Reader’s Bench
Tutto il mondo dei libri su una panchina
Speciale Horror 2012
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Reader’s Bench: Cover artist: Danilo Diablo Angeletti Direttore: Clara Raimondi Design Grafico: Francesco Miserendino Vicedirettore: Diego Rosato Caporedattore: Ariberto Terragni
Redazione: Giulia Battaglia Mattia Galliani Cristina Monteleone Claudia Peduzzi Giuseppe Recchia Chiara Silva Nicoletta Tul Claudio Turetta Floriana Villano
Si ringraziano: Cristiana Astori Filomena Cecere Adam Frost Danilo Angeletti www.readers-bench.com readersbench@gmail.com Reader’s Bench Tutto il mondo dei libri su una panchina Blog letterario
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Sommario Editoriale...5
Leggere al buio...48
Non solo Dracula...6 Dexter...54
Wes Craven..10 Il giocattolaio...14 A volte ritornano...18
Un luogo incerto...58 Libri e stregoneria...62
Halloween dai Simpson...22 L’invasione degli The possession...26 scarafaggi...66 Amabili resti...28 L’inferno di Barbieri...32 Mi vuoi bene?...34
Sweeney Todd...68 Fevre Dream...72 Lapide...74
Horror bookshelf?...40
Frankenweenie...80
Poe: racconti e poesie...44 Reader’s Bench
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Editoriale La data da segnare sulla vostra agenda era proprio quella di oggi: 31/10/2012, il giorno in cui sarebbe uscito il nostro speciale interamente dedicato all’horror. E ora é proprio qui, davanti ai vostri occhi per informarvi in modo completo sulle ultime uscite il libreria, sui film che sono o che saranno al cinema nelle prossime settimane ma soprattutto per avvolgervi completamente in un’atmosfera horror che non dimenticherete facilmente. Recensioni, articoli, news e come al solito il nostro inconfondibile punto di vista che ha parecchio da dire anche in questa occasione. Gli articoli di tutta la redazione saranno corredati da quelli di illustri ospiti d’onore: Filomena Cecere, Cristiana Astori, Adam Frost che hanno riempito le pagine di questa panchina con il loro universo onirico e con il racconto della nascita della loro passione per il genere horror. Non poteva mancare la copertina del nostro Danilo Diablo Angeletti che anche questa volta é riuscito ad interpretare lo spirito di questo speciale. Un ringraziamento va anche a Fabio Mundadori che ci ha permesso di mettere in palio una copia del suo Occhi Viola per questa occasione. Per il resto non manca altro che trovare posto sulla panchina, ma fate attenzione, le macchie di sangue potrebbero sporcarvi. Per entrare ancora meglio in questo clima orrido non potete perdervi il trailer di questo numero. Grazie a tutti voi che ci seguite sempre più numerosi! Happy Halloween! Clara Raimondi - clararaimondi@readearesbench.com Reader’s Bench
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Non solo Dracula
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di Diego Rosato Se dico Bram Stoker, si alza un coro di “Dracula”, anche grazie al film di Coppola: quel film ha fatto tanti danni, ma col suo titolo ha reso semplice anche a chi non ha letto quel capolavoro ricordarne l’autore. Ora però vorrei chiedervi chi tra voi ha letto un altro libro del maestro irlandese del romanzo gotico... Ecco, appunto! Non vi preoccupate: l’ho fatto io per voi e, come sempre, vi racconto com’è andata. La mia scelta è caduta su “Il mistero del mare”, romanzo in cui un giovane avvocato scopre di avere delle visioni di morte (passate e future) e, grazie ad una strega dell’est riesce a scoprire che queste visioni preannunciano la scoperta del Mistero del Mare. Se la trama sembra quella di un romanzo gotico standard, sappiate che ben presto a complicare le cose si aggiungerà l’arrivo di una splendida fanciulla americana sotto mentite spoglie e di un nobiluomo spagnolo alla ricerca del riscatto della sua famiglia ed il ritrovamento derato indegnamente solo l’autore di Dracula, di una cassa contenente dei misteriosi testi cifrati. Il tutto nella sublime cornice la cattiva è che “Il mistero del mare” non è all’altezza dell’illustre romanzo gotico che ha degli Skares, bella e pericolosa. per protagonista il vampiro transilvano. La buona notizia è che Bram Stoker è consi-
Intendiamoci, il libro è bello, la storia avvin-
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cente, l’intreccio presenta una giusta commistione di generi, ma nel complesso il volume soffre di alcuni difetti, magari trascurabili, magari per qualche lettore addirittura pregi, ma secondo me delle farraginosità che rallentano un po’ troppo la lettura. Da appassionato di crittografia, ho gradito non poco gli excursus dell’autore sull’argomento, ma ancor di più il fatto di aver relegato tutte le spiegazioni tecniche alle appendici, in modo da non infastidire il lettore non avvezzo e, soprattutto, non interessato, ma avrei voluto che tale sorte fosse destinata anche alle elucubrazioni del protagonista sul galateo, sull’onore e su quanto siano meravigliosi i suoi sentimenti. Insomma, non siamo di fronte a un romanzo di Jane Austen, ma tenete presente che l’epoca pressapoco è quella ed anche la concezione della donna che traspare dalla narrazione farà storcere il naso alle lettrici più femministe.
Lo stile è un po’ lento, descrittivo ed introspettivo: credo che un po’ più di ritmo non avrebbe guastato. Insomma, forse venti euro per questo romanzo sono un po’ troppi, ma alla fin fine vi offre più di quattrocentocinquanta pagine di mistero, avventura, amore ed intrighi: c’è di peggio in giro...
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Wes Craven e i volti dell’horror
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di Floriana Villano
Wes Craven, regista horror di successo, nella sua lunga carriera cinematografica, ha il pregio di averci regalato due personaggi che, non solo sono entrati di fatto nella leggenda dell’horror, ma sono anche tra le maschere più indossate durante le feste di Halloween, negli Stati Uniti: Freddy Krueger e il killer di Scream. Classe 1939, laureato in materie umanistiche alla Johns Hopkins, Craven si presta a qualche lavoretto (di natura prettamente tecnica) per l’industria cinematografica del porno, dove apprende le tecniche del montaggio e dopo qualche film (di tutt’altro genere) diventati dei cult, pur non andandone fiero, conosce il successo, nei mitici anni ottanta, con la saga di Freddy Krueger e il primo capitolo Nightmare: dal profondo della notte. La storia dell’uomo dalla faccia sfigurata e l’artiglio di lame, che “anima” gli incubi di un gruppo di ragazzi, si svolge attraverso sette film, tutti diversi ma sempre definiti dallo stesso finale: il ritorno di Freddy; un personaggio immortale, mostruoso tanto quanto difficile da distruggere perché si nasconde negli incubi, nutrendosi della paura di chi cerca di combatterlo. Spargerà molto sangue prima di essere eliminato definitivamente…. o forse no?!???! Craven ci ha regalato anche un remake, alquanto recente, ma io apprezzo sempre la prima e originale saga di Krueger, quella che fa veramente paura, che mi ha tenuta sveglia per notti intere, per paura di addormentarmi, che mi faceva camminare per strada girando-
mi continuamente ad ogni rumore; nonostante tutto, restano bei ricordi e sono tutt’ora film di culto che, non possono mancare nel carnet degli appassionati del genere horror; i miei capitoli preferiti sono il primo, il quinto e il settimo, ma per chi volesse intraprendere l’avventura consiglio di cominciare dall’inizio e di arrivare fino in fondo e soprattutto, non dimenticate di imparare la famosa canzoncina “anti uomo nero”: L’uomo nero non è morto ha gli artigli come un corvo fa paura la sua voce prendi subito la croce apri gli occhi, resta sveglio non dormire questa notte... Di tutt’altro sapore, e con altri presupposti, comincia la saga di Scream, genere horror ma totalmente diverso da Nightmare, qui l’assassino è una persona vera, in carne e ossa. La storia parte da un gruppo di ragazzi, con la passione per i film dell’orrore; ad un certo punto la loro tranquilla esistenza, che si svolge in una piccola e serena cittadina di Woodsboro, viene sconvolta da una serie di brutali omicidi che, in alcuni casi, ricalcano quelli efferati e assurdi dei film horror di cui sono fan, finendo essi stessi per diventare, loro malgrado, le vittime di un film reale: la loro vita. Protagonista unica e indiscussa è Sidney Prescott, una semplice e innocente diciasettenne la cui vita, già in precedenza sconvolta dall’assassinio di sua madre, subirà delle svolte davvero brusche. Purtroppo, pur con la soluzione del primo
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enigma, il destino cruento seguirà Sidney an- scherarvi da Freddy o da Ghostface e divertiche al college e….oltre. tevi. La saga di Scream è composta da una prima Buon Halloween a tutti!!!! trilogia, a cui sta facendo seguito una seconda, il primo capitolo è già uscito nelle sale ed è possibile vederlo in dvd. Vi consiglio di mettervi in pari così sarete pronti per il secondo episodio. Prima di avventurarvi, è meglio imparare le regole fondamentali per uscire vivi da un film dell’orrore. non fare sesso, non ubriacarti o drogarti, non dire “Torno subito”, non rispondere al telefono, non aprire la porta, non cercare di nasconderti e non urlare perché chi urla muore! Il killer di Scream, chiamato Ghostface, indossa una maschera bianca, che raffigura il volto sfigurato del personaggio del celebre quadro di Edward Much “Il Grido” (in inglese grido si traduce scream, da qui vien fuori il titolo della saga). Oltre alla maschera l’assassino indossa sempre un cappuccio e una tunica nera, a parte il fatto che è sempre armato di coltellaccio che usa nella maggior parte dei casi, tranne quando qualcuno riesce a sfilarglielo, ma lui riesce comunque a raggiungere il suo obiettivo in altro modo: spingendo la vittima giù dal balcone, decapitandola con la saracinesca del garage, piazzando una piccozza nel mezzo della fronte, ecc… Tanto Krueger, quanto Ghostface sono diventati così famosi come simbolo di paura, che vengono spesso riproposti come maschere per Halloween, a parte il fatto che sono semplici da riproporre in modalità fai-da-te anche se io ho visto alcuni negozi vendere i loro costumi già belli pronti. Quest’anno se vi va, invece di proporre il solito zombie, o dracula, o la vittima di dracula, o un tizio sfreggiato ingegnatevi da soli a ma-
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Il giocattolaio
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di Clara Raimondi Il Giocattolaio é una riflessione sulla famiglia in crisi, una sorta di rilettura del classico di Collodi, la constatazione dell’incapacità genitoriale e della figura paterna che ne esce, irrimediabilmente , sconfitta. Ma il libro di Stefano Pastor é anche e soprattutto un horror o per meglio dire una favola nera che tenta d’insegnarci qualcosa. I termini e le modalità del genere ci sono tutti: un maniaco che uccide e tortura bambini, un gioco di fraintendimenti e di sostanziale avversità della società nei confronti di quanto sta accadendo nel quartiere e persino un chiaro rimando al complesso edipico alla Psycho. Di riferimenti letterari/cinematografici ne troverete a bizzeffe in questo libro ma quello che sicuramente balzerà ai vostri occhi é il tentativo di aggiungere alla narrazione dei contenuti, lunghe pause in cui l’autore
si é voluto soffermare per parlare delle dinamiche e dei problemi della nostra società. Per cui se siete alla ricerca di un romanzo che vi tenga incollati in un climax ascendente d’inaudita violenza, questo romanzo non fa per voi, se invece state cercando qualcosa di diverso in libreria, il libro di Pastor potrebbe fare al caso vostro, soprattutto se non vi sono indifferenti le dinamiche all’interno della famiglia contemporanea. Salita sul banco degli imputati mostra tutta la sua fragilità e, se non vi bastassero gli ultimi, tragici eventi di cronaca, ci pensa Pastor ad imprimerli, indelebili, nella vostra mente. In questo clima e in un quartiere quasi del tutto abbandonato (in alcuni tratti il vero e proprio protagonista della narrazione) si raccontano le storie di tre giovani protagonisti e delle loro, disastrose, realtà familiari in cui c’é spazio solo per la solitudine, l’incom-
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prensione e la violenza. In un clima del genere un maniaco, assetato di sangue, trova il suo ambiente ideale e le case, gli appartamenti abbandonati, i portoni divelti non sono altro che porte aperte verso il buio. Eppure, in alcuni tratti, questo sembra solo un pretesto per parlare di altro e mentre si segue la narrazione non si vede l’ora di saltare le pagine per arrivare proprio lì, dove il male vero, quello cieco e incontrollabile prende vita. Momenti in grado di coinvolgere veramente il lettore ma che risultano, a volte, deboli lampi nella narrazione che incede su alcuni elementi. La scrittura tuttavia é snella ed incalzante e di certo non é lei ad interrompere il ritmo che fatica a partire proprio perché é l’autore che si sofferma, troppo, su alcuni aspetti dei personaggi che poco aggiungono a quello già presentato dall’ambientazione totale del romanzo. Perfetta e davvero originale la figura della giovane Mina che già vedo protagonista di indagini ben più crude e terrificanti. Magari per lei ci
sarà un futuro da indagatrice del mistero dove potrà mettere a frutto tutto il suo coraggio. Nel riporre queste mie speranze confido anche in una maggiore cura per i dialoghi da parte dell’autore. Forse é semplicemente una mia fissazione ma se proprio deve esserci una forte caratterizzazione dei protagonisti, confido che questa si realizzi nel modo di farli esprimere e nella ricerca di un linguaggio che rispecchi le loro caratteristiche. Il termine favola nera allora si addice perfettamente al romanzo di Pastor che, di sicuro, avrà altre possibilità per dare dimostrazione delle sua capacità. Il tam, tam intorno a questo romanzo é tuttora fortissimo e spero che porti alla nascita di una nuova corrente letteraria italiana, magari capitanata dallo stesso Pastor, che non si senta più in debito verso King ma che riesca a dare una propria immagine, netta, e che magari faccia dell’indagine sociale il suo punto di forza.
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A volte ritornano
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di Ariberto Terragni Non so se i venti, densi racconti di A volte ritornano possano essere considerati un punto di svolta nell’itinerario di Stephen King; forse osservazioni di maggiore rilievo potrebbero essere proposte da lettori horror meno occasionali di me, ma la sensazione che ho incontrato rileggendo questo volume è stata abbastanza netta: negli scantinati del libro, oltre che paure, angosce, incubi, si annida anche l’essenza dello scrittore americano. E’ un libro laboratorio, un cantiere dove il lettore ha la possibilità di vedere la partitura di romanzi a venire o il segno evidente di uno stile già strutturato e definito fin dall’inizio.
massacro che costringe il lettore a misurarsi con la tortuosità dell’angoscia e del rimosso: un’abilità che forse ha determinato il successo di King anche al di là della fabula stessa, quasi sempre ben confezionata, ma forse insufficiente a spiegare un successo planetario tanto
Uscito nel 1978 A volte ritornano è il primo volume di racconti pubblicato da King: alcuni risalgono agli albori della sua attività (Risacca notturna risale ai suoi 19 anni, ed è un po’ il punto di partenza de L’ombra dello scorpione) altri a collaborazioni con riviste, ma tutti si offrono come un concentrato di tecnica narrativa, in bilico tra il desiderio (la vocazione) di raccontare e la capacità di portare la realtà alla sua estrema, e paradossale, verifica. E’ come se King si divertisse a stuzzicare le porte del probabile, a sondarle, a tentarle con il pungolo, per vedere se e che cosa si celi dietro l’ordinario e il banale. Una roulette russa in qualche caso, un gioco al
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capillare e trasversale. Gli universi narrativi kinghiani nascono da oggetti semplici, quotidiani: emarginazione, diversità, paura, malattie, lutti, dolore. E’ difficile che la traccia iniziale dei suoi testi si discosti da un poderoso aggancio al vissuto per poi librarsi in un essenziale ma inesorabile meccanismo narrativo che, in un processo che ha dell’alchemico, dona significato al paradosso, rende possibile l’ignoto, fa accadere l’innominabile. Il successo di un autore è qualcosa che difficilmente si può spiegare con il buon senso, se accettiamo che la letteratura, anche di genere, tende a presentarsi come una sfida al senso comune del decoro e della convenienza; sotto
questo aspetto la capacità di King di muoversi al di fuori del genere duro e puro dell’horror ha dell’intuizione: per uscire dalla nicchia è necessario trovare un terreno comune in cui convogliare l’interesse di un gran numero di individui: non di lettori, di individui. E allora la dinamica horrorifica diventa qualche cosa di diverso rispetto al repertorio di sangue e cervella spalmate sul pavimento: diventa un momento di conoscenza in cui ciascuno aderisce ad una parte di sé privata e difficilmente nominabile. Non so se sia un’interpretazione corretta. Posso solo dire che è l’osservazione di uno che non considera King un genio (ma un bravissimo artigiano che padroneggia la tecnica come pochi altri) e non ha particolare simpatia per la letteratura di genere.
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A volte ritornano, per tornare a quanto si diceva all’inizio, si offre secondo me come la cassetta degli attrezzi dell’autore, lo studio dove il pittore prende le misure delle sue opere e dispone il materiale necessario. Ma non vorrei nemmeno far pensare che il libro sia una semplice raccolta di brani sparsi e ancora involuti. Tutt’altro. L’economia dei racconti è in sé già risolta e impeccabile. Gli ingranaggi non sbagliano un colpo, la pagina si volta quasi da sola. Racconti come Il cornicione o Quitters, Inc. o il bellissimo La donna nella stanza, sono più che semplici miniature e suggeriscono uno sguardo d’insieme sul mondo e sulla società molto più ampio e molto più sofferto di quanto normalmente si sia disposti a concedere ad un libro di evasione. Si legge tra le righe la volontà di una nar-
razione più ampia, quasi politica se mi si passa il termine improprio. Il ventaglio di tematiche che filtra in sottotraccia è ricco di richiami all’attualità del 1978 che, e qui sta la prova di trovarsi al cospetto di un qualcosa di importante, è valida, validissima ancora oggi. Sono pagine che sanguinano, e non nell’accezione splatter: sono vive, nitide. Alienazione, solitudine, eutanasia, tecnologia fuori controllo: sono storie, facce, pensieri con i quali tutti siamo costretti a fare i conti. E la narrativa si spande, assume una forma e una consistenza che il puro diversivo letterario non consentirebbe: pagina dopo pagina ci accorgiamo che tra noi e l’autore si è instaurato un dialogo, e che l’argomento di discussione siamo noi stessi. Il colpo al cuore che un lettore cerca con più tenacia.
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halloween dai simpson
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di Chiara Silva
I Simpson é la serie animata che piú ha fatto conoscere al mondo intero i vizi e le stravaganze della societá statunitense. Proprio per questo motivo, insieme alle puntate dedicate ad altre festività, non potevano mancare degli episodi incentrati su Halloween, festa molto sentita in tutti i paesi anglosassoni. In quasi tutte e 24 le stagioni che compongono la serie é presente una puntata in cui la famiglia Simpson e i loro concittadini sono intenti a festeggiare la festa più paurosa dell’anno. Gli abitanti di Springfield si travestono da mostri, streghe e fantasmi, bussano di casa in casa chiedendo dolcetti e vivono avventure fuori dal comune ispirate all’atmosfera tradizionale di Halloween. Non a caso queste puntate in inglese si chiamano Treehouse of horror, la casa sull’albero degli orrori, posto sinistro per eccellenza nel periodo di Halloween (insieme alle cantine e alle soffitte). In italiano il titolo é stato tradotto con La paura fa novanta, con riferimento alla Smorfia napoletana.
tamente strampalate e banali, perchè l’intento di Groening è quello, ancora una volta, di ridere della società americana e non di spaventare gli spettatori. Chi si aspetta una vera puntata horror rimane dunque deluso e potrebbe quindi chiedersi il senso di queste puntate dedicate ad una festa come Halloween. Come già detto, queste puntate esagerano le tradizioni e le abitudini della festa ma presentano spesso un valore aggiunto di tipo letterario e culturale. Per valore aggiunto intendo un richiamo più o meno evidente alla letteratura, al cinema o alla cultura popolare a cui spesso si ispirano parti o intere puntate.
Un esempio può essere l’episodio che riprende la poesia The raven di Edgar Allan Poe. Nel testo l’io poetante riceve la visita inaspettata e sgradita di un lugubre corvo che risveglia e acuisce ancora di piú il dolore e l’ossesione per la perdita dell’amata Lenore. La ripetizione di nevermore nell’originale carica la poesia di angoscia perché il significato negativo e asTutto farebbe pensare a delle puntate davvero soluto della parola ricorda al protagonista che spaventose, ma al contario le storie sono volu- non potrá mai piú a ricongiursi al suo amore
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perduto. La versione dei Simpson rielabora la poesia in modo piuttosto fedele. Homer veste i panni dell’uomo distrutto dal dolore per la perdita di Lenore (ovviamente Marge) mentre il corvo é impersonificato da Bart. Quando arriva il momento in cui il corvo gracchia il suo primo nevermore l’atmosfera cupa della poesia si spezza perché Bart interviene con il suo
tormentone eat my short (il famoso “ciucciati il calzino” in italiano), dissacrando cosí il lavoro di Poe. Dopo questa ironica interruzione la lettura della poesie prosegue, mostrando l’Homer letterario mentre si scaglia sul corvo-Bart per mandarlo via. Schivando i colpi di Homer, il corvo fa cadere dalla libreria alcune opere famose di Edgar Alla Poe come The pit and
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the pendulum, questo sembra essere il tentati- il protagonista di Arancia meccanica mentre vo di Groening di assicurarsi che lo spettatore altri sono piĂş sottili oppure facilmente riconoabbia veramente colto il rimando letterario. scibili solo dagli appasionati. La prossima volta che guardate I Simpson provate anche voi a I Simpson e gli episodi di Halloween sono pie- scovarne qualcuno! ni di simili collegamenti tra cinema, letteratura e cultura popolare. Alcuni sono davvero evidenti, ad esempio quando Bart ĂŠ vestito come
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the possession
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di Clara Raimondi Sam Raimi torna al suo vecchio amore, il genere horror, non più da regista ma da produttore per la Ghost House Pictures. Un nome che è già tutto un programma per raccontare, dopo il successo della saga de La casa, una nuova storia nel film The Possession, già nelle sale dal 25 ottobre. Come al solito il fatto che sia tratto da una storia vera é solo l’incipit, peraltro debolissimo, dell’ennesima pellicola sulla possessione demoniaca. Il film parte da un passato, non molto lontano, e da un’antica scatola di legno, una vecchia signora e la liberazione di una forza demoniaca impossibile da controllare.
L’obbiettivo allora si sposta sulla famiglia Morgan o meglio su quello che ne resta dopo il divorzio che ha coinvolto i genitori di Em ed Hannah. E proprio Em, la piccola di casa, verrà a contatto con la scatola misteriosa e vittima di una possessione. Nel film, naturalmente, si susseguiranno le visite mediche, l’accettazione del male e le scene di esorcismo. La novità allora dove sarà? Forse nel modo di raccontare un tema classico, già riproposto in decine di pellicole precedenti. Vedremo se la cinepresa di Ole Bornedal e l’influsso di Raimi riusciranno a far sobbalzare dal posto il pubblico presente in sala.
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Amabili resti
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di Claudio Turetta
C’è una ragazza adolescente che inizia a diventare grande, c’è un assasino seriale che adesca la ragazza di cui sopra, la rapisce, la violenta e la fa a pezzi. La famiglia piange il lutto e la polizia cerca di trovare il responsabile dell’omicidio. Fin qui sembra la classica trama di un giallo noir ambientato nella provincia americana. Ed invece no. Da qui in poi si parte la storia ma da un punto di vista diverso, quello della vittima. Susie Salmon come detto è una ragazza di 14 anni che viene adescata dal vicino, il signor Harvey, mentre sta facendo ritorno a casa in una sera di inizio dicembre. Il vicino non è altro che un serial killer che prima la stupra ed in seguito la uccide e la fa a pezzi. Da lì in poi Susie si ritrova in una specie di Paradiso chiamato “Cielo”(l’autrice è un’atea convinta), dove fa amicizia con altre anime e da lì vede come i suoi cari affrontano il lutto e come procedono le indagini, provando tristezza per i suoi cari che non può riabbracciare e rabbia perchè vorrebbe indirizzare le indagini nella giusta direzione, vede come procede la vita senza di lei e come cambiano le persone e come nascono nuovi rapporti.
E il libro sembra quasi come un vaso che cade a terra e tutti i pezzi prendono una propria direzione, una propria forma...le persone cambiano, i rapporti cambiano e Susie osserva dal
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cielo, senza riuscirsi a staccare dal ricordo delle persone che hanno riempito la sua vita, e lo stesso vale per le persone che l’hanno conosciuta, ognuno in cerca della sua pace. Dopo che ho letto il libro, ho visto anche il film diretto da Peter Jackson (che ha diretto la trilogia de “Il Signore degli Anelli”), dove le dinamiche cambiano molto, ma la sostanza resta la stessa idea di base del libro, anche se qualche passaggio è stato sminuito rispetto ad altri, oppure alcuni sono completamente scomparsi (si parla spesso di una foto che Susie scatta alla madre in cui sembra catturare un’espressione
che non ha mai visto nella madre). Tutto sommato il film mi è piaciuto molto anche quello e mi ha emozionato al pari del libro. Mentre scrivevo la recensione come mio solito mi interessavo degli autori e delle altre opere per trovare spunti per arricchire la mia libreria e con enorme stupore ho scoperto che anche la Sebold in gioventù subì uno stupro e da quest’esperienza naque il suo primo racconto “Lucky”. Il titolo deriva dal fatto che l’agente di polizia che la trovò gli disse che era stata fortunata perchè nello stesso posto era stata violentata un’altra ragazza, ma aveva avuto
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una sorte peggiore. Dalla sua esperienza e da quella della ragazza morta naque “Amabili re- Voto 9 tazze sti”. Amabili Resti di Alice Sebold, E/O edizioni Devo dire che nonostante l’idea di base sia un 345 pagine 11 EURO pò macabra, il libro mi è piaciuto molto, anzi l’idea principale, secondo me, è come evolvono alcuni rapporti in seguito, come ogni persona sia una forma che cambia in seguito al tragico evento e di come essa si incastri nel gioco della vita.
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L’inferno di Paolo Barbieri
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di Clara Raimondi
Cosa succede quando il più grande illustratore italiano, Paolo Barbieri, incontra, letterariamente, Dante Alighieri? Accade che nasce un capolavoro e la ricostruzione di un universo immaginifico che aveva animato gli incubi di ognuno di noi. Perché l’horror italiano é nato proprio in quei primi giorni del 1304 quando Dante, scriveva nella sua stanza i terribili fatti che avevano animato la cronaca di quegli anni e dava vita e voce ai volti straziati di Paolo e Francesca, del Conte Ugolino e riportava alla luce mostri, miti e paure che la società del tempo aveva fatto di tutto per dimenticare. Trasudano dolore e disperazione ma anche una buona dose di umano compiacimento i passi più intensi dell’Inferno di Dante. Un universo letterario che si forma con un impasto linguistico che dal latino si abbassa fino ai livelli più infimi del gergo. Tra lo strazio e il mancato pentimento si susseguono i vizi e le umane debolezze e le punizioni di chi non é riuscito a stare al giogo imposto dalla società. I reietti di Dio, gli scarti dell’aldilà si presentano con tutta la forza della loro miserabile condizione con le storie e gli aneddoti delle loro
vite. A questo universo fatto di potentissime immagini Paolo Barbieri deve dare vita e deve farlo dopo che altri prima di lui, come Paul Gustave Doré, sono riusciti magistralmente. Ma il suo non é in nessun modo un tentativo di ripercorrere le orme del passato e il suo Inferno dantesco, abituati al chiaroscuro del passato, si anima di colori vibranti e i demoni sono figure imponenti, materiche. Il tratto non ha nessuna intenzione di cedere e i protagonisti vengono ritratti nella loro umanità ed i corpi vengono raffigurati in tutta la loro carnalità. Il lavoro più importante di Paolo Barbieri che non potete, assolutamente, perdere.
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Filomena Cecere
Mi vuoi bene?
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Prima notte Il mio grido nella notte spezza il silenzio. Un sogno eppure i miei occhi sono aperti. Seduta sul letto osservo il vuoto. E tremo. Non è freddo, ma paura che dalla pelle trapassa l’anima. “Cosa hai?” chiede mio marito. “La vedi anche tu?”. “Chi?”. “La bambina”. “Non c’è nessuno, torna a dormire. Sarà stato solo un incubo”. Ma io rimango a fissare quel volto poco definito. I capelli scuri, lunghi e bagnati. Le gocce d’acqua che scivolano sul corpicino immobile, sulla veste candida, sui piedini nudi che non toccano il pavimento e cadono formando una pozza d’acqua che riflette il nulla. La mia vista è offuscata dalle lacrime, il terrore si è impossessato delle mie membra. La bimba sparisce dopo pochi istanti, ma il sonno ormai spezzato non torna più. Seconda notte Un pianto ininterrotto mi sveglia. Sento il suo singhiozzare continuo, il lamento incessante e i pochi versi di una ninna nanna cantata da una vocina sottile. Come un eco nella testa. Rimbalzi della mente. La bimba è al mio fianco. Non posso vederla ma ne odo i movimenti. Sono inquieta. E affranta. Sempre più stanca per un dolore che non mi abbandona. Le tende ondeggiano anche se nessun soffio di vento è entrato nella stanza. Le impronte di piedini nudi sul pavimento m’invitano a seguirle. Mi alzo. Le orme mi conducono in salotto dove giocattoli sparsi sul pavimento si muovono senza essere toccati da mano umana e i capelli delle bambole sono spazzolati da dita invisibili.
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“Mi vuoi bene?” ripete come in una nenia. “Chi sei?” chiedo con la voce spezzata dai brividi che mi percorrono la schiena. “Tu mi vuoi bene?” domanda ancora quella voce, con insistenza e tenacia. Mi sento avvolta da un torpore. Una sensazione simile a un abbraccio. Un gesto che dovrebbe donarmi piacere ma che invece mi terrorizza. Il mio corpo è inerte. Non reagisco a quel gesto. In preda al panico rimango ferma nell’attesa che finisca questo tragico momento. Terza notte Ingollo l’acqua contenuta nel bicchiere a cui ho aggiunto gocce di sonnifero. No! Non devo mentire a me stessa. Non devo illudermi. Da tempo ormai faccio uso di calmanti. Ho messo più gocce di quante il medico me ne ha prescritte, nella speranza di non essere, ancora una volta, testimone delle mie stesse paure. Dormo. Il sonno più profondo che abbia fatto da mesi. Sogno. Delicato e dolce. Mi sveglio però avvertendo una strana sensazione. Apro gli occhi di scatto e il gelo attanaglia la mia voce. Non posso gridare. Le mani della bimba sono intorno al mio collo e stringono. Stringono sempre di più. È sopra di me. Il suo corpo aleggia a pochi centimetri dal mio. Le punte dei suoi capelli castani toccano il mio viso. Vorrei urlare, liberarmi, ma mi domina. Sono sua. “Mi vuoi bene?” insiste con quella domanda che non comprendo. Vorrei gridare che mi piacerebbe amarla ma che la sua presenza tortura i miei giorni e annienta le miei notti. Ma non posso. La mente parla per me mentre la bocca non emette suono. Nella rabbia provo anche pena per quella creatura. Sola, indifesa e triste. In cerca di quell’affetto che le è mancato durante la vita terrena. Attraverso le ciocche dei suoi capelli umidi e sottili osservo quegli occhi tristi che formulano domande a cui non so dare risposte. Lei svanisce così come è arrivata. Respiro profondamente e lentamente recupero la quiete.
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Quarta notte Un incubo. Mi sento trascinata in un vortice di lacrime e sudore. Non avverto la consistenza della materia ma un velo di vergogna e timore. Balzo in piedi. Battito cardiaco accelerato. Nel bagno la luce è accesa. Sono sicura di averla spenta. Guardo mio marito, dorme. Sento l’acqua scorrere. Mi alzo, vado a controllare. Il vapore ha riempito la stanza, le piastrelle sembra piangano lacrime. La vasca è piena d’acqua bollente. Qualcuno è sul fondo. Mi avvicino ancora. La bambina mi fissa da sotto la lastra d’acqua, lo sguardo sbalordito mi interroga ancora una volta. Sento la sua voce “Mi vuoi bene?”. L’acqua fuoriesce dalla vasca come un’inondazione. Mi sommerge, annego. Non respiro, soffoco. In preda al panico cerco di salvarmi. Nuoto nell’amarezza e nel dolore. Mi affanno. Resisto. Avverto il peso del mio corpo come una zavorra che mi affonda. Mi trascina in basso mentre io voglio riemergere. Lo spavento ha preso possesso dei miei arti. Sono stanca, smetto di reagire. Mi lascio annegare. Nell’incoscienza del corpo, la mente ha visioni di attimi agghiaccianti. Mani adulte spingono sott’acqua la bambina. La tengono ferma sul fondo della vasca. Vuole condividere il suo dolore e ha scelto i miei pensieri per sfogare la sua rabbia e piangere il suo tormento. Lei sbatte i piedini nel vano tentativo di salvarsi. Agita le mani afferrando quelle braccia vigorose che le comprimono il petto. L’acqua fuoriesce dalla vasca, bagna le vesti dell’adulto che chiude gli occhi della
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bimba ormai privi di vita. Riprendo i sensi. Ho immaginato l’acqua in cui annegavo. Ho sognato il senso di asfissia. No! Non devo mentire a me stessa! Innanzi a me ancora la bimba. Io distesa, lei al mio fianco con le mani lungo la veste bianca ancora bagnata. I piedi a un palmo dal pavimento. “Mi vuoi bene?” “Sì” le rispondo con tutto il fiato che possiedo. “Mamma, allora perché mi hai uccisa?”.
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Filomena Cecere è scrittrice di fantasy, gotico e noir. I suoi scritti sono spesso il connubio tra quei generi letterari che tanto ama. Dal 2008, data in cui ha pubblicato il suo primo romanzo, si è immersa con passione nel mondo dell’editoria. Molte le pubblicazioni in soli quattro anni (quattro romanzi, tre short story e oltre venti racconti in altrettante antologie e istant book). È Vice Direttrice del marchio editoriale Nocturna e curatrice delle sezioni new gothic e horror. È consulente editoriale per la collana fantasy Spade d’inchiostro di Edizioni della Sera e collabora con noti magazine di genere. Collabora inoltre con Casini Editore al progetto Little Dreamers di Moony Witcher. Nel 2009 il suo racconto Alanis vince il primo premio nel concorso letterario nazionale Idee letterarie. Nel 2012 la sua storia fotografica Attraverso lo specchio conquista il secondo posto nel premio nazionale fotografico Visioni in giallo e la sua poesia Ninna nanna macabra merita il terzo posto al concorso Nero&giallolatino. Il suo sito è www.filomenacecere.it
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di Clara Raimondi
Se c’è un libro che non può mancare nella vo- ma soprattutto i meccanismi dell’editoria di stra libreria questo é sicuramente Il castigo successo. degli innocenti (377 pagg, 9.90 euro) arrivato alle stampe grazie a Newton Compton proprio questa estate. Ethan Cross non solo é riuscito a creare una vera propria saga, seguitissima negli States, ma soprattutto a bilanciare in modo perfetto horror e thriller, dosando accuratamente i due generi crea una storia che diventerà prestissimo un cult e chissà magari anche una pellicola. Gli elementi ci sono tutti: il killer psicopatico e soprattutto lui, il poliziotto dal passato difficile, sempre dalla parte dei più deboli. La novità é sta tutta nella cura maniacale, nel scelta degli elementi in campo ed anche in una buona dose di furbizia da parte dello scrittore che conosce non solo i gusti dei suoi lettori
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Paolo Di Orazio doveva essere l’altro ospite d’onore di questo speciale horror, purtroppo altri impegni l’hanno allontano da questa panchina, ma ce lo riprenderemo siatene certi. Ho conosciuto Di Orazio durante una presentazione a Giallolatino (trovate tutto sul sito) quando ci fece incontrare di persona la sua Vloody Mary e già la sua aurea si era impossessata di me. Non mi sono mai sentita così agitata durante un evento letterario e devo dire che questa sensazione perdura ogni volta che me lo trovo davanti. Che sia l’inventore dello splatternoir italiano, m’importa poco, quello che in cui riesce Di Orazio e che nessuno sa più veramente fare é mettere paura e il suo Chirupenia (Universitalia, 258 pagg, 14.50 euro) ne é una dimostrazione. Omicidi di massa, mutilazioni organo/genitali ed un protagonista che dovrà mettere fine al massacro, sono questi gli elementi di un libro che non ha nessuna paura di spingere la narrazione oltre i limiti consentiti. Non si tratta più scandalizzare quelli che ben pensano ma di fare, finalmente, sano e puro horror.
Come può mancare in una libreria horror che si rispetti un saggio sul cinema di genere? Oltretutto del maestro indiscusso, Dario Argento? Impossibile, direte voi ed é per questo che sono qui a consigliarvi un saggio da non perdere Dario Argento e L’uccello dalla piume di cristallo di Giovanni Modica ( Profondo Rosso, 288 pagg, 27 euro). Il critico cinematografico torna in libreria e questa volta la sua attenzione é tutta per il primo film del regista romano. Analisi del film, significati reconditi, notizie e aneddoti su Argento ed il suo lavoro, tutti contenuti in questo libro destinato sia agli appassionati che agli esperti del settore.
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Poe: racconti e poesie
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di Cristina Monteleone
Vi siete mai chiesti quale sia il vero confine tra i vostri sogni e la realtà? Soprattutto quando si fanno quei sogni che non sono esattamente come quelli raccontati nella famosa canzoncina dei topolini a Cenerentola, ma piuttosto quelli che ti svegliano sudati nel cuore della notte, con la tachicardia e l’angoscia di non sapere dove vi trovate e che cosa stia succedendo intorno a voi. E poi decido di prendere in mano i racconti e le poesie di E. Allan Poe, che avevo sì studiato al liceo, ma probabilmente solo il minimo indispensabile per l’interrogazione di turno, come la mia scarsa memoria mi ha confermato rileggendoli:
malattie in cui il corpo ha temporaneamente smesso di mostrare le sue funzioni vitali e, accostate ad una buona dose di incompetenza medica, diverse persone sono state sepolte reputandole morte in modo prematuro. Immaginiamo il conseguente terrore nel prendere coscienza e scoprire di essere rinchiusi in una bara, iniziare ad urlare nell’illusione che qual-
“Che importa se la speranza è finita In una notte o in un giorno, in una visione o in nessuna? Non per questo essa è meno finita. Tutto ciò che vediamo o sembriamo È solo un sogno in un sogno.” (“A dream within a dream”) La nostra vita potrebbe quindi essere soltanto un sogno dentro un sogno? Inizierò da un racconto, “Il seppellimento prematuro”, dove l’io-narrante di Poe ha una presenza importante: ci descrive casi di
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cuno ti senta e realizzare in breve tempo che non esiste la minima speranza che questo si possa avverare sotto gli innumerevoli metri di terra in cui ti trovi. Ora sì, sei morto davvero, inevitabilmente, fino a quando l’ossigeno a tua disposizione si esaurisce. Tale “esperienza” (passatemi il termine) ci è descritta da Poe anche in prima persona, la cui angoscia nel ritenerla possibile lo porta a creare un ingegnoso sistema di allarmi per scappare dalla sua tomba, che però purtroppo non funziona, ma lo straordinario udito dei passanti, insieme a circostanze favorevoli, lo dissotterrano dall’irreparabile fine. Sembra quasi non esistere una linea marcata tra il mondo dei morti e quello dei vivi, al contrario pare essere decisamente sottile: è l’inquietudine che i vivi possano trovarsi catapultati contro il loro volere tra i morti a prendere forma, un pensiero che ha attraversato la mente di tutti noi, e sicuramente anche più di una volta. Ma passiamo oltre, alla poesia “Il Corvo”: il dolore per la perdita della propria amata conducono l’io-narrante all’esasperazione, sapientemente espressa dall’unica e ripetuta risposta che il Corvo è in grado di dare: “Mai più”. Lo spettro di Leonora aleggia ancora nei miei ricordi, e “Mai più” tornerà tra i vivi, ma è possibile che io, vinto dalla mia infinita sofferenza, raggiunga presto Leonora nell’Eden? Ed il Corvo risponde “Mai più”, per quanto tu lo desideri, il tuo dolore non è abbastanza per
trascinarti nel mondo dei morti e ricongiungerti con la tua amata: “ E la luce della lampada ne riflette l’ombra sul pavimento, e la mia anima da quell’ombra che fluttua sul pavimento non si solleverà mai più, mai più!” Non solo perciò i vivi possono finire improvvisamente tra i morti, ma probabilmente qualcuno lo desidera anche. Ovvio, inconsciamente, altrimenti sarebbe troppo facile, e Freud avrebbe scritto libri a vuoto. Si dovrebbe allora pensare che i personaggi di Poe siano tutti pazzi, e che lo sia lui stesso, ma ciò non accade perché il contesto in cui sono situai è la realtà. L’angoscia e l’inquietudine ti colgono impreparato, e quando meno te lo aspetti colpiscono. Ed ecco che in un giorno come un altro il protagonista di “L’uomo della folla” è seduto in un caffè di Londra, quando la sua attenzione è completamente catturata da un uomo sospetto, che pare essersi smarrito, si guarda attorno e non sa dove andare, allora inizia a camminare tra la gente nelle strade ed il nostro personaggio esce dal caffè e lo segue perché gli è nato un ardente desiderio di scoprire chi sia e cosa nasconde. Camminano per ore, la stanchezza si fa sentire ma è nulla in confronto alla brama di sapere che aumenta sempre di più. Cala la notte e torna poi il giorno e l’inseguimento continua, la voglia di
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svelare il mistero di quest’uomo ha ormai raggiunto l’apice fino a quando il protagonista si rende conto di essere tornato davanti al caffè in cui tutto è iniziato: l’uomo allora si ferma, osserva la folla intorno come il giorno precedente e riprende il suo percorso, abbandonato dal suo inseguitore ormai rassegnato a non conoscere la verità. E’ dall’apparente tranquillità che nascono gli incubi, un minuscolo gesto quotidiano che a volte, supportato anche da un eccesso di razionalità, ci spinge in situazioni angoscianti che ci tormentano e non ci abbandonano. A questo punto vi ripropongo l’annosa domanda: qual è il vero confine tra i vostri sogni e la realtà? Secondo me, qualche dubbio lo avete anche voi. A cura di Cristina Monteleone
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Leggere al buio I miei horror preferiti
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di Cristiana Astori
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re e Il gatto nero sono la descrizione del senso di colpa e del rimorso che prende forma. Un autore che ha ripreso il filone del gotico psicologico di Poe è l’inglese Patrick McGrath. In particolare segnalo Follia in cui lo scrittore si mette nei panni dello psichiatra Prima di citare alcuni titoli di genere horror di un manicomio criminale vittoriano e ci deche hanno influenzato la mia scrittura non pos- scrive il delirio amoroso di una paziente, in so fare a meno di precisare che cos’è per me una narrazione piena di insidie e di malie, che l’orrore. ci confonde e ci sconcerta, trasformandoci da Il genere ha alla base le opere di due grandi maestri: Howard Philip Lovecraft e Edgar Allan Poe. Che lo si voglia o no, il loro approccio ha influenzato profondamente tutti gli autori a venire. I seguaci di Lovecraft si sono concentrati maggiormente sulla paura proveniente dall’ignoto e dal mostruoso, accentuando l’elemento fantasy e fantastico, quelli di Poe sull’aspetto psicologico del terrore. La dicotomia si riflette anche sulla definizione del genere: per i lovecraftiani l’horror non è horror se non contiene una componente soprannaturale, per i secondi tale componente non è fondamentale, anzi, l’animo umano può apparire più inquietante del più temibile dei mostri. Tra Lovecraft e Poe, tra Providence e Baltimora, io sto dalla parte di Baltimora. I libri che influenzano e hanno influenzato la mia scrittura sono in gran parte storie realistiche, in cui l’elemento fantastico è suggerito, ma non compare quasi mai. Per me la forza di una storia dell’orrore sta proprio in questo, nel non far vedere mai il mostro, e il suo potenziale da incubo cresce quando si scopre che l’orrore si lettori a vittime di quello che Cronenberg deannida nella mente e nell’animo umano. finisce il “dangerous method”, ovvero il me I racconti del terrore di Poe sono epi- todo analitico. L’originalità di McGrath, che grammatici: Berenice è semplicemente la sto- si ritrova anche nell’inquietante Port Mungo, ria di un uomo affetto da monomania, Il de- non sta soltanto nel raccontare storie piene di mone della perversità parla della vertigine e mistero e atmosfera, ma nel saper giocare con dell’estasi che si prova nel compiere il Male e il punto di vista, provocando effetti spiazzanti. che beffardamente si ritorce contro di noi fino Joyce Carol Oates, pluripremiata espoa portarci all’annientamento, Il cuore rivelato- nente del romanzo gotico americano, è forse
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l’autrice che ha influenzato maggiormente la mia scrittura. Il suo stile struggente e agghiacciante parte da un’atmosfera idilliaca e da fiaba per farti precipitare lentamente nell’incubo. Anche qui il soprannaturale non c’entra nulla: Acqua nera è un romanzo breve e fulmineo in cui la Oates descrive una sola notte, quella in cui il senatore Ted Kennedy finisce con l’auto in una palude e lascia morire la sua segretaria/ amante; una storia soffocante e crudele che è
una metafora del potere e del tradimento, raccontata in soggettiva dal punto di vista della ragazza che muore. Ragazze cattive (Foxfire) e La ballata di John Reddy heart, sempre della Oates, sono invece due storie di ribellione ambientate nella provincia americana anni Cinquanta. Nella prima si parla di un gruppo di ragazzine legate da un patto di sangue contro la società brutale
e che arriveranno a compiere gesti sempre più epici ed estremi per emanciparsene; il secondo racconta di John Reddy, ragazzo undicenne che arriva in provincia con la sua famiglia di freak, al volante di una Cadillac rosa salmone, e dopo aver ucciso l’amante della madre diventa una figura leggendaria. La bravura della Oates sta nell’attento scavo psicologico e nel saper unire lirismo e insieme ironia, mostrando non solo il cuore oscuro del sogno americano, ma attingendo alle paure e ai falsi miti di ognuno di noi. È scontato dirlo, ma senza Ray Bradbury e Stephen King non avrei mai scritto neanche una riga, non solo per l’ispirazione che mi hanno fornito a livello stilistico, ma anche per la loro sensibilità. Del primo mi piace ricordare Paese d’ottobre, una raccolta di racconti scritti con tinte inquietanti e malinconiche, e Il Popolo dell’autunno, in cui un bizzarro luna park si materializza in un paesino americano. Non a caso entrambe le storie sono ambientate a Halloween: la dimensione narrata da Bradbury è quella in cui i mostri, insieme alle nostre paure escono allo scoperto, e solo chi mantiene lo sguardo innocente di quand’era ragazzino riesce ad affrontarli e forse a sconfiggerli. Di Stephen King mi limito a citare It che mi ha appassionato alla scrittura, e Misery che mi ha insegnato quanto essa sia fondamentale per sopravvivere ai propri fantasmi, ma anche due piccoli capolavori contenuti nella raccolta A volte ritornano. L’ultimo piolo colpisce dritto al cuore senza essere melenso, un po’ come nel rock che le ballad più toccanti sono quelle scritte dai musicisti più duri. Risacca notturna è invece un racconto apocalittico, una specie di Ombra dello scorpione in miniatura; il contenuto è classico, ma il finale è una cartolina ingiallita dal tempo così suggestiva da mozzare il fiato. Jim Thompson è senza dubbio uno scrittore noir, ma chi vuole raccontare l’hor-
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ror non può prescindere da L’assassino che è in me e da Colpo di spugna. Anche qui come in Patrick McGrath è fondamentale l’uso del punto di vista; Thompson costruisce intorno al lettore una gabbia in cui l’ironia si fa poco a poco sempre più efferata fino a rivelare il cuore della Bestia. La stessa Bestia è quella che pervade le pagine di un libro introvabile, Figlia di Satana figlia di Dio, la sconcertante autobiografia di Susan Atkins, la ragazzina pallida che da piccola si distingueva alle lezioni di catechismo e che fu protagonista insieme a Charles Manson della morte di Sharon Tate. È a questo punto che i mostri “veri”, cioè quelli inventati, potrebbero quasi diventare rassicuranti... ma in ogni caso non accade. La mia storia preferita di vampiri è infatti la Bara di Richard Laymon, in cui uno scrittore scopre in una città fantasma il cadavere di una ragazza con un paletto piantato nel petto. L’intera vicenda è basata sul dilemma del protagonista, combattuto se togliergliele il paletto dal cuore e riportarla in vita, come lei lo prega di fare in sogno, e il terrore di compiere qualcosa di irrevocabile, in un ossessivo mescolarsi tra realtà e finzione. La bravura di Laymon non sta soltanto nel costruire scene spaventose – che comunque non mancano - ma nel descrivere il vampirismo per quello che è, un vivere da parassita succhiando il sangue e insieme la vita altrui. Concludo con il libro più spaventoso letto negli ultimi anni: Il bosco di Aus di Chiara Palazzolo, una fiaba nera e agghiacciante e anche una metafora dell’incurabile malattia che ha colpito l’autrice. La genialità della Palazzolo sta nel parlare di streghe senza quasi mai mostrarle per gran parte del romanzo... ma facendo in modo che si materializzino ugualmente, in un modo insinuante ed occulto, fin dalla prima pagina. Il lettore legge altre vicende, ma gli sembra quasi di sentirsele bisbiglia-
re accanto e quando le vede è ormai troppo tardi, ed è già diventato vittima della loro malia... Ecco le storie che preferisco, quelle in cui il Soprannaturale non è addomesticato o fine a se stesso, ma mantiene il potenziale catartico ed esplosivo per combattere contro i mostri del Reale. © Cristiana Astori, ottobre 2012
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Cristiana Astori, scrittrice e traduttrice. Il suo romanzo “Tutto quel nero” è uscito nell’ottobre 2011 per il Giallo Mondadori, a cui seguirà “Tutto quel rosso” nel dicembre 2012. Ha inoltre pubblicato racconti su varie antologie tra cui “Notturno alieno” (Bietti, 2011), “Eros & Thanatos” (SuperGiallo Mondadori, 2010), “La sete” (Coniglio, 2009), “Anime nere reloaded” (Mondadori, 2008) e l’ebook “Il buono, il bruto e la bionda” (Milano nera, 2012). Ha tradotto per Sonzogno, Urania e il Giallo Mondadori autori come Jeffery Deaver, Douglas Preston, Richard Stark, Kim Newman e il ciclo di Dexter di Jeff Lindsay che ha ispirato l’omonima serie tv. La sua antologia “Il Re dei topi e altre favole oscure” (Alacran, 2006) è il primo libro italiano a cui Joe R. Lansdale abbia dedicato una frase di lancio.
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Dexter
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di Claudio Turetta
---- Nota per chi non abbia ancora visto il telefilm, ma sia interessato alla lettura che alla visione dello stesso telefilm. Potrebbe esserci delle tracce di spoiler. Maneggiare questa recensione con cura ----Alla fine della prima avventura dove Dexter si è ritrovato a fronteggiare il fratello naturale, sua sorella ha scoperto il suo segreto mentre il detective La Guerta che pure aveva scoperto la vera natura ematologa si ritrova sei piedi sottoterra e di conseguenza la sorella di Dexter si ritrova, finalmente, a indagare alla omicidi di Miami. Di contro Dexter ha un nuovo amico nel detective Doakes che sospetta dell’ematologo e che abbia una doppia vita. E così Dexter che a fatica si trova a gestire la sua doppia vita, brillante ematologo, fratello affettuoso e innamorato della sua donna ma anche spietato e freddo serial killer di altri killer e maniaci, si ritrova in una situazione più
critica con Doakes che lo segue giorno e notte in attesa di un suo errore. Il problema è critico, poichè sebbene Dexter grazie agli insegnamenti del padre è riuscito a veicolare la sua voglia di uccidere, è comunque costretto a fronteggiare questo suo istinto quasi primordiale e a trattenerlo con molta difficoltà. All’improvviso però una nuova entità oscura si abbatte su Miami, un misterioso maniaco che si diverte a smembrare le sue vittime e lasciarne solo il busto e la testa e cauterizzandone le ferite. Ad aiutare la squadra omicidi, arriva da Washington Kyle Chutsky, misterioso super-poliziotto, il quale ha avuto (ma in seguito riprenderà) una relazione con Deborah Mor-
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gan, sorella di Dexter. Alla fine si scoprirà che il maniaco si chiama Dottor Danco e faceva parte di una squadra speciale insieme a Chutsky e Doakes, riuscirà Dexter a fermarlo? A differenza del primo romanzo, escono ed entrano nuovi personaggi e cambiano le dinamiche dei personaggi. Coma accenato prima, Dexter si trova a nascondersi maggiormente per sfuggire a Doakes che ha puntato gli occhi su di lui e attende che Dexter faccia la mossa sbagliata, perciò si trova costretto a immergersi di più nel suo travestimento di ematologo professionale al massimo, devoto amante della propria fidanzata, Rita, alla quale non dispiace che il suo compagno sia preso maggiormente da lei e Dexter a sua volta, non senza sorpresa, scopre che si trova a suo agio nelle vesti di compagno/amante e padre dei figli di Rita. Deborah che dava l’idea del classico maschiaccio intrappolato in un corpo di donna, troppo donna per il suo lavoro, mostra il suo lato femminile con l’entrata in scena di Chutsky. In poche parole ciò che viene definito nel primo libro, nel secondo viene un pò sparigliato, per dare un pò di movimento nell’universo di Dexter come avviene anche nella serie televisiva. Mentre lo stile del racconto in prima persona, la crudezza delle esecuzioni e dei particolari sono invariati come nel primo romanzo, infatti consiglio questo libro a chi ha uno stomaco forte. Non è accattivante come il primo ma comunque l’ho trovato una piacevole lettura. Voto 7 tazze Dexter il devoto di Jeff Lindsay, Mondadori, 250 pagine 9.50 EUR
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Un luogo incerto
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di Clara Raimondi
La penultima fatica letteraria della Vargas deve, per forza, trovare uno spazio in questo speciale dedicato all’horror. Nel 2008 esce, per Einaudi, Un luogo incerto, l’ennesimo giallo e l’ennesima avventura per Adamsberg, ma, questa volta, c’é qualcosa di più. Una svolta decisamente horror per la scrittrice che sembra essere stata contagiata dal morbo vampiresco per portare alle stampe una storia che mischia due tipologie d’indagine che si rincorrono senza soluzione di continuità. Un commissario in difficoltà che non fa nulla per essere simpatico al lettore e proprio per questo risulta così, disperatamente, irresistibile. Nel cimitero di Highgate a Londra vengono ritrovati 17 piedi e altrettante scarpe. Un incipit di grande effetto per un’indagine che da questo macabro rinvenimento si muoverà fino alla ricerca di Peter Plogojowits, un vampiro che avrebbe dato origine ad una stirpe maledetta. Admsberg, come accennato prima, si troverà ad affrontare il caso più difficile della sua carriera e questo non solo per lo svolgimento dell’indagine che non avrà nulla di convenzionale ma soprattutto perché questa si muoverà dritta verso la sua direzione, andando a concentrarsi su eventi, fatti e persone
della sua, ai più sconosciuta, vita privata. Questo é il mio primo romanzo targato Vargas e a quanti di voi obietteranno che non é proprio il libro giusto per iniziare a scoprire questa scrittrice, posso dire: avete ragione! Ma quando ho iniziato a leggere le prime pagine ho capito, non solo che era perfetto da inserire in questo speciale ma soprattutto che non avrei mai smesso di leggere Fred Vargas. Lo so, la forza della narrazione della scrittrice risiede tutta nella descrizione del protagonista e di tutti i membri del commissariato parigino, le indagini sono solo una scusa per concentrarsi sul microcosmo poliziesco che ruota e gravita intorno a Adamsberg. Un luogo incerto fa invece della trama il suo punto di forza: sceglie un tema complicato per un giallo, sposta i personaggi in un lungo e in largo attraverso l’Europa, riempie la storia di personaggi di cui, alla fine, perdiamo il conto.
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Eppure, nelle 392 pagine, c’é posto per tutti ed ogni personaggio trova la sua connotazione. Almeno per me che leggevo per la prima volta, sono parsi chiarissimi le dinamiche del commissariato ma anche l’intreccio, mai faticoso, dell’intero romanzo. Una scrittura é assolutamente coinvolgente, non c’é niente da dire e davvero ben studiata e capace di mostrare le straordinarie capacità della scrittrice. Un lavoro di documentazione davvero imponente che ripercorre il gusto del giallo storico. A tutti questi elementi va aggiunto l’elemento più classico del genere horror: l’apologia, lo sviluppo del mito di Dracula che viene trattato sempre con la massima scrupolosità, senza mai cadere nel già letto o visto. Un libro che mi ha tenuta incollata alle pagine che, in alcuni momenti, mi ha fatto tremare sotto le coperte. Fred Vargas si é guadagnata una lettrice in più e se il mio giudizio , strapositivo, parte dalla lettura di Un luogo incerto non posso non sperare in meglio per tutti gli altri romanzi della saga di Adamsberg. “Un luogo incerto” di Fred Vargas, Einaudi, 391 pagg, 13 euro
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Libri e stregoneria
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di Giuseppe Recchia
1485, diocesi di Brixen, in qualche fangoso angolo della Germania dell’epoca: l’anziano teologo domenicano Heinrich Kramer riceve da papa Innocenzo VIII la bolla Summis Desiderantes, che lo autorizza ad utilizzare il pugno di ferro contro le autorità locali. Da troppi anni i magnati della diocesi, secolari o ecclesiastici che fossero, si opponevano alla sua opera inquisitoriale, volta all’eliminazione di un nuovo tipo di eresia: la stregoneria. Bolla alla mano, Kramer conduce una spietata caccia alle streghe. L’anno dopo, insieme all’inquisitore Jacob Sprenger, pubblica il Malleus Maleficarum, con tanto di bolla papale come prefazione. Si tratta del più famoso manuale sulla lotta alla stregoneria ad uso degli inquisitori, opera seguita nei due secoli successivi da tanti simili. Vengono insomma scritti tanti manuali e contemporaneamente si sviluppa e si diffonde la stregoneria. È infatti nel XVI secolo che tutte le leggende, le superstizioni e i vecchi riti pagani ancora tanto cari alla gente di campagna confluiranno e daranno vita a qualcosa che prima non esisteva
affatto: il sabba, il volo notturno sulla scopa, il malocchio, il patto col diavolo, le pozioni, gli animali famigli... credenze diverse unite per identificare un nuovo nemico dopo la fine delle grandi eresie. Praticamente stregoneria e libri su come combatterla si sviluppano parallelamente. Sembrerebbe un parallelismo logico: c’è una minaccia e la chiesa si adopera per debellarla. Peccato però che le cose vadano esattamente al contrario: non sarà il genere letterario a nascere come risposta ad una minaccia, ma la minaccia a nascere “per colpa” dei libri. O meglio, di chi li scrive, naturalmente. È una storia parecchio lunga, iniziata con l’ascesa del cristianesimo. Siamo ancora in epoca romana quando la gente inizia a diventare cristiana, accorgendosi allo stesso tempo di non voler rinunciare a quelle rassicuranti preghiere alla dea dei campi, o al dio delle tempeste, o magari al dio dei mari che protegge i marinai. Meglio essere cristiani ma continuare a ingraziarsi gli antichi dei. Sopravvivono così per tutto il medioevo superstizioni e pratiche che vengono alla fine bollate come eretiche ma che
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mai vengono combattute fino in fondo. Ci sono ancora le grandi eresie e bisogna concentrarsi sul nemico più pericoloso. Sembra però che la chiesa non sappia stare senza qualcosa da combattere e grazie ai quali mostrarsi forte e unita. Sconfitti bogomili, catari, beghini e quant’altro, ora bisogna inventarsi un nuovo incubo. Gli inquisitori iniziano così a mischiare tutti gli antichi usi e costumi pagani, aggiungendoci una buona dose di satanismo e arrivando a creare un mostro: la strega (c’erano anche gli stregoni ma le donne erano bersagli più facili e la misoginia era imperante) sposa del diavolo, flagello dei villaggi e dei raccolti, portatrice di sventura, accompagnata da corvi, lupi e gatti neri. La gente iniziò a crederci, perché se una donna, magari vecchia e foruncolosa, abitava con un gatto nero e faceva strani intrugli con le erbe doveva essere per forza un demonio. Dimenticarono che le guaritrici e le levatrici
erano sempre esistite. Ma del resto la propaganda era fortissima. Nascono i primi trattati sull’argomento ma servono delle conferme. Iniziano allora i processi. Cosa confesseranno sotto tortura uomini e donne che effettivamente non hanno fatto niente? Naturalmente diranno quello che gli inquisitori abilmente gli suggeriranno di dire. Ecco trovata la conferma che cercavano. Ed ecco che vengono scritti nuovi trattati, più accurati e dettagliati. Si è venuto a creare un circolo vizioso (o virtuoso se sei un cacciatore di streghe del 1500): nuovi manuali, nuove informazioni da estorcere, nuovi particolari, altri manuali ancora... e così via. Nasce così la stregoneria come noi la conosciamo. E nasce così il Malleus Maleficarum, il capolavoro del genere, che aveva anche l’autorizzazione papale. Le streghe erano ufficialmente le eretiche dell’età moderna. Seguiranno tante
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altre opere: il “Tractatus de Haereticis et Sortilegiis” di Paolo Grillando, il “Demonolatreiae” di Nicholas Remy, i sei libri di Martin del Rio o anche il Compendium Maleficarum di Francesco Maria Guazzo, che per far presa sul pubblico sempre più affamato aggiunse anche una marea di illustrazioni sul sabba e gli altri rituali. Le streghe di Halloween, quelle di Salem e le tante altre fattucchiere di dozzine di racconti e romanzi, tornate molto di moda anche negli ultimi anni insieme a vampiri e licantropi, sono le streghe uscite da queste opere. Tutti i particolari, anche quelli che a prima vista possono sembrare più buffi e senza senso, sono opera della fantasia (malata?) di inquisitori di quattrocento anni fa. Si, perché se una donna usa una scopa per spostarsi state sicuri che il motivo è perverso e inquietante. Tedeschi, italiani, spagnoli e francesi, cattolici e protestanti si cimentano per due secoli in un
genere che avrà una assai triste diffusione. Anche attraverso le letture pubbliche l’influenza dei trattati di stregoneria si sentirà pesantemente sulla mentalità dei cristiani del dopo-Concilio di Trento. Il cristianesimo dimenticherà poco alla volta ma definitivamente i suoi trascorsi pagani; i vecchi culti della fertilità e della notte saranno banditi; la gente si voterà allo stuolo di santi e dogmi della Controriforma e le preghiere agli dei della natura diventeranno inutili. Chi si ostinerà ad attaccarsi alle radici magiche dell’Europa verrà perseguitato per più di due secoli, tacciato come nemico della società, marchiato come adoratore del diavolo. La chiesa aveva il suo nuovo nemico e la sua nuova crociata. Inutile dire che fu una crociata particolarmente sanguinosa.
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L’invasione degli scarafaggi
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di Clara Raimondi A volte la realtà supera la più terribile delle fantasie e parlare di mafia, soprattutto ai bambini, diventa difficile. Come spiegare l’orrore, il senso d’impotenza, le ragioni di un male inespugnabile? Anche il genere horror ha la sua buona dose di violenza e mistero ma stiamo parlando di qualcosa che si concretizza nella letteratura o nel cinema ed é fondamentalmente un mezzo per scacciare ed esorcizzare la realtà. La mafia e la sua organizzazione hanno superato, di gran lunga, la fantasia anche del più originale degli scrittori. E proprio facendo leva sulla fantasia e l’immaginazione e una buona dose di mutazioni orripilanti é nato L’invasione degli scarafaggi. Il libro di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, per BeccoGiallo (36 pagg, 15.00 euro) racconta la storia del paesino di Castelgallo e della strana mutazione che da un pò di tempo a questa parte sta colpendo tutti i suoi abitanti. Un morbo che si diffon-
de a macchia d’olio e che colpisce tutti quelli che si macchiano di crimini di varia natura e che parte sempre dalle persone che con il loro silenzio non fanno altro che favorire la diffusione del contagio. Alberto, un giovanotto del posto, si batterà per fermare l’epidemia e soprattutto farà comprendere ai suoi compaesani che il morbo si può e si deve combattere.
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Barba e capelli, servizio completo
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di Diego Rosato Ricordo un vecchio film con Totò che credo si intitolasse “Dov’è la libertà?” in cui il principe della risata impersona un barbiere che ha tagliato la gola all’amante della moglie (in realtà la faccenda era molto più complicata) e che, quando esce dal carcere, non riesce a lavorare perché tutti i suoi potenziali clienti hanno paura. Chissà se quelle persone avevano mai sentito parlare della storia (leggenda?) di Sweeney Todd. Nell’Inghilterra del Settecento del millennio scorso un losco e bieco individuo, con una sinistra risata metallica gestisce una bottega di barbiere. L’uomo, di nome Sweeney Todd, è in realtà un feroce serial killer, che non esita a liberarsi dei suoi clienti più facoltosi per impossessarsi dei loro averi. Tutto procede bene, finché un marinaio non entra nella sua bottega prima di recarsi da una giovane dama per consegnarle un pegno d’amore del suo fidanzato disperso in mare. Quel marinaio scomparirà nel nulla, ma i suoi compagni di navigazione non cesseranno di cercarlo, cercando l’aiuto della giovane innamorata, del cane dello scomparso e del garzone di Sweeney, che va un po’ troppo matto per i pasticci di carne della signora Lovett. Devo dire che la parte più interessante di questo libro è la post-fazione. Il testo ri-
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porta infatti in appendice la storia di Sweeney Todd, divisa tra mito e realtà. Se da un lato infatti non conosciamo l’autore di questo libro, dall’altro non è nemmeno certo che sia davvero esistito uno Sweeney Todd. Certamente il personaggio di questo libro ed il racconto popolare cui è ispirato parla di uno uomo gretto e meschino che uccide per soldi e non certo per vendetta, come ci racconta Tim Burton, ma di questo ve ne parlerà Clara. Il testo di per sé è vittima della sua età. Come ho altre volte scritto di classici del passato, soprattutto del genere giallo o horror, ho notato una certa ingenuità dell’autore che forse era abituato ad un pubblico meno smaliziato: oggi un lettore esperto fa veramente poca fatica ad anticipare gli sviluppi dell’intreccio narrativo. Insomma, Sweeney Todd è un lettura interessante, ma poco avvincente: a chi cerca suspence, consiglio di guardare altrove. Consiglio timidamente, invece, questo libro agli amanti della scrittura vittoriana, delle storie d’amore auliche e solenni all’inglese, più che agli horror/thriller-dipendenti.
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Fevre dream
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di Clara Raimondi
George R.R. Martin, ha scritto di vampiri? A e un nuovo, straordinario, modo di parlare di quanto pare sì e ne sono certi quei geniacci vampiri. della Bao Publishing che non contenti di scalare le classifiche dei libri più venduti danno alla stampe, curato da Daniel Abraham e illustrato da Rafa Lopez, Fevre Dream (256 pagg, 17.00 euro). Un romanzo del 1982 riproposto la scorsa primavera da Gargoyle con il titolo Il battello del delirio ( 398 pagg, 9.90 euro) e che adesso possiamo trovare in libreria in questo adattamento a fumetti. In un insolito, freddissimo inverno sul Mississippi si infrangono i sogni e il battello del capitano Abner Marsh. Quello che sembrava irrimediabilmente compromesso viene, invece, rilevato da un certo Joshua York. Uno straniero piovuto dal nulla che non solo ha tutta l’aria di investire, e parecchio anche, nella ricostruzione del battello ma che ben presto si rivelerà un personaggio tutt’altro che raccomandabile. Quella che sembra la soluzione di tutti i mali aprirà invece la via alle forze oscure che non aspettano altro che invadere quella sponda del fiume. Un capolavoro che vi farà riscoprire Martin
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Adam Frost
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L’atmosfera era sempre gioiosa nella città vecchia di Lucca durante il noto evento che, nel periodo dedicato a Halloween, attirava migliaia di visitatori. I cosplayer vagavano per il borgo antico in cerca di scatti fotografi. L’occasione per mettersi in mostra era sempre dietro l’angolo. Costumi, maschere e risate festose. Dolci Gothic Lolite e giovani donne vestite da eroine seminude che erano un vero piacere per la vista. Lo so sono il solito Don Giovanni, ma cosa posso farci? Anche l’occhio vuole la sua parte. L’appuntamento con il mio cliente era alle porte del Padiglione Games, vicino al chiosco dei panini. Come accadeva sempre mi avrebbe trovato il committente visto che le foto di quel giovane affascinante, quale sono io, sono pubbliche sul mio sito www.adamfrost.it. Una mano si posò sulla mia spalla sinistra. D’istinto l’afferrai con la destra, ruotai su me stesso trovandomi faccia a faccia con quello che credevo fosse un aggressore. L’uomo con lo sguardo meravigliato mi chiese “Il cacciatore Adam Frost?”. Cazzo! Che figura di merda. Aprii la mano con cui bloccavo il suo braccio e, tentando maldestramente di fare il disinvolto, mi passai una mano tra i capelli. “Al tuo servizio”. “Accogli sempre così i tuoi clienti?”. “Sono abituato a combattere con mostri di ogni genere. Devo essere sempre pronto ad attaccare per non morire per primo. Sono bastardo di nascita, mercenario di professione, scrittore per diletto, sciupa femmine per indole e stronzo per scelta”. “Bella presentazione!” sorrise divertito. “Tu, sai già chi sono io, te l’ho scritto nella mail”. “Massimo Apocrifo, lo scrittore perseguitato dalle sue stesse creature”. Ci allontanammo dalla folla di ragazzini che indossavano costumi manga, per poter discutere del caso. “In pratica vuoi che ti faccia da guardia del corpo” affermai. “È un problema?” chiese. “No. Pagamento in anticipo e in contanti”.
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Non giudicatemi, questo è lavoro mica un passatempo! Il buio era già calato sulla città quando la presentazione di “Lapide” ebbe inizio. Sul palco con Massimo c’era un certo Ennio Blu che lo riempiva di domande e alle loro spalle alcuni figuranti abbigliati come i personaggi dell’ultimo best seller dell’autore. Trucchi e costumi raccapriccianti. Mi spaventavano più degli esseri con cui combattevo. La sala era gremita di fans tenuti a bada da servizio d’ordine efficiente. Dopo un’ora la presentazione era quasi giunta al termine. Quante stronzate raccontano questi narratori. Solo io, che gonfio il portafoglio grazie a quegli ingaggi che nessuno vorrebbe, conosco la verità. Sono un cacciatore di creature della notte, di mostri spietati spinti dall’istinto di sopravvivenza, di esseri nati dalle viscere dell’inferno. Eccheccazzo! Mi ero distratto un attimo, travolto dai ricordi delle mie tante avventure, quando vidi uno dei cosplayer avvicinarsi con sguardo minaccioso allo scrittore, mentre questo si beava degli applausi del suo pubblico. Fingeva di afferrarlo per puro divertimento scenico oppure stava per assaggiare realmente la carne poco tenera di un romanziere? Abiti consunti. Pelle secca e corrosa. Troppo perfetto per essere un costume. Quello non era un figurante, ma una delle creature che Massimo Apocrifo temeva tanto. Un parto della sua stessa mente. Saltai in piedi. Due balzi ed ero sul palco. Un calcio alla poltrona dove era seduto Massimo. Lo scrittore cadde atterrando su una pila dei suoi libri. Ennio Blu si alzò prima che potessi salvare anche lui da un eventuale attacco e imprecò per quel fuori programma poco consono. L’assalitore fuggì. Inseguii quel figlio di puttana fuori le mura della città vecchia, fino al Cimitero Urbano di Sant’Anna. A quell’ora il cancello era ovviamente chiuso. Lui si era arrampicato e aveva saltato oltre le sbarre con estrema agilità. Io invece avevo sempre con me qualche piccolo attrezzo da scasso. Sì, lo so. I miei metodi non sono sempre convenzionali. Ma cazzo se funzionano. Entrai. Lapidi e pareti in cui alloggiavano i trapassati. Quel luogo m’inquietava
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anche se ero abituato a certe atmosfere lugubri. I morti mi piacevano ben chiusi nelle loro bare. Ma a volte questi decidevano di portare a spasso le loro quattr’ossa con qualche lembo di pelle ancora attaccata, come il quartetto di zombi, nascosto nel buio di un angolo, che si divideva le carni di un animale macellato. O almeno era quello che speravo. Oppure preferivano custodire i corpi e mostrare solo le loro anime affrante come quegli spettri che mi osservavano inquieti. Loro sapevano che potevo vederli. Finalmente quel bastardo si era fermato. Una lastra di marmo era stata staccata e riposta a terra. L’uomo ritratto nella foto somigliava alla creatura che avevo davanti, ma mi ricordava anche qualcun altro. Lessi il nome. Non ci voleva un genio per fare due più due. “Volevi tornare nel tuo buco schifoso, vero? Ma non prima di averti dato la morte definitiva” dissi sogghignando. Cazzo, pompavo adrenalina come in balia di un orgasmo. Ero a pochi passi da lui. L’odore che emanava era fetido. Vermi e mosche si nutrivano dei tanti brandelli della sua pelle. Dalle lesioni profonde fuoriusciva sangue denso e nero come petrolio. Sui vestiti logori erano rimaste incollate, come su carta moschicida, alcune unghie e ciocche di capelli imbrattati. Estrassi lentamente il macete nascosto sotto la giacca, ma lui come un cane furioso balzò in avanti e mi graffiò sul viso con le due unghie ancora attaccate alle dita. Ma pagò cara quella mossa avventata perché con un taglio netto recisi la sua mano. Il sangue condensato scendeva, formando una ragnatela di filamenti gelatinosi. Urlò per il dolore. Non fate domande idiote, il termine morti viventi avrà pure un significato intrinseco, vi pare? La follia traspariva dai suoi occhi. Mi saltò addosso come una furia. Caddi a terra sotto il suo peso. Dalla sua bocca cadeva sul mio viso bava e denti ormai marci. L’alito uccideva più della sua forza. Quando il suo volto fu abbastanza vicino al mio sollevai il braccio e infilai la lama nella sua tempia tenera come il burro. Penetrò nei bulbi oculari e fuoriuscì dall’estremità opposta. Vomitò una mistura di bile e cibo decomposto sulla mia maglietta che, cazzo, mi era costata quasi duecento euro.
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Lo spinsi lontano da me e diedi fuoco al suo corpo guardandolo bruciare. “Maledetto Frost! Hai rovinato il mio piano”. “Ennio Blu. Hai riesumato tuo fratello. Ma perché scagliarlo contro Massimo?”. L’uomo mi puntava contro una pistola. Avevo scoperto il suo segreto. Non mi avrebbe lasciato vivere. “Perché quello stronzo ha fama e successo, ma sono io che scrivo i suoi romanzi. Un ghostwriter sotto pagato e senza riconoscimenti. Pensavo che risvegliando le creature si sarebbe spaventato, avrebbe dichiarato finalmente la verità e lasciato la gloria a me. L’unico che la meritava davvero. E invece ha ingaggiato te, pagandoti più di quanto mi concede per un romanzo”. Mi guardò con disprezzo. “Avanti voltati. Farai compagnia a mio fratello”. Finsi di girarmi, ma sollevai una gamba e gli sferrai un calcio in pieno petto. Vacillò lasciando cadere a terra la pistola che rapidamente raccolsi. Ma lui era già pronto a lanciarmi un pugnale. Quel coglione aveva già preso la mira. Non ebbi scelta e gli sparai al centro della fronte con la sua stessa arma. Il giorno seguente la città era ancora in festa. Il mio compito era terminato. Potevo ripartire. “Grazie” disse Massimo. “Basta con i ghostwriters, ma se proprio non puoi evitarli allora scegline uno meno folle. Occhi aperti e chiamami se avrai di nuovo bisogno di me”. “Contaci”. Salii sulla mia Pupa, la vecchia e insostituibile Mercedes Pagoda SL 2800 blu, dove mi attendeva la giovane eroina seminuda. In fondo il lavoro era finito e una distrazione potevo anche concedermela.
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Adam Frost si definisce “bastardo di nascita, mercenario di professione, scrittore per diletto, sciupa femmine per indole e stronzo per scelta”. Con altri nomi ha firmato diversi romanzi e molti racconti, ma con lo pseudonimo di Adam Frost scrive pagine di un diario che hanno come protagonista l’investigatore dell’occulto, cacciatore ed esorcista che porta il suo stesso nome.
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Frankenweenie
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di Clara Raimondi
Raccontare Halloween, scrivere sullo Speciale Horror ... praticamente impossibile farlo senza citare Tim Burton e dopo l’articolo del nostro Diego Rosato torniamo a parlare del regista inglese e del suo film, prossimo all’uscita (gennaio 2013), Frankenweenie. So già che parecchi di voi, Readers, sono in trepidante attesa per quella che sarà l’ennesima rilettura di un classico alla Burton. Così dopo il capolavoro di Carroll tocca ad un classico del genere horror: Frankenstein della Shelley che il regista aveva già affrontato in un corto del 1984 e che ora rivivrà in questa adattamento in stop motion/3D che nessun appassionato potrà perdere.
La storia é quella di un’amicizia ma anche delle straordinarie capacità di Victor e di Sparky, il cane che farà rivivere il giovane dottor Frankenstein. Ma come vuole la tradizione Burtiana non c’é storia senza un incompreso e non c’é incompreso che non abbia problemi con la società a cui appartiene e Victor dovrà pian, piano guadagnarsi il rispetto di tutti. Un ritorno al passato in piena regola dalla scelta dei rimandi letterari, al ritorno del più classico dei personaggi ideati dal regista e la realizzazione di un progetto dopo quasi trent’anni d’attesa.
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