Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
CASA PREMIUM .
n. 96 MARZO 2015
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n.96 MARZO 2015
ALL’INTERNO
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CASA BELLA CASA
ARCHITETTURA, ARREDAMENTO
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TOPOGRAFIA E STORIA
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STUDI E RICERCHE
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PRESOTTO design for life
contenuti
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casa bella casa
topografia e storia
città e quartieri
grand tour
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arte e simboli
città e società
abitare l’habitat
Tra modernità e intimità la “House C” a Imola di pinoni+lazzarini di Paolo Bolzani
Due torri portuali: dalla secentesca torraccia al simbolo di Marinara di Pietro Barberini
Piazza Caduti, snodo centrale come le pagine di un libro storia di Chiara Bissi
Viaggio fra i viaggi di turisti d’eccezione a Ravenna, fra ‘800 e ‘900 di Alberto Giorgio Cassani
La Colonna dei Francesi: un singolare monumento, fra oblio e memoria di Serena Simoni
Castiglione di Ravenna, molecola del mondo grazie a un gruppo di donne di Marina Mannucci
Costruire sostenibile, abitare consapevole, materia prima inesauribile di Marco Turchetti
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Idea Casa 16 . Agenzia Romagna 13 . Offerte Immobiliari 25 . Studio Effe . Maris 26 . Curci . Futura 27 . Mazzini Casa 35 . Solo Affitti . Eurocasa 36 . Scor . Happy Home 37 . Russi Casa . Mondo Casa 38 . Siva . Case d’Autore 39 . Savorani&Co 49 .
fotografie marzo 2015
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edizione di Ravenna
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Terzo appuntamento del ciclo di conferenze “SE DICI ARCHITETTURA” il 23 aprile nella “sede d’autore” di Edilpiù Realizzata nel 1993 dallo studio milanese Lamberto Rossi Associati, la sede di Edilpiù a Lugo è ancora ampiamente all’avanguardia, modello virtuoso di una concezione innovativa di fare impresa. Il progetto della sede e dello show room è stato esposto nel Padiglione Italia della 13° Mostra Internazionale di Architettura – Biennale di Venezia, tra i progetti Made in Italy ritenuti meritevoli e simboli di una sintesi felice tra fare impresa e visione del mondo. Controcopertina Il progetto della “House C” di Imola (firmato pinoni+lazzarini) nasce dalla volontà di introdurre la luce naturale dal centro della casa, obiettivo raggiunto mediante il suo svuotamento mediante un cavedio quasi completamente vetrato, che minimizza la necessità di aperture verso l’esterno e consegna ai proprietari una micro casa-patio, dotata di una grande privacy verso l’esterno e di reciproche trasparenze all’interno.
Edilpiù è un’azienda punto di riferimento nel campo della distribuzione qualificata dei serramenti sul teriitorio compreso tra Bologna e la costa romagnola. La sua particolare struttura organizzativa ne fa una realtà unica nel suo genere, specializzata parallelamente nel commercio, nello studio, nella progettazione e nella posa di serramenti e infissi, con grande attenzione alle nuove tendenze, alle nuove tecnologie e ai nuovi prodotti presenti sul mercato.
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Enrico Gaudenzi, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Guido Sani, Serena Simoni. Restyling grafico: Gianluca Achilli Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Pietro Barberini, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani, Maurizio Montanari. Redazione: tel. 0544.271068 - redazione@trovacasa.ra.it
Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi
Via Piratello, 58/2 48022 – Lugo (RA) Tel. +39 0545 27222 edilpiu@edilpiu.eu
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Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it
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CASA BELLA CASA
Tra modernità e intimità:
la “House C” di pinoni+lazzarini a Imola
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Lo stupito spaesamento di una villa moderna nel quartiere che collega centro e autodromo Dino Ferrari
di Paolo Bolzani
Imola, periferia sudest della città, nei dintorni del “grattacielo” e della casa del pittore futurista Mario Guido Dal Monte (Imola,1906-1990). Passeggiando lungo i viali alberati di questo quartiere che collega il centro storico all’autodromo Dino Ferrari non riusciremmo certo a vedere questa House C, progettata da pinoni+lazzarini, vale a dire i giovani architetti Umberto Pinoni e Paolo Lazzarini con studio a Faenza. La casa infatti si trova circondata da caseggiati d’altezza in genere maggiore, al centro di un isolato di prima periferia cui si perviene per un corsello che ha origine dal viale alberato. Esito elegante della radicale ristrutturazione di una classica casa anni Cinquanta in muratura portante – con corollario di un piano fuori terra e tetto a padiglione - il fabbricato nasce per volere della padrona di casa, che decide di sfruttare un frustolo interno all’isolato, un lotto di terreno molto vincolato dalle preesistenze, per costruire l’abitazione della
Esito elegante della radicale ristrutturazione di una classica casa anni ‘50, la villa si trova nei dintorni del “grattacielo” di Imola e della casa del pittore futurista Mario Guido Dal Monte marzo 2015
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CASA BELLA CASA
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Motore della realizzazione è la padrona di casa, la “signora delle orchidee”, che decide di sfruttare un frustolo di terreno interno all’isolato per costruire l’abitazione della propria famiglia, costituita dalla coppia di genitori con una giovane figlia
propria famiglia, costituita dalla coppia di genitori con una giovane figlia. L’area di sedime viene dunque rideclinata da un volume intonacato, cui si somma una parte sporgente al primo e al secondo piano, derivante dall’applicazione riuscita dalle rigide prescrizioni dei regolamenti comunali ed enfatizzata dalla parete ventilata rivestita in zinco-titanio. Il progetto nasce dalla volontà di introdurre la luce naturale dal centro della casa, obiettivo raggiunto mediante il suo svuotamento mediante un cavedio quasi completamente vetrato, che minimizza la
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CASA BELLA CASA
Alcuni scorci degli interni della “House C� con le ampie articolate finestrature in gioco di luminosi rispecchiamenti
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CASA BELLA CASA
Il progetto nasce dalla volontà di introdurre la luce naturale dal centro della casa, obiettivo raggiunto con il suo svuotamento mediante un cavedio quasi completamente vetrato, che minimizza la necessità di aperture verso l’esterno e consegna ai proprietari una micro casa-patio, dotata di una grande privacy verso l’esterno e di reciproche trasparenze all’interno.
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necessità di aperture verso l’esterno e consegna ai proprietari una micro casa-patio, dotata di una grande privacy verso l’esterno e di reciproche trasparenze all’interno. Le forme architettoniche derivano da un codice linguistico contemporaneo di matrice razionalista, che i giovani progettisti dimostrano di aver meditato nella sedimentazione di segni ormai classici, come il tetto a terrazza, le finestre nastro – oscurate da vari tipi di tendaggi, interni o esterni e con diverse pesi e tessiture - e gli ampliamenti in aggetto, e che sul piano costruttivo si concretizza in una struttura in setti in cemento armato con alcuni pilastri in acciaio e solai in latero-cemento. Sia nel trattamento plastico delle facciate che negli spazi osmotici interni si legge l’urgenza compositiva di legare i volumi attraverso ambienti interconnessi o forme in sequenza, lavorando con «pochi elementi e materiali che
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Casa Casella - Imola (BO) - Arch.Umberto Pinoni
Rivestimenti metallici per l’architettura
Immagini dell’area living, con le isole del soggiorno e della cucina, tutte caratterizzate cromaticamente nei toni del bianco/grigio/nero
STEEL POOL CANTIERI SRL - FORLì www.steelpoolcantieri.it
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CASA BELLA CASA
caratterizzano gli intimi spazi in una ricerca architettonica minuziosa ed attenta» come argomentano i progettisti. L’ingresso viene segnalato da una tettoia e da qui ha inizio l’androne che porterà al cavedio centrale, in realtà un vano scoperto cielo-terra, già pronto a trasformarsi in un piccolo patio su cui si affacciano gli ambienti principali della casa. Quindi si accede all’ingresso, da cui parte il vano scala, collocato a nord per lasciare
la migliore esposizione e soleggiamento ai locali interni abitativi, mentre in pianta definisce una tripartizione e così facendo evoca l’impianto tradizionale planimetrico di una villa quasi quadrata. Fin dai primi passi all’interno sono subito esposti i temi cromatici, con una gamma limitata alla triade bianco/grigio/nero, che nei pavimenti sceglie la modernità della resina e si accende con moderazione nei toni dei bagni. Al piano terra si colloca il
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garage, posto per ragioni logistiche nell’angolo sud-est, di fronte al corsello d’ingresso. Nel versante orientale si allunga la palestra, uno spazio speciale per l’occasione omaggiato da una vetrata affacciata per oltre sette metri sul giardino, che rivela una delle caratteristiche salutiste della famiglia, energizzate dal tono cachi del bagno. Saliamo le scale, realizzate con pilastri metallici rivestiti in lamiera di ferro non trattato e gradini a sbalzo in lamiera stirata e forata. Lo sbarco al primo piano è già un anticipo del living, omaggiato da una serie di bianche orchidee, “firma” della padrona di casa, una committente particolarmente attenta e presente in tutte le fasi della realizzazione della casa stessa. Davanti a noi, oltre la ve-
A sinistra in alto: inquadrature dei servizi. A sinistra, in basso: il grande salone. Sotto: il cavedio
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CASA BELLA CASA
trata e il cavedio, compaiono le basi sospese della cucina, rivestita in grés grigio chiaro e con i fuochi ad induzione a rendere l’effetto più moderno e rarefatto. A sinistra troveremo la camera da letto dei genitori, con bagno annesso, viceversa a destra si dispone la zona giorno, articolata da un grande mobile di ferro stirato non trattato che la suddivide in sottospazi, e così, come sostengono i progettisti, «il design d’interni diventa materia architettonica plasmata per le esigenze di trasparenza, funzionalità e caratterizzazione degli ambienti». Quasi per un processo di sottrazione hanno origine il pranzo, la cucina, uno studiolo e il salotto, in cui ritroveremo le orchidee, questa volta nella nicchia portalegna a fianco del camino. Proseguendo al secondo e ultimo piano si accede alla grande camera della figlia, affacciata sia verso l’esterno sia sul cavedio, cinto per due lati dal terrazzo, vero ampliamento della zona living, omaggiato dal bambù che già avevamo visto, come in un processo circolare, nel giardino.
> Crediti • • • • • • • • • • •
La piccola palestra affacciata sul giardino della villa
Progettazione e direzione lavori: pinoni+lazzarini (arch. Umberto Pinoni e arch Paolo Lazzarini) Progetto strutturale:: Ing. Gianpaolo Samorì Progetto impianti: Ing. Roberto Landi Opere edili: Safer Srl Opere idrauliche: Trebbi idroimpianti srl Rivestimento metallico: Steel pool cantieri Fabbro: Fabio Visani Infissi esterni: Edilpiù (Finstral-Normstahl-Silvelox) Grande mobile di ferro a fianco della cucina sospesa costruito dalle Officine 11 di Russi Oscuranti delle aperture finestrate installate dall’azienda Mengozzi e Mazzoni di Faenza
pinoni+lazzarini architects Lo studio di architettura con attuale sede a Faenza, è stato fondato nel 2010 dai giovani professionisti Umberto Pinoni e Paolo Lazzarini.
Umberto Jacopo Maria Pinoni nasce a Milano nel 1983. Dopo aver concluso gli studi presso l’Università di Bologna con una tesi dal titolo “Paradigmi urbani: la città come archeologia dell’architettura” redatta durante un periodo di tirocinio presso lo studio Peter Eisenman Architects, si sposta in Irlanda, nella città di Dublino dove prende parte alla progettazione di alcuni lavori presso studi locali senza interrompere la collaborazione con lo studio modenese ACZ. Al suo rientro fonda lo studio pinoni+lazzarini a Faenza.
Paolo Lazzarini nasce a Faenza nel 1983. Svolge i propri studi presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Bologna, laureandosi con una tesi in composizione architettonica “Nuovo complesso integrato nell’ambito della stazione di Bologna centrale: riqualificazione di piazzale ovest”, grazie alla quale partecipa, nel gruppo Stefano Boeri, Metrogramma ed ACZ, al concorso della “Stazione alta velocità di Bologna”. Collabora poi con importanti studi milanesi quali Corvino+Multari, Antonio Citterio - Patricia Viel and partners. Al suo rientro fonda lo studio pinoni+lazzarini a Faenza. Lo studio si occupa di progettazione architettonica ed interior design integrato di edifici residenziali e per uffici. A questi si aggiunge l’attenzione per il retail ed ogni ambito che necessiti di sensibilità architettonica. La ricerca progettuale coinvolge poi nello specifico anche il campo del custom design, portando alla realizzazione di arredi e complementi che sinergicamente dialoghino con lo spazio. Lo studio affronta con cura ogni ambito della progettazione, partendo dal livello paesaggistico, passando per quello architettonico fino all’attenta definizione degli spazi interni e dettagli costruttivi. Un’attività che ha sempre accompagnato il lavoro è quella di ricerca e partecipazione a concorsi, coinvolgendo anche collaboratori esterni, studenti ed esperti di altre discipline, nella continua ricerca di crescita professionale e culturale. Sito web: www.pinonilazzarini.com
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di Fabio Visani
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CENTRO/S. BIAGIO
SAN ROCCO/GALLERY
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Ravenna, via degli Spreti, 71 . tel. 0544 501515 . cell. 338.3680378 agenziaromagna@alice.it RAVENNA, CENTRO STORICO (VICINO AL TEATRO)
In zona molto apprezzata, casa importante, recentemente costruita con finiture ricercate, unica e particolare per il salone di oltre 70 mq, molto luminoso con ampie vetrate su corte interna, la sala da pranzo e la cucina con accesso a terrazza estremamente riservata. Zona notte con 4 camere da letto matrim. e 2 bagni. Studio, lavanderia e cantina. Garage per 2 auto. "E" 135,11. Info in ufficio
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Bellissimo palazzotto restaurato mantenendo le caratteristiche estetiche esterne immutate, suddiviso in 3 unità abitative autonome. Al piano terra troviamo 2 appartamenti di circa 100 mq ciascuno al grezzo avanzato, mentre al rimo piano si sviluppa uno splendido appartamento composto da salone con camino, cucina/pranzo con dispensa, disimpegno, 3 camere da letto (una matrimoniale e due doppie), duebagni. Il solaio con travi, travicelli e tavelle rende gli ambienti accoglienti e molto luminosi. In corpo staccato un fabbricato di servizio. Info in ufficio. Prezzo interessante.
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TOPOGRAFIA E STORIA
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Due torri portuali La secentesca torraccia a guardia dell’interrato canale Panfilio e la contemporanea torre di “Marinara” a Marina di Ravenna
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TOPOGRAFIA E STORIA
di Pietro Barberini
Scavato nel 1652, il lungo canale Panfilio, la cui darsena fronteggiava l’omonima porta cittadina, aveva l’imboccatura a scirocco di Ravenna, molto lontana e isolata. Questo luogo, denominato nuovo Porto Candiano, era protetto da “palade”, ma privo di qualsiasi elemento di difesa e d’avvistamento. Si rese necessario costruire una nuova torre al posto di quella precedente denominata “Gaetana”, che in meno di mezzo secolo era stata sopravanzata dal continuo protrarsi della linea di costa. Tale opera fu promossa dal Cardinale Legato Savelli che ne affidò il progetto al perito Pietro Azzoni nel 1667.
Nelle pagine di apertura la classica immagine della torre con il pino. Purtroppo nell’estate 2014 un fulmine ha colpito l’albero con irreparabili conseguenze. Questa potrebbe essere una delle ultime foto di un angolo “classico” della campagna ravennate verso il mare. La torre portuale sul basso orizzonte dei coltivi è un manufatto appartenuto fino al 26 settembre 2007 alla famiglia Cavalli. In quella data la torre è stata incorporata, con rogito notarile, nell’azienda di proprietà della Cooperativa Agricola Ter.Ra. che è impegnata a tutelarne e valorizzarne la presenza. Si ringraziano il direttore generale, Alfredo Ancarani e il direttore tecnico, Marcello Sanzani per la gentile disponibilità e cortesia A destra, al centro, articolare di una “bocca da fuoco” per archibugieri nel lato della torraccia Qui a fianco la “Fabbrica Vecchia” e il “Marchesato” a Marina di Ravenna (da sinistra a destra)
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TOPOGRAFIA E STORIA
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Due anni dopo, alla fine dei lavori, alla sinistra della bocca portuale, troneggiava la bella torre alta 13 metri e larga alla base 13,20 metri come scrive il Bernicoli. Con un “breve” di Papa Clemente X del 5 dicembre 1671 ne ebbe l’investitura la famiglia Cavalli che ottenne in cambio dazi e regalie sui traffici portuali, oltre al titolo nobiliare di “Marchesi”. La costruzione ospitava una piccola guarnigione di fanti e cavalieri per vigilare sul litorale: la sua posizione sopraelevata consentiva di effettuare segnalazioni con bandiere e, di notte, con fuochi. Il completamento della diversione del Ronco e del Montone e l’escavo del nuovo corso dei Fiumi Uniti, taglieranno l’idrovia, impedendo completamente l’attività portuale. La torre viene abbandonata e il porto Candiano s’interrisce rapidamente, la linea di riva viene rimodellata dalla nuova cuspide fociale che cancella tutti i segni della portualità tranne la torre dei Cavalli che resiste agli insulti del tempo. Le cronache ottocentesche la descrivono «mozza e solitaria, in misere condizioni fra la pineta e praterie abbandonate». Nel 1745 viene inaugurato il nuovo Naviglio, che collega il Porto della Fossina ribattezzato Porto Corsini con la darsena sotto le mura orientali della città. Ogni attività portuale viene trasferita nel punto dove le due grandi lagune costiere trovano sbocco a mare per mezzo del nuovo canale portuale intitolato al papa Corsini. Vengono approntati alcuni edifici in quella località “spersa sulla limosa spiaggia marina”: un casone di Sanità Marittima (la Fabbrica Vecchia) e, un anno dopo, nel 1765 viene completato (dai Cavalli) un edificio di servizi provvisto di osteria: il Marchesato. E’ per questo che la famiglia viene investita dal Papa del titolo nobiliare? O vengono soltanto “trasferiti” i privilegi precedenti? Le fonti non permettono di dare risposte, in un senso o nell’altro...I marchesi Cavalli continuano a godere di privilegi derivanti dallo sfruttamento dei traffici del porto di Ravenna.
La torre per uffici che domina il villaggio di “Marinara” e le banchine da diporto, a servizio del porto turistico di Marina di Ravenna, realizzato una decina di anni fa su progetto dell’architetto ravennate Bruno Minardi (con gli architetti Caterina Fuchi e Vanni Rossi). Un simbolo quello della torre portuale, come stratificazione della memoria e snodo fra la terra e il mare. Si ringraziano per la cortesia e la gentile collaborazione gli architetti Caterina Fuchi e Bruno Minardi
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TOPOGRAFIA E STORIA
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Eugenio Montale descriverà il lento andare del tempo nella poesia Dora Markus, che presenta alcuni elementi del borgo marinaro di Porto Corsini, poi rinominato dal 1930 Marina di Ravenna. La palizzata dei ravennati ha duplicato le prospettive, ma dalla piazza intitolata a Dora Markus agli ormeggi di un grande “marina” si sviluppa uno spazio nuovo. È una proiezione verso il mare di quella terra che si spinge in un’ansietà d’Oriente capace di sovrapporre strati d’argilla padana in una cassa di colmata che rimodella la costa. Gli assi di quel villaggio si spingono a mare, come la foce di un fiume, creando una rottura dei cordoni dunosi “disegnati” dalla matita dell’architetto Bruno Minardi. A proteggere quell’insediamento portuale, una torre, stratificazione della memoria: un cilindro dai riflessi metallici e dai colori aeronautici. È un segno, alto 25 metri, sostenuto da una base circolare con un diametro che supera i 15 metri. Nell’accumularsi di sedimenti c’è la misura del tempo che propone elementi tipici della propria epoca. Gli aspetti funzionali del porto turistico di “Marinara”, il cui progetto esecutivo è di dieci anni fa, nascono in “alzato” e si «rivela in questa fase la mano felice del progettista». Così sottolinea l’architetto Caterina Fuchi, impegnata nel progetto, che osserva: «La progettazione urbana di Bruno Minardi si esprime come composizione di solidi, tridimensionali e definiti nella materia costitutiva». Il disegno affascinante come un’opera d’arte, è tradotto in “pianta”. Righe tracciate con cura che suddividono, organizzano e aprono spazi nuovi, ma potrebbero essere tratti disegnati sopra una vecchia mappa: la linea di costa, le palizzate, la bocca del porto e una torre di guardia.
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Piazza Caduti:
come le pagine di un libro di storia Il passato, le trasformazioni, il presente e il futuro di una delle zone del centro storico piĂš vitali
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di Chiara Bissi A differenza di altri luoghi del centro storico sempre al centro di progetti di riqualificazione, di polemiche, di concorsi e ricorsi, piazza dei Caduti per la Libertà, vive da tempo una sorta di pace urbanistica, nonostante sia lo snodo di direttrici stradali strategiche per il centro storico e di una fitta rete commerciale e direzionale. Una pressione che la vede spesso oppressa dal traffico veicolare e da una impropria e più che disinvolta idea della sosta e del posto auto da parte di molti cittadini. La piazza dall’aspetto curato, conserva un cuore verde con una grande aiuola sotto la quale si nascondono le tracce della città antica con il ponte Capetellus sul fiume Padenna. Se il passato giace nascosto, la piazza conserva la propria impronta novecentesca e raccoglie oggi la confluenza di vie pedonali, strade a traffico limitato o ad alta percorrenza ed è attraversata da tante linee urbane ed extraurbane del trasporto pubblico locale. Da un lato sia apre la zona che va De Gasperi, via Canneti a via Guerrini, Largo Chartres, via Rondinelli, piazza D’Annunzio a via Corti alle Mura; dall’altro le vie Mazzini, Baccarini, Guaccimanni. La piazza e la direttrice di via De Gasperi rappresentano uno dei segni urbani novecenteschi pensati per accrescere l’aspetto monumentale della città, già prezioso, per la vicinanza di piazza San Francesco e della zona del Silenzio affacciate su via Corrado Ricci. Una porzione quest’ultima, oggetto di numerose indagini
e riflessioni raccolte in una poderosa bibliografia costantemente aggiornata grazie alla dedizione e l’impegno di studiosi e ricercatori. Impossibile se non per sommi capi elencare le tante emergenze storiche e monumentali presenti. Nella memoria dei vecchi ravennati c’era il ricordo di un percorso lungo e tortuoso, fatto di vie strette e scure che portava in piazza del Popolo, dal borgo San Rocco, lungo via Mazzini, via Corrado Ricci, fino a via Cairoli. Piazza Caduti, luminosa e funzionale andò a sostituire alcuni isolati fra i quali spiccava casa Ghirardini di età veneziana, demolita per far posto alla piazza. Sarà infatti il Fascismo a pretendere una nuova immagine urbana, a immaginare uno nuovo sistema di piazze, a tracciare un tessuto edilizio a vanto e gloria della nuova ideologia dominante. La risistemazione della zona del Silenzio compiuta nel 1936 sotto la vigilanza stretta di Corrado Ricci, la costruzione della biblioteca Oriani al posto di Casa Rizzetti, e del palazzo della Provincia nel 1928 ad opera di Giulio Ulisse Arata, sulle ceneri di palazzo Rasponi, sede della federazione delle cooperative, assaltato dalle squadre fasciste nel 1922, avvengono non senza difficoltà, ripensamenti, cambi di direzione. Anche la realizzazione di piazza Caduti della Libertà, rientra pienamente nella programmazione su citata. Allora la nuova piazza, battezzata del Littorio, ospita
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Stessa inquadratura, circa 80 anni dopo, mostrano una delle pricipali quinte architettoniche in affaccio su Piazza dei Caduti della Libertà. Nella seconda metà degli anni ‘30 del secolo scorso era denominata Piazza del Littorio. All’angolo su via Guidone sorgeva la Casa del Fascio con una torre, distrutta dai tedeschi in ritirata nel 1944. Negli anni è sopravvisuto tale e quale l’edificio a sagoma curvilinea e l’intero isolato dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni
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la Casa del Fascio della federazione ravennate, disegnata nel 1936 dall’architetto Emanuele Mongiovì. Il fabbricato d’angolo, oggi sviluppato lungo via Guidone era completato da un’alta torretta sulla quale un altorilievo rappresentava una figura maschile impegnata nel saluto romano. Nel 1944 i tedeschi, in rapida ritirata, fecero saltare la torretta. Facevano da quinte anche il palazzo dell’istituto nazionale delle assicurazioni e il palazzo delle corporazioni sul lato fra via Mazzini e via Baccarini, oggi sede degli uffici regionali. La guerra e i bombardamenti chiuderanno per sempre la stagione monumentale e negli anni Cinquanta la demolizione parziale del fabbricato dell’Accademia in via Baccarini aprirà il cantiere della scuola media denominata “Guido Novello”, inaugurata nel 1959 con l’apertura di via De Gasperi, che nei progetti delineati nel Ventennio doveva assumere il nome di via dell’Impero. A parte le ville presenti nella parte terminale del corso alberato, tutti gli edifici fino a piazza D’Annunzio e oltre, vengono realizzati a partire dagli anni Sessanta, in attesa di vedere, ma solo negli anni Ottanta, l’apertura di viale Randi con un innesto parzialmente negato, proprio nel punto, dove si ricorda una delle più efferate stragi compiute in città dai nazifascisti. Oggi la piazza ospita enti, con il prestigioso palazzo della Provincia, l’agenzia del territorio, gli uffici regionali, l’Istituto comprensivo Novello, un istituto bancario, residenze, la redazione del quotidiano Corriere Romagna, caffè e alcuni negozi. Compresenze che la rendono viva, piena di movimento, lasciando a via De Gasperi il compito di sostenere il traffico veicolare in uscita dal centro. Gli uffici dell’Ausl, la vicina piazza Arcivescovado, sede della curia ravennate, il complesso di Santa Teresa, altri istituti di credito, l’Inps su via Guerrini fino all’ex palazzo di Ferruzzi sono gli elementi di pregio di quello che potremmo definire un polo direzionale dentro le mura. Dopo piazza D’Annunzio, via De Gasperi, lascia il posto a via Nullo Baldini, che presenta una serie di villini discreti, immersi nel verde a pochi passi da porta Gaza. Un vero e proprio corso che a differenza di quelli di recente realizzazione conserva fronti urbani omogenei, senza variazioni infinite in termini di tipologie edilizie. Nel futuro dell’area c’è la previsione del nuovo piano del traffico che vuole allargata fino a qui la zona a traffico limitato, quella famosa zona gialla, che scatta solo negli orari di punta. Oltre al polo direzionale attorno a sé piazza Caduti raccoglie anche un importante polo culturale, con le due maggiori biblioteche della città, la Classense in via Baccarini e Casa Oriani in via Corrado Ricci, con una sala studio in via Da Polenta. Nella via che conduce alla tomba di Dante, si affacciano il complesso dei chiostri Francescani che ospita il museo Dantesco, il centro dantesco dei frati minori conventuali, e per finire dirigendosi verso
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Il Teodora Caffè compie un anno In questo primo anno Elvezia e Matteo hanno organizzato tanti eventi dedicati alla cultura gastronomica del territorio. Una degustazione al Teodora Caffè non è solo bere un bicchiere di vino, ma è assaggiare la cultura trasmessa da un prodotto.
Segui la pagina Facebook Teodora Caffè per il calendario aggiornato degli eventi, realizzati anche in collaborazione con Slow Food Ravenna
Un’immagine degli anni ‘60 del ‘900 e una attuale di Piazza San Francesco fra l’antica chiesa “dantesca” e il lato porticato del Palazzo della Provincia con l’ingresso ai giardini pensili e alla Cripta Rasponi
Ravenna
Ravenna, via Corrado Ricci 37 tel. 0544/37410 - cell. 348 016 9185 facebook: Teodora Caffè marzo 2015
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piazza Garibaldi trova posto la sede di Ravenna Festival. A questo si aggiunge il complesso di San Nicolò in via Rondinelli che ospita il museo del mosaico Tamo e in piazza San Francesco la Cripta Rasponi con i giardini pensili della Provincia. E proprio in piazza San Francesco con l’omonima basilica, dal mondo conosciuta come la chiesa di Dante Alighieri, si affacciano le maggiori novità, spazio urbano quanto mai delicato, in bilico fra la rarefazione dei segni architettonici e il degrado. Il palazzo della Provincia lungo il colonnato della piazza conserva la Cripta dell’antico palazzo Rasponi databile al XVII secolo, usato come dimora patrizia fino al 1886, anno in cui fu trasformato in albergo per poi, come si diceva, divenne la sede della Federazione delle cooperative. La piccola cappella gentilizia, chiusa solo nei mesi invernali, non ha mai accolto i defunti della famiglia Rasponi, e oggi si presenta suddivisa in tre ambienti con una torretta neogotica (fine XIX secolo) un pavimento a mosaico, proveniente dalla chiesa di San Severo (Classe) e databile al VI secolo, e un giardino con una parte pensile affacciata sulla piazza. A pochi passi su via Corrado Ricci non si può dimenticare la Cà de vèn, storica enoteca, ospitata nel quattrocentesco palazzo Rasponi, già osteria della Corona fra Sette o Ottocento, poi drogheria Bellenghi fino al 1975. Da quella data l’enoteca dei vini della Romagna è un punto di riferimento enogastronomico per cultori e turisti e un luogo identitario per i ravennati. Nel palazzo ai piani superiori dal 1860 si trova il circolo Ravennate e dei Forestieri. Invariata nel tempo la molteplicità della offerta commerciale della via, varietà che raggiunge piazza San Francesco nella quale dopo quasi un secolo apre sotto i portici un caffè pasticceria. Una presenza che ridona vivacità, porta gente e stempera i noti problemi di ordine pubblico che sembrano endemici. Seguendo lo stesso spirito, i portici ospitano una volta a settimana, il martedì pomeriggio, un mercatino del biologico, dove agricoltori e i piccoli produttori vendono le proprie primizie in stretta collaborazione con gruppo ravennate di acquisto solidale (Gras). Una zona viva, dove la città corre veloce, ma che conquista i turisti con il patrimonio monumentale e beni e i piaceri della più autentica tradizione.
In alto, la scuola Guido Novello e la torre-arco che introduce da Piazza Caduti a via Baccarini. A fianco, il portico del Palazzo della Provincia, oggi rivitalizzato da un Caffé, un ufficio di informazioni turistiche e mercatini periodici
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GRAND TOUR
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Emil Carl Brack, Organizzazione del Grand Tour, olio su tela, fine XIX secolo.
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Grand Tour
Ravenna (Italia)
(latitudine 44.4157307 longitudine 12.1965711) Storie e testimonianze di celebri viaggiatori alla scoperta della città fra Ottocento e Novecento di Alberto Giorgio Cassani «Dove ti piacerebbe andare quest’anno, cara, per il grand tour?». Questo sembra dire il giovane aristocratico alla fidanzata felice, in questo dipinto dell’artista tedesco Emil Carl Brack, Organizzazione del Grand Tour, della fine del XIX secolo. Quasi certamente, però, la meta non sarebbe stata Ravenna. Il Grand Tour, almeno quello che dal Seicento arriva quasi alla fine dell’Ottocento, non contemplava Ravenna tra le mete, se non di sfuggita, tra una città e l’altra, per i fan di Dante, prima, e di Lord Byron, dopo. Quei pochi che vi soggiornavano, al massimo per una notte, forse si recavano a dare una fuggevole occhiata alle quadrerie di Palazzo Rasponi dalle Teste e a qualche altro pezzo di un certo pregio presente in città. È soltanto con la riscoperta di quello che Camillo Boito chiamava il «bisantino», grazie a Corrado Ricci e alle sue, non sempre rispettose, reductiones ad integrum (leggi restauri “filologici”) di San Vitale e Sant’Apollinare in Classe, che Ravenna diventa meta di turismo culturale. Allora uno stuolo di nomi famosi si mette in viaggio, da Henry James a Blok alla Yourcenair… al signor Dido, alias Alberto Savinio, alias Andrea De Chirico; il quale, però, se ne va da Ravenna senza aver visitato Sant’Apollinare! – «sant’Apollinaire», secondo il meraviglioso lapsus della moglie. Fra tutti i celebri viaggiatori, come vedremo, forse Savinio è stato quello che ha colto veramente l’anima della città, il suo genius loci. Una mostra, recentemente inaugurata al Museo d’Arte della Città, intitolata il Bel Paese, e curata da Claudio Spadoni, mostra l’Italia che fu e che non è più, travolta dalla speculazione e dal “progresso”. Due quadri riguardano la nostra città: uno, del fiorentino Luigi Bertelli, raffigura La pineta di Ravenna (1890) (ma anche Tramonto, di due anni prima, potrebbe essere stato ispirato dalle zone palustri intorno alla città); l’altro del grande Telemaco Signorini, dal titolo Sobborgo di Porta Adriana a Ravenna, del 1875, mostra una via Maggiore senza pini, ma illuminata di luce (e di notte da lampioni a gas) e piena di gente a piedi. Il Bel Paese era dunque tale soltanto prima della pur ritardataria industrializzazione? E che ne avrebbero detto i Futuristi, che nella mostra chiudono appunto le ultime sale? La serie di viaggiatori famosi che parte da questo numero della rivista, è già comparsa, a puntate, in una rubrica dal titolo “Grand Tour”, sulle pagine di “Ravenna & Ravenna”, dal n° 436 del 27 gennaio 2000 al n° 487 del 22 febbraio 2001. D’accordo col Direttore, si è pensato che forse era il caso di ripresentarla a tutti coloro che all’epoca non ebbero l’occasione di conoscere un po’ più a fondo lo sguardo “altro” sulla nostra città. Ora che è svanito il sogno di Ravenna Capitale Europea della Cultura, ridimensionato a quello di Capitale Italiana della Cultura, che motivo c’è di venire a visitare, come si diceva una volta, le “bellezze della
nostra città? Oltre a Dante e al suo bistrattato sepolcro del nostro unico, del resto, architetto locale di una certa fama, il conte Camillo Morigia, oltre alle memorie di Byron – che presto avranno una sede in Palazzo Guiccioli, oltre all’importantissimo patrimonio di codici e di libri della Biblioteca Classense, oltre agli ottomonumenti-otto Patrimonio dell’Unesco, che cosa dovrebbe venire a vedere uno straniero? Cosa c’è di nuovo che Ravenna abbia prodotto dopo il Paradiso del Sommo Poeta? Nulla di unico, assoluto, imprescindibile, credo, come un Guggenheim Bilbao di Frank Gehry, ad esempio, o una qualunque delle mirabolanti architetture contemporanee uscite dalla mano (o dal computer) di una delle numerose archistar© che popolano il nostro pianeta (ma forse qualcuno, che ce l’ha sempre con gli architetti, direbbe: per fortuna…). La Darsena? Forse, ma solo se il turista è un viaggiatore colto, che conosce Michelangelo Antonioni e che sa che nell’inverno 1963-1964, in questi luoghi dell’industria che fu, fu girato un film premiato col Leone d’oro alla XXVa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (battendo un altro capolavoro come Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini): Il deserto rosso (con l’articolo). Se però questo viaggiatore venisse in città a luglio, potrebbe certamente godere degli spettacoli di Ravenna Festival; se vi giungesse durante la stagione invernale-primaverile, potrebbe, altrettanto certamente, approfittare della bella stagione teatrale; se vi arrivasse in uno qualunque dei giorni dell’anno, potrebbe partecipare ad una delle moltissime iniziative che la nostra città offre quasi quotidianamente (conferenze, incontri, seminari, presentazione di libri ecc.). Ma questo sarebbe un caso non voluto, non programmato. Per vedere che cosa di contemporaneo uno straniero dovrebbe spendere i suoi soldi e volare a Ravenna? A questa domanda i testi di questa serie non possono rispondere, dal momento che i viaggiatori presi in considerazione vanno tutti dalla fine dell’Ottocento a circa gli anni Cinquanta del secolo scorso. Ma forse possono farci capire qualcosa di quello che la nostra città ha mostrato loro, di là dai celebri monumenti, senza che il viaggiatore se lo aspettasse, senza che fosse preventivato prima del viaggio. Se una Ravenna diversa, sconosciuta, inaspettata ci apparirà, forse abbiamo qualche speranza che anche al viaggiatore dei nostri tempi, questo “miracolo” possa accadere. Buon viaggio. Dimenticavo… Avete notato che la siepe di “lauro dantesco” piantumata lungo la testata della Darsena di Città, nonostante gli anni, rifiuta pervicacemente di crescere? Che sia un segno?
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GRAND TOUR
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Giovanni Paolo Pannini, Galleria di vedute della Roma moderna, olio su tela, 1759.
Prima puntata
Henry James Ravenna, la “città senz’ombra” (1873)
Il grande scrittore americano Henry James mette per iscritto i suoi ricordi di Ravenna1 – abbozzati in gran fretta qualche giorno prima «nell’antica capitale di Onorio e Teodorico» – «sulla cima di una fredda montagna svizzera», avvolto in una «densa coltre di candida nebbia» (perché non dimentichi il nostro clima), che gli impedisce la vista dell’«adorabile Italia», ormai lontana «giù in basso». Qui nelle brume nordiche, nell’«aspro paesaggio alpino», lo scrittore pensa alla città, e «il suo semplice aspetto» lenisce un’immaginazione in fase depressiva, facendogli sperare in un veloce ritorno della bella stagione. Ravenna, infatti, meno di una settimana prima, «era nel suo splendore». James rasenta i muri delle case per godere «delle strette fasce d’ombra che accompagnavano un lato delle sue strade bianche e deserte». Già due indizi di quella che sarà, per lo scrittore, l’immagine di Ravenna: deserta e “senz’ombra”. James giunge da noi dopo Firenze (il cui ricordo lo fa «fremere») e Bologna: e, incredibile a dirsi, novello Democrito, viene preso dal riso all’arrivo in città (mentre quasi tutti gli altri viaggiatori futuri, tranne Simone Weil e il grande Savinio, avevano vestito me-
glio i panni del lacrimoso Eraclito). In realtà, James scrive «sorriso». E come Democrito ride della stoltizia degli uomini, lui sorride «di un sorriso grave, meditabondo, filosofico, […] così come conviene alla dignità storica, per non parlare della tristezza mortale e solatia del luogo». James prima ci illude, poi rivolta la “penna” nella piaga.
Ultimi fuochi ravennati È una calda (e umida, si suppone) serata dell’estate del 1873. James è appena giunto a Ravenna, nella «sonnolenta Ravenna», dove si stanno spegnendo gli ultimi fuochi della festa dello Statuto (la celebrazione della sospirata libertà dai gioghi secolari dello Stato Pontificio). James riesce ancora a coglierne gli ultimi echi, «soprattutto sulla soglia dei caffè, mentre si esibiva la banda della guarnigione, alla luce di qualche dozzina di fiochi lumi sistemati lungo la facciata del palazzo del Governo». Tutto, in realtà, è concluso da tempo, e il viaggiatore yan-
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kee si trova da solo, in mezzo alla Piazza, in una «luce grigiastra in compagnia di un affabile cittadino» da cui desidera avere le solite informazioni sulle «tradizioni» e i «costumi della città». James è appena giunto, ma ha già compreso che non è capitato nel paese di Cuccagna. E rileva perciò allo sconosciuto, seppur «con la massima deferenza», come la città non sia il «luogo più vivace della terra». L’«amico» ravennate ne conviene: «Ravenna non era sede di una vita particolarmente briosa». Ma subito aggiunge, con orgoglio tipicamente romagnolo: «aveva già visto il Corso? Senza vedere il Corso non si potevano considerare esaurite tutte le possibilità». Ma anche lì l’anima ravennate non si smentisce: «Il Corso di Ravenna, in una calda notte d’estate, possiede un’atmosfera di sorprendente raccoglimento e di riposo». Corso Valium. «Qua e là, da una finestra chiusa ai piani superiori, baluginava una luce» (la solita dialettica ravennate tra intérieur ed extérieur, colta da molti viaggiatori). Ma anche gli “affari privati” non sembrano emettere alcun rumore: «i passi del mio compagno e i miei erano gli unici suoni […]. L’aria soffocante mi aiutava a credere al momento che stavo camminando nell’Italia del Boccaccio, nel bel mezzo di una pestilenza, attraverso una città che aveva perduto metà della popolazione a causa dell’epidemia e l’altra perché era fuggita». Ravenna, una città “ai tempi del colera”. Ma James torna all’albergo «profondamente soddisfatto». L’atmosfera che ha respirato a Ravenna rispecchia perfettamente, in fondo, «la monotonia dei tempi passati». Che cos’è se non questo «l’antichità, la storia, il riposo». Ravenna ha un posto assicurato nella storia.
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conduce alla Pineta alludono a Galla Placidia e a Giustiniano come ad un qualunque soggetto del momento particolarmente interessante». Salvatore Settis, autore di un bellissimo saggio sulle diverse modalità del rapporto con l’antico da parte del Medioevo e dell’Umanesimo (Continuità, distanza, conoscenza. Tre usi dell’antico, Einaudi, Torino 1986), parlerebbe senz’altro di paradigma della “continuità”: per i ravennati non esiste la “distanza” critica, scoperta per la prima volta proprio dal Boccaccio grazie al diritto al “dubbio” nei confronti di quelle che lui chiama le «favole da vecchierelle». Il passato, per gli abitanti della città, è lì dietro l’angolo; non è “remoto” ma “prossimo”. Meglio, è un “presente storico”. James, di buon grado, prova a mettersi «vagamente in sintonia con una sfida così ardua», ma riesce soltanto a percepire «nel profondo» che sta «respirando un’aria carica di prodigiosi ricordi e stupefacenti reliquie». Ma il termine «reliquie» dichiara senza possibilità di dubbio che si tratta pur sempre di resti di un morto. Ravenna non gli appare che «un borgo spopolato e disperso […] Le strade […] coperte d’erba». E James, nonostante cammini tutto il santo giorno, non riesce a «vedere un solo veicolo a ruote» (qui ci siamo dati da fare). James non ricorda negozi (ma sta parlando proprio della nostra Ravenna?) al di fuori di un «piccolo laboratorio di un cortese fotografo, le cui vedute della Pineta, l’immensa e leggendaria foresta di conifere giusto fuori città» destano nello scrittore «una grande voglia di rifugiar[si] in quell’oasi». Il deserto e l’oasi. Una bella metafora.
Il “deserto” e l’“oasi” A Ravenna James verifica che il tempo è un concetto relativo. L’impressione di un suo “arresto” dall’età di Boccaccio, come lui stesso aveva avvertito passeggiando nel Corso, gli viene confermata dagli “indigeni”: «A Ravenna il cameriere del caffè e il cocchiere che vi
John Singer Sargent, Ritratto di Henry James, olio su tela, ante 1925, Washington, National Portrait Gallery.
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I gioielli di Ravenna James, dopo aver paragonato Ravenna ad un deserto e la Pineta all’oasi agognata, passa al setaccio la nostra architettura. L’incipit non è dei più incoraggianti: «Non esistono architetture di cui si debba parlare». Se qualcosa esiste è preda da tempo di un inesorabile processo di disfacimento: «…sebbene vi siano molte grandi dimore dai nomi aristocratici [i palazzi dei Sei-Settecento], in realtà si stanno sfaldando, cotte dal sole, in modo per nulla dignitoso». Il tempus edax rerum dispiega, qui da noi, tutta la sua potenza. Non parliamo poi dell’architettura cosiddetta “minore” (la cultura materiale è ben al di là da venire): «Le case hanno per lo più un carattere di crudezza rusticana; sono basse, povere ed anonime, addossate ad alti muri di cinta dei giardini [la Ravenna “abbottonata” di Savinio, come si vedrà a suo tempo], al di sopra dei quali pendono immoti nell’aria stagnante [le origini paludose non si possono dimenticare!] delle vie lunghi tralci di folte viti». In mezzo a tanta «desolazione» accade però il “miracolo” ravennate, quello che ci fa vivere di rendita da più di un millennio: «Qua e là […] in qualche angolo particolarmente silenzioso e verdeggiante, si erge una vecchia chiesa in laterizio con la facciata più o meno guastata da un restauro moderno di poco prezzo [fa piacere che quello che Ruskin chiama «la peggior forma di distruzione», il “cosiddetto” restauro, non sfugga all’occhio attento di James] ed uno strano campanile cilindrico, forato da piccole finestre ad arco che ci riconduce molto vicino al V secolo [saremo così pedanti da sottolineare l’errore di datazione del grande scrittore?]. Cos’è che colpisce di più in queste “presenze” del passato? Che «dopo tredici secoli di ben intenzionate spoliazioni» – più che il tempo è l’uomo ad essere “edace” –, nonostante tutto ospitino ancora «un’ineguagliabile raccolta di mosaici della prima età cristiana». Chi ha (istituzionali) orecchie da intendere, intenda.
Geroglifici ravennati La Chiesa e non l’Impero, per James, è all’origine di Ravenna. In particolare un «santo esemplare», Apollinare, «cui sono dedicati i due più bei luoghi di culto del luogo». James, dunque, si dirige verso quello «chiamato scherzosamente “nuovo”» (tutto è relativo…). Davanti alla basilica si sofferma a guardare «la grande e rossa torre campanaria di forma cilindrica, così rugginosa, così sgretolata, così arcaica eppure così risoluta a far sentire i propri rintocchi ancora per uno o due secoli» (fino al 2073 possiamo dunque stare tranquilli). La materia ravennate è sempre “segnata” dal tempo, per James come per quasi tutti i viaggiatori: il passato tenta di resistere stoicamente e cocciutamente all’inevitabile destino che attende tutte le cose poste “sotto il cielo di Ravenna”.
Entrato nella «frescura dell’interno», James si trova di fronte ad un «vero e proprio repertorio di tipologie della prima età cristiana»: «frammenti di marmo giallo ricoperti di curiosi emblemi scolpiti […] grandi vasche appena sbozzate […] sedie episcopali il cui marmo appare consunto da secoli di attrito con le solide persone dei prelati» (non solo tempus, dunque, ma anche nates edaces!). Allo scettico James sfugge del tutto il senso di quei simboli dell’alba cristiana: «geroglifici incisi d’astrusità quasi pari a quella degli ideogrammi egizi, con agnelli, pesci, cervi ed altri animali, il cui referente teologico appare ancora meno evidente». L’aggettivo “strano” ritorna più volte: strani i campanili cilindrici, strani gli «oggetti» custoditi nella basilica, strane le figure immortalate nei mosaici che «con i loro volti colorati e lo sguardo fisso» irrigidito nelle tessere, tentano, nonostante tutto, col «cattivo latino della decadenza» di rispondere al nostro «stupore», svelandoci i segreti di una fede e di un culto che ormai ci sfuggono, irrimediabilmente.
La pittura eterna James è di fronte ai mosaici di Sant’Apollinare Nuovo: ricorda, su un lato, la splendida rappresentazione di Classe e di Ravenna, la processione delle ventidue vergini e dei tre magi che converge vergo la Madonna col Bambino e i quattro angeli; e, sulla parete opposta, i venticinque santi (speculari, ventidue più tre) diretti verso «un Salvatore seduto in trono tra angeli di singolare espressività». Angeli “inquietanti”: «Che cosa di preciso questi serafini dalle lunghe figure slanciate intendano esprimere non sono certo in grado di dirlo [paradossalmente, Ravenna e i suoi simboli rimangono oscuri e distanti per uno scrittore che di lì a due anni, nel 1875, si stabilirà definitivamente in Europa, incapace, come scriverà in una famosa lettera, di vivere in un paese – gli Stati Uniti – privo di antiche vestigia, chiese medievali, e in sostanza, di un passato]; tuttavia, a guardarli bene, dagli stretti ovali dei loro occhi sfugge uno sguardo obliquo che, sebbene non privo di dolcezza, mi indurrebbe certo a mormorare una preghiera di scongiuro o qualcosa di simile». Anche Lucifero, da Tertulliano in poi, era un angelo: il più sfolgorante. Dall’“ambiguità” degli angeli, all’ambiguità del mosaico: «L’intera opera risale alla fine del sesto secolo e si trova in ottimo stato di conservazione. Lo sfondo dorato scintilla come se fosse stato posto in opera appena ieri». Il mito del mosaico come pittura eterna, già reso topico da Vasari. Questo paradosso stupisce James: «mentre i secoli erano trascorsi ed erano caduti e risorti imperi, queste piccole tessere colorate di pasta vitrea rimanevano nelle loro sedi conservando intatta la loro freschezza». Ma il tempo, scacciato dalla porta rientra dalla finestra: il ricordo di queste «splendide gemme», si è trasformato, per James, «in un unico, indifferenziato atto di memoria». Ravenna, da parte sua, vi contribuisce in pieno: «la sua quiete sepolcrale, il suo penetrante profumo di caducità, di decadimento, di mortalità, mescola i tratti distintivi e rende confusi i dettagli». Anche quelli delle “inattaccabili” tesserine di vetro.
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A sinistra: Anonimo, Facciata di Sant’Apollinare Nuovo, acquerello a colori, fine fine XIX secolo, Forlì, Raccolta Piancastelli, Biblioteca Comunale. A destra: Romolo Liverani, Veduta interna della Basilica di San Vitale, disegno ad inchiostro chiaroscurato all’acquarello, 1843, Forlì, Raccolta Piancastelli, Biblioteca Comunale.
“Dogana” San Vitale
Una vita spericolata
Dopo aver criticato di passaggio le «eccessive modernizzazioni» degli addobbi con cui la nostra Cattedrale, «alta e immensa», era stata agghindata in vista del centenario di Sant’Apollinare, motivo in più per fargli optare per una assai più “gradevole” passeggiata «a lenti passi, nella luce del crepuscolo agostano, lungo la navata tranquilla di Sant’Apollinare» (evidentemente poco “apollinaresco” per la Curia ravennate di allora), James ritorna col ricordo all’«imponente chiesa ottagona di San Vitale». Qualunque paludato storico dell’architettura e dell’arte inorridirebbe all’effettivamente curioso paragone scaturito dalla fantasia dello scrittore: «simile ad un ufficio di cambio o a una dogana». Offesa che non si lava nemmeno con la successiva “insicura” puntualizzazione: «Credo sia stata costruita sul modello di Santa Sofia a Costantinopoli». «Decisamente solenne», la basilica è una sorta di museo che conserva nel coro una collezione di «veri e propri quadri, pieni di movimento, di gestualità e di prospettive», in cui le «tinte sono state smorzate dal tempo quel tanto che basta a convincere l’osservatore della loro antichità». Se tornasse oggi, dopo le recenti puliture, James avrebbe qualche dubbio? Proprio al centro dell’ottagono, un artista intento a ritrarre il coro diviene oggetto dell’interesse dello scrittore. Il risultato del suo sforzo artistico, destinato, suppone James, «ad una parete della biblioteca nella casa di una qualche persona di buon gusto», anche se fosse stato «migliore di quanto non desse a vedere […] non avrebbe mai potuto narrare» al suo futuro proprietario – «a meno che non ci fosse già stato» – «in quale angolo silenzioso, consunto, appartato dell’antica Italia quel quadro era stato dipinto». Ravenna silente, dimenticata in un angolo dalla storia… ma adesso, caro James, dopo che è arrivato Lou Reed, tuo conterraneo, non è più così.
Un artista che «nutra passione per gli oscuri recessi architettonici» non potrebbe trovare, per James, «luogo migliore» che la «piccola e straordinaria chiesa dei Santi Nazaro e Celso, altrimenti conosciuta come il mausoleo di Galla Placidia». In verità, anche “troppo oscura”, perché si possono incontrare fiere difficoltà a «distinguere il verde dal rosso» (al di là di possibili daltonismi). Il luogo – James lo riconosce immediatamente – è un vero e proprio genius loci della città. Il «punto […] dove l’impressione possiede un’autorità sovrana ed una grande forza emotiva». Ma non per il motivo che ci aspetteremmo tutti, i mosaici. Lo scrittore è infatti attratto dai «tre enormi sarcofagi barbarici che contengono i resti di altissimi personaggi del basso impero» che si scorgono «attraverso la luce fioca». E qui James si rivolge direttamente ai ravennati – col «voi» – elogiandone l’attività di “archeologi” della storia : «È come se la storia si fosse nascosta sotto terra per sfuggire alle ricerche e voi l’aveste felicemente riportata alla luce». Splendida immagine dell’eterna lotta tra l’oblio del tempo (come non pensare al mausoleo di Teodorico “interrato” dell’incisione di Piranesi (due secoli ante Podrecca…) e la cocciuta memoria degli uomini. Accanto alle ceneri di Onorio (perché non lasciarlo credere a chi vuol crederlo?) e di Costanzo III (idem) quelle di Gallia «una donna – scrive eufemisticamente James – che credo debba aver trascorso una vita decisamente avventurosa». D’un tratto le tre tombe e i baluginanti mosaici creano l’illusione di «una piccola grotta naturale, striata di minerali luminescenti». Ma, immediatamente, l’idillio svanisce e James riconosce come vi sia «qualcosa di assolutamente spaventoso a sostare in silenzio così vicino a questi tre fantasmi imperiali». La Storia con la S maiuscola ci guarda da quel piccolo capolavoro di semplici mattoni: «L’ombra del gran nome romano»… grande nel bene e nel male (più nel male, direbbe Simone Weil).
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«Exegi monumentum…» Nel suo blaser attraverso Ravenna James non poteva non imbattersi nei due grandi di sempre: Dante e Byron. I loro ricordi “indugiano” nello spazio-tempo della città (anzi, lo si è visto, per James a Ravenna il tempo è come abolito, e tutto sembra parlare il “passato prossimo”) altrettanto che quelli dei «primi vescovi» o di «imperatori degeneri» (vedremo, a suo tempo, la Yourcenar…). Subito un affondo nei confronti dello “sbilancio” fra “contenuto” e “contenitore”: «Il sepolcro di Dante, va pur detto, è tutto fuorché dantesco e l’intero recinto [la futura Zona del silenzio] è sistemato con quel bizzarro cattivo gusto che contraddistingue la maggior parte dei tributi che l’Italia contemporanea eleva ai propri grandi» (non solo l’Italia: si veda il magistrale saggio di Robert Musil, Monumenti di Pagine postume pubblicate in vita per rendersene conto). Il supremo autore della Divina commedia, «ricordato in stucco persino in un cantuccio sonnolento della città» – a quale opera si riferirà mai James? – «non ispira simpatia». Come che sia, «per fortuna di tutti i poeti, essi non hanno bisogno di monumenti, poiché sono innanzitutto architetti della parola [Savinio, parlando proprio di Dante lo definirà uno “scultore” della parola, come vedremo] e con essi si costruiscono templi di gloria più solidi delle mura ciclopiche». «Exegi monumentum aere perennis», come scrisse, una volta per tutte, Orazio. E la Commedia è un’architettura dell’aldilà costruita di terzine. E Byron?
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curioso pensare che Caino e La visione del Giudizio siano state scritte in un albergo». Questo fatto, per James, costituisce senza dubbio «un precedente d’incredibile efficacia per i turisti ad un tempo sentimentali e letterati che si vogliono astrarre dal mondo». Dunque, aspiranti scrittori, non andate sulle isole deserte ma chiudetevi negli alberghi (ravennati?). Poi James, mai troppo tenero con Ravenna, dà via libera alla più sottile ironia di cui la sua penna è capace e per l’eternità si autocondanna a non ricevere mai le chiavi della nostra città. La prende un po’ alla larga: «La conoscenza di Ravenna ha aumentato in misura considerevole la stima che nutro per Byron, aiutandomi a rinnovare la fede nella sincerità della sua ispirazione» [dove andrà a parare?]; «Solo un uomo de son temps [addirittura il francese!] […] può aver trascorso due lunghi anni in questa città stagnante [ah, ci siamo] con il solo scopo di trarre un grande e disinteressato piacere dal suo proprio talento». Se la sua vena poetica non ha risentito di Ravenna vuol dire che era proprio un genio, questo il succo. Ma forse l’ispirazione naturale non era sufficiente. Ci sarà stato qualcos’altro che l’avrà aiutato. Il paziente lettore cosa ne dice? James ne è certo. Cherchez la femme!
“Due” buone ragioni Avevamo lasciato James alle prese con la poco “monumentale” tomba di Dante. Ma se «la tomba di Dante non è dantesca, neppure la casa di Byron è byroniana». L’altro eroe del pantheon ravennate (eroi acquisiti, visitors, non locali, beninteso) vede legato il suo glorioso nome ad «un’abitazione modesta e grigia disposta su due piani, che dà direttamente sulla strada, quasi del tutto priva di isolamento e di mistero» (ironia della sorte per un autore, Byron, così romanticamente “misterioso”). «Ai tempi di Byron – ricorda James – era una locanda ed è piuttosto
Richard Westall, Ritratto di George Gordon Byron, VI barone Byron, olio su tela, ante 1836, Washington, National Portrait Gallery.
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Sulle orme di Byron
Ravenna vs New York
La domanda è: possibile che la vena poetica di Byron non si fosse inaridita durante un soggiorno abbastanza lungo – dal 1819 al 1821 – nella «città stagnante»? Cosa non aveva fatto spegnere la fiamma del genio? James, da gran signore, usa la perifrasi; non fa assolutamente nomi, solo cognomi: «Aveva, a dire il vero, un buon passatempo – le varie chiese erano ornate dai monumenti degli antenati dei Guiccioli». Ma, nonostante questo buon motivo, chiunque, eccetto Byron, avrebbe avuto l’ispirazione spezzata: «ma ciò nondimeno è evidente che Ravenna, cinquant’anni fa [ai tempi del soggiorno byroniano], doveva essere un luogo d’una tristezza insopportabile per uno straniero distinto e non dotato di risorse intellettuali» (attenzione, ha detto «cinquant’anni fa». Qualcuno potrebbe offendersi. Meglio specificare. Oggi è tutta un’altra cosa). Il ricordo di Byron, dunque, per James, non rende allegri e induce a riflessioni sull’ingiustizia del mondo nei confronti dei suoi figli più grandi: «L’ora che si passa in compagnia della memoria di Byron è perciò quasi intrisa di compassione. Dopo tutto, ci si dice allontanandosi dalla piccola e magniloquente lapide posta sulla facciata della sua casa e volgendo lo sguardo alla vista mortalmente provinciale della strada vuota e assolata, l’autore di stanze così superbe, chiedeva al mondo meno di quanto egli stesso donava». Come si sa, Byron amava cavalcare. Ce lo ricorderà la Yourcenar. E James, sulle orme del grande inglese, monta a cavallo e s’inoltra nella Pineta, che anche Dante e Boccaccio hanno così amato da inserirla «nel loro narrare». Lo scrittore vi si reca «alla ricerca di un possibile soffio di brezza marina». Che cosa scoprirà nella “foresta”?
A volte le paludi non sono sempre sinonimo di desolazione. James, infatti, come nelle favole, vi incontra una “chiesetta incantata”: «Tra la città e la foresta, nel bel mezzo di un terreno paludoso e malarico, si innalza la più bella delle chiese ravennati, l’imponente tempio di Sant’Apollinare in Classe». Ricordi di scuola: «L’imperatore Augusto aveva costruito nei dintorni un porto, per la sua flotta, che i secoli hanno insabbiato [ah!, la capricciosa instabilità del suolo nostrano] e che sopravvive solo nel nome [sc. Classe] di questa antica chiesa». L’essere in «assoluta solitudine», isolata in mezzo alla palude, «ne raddoppia l’effetto». La visita alla chiesa è un vero e proprio “incontro”: «Le sue grandi porte si aprirono dinnanzi a me, facendo filtrare un raggio di calda luce nella splendida navata, tra le ventiquattro colonne di marmo cipollino soffuse da una luminescenza perlacea; e la luce salì anche per l’ampia scalinata dell’abside, per poi trascorrere sotto i mosaici della volta». Il tempo si ferma: James rimane in contemplazione «per una memorabile mezzora, seduto in quell’onda di luce morbida», come se il suo corpo non pesasse, guardando oltre la «porta spalancata, verso il verde vivido degli stagni, porgendo l’orecchio a quella quiete malinconica». Dopo, lo scrittore vaga per il «Bosco delle Associazioni, tra i tronchi alti, protesi ed argentei dei pini» fino ad arrivare al termine della foresta, all’aperto azzurro del mare, «ad una visione di vele bianche che scivolavano scintillando dietro le dune». Tutto sembra concorrere a creare l’immagine “nobile” del «caratteristico», del topico, del già visto. Ma Ravenna sorprende sempre (nel bene e nel male): «poiché gli alberi erano lontani l’uno dall’altro ed ergevano alto contro il cielo azzurro null’altro che il loro piccolo parasole di foglie», James coglie in quest’attimo uno degli aspetti ontologici della città, in senso fisico ma anche metaforico: «l’essere cioè senza alcuna ombra». A Ravenna manca la verticalità, lo sguardo dall’alto. Ha campanili sì, ma più larghi che alti. Un po’ tozzi. Ravenna l’alter ego di Manhattan. Grazie, Henry James, per avercelo fatto capire.
> Note (1) Henry James, Ravenna [1873], in Id., Italian Hours, illustrated by Joseph Pennell, London, W. Heinemann, 1909, trad. it., Ore italiane, a cura di Attilio Brilli, Milano, Garzanti, 1984, pp. 411-423. Ringrazio Luigi Dal Re e Fausto Fiasconaro della Biblioteca Classense per l’aiuto datomi nella ricerca iconografica. N.B.: per tutti i testi della rubrica “Grand Tour” devo ringraziare, per la loro attenta lettura, a suo tempo, Franco Costantini, ed ora, Marina Mannucci.
Alessandro Guaccimanni, New York, Lower Fifth Avenue at 24th Street, olio su tela, 1894, Thomas Colville Fine Art, Connecticut
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SEDICI ARCHITETTURA 2015
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Secondo appuntamento per la serie di incontri-confronti del ciclo di otto conferenze "SeDici Architettura", in programma giovedì 19 marzo (dalle ore 20) nello show room dell'azienda di arredi di alta qualità e progettazione d'interni Oggetti d'Autore di Forlì. Gli architetti Tomas Ghisellini di Ferrara e Stefano Piraccini di Cesena racconteranno la loro esperienza professionale e i loro progetti attraverso la visione di due differenti generazioni impegnate nel campo della progettazione contemporanea. La conferenza è promossa da questa rivista e dalla società editoriale Reclam, in collaborazione con Nuovostudio di Ravenna e Archibiotico di Forlì (che curano la parte scientifica degli incontri) e con il patrocinio – anche ai fini dei crediti formativi professionali – degli Ordini degli Architetti di Ravenna e di Forlì-Cesena.
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Tomas Ghisellini ha studiato presso l'Accademia di Architettura della Svizzera Italiana con sede a Mendrisio e presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, dove si laurea con lode nel 2002 discutendo una tesi sperimentale sulla riconversione strategica di alcune piattaforme metanifere off-shore nell'Adriatico settentrionale. Dal 2004 è professore a contratto presso la stessa Facoltà di Architettura di Ferrara, dove è docente prima in “Analisi della città e del territorio”, poi in “Architettura del paesaggio” ed infine in "Teorie e tecniche della progettazione architettonica. Per il triennio 2010-2013 ottiene la titolarità della cattedra di "Composizione Architettonica I". Nel 2014 condivide con Matteo Agnoletto la cattedra di Composizione Architettonica II presso l'Università degli Studi Alma Mater di Bologna, Facoltà di Ingegneria Architettura. Nel 2009 fonda l'Atelier di Architettura, con sede a Ferrara, dopo numerose esperienze sia in Italia che all'estero. Vincitore di numerosi concorsi per la realizzazione di opere pubbliche e private, tutte completate o in corso, lo studio, esposto al MoMA New York nell'ambito di una importante rassegna internazionale di architettura, è premiato da Renzo Piano alla seconda edizione del prestigioso Premio Fondazione Renzo Piano, dedicato ai migliori architetti italiani under 40. Di recente è tra i protagonisti del Premio Internazionale Dedalo Minosse e riceve il prestigioso Premio IN/ARCH 2014, assegnato dall'Istituto Nazionale di Architettura, per la migliore opera realizzata progettata da un giovane architetto. La sede italiana dello studio si accompagna ad uno smart office negli Stati Uniti d'America che si occupa dei progetti di architettura e ricerca oltreoceano.
Una serie di progetti di Tomas Ghisellini. Nella pagina a sinistra, Supernova, nuova scuola di musica, Bressanone (Bz). In questa pagina, dall’alto: La Corte degli Alberi, nuova scuola primaria, Cenate Sotto (Bg); Il Giardino segreto, nuovo cimitero municipale, Tavazzano con Villavesco (Lo); Cocoon, residenza di charme per anziani, Rovigo (Ro)
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SEDICI ARCHITETTURA 2015 Stefano Piraccini, classe 1976, è nato e vive a Cesena. Dopo la laurea presso la Facoltà di Architettura “Biagio Rossetti” in Ferrara, consegue nel 2005 il titolo di dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Nel 2001 apre uno studio di progettazione a Cesena dove svolge attività professionale nel settore residenziale, terziario e pubblico. La sua attività di progettista trova riscontro in concorsi di progettazione, mostre, premi di architettura e nella pubblicazione di opere realizzate. Dal 2004 è professore a contratto di tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento di Architettura di Cesena dove svolge attività didattica e ricerca, pubblicandone come autore i risultati su volumi ed articoli scientifici. I contributi dell’attività professionale e quella scientifica vengono riproposti in commissioni e convegni ai quali partecipa come membro o relatore. È consulente tecnicoscientifico per istituti pubblici e privati. Lo studio – che condivide con l'ingegnere Leopoldo Piraccini e l'architetto Margherita Potente – gestisce le competenze necessarie al compimento del progetto dalla formulazione dell’idea alla sua realizzazione. La collaborazione con il Dipartimento di Architettura di Cesena consente una forte sintonia tra l’attività progettuale e quella della ricerca, con particolare riferimento alla tecnologia dell'architettura ed all’efficienza energetica. Il metodo progettuale che viene utilizzato segue lo standard tedesco Passivhaus: il protocollo internazionale più prestigioso e restrittivo per edifici NZEB (near zero energy building). Tra la sua produzione si segnalano edifici residenziali, allestimenti e spazi pubblici, molti dei quali hanno ottenuto riconoscimenti in premi e pubblicazioni.
Progetti firmati da Stefano Piraccini e dal suo studio. Dall’alto: residenza privata Casa B (Cesena); Multiresidenza passiva (Cesena); due scorci del progetto di riqualificazione borgo di Formignano (Fc)
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ORDINE ARCHITETTI RAVENNA
Con il patrocinio
Comune di Ravenna
Comune di Cervia
Comune di Lugo
Comune di Forlì
Comune di Cesena
ciclo di conferenze 2015 Otto incontri/confronti fra protagonisti esperti ed emergenti della progettazione contemporanea Alessandro Bucci Faenza
Tomas Ghisellini Ferrara
Iotti / Pavarani Reggio Emilia
M2R Reggio Emilia
Giovedì 19 FEBBRAIO
Albergo Cappello RAVENNA Giovedì 19 MARZO
Oggetti d’Autore FORLÌ Giovedì 23 APRILE
Edilpiù LUGO Giovedì 21 MAGGIO Sala Conferenze
Autorità Portuale
Laprimastanza Montiano (FC)
Stefano Piraccini Cesena
Brenso Bologna
Tappi / Barbieri Cesena
RAVENNA Andrea Oliva Reggio Emilia
Giovedì 18 GIUGNO Azienda vitivinicola
Poderi dal Nespoli
Miro architetti Bologna
NESPOLI (FC) Antonio Ravalli Ferrara
Alessandra Chemollo Marghera (VE)
Marco Mulazzani Ferrara
Giovedì 17 SETTEMBRE
Magazzini del Sale CERVIA Giovedì 15 OTTOBRE Galleria Comunale
Palazzo del Capitano
Pulelli / Valbonesi Cesena
Ecrù Parma
CESENA Giovedì 19 NOVEMBRE
Albergo Cappello RAVENNA
ore 20 Apertura, registrazione crediti formativi ore 20.30 Saluto azienda promotrice ore 20.45 Architetti emergenti ore 21.45 Architetti esperti ore 22.45 Spazio interventi e saluto conviviale
Sperandio / Pozzi Santarcangelo (RN) Info Reclam tel. 0544 408312 redazione@trovacasa.ra.it - www.reclam.ra.it
Comitato scientifico Gianluca Bonini, Stefania Bertozzi, Giovanni Mecozzi, Filippo Pambianco Organizzazione, promozione, documentazione Reclam edizioni e comunicazione srl – Casa Premium rivista dell’abitare
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Punte di eccellenza nella giovane ricerca universitaria Pubblicata la tesi di dottorato sull’opera di Pier Luigi Nervi, dell’architetto Pasqualino Solomita, vincitore del Premio Bruno Zevi 2013
di Paolo Bolzani
> Ritratto di Pier Luigi Nervi (Archivio Pier Luigi Nervi, MAXXI Roma)
Pasqualino Solomita (1974), oltre alla libera professione svolge attività didattica nel Dipartimento di Architettura dell’Alma Mater Studiorum di Bologna. Oggi segnaliamo il volume in cui viene pubblicata dalla Fondazione Bruno Zevi la sua tesi di Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica. La giuria (Antonello Alici, Vezio Nava, Orietta Rossi Pinelli, Livio Sacchi e Donato Severo), «ha deciso di assegnare il premio al saggio di Pasqualino Solomita, Pier Luigi Nervi architetture voltate, verso nuove strutture. Pienamente coerente con le richieste del bando, il testo appare segnato da evidente originalità, chiarendo con successo sia il contesto in cui Nervi si muoveva sia la sua personale sfida ingegneristica, sempre tesa alla ricerca di nuove soluzioni». Come spiega Solomita «scopo della ricerca è stato quello di approfondire le tematiche legate a una significativa tipologia strutturale che ha contrassegnato il percorso professionale di Pier Luigi Nervi, vale a dire le architetture voltate, documentandone circostanze, innovazioni e anomalie». Pier Luigi Nervi (1891-1979), ingegnere, è autore delle strutture dello stadio comunale Artemio Franchi di Firenze (1930-32), del Palazzetto dello Sport (1958-60) e dello Sta-
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P.L. Nervi, Aviorimessa I serie, Orvieto 1935-38; pianta basilicale (Archivio Pier Luigi Nervi, MAXXI Roma)
A. Lapadula e P.L. Nervi, Stabilimento Kursaal, Lido di Castelfusano 1950; pianta circolare (Archivio Pier Luigi Nervi, MAXXI Roma)
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STUDI E RICERCHE
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Dall’alto: A. Vitelozzi e P. L. Nervi, Palazzetto dello Sport, Roma 1956-57, nervature ; P. L. Nervi, Salone B Palazzo delle Esposizioni, Torino 1947-48, vista della volta e della semicupola; Salone C Torino Esposizione, Torino 1950, interno (foto P. Solomita)
P.L. Nervi e A. Nervi, Kuwait Sports Centre, Kuwait City 1968-69, modello (Archivio Pier Luigi Nervi, MAXXI Roma)
dio Olimpico di Roma, passando per le famose aviorimesse di Orvieto (1935-38) e di Orbetello (1938-40). Come scrive Solomita, Nervi si riferisce «ai principi architettonici del passato», rifacendosi alle «forme archetipe del foro romano, della basilica e del tempio circolare». Lo scarto strutturale costruttivo lo porta all’uso innovativo del cemento armato e in seguito del ferrocemento. «Cupole, volte e coperture geodetiche rappresentano inoltre il sistema ottimale con il quale Nervi ha perseguito una personale ricerca mirata alla definizione di grandi luci di copertura a spessore ridotto. Questi sistemi di copertura rappresentano per Nervi la miglior espressione architettonica in quanto perfetta sintesi tra funzioni statiche e esigenze economiche».
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Ogni ultimo giovedì del mese
ROMAGNA & DINTORNI CULTURA il nuovo giornale in distribuzione in tutta la Romagna come supplemento a cadenza mensile di Ravenna&Dintorni. R&D CULT nasce per mettere in circolazione e in evidenza le manifestazioni e realtà artistiche, teatrali, letterarie, architettoniche ed enogastronomiche delle province di Ravenna, ForlìCesena e Rimini verso i loro pubblici potenziali, una platea vastissima che conta oltre un milione di abitanti.
Appuntamento con il prossimo numero
il 26 marzo 80mila copie a diffusione gratuita Ravenna - Forlì - Faenza - Cesena - Rimini marzo 2015
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La Colonna dei Francesi
fra oblio e memoria
Le complesse vicende del “pilastro“ eretto sulle rive del fiume Ronco nel 1557 dal vescovo Pietro Donato Cesi – Presidente della Romagna – a memoria della sanguinosa Battaglia di Ravenna del 1512 di Serena Simoni*
La colonna dei Francesi per molti costituisce una memoria ancorata all'infanzia, quando il monumento sul fiume Ronco, situato poche centinaia di metri dopo il ponte della Cella, era meta di visite degli alunni delle elementari. Più recentemente, nel 2012 la colonna - o meglio il pilastro, come si dovrebbe dire per fedeltà alla sua forma reale - è stata oggetto di un rinnovato interesse in occasione del quinto centenario della battaglia di Ravenna. In questo contesto, il monumento è stato oggetto di una rilevazione attraverso scansioni a 3D e fotogrammmetrie digitali da parte dell'Università di Bologna e di un restauro condotto dall'architetto Paola Perpignani del laboratorio di Ravennantica. Alcune relazioni presentate nel convegno internazionale dedicato alla battaglia del 1512 hanno proposto nuove interpretazioni del monumento, che per la prima volta è stato visto in relazione alla storia del committente e del contesto ravennate, ridefinendo i motivi della sua nascita e dando una spiegazione ai cicli di bassorilievi che adornano le superfici. Fino a tre anni fa si sapeva che la colonna era stata innalzata nel 1557 per ordine del vescovo Pietro Donato Cesi, Presidente della Romagna, a memoria della sanguinosa battaglia fra l'esercito ispano-pontificio in difesa della città e quello franco-ferrarese, avvenuta circa 45 anni prima. Oltre a queste brevi notizie, l'analisi delle epigrafi che nar-
La Colonna dei Francesi prima dell’intervento dei restauri del 1972 (Ravenna, Archivio Celso Ceroni)
rano gli eventi salienti dello scontro e del sacco di Ravenna non si è mai estesa alle decorazioni a bassorilievo. Per queste, la critica si è limitata a notare alcuni influssi stilistici del classicismo e il fatto che la forma del monumento - un pilastro ionico isolato - è un unicum, da considerare come una licenza al gusto eccentrico del Manierismo. Fra le informazioni ripetute nel tempo si è inoltre sostenuto che la collocazione originaria fosse circa a 50 metri all'interno della campagna e che il trasferimento sull'argine doveva essere avvenuto subito dopo l'esecuzione o, secondo altre fonti, verso il 1842 allo scopo di rendere visibile la stele ai passanti. Le ricerche hanno dimostrato che la storia è molto più intricata, così come più complessa risulta la figura del committente Pietro Donato Cesi, rampollo di una illustre famiglia che a Roma possedeva una collezione di antichità seconda a quella papale e che intratteneva rapporti con Michelangelo, Rosso Fiorentino e Antonio da Sangallo il giovane. Fin dagli esordi il vescovo aveva seguito le orme familiari: colto e amante delle arti, Cesi ha un posto d'onore nella storia dell'arte italiana per il rapporto con Vasari e l'attività di mediazione per alcune committenze papali, ma ancor di più è noto per aver legato il suo nome all'immagine del centro di Bologna. Grazie a lui venne rifatta la nuova sede dell'Università nel Palazzo dell'Archiginnasio ed eretta la facciata dei Banchi, il nobile fondale di Piazza S. Petronio. Fu sempre Cesi - Vicelegato a Bologna fra il 1560 e il '65 - a far innalzare due dei maggiori simboli di Bologna: la cosiddetta Fontana Vecchia in via Ugo Bassi e quella famosissima del Nettuno, opera di Giambologna e Laureti. Già queste opere sono sufficienti a gettare una nuova luce sul committente della colonna, voluta da Cesi non solo per
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Sopra: il sollevamento della colonna durante i restauri del 1972 (Archivio Celso Ceroni). In basso: la rilevazione effettuata dall’équipe dell’Università di Bologna nell’aprile 2012 (foto Enzo Pezzi)
ricordare tutti i caduti del 1512 senza distinzione di appartenenza, ma anche i morti di un'altra lunga serie di scontri in cui Girolamo Rossi aveva riconosciuto i contorni di una vera "guerra civile". Lo scontro per il potere fra le famiglie guelfe e ghibelline dell'intera Romagna aveva visto ogni sorta di efferatezze pensabili, impedendo di fatto alla Chiesa di controllare per decenni il territorio. Cesi riuscì a conciliare i due schieramenti nel 1562 a seguito di una loro improvvisa unione contro Ranuccio Farnese, l'arcivescovo di Ravenna che possedeva i mulini e le dighe individuate come la causa principale delle gravi e frequenti inondazioni del ravennate. Per la prima volta d'accordo dopo quasi 50 anni, i ravennati distrussero le dighe del Farnese, ma fu solo grazie all'intervento di Cesi che la città superò una grave accusa di ribellione contro il papa. In cambio dell'aiuto, Cesi ottenne una pace fra guelfi e ghibellini, di cui la stele ricorda gli impegni assunti in giuramento. Il motivo per cui il monumento non venne direttamente dedicato a questa vittoria diplomatica è chiaro: nonostante la pace fosse importante perché insperata e poi estesa a tutta la Romagna, di fatto non si poteva celebrare un avvenimento collegato ad un'insurrezione armata contro il papa e il suo vicario, appartenente per di più ad una delle famiglie più potenti d'Italia. Si aspettò quindi la fine del processo (1564), il perdono papale e del Farnese, e che anche le ultime famiglie resistenti si adeguassero al nuovo corso politico.
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A sinistra: Bella gerant alii (emblema del Cardinale Francesco Gonzaga), da G. P. Pittoni, Imprese, 1566 A destra: Tanto uberius (emblema del Cardinale Guido Ferrero), da G. P. Pittoni, Imprese, 1566
Per questi motivi, le iscrizioni descrivono gli avvenimenti sottolineando il sangue versato e ribadiscono nella data - il 12 aprile, giorno successivo alla battaglia - la punizione a cui venne sottoposta la comunità col sacco. Agli storici del tempo - Tomaso Tomai, Girolamo Rossi - che spesso mettono in connessione il sacco di Ravenna del 1512 con l'esito delle faide civili, non dovevano essere sfuggite alcuni parallelismo fra i due avvenimenti: in entrambi i conflitti si erano opposti cristiani - i francesi contro gli spagnoli, rispettivamente legati per tradizione agli schieramenti guelfi e ghibellini - mentre le chiuse abbattute si trovavano nei territori a controllo fazioso, legate in passato alla battaglia del 1512: presso la chiusa delle Gattinelle poste sotto il controllo guelfo, 50 anni prima si erano accampati i generali francesi, mentre sul Ronco, zona di controllo ghibellino, si trovavano gli accampamenti degli spagnoli. Il linguaggio simbolico e allusivo utilizzato nelle immagini era molto diffuso in questa epoca e perfettamente conosciuto da Cesi che si era laureato con Alciati, uno dei maggiori autori di emblematica. Ancora a Bologna, il vescovo aveva dimostrato un vivo interesse nei confronti dei simboli e delle allegorie, soprattutto nei contesti artistici
che aveva creato. Se il motivo classicista delle candelabre - serie di anfore e vasi antichi sovrapposti - era già stato ampiamente utilizzato anche nelle cappelle funebri di tutta Italia, i riferimenti al sacrificio eucaristico traspaiono nell'utilizzo di simboli tradizionali come anforette, grappoli d'uva e spighe. Numerosi sono i simboli militari che alludono ai caduti, ma in posizione evidente è il rilievo di un uccello circondato da un ramo di palma e da un tronco di ulivo da cui esce un pollone: gli stessi simboli compaiono illustrati in un libro di emblematica pubblicato da Giovanni Battista Pittoni nel 1566, in associazione alle virtù dell'uomo forte che sceglie la pace. Fra numerosi altri accostamenti a simboli di amore e pace - anforette e crateri da cui si sprigionano le fiamme dell'amore divino - su una delle sommità viene posto un agnello sacrificale avvolto dalle fiamme, secondo una citazione biblica tratta dal primo libro di Samuele. In preciso riferimento a questa immagine, il sacrificio dell'agnello viene celebrato per implorare il perdono dei peccati commessi, sul piano contemporaneo quelli di cui si erano macchiati i ravennati nel corso delle faide civili. Eseguita probabilmente fra il 1566 e l'anno seguente da uno scultore attivo in città - da individuare forse in Fran-
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> L’autrice della ricerca *Serena Simoni è l'autrice della ricerca, poi confluita nel volume, La colonna dei Francesi. Arte e storia nella Romagna del 500 (con una prefazione di Alberto Giorgio Cassani e un'appendice con gli inediti Commentari di Vincenzo Carrari), pubblicato da Longo Editore nel 2014. Ravennate, docente di Storia dell’Arte. Serena Simoni dopo alcuni anni di attività come esperta e curatrice di rassegne nel campo dell'arte contemporanea, dal 2000 si è dedicata allo studio dell’arte del ’500, soprattutto in ambito romagnolo. In collaborazione con l’Università di Bologna dove ha insegnato, si è occupata di didattica disciplinare e del rapporto fra storia dell’arte e identità di genere. Oltre ai numerosi interventi per la rivista "Romagna Arte e Storia", si segnalano le pubblicazioni: Didattica della storia dell’arte e prospettiva di genere, in Insegnare storia dell’arte (2009); San Giuseppe. Iconografie di un padre, in Babbo mio (2009); Un monumento per due paci. Storia, arte e committenza della Colonna dei Francesi, in 1512. La battaglia di Ravenna, l’Italia, l’Europa (2014). Ha curato il libro Spigolando ad arte. Ricerche di storia dell’arte nel territorio ravennate (2013) a cui è stato assegnato il Premio Guidarello. Per questa rivista Serena Simoni ha avviato nel febbraio 2015 una sezione dedicata all'arte, agli artisti e ai musei della regione.
In basso, a sinistra: Colonna dei Francesi, particolare con colomba fra un ramo di palma e un tronco di ulivo con pollone, lato ovest. A destra: Colonna dei Francesi, particolare col sacrificio dell’agnello, lato est
cesco Passonichi - col tempo si perse memoria dei motivi che avevano sostenuto la creazione della stele, anche a causa al silenzio forzoso che le fonti ravennati calarono sulle lotte civili. Ancora alla fine del '600, lo storico Serafino Pasolini dichiara di non volerne parlare per non ravvivare gli odi nella comunità. Della stele se ne parlò quindi poco o nulla se non in relazione al luogo della battaglia, fino a quando il monumento cominciò a significare tutt'altro: è dalla fine del '600 che soprattutto i viaggiatori stranieri - in particolare francesi - cominciarono ad associarlo alla morte di Gaston de Foix, il giovane comandante, nipote del re, caduto sul campo. La "colonna dei Francesi" divenne da allora un termine talmente comune da spingere i ravennati ad abbatterla nel 1796, per paura del risentimento delle truppe napoleoniche in avvicinamento alla città. Nonostante questo episodio, fin dall'inizio del '600 le fonti iconografiche, cartografiche e le descrizioni dei viaggiatori la indicano sempre nello stesso luogo fino al 1972, quando la zona venne sistemata e si creò un basamento cubico che innalzò la stele di un metro, arretrandola dalla sua posizione di 50 centimetri, ruotandola in asse in modo che fosse parallela alla carraia e infine spostandola di 1 metro e 30 in direzione di Ravenna (e non di Forlì come si pensa). Perduto il suo significato originario, il monumento è vissuto nei secoli con un carico semantico tutto sbilanciato verso la storia: dal '600 in poi la colonna è stata sempre considerata solo un segnale dei luoghi della battaglia e della morte di un eroe. Tutto ciò ha messo in ombra non solo il contesto primitivo, ma anche la sua essenza fisica di opera d'arte, imponendole un oblio che purtroppo riacquista luce solo in occasione delle ricorrenze storiche.
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CITTÀ E SOCIETÀ
Castiglione di Ravenna, molecola del mondo
> Il gruppo Donne in gioco di Castiglione di Ravenna a teatro (foto di Federica Caraboni)
> Interno del Teatro “Mazzini” di Castiglione di Ravenna (foto di Luca Di Giorgio)
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Intervista al gruppo delle Donne di Castiglione
«Bisogna amare lo spazio per descriverlo tanto minuziosamente come se vi fossero molecole di mondo» Gaston Bachelard, La poetica dello spazio
di Marina Mannucci
Le pratiche della vita, anche quelle quotidiane, danno forma alla politica. Una politica che parte dagli esseri umani, dai luoghi in cui vivono e li mette in relazione. Uno spazio del fare politica che il gruppo Donne in gioco di Castiglione è riuscito a rendere più ampio e diverso da quello istituzionale e che vive di relazioni plurali e differenze singolari. Da alcuni anni ho avuto modo di conoscere personalmente queste donne; di loro ho apprezzato da subito la volontà e la forza nel proporre e realizzare idee, esperienze e visioni per un mondo migliore; sono icone contemporanee dello straordinario protagonismo femminile della Romagna. Ottime organizzatrici di eventi, hanno saputo sfidare pregiudizi e divieti in situazioni spesso appannaggio dei soli uomini. Sono riuscite ad intrecciare le loro storie private alla partecipazione civica, alla vita sociale legata alla storia del tempo che stanno vivendo e alla geografia dei luoghi che abitano. Una fare semplice ma curato e coinvolgente, che mi piace definire surreale per la loro capacità di saper lottare contro “un destino senza luce” e contro “quella ragione che vuole piegare i migliori istinti umani”.
Chiedo a tre di loro di raccontarmi com’è nato, e come si sia sempre più allargato, negli anni, il gruppo Donne in gioco. Catia Gelosi (insegnante, Presidentessa Commissione cultura di Castiglione di Ravenna, ex Presidentessa della Circoscrizione di Castiglione di Ravenna, fulcro democratico del gruppo, spicca anche per un fantastico ciuffo di capelli tinto color arcobaleno) «Tutto è cominciato undici anni fa quando Marco Martinelli accettò di dar vita ad un laboratorio della non scuola anche a Castiglione di Ravenna. Abbiamo poi avviato laboratori di cinematografia con la produzione di documentari sulla Costituzione e sull’Unità d’Italia, sempre con giovanissimi. Dal 2006, con un gruppo di donne di varie età, abbiamo iniziato a riunirci con regolarità, per approfondire e discutere su temi di attualità; riflessioni che abbiamo tradotto in sceneggiature e che abbiamo interpretato pubblicamente. Dal 2007, ogni estate si realizzano laboratori teatrali con i giovani, nella splendida cornice del giardino di Palazzo Grossi».
Nel 2014 avete realizzato anche il documentario “Un mondo ritrovato. Voci di generazioni a confronto” regia di Fabrizio Varesco. Adriana Babini (infaticabile colonna portante del gruppo, sempre vigile ed attenta a cogliere le sfumature di attualità a carattere sociale verso le quali volgere le indagini conoscitive) «Sì, questo Progetto è stato sostenuto dall’Assessorato al Decentramento, dal Consiglio territoriale di Castiglione di Ravenna e dall’Associazione di volontariato il Budellone. Con Gianfranco Camerani, Federica Caraboni, Luciana Colle, Sara Fariselli, Catia Gelosi, Marco Ghirardelli, Desideria Grilli, Alberto Larovere e Alice Treossi abbiamo percorso in lungo e in largo tutto il territorio appartenente all’area di Castiglione, individuando alcuni personaggi caratteristici dei luoghi e di varie fasce di età, da riprendere e intervistare per una riflessione su come i paesi sono cambiati nel tempo e su quanto i giovani vivono la realtà del paese oggi». Catia Gelosi «Negli ultimi decenni i paesi hanno perso le caratteristiche che li animavano. Le campagne una volta erano grandi distese di campi coltivati a cereali, alberi da frutto e vitigni. In quei campi era un fiorire di voci di uomini e donne, nei cortili il silenzio era interrotto dagli schiamazzi dei bambini, mentre nelle strade risuonavano i cigolii delle biciclette e il rombo di qualche trattore. Vecchi e giovani convivevano senza distinzione nel paese, che era il loro mondo e il loro orgoglio e anche se per i giovani il paese a volte andava stretto, andarsene era sempre uno strappo doloroso. Oggi nei paesi non esistono più le sale cinematografiche, le arene estive, i piccoli negozi di artigiani, le “botteghe”, i vecchi mestieri e le balere, dove nascevano tante storie d’amore. Oggi nei paesi regna il silenzio, interrotto solo dal traffico delle auto, che fuggono o sostano brevemente per poi ripartire. Le campagne sono state snaturate da lottizzazioni sulle quali sono cresciute come funghi case dai colori e dalle forme improponibili: case dormitorio». Adriana Babini «Ci siamo quindi chieste: come vivono i giovani oggi il proprio paese? Lo frequentano, conoscono la sua storia? Sanno apprezzare le cose semplici
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CITTÀ E SOCIETÀ
> Laboratori realizzati da Donne in gioco (foto di Federica Caraboni)
che può offrire un paese, come un paesaggio, un profumo, i suoni della natura, il rumore del fiume... o preferiscono gli eccessi della città? E gli anziani che hanno vissuto queste trasformazioni, come vivono oggi il paese: rifugiandosi nei ricordi o nei rimpianti? Grazie alle risposte a queste domande, mettendo a confronto generazioni opposte, abbiamo pensato fosse possibile comprendere come il paese viene vissuto. Ci sono situazioni e persone che spesso rimangono invisibili, ma che formano il tessuto e l’ambiente in cui viviamo. Sono fatte di storie, di desideri, di necessità, d’idee, di sentimenti. Sono donne, uomini, ragazzi, bambini, anziani».
idee, trovare insieme modi di lavorare alternativi, aprirsi al nuovo sono stati tutti approcci imprescindibili per la buona riuscita di questo lavoro».
Federica Caraboni (giovane donna del gruppo; insieme ad altre/i ragazze/i è portatrice di un indispensabile pensiero contemporaneo che ha contribuito ad arricchire l’esperienza del gruppo, fotografa per passione, laureanda in Architettura) «Raccontare queste persone per conoscere il nostro territorio è stato un primo passo per capire cosa sta succedendo intorno a noi oggi e come potrà essere il nostro domani. Il documentario realizzato dal regista Fabrizio Varesco è stato il modo migliore per affrontare questo percorso d’indagine e conoscenza. Per raggiungere quest’obiettivo è stato fondamentale l’apporto di tutte le persone – donne ed anche uomini – che interagiscono con il nostro gruppo. Collaborare – dal latino “cum” e “laborare”, quindi “lavorare insieme” – è stato fin dall’inizio un’azione umana indispensabile per la buona riuscita dei nostri progetti. Condividere e scambiarsi informazioni e
Adriana Babini «Pensiamo che la formula del documentario permetta differenti sguardi sulla vita delle donne e sulla loro presenza nel mondo: nel lavoro, nel sociale e in famiglia. Attraverso un approccio storico-antropologico avremo la possibilità di guardare indietro e ricostruire, partendo da un tempo che non è quello presente, la storia contemporanea delle donne».
Quali i progetti per il futuro? Catia Gelosi «Abbiamo da poco avviato un nuovo tavolo di lavoro per raccogliere idee e riflessioni per un prossimo documentario sempre a cura del regista Fabrizio Varesco. Il tema che intendiamo approfondire attraverso questa indagine sarà: Dalla donna del focolare alla donna del microonde».
Federica Caraboni «Il cortometraggio, attraverso le testimonianze dirette, ha la capacità di contrastare i luoghi comuni ed arricchire e far conoscere la vita sociale e privata delle donne. Questo grazie alla “grammatica” delle produzioni audio-visive, e cioè agli elementi che lo compongono: le riprese, i dialoghi, le fonti usate, il contesto sociale, i temi che possono essere sollevati. Il cambiamento del ruolo della donna è ben documentabile anche attraverso le inquadrature: mano a mano che passano gli
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anni le donne sono sempre meno soggetti ai margini, e riempiono la scena».
«Mi sento che sono in realtà una donna che viene da lontano» HANNAH ARENDT/MARTIN HEIDEGGER, “Lettere 1925-1975) e altre testimonianze”, a cura di Massimo Bonola, Torino, Edizioni di Comunità, 2001, p. 54
Negli ultimi decenni abbiamo assistito al fenomeno dell’urbanizzazione totale del mondo che ha prodotto a sua volta nuove forme di mobilità ed ha modificato lo spazio fisico di città, borghi e villaggi anche del nostro territorio. Un fenomeno che ha prodotto la comparsa e l’estensione, lungo le vie di comunicazione, i fiumi e le coste marittime, di quelli che il demografo francese Hervé Le Bras ha definito “filamenti urbani”. Il terreno sociologico, in cui si evidenzia questo passaggio conflittuale ed anche la creazione di nuovi modi del vivere, è rappresentato dalla città. Fino alla seconda rivoluzione industriale, il tessuto cittadino era suddiviso in un centro residenziale ed in una periferia operaia, cosa che garantiva la permanenza di vincoli comunitari. Con l'avvento del consumismo avviene la fine di ogni spazio specifico, sostituito da un agglomerato di soggetti soli e sradicati, che si muovono sulle direttrici del consumo e dello spettacolo (supermercati, multisale, parchi di divertimento, ecc.). A ri-
Laboratori realizzati da Donne in gioco (foto di Federica Caraboni)
schiare di essere distrutta è in primo luogo la cittadinanza come condizione morale, intellettuale, politica. In ogni caso, finché le nostre città, i nostri paesi, i nostri borghi continueranno ad ospitare cittadine come questo gruppo di donne di Castiglione capaci di interpretare, e quindi combattere, la mutazione genetica che stanno subendo, si può sperare che la gente sappia invertire il trend suburbano della nostra civiltà, e riportare le arti civiche al centro delle cose. L’unità urbana a dimensione umana, con la sua bellezza e il suo potenziale, è ancora in grado di offrire soluzioni originali alla crisi dell’attuale sistema. Arte, pensiero e architettura sono riferimenti indiscussi dai quali partire per costruire nuove nozioni interpretative. Se pur in modo a volte confuso ed ancora frammentario, anche le giovani e i giovani stanno sviluppando nuove forme per eliminare il dominio della logica mercantile-utilitaristica sostituendola con la libera cooperazione comunitaria; tentativi di umanizzazione per rendere vivibili spazi che hanno ricevuto in eredità e che hanno subìto pesanti mutazioni genetiche tutt’ora in corso. Gli aspetti che, apparentemente, rappresentano la vera motivazione per cui si decide di restare a vivere in una località piuttosto che in un’altra sono, di solito, le condizioni economiche e la disponibilità di lavoro. Tuttavia questi elementi, sicuramente fondamentali, non sono gli unici a determinare prospettive di rinascita o ad innalzare in maniera incisiva la qualità della vita. La sicurezza economica, da sola, non basta: a farci vivere convintamente in un luogo sono le sue implicazioni culturali, gli intrecci sociali sviluppatisi, i legami consolida-
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CITTÀ E SOCIETÀ
Un breve excursus sul lavoro del gruppo Donne in gioco di Castiglione
2007 Viene avviato a Lido di Classe il Festival Naturae, che ha come principale obiettivo la valorizzazione dell’ambiente naturale della località turistica ravennate. Promosso dall’Assessorato al Decentramento del Comune di Ravenna e organizzato dall’Associazione Culturale Solaris. Il Festival propone giornate dense di eventi rivolti ad indagare il rapporto tra l’uomo e la natura. 2008 Pubblicazione e presentazione del libretto Chikungunya City Ovvero Castiglione di Ravenna al tempo del virus, realizzato da un gruppo di lavoro formato da operatori del Centro Gioco Natura Creatività La lucertola del Comune di Ravenna, da insegnanti e dalla Circoscrizione di Castiglione. L’obiettivo, documentare il “caso Chikungunya”, il primo focolaio autoctono verificatosi in Europa “dalla parte dei bambini”. 2009 Minnie la Candida. Il Teatro delle Albe, in collaborazione con la Circoscrizione di Castiglione di Ravenna, presenta il laboratorio non-scuola della Comunità Trans di Lido di Classe. Un laboratorio quasi “clandestino” tenutosi a Lido di Classe, che vede protagoniste quattro transessuali brasiliane che si misurano per la prima volta con il teatro. 2009 In occasione delle celebrazioni del 64° anniversario della Liberazione, i ragazzi dell’Associazione di Volontariato “il Budellone” presentano il loro cortometraggio sulla Costituzione dal titolo Il libretto delle istruzioni. La discussione degli articoli della Carta costituzionale ha permesso ai ragazzi di svolgere un’accurata riflessione e un confronto con la realtà d’oggi e di raccoglierla nel cortometraggio. 2010 Presentazione del libretto Un filo di libertà. Storie di donne a confronto, percorso di scrittura autobiografica condotto dall’Associazione Asja Lacis. 2010 La lezione di diritto, cortometraggio e libretto realizzati dal gruppo di adolescenti che hanno partecipato al laboratorio invernale condotto da Matteo Bezzi e Gerardo Lamattina, svolto in collaborazione con l’Assessorato Politiche Giovanili. 2010 Nonni tra passato e presente, performance teatrale a cura del gruppo Donne in gioco. 2011 Prove di Unità, cortometraggio dedicato al 150° anniversario dell’Unità d’Italia, realizzato dai ragazzi di Castiglione. Una riflessione che ha portato alla luce le diverse idealità dei ragazzi. 2011 Presentazione performance dal titolo Un arcipelago di parole. Libere riflessioni di donne, spettacolo conclusivo di un laboratorio autogestito di autobiografia del gruppo “Donne in gioco”. Il gruppo è stato istituito con l’obiettivo di discutere, fra donne, di problematiche attuali e, su queste, confrontarsi. Dal 2012 è stato avviato il Laboratorio Teatrale “Teatro Perché”, un gruppo che coinvolge bambini, ragazzi, famiglie e singoli adulti con la passione comune del teatro. In collaborazione con, Ravenna Teatro e l’assessorato al Decentramento del Comune di Ravenna, organizza ogni anno il concorso di recensioni teatrali “Critici per caso” con lo scopo di sollecitare nei partecipanti lo spirito di osservazione e la capacità di analisi di una rappresentazione. 2013 Pubblicazione del libretto 50 sfumature di …rosa. 50 modi o forse più di essere donna, realizzato dal gruppo “Donne in gioco”. 2014 Il gruppo castiglionese “Donne in gioco” presenta lo spettacolo T’hè vlù la biciclèta? Pidela! Donne resistenti di ieri e di oggi, in collaborazione con l'associazione Solaris. Ospite d’eccezione, Lea Bendandi, detta “Sultana”. 2014 realizzazione del documentario Un mondo ritrovato. Voci di generazioni a confronto. Progetto che ha visto impegnati un gruppo di volontari dell’area sud del Comune di Ravenna. Capitanati dal regista Fabrizio Varesco e sostenuti dall’assessorato al Decentramento, dal consiglio territoriale di Castiglione di Ravenna e dall’associazione di volontariato il Budellone. Si è percorso in lungo e in largo tutto il territorio appartenente all’area di Castiglione, individuando alcuni personaggi caratteristici dei luoghi e di varie fasce di età, da riprendere e intervistare per una riflessione su come i paesi siano cambiati nel tempo e su quanto i giovani vivano, oggi, la realtà del paese.
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Laboratori realizzati da Donne in gioco (foto di Federica Caraboni)
tisi, il cosiddetto ”appaesamento”. I paesi del nostro territorio hanno perso l’organizzazione territoriale che li contraddistingueva, in grado di intrecciare perfettamente ambiente naturale e ambiente antropico. Per incentivare la permanenza di comunità in questi “nuovi paesi”, oltre ad una sempre migliore dotazione di servizi primari ed a un’attenta analisi di progettazione urbana, le Donne in gioco di Castiglione di Ravenna hanno colto la necessità di puntare su una rinnovata importanza attribuita agli elementi culturali, in quanto ciò che contribuisce maggiormente alla coesione e allo sviluppo armonico della società. Lo stimolo, infatti, va ricercato negli individui, nella loro forza generatrice capace di superare ostacoli a prima vista insormontabili, riattivando relazioni vitali e solidaristiche, al di là di sterili appartenenze politiche o partitiche. Dal documentario Un mondo ritrovato. Voci di generazioni a confronto, con la regia di Fabrizio Varesco, si evince che la vera sfida che potrebbe salvare paesi, borghi e frazioni è la ricerca delle ragioni affettive, intime, implicite o esplicite che legano le persone a questi luoghi, quel qualcosa che, nonostante difficoltà, frustrazioni e fatiche spinge a restare e a non abbandonare. L’avventura del restare non è meno decisiva e fondante dell’avventura del viaggiare. Le due avventure sono complementari, vanno colte e narrate insieme. Restare non è una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità; restare è un’av-
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ventura, un atto d’incoscienza e, forse, di prodezza. Una fatica. È forse una forma estrema del viaggiare che può trasformarsi in arte, in invenzione; un esercizio per mettere in crisi le retoriche delle identità locali. Interrogarsi sul senso del restare, nell’epoca della modernizzazione globale, può trovare risposte solo attraverso l’esercizio di uno sguardo nuovo che permetta di realizzare potenzialità inespresse del passato, recuperare la profondità del presente e aprire al futuro: «Reminiscences of self are reminiscences of place, and how he positions himself in it, navigates around it» (Le reminiscenze di sé sono reminiscenze di luoghi e di come ci si colloca rispetto a questi luoghi, come si naviga intorno ad essi), scriveva Susan Sontag.
«Per riconoscere gli uomini fu necessario isolarli. Ma dopo averne fatto lunga esperienza è giusto porre ogni singola contemplazione di nuovo in rapporto con le altre e accompagnare con sguardo ormai maturo i loro più ampi gesti» Rainer Maria Rilke, Appunti sulla melodia delle cose, 1897
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CITTÀ SOSTENIBILE
Costruire sostenibile, abitare consapevole Certe nuove idee sono l’unica materia prima inesauribile
Vediamo qui di seguito alcuni dei fattori prioritari nell’edilizia sostenibile: • la riduzione del fabbisogno energetico • la riduzione al minimo dell’uso dei mezzi di produzione • l’impiego di materiali e componenti edilizi riciclabili • l’eliminazione o la riduzione al minimo dei tragitti e dei costi di traporto per i materiali e i componenti edilizi • la reimmissione dei materiali utilizzati nel ciclo dei materiali naturali senza rischi e senza danni per l’ambiente • le possibilità di riuso • la salvaguardia degli ambienti naturali • la riduzione delle superfici costruite La sostenibilità riguarda l’edificio nel suo insieme, per il quale deve essere trovata una soluzione per l’intero ciclo di vita che sia compatibile con l’ambiente, salvaguardi le risorse e contemporaneamente risulti anche economica. La fase che incide in misura maggiore sulla sostenibilità di un edificio è il progetto preliminare. A questo livello si stabilisce ad esempio se l’edificio soddisfa i requisiti ottimali per quanto riguarda l’irraggiamento solare o la ventilazione. Per questo scopo è necessaria un’attività di progettazione integrata che prenda in considerazione tutti i fattori rilevanti per l’ambiente, già in fase di definizione della struttura. Va aggiunto che è indispensabile che un’architettura sia ben progettata perché solo gli edifici ben accolti dalla collettività hanno una lunga durata d’uso e di conseguenza un ciclo di vita sostenibile. Oltre a soddisfare i requisiti funzionali, un edificio deve sempre avere una forma il più possibile gradevole e “senza tempo”. A questo proposito vale il principio di cercare di ottenere, attraverso un impiego ottimale dei ma-
teriali costruttivi, da un lato una struttura più efficiente in senso energetico, dall’altro un’accattivante combinazione di materiali coerente che emani un fascino particolare. Sotto questo aspetto i materiali (sia quelli già collaudati, sia quelli più innovativi) possono dare vita a una nuova estetica e riportare la dimensione del costruire al centro della creatività architettonica. Se si vuole far progredire il mondo dell’edilizia verso un maggior grado di efficienza energetica e di sostenibilità non è sufficiente compiere progressi significativi nella scelta dei materiali e dei sistemi costruttivi; è indispensabile curare anche la formazione, mediante corsi di aggiornamento. In tutti gli istituti superiori a indirizzo tecnico e le università dove siano presenti insegnamenti di edilizia e impiantistica dovrebbe essere introdotto per lo meno un corso di edilizia sostenibile che abbia come materie fondamentali progettazione e tecnica delle costruzioni e come materie obbligatorie dell’indirizzo progettuale: fisica tecnica, energia, scienza dei materiali e progettazione impiantistica. Soltanto se si riuscirà a suscitare nelle giovani generazioni di tecnici l’interesse e la sensibilità verso un modo di costruire sostenibile e se nella formazione accademica si porranno basi solide per la conoscenza dei sistemi costruttivi, saremo in grado di padroneggiare le enormi sfide che la scarsità di energia ci porrà durante questo secolo. Costruire orientati al futuro richiede la capacità di attuare in modo coerente gli obiettivi della sostenibilità, il che può avvenire solo aumentando il coinvolgimento di soggetti qualificati del settore dell’edilizia. È una sfida affascinante e per poterla affrontare si dovranno riscoprire forme di bellezza non soggette alle mode del momento e prive di elementi superflui. Una bellezza che garantisca all’uomo il “diritto al sole” e un buon
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comfort abitativo sia termico che acustico, oltre a una migliore qualità dell’illuminazione e dell’aria. Le nuove idee unica materia prima inesauribile, devono essere applicate contemporaneamente su vari fronti: migliorare l’efficienza nell’uso dell’energia e delle risorse negli edifici, chiudere i cicli e ridurre al minimo le emissioni dannose e gli impatti sull’ambiente. La nascita del movimento ambientalista negli anni ottanta, la crescente consapevolezza presso strati sociali sempre più ampi dell’interdipendenza economica ed ecologica che unisce l’uomo e la natura, la sfera della vita e quella del lavoro, hanno prodotto un cambio di mentalità tra i progettisti e i committenti che ha contribuito alla rivalutazione del legno come materiale da costruzione. Questo materiale non si distingue soltanto per la sua elevata sostenibilità ma anche per la calda atmosfera e il particolare senso dello spazio che crea, aspetti che diventano sempre più determinanti al momento di deciderne l’acquisto Per migliorare l’efficienza energetica e la salvaguardia delle risorse è indispensabile progettare tenendo conto della natura di ogni materiale. A questo proposito è di importanza fondamentale la creazione di banche dati in cui siano reperibili varie tipologie di informazioni sui materiali da costruzione. Alcuni comparti produttivi non hanno ancora fornito i dati richiesti mentre per quanto riguarda i materiali da costruzione di origine minerale, gli isolanti, il legno e i prodotti derivati sono già disponibili molte informazioni. Una casa ecologica può far risparmiare circa il 70% di energia grigia rispetto agli edifici standard. I bilanci di CO2 degli edifici in legno e di quelli in calcestruzzo si presentano molto differenti. Ad esempio per un edificio adibito ad uffici di quattro piani interamente in legno il bilancio di CO2 indica che considerando la costruzione, il riscaldamento e la fornitura di energia elettrica per cinquanta anni vengono fissate 94 tonnellate di CO2, mentre un edificio standard in calcestruzzo e polistirene con caratteristiche simili è responsabile dell’emissione di 1.140 tonnellate della stessa sostanza. Resta da sperare che nei prossimi anni o decenni l’abitare ecologico ed economico acquisti un valore centrale. Nella nostra ricerca di un futuro che ci riservi un’altra qualità di vita dovremmo ricordarci sempre che l’energia e il clima devono diventare i due fattori strategici in grado di guidarci nella pianificazione e nella progettazione delle abitazioni. Ma un approccio sostenibile non deve limitarsi solo agli edifici. Processi di pianificazione sostenibile devono essere definiti e avviati anche a scala
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urbana e territoriale. Gli obiettivi di pianificazione urbanistica dei comuni e delle città dovrebbero servire da orientamento, delimitando il più possibile le aree da utilizzare. In questo modo non si garantirebbe solo una gestione parsimoniosa e rispettosa dei suoli edificabili ma anche la riduzione al minimo delle superfici urbanizzate e dei costi relativi. La trasformazione o il riutilizzo di un’area dismessa può addirittura accordarsi con i progetti di nuova edificazione. Nella pianificazione a grande scala devono inoltre essere rispettati i requisiti di legge relativi alla tutela ambientale e alla salvaguardia della natura. I gruppi arborei o altre forme di vegetazione esistenti dovrebbero essere, per quanto possibile, conservati. Anche l’integrazione nel contesto urbano è un principio particolarmente importante della pianificazione. A questo proposito si dovrebbe includere nel piano anche l’orientamento dei volumi costruiti e tenere conto del locale regime dei venti per assicurare la ventilazione naturale. Riutilizzare le strutture esistenti, al di là dell’energia grigia incorporata negli edifici, è più vantaggioso che costruirne di nuove, anche dal punto di vista economico. Questo principio non vale solo per le infrastrutture tecniche dell’edificio ma anche per la connessione alla rete dei trasporti. In generale è necessario ridurre al minimo i flussi veicolari ed evitare per quanto possibile di posizionare all’interno di un lotto le superfici destinate alle infrastrutture per il traffico. Inoltre si dovrà tenere conto delle misure di compensazione richieste dalle leggi di tutela della nature valorizzandole a livello urbanistico. Per la questione relativa all’approvvigionamento energetico è indispensabile redigere un piano regionale dell’energia, che deve indicare quali fonti rinnovabili possano essere sfruttate in modo ottimale, la loro localizzazione e come risolvere il problema dell’accumulo dell’energia. Questo perché le materie prime a basso costo per le grandi centrali a carbone, a gas e a olio combustibile si stanno esaurendo lentamente ma irreversibilmente e nonostante l’opposizione delle grandi società di produzione di energia elettrica, che rischiano di perdere così la loro posizione di monopolio, le grandi centrali vengono sostituite sempre più spesso da impianti solari ed eolici più piccoli e decentralizzati, combinati con le centrali termiche di quartiere per il teleriscaldamento. Nelle aree urbane si dovrà puntare sempre più su soluzioni decentralizzate per la generazione, la distribuzione e l’utilizzo dell’energia. Marco Turchetti [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com
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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
Tassi minimi, apertura sui mutui, sgravi fiscali sul settore casa Ecco le componenti che meritano credito per rilanciare il mercato L’analisi di Fiaip Emilia Romagna Nonostante non si sappia ancora quale direzione intraprenderà il mercato immobiliare, è indubbio che – sia l’abbassamento dei tassi di interesse al minimo storico, sia i provvedimenti inseriti nel decreto Sblocca Italia – possano costituire un primo, timidissimo segnale di attenzione nei confronti di un settore vitale per l’economia italiana. Per quanto non sia possibile prevedere gli effetti che il provvedimento determinerà sulla percezione e sulla performance dell’immobiliare del nostro Paese, siamo tuttavia consapevoli che la “ripresina”, confermata dall'aumento dei mutui erogati e dal rinnovato interesse da parte dei grandi investitori esteri nei confronti delle nostre offerte, non rappresenta ancora una vera e propria inversione di tendenza. Ecco perché diventa fondamentale per chiunque abbia intenzione di vendere o acquistare un immobile conoscere quali sono i fattori che possono influenzare l'andamento delle compravendite e dei prezzi del mattone. Sono: l’imposizione fiscale, l’andamento dell’economia in generale e l’accesso al credito. Sotto il primo profilo, le tasse sugli immobili, dall’Ici all’Imu (senza dimenticare Tasi, Tarsu, Tares e Tari, etc.), sono più che raddoppiate negli ultimi tre anni, mettendo ulteriormente alla prova un settore già indebolito dal calo delle compravendite. La Banca Centrale Europea, dal canto suo, ha recentemente annunciato l’introduzione di un piano di “quantitative easing”, ovvero un forte acquisto da parte della stessa BCE di titoli di Stato dalle banche europee, con lo scopo di immettere nuovo denaro nell’economia nella zona dell’euro e con l’obiettivo di tenere ai minimi i tassi di interesse, incentivare i finanziamenti bancari alle imprese e far crescere l’inflazione. Sul piano del quotidiano, venendo infine al terzo degli aspetti considerati, questo provvedimento dovrebbe favorire la disponibilità di prestiti alle famiglie e alle aziende: tenendo conto che i tassi di interesse resteranno con ogni probabilità ai minimi livelli, chi intende acquistare casa potrà dunque trarre un interessante vantaggio sia dalla scelta di un tasso variabile, grazie alla stabilità dei tassi nei prossimi anni, sia optando per il tasso fisso, che oggi si può negoziare a livelli mai visti prima. Vale inoltre la pena ricordare come la stipula di un contratto di mutuo ipotecario nel caso di acquisto, costruzione o ristrutturazione di una casa (purché adibita ad abitazione principale) preveda, entro alcuni limiti di legge, un'agevolazione fiscale consistente in una riduzione del 19% sugli interessi passivi e sugli oneri accessori. In que-
sto scenario, l’impegno del consulente del credito deve essere (anche) quello di interpretare correttamente dati e congiunture, alla ricerca di certezze e opportunità: dedicare il proprio tempo agli altri, cercando di trasferire competenze e conoscenze, rappresenta una strategia efficace e apprezzata per contribuire a ricreare quel clima di fiducia e positività indispensabile per ripensare, insieme agli operatori, un’idea di futuro sostenibile e condiviso. È proprio con questo proposito che la figura del “Collaboratore di mediatore creditizio” è stata altamente riconosciuta e regolamentata, con tanti “vecchi” operatori finalmente ricondotti a un assetto organizzativo che vede poche società operanti, ciascuna con un importante numero di collaboratori. Particolarmente forte è la responsabilità di controllo delle caratteristiche professionali ed etiche del Consulente, nonché l'onere della formazione continua: il tutto è poi ispezionato periodicamente dall'Organismo Agenti e Mediatori (OAM), istituito dalla Banca d'Italia allo scopo di tenere i registri di iscrizione degli operatori del settore e di vigilanza. Nella quotidiana interpretazione di una professione dalla forte componente relazionale, che ci pone ogni giorno a confronto con diverse prospettive di vita e aspirazioni al cambiamento, è nostro dovere non dimenticare che chi assume l’impegno di contrarre un mutuo, immaginando un percorso virtuoso di crescita che spesso coinvolge e responsabilizza la giovane coppia, compie una scelta di vita impegnativa e ricca di valori umani. Valori che, insieme all’immobile acquistato, costituiranno un secondo e preziosissimo patrimonio di esperienze in grado di crescere persone più forti, consapevoli e preparate alle sfide di ogni giorno. Gilda Gioia Bellei Area Manager per l’Emilia-Romagna di Auxilia Finance, società di mediazione creditizia di proprietà di Fiaip.
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