cioccolato, frutta secca, mosto cotto, cannella, ed ovviamente, pepe. Ancora menzioniamo i “crostini briachi” (preparati con cioccolato e mandorle e ubriacati nell’alchermes), le “castagnole”, la “ciaramicola” (ciambella all’alchermes ricoperta di meringa), la “cicerchiata”(palline dolci fritte nell’olio), le “fave dei morti” (biscottini alle mandorle), la “nociata” (un torrone con miele, noci e zucchero), il “torcolo”(una semplice ciambella) e la “zuppa inglese”.

Vini Tra gli undici vini di origine controllata che vengono prodotti in Umbria i più famosi sono l’”Orvieto” che costituisce il 70% della produzione Umbra, il “Malvasia”, il “Grechetto”, il “Sangiovese”, il “Trebbiano”, il “Cabernet Sauvignon”, il “Torgiano rosso” ed il “Merlot”. Come liquori ricordiamo l’ “Amaro al tartufo nero” ed il “Vin Santo”.

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Valle d’Aosta Storia La Valle d’Aosta è la regione più piccola d’Italia ed è anche quella dalla morfologia più particolare di tutte. I verdi pascoli, le rigogliose foreste, e soprattutto le alte vette innevate delle Alpi caratterizzano il territorio Valdostano, in prevalenza montuoso. Pensando alla gastronomia dell’intera regione è impossibile non valutare il fatto che, in passato, questo aspetto morfologico abbia influito sulle abitudini della popolazioni. Le alte cime Alpine che isolano la Valle d’Aosta, nell’antichità costituivano un vero e proprio ostacolo da superare con enorme difficoltà per raggiungere le altre regioni e, di conseguenza le popolazioni vicine. Ovviamente questo ha portato alla nascita di una tradizione culinaria molto ristretta, basata esclusivamente sui prodotti offerti dal luogo, che niente ha in comune con le altre regioni Italiane. Nonostante le varie limitazioni, tra le quali quella di non avere uno sbocco sul mare, la cucina Valdostana riesce comunque a proporre dei piatti molto gustosi e saporiti, alcuni dei quali sono ormai famosi in tutta Italia.

Ricette e tradizione La particolarità della cucina Valdostana sta nella profonda diversità rispetto alla gastronomia del resto d’Italia. La differenza che si nota maggiormente è la mancanza di ricette a base di qualsiasi tipo di pasta. Il piatto sostitutivo della pasta è identificato nella numerose zuppe e minestre di origine contadina preparate con le verdure di stagione ed arricchite con brodi a base di carne, burro e formaggio. Tra le principali troviamo la “seuppa y plat”, la “zuppa di castagne” e la “seuppa vapeullenentse”, tipica della Valtelline. Anche per il pane vale un discorso simile: il pane bianco, classico, è sostituito dal Valdostano “pane nero” fatto di segale che può essere farcito con castagne o mele lasciate essiccare. Per quanto riguarda i secondi piatti, la Valle d’Aosta conta molto sulla selvaggina e sugli ortaggi. Tra i piatti ricorrenti menzioniamo lo “sformato di patate”, spesso proposto anche come antipasto, la “carbonade”, piatto a base di carne cotta nel vino rosso, ed il “capriolo alla valdostana” condito con un sughetto di panna, ginepro, timo e pepe nero. Ed ancora, due classici della cucina Valdostana: la “polenta” che viene condita col sugo di cinghiale o di lepre, e che può essere “concia” (cioè preparata insieme al formaggio); e la “fonduta di formaggi”, simbolo indiscusso della gastronomia Valdostana, da consumare coi crostini di pane. Altro alimento abbastanza importante è il pesce di fiume. La Dora Baltea infatti, garantisce sulle tavole Valdostane una grande abbondanza di trote, lucci, carpe ed alborelle che vengono preparati in svariati modi: in padella, alla griglia, in zuppa o al forno.

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Formaggi e salumi Da degna rappresentante della cultura montana, la Valle d’Aosta ha una grande tradizione casearia. Regina delle tavole è senza dubbio la buonissima “fontina”, formaggio più conosciuto della tradizione Valdostana, che viene fatto stagionare in grotta per almeno tre mesi. Ed ancora, ottimi formaggi sono anche le varie “tome”, il “reblec” e la “robiola”. In quanto ai salumi, la Valle d’Aosta ha una radicata produzione di “lardo” che, in passato, si utilizzava per insaporire i cibi al posto dell’olio d’oliva: quello più pregiato è il “lardo di Arnad”, talmente buono da essersi aggiudicato la denominazione DOP. Altri salumi degni di nota sono il “prosciutto di Bosses”, il “prosciutto di Saint-Oyen” e la “mocetta”.

Dolci La produzione dolciaria Valdostana è molto ricca e fa affidamento molto spesso alla vicina tradizione Francese, alla quale si ispira. Un esempio di questa influenza è il “mont blanc”, un dolce prettamente francese a base di castagne, cacao e panna montata, che è entrato a far parte della gastronomia Valdostana. Da ricordare, perché molto caratteristiche, sono le cosiddette “tegole d’Aosta”, dei biscotti alle nocciole e mandorle che, cotte su dei ripiani curvi, prendono la forma delle tipiche tegole Aostane. Altro vanto della pasticceria Valdostana sono le ottime crostate farcite con le marmellate e le confetture prodotte artigianalmente : quelle di lampone, mirtilli e frutti di bosco sono le più tipiche e rinomate. Molto rinomata è anche la produzione del miele. I più importanti sono il “miele millefiori di montagna”, il “miele di rododendro” ed il “miele di castagno”.

Vini A livello di vini la Valle d’Aosta non può proporre una vasta scelta perché limitata dalle sue piccole dimensioni e dal territorio prevalentemente montuoso. Le principali produzioni sono quelle di “Pinot grigio”, “Chardonnay” e “Muller Turgau”. Per quello che riguarda i liquori, la tradizione Valdostana propone un distillato digestivo che si ricava da una pianta che cresce alle pendici dei monti: il “genepì”.

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Veneto Storia La cucina Veneta è sicuramente una delle più particolari e complete della nostra bella penisola Italiana. Il merito di questo è, senza dubbio dovuta alla morfologia della stessa regione che è molto varia: mare, montagna, laghi e pianure caratterizzano il Veneto offrendo risorse molto diverse tra loro, alla gastronomia che in questo modo risulta molto varia e completa. Sicuramente la tradizione culinaria Veneta ha origini rustiche e contadine, come accaduto per la maggior parte delle regioni italiane poiché erano proprio i contadini che inventavano mille modi per combinare tra loro le risorse che avevano a disposizione.

Ricette e tradizioni Uno dei tasselli principali della gastronomia Veneta è indubbiamente il pane che, nel corso dei secoli, ha rappresentato uno degli alimenti principali ed indispensabili per il sostentamento della popolazione. Le principali tipologie di pane sono: il “pane di segale”, il “pane di miglio” (chiamato anche “pan ad mei”), il “pane nero di Coimo” o “pan negar”, ed il pane ricavato dal miscuglio di più tipi di farina che magari avanzavano dalla preparazione di altri piatti. Altro piatto fondamentale Veneto è la “polenta” che viene preparata in svariati modi per accompagnare i piatti più disparati. La più celebre ricetta la vede in accoppiata con gli uccelletti nella tipica “polenta e osei”. Per quanto riguarda i primi piatti, la tradizione Veneta è particolarmente ricca e variegata. Ricordiamo, infatti, i “casunziei con le rape”, i “bigoli in salsa”, i “bigoli con l’anatra”, i “risi e bisi”, il “risotto col radicchio”, gli “gnocchi di San Zeno”, gli “gnocchi con la pastissada”, il “risotto con la tinca”, la “pasta e fagioli”,e la “zuppa di radicchio rosso di Treviso”. I secondi piatti si dividono equamente tra quelli di carne e quelli di pesce. Tra i secondi di carne menzioniamo il “bollito misto con la pearà”, il “cappone alla canevera”, il “fegato alla Veneziana”, la “faraona con salsa peverada”, l’ “anatra arrosto”, l’ “oca arrosto ripiena”, le “rane fritte”, e la “pastissada de caval”. I piatti a base di pesce sono molto diffusi soprattutto lungo le zone costiere e sulla laguna di Venezia. Da ricordare sono sicuramente il “baccalà alla vicentina”, il “baccalà marinato”, le “sarde in saor”, gli “scampi alla busara”, l’ “anguilla ai ferri”, il “luccio in salsa” ed il “fritto misto dell’Adriatico”. Particolarmente apprezzati sono, poi, due secondi piatti a base di verdura che all’occorrenza si possono trasformare anche in contorni: gli “asparagi con le uova” e la “frittata rognosa”.

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Formaggi e salumi Dal punto di vista della tradizione casearia, il Veneto è una regione molto ricca che produce formaggi di ottima qualità e gusto. I principali sono indubbiamente: l’ “Asiago”, la “caciotta di pecora”, il “cansiglio”, il “caprino stagionato”, il “carnia”, il “casalino”, il “malga Bellunese”, il “montasio”, il “morlac”, il “nostrano prealpino”, il “piave”, il “provolone valpadana”, la “ricotta affumicata”, il “tosela” ed il buonissimo “Taleggio”. Anche per quanto riguarda i salumi, la tradizione Veneta si distingue per una notevole produzione di insaccati. Tra tutti ricordiamo la “salsiccia polesana”, il “cotechino polesano”, la “soppressa”, il “salame ungherese”, il “salame nostrano”, la “porchetta trevigiana”, la “pancetta stufata”, la “bresaola”, la “pancetta arrotolata” ed il “prosciutto crudo del delta”.

Dolci I dolci tipici del Veneto sono numerosi e, la maggior parte, sono legati principalmente alle festività più importanti. Basta menzionare, infatti, il classico “Pandoro di Verona” (tipico del Natale), i “galani ed i crostoli” (tipici di Carnevale), o ancora la “colomba di Verona” (tipica del periodo Pasquale). Tra gli altri dolci ricordiamo gli “amarettoni”, i “biscotti baicoli”, i “biscotti bussolai”, i “capezzoli di Venere”, le “frittelle Veneziane”, la “fugassa”, ed il “gelato tradizionale di Cadore”.

Vini Per quanto riguarda la tradizione enologica Veneta, basti dire che la regione vanta il primato, in tutta Italia, della maggior produzioni di vini DOC. Ricordiamo quindi i più celebri ed apprezzati: il “Recioto di soave”, il “Bardolino”, il “Bianco di Custoza”, l’ “Amarone”, il “Valpolicella”, il “Rosso di Garda”, il “Cabernet”, lo “Chardonnay”, il “Merlot”, il “Pinot bianco”, il “Pinot grigio”, il “Pinot nero”, il “Sauvignon”, il “Verduzzo” ed il “Tocai italico”. Ma il Veneto non è solo vino; sono moltissimi, infatti, i liquori che vi si producono e che sono conosciuti in tutto il mondo. Prima, fra tutte, ricordiamo la “grappa” prodotta a Bassano nella storica distilleria Nardini. Altra specialità locale è la “Trevisana”, un particolare estratto di radicchio di Treviso, molto apprezzato in tutta la regione. Ed ancora, è proprio in Veneto che si può gustare un “fragolino” dei più buoni ed un “rosolio” unico. Da non dimenticare sono anche: il “maraschino”, il “girolimino”, il “brodo di giuggiole”, il “kumetto”, il “kranebet” e l’ “acqua di Fiume”, dedicata all’impresa di Gabriele D’Annunzio. Infine, è da ricordare che proprio il Veneto è la regione madre del “Chinotto”.

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Dedicato al Tricolore a.s. 2010-11 Una galleria fotografica di dolci dedicati al Tricolore realizzati dagli studenti dell’Istituto nei concorsi interni.

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Invitati in varie trasmissioni televisive sul 150째

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Scambio culturale eno-gastronomico e sportivo, presso il “Beccari” di Torino”

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