ANTEPRIMA Edizione 2014
www.ravennafestival.org
25 ANNI DI MUSICA E CULTURE
IL TEMA LA TRAGEDIA DELLA GRANDE GUERRA CHE DIEDE VITA AL SECOLO BREVE Ascoltare dal vivo Like a rolling stone suonata da Bob Dylan e Walk on the wilde side di Lou Reed, vedere sul podio Abbado e Boulez, Kleiber e Metha, vivere le dodici ore de I demoni di Dostoevskij per la regia di Peter Stein, sono solo una manciata dei tantissimi i momenti di grande musica e delle molteplici suggestioni culturali che sono entrati a far parte della memoria collettiva della città e del pubblico lungo i 25 anni di storia del Ravenna Festival. Molto sono stati i luoghi inediti o abbandonati restituiti alla città: i vecchi magazzini dello zolfo trasformati in centro culturale Almagià, la Rocca Brancaleone, che a suo tempo era stata era stata un tempio della la lirica, il Pala De André che alternava le vittorie del Messaggero di Timmons e Kiraly ai primi concerti, ancora con una acustica molto problematica. E ancora San Nicolò, oggi diventato museo, fino al più recente Tiro a segno. Nato quasi per sfida dalla visionaria risolutezza di Cristina Mazzavillani e reso subito internazionale grazie al sostegno del maestro Riccardo Muti il Ravenna Festival è cresciuto negli anni con il lavoro di Mario Salvagiani prima, poi di Franco Masotti, Angelo Nicastro, Antonio De Rosa e molti altri che hanno por-
tato avanti questa non facile impresa culturale, con un notevole gioco di squadra. Da quel primo concerto del 1 luglio 1990 molte cose sono cambiate nella città del festival. All’epoca c’era la grande chimica di Raul Gardini, Pierpaolo D’Attore sarebbe stato eletto sindaco dopo poco, mentre Fabrizio Matteucci era un giovane segretario della federazione del Pci e Alberto Cassani, che oggi guida la sfida di Ravenna a Capitale della Cultura, era appena diventato animatore del Circolo Gramsci. L’assessore alla Cultura Ouidad Bakkali invece aveva appena tre anni, ed era da poco arrivata in Italia da Agadir, in Marocco, per raggiungere il padre, operaio all’Enichem. Oggi Ravenna è forse meno ricca dal punto di vista economico. Le ambizioni di Raul sono poco più che un ricordo, ma la cultura è sicuramente molto più vitale di quanto lo sia sia mai stata. Sono cresciute nuove generazioni di musicisti, di cantanti, di attori, che da venticinque anni, ogni estate, hanno avuto una certezza con cui confrontarsi, un momento in cui assistere a spettacoli di altissimo livello e anche un’orizzonte non provinciale in cui cimentarsi come operatori della cultura. Matteo Cavezzali
«Là sono rimasti tutti i morti senza nome, alla maggior parte dei quali piaceva la vita» scrive Ernest Hemingway al ritorno dal fronte italiano. La prima guerra mondiale è stata forse soprattutto questo. Moltissimi morti senza nome. Morti di freddo sui monti innevati, morti affogati nel fango delle trincee, morti di stanchezza e di fame nelle case spogliate di padri e mariti, morti ragazzini trafitti da baionette per mano dei propri coetanei, morti fucilati da connazionali per aver disertato. Morti senza nome celebrati dai loro assassini in monumenti a militi ignoti. Carlo Emilio Gadda, che perse un fratello aviatore, raccontò con queste parole il lutto della madre trasfigurata in uno personaggi de La cognizione del dolore: «Le avevano precisato il nome, crudele e nero, del monte: dove era caduto: e l’altro, desolatamente sereno, della terra dove l’avevano portato». È passato un secolo da quella tragedia che non ebbe nemmeno il merito di insegnare qualcosa alla storia, che si ripeté senza che fosse passata nemmeno una generazione. Moltissime opere letterarie, musicali e teatrali raccontarono «una generazione la quale, anche se sfuggì alle granate, venne distrutta dalla guerra» come scrive nell’incipit di Niente di nuovo sul fronte occidentale Erich Maria Remarque, che visse il conflitto dall’altra parte delle barricate, ma con l’identica percezione di aver guardato in fondo ad un abisso inumano. Quello che diede vita secondo lo storico Hobsbawm al “secolo breve” che si chiude con la fine di un’altra guerra, quella della ex Jugoslavia, a Sarajevo nel 1991. Il Ravenna Festival ricorda quella guerra con il titolo 1914: l'anno che ha cambiato il mondo e proponendo una serie di eventi e concerti tematici, da Riccardo Muti a Moni Ovadia da Elena Bucci a Ute Lemper e non solo. La città di Ravenna, oltre ad aver mandato a morire centinaia di giovani al fronte, in primis i dissidenti anarchici, repubblicani e socialisti protagonisti delle rivolte della Settimana Rossa, ha inoltre il triste primato di aver dato alla Grande Guerra una delle prime vittime il 24 maggio 1915 durante il primo attacco degli austriaci quando un cacciatorpediniere bombardò Porto Corsini togliendo la vita a Natale Zen. (ma. ca.)