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n.103 GENNAIO-FEBBRAIO 2016 Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it

CASA PREMIUM .

n. 103 GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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BELLA CASA • CASA E STORIA • TOPOGRAFIA E QUARTIERI • CITTÀ E LIFESTYLE • DESIGN E MEMORIE • ARCHITETTURE • CITTÀ E SOCIETÀ

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contenuti

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casa bella casa

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La villa di Castel Raniero, ultima opera del maestro faentino Filippo Monti _____________________________________________________ di Paolo Bolzani

topografia e storia

città e quartieri

grand tour

Orti e corti: il “non edificato” dentro le mura ravegnane ________________________________________________ di Pietro Barberini

Zona stazione ferroviaria, confine fra terra e acqua, memorie e futuro della città ______________________________________________________ di Chiara Bissi

Simone Weil e le “grazie” di Ravenna visitate nel 1937) ______________________________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani

architetture e memorie

arte e architetture

design e lifestyle

città e società

Il miglio monumento a Dante, firmato da Camillo Morigia _________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani

L’arco cinquecentesco dell’antico Monastero di Porto, portale “nomade”da salvare _________________________________________________ di Serena Simoni

Le creazioni no border dell’eclettico Marcantonio Raimondi Malerba _____________________________________________________ di Sabina Ghinassi

Se la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ______________________________________________________________ di Marina Mannucci

Studio Effe 20 . Futura 21 . Gabetti 28 . Scor 28 . 29 . 30 . Happy Home 30 . Romagna 31 . Gesticasa 36 . Idea Casa 38 . Gecos 39 . Edilmax 42 . Ritmo 44 . Leonzi . Assocase 45 . Case d’Autore . Mondo Casa 46 . Solo Affitti . Mazzini 47 .

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Controcopertina

...Ecco apparire lo strumento che ci consentirà di scendere nel soggiorno, che chiamare “scala” sembra riduttivo. Con sovrana eleganza questa magica scultura-spazio in ciliegio scende in curva, bordata da un lato dall’altissima vetrata rivolta alla valle e all’interno da qualcosa che sembra ugualmente del tutto inadeguato e inopportuno definire come “parapetto”. Ogni gradino è dotato infatti di una forcella in acciaio inox satinato, stondata all’apice e morbidamente estroflessa verso il vuoto come mossa dal vento che sale dalla pianura.

Assistenza Tecnica

Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Sabina Ghinassi, Marina Mannucci, Domenico Mollura, Guido Sani, Serena Simoni, Marco Turchetti. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Restyling grafico: Gianluca Achilli Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Pietro Barberini, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani, Maurizio Montanari (e altre citazioni in pagina). Redazione: tel. 0544.271068 - redazione@trovacasa.ra.it

Editore:

Tel. e Fax 0545 85434 Cell.335 7862454

Edizioni e Comunicazione srl

viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it

idrotermicabaroncini@gmail.com

Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it

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CASA BELLA CASA


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L’ultima opera di

Filippo Monti Omaggio al maestro faentino, recentemente scomparso, con uno sguardo alla grande villa di Castel Raniero, chiusura in bellezza di un straordinaria carriera creativa di Paolo Bolzani

Iniziamo il 2016 celebrando Filippo Monti, figura d’eccellenza nel campo dell’architettura faentina, noto ben oltre, che ci ha appena lasciato il 15 dicembre 2015. L’occasione è la sua ultima opera, una villa costruita tra il 2010 e il 2012 sul versante del crinale di Castel Raniero rivolto al Lamone. Non lontano, sul crinale posto a ovest, si staglia il profilo ugualmente inconfondibile della villa Gargiulo – il Nautilus in mattoni – ultimata da Monti nel 2011 (vedi TC n.70/2011), l’anno in cui la città manfreda lo insigniva dell’onorificenza di

Anche in questa occasione l’architetto affronta con coerenza il rapporto con il contesto, un leggero pendio che dal crinale di Castel Raniero scende a fondovalle con una spianata di ulivi, al cui limitare si erge una sequenza di maestosi pini domestici

Faentino sotto la Torre. Anche in questa occasione Monti affronta con coerenza il rapporto con il contesto, un leggero pendio che dal crinale di Castel Raniero scende a fondovalle con una spianata di ulivi, al cui limitare si erge una sequenza di maestosi pini domestici. Fin dal vialetto di accesso avvertiamo la sensazione di essere davanti a qualcosa di molto particolare. Ad accoglierci è un cancello a tinta “viola-Monti”, il cui pilastrino sinistro, destinato al citofono e a incardinare l’anta pedonale, è punteggiato di vetrini a colori vivaci, che ci portano alla memoria la stessa gaia sequenza cromatica delle vetrate della

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CASA BELLA CASA

«Monti ha passato alcuni mesi sotto questa quercia», racconta il padrone di casa. «Portava un cappellaccio e stava seduto ad un tavolinetto dove disegnava schizzi e bozzetti di tutti i tipi, per capire la forma, ma soprattutto, lui diceva, per studiare la luce. Con lui ho trascorso tre anni bellissimi. Era una persona incantevole, oltre che geniale dal punto di vista professionale, ma di infinito spessore umano. Per spiegarmi un particolare era capace di disegnare con la matita da muratore direttamente sui listoni di legno»

Camera di Commercio di Ravenna e in cui ritroviamo lo stesso colore utilizzato anche nel cancello di villa Gargiulo. Il vialetto inizia a scendere, bypassa a sinistra la villa e si allarga in un grande prato a pendio, al termine del quale veglia una possente quercia, laddove il terreno torna brevemente ad essere pianeggiante, per accogliere lo scavo di una grande piscina. «Monti ha passato alcuni mesi sotto questa quercia», racconta il padrone di casa. «Portava un cappellaccio e stava seduto ad un tavolinetto dove disegnava schizzi e bozzetti di tutti i tipi, per capire la forma, ma soprattutto, lui diceva,


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La casa in realtà appare costituita sostanzialmente da due livelli: quello superiore è articolato dal parcheggio all’esterno e dalla zona notte all’interno; quello inferiore dalla zona living/cucina all’interno e dalla corte triangolare, all’esterno, su cui si affaccia un grande terrazzo delle camere da letto per studiare la luce. Con lui ho trascorso tre anni bellissimi e ho provato un piacere immane a lavorare insieme. Perciò mi riterrò fortunato fino alla fine dei miei giorni. Era una persona incantevole, oltre che geniale dal punto di vista professionale, ma di infinito spessore umano. Per spiegarmi un particolare era capace di disegnare con la matita da muratore direttamente sui listoni di legno». La villa in realtà nasce dall’adattamento di un fabbricato esistente, ampliato nell’occasione con un gesto del tutto fuori dal comune: un gesto compositivo, forte e deciso, ma pieno di eleganza, che disvela subito un sapiente gioco di incastri di forme pure, derivante dall’intersezione di un quadrato e di un triangolo, avvolti dalla grande curva di un cerchio circoscritto. Il quadrato è un modulo interno, in cui si trova la zona notte al primo piano, coperto da pannelli solari e fotovoltaici, e la cucina con un salotto-biblioteca al piano terra. Il triangolo è una corte na-

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CASA BELLA CASA

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Mentre ci sporgiamo sull’ampio spazio del living, ecco apparire lo strumento che ci consentirà di scendere nel soggiorno, che chiamare “scala” sembra riduttivo. Con sovrana eleganza questa magica scultura-spazio in ciliegio scende in curva, bordata da un lato dall’altissima vetrata rivolta alla valle e all’interno da qualcosa che sembra ugualmente del tutto inadeguato e inopportuno definire come “parapetto”. Ogni gradino è dotato infatti di una forcella in acciaio inox satinato, stondata all’apice e morbidamente estroflessa verso il vuoto come mossa dal vento che sale dalla pianura scosta, che nasce dalla cucina e si allarga verso sud creando uno spazio segreto, al culmine della quale ci si affaccia a sorpresa sulla vallata, che può essere ammirata più comodamente stando seduti attorno ad un tavolo in ferro collocato opportunamente in questo punto. I vari elementi sono avvolti da un potente gesto circolare quasi interamente vetrato e bordato da un eccezionale infisso in legno scuro, protetto da una copertura piatta (che in realtà cela un manto in coppi), leggermente inclinata verso la vallata mentre si adegua al segno della vetrata sottostante e segnata un cornicione costituito dall’alternanza di listelli di marmo bianco Carrara e verde Alpi, colori molto amati dal maestro faentino. Monti soprassiede al progetto ma è sempre in cantiere, punto di riferimento imprescindibile. «Tracciava il segno delle linee curve – riprende il racconto del padrone di casa – con uno spago legato ad un chiodo piantato nel terreno». La casa in realtà appare costituita sostanzialmente da due livelli: quello superiore è articolato dal parcheggio all’esterno e dalla zona notte all’interno; quello inferiore dalla zona living/cucina all’interno e dalla corte triangolare, all’esterno, su cui si affaccia un grande terrazzo delle camere da letto. L’ingresso viene segnalato da una mordida introflessione della vetrata, prima di estroflettersi nella discesa verso il pianoro, complice la pavimentazione esterna che qui mostra un disegno di invito, rigorosamente curvo come quasi tutte le linee qui adottate. Entriamo, accolti da un parquet di ciliegio, essenza che ritroveremo in tutto gli spazi principali. Il padrone di casa ci svela la presenza del guardaroba, situato a destra accanto a una parete in listelli cilindrici in legno laccato bianco, assemblati in sequenza, mentre apre una singolare porta celata nel rivestimento e denunciata solo dalla terminazione a quarto di cerchio. Ben presto scopriremo come il motivo listellare bianco a tutt’altezza costituisca lo strategemma utilizzato ovunque per risolvere il tema delle porte senza declinarle come tali. In realtà il gesto è ancora più interessante, allorché vediamo come porta e parete poggino sul primo gradino della breve rampa di scale che invita a proseguire diritto davanti a noi, per inoltrarsi nel sinuoso corridoio alla volta della zona notte, dove scopriremo come anche la parete interna della camera matrimoniale si arrenda alla “tirannia” della linea curva, staccandosi dal soffitto come una vela, mentre la copertura prosegue inclinata nello spazio armadi-spogliatoio. Le camere da letto godono dell’affaccio verso la vallata con un vasto


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CASA BELLA CASA

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terrazzo, protetta da un parapetto in cristallo retto da un profilo i ferro e pavimentato in listelli alternati di cotto Impruneta della Sannini, qui per la prima volta utilizzato spaccando a metà il pezzo e posandone sia la faccia liscia che l’interno rugoso. Mentre torniamo all’ingresso, un colpo d’occhio al bagno ci conferma, se avessimo ancora dei dubbi, la programmatica adesione al tema della curva, a partire dallo specchio e dal porta asciugamani, disegnato dal progettista, mentre la bicromia del cornicione esterno qui assume una connotazione più morbida, in bianco alternato a listelli rosa-arancio in cotto, che ritroveremo anche nel bagno al piano sottostante e nella cucina che vi si trova affiancata. Ma manca ancora il pezzo migliore, che ha origine dall’ingresso, in cui inizia un percorso del tutto spettacolare. Nel momento in cui ci si affaccia sulla sottostante zona living, ecco apparire una vasta area definita in pianta dalla figura di uno spicchio di cerchio, vetrato a tutt’altezza lungo la linea curva che consente allo sguardo di spaziare fino dall’altra parte della vallata. Le sorprese non sono finite. Mentre ci sporgiamo sull’ampio spazio, ecco apparire lo strumento che ci consentirà di scendere nel soggiorno, che chiamare “scala” sembra riduttivo. Con sovrana eleganza questa magica scultura-spazio in ciliegio scende in curva, bordata da un lato dall’altissima vetrata rivolta alla valle e all’interno da qualcosa che sembra ugualmente del tutto inadeguato e inopportuno definire come “parapetto”. Ogni gradino è dotato infatti di una forcella in acciaio inox satinato, stondata all’apice e morbidamente estroflessa verso il vuoto come mossa dal vento che sale dalla pianura. Mentre ammiriamo questo bellissimo “collegamento verticale”, il padrone di casa racconta un aneddoto molto importante per illustrare quanto l’architetto Monti abbia giusta consapevolezza di sé. «Ero appena tornato da un viaggio a Barcellona – racconta il nostro fortunato proprietario – e con mia moglie gli mostrai la scala di Casa Batlló di Gaudì. Rimase per un po’ di tempo in silenzio a guardare le immagini, poi disse: “l’è mei la nostra”». Scendiamo lungo questo gigantesco oggetto d’arte, una breve sosta per rendere omaggio al grande bardo di queste terre, Alfredo Oriani, raffigurato in una piccola scultura di bronzo collocata circa a metà rampa e sbarchiamo nello spazio living, particolarmente confortevole per la presenza di un doppio impianto di climatizazione, a pavimento e a soffitto. Il primo spazio ad accoglierci è la zona-pranzo, imperniata su un tavolo rotondo di Eero Saarinen in marmo marezzato, con corona di sedie in plexiglass Philippe Stark, segnalata da un quadro rosso di Michele Greco da S. Pantaleo e dal grande vaso fusiforme di Piero Pizzi Cannella. Il centro del living è dominato da un grande divano bianco a L, vegliato da una grande tela di Arcangelo insieme ad un quadro di Marco Tirelli e collegato da un basso mobile scuro recante lo schermo tv posizionato lungo la vetrata antistante. Oltre, ecco un’area conclusiva con tavolo della Fiam in cristallo e mobili di famiglia e antiquariato. La sontuosità del salone del soggiorno/pranzo trova un’ulteriore occasione per espandersi, scavando sotto la scala e l’ingresso, e conformando osmoticamente lo spazio fino a creare una saletta raccolta attorno ad un camino cilindrico, bordata da una libreria magicamente autoilluminata, che si sviluppa lungo una parete curva che segue la linea della grande vetrata del living. Da questa saletta scopriremo come sia possibile raggiungere, percorrendo un sinuoso corridoio viola, un’altra saletta biblioteca/studio, il bagno di servizio alla zona giorno e la cucina, collegata alla zona pranzo del salone tramite una grande porta vetrata a due ante in omaggio alla circolarità dei percorsi. La cucina si mostra in realtà declinata in maniera molto sobria e funzionale, anche per la presenza di un piano cottura a induzione, nonostante il rivestimento bicromo bianco/rosa-arancio. Ma è omaggiata da un’altra grande vetrata che la mette direttamente in comunicazione alla corte triangolare na-


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scosta, ornata da ben due forni e da una pavimentazione in cotto a festone che riconduce verso il pianoro. La corte è inoltre collegata al livello superiore da una scaletta incassata, ribadendo l’assoluta continuità dei percorsi. Un ultimo sguardo ai particolari dei pluviali, sia quello inclinato del terrazzo, sia la coppia che dal cornicione curvo balza in avanti con un semicerchio verso valle e la visita si conclude. Mentre torniamo al cancello il padrone di casa con un certo orgoglio mi spiega come la casa non sia collegata con la linea di fornitura del gas e quindi risolva i propri problemi con un impianto a pompa di calore e con pannelli nel lastrico solare. Riattraversiamo il vialetto ghiaioso e ripensando alla ricchezza degli spazi e alla rassegna di ingegnosi particolari, quasi “alla Scarpa”, viene da concludere che se l’Architettura studia e propone le migliori forme di cui si riveste il proteiforme spazio umano domestico, di lavoro e urbano, possiamo ben dire che qui l’Architettura sia veramente “di casa”. Tutte le foto del servizio sono di Paolo Bolzani

> Crediti • • • • • • • • • • • • •

Progetto e Direzione dei Lavori: Architetto Filippo Monti (Faenza) Impresa Costruttrice: Giordani srl - Riolo Terme Impianti Elettrici: Punto Luce di Faenza Impianti Idraulici e climatizzazione: Fratelli Oriani snc (Faenza) Infissi (finestre): Benini & Mazzotti (Faenza) Infissi (porte): Villa Sante (Faenza) Opere in Ferro: Fabio Visani, fabbro scultore (Russi) Luci: Format Design (Imola) Arredi: Ambienti (Faenza) escluso cucina: G&G Rappresentanze srl (Faenza) Sistemi Di Sicurezza: Tecno Alarm (Faenza) Pavimenti in grandi doghe di ciliegio del soggiorno e pavimento del terrazzo in elementi in cotto Impruneta (ditta Sannini), forniti da Meinardi (Faenza) Marmi: IMA marmi (Castelbolognese) Piscina: Nuova Alfa Pool (Ravenna)

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Condomio Le Terrazze viale V. Veneto - Foto Paolo Rava

Villa Gargiulo - Foto Paolo Bolzani (2011)

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Palazzo delle Poste - Foto Paolo Rava


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In memoria di un

grande progettista Un omaggio, attraverso un viaggio fra le sue opere, a Filippo Monti, architetto d’eccellenza e uomo schivo ma dalla ricca personalità di Paolo Bolzani

ai nostri giorni: chiuso dal 1970, ora sembra uscire dall’obsolescenza e dall’oblio, anche in virtù delle decorazioni pittoriche dello Street artist Blu e dell’intervista a Monti effettuata da collettivo MAGMA nell’ambito di Modulo Fest 2015 nella sua casa di Faenza il 26 giugno, proiettata recentemente a Palazzo Rava di Ravenna. Negli anni Ottanta realizza il nuovo Palazzo delle Poste in via Naviglio (con Paolo Baccherini) e ristruttura la Camera di Commercio di Ravenna. Ed arriviamo alle ultimissime opere degli anni Dieci del XXI secolo, segnalate dall’architetto Ennio Nonni come «l’apice della splendida architettura contemporanea faentina: la casa Gargiulo e la casa Bassetti in via Castel Raniero, la casa Padovani in via Ospitalacci» (Faenza 100 anni di edilizia. Un Novecento da ricordare, vol. II, p. 552). In tutte le proprie opere Monti ha sempre dimostrato una felice capacità di ideazione e controllo dell’atto progettuale, improntato ad una concezione organica dell’architettura, curata in maniera maniacale nei raffinati dettagli. Il suo gesto è semplice, elegante ed essenziale, ma mai meramente minimalista. Come sottolineava Gabriele Lelli già nel novembre 1996, «le opere di Filippo Monti a Faenza sono un raffinato esempio di architettura moderna, impostato su un personale e meticoloso lavoro sullo spazio e sulla costruzione delle forme che lo definiscono. La qualità delle opere e la quantità delle idee messe in campo a risolvere problemi diversi (interni domestici, arredi, interni pubblici, edifici residenziali e specialistici, interventi urbani) è tale da costituire un vero e proprio patrimonio prezioso da riscoprire e da far conoscere. Da riscoprire perché Monti si è preoccupato poco di promuovere il proprio lavoro o di teorizzare sulle proprie idee. Si è preoccupato di “come” costruire le cose: di risolvere concretamente i problemi dell’abitare che via via gli venivano sottoposti» (Polis, anno II, n. 8, p. 126). In quell’occasione la rivista, che si concentrava sulla città di Faenza, dedicava a Monti una decina di pagine, con i contributi, oltre che

Nato a Faenza nel 1928, Filippo Monti diviene geometra nel 1947 e nel frattempo arricchisce il proprio percorso di formazione professionale ed artistica seguendo i corsi di pittura e disegno alla Scuola di Arti e Mestieri, sotto la guida di Francesco Nonni, poliedrico artista faentino di fama internazionale. Laureatosi in architettura a Firenze nel 1954, subito vince il concorso pubblico nazionale per il progetto della chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Bologna

Il 15 dicembre Filippo Monti ci ha lasciato. Un compito a cui non possiamo sottrarci è il ricordarlo attraverso le sue opere, sempre molto originali. Per l’occasione, accanto alla solita rubrica Casa Bella Casa, questa volta concentrata sull’ultima opera del maestro faentino, ripercorriamo brevemente alcune tappe della sua lunga e prestigiosa carriera di progettista e un breve ricordo dell’architetto Paolo Rava. Nato a Faenza nel 1928, Monti diviene geometra nel 1947 e nel frattempo arricchisce il proprio percorso di formazione professionale ed artistica seguendo i corsi di pittura e disegno alla Scuola di Arti e Mestieri, sotto la guida di Francesco Nonni, poliedrico artista faentino di fama internazionale. Laureatosi in architettura a Firenze nel 1954, subito vince il concorso pubblico nazionale per il progetto della chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Bologna. In breve diviene una figura d’eccellenza nel panorama architettonico, non soltanto a Faenza, dove lascia opere significative, a partire dalla propria straordinaria casa in via Torino (1964-66), fino ai complessi residenziali degli anni Settanta: il Condominio Le Terrazze, i complessi di via Ferrari e di Santa Margherita, la villa dell’artista Ivo Sassi. Sono opere in cui dimostra, come nei terrazzi di via Volpaccino o di via Vittorio Veneto, che la capacità di conferire dinamismo plastico e spaziale all’architettura non risiede nell’adozione di una forma dinamica come la linea curva, ma nella sapienza compositiva del progettista. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Monti costruisce anche nel litorale, come dimostrano l’albergo Bellevue (1957-59) e il night club estivo Woodpecker (1965-67), in cui si rivela invece la predilezione per le linee curve, che ritroveremo, trascorso circa mezzo secolo, anche nelle due ville di Castel Raniero, a dimostrazione che il tema va svolto a partire dall’analisi del contesto. La storia del mitico Dancing di Milano Marittima, dalla caratteristica immagine ad ombrello, ci porta fino

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Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Monti costruisce anche nel litorale, come dimostrano l’albergo Bellevue (1957-59) e il night club estivo Woodpecker (1965-67), in cui si rivela invece la predilezione per le linee curve, che ritroveremo, trascorso circa mezzo secolo, anche nelle due ville di Castel Raniero, a dimostrazione che il tema va svolto a partire dall’analisi del contesto di Lelli e di Ennio Nonni, anche di Paolo Rava (autore di alcune foto che accompagnano questo pezzo e il suo ricordo del maestro Monti alla Facoltà di Architettura), Alessandro Bucci, Alessandro Tabanelli, Davide Cristofani e Pierluigi Cappelli. Nel 2009 Franco Bertoni e Davide Rava gli hanno dedicato una ricca ed elegante monografia, dal titolo Filippo Monti architetto, nelle cui duecento pagine si dipanava la vasta avventura professionale dell’architetto faentino. Oltre all’architettura, Monti spazia dal mondo dell’arte ceramica a quello della letteratura. “Compagno di bottega” nella passione per la ceramica è in questo caso Ennio Nonni, che tuttora espone con lui alla Bottega Bertaccini di Corso Garibaldi (Filippo Monti - Ennio Nonni, Ceramiche). Come scrivono Viola Emaldi e Anty Pansera nel breve testo di introduzione all’esposizione delle opere ceramiche dei due architetti, «i pezzi di Monti hanno un’estetica quasi minimalista, sorta dall’uso radicale della nuda terra(cotta) come nude sono, spesso, le pareti esterne dei suoi edifici». La sua curiosità lo ha condotto ben oltre la ceramica, in un territorio molto distante da quello del progetto di architettura. Firmandosi come «Filèp», ha curato una versione in romagnolo delle tre cantiche della Divina commedia; L’Inféran, dedicato A la garnê (che lo ha portato via da noi) risulta originale fin dall’incipit: «Ins la mitê de zircuit dal mura». Poi E Purgatori, che rivolge alla memoria della madre (A mi mê); infine E Paradîs, dalla struggente dedica A mi fiôla. In questa veste ho avuto la sorpresa di ascoltarlo mentre declamava brani della “sua” Divina Commedia nella basilica di San Francesco a Ravenna. Poi l’ho intervisto due volte. La prima avvenne nella villa di via Torino, quando mi accolse insieme a suo figlio Marco nella bellissima promenade d’ingresso costituita dalla lunga scala rampante in curva, che solleva la casa mentre il giardino prosegue al di sotto. Mi sembrò un personaggio che pesasse le parole prima di dirle, silenzioso ma dal grande fascino. Cominciò a raccontare la risistemazione della Camera di Commercio di Ravenna (1987-90, vedi «Rav&Rav», n. 354/1998), dalle scelte strutturali (in cui era coinvolto anche il figlio Marco) ed estetiche per la nuova sala convegni, caratterizzata dal grande specchio triangolare, fino al trasferimento della biblioteca al piano mansardato e alla realizzazione di un collegamento vetrato con il fabbricato adiacente verso ovest. Fu in quella occasione che confermò la sua predilezione per i colori vivaci, come si vede nelle vetrate iridescenti della Camera o all’ingresso di villa Bassetti, e per i rivestimenti a bande marmoree bicolori, alternate sui toni del bianco e del grigio o del verde, che ritroviamo confermate nella villa faentina. Pezzi di assoluto pregio nella Camera, tra gli impianti viola indaco, è il tavolo di cristallo a fuso lobato e la monumentale porta triangolare

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Complesso residenziale via Volpaccino - Foto Paolo Rava

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Complesso via De Ferraris - Foto Paolo Rava

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Condomio Le Terrazze viale V. Veneto - Foto Paolo Rava

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Complesso via De Ferraris 2 - Foto Paolo Rava

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CASA BELLA CASA

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Palazzo delle Poste - Foto Paolo Rava

Palazzo delle Poste - Foto Paolo Rava

Oltre all’architettura, Monti spazia dal mondo dell’arte ceramica a quello della letteratura. “Compagno di bottega” nella passione per la ceramica è in questo caso Ennio Nonni, che tuttora espone con lui alla Bottega Bertaccini di Corso Garibaldi (Filippo Monti - Ennio Nonni, Ceramiche). Come scrivono Viola Emaldi e Anty Pansera nel breve tsto di introduzione all’esposizione delle opere ceramiche dei due architetti, «i pezzi di Monti hanno un’estetica quasi minimalista, sorta dall’uso radicale della nuda terra(cotta) come nude sono, spesso, le pareti esterne dei suoi edifici»

in doghe inclinate in Paduk, che riprende l’andamento della falda mansardata. La seconda intervista a Monti avvenne nel corso di una emozionante “visita guidata” a Villa Gargiulo a Castel Raniero nel 2011 (firmata con la collaborazione dell’architetto Alessandro Tabanelli), alla fine della quale mi portò al cantiere di villa Bassetti. In entrambi i casi emerge un’immagine dinamica della bellezza, come rivelazione dell’espansione e del rinnovamento della natura, attuata per

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Condomio Le Terrazze viale V. Veneto - Foto Paolo Rava


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Woodpecker - da F. Bertoni, D. Rava; Filippo Monti architetto

> Da un ricordo personale dell’architetto Paolo Rava «Al corso di progettazione alla Facoltà di Architettura chiamo il maestro Monti. Mi interessava una sua lezione di approfondimento sul suo modo progettuale... A noi studenti e docenti ci ha “tramandato” una semplice frase che a mio parere sintetizza il fare architettura: alla domanda come era nato il progetto della morfologia architettonica e strutturale dell’edificio “Le terrazze”, un tipo edilizio che gioca la sua spazialità con la natura delle alberature, una sorta di case fra gli alberi, dove le terrazze appunto sono l’elemento emergente, lo spazio onirico, l’archetipo della struttura dell’albero, il maestro sentenzia: «Us puteva fe’ sol acsè» (si poteva fare solo in questo modo), sintesi romagnola del fare architettura, dove il legame con la propria terra, la natura del luogo e delle proprie origini ed identità, la cultura del genius loci si sintetizzano in una descrizione semplice di un elemento così complesso. Come solo un maestro può concepire. Un aforisma di un noto architetto racconta: «la città é quello spazio dove un bambino può capire , camminando e osservando cosa potrà fare da grande»... Grazie Filippo del tuo lavoro di Architetto».

Ho intervistato Filippo Monti due volte. La prima avvenne nella villa di via Torino, quando mi accolse insieme a suo figlio Marco nella bellissima promenade d’ingresso costituita dalla lunga scala rampante in curva, che solleva la casa mentre il giardino prosegue al di sotto. Mi sembrò un personaggio che pesasse le parole prima di dirle, silenzioso ma dal grande fascino. La seconda volta avvenne nel corso di una emozionante “visita guidata” a Villa Gargiulo a Castel Raniero nel 2011, alla fine della quale mi portò al cantiere di villa Bassetti.

mezzo dell’uso di cerchio e ellisse, e delle loro reciproche intersezioni, e dei rapporti con la linea retta, alla volta di un dinamismo equilibrato. Quando un grande architetto parla e ti mostra la sua architettura si dovrebbe tacere e ascoltare in silenzio. Ma, per mantenerne alta la memoria e rendere testimonianza del suo eccezionale talento, abbiamo pensato di ricordarne le opere, un bene culturale che la città di Faenza deve rimanere impegnata a tutelare e a far conoscere.

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TOPOGRAFIA E STORIA

Un grande spazio verde nel cuore della città, tanto vasto e ben esposto da permettere la crescita di una rigogliosa siepe di bambù. All’inizio dell’estate fra gli alberi e sull’erba, nell’oscurità, ondeggia un “tappeto volante” di lucciole!


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Orti e corti

Il “non edificato” dentro le mura di Pietro Barberini

Le mura cittadine di Ravenna circondano un tessuto urbano che riesce ancora a mostrare le tracce del passato. L’arrivo del “treno”, nel 1863, fece abbattere oltre 500 metri di mura per lasciare spazio ai binari. Tuttavia la città restava chiusa poiché lo strappo fu subito ricucito con la costruzione di una cinta daziaria dalla Rocca Brancaleone alla Porta Vandalaria i cui resti sono ancora visibili all’esterno della curva di viale Santi Baldini. Si usciva e si entrava attraverso le porte che assolvevano anche al ruolo di varchi daziari. Una vita appartata, ma autosufficiente, scorreva dentro la città. I canali che anticamente ne solcavano il centro urbano, hanno lasciato un’impronta tuttora evidente nell’ordito stradale, condizionando le attività umane, le produzioni artigianali, i traffici e movimenti di merci nelle strade e vicoli che l’attraversano.

Dove la maglia stradale si allarga, i palazzi nobiliari e molte dimore borghesi aprono nascosti spazi cortilizi ed ortivi che misurano decine e decine di metri, superfici spesso superiori ai 3.000 metri. Talvolta si supera anche il mezzo ettaro! In fregio alle mura, fra Port’Aurea e il Torrione dei Preti, il grande spazio che è servito per le adunate militari, parcheggio di jeep e autocarri dell’artiglieria missilistica, sono in polverosa e disadorna attesa di un’idea-progetto. Dall’altra parte il muro non è quello di una vecchia caserma abbandonata, ma di un carcere dalle linee d’inizio Novecento: quando fu ultimato, in sostituzione delle vecchie “galere patrie” addossate al palazzo veneziano, i buontemponi ravegnani per burla esclamavano: “Va in tal nōvi!” Va in galera! Forse da allora un tratto ampio di terreno fu lasciato libero da costruzioni e coltivato ad orto: quello di via San Pietro Crisologo, credo sia l’unico orto interno alle mura tuttora produttivo e attivo.

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Sopra: altissime piante di bamb첫. Sotto: fra le carceri e via San Pietro Crisologo, un orto coltivato apre una prospettiva inconsueta.

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TOPOGRAFIA E STORIA

Non troppo lontano, altri spazi “verdi” sono stati pavimentati, urbanizzati, trasformati in cinematografi all’aperto ed in parcheggi. La città finiva, come via Cura, contro le mura che correvano ininterrotte dalla Callegari a Port’Aurea e di nuovo “chiudendo” il reticolo romano, girando di 90 gradi verso Porta Gaza. Ma come si comporta la pianificazione territoriale nei confronti di quelle aree? Mi rivolgo al linguaggio tecnico e settoriale riportato nel RUE, il regolamento edilizio urbano di Ravenna, del quale trascrivo i passi salienti.

RUE/NTA 5.1 / VARIANTE DI POC ART.VI.15 GIARDINI E/O ORTI PRIVATI DA CONSERVARE 1 Il RUE nelle tavole RUE 4.2 riporta con specifica campitura i Giardini/orti privati da conservare che per consistenza, dimensioni e/o presenza arborea-arbustiva, vanno tutelati e riqualificati anche al fine di mantenere la continuità della rete ecologica. 2 Tutti gli interventi su tali Spazi Aperti vanno attuati nel rispetto dell’Art. VI. 14 e di quanto definito nell’allegato G), costituente parte integrante delle norme stesse, denominato I QUADERNI DEL RUE punto A5 “Attenzioni e regole per interventi nei giardini e parchi storici e di valore ambientale”. 3 Tutti i giardini e i parchi storici e/o di pregio di pertinenza di edifici in centro storico (per gli edifici classificati CSU art. VI.6 e CSM art. VI.7 e per le aree classificate giardini e/o orti privati da conservare art. VI.15), nella città a conservazione morfologica (per le aree classificate Parchi, giardini e alberature di pregio da conservare, art. VI.27) e negli edifici e/o


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complessi di valore storico-architettonico (art. II.11) rappresentano valori di interesse pubblico e pertanto possono essere oggetto solo di interventi di recupero e tutela, indipendentemente dalla presenza o meno di immobili. Sono consentiti pertanto, sulla base di analitica lettura storica, iconografica, documentaria e sulla base di indagini dirette, solo gli interventi di conservazione della connessione tra essenze vegetali ed architettura, come si sono configurate e stratificate nella storia, salvaguardando le peculiarità del giardino costituito da manufatti artificiali e da vegetazioni vive e quindi mutevoli. Anche se il linguaggio è facilmente comprensibile soltanto per addetti ai lavori, le ultime righe evidenziano l’importanza della tutela di questi angoli che racchiudono la memoria del passato della nostra storia cittadina. Sono monumenti “verdi” che nel senso etimologico del termine ammoniscono e ricordano il valore della continuità. Ravenna è disseminata di spazi che si aprono dietro portoni, in fondo a corridoi abitativi che hanno sostituito cantine e magazzini di palazzi nobiliari. “Carraie” si chiamavano quei passaggi interni che permettevano di portare prodotti della campagna come mosti, cereali, frutta e verdura. Esempio tipico è la carraia di Palazzo Rasponi del Sale, ora Ca’ de Ven, che si apre ancora adesso su via Guido Da Polenta e conduce ad un cortiletto interno chiuso da tempo da una copertura trasparente. Dove passavano cariaggi cigolanti, ora si mangiano cappelletti e piadina! Accanto a questi minuscoli spazi, vi erano anche giardini di notevole dimensione, con orti e alberi da frutto. La Ravenna “veneziana” prevedeva cortili con il pozzo e pochi alberi ornamentali: erano “campielli privati”. I cortili, come i “campi” di Venezia, assolvevano ad una funzione di spazi comuni per gli abitanti. E la storia continua.

A sinistra in alto: addossato alle mura, un bell’orto curato alla perfezione fra via Bassa del Pignataro e via Gabici. A sinistra in basso: la tavoletta del RUE con in rosso scuro le mura storiche, via Bassa del Pignataro con il passaggio che conduce a via Gabici: a fianco in “verde” lo spazio ortivo della foto precedente. Sotto: decisamente straordinario il secondo chiostro di San Vitale, lo spazio verde più aristocratico e prezioso di Ravenna. I cavalli sono stati realizzati in resina bianca dallo scultore Davide Rivalta.

> Due immagini poetiche di Cetty Muscolino Nel chiostro Scricchiolano le ghiande sotto il piede gentile fra verdi cuscini di muschio e rosse bacche. Tubano le colombe in lontananza e i merli e i passeri sono padroni Ai piedi di Clemente XII piovono come grani di corallo le rosse bacche del tasso allontanando malevoli sortilegi.

Area di San Vitale Nel silenzio del chiostro penso che mi mancheranno queste ragazze leggiadre così diverse e varie come gazze festose o silenti fra gli alberi e l’edera che fuoriesce dal pozzale ricamato con croci. Quante vite e quanti palpiti quante vanità si sono consumate fra questi silenzi e sussulti e ancora silenzi solo colorati da cinguettii sottili come delicate parentesi Cetty Muscolino, storica dell’arte, è scrittrice e saggista, autrice di studi sul restauro e conservazione delle opere d’arte. Ha diretto, fino a qualche anno fa, il Museo Nazionale di Ravenna.

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CENTRO STORICO Lussuoso appartamento in elegante contesto, al terzo ed ultimo piano con ascensore: soggiorno/pranzo, cucina abitabile, ripostiglio, ampio terrazzo loggiato arredato, disimp. notte, due matrimoniali. Doppi servizi (con doccia e vasca). Posto auto coperto e cantina. Splendide rifiniture (parquet ovunque, bagni di design), utenze autonome. Cl. En. “ C” – EP 89,53 (Kwh/mq/anno) € 380.000,00

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RAVENNA VIA DEI POGGI Villetta di recentissima costruzione, abbinata ad un lato. Ampia zona giorno, cucina, deliziosa loggia riscaldata con grande vetrata che affaccia su corte interna con barbeque, bagno. Al piano superiore 2 ampie letto e bagno, accogliente mansarda con travi a vista in legno sbiancato ed ulteriore grande bagno. Garage. Pannelli solari, pannelli fotovoltaici e riscaldamento a pavimento. Cl. En. “C” – EP 62,74 (Kwh/mq/anno) € 349.000,00

CENTRO STORICO Lussuoso appartamento da ristutturare, all’ultimo piano, di ampia metratura: ingresso, salone e pranzo con antico camino e boiserie, librerie ed armadiature a muro di grande pregio; ampia cucina, due balconi, quattro camere, doppi servizi, stanza lavanderia/stireria, grande soffitta. Al piano terra piccolo box auto. Il condominio è signorile e dotato di servizio di portierato. Cl. En. “G” – EP 451,90 (Kwh/mq/anno) € 250.000,00

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SCOR PAG + MZ CP 2015:Layout 1 17/02/16 12:51 Pagina 29

Ravenna . Via Garatoni 12 tel. 0544.35411 . 338.5001382 scor@scor.it . www.grupposavorani.it STUDIO COMMERCIALE ROMAGNOLO

RAVENNA, BORGO MONTONE Villa indipendente con splendide finiture cosĂŹ composta: PIANO INTERRATO: ampia cantina; PIANO TERRA: giardino su 4 lati, garage, lavanderia, 2 bagni, tavernetta con camino, ampio portico con barbecue; PIANO RIALZATO: portico, ingresso, soggiorno, cucina abitabile; PIANO PRIMO: 3 camere, 2 bagni, guardaroba, loggia, e ampia mansarda con bagno. Cl. En. E 150 kwh/mq.a Info e planimetrie in agenzia

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gennaio-febbraio 2016


MONTAGGI:Layout 1 16/02/16 08:48 Pagina 30

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SAN PANCRAZIO

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mq 239 c/a, su due livelli composta da: ampio ingresso, soggiorno, cucina abitabile, tre camere da letto, 2 bagni, ampio sottotetto, garage doppio,vari servizi con cantina e giardino mq 1.700 c/a con alberi da frutto. Cl. En. F 206,53. 6 ) Rif. Mhh27 € 230.000,00 tratt. (si valuta anche permuta con appartamento a Ravenna)

ZONA DARSENA

Appartamento in villetta di recente costruzione, primo piano, composto da ingresso in soggiorno con parete attrezzata a cucina, 2 camere bagno, ampio terrazzo coperto, cantina e posto auto coperto. Cl. En. G 330,81. Rif. MHH19 vero affare € 90.000,00 (anche in affitto a € 450,00 mese + spese)

RAVENNA SUD, A 2 KM DAL CENTRO

Appartamento molto luminoso al piano primo senza ascensore, composto da ingresso soggiorno con balcone e ripostiglio esterno, cucina abitabile con balcone, due camere grandi, bagno e ripostiglio interno, ampia cantina, ampio garage con soppalco e camino. Cl. energ. richiesta. Rif. Mhh34 € 110.000,00 tratt.

CENTRO STORICO, AFFITTASI MONOLOCALE

Ex casa colonica su lotto di 5.000 mq, di ampie dimensioni (mq 650 c.a) completamente ristrutturata con finiture di pregio su 2 livelli, con ampi servizi. Possibilità di ricavare 2 appartamenti. 2 ampi portici. Dependance. Tetto in legno con splendide capriate; inserti in pietra a vista. Cl. En. D 115,85. Rif. Hh103 Info e planimetrie in agenzia

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CASALBORSETTI NORD (RA), VISTA PORTO Delizioso Monolocale affacciato direttamente sul porticciolo, con bellissimo terrazzo, all'interno soggiorno con angolo cottura, comodo ripostiglio/cabina armadio oltre ad ampio bagno, giardino sul retro e posto auto scoperto. Riscaldamento autonomo, predisposizione aria condizionata. Classe energetica D, kWh/m2/anno 124,00. Rif. CBSCOR1 € 85.000,00 + IVA

RAVENNA

SAVARNA (RA) Vendesi casa indipendente da ristrutturare tutta su un piano, insita su lotto di circa 365 mq, così composta: giardino mq. 200 circa, ingresso, soggiorno, cucina abitabile, 2 camere da letto matrimoniali, antibagno e bagno; in corpo staccato garage e cantine (possibilità di realizzare una ampia taverna). Classe energetica G, kWh/m2/anno 653,79. Rif. L839 € 100.000,00 RAGONE (RA) Vendesi casa abbinata da ristrutturare su un lotto di mq. 890, così composta: Piano terra: Ingressso, soggiorno, cucina abitabile, camera, sgombero, servizi e garage, giardino e orto, Piano Primo: 3 ampie camere da letto e bagno. Classe energetica G, kWh/m2/anno 436,67. Rif. L831 € 145.000,00 RAVENNA, BORGO SAN BIAGIO Vendesi appartamento in piccola palazzina in zona tranquilla, composto da: ingresso, soggiorno, cucina abitabile, 3 letto, bagno, 2 balconi, garage. Classe energetica G, kWh/m2/anno 243,48. Rif. LSC17 € 170.000,00 Trattabili RAVENNA, ZONA SAN BIAGIO Prestigioso appartamento al 4° piano con ascensore, in elegante condominio anni 80 con ampio giardino condominiale. E' composto da ampio ingresso, disimpegno cucina con ripostiglio e terrazzo a loggia, soggiorno-pranzo con loggia panoramica, dis. notte, due camere bagno. Risc. centr. con contacalorie, climatizzazione, imp. di allarme. Cantina all'ultimo piano e garage al piano primo sottostrada. Classe energetica E, kWh/m2/anno 131,20. Rif. UNI3 € 187.000,00

Vendesi casa con tre appartamenti, attualmente affittati con ottima rendita. L'immobile ha un giardino condominiale indiviso di circa 400 metri dove è possibile parcheggiare le auto, in corpo staccato ci sono due garage e servizi. Al piano seminterrato ci sono 4 cantine, 2 bilocali sono ubicati al piano ammezzato e al ultimo piano c'è un appartamento di ampie dimensioni che occupa tutto il piano, esso è composto da soggiorno, cucina, 3 camere da letto e bagno. Ogni appartamento ha le utenze autonome. Gli appartamenti si possono vendere anche separatamente. L'immobile necessita di ristrutturazione. OTTIMO INVESTIMENTO. Rif. L842 € 320.000,00

GODO (RA) Vendesi villa di mq. 632,50, insita su un lotto di mq. 2.240, suddivisa in 2 unità immobiliari, con annessi servizi per mq. 345,50. Classe energetica G, kWh/m2/ anno 272,67 e Classe energetica D, kWh/m2/anno 110,87. Rif. L840 Informazioni in agenzia 10) RAVENNA, ZONA BORGO SAN ROCCO - STADIO

FORNACE ZARATTINI (RA)

Solo referenziati, splendido monolocale affacciato su Piazza del Popolo, completamente e finemente arredato, aria condizionata. Spese incluse. Cl. En. in corso di definizione. Rif. HH106 € 550,00 mensili

CENTRO STORICO, AFFITTASI UFFICIO PER VARIE ATTIVITÀ

Ampio appartamento in contesto tranquillo, immerso nel parco condominiale, in gran parte ristrutturato con ottime finiture, al piano terra, composto da: ingresso, soggiorno con terrazzo di 30 mq c/a., cucina abit. con terrazzo di 28 mq c/a, disimp., 3 ampie camere da letto, 2 bagni finestrati, ripost. con possibilità di ricavare il 3° bagno. Al p.int.: garage. Cl. En. F 190,20. Rif. HH16 € 290.000,00 tratt.

Si vendono villette abbinate con giardino su due lati, allo stato grezzo avanzato. Possibilità di rifiniture personalizzate. Composte da: P.T. cucina, soggiorno-pranzo, bagno e garage; P.P. tre camere, loggia e bagno; P.Mansardato ampio e luminoso vano con bagno. Rif. 900 € 235.000,00 + Iva

composto da sala d'attesa, tre locali di buone dimensioni, da rivedere, riscaldamento centralizzato a breve istallazione del conta calorie. Cl. En. E 48,73. Rif. MHH29 € 300,00 + 100,00 circa di spese mensili

RAVENNA, ADIACENZE VIALE RANDI Vendesi ampio ufficio al piano terra suddiviso da pareti attrezzate, molto luminoso, con tre ingressi. Risc Autonomo, Climatizzazione, Predisposizione allarme. Classe energetica C, kWh/m3/anno 21,30. Rif. 698 € 270.000,00 tratt.

Vendesi villa indipendente, completamente ristrutturata, con possibilità di 2 appartamenti. Piano terra: giardino di circa 330 metri, garage, lavanderia, centrale termica, ingresso, ampio soggiorno, bagno, camera matrimoniale, cantina e giardino. Primo Piano: ingresso, soggiorno, cucina con dispensa, disimpegno , 3 camere da letto, 2 bagni. Classe energetica F, kWh/m2/anno 188,37. Rif. G16 Informazioni in agenzia


ROMAGNA CP 2015:Layout 1 16/02/16 08:49 Pagina 31

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SANT’ALBERTO

A POCHI KM DA RAVENNA, DIREZ. OVEST

Nella campagna a 16 km da Ravenna, casa rurale con parco di 5.000,00 mq. Questa casa è stata completamente ristrutturata e rivista in ogni particolare, dalla coibentazione del tetto e pareti al riscaldamento a pavimento, impianti, bagni tutti nuovi. Ampia zona giorno al piano terra con cucina all’americana, salotto con predisp. camino, studio, camera matrimoniale e bagno. Zona notte con 3 camere e bagno. Ampia cantina e capannone di oltre 100 mq. Classe B. € 340.000,00 tratt.

Appartamento in villetta, recente ed autonomo, con ampio giardino; al P.T. bel soggiorno che affaccia sul proprio giardino, cucinotto, disimpegno e bagno; al 1°P. una camera da letto con possibilità di ricavare uno studio ad essa collegato. Nel giardino (in parte pavimentato), si trova un locale ad uso attrezzeria/cantina/lavanderia. Impianti a norma, zero spese condominiali. Classe “F” € 120.000,00 tratt.

Ravenna, via degli Spreti, 71 . tel. 0544 501515 . cell. 338.3680378 agenziaromagna@alice.it RAVENNA, A 15 KM DIREZIONE SUD, IN CAMPAGNA, PALAZZO DEL ‘700 RESTAURATO CON PARCO DI 3.000,00 MQ.

Bellissimo palazzotto restaurato mantenendo le caratteristiche estetiche esterne immutate, suddiviso in 3 unità abitative autonome. Al primo piano uno splendido appartamento composto da salone con camino, cucina/pranzo con dispensa, disimpegno, 3 camere da letto (una matrimoniale e due doppie), 2 bagni. Al piano terra troviamo 2 appartamenti di circa 100 mq ciascuno al grezzo avanzato. Il solaio con travi, travicelli e tavelle rende gli ambienti accoglienti e molto luminosi. In corpo staccato un fabbricato di servizio. Info in ufficio. € 410.000,00 tratt.

SAN BIAGIO

Appartamento al 1° piano con ascensore in zona tranquilla. Ingresso, soggiorno con balcone, cucinotto, disimpegno, bagno con vasca, letto matrim. Risc. aut. Posto auto. Infissi nuovi. Da ammodernare. € 95.000,00

CENTRO STORICO, (ZONA VIA CESAREA)

SAN BIAGIO, VICINISSIMO AL CENTRO

ZONA STADIO

RAVENNA, ZONA RUBICONE In palazzina di soli 6 appartamenti al 2° piano, appartamento ben tenuto degli anni ’60 composto da ingresso, soggiorno con balcone verandato, cucina abit.con balcone, disimpegno, 2 letto, bagno e ripostiglio. Al P.T. garage. Risc. aut., basse spese condom., da ammodernare. “F” ep tot 178,52 € 124.000,00 tratt.

In una strada silenziosa ed a fondo chiuso, appartamento al piano primo con ascensore. Veramente tranquilla, senza barriere architettoniche, questa abitazione è composta da ingresso, soggiorno con balcone, cucina abitabile con balcone, disimpegno, 2 letto e bagno. P.T. ampio garage di 18 mq. Ascensore senza scale. Riscaldamento centralizzato ma con spese condominiali contenute.”G”. € 129.000,00 tratt.

Splendida casa in centro completam. ristrutturata, completam. autonoma con bel giardino riservato e silenzioso. Al P.T. ingr., soggiorno, cucina ampia e abit., bagno, garage per 2 auto, cortile e giardino. 1°P. con 4 camere matrim., 2 bagni e terrazzo. Sottotetto ampio ad uso ripost. Possib. di rendere autonomo un bilocale al 1°P. Risc. a pavimento, predisp. clima ed allarme. Info in ufficio

CENTRO/ SAN BIAGIO

RAVENNA (ZONA S. ANTONIO)

ZONA MEZZANO

Zona residenziale e tranquilla, ampio appartamento ristrutturato al secondo ed ultimo piano, composto da ingresso in zona giorno luminosa (2 porte finestre che affacciano sul balcone), soggiorno, zona pranzo con cucina separata, balcone e bagno con doccia. Nella zona notte ci sono tre camere da letto e un seondo bagno dotato di doccia. Al piano terra dispone di un garage, un terzo bagno/lavanderia e una veranda chiusa attrezzata a cucina per pranzi e cene all’aperto. Impianti a norma ed autonomi. Nessuna spesa condominiale. € 225.000,00

RAVENNA, SAN ROCCO

Recentissimo appartamento in villetta d’angolo al 1° ed ultimo piano. Accesso da scala esterna, soggiorno/pranzo con cucina separabile ma già ben organizzata, disimpegno, 2 letto (matrimoniale e singola), bagno con doccia. P.T. posto auto e cantina. Impianti a norma. Ottimo anche per investimento. Classe “E”ep tot. 165,76 € 115.000,00 tratt.

Casa singola con ampio parco recintato ed alberato, suddivisibile in due unità. Portico ampio su due lati con doppio ingresso. P.T. ingresso, taverna con camino, 2 stanze da letto, bagno, terza stanza multiuso. 1° Piano, salone con camino, cucina grande e abitabile, 3 letto e due bagni. Casa costruita a metà degli anni ’80 ma già con adeguata coibentazione e dotazione tecnologica. € 480.000,00 tratt.

Villetta nuova in contesto centrale e riservato, finiture raffinate ed eleganti a scelta del cliente, sono le caratteristiche principali di questa proposta. Zona giorno al P.T. con giardino di proprietà, soggiorno ampio, cucina a vista, bagno. Zona notte con 2 belle camere e bagno. Ampio garage e cantina collegati direttamente alla villa. Pannelli fotovoltaici, solari e soluzioni tecniche all’avanguardia per garantire la classe di efficienza energetica Classe A. € 285.000,00

BORGO MONTONE

SANT’ ALBERTO (A 13 KM DA RAVENNA)

SAN BIAGIO, VILLETTA D’ANGOLO CON GIARDINO SU TRE LATI.

In zona apprezzata e vicina al centro, casa indipendente su lotto di circa 350 mq, abbinata ad un lato con ampia area esterna, disposta tutta al piano terra e composta da ingresso, 4 locali (di cui il soggiorno, la cucina abitabile e 2 camere da letto), bagno, ampio ripostiglio/lavanderia e garage. Ampia area a cortile e giardino. Impianti a norma. Possibilità di ampliamento per ottenere una villa di circa 240 mq. Classe “G”. € 250.000,00

Villetta degli anni ’80; al P.T. ingresso, garage per 2 auto, studio e bagno; 1°P. ampia sala con camino e balcone, cucina abit.con balcone e ripostiglio (trasformabile in bagno); 2°P. con 3 letto, 2 bagni e 2 balconi. Casa in ottimo stato. € 290.000,00 tratt.

Casa singola in Paese in zona residenziale con parco di 650 mq. Casa completamente restaurata ed ampliata composta da ingresso, soggiorno, cucina/pranzo ampia, disimpegno 3 letto, 2 bagni. Inoltre ampia taverna di 33 mq con cucina e camino, 2 stanze uso studio o letto, bagno/lavanderia, garage. Bel portico con affaccio a giardino illuminato ed irrigato. € 260.000,00 tratt.

Grande villa di campagna immersa in parco di circa 10.000 mq. Splendidamente restaurata mantenendo le caratteristiche della casa colonica. Al P.T. zona giorno molto ampia: salone con camino, soggiorno con divani e cucina/pranzo anch’essa con camino, bagno, lavanderia, studio e ripostiglio. La zona notte al primo piano è suddivisa in 3 ampie camere da letto e due bagni. Nella corte sorge un fabbricato con portico con camino, dotato di garage doppio. “G”. € 850.000,00

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CITTÀ E QUARTIERI

Fra acqua e terra corrono la storia e il futuro della città di Chiara Bissi

Dalla stazione ferroviaria si irradia un quartiere in piena trasformazione, porta per lo sviluppo della Darsena

Le ricognizioni urbane tornano ad occuparsi di centro storico e si concentrano su quella porzione appoggiata alle mura che comprende viale e piazzale Farini, l’area che si estende fino alla Rocca Brancaleone, viale Pallavicini e viale Santi Baldini. Una zona strategica, pulsante, che da oltre un secolo assiste a grandi trasformazioni. Come poche altre aree urbane ha visto mutare le proprie sembianze in maniera radicale. Motore di ogni evoluzione la presenza della linea ferroviaria, quella di collegamento verso Castel Bolognese aperta nel 1863 e quella verso Rimini del 1888. Una presenza però ingombrante che determinò l’abbattimento di una porzione considerevole delle mura e la nascita di un viale, dedicato nel 1878 a Luigi Carlo Farini. Nello stesso anno davanti alla stazione fu posta la statua dello statista. Se la storia fornisce tanti elementi per comprendere la


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morfologia di questa porzione urbana è l’attualità a dominare le cronache. Da un lato il tema mai sopito della sicurezza declinato con più o meno successo in tutte le città con una stazione ferroviaria affacciata sul centro storico, dall’altro la grande promessa incarnata dalla riqualificazione della darsena, intesa come ricucitura fra due ambiti urbani vicini ma da sempre distanti. Una rigenerazione che avrebbe nella stazione un nodo essenziale e aprirebbe una prospettiva sulla via d’acqua del Candiano. Rimane fra i progetti annunciati dell’ultimo decennio, come obiettivo minimo, il prolungamento del sottopasso ferroviario pedonale con approdo sulla testata del canale. Sullo sfondo, annunciati ci sono anche bandi per opere stradali utili a superare l’annosa questione degli attraversamenti ferroviari a raso di via Candiano e via Canale Molinetto. La promessa di fondi regionali e statali dovrebbe facilitare l’iter, ma al momento non è possibile fare previsioni sulle tempistiche delle opere. Tornando su viale Farini numerosi sono stati gli interventi negli anni per mitigare il non facile rapporto fra residenti e presenze non sempre dedite ad attività lecite. Nuova illuminazione dei giardini Speyer e dell’edificio del liceo Classico, ulteriore risistemazione del giardino adiacente la basilica di San Giovanni Evangelista, la posa in piazza Mameli di tre chioschi per l’edicola, le rivendite di dolciumi e piadina e una nuova illuminazione sono solo alcune delle misure adottate per tenere sotto controllo l’area. Nel 2011 nel corso dei lavori di scavo per la realizzazione delle isole ecologiche interrate, effettuati dal Gruppo Hera in Piazza Anita Garibaldi, è venuto in luce un settore di una residenza di epoca imperiale romana con pavimenti a mosaico bianco e nero,riferiti a 5 ambienti che si aprivano intorno ad

Scorci intorno alla zona est del centro storico di Ravenna. In alto a sinistra, la facciata del secolare convento di Santo Stefano degli Ulivi, già Caserma dei Pompieri e ancora oggi sede della Polizia Municipale, edificio storico affacciato su piazza Mameli, sopravvissuto nell’isolato ricostruito nel dopoguerra. Dall’alto, in questa pagina: cantiere nell’ex sede dell’azienda municipalizzata dei servizi energia e ambiente nella zona della Rocca Brancaleone, in attesa di ristrutturazione; prospettiva di viale Maroncelli; arco di un’antica porta veneziana inglobata in un giardino privato adiacente alla Rocca Brancaleone; palazzine dai singolari angoli “smussati” all’incrocio fra via Ugo Bassi e via Rocca Brancaleone.

gennaio-febbraio 2016


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un’area cortilizia. Le fonti individuano in prossimità del tracciato di via di Roma la presenza del canale navigabile detto Fossa Augusta, mentre oltre la stazione ferroviaria si apriva la linea di costa. Lo scavo ha riportato alla luce inoltre resti murari di un edificio tardo antico. Con il ritrovamento posto sotto il livello della falda acquifera a circa 3 metri e 30 la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna ha deciso lo strappo dei mosaici e il prelievo del muro antico. Il Gruppo Hera spa poi ha provveduto al finanziamento del loro restauro. Nella primavera del 2014 i mosaici troveranno stabile collocazione grazie a un sapiente allestimento all'interno di Tamo nel complesso di San Nicolò. Oggi nella zona vige l’ordinanza del sindaco sulla vendita e consumo di alcol, e progetti di mediazione culturale di Citt@ttiva dovrebbero favorire azioni per aumentare la percezione di sicurezza nei cittadini. Nella rete commerciale sempre più esile ma comunque presente si è inserito negli ultimi anni un mini mercato Coop su via di Roma, ad orario continuato. I residenti e i commercianti periodicamente fanno sentire la propria voce certificando che nessuno vuole cedere al degrado la zona dagli ampi viali ricca di verde e di storia. E proprio la stazione ferroviaria e la vicina Darsena, obiettivi militari per eccellenza, furono oggetti di bombardamenti che sfigurarono la città nel corso della Seconda guerra mondiale. Salva ma fortemente danneggiata la chiesa di San Giovanni Evangelista, eretta da Galla Placidia nel 425, salvo l’edificio del liceo Classico, vennero colpite la stazione, la statua di Farini e la casa del Balilla, firmata da Giulio Ulisse Arata posta in un’area verde, al termine di viale Farini, sul lato sinistro guardando la stazione. Viale Pallavicini aperto nel 1863 in sostituzione di una


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strada detta di San Sergio e Bacco precede di molti decenni via Carducci. Nel 1883 fu la volta di viale Santi Baldini che conduceva allora ippodromo realizzato nel 1886, nell’area destinata durante il ventennio fascista ai giardini pubblici. Villini di pregio, un’edilizia residenziale curata hanno reso elegante e armoniosa la zona. Un’armonia che nemmeno le ferite della guerra e la ricostruzione del dopoguerra fatta di interventi massivi ha scomposto. Dell’ospedale civile adiacente alla basilica di San Giovanni Evangelista, della fabbrica dei cristalli, del vezzoso edificio dei Bagni pubblici, della società di ginnastica e scherma su viale Farini, del convento di Santo Stefano degli Ulivi in piazza Mameli, del padiglione Umberto I su piazzale Farini non rimangono che le foto in bianco e nero, solo la statua di Farini, ricollocata negli anni Novanta in un contesto del tutto moderno rimanda malinconica, a un tempo di grandi opere e trasformazioni. Davanti al liceo Clas-

A sinistra, grattacielo di via Magazini Anteriori, in darsena di città; a destra, l’ex chiesa di San Simone, ora convertita al rito ortodosso come si denota dalla cupola dorata sullo sfondo, nella vecchia darsena. Dall’alto: palazzine in via Rocca Brancaleone, l’ex sede della Capitaneria di Porto affacciata sulla testata del porto canale Candiano e uno dei bastioni meridionali della rocca veneziana.

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CITTÀ E QUARTIERI

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RIF. G 54: tipica casa storica del borgo, recentemente ristrutturata composta da PT: tutto con solaio in legno originale, composta da ingresso, sala con camino, pranzo con forno pane/pizza, cucinotto, possib. di bagno, cortiletto. P1°: una matrim., una doppia, una singola, bagno. ACE F, EP 186. € 210.000,00

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sico nel 1953 viene costruita la sede della Camera di Commercio su progetto dell’architetto Antonino Manzone, esempio di “razionalismo nordico”. Nel 1988 – 1990 la Camera di commercio si estende, inglobando, il vicino palazzo Sgubbi e palazzo Loreta su via di Roma su progetto dell’architetto faentino Filippo Monti, recentemente scomparso. Gli interni vengono impreziositi da marmi bicromi, pareti in vetro policromo e viene aperte lo spazio conferenze a piano rialzato chiamato sala Cavalcoli. Il via vai del pendolari, degli studenti, la presenza di uffici comunali con il vicino comando della Polizia municipale, dell’Acer, degli assessorati all’ambiente ed urbanistica, dell’Inail, i servizi per i turisti con alberghi e B&b, stazione dei taxi, linee di bus, bar e ristorazione veloce, gli empori gestiti da stranieri, tutto contribuisce a creare movimento senza arrivare ad effetti caotici o parossistici. Spostandosi su via Rocca Brancaleone appare un’edilizia sobria, quieta realizzata dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del Novecento. Il manufatto veneziano occupa uno posto speciale nel cuore dei ravennati. Un affetto malinconico, dovuto all’utilizzo parziale per eventi di pubblico spettacolo solo della porzione del mastio, riservata alle proiezioni cinematografiche estive. Un sentimento comunque inesausto, che rimanda alla grande stagione musicale che lì si svolgeva fra gli anni Settanta e Ottanta e che si rinnova nella compostezza del giardino cresciuto, in quella che nel Quattrocento era la cittadella, meta oggi di famiglie con bambini e di studenti, dopo l’acquisizione della Rocca da parte del Comune nel 1968. Non sono mancati dentro e nei dintorni dello storico edificio episodi di microcriminalità, ma l’attaccamento dei cittadini si è rivelato ancora una volta forte, ed è recente la nascita del gruppo L'Amata Brancaleone, che riunisce associazioni e residenti e intende siglare con il Comune un vero e proprio "patto di collaborazione" con reciproci impegni come previsto dal "Regolamento sulla collaborazione tra cittadini ed amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani". Fra le iniziative più seguite una festa medievale con tanto di rievocazione storica, non proprio filologica rispetto all’epoca di costruzione della Rocca. Ma si suppone che i Veneziani che tanto la vollero a metà del Quattrocento non siano rimasti delusi. In passato la via Rocca Brancaleone terminava all’altezza dell’attuale ingresso dello storico manufatto, realizzato dai veneziani a difesa della città a partire dal 1457. Notevole fu l’impegno profuso nella costruzione, vennero usati i materiali provenienti dalla chiesa di Sant’Andrea dei Goti, dal vicino Palazzo dei Polentani, uno spoglio che non salverà la città e la Rocca dalla carneficina perpetrata nel corso della battaglia di Ravenna, 1512. La scomparsa del dominio veneziano segnò le sorti del fortilizio, sfigurato a sua volta nei secoli successivi da ripetute spoliazioni più o meno consentite, per

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opere settecentesche come il Ponte Nuovo o il teatro Nuovo, un tempo posto in via Matteucci. Nel 1881 la Strada della Rocca prese l’attuale nome. Solo nel dopoguerra la via venne prolungata oltre la cinta muraria fino alla circonvallazione. Oggi come un tempo è l’ex chiesa di Santo Stefano degli Ulivi con annesso convento, celebre per la permanenza della figlia di Dante Alighieri, Beatrice, a segnalare l’inizio della via. Lo stabile occupato dalla Polizia municipale ha ospitato i vigili del Fuoco e nel 1884 era stato adibito a magazzino militare. Del 1881 fu aperta via Colonna con una serie di “Case operarie”. Con la costruzione della stazione ferroviaria, come si è detto, piazzale Farini divenne il punto di raccordo di tre assi viari: viale Farini, viale Pallavicini e dal 1907 di viale Maroncelli che raggiungeva lo Scolo della città a pochi passi dalla Rocca, oggi via Gastone De Foix. L’imponente isolato che si apre su viale Farini fino a piazza Mameli e comprende via Maroncelli era destinato a giardino pubblico. Solo nel 1928 via Venezia prese l’attuale nome, anche quel tratto era indicato come via Rocca Brancaleone. Ultime nate via Rava e via Falier aperta nei primi anni Quaranta del Novecento fra gli orti di proprietà del ministro Luigi Rava. Oggi via Rocca Brancaleone direttrice di grande traffico, nasconde alle proprie spalle strade che conservano un’edilizia di primo Novecento capace di dialogare con gli interventi misurati del dopoguerra con pochi episodi fuori scala, che non intaccano la qualità del tessuto urbano.

Servizio fotografico di Barbara Gnisci

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GRAND TOUR

> Simone Weil, in una foto degli anni Venti.


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Simone

e le “grazie” di Ravenna (1937) di Alberto Giorgio Cassani

Simone Weil, lucidissima mente, in un corpo minuto e fragile, del secolo scorso, giunge a Ravenna nella primavera del 1937. Le sue impressioni sono scritte ad un anonimo studente.1 Simone, a Bologna, non «resiste» ai treni diretti a Ferrara e Ravenna, «due bellissime città». Ma mentre Ferrara è liquidata in due battute, «vi ricordate il palazzo dei Diamanti?», a Ravenna Simone dedica poche, ma profondissime righe. È giorno di mercato e Ravenna offre il meglio di sé: una «bellissima umanità», soprattutto «giovani contadini». Simone avverte una «sovrabbondanza di grazia» quando la «Provvidenza» pone degli «individui belli» in mezzo alle «cose belle». In questi paesi, secondo Simone, si incontrano tutti i giorni, tra i «popolani», una «nobiltà e una semplicità di portamento e di atteggiamento che costringono a meravigliarsi». Questa «sovrabbondanza di grazia» si nota anche negli «incantevoli frutteti» che precedono la città, tanto che a Simone fanno venire in mente i «deliziosi versi» di Orazio: «Me non tamen patiens Lacedæmon, / Non tamen Larissæ percussit campus opimæ, / Quam domus Albuneæ resonantis / Ac præceps Anio et Tiburni lucus et uda/ Mobilus pomaria rivis»2 [«Me non tanto la dura / Sparta attirò né la pingue pianura di Larisa, / quanto la grotta di Albunea risonante / e il precipite Aniene e il bosco di Tiburno / e i pomari irrigui di vivaci ruscelli»3]. Simone non ci parla di mosaici e di grandi edifici paleocristiani. A Ravenna è colpita dalla gente comune, dal popolo e da quello più bersagliato dagli stereotipi degli ospiti più snob: i contadini. Simone no, Simone non guarda attraverso gli occhiali deformanti del visitatore prevenuto e riesce a scorgere quelle “grazie” che altri scambiano per rudezza. Perché Simone, vera viaggiatrice e non turista, ce lo confida parlando di Firenze, non «visita le città, ma le lascia entrare dentro di sé per osmosi».4

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NOTE: 1. Simone Weil, Cinque lettere a uno studente e una lettera a Bernanos, in “Nuovi argomenti”, n. 2, maggio-giugno 1953, pp. 80-109: 85-86. La traduzione italiana dei brani è dell’amico Marco Vitale. Riporto qui il testo originale: «De Bologne, je n’ai pas résisté aux trains qui s’offraient vers Ferrare et Ravenne. Deux bien belles villes. Vous souvient-il du Palais des Diamanti? A Ravenne c’était jour de marché – une bien belle humanité, aussi, notamment en fait de jeunes paysans. C’est une surabondance de grâces, quand la Providence met de beaux être parmi de belles choses. On rencontre tous les jours dans ce pays, chez certains hommes du peuple, une noblesse et une simplicité d’allure et d’attitude qui forcent l’admiration. Savez-vous, par hasard, où étaient l’Anio et le Tibur d’Horace? Je me le demande tout le temps depuis que j’ai été à Ravenne, parce que les charmants vergers qui la précèdent m’ont rappelé les vers délicieux […]». 2. Orazio, Odi, I, 7, 10-14. 3. Trad. it. di Luca Canali, in Orazio, Odi, Epodi, A cura di Luca Canali, Note di Maria Pellegrini, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2004, p. 23. Orazio si riferisce alla zona sacra di Tivoli, di cui restano oggi le vestigia del tempio a tholos di Vesta, spesso raffigurato nelle incisioni e nei dipinti del rovinismo sette-ottocentesco. 4. «[…] moi je ne visite pas les villes, je les laisse rentrer en moi par osmose», S. Weil, Cinque lettere a uno studente e una lettera a Bernanos, cit., p. 86.

A destra: Vittorio Guaccimanni, Contadinella, pastello su carta grigia, cm 30x42, Bologna, collezione privata. Ringrazio molto la prof.ssa Paola Babini per avermene permesso la pubblicazione. L’immagine è tratta da Modernità del Disegno tra Romagna e Toscana 1880-1914, Catalogo della mostra (Castrocaro Terme, Padiglione delle Feste, 28 febbraio - 28 giugno 2015), a cura di Paola Babini e Beatrice Sansavini, testi di Sauro Casadei et alii, schede biografiche a cura di Sergio Sermasi e Patrizia Cauteruccio, San Michele (Ravenna), Edizioni Essegi, 2015, p. 112. Sotto: Giovanni Battista Piranesi, Altra Veduta del tempio della Sibilla in Tivoli, in Vedute di Roma. Disegnate ed incise da Giambattista Piranesi architetto veneziano, Roma, Presso l’Autore a Strada Felice nel Palazzo Tomati vicino alla Trinità de’ Monti, 1761, acquaforte e bulino, mm 665x455.

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(RIF RC252) Villetta a schiera, degli anni 80, in ottime condizioni, con piccola porzione di giardino, sviluppata su 3 livelli. Al p. terra, ingresso, bagno e. Al p. primo ampio soggiorno, pranzo, cucina, balconi. Al p. secondo 2 letto, studio, bagno, balconi. . (E/134,22) € 218.000,00

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SeDici,

Tornano i gli incontri-confronti sull'architettura contemporanea fra progettisti esperti e giovani emergenti Anche nel 2016 sono in programma otto conferenze da marzo a novembre in spazi di prestigio fra Ravenna, Forlì, Cervia, Faenza e Cesena. Fra le novità della quarta edizione della rassegna una tavola rotonda con gli ospiti ed altri esperti su temi di attualità che riguardano la professione, fra pubblico e privato, piani urbanistici, nuove architetture e rilancio di un’edilizia sostenibile. Primo appuntamento giovedì 17 marzo al Salone Nobile di Palazzo Rasponi a Ravenna, con Andrea Dal Fiume di Imola e De Gayardon Bureau di Cesena l’adesione di un folto pubblico sia di operatori del settore che di cittadini curiosi e appassionati di temi architettonici e urbanistici. Complessivamente si tratta di una folta platea oltre tremila persone. La rassegna, ideata da un comitato scientifico composto da Gianluca Bonini e Giovanni Mecozzi (Nuovostudio - Ravena) e Filippo Pambianco (Cavejastudio - Forlì) è organizzata e promossa dalla rivista dell'abitare "Casa Premium" e dalla società editoriale e di comunicazione Reclam, con il patrocinio degli Ordini professionali degli architetti e ingegneri di Ravenna e Forlì anche ai fini formativi. La rassegna si avvale inoltre del patrocinio dei Comuni del territorio e del sostegno di importanti marchi di aziende legate al mondo

Qual è il ruolo dell'architettura contemporanea? Quali le nuove soluzioni progettuali in campo e le prospettive di una professione che può incidere significativamente sulla qualità dell'abitare e la vivibilità urbana? Come e quanto influisce l'intervento dell'architettura nel fondamentale comparto economico delle costruzioni e del mercato immobiliare? Queste riflessioni, a partire dal 2013, sono state approfondite e dibattute in una serie di incontri/confronto aperti a tutti, con i più significativi progettisti e studi associati di architettura dell'Emilia Romagna e oltre. Alle conferenze hanno partecipato finora quaranta architetti progettisti, designer, storici e fotografi d'architettura, di diversa generazione ed esperienza, raccogliendo

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Andrea Dal Fiume

Ciclostile architettura

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Francesco Di Gregorio

Mauro Crepaldi

> Calatrava (su tema degli archistar la conferenza di Alberto G. Cassani) >

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De Gayardon Bureau

Massimo Iosa Ghini

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Nicola Marzot


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Musicologia dell’Università di Pavia a Cremona con riconversione dei Monasteri/ex-Caserme di Santa Monica, San Benedetto e Corpus Domini; il recupero dell’ex-Teatro Italia in Auditorium a Fusignano (Ra). Lamberto Rossi vanta anche una competenza specifica nella progettazione ospedaliera. A partire dal 2000, ha coordinato la Commissione del Ministero della Sanità per un nuovo modello di ospedale (voluta dall’allora Ministro Veronesi e da Renzo Piano). Ha curato come consulente per la parte architettonica la prima realizzazione del modello con l’Ospedale di Gubbio/Gualdo Tadino (2002-2008). Ha anche partecipato al concorso internazionale per la progettazione del riordino dell’Ospedale di Pordenone, risultando vincitore. Lo studio LRA ha acquisito anche notevole esperienza nella progettazione di residenze comunitarie tra cui la Residenza Universitaria del Campus di Novara per incarico dell’Università del Piemonte Orientale e per iniziativa della Regione Lombardia, la Casa dello Studente “San Carlo Borromeo” de L’Aquila (inaugurata nel 2009); di housing sociale quali residenze per anziani e immigrati (recupero ex-Ospizio Giovannardi a Fusignano - Ra) e nella riconversione di edilizia pubblica: laboratorio Unesco sulla riqualificazione delle periferie urbane a Ponte Lambro (Milano).

delle costruzioni, dell'arredo e del design. La nuova edizione annuale dei "SeDici Architettura" prevede anche quest'anno 8 incontri che hanno luogo, da metà marzo a novembre 2016, in spazi prestigiosi nelle città del territorio romagnolo fra Ravenna, Forlì, Faenza, Cervia, Cesena. Come già sperimentato con successo, gli incontri hanno come ospiti due studi di progettazione, – uno più noto e dotato di esperienza sul campo e uno di professionisti più giovani, emergenti, a inizio carriera – per un'esposizione e confronto, anche generazionale, fra le diverse metodiche e approcci al progetto. Novità dell'edizione 2016, la proposta di una tavola rotonda, in forma di dialogo "costruttivo" – fra gli ospiti delle conferenze ed esperti presenti per l'occasione – dedicati a temi di attualità nell'ambito, fra pubblico e privato, urbanistico ed edilizio, dello sviluppo sostenibile del territorio. I protagonisti "esperti" delle otto conferenze, con alle spalle un ricco e originale vissuto professionale – fra realizzazioni, primati in concorsi, ricerche sul campo, pubblicazioni e didattica sono Lamberto Rossi & Marco Tarabella (Milano), Mauro Crepaldi (Copparo - Fe), Andrea Dal Fiume (Imola), Nicola Marzot (Bologna), Diverserighestudio (Bologna), Massimo Iosa Ghini (Bologna), Andrea Zamboni (Reggio Emilia), Alberto Giorgio Cassani (Ravenna). Ecco una sintesi delle loro biografie professionali.

Mauro Crepaldi, nato nel 1975, si laurea alla Facoltà di Architettura di Ferrara e collabora stabilmente con lo studio Antonio Ravalli Architetti dal 2002 al 2007, partecipando a numerosi progetti e concorsi internazionali. Successivamente diventa responsabile dell’Ufficio Progettazione della Patrimonio Copparo s.r.l., società “in house” del Comune di Copparo, costituita per la gestione del patrimonio comunale, il management, l’organizzazione dei servizi pubblici locali, delle attività complementari, la progettazione e la costruzione delle opere pubbliche. L'area di intervento e sviluppo progettuale di Crepaldi è prevalentemente regionale, in particolare fra Ferrara e Bologna. Di particolare rilievo i progetti legati alla città e al territorio di Copparo: il restauro delle ex carceri, la ristrutturazione della ex Pretura, i nuovi uffici anagrafe e centro servizi cittadino, il nuovo polo cimiteriale, il complesso storico di Villa Mensa sul Po di Volano.

Lamberto Rossi, (1954) si laurea in architettura a Roma con Ludovico Quaroni nel cui studio inizia l’attività professionale. Dal 1978 al 1983 collabora con Giancarlo De Carlo, a Milano, e nel 1980 con Renzo Piano a Genova. Dal 1983 ha un proprio studio di progettazione a Roma e, dal 1998, a Milano. Dal 2008 ha costituito, con Marco Tarabella, la Lamberto Rossi Associati. Fra le attività progettuali si segnalano la riconversione di grandi complessi monumentali fra '800 e '900 – ex-ospedali, ex-caserme – in campus universitari. In corso di realizzazione su questi temi sono: il Polo Scientifico e Didattico dell’Università di Bologna a Forlì con riconversione dell’ex-ospedale Morgagni (su concorso internazionale); il Campus Universitario di Novara per l’Università del Piemonte Orientale (su concorso internazionale); il Campus di Lettere e

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ETB

Andrea Zamboni

Cavejastudio

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Diverserighestudio

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Rossi&Tarabella

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InOut

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Alvise Raimondi

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Mide

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SEDICI ARCHITETTURA 2016

Andrea Dal Fiume, (Modena, 1959) si laurea in architettura a Firenze nel 1989. Nel 1990 inizia l'attività di collaborazione in area tecnologica all'interno della Facoltà di Architettura di Ferrara dove, dal 1995 al 1998, è professore incaricato e titolare del modulo didattico di "Progettazione Ambientale". Coautore del testo "Architettura sostenibile" (Pitagora Editrice Bologna 1998), è autore di alcuni contributi inseriti nei volumi editi da BolognaFiere nell'ambito del Saie anni 1993 e 1994. Attualmente svolge la propria attività all'interno del Comune di Imola in qualità di responsabile del Servizio Opere Pubbliche attraverso la società BeniComuni srl. Tra le opere realizzate: "Ampliamento del Cimitero del Piratello in Imola", premiato all'interno del Festival dell'Architettura di Parma 2004, pubblicato nel volume "Almanacco di Casabella giovani architetti italiani 2001 - 2002" e sulla rivista "Paesaggio urbano" (n. 6/2005 - Maggioli Editore); inoltre la "Scuola per l'infanzia di S. Prospero", vincitore del Premio "Le citta' per un costruire sostenibile" 2004 - Trieste, pubblicato all'interno della rivista "L'architettura naturale" (n. 25/2004 - Edicom Edizioni ) e la "Nuova mensa della scuola primaria A. Rubri a Imola", pubblicata all'interno della rivista "Tetto & pareti in legno" (settembre/2006 - Ca' Zorzi Edizioni)

Nicola Marzot, assieme al partner Luca Righetti è progettista senior dello studio Performa Architettura + Urbanistica di Bologna. Lo studio è specializzato principalmente nella progettazione urbana, nella valutazione delle trasformazioni urbane e nelle strategie di sviluppo e valorizzazione con specifico riferimento ai programmi funzionali complessi di riqualificazione urbana e territoriale, sostenuti sia da attori pubblici che privati. Marzot e Righetti hanno vinto diversi concorsi relativi a studi di fattibilità per Società di Trasformazione Urbana, in collaborazione con importanti istituti di ricerca, multinazionali e società di consulenza. Svolgono inoltre attività editoriali per autorevoli riviste internazionali di progettazione architettonica e urbana. Fra i lavori più significati di Performa A+U: Progetto Staveco per palestra e campi sportivi (Bologna), Programma di Trasformazione Urbanistica Area Ravone (Bologna), Amatì Design Hotel (Zola Predosa-Bo), Uffici Nomisma, Palazzo Davia Bargellini (Bologna), Masterplan Nordhaven: the breathing city (Copenhagen), Complesso integrato della Stazione Centrale di Bologna, Factory park per insediamenti artigianali, uffici servizi e residenza (Argelato - Bo), Parco tematico con complesso multifunzionale residenziale, turistico, terziario, commerciale (Borgo Panigale - Bo), Urban Enterteinment Center Parco delle Stelle (Bologna), Riqualificazione e ri-progettazione del paesaggio in zona via Larga (Bologna), Progetto Acquario (Pero - Mi), Mondo Europa, parco divertimenti tematico (Medicina - Bo), Masterplan ex Officine Adige (Verona).

Diverserighestudio è stato fondato a Bologna nel 2013 dagli architetti Nicola Rimondi, Simone Gheduzzi e Gabriele Sorichetti, tutti e tre nati nel 1975 e laureati all'Università di Ferrara. «La nostra architettura è scrittura collettiva – affermano i tre progettisti –: vorremmo tornare a dare senso sociale al lavoro dell’architetto. Sentiamo l’esigenza di costruire operazioni dotate di senso che siano in grado di generare linguaggi e strumenti comuni tra abitanti e luoghi. L’architettura per noi è un supporto alla socialità». Lo studio è indirizzato su due temi fondamentali quello antropologico (l'architettura a servizio e in equilibrio fra esigenze della collettività e dell'individuo) e quello ecosostenibile (gli edifici devono consumare poca energia, tutelare il benessere fisico, quello acustico e l'armonia visiva degli abitanti). «Per cui nel progettare serve più know how che high tech». Lo studio ha lavorato per diverse committenze pubbliche e private: riconversione dell'Opificio Golinelli (Bologna), residenze Casalogica, Viagenova, Libeccio, Ostro+Scirocco (Bologna), la serie delle case Acupuncture, Casa del popolo Corte Campadelli (vincitrice del Premio Internazionale di Architettura Sostenibile), Biblioteca multimediale dell’Alma Mater di Bologna nell’area Staveco, rigenerazione dell’area industriale Ex Eridania a Molinella (Bo), progetto Brionvega a Pesaro, il modulo abitativo in legno T-Time.

Massimo Iosa Ghini, classe 1959, si laurea in architettura al Politecnico di Milano. È stato tra i fondatori del gruppo "Bolidismo" e ha collaborato con il gruppo Memphis fondato da Ettore Sottsass. Artista, disegnatore e progettista eclettico, nel 1990, fonda la Iosa Ghini Associati, con sede a Milano e Bologna. Si occupa di progettazione di architetture, installazioni culturali e commerciali, e catene di negozi. È inoltre attivo in campo teorico con la partecipazione a convegni, conferenze e seminari sull'architettura e il design. Tra le sue installazioni, quella del 1988 realizzata a Parigi al Centro Georges Pompidou. I suoi progetti si trovano in vari musei e hanno ricevuto riconosci-

menti, tra cui il Roscoe Award negli Usa, il Good Design Award dal Chicago Athenaeum, il Red Dot Award, l’IF Product Design Award nel e il premio Iai Award Green Design Global Award a Shanghai. Un suo progetto è stato presentato nel Padiglione Italia “Le architetture del Made in Italy”, 13ª Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia 2012. Nel 2013 la Triennale di Milano ha dedicato una mostra antologica ai suoi trent'anni di carriera professionale, dagli esordi all’oggi sostenibile, poi riproposta dal Mambo di Bologna. Nel 2015 un suo retail concept, Kiko Milano, ha vinto nella categoria Best Retail Global Expansion al Mapic 2014. La Fondazione Marconi ed il Marconi Institute for Creativity gli hanno conferito il Premio Marconi per la Creatività come riconoscimento per le sue capacità ideative. Presso la sede di Ice Agenzia a Roma Eur, è stata ospitata sua installazione "Assolo Italiano", dedicata alle eccellenze del Made in Italy. Recentemente si è occupato di sostenibilità «non solo come tecnologia ma anche come atteggiamento».

Zamboni Associati Architettura di Reggio Emilia si occupa della progettazione di opere pubbliche e private alle varie scale architettoniche e urbane, il restauro di complessi storici e del Novecento, la pianificazione urbana, i progetti di carattere museale e allestitivo. Ulteriore ambito di intervento è la progettazione a scala territoriale e la riqualificazione degli spazi pubblici come nel caso di Porta San Pietro e via Emilia Ospizio a Reggio Emilia, vincitore nel 2010 del I premio nazionale Iqu. Tra i lavori più recenti la nuova sede provinciale della Confcommercio di Reggio Emilia, il restauro di Palazzo Linari e di Palazzo Scaruffi, sede della Camera di Commercio, il recupero della Fonderia Lombardini, sede di Aterballetto, la riqualificazione dell’Isolato San Rocco (RE), opera di Luigi Vietti, il recupero e riconversione a destinazioni pubbliche dello stabilimento industriale dismesso dell’ex Cremeria di Cavriago. La partecipazione a concorsi nazionali e internazionali di progettazione è ulteriore ambito di ricerca alle differenti scale architettoniche, urbane, territoriali. spaziano fra luoghi pubblici e privati, in interni e all'esterno, da musei e centri culturali a edifici storici, da uffici e negozi a hotel e ristoranti. Andrea Zamboni (associato e direttore tecnico di ZAA) studia alla Facoltà di Architettura di Ferrara e all'Accademia di Architettura di Mendrisio. Si laurea a Ferrara e in seguito collabora con Nicola Di Battista a Roma e Guido Canali a Parma. Con Canali Associati segue come responsabile di progetto la realizzazione del museo di arte compemporanea di Kyong Ki (Corea del Sud), oltre al progetto di riconversione della Manifattura Tabacchi di Milano. Nel 2002 è selezionato per il Premio Architettura dell’Accademia di San Luca a Roma. Dal 2005 svolge attività didattica e di ricerca nella Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” a Cesena. Dal 2010 è dottore di ricerca in Composizione Architettonica all’Università di Bologna. È autore di saggi e pubblicazioni, tra le quali “Dominique Perrault” in edizione italiana (Motta Architettura) e francese (Actes Sud), “Architettura del Novecento a Reggio Emilia” (Bruno Mondadori) con Chiara Gandolfi. Dal 2013 è professore a contratto in Composizione Architettonica alla Scuola di Ingegneria e Architettura dell'Università di Bologna e fa parte del Centro Studi della rivista internazionale di architettura "Domus" diretta da Nicola Di Battista.

Alberto Giorgio Cassani si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano (1986), poi dottore di ricerca in Conservazione dei beni architettonici (1993), e professore a contratto di Teorie e storia del restauro al PdM (19962002). È docente di Elementi di architettura e urbanistica all’Accademia di Belle Arti di Venezia. A contratto, insegna la stessa materia all’Accademia di Ravenna dal 1995. È abilitato come professore universitario nel settore Restauro e Storia dell’architettura. Già membro del Circolo Gramsci di Ravenna (1991-2002) è redattore di "Albertiana" e di "Anfione e Zeto" e curatore dell’Annuario dell’Accademia di Venezia; collabora con la rivista “Casabella”. Studioso di Leon Battista Alberti, suoi campi di studio sono inoltre la storia dell’architettura moderna e contemporanea, la teoria e storia del restauro, la letteratura sulle città e la fotografia d’architettura. Oltre a innumerevoli saggi e articoli ha al suo attivo diverse pubblicazioni monografiche e partecipazioni a convegni e conferenze sul tema della storia dell'architettura. Fra architetti, fotografi di architettura e paesaggio e studi di progettazione emergenti e di nuova generazione saranno ospiti della rassegna: Ciclostile Architettura (Bologna), MIDE (Venezia), ETB (Treviso), Francesco Di Gregorio (Parma), INOUT architettura (Ferrara), De Gayardon Bureau (Cesena), Cavejastudio (Forlì), Alvise Raimondi (Cesena). I loro curriculum professionali, le tendenze progettuali e i lavori che presenteranno in occasione delle conferenze, saranno documentati e approfonditi su queste pagine durante tutto il corso annuale della rassegna.


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Dialoghi sui – massimi, minimi o nuovi – sistemi del fare architettura A inaugurare, a margine delle conferenze di "SeDici Architettura 2016", una serie di tavole rotonde fra esperti dedicate all'attualità della progettazione "sostenibile", il tema dei concorsi e dei lavori pubblici. La vicenda esemplare di un concorso internazionale del Comune di Varese che ha visto il buon esito del progetto presentato dagli architetti ravennati di Nuovostudio. La serata inaugurale del 19 febbraio all'Albergo Cappello di Ravenna della rassegna "SeDici Architettura 2016" darà il via anche alla prima delle tavole rotonde in programma, a margine delle conferenze, ideate e coordinate dalla redazione della rivista “Casa Premium”. Il tema d’esordio messo sul tavolo del confronto fra esperti è quello dei concorsi e dei lavori pubblici, e più in generale del ruolo delle amministrazioni locali nello stimolo e nell'utilizzo della buona (e sostenibile, come si propone oggi) progettazione architettonica e urbanistica. Alla discussione hanno aderito: Francesca Proni (Progettazione Urbanistica Comune di Ravenna), Gabriele Montanari (Programmazione territoriale Unione Comuni Bassa Romagna), Marco Turchetti (Progettare Sostenibile - Ravenna), Filippo Pambianco (Cavejastudio - Forlì), Emilio Rambelli (Consigliere Ordine Architetti Ravenna) e Paolo Marcelli (Presidente Ordine Architetti Forlì). A proposito di concorsi pubblici, un caso esemplare – anche per il buon esito ottenuto dai progettisti ravennati di Nuovostudio che ci hanno brevemente testimoniato la vicenda – è quello del concorso internazionale di architettura, bandito agli inizi del 2015 dal Comune di Varese e dalla Regione Lombardia, per il recupero di Piazza della Repubblica e dell’ex Caserma locale. Il lotto indicato dal bando prevedeva la riqualificazione di un'ampia area semiperiferica con la rsistemazione della grande piazza (attualmente uno spiazzo anonimo a copertura di un parcheggio sotterraneo multipiano) e la ristrutturazione dell’ex Caserma che insiste nell'area, un edificio storico ottocentesco di circa 10.000 mq da adibire a biblioteca pubblica e servizi civici per i cittadini. Il comparto una volta completato, implica un investimento di circa 30 milioni di euro, di cui circa 8 milioni già resi disponibili dai committenti pubblici. La chiusura del cerchio dei finanziamenti dovrebbe avvenire con il coinvolgimento di privati. Il concorso si è svolto in due fasi: alla prima, preliminare, dedicata alla presentazione di un'idea di massima della riqualificazione dell'area in oggetto (formalmente tre tavole visuali e una breve relazione), hanno partecipato 122 studi nazionali e internazionali. Di questi solo dieci sono stati selezionati (fra cui per l'appunto Nuovostudio di Ravenna) e hanno avuto accesso alla seconda fase. I dieci soggetti progettuali prescelti hanno avuto 3 mesi di tempo per elaborare un progetto molto più dettagliato (che doveva essere formulato in 12 tavole di 140x 80 cm., con allegati analisi di costi e consulenze di varia natura tecnica), compensato con 5mila euro. Il lavoro di approfondimento è quindi stato perlomeno rimborsato delle spese soste-

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nute. Nel dicembre scorso è stato ufficialmente dichiarato l'esito del concorso che ha visto vincitore il progetto dello Studio Mauro Galantino (MIlano) e qualificati, come secondo e terzo premio, rispettivamente i progetti dell'architetto Alberto Carinella (Varese) e di Nuovostudio di Ravenna che ha ottenuto un riconoscimento di 15mila euro. «A mio parere – commenta il capoprogetto di Nuovostudio, Emilio Rambelli –questo concorso apre una nuova stagione per i concorsi pubblici, vista la serietà e la competenza con cui è stato strutturato il bando. Penso sarebbe importati che anche altri enti locali italiani prendessero spunto da questo metodo». Ecco il gruppo di lavoro del progetto qualificato di Nuovostudio, composto in gran parte da progettisti e tecnici (anche giovani) ravennati: Emilio Rambelli (Capogruppo), Gianluca Bonini, Giovanni Mecozzi. In collaborazione con Alberto Mazzotti, Francesco Rambelli, Luca Capacci, Jacopo Bettoli, Mattia Landi. Consulenti: Ing. Guido Lenzi (Bologna) per le strutture; Daniele Moderini (Venezia) per paesaggio; Cristina Garavelli (officina Meme, Ravenna) per l'ambiente e sostenibilità ambientale; Claudio Vada (Centro progetto, Ravenna) per gli impianti; Massimo Baldi (Ravenna) per i computi metrici; Gianni Minori (Ravenna) per la sicurezza.

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La cerimonia di premiazione del concorso con il presidente della Regione Lombardia

Due rendering del progetto di Nuovostudio di Ravenna qualifcatosi al terzo posto su oltre 100 concorrenti

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ARCHITETTURE E MEMORIE


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Il miglior monumento a Dante A proposito di una ricorrenza e di una mostra allestita alla Biblioteca Classense dedicata a Camillo Morigia di Alberto Giorgio Cassani

Nell’unica lettera – e dunque ancor più preziosa – di Giovanni Pascoli, conservata nel carteggio Corrispondenti di Corrado Ricci, il poeta, all’epoca soggiornante a Messina come Ordinario di Letteratura latina all’Università, ricordando le belle pagine dedicate alla pineta dantesca dal suo amico ravennate nel volume L’ultimo rifugio di Dante Alighieri, annota: «Vorrei sapere a che punto è una sottoscrizione per un monumento o un nuovo sepolcro o che so io, a Dante in Ravenna. Ripensa e riprendi la cosa! Ma in Classe!».1 La lettera è datata 12 gennaio 1902. Dunque, il poeta di San Mauro sollecitava l’amico Ricci, all’epoca Direttore della R. Pinacoteca di Brera, a ragionare sull’idea del progetto di un nuovo mausoleo dantesco nella pineta tanto amata dal grande fiorentino. La prima edizione dell’Ultimo rifugio è del 1891.2 In essa, il giudizio sull’opera del conte Camillo Morigia, «Perito, Matematico ed Architetto»,3 non era certo dei più entusiasti: «Nell’insieme il tempietto è grazioso, ma non s’accorda con l’austerità del vicino sepolcreto e della vicina chiesa. Anzi più che del grande e severo poeta dei tre regni d’oltretomba, sembrerebbe il sepolcro di qual-

che arcade mellifluo e cortigiano e, se si vuole, di Corilla Olimpica,4 e starebbe meglio in mezzo a un parco, sulla riva di un laghetto solcato da cigni, fra i mirti e i salici piangenti».5 Nella seconda edizione, ampliata, del 1921, anno – certo scelto non casualmente – del centenario dantesco, il Ricci, però, contrasta con forza ogni ipotesi di nuovo sepolcro: «Ma noi ci siamo sempre opposti a che si sostituisse con un grande mausoleo (Dio ne scampi e liberi) in istile gotico. Almeno il Morigia era stato sincero: aveva fatta l’arte ch’egli e il suo tempo sentivano».6 Nel disegno a sinistra: Camillo Morigia, Prospetto della prima soluzione progettuale della tomba di Dante, matita e inchiostro, Biblioteca Classense Ravenna (IBCRa), Cassa Grande, 82.6.A, cartella XX, n. 42/1. Tutte le immagini, ad eccezione del progetto di Boullée, sono state concesse gentilmente dalla dott.sa. Claudia Giuliani, direttrice dell’Istituzione Biblioteca Classense; ringrazio anche Gabriele Pezzi per avermele cortesemente e sollecitamente inviate. Sotto, a sinistra: Antonio Monghini, Ritratto di Camillo Morigia, 1795, olio su tela, cm 135x95, IBCRa., Quadreria, inv. 302121. Sotto al centro: Camillo Morigia, Sepulcri Prospectus exterior, prospetto definitivo della tomba di Dante, incisione, IBCRa, Cassa Grande, 82.6.A, cartella XX, n. 42/7. Sotto a destra: Camillo Morigia, Sepulcri Prospectus interior, sezione dell’interno definitivo della tomba di Dante, incisione, IBCRa, Cassa Grande, 82.6.A, cartella XX, n. 42/8.

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Dunque, Corrado Ricci non avrebbe in ogni caso dato corso alla sollecitazione pascoliana. Altri grandi poeti, in passato, il Foscolo tra i primi, avevano criticato la differenza tra “le parole e le cose”, sostenendo che il sepolcro – e il poeta di Zante se ne intendeva, senz’alcun dubbio – appariva “magnifico” e “meraviglioso” nell’ascolto degli elogi retorici, ma «non così a chi lo guarda, e vi trova la vanità degli uomini che per aggiungere i loro miseri nomi ne’ monumenti su’ quali parla l’eternità, li rimutano, e annientano le reliquie grate alla storia».7 Questa, detto en passant, non era invece l’opinione del Leopardi, che, di fronte all’umile tomba del Tasso, a Sant’Onofrio al Gianicolo in Roma, aveva scritto al fratello Carlo: «Molti provano un sentimento d’indignazione vedendo il cenere del Tasso, coperto e indicato non da altro che da una pietra larga e lunga circa un palmo e mezzo, e posta in un cantoncino d’una chiesuccia. Io non vorrei in nessun modo trovar questo cenere sotto un mausoleo. Tu comprendi la gran folla di affetti che nasce dal considerare il contrasto fra la grandezza del Tasso e l’umiltà della sua sepoltura».8 Tra i poeti contrari all’opera del Morigia è certo superfluo ricordare Olindo Guerrini, in arte Lorenzo Stecchetti, di cui quest’anno si celebra il centenario della morte, che al tempietto dantesco morigiano ha dedicato alcuni dei più salaci versi nei suoi Sonetti romagnoli: «tabarine d’un timpiett / Copié sur un modell da zucarira»,9 «pivirola»,10 coperta da un «coperchio da cesso»;11 mentre il suo illustre progettista è stato, come noto, definito un «pataca».12 Ma il Ricci, pur amicissimo e compagno di celebri scherzi del poeta di Sant’Alberto, non è un lirico, ma uno storico dell’arte formatosi sul pensiero positivista e sull’amore del documento. La tomba, pur non eccelsa, è appunto una testimonianza sincera dell’epoca e non può essere toccata. Nella realtà, purtroppo, non sarà così. In occasione del già ricordato sesto centenario della morte di Dante, nel 1921, la tomba subirà un pesante “restyling” in ottica irredentista (la prima guerra mondiale era appena terminata e il fascismo aveva già battuto più di un “destro” colpo), da parte del sovrintendente ai Monumenti di Ravenna Ambrogio Annoni. Questi aveva definito il tempietto morigiano «modesto d’idea, freddo di forma, nobile tuttavia e sincero»,13 sottintendendo dunque che qualche “miglioria” poteva essere apportata. Alla fine dell’intervento, che coinvolgerà soprattutto l’interno, la leggerezza settecentesca della tomba risulterà perduta per sempre, sovraccarica com’è, a tutt’oggi, di marmi e bronzi, nell’ottica di un Dante nazionalista e, di lì a poco, “fascista”.14 A suo onore (o forse meglio a sua giustificazione?), l’Annoni citerà Santi Muratori: «La cameretta borghesuccia è diventata una vera cappella sepolcrale, e vi risuona più profonda la voce dei secoli».15 Se dunque il sepolcro non è un capolavoro d’architettura settecentesca, paragonato a quanto, in quegli anni (la tomba è del 1780-1781), veniva sperimentato dalla cultura architettonica, in particolare francese (mi riferisco qui ai “rivoluzionari” Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux), è in ogni modo un sapiente “assemblaggio” di tessere provenienti dalla grande cultura antiquaria del Morigia, possessore di una delle biblioteche d’architettura più importanti non solo a livello italiano.16 La critica in passato ha già ben delineato la derivazione del sepolcro da un «“sano” neo-cinquecentismo»,17 che tuttavia, alla fine della vita del conte, si tramuterà in un «Cinquecentismo negato»,18 con gli exploit della Casa delle Aje e della Casa Codronchi. Uno stile, il

In alto: tomba di Dante, particolare del timpano con l’ouroboros (foto di Gabriele Pezzi, Archivio fotografico IBCRa). Al centro: tomba di Dante, particolare del fregio con i bucrani e i panni funebri a mo’ di festoni (foto di Gabriele Pezzi, Archivio fotografico IBCRa). In basso: particolare dell’ordine dorico del primo livello del cortile del convento della Carità in Venezia, progetto di Andrea Palladio, in Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio raccolti ed illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi… etc., In Vicenza, per Francesco Modena, 1776-1783, tomo IV, tav. XXVI a.

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suo, declinato soprattutto nel nome del grande Andrea Palladio – è stata indicata anche la possibile fonte: la chiesa delle Zitelle alla Giudecca.19 Ma erano stati fatti anche altri paragoni, fin dal Settecento, col «grazioso tempietto di Sant’Andrea a Ponte Molle»,20 cioè Sant’Andrea sulla via Flaminia in Roma di Jacopo Barozzi detto il Vignola, mentre, sulla scia forse dell’accenno del Ricci alla somiglianza con tempietti da parco inglesi, sono state evocate, appunto, possibili vicinanze con quelli progettati da William Kent21 a Stowe, Holkham e Chiswick House.22 Ma, ancor più di queste tipologie ludiche seppur “meditative”, sembrano maggiormente efficaci, visto il carattere funebre dell’opera morigiana, i paralleli con gli «antichi sepolcri romani, un repertorio dei quali il Morigia poteva vedere nell’opera di Pietro Santi Bartoli Gli antichi sepolcri, edita a Roma nel 1768 e da lui posseduta».23 In base alle ricerche da me recentemente condotte in occasione della mostra,24 si possono formulare altre possibili ipotesi di fonti architettoniche, senza che però se ne possa indicare una che convinca pienamente (e sempre che una fonte precisa debba per forza esserci): se il modello “grande” del cupolino esterno, con i tre gradini, è senz’altro riconducibile al Pantheon – con le dovute differenze di proporzione, gigantesca nel capolavoro adrianeo e assai minuta nel caso del sepolcro ravennate –, tema ripreso anche nel progetto della cupola di San Pietro del Bramante, altri esempi il Morigia poteva trarre dal vasto repertorio della sua biblioteca: il classico tempio di Vesta a Tivoli, riprodotto in numerose versioni (nei trattati del Serlio e del Palladio, nonché nella magnifica Raccolta de’ tempj antichi di Francesco Piranesi (Roma, 1758-1759?-1810), tutti volumi posseduti dal conte ravennate), il “capriccioso” ed “eterodosso” Giovanni Battista Montano, intagliatore di legname ed architetto manierista, di cui è presente nella biblioteca del Morigia il raro Li cinque libri di architettura (Roma, 1684-1691), così come altre suggestioni visive possono essere giunte al conte dal secondo frontespizio con ritratto delle Œuvres d’Architectvre (Parigi, 1751?) di Anthoine le Pautre, dove, sul margine a sinistra, compare un piccolo tempietto, o, anche, la tavola 77 degli Antichi Sepolcri (Roma, 1768) del già citato Bartoli, con un’ipotetica ricostruzione del prospetto della Mole Adriana. Qualche cosa di più fondato si può dire sull’apparato decorativo della tomba. Molto più ricco nel primo disegno della stessa – vi comparivano due obelischi e un sole irraggiante nel timpano, che poi spariranno nella redazione definitiva – si riduce, alla fine, all’ouroboros, il serpente circolare che si morde la coda, simbolo dell’eternità della fama del poeta, alla fascia coi bucrani collegati da un panno funebre – anziché dai più tradizionali festoni –, alla lira, simbolo della poesia, e alla corona d’alloro, simbolo della gloria. Non si sa in quale anno, ma sicuramente durante l’Ottocento,

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la lira e la corona d’alloro andranno perdute ed oggi, sulla facciata del tempietto dantesco, restano solo l’ouroboros, lo stemma del cardinale Luigi Valenti Gonzaga, come noto, committente dell’opera, nonché i rosoni all’antica e i “gigli” fiorentini collocati al di sotto del timpano. In particolare, per i panni funebri e per i rosoni, credo di aver trovato la fonte architettonica: per i primi, il Morigia poteva vedere un prototipo palladiano nella fascia dell’ordine dorico del primo livello del cortile del Convento della Carità in Venezia, ancor più facilmente accessibile nella tavola XXVI del tomo quarto delle opere del Palladio curate da Ottavio Bertotti Scamozzi, ed esempio, per l’autore, di un «Atrio corintio»;25 mentre per i secondi, scartata l’ipotesi di una vicinanza con quelli dei gradini circolari delle due colonne lombardesche di piazza del Popolo in Ravenna, è possibile che il Morigia abbia tratto uno dei due tipi, ripetuti in più esemplari, dal volume di Carlo Antonini, Manuale di varj ornamenti tratti dalle fabbriche, e frammenti antichi… etc. (Roma, 1777), presente nella biblioteca morigiana, in particolare dall’incisione n. 26. Ma di là dalle questioni più specificatamente architettoniche, qual è il senso generale che spira dal progetto? Avevamo parlato di “modestia”. Ebbene, il Morigia possedeva ben sei volumi di Leon Battista Alberti, il più grande trattatista d’architettura del Quattrocento ed uno dei maggiori di tutti i tempi. Di lui, il conte conservava un’opera rara ed eccentrica, gli Opvscoli morali, editi da Cosimo Bartoli nel 1568 a Venezia, miscellanea che conteneva il capolavoro allora misconosciuto del grande umanista-architetto: il Momus. Dunque il Morigia non era né uno sprovveduto, né un provinciale, come spesso lo si è voluto far credere. Quanto questi apprezzasse l’Alberti lo si evince in una straordinaria nota autografa apposta nella carta di guardia iniziale dell’edizione cinquecentesca del trattato curata dal Bartoli.26 Forse, nel De re ædificatoria dell’Alberti, il conte avrà letto quelle pagine dedicate ai sepolcri in cui si elogia la moderatio del grande Ciro, re dei Persiani che, come tomba, si fece erigere un «domicilium perpusillum»27 – un «Tempietto […] piccoletto», nella colorita traduzione del Bartoli.28 Come a voler dire che, a un grande uomo, non è necessario erigere un fastoso sepolcro, perché sono le sue opere il suo vero, ed autentico, monumento.29

Nella pagina a fianco: Camillo Morigia, nota autografa in latino apposta sulla carta di guardia iniziale de L’Architettvra di Leon Batista Alberti, Tradotta in lingua Fiorentina da Cosimo Bartoli […], Nel Monte Regale Appresso Leonardo Torrentino, 1565. In questa pagina, in alto: dettaglio del fregio dell’ordine dorico del primo livello del cortile del convento della carità in Venezia, progetto di Andrea Palladio, in Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio raccolti ed illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi… etc., cit., tomo IV, tav. XXVI c. Al centro: Rosone antico nel Tempio di Giove Statore in Campo Vaccino, incisione in Carlo Antonini, Manuale di varj ornamenti tratti dalle fabbriche, e frammenti antichi… etc., In Roma, per il Casaletti, 1777-1790, vol. I, tav. 26. In basso a sinistra: tomba di Dante, particolare di uno dei due tipi di rosoni presenti nel timpano del monumento (foto di Gabriele Pezzi, Archivio fotografico IBCRa).

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NOTE: 1.

Istituzione Biblioteca Classense, Ravenna, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. CXLIII, n. 26835.

2.

Corrado Ricci, L’ultimo rifugio di Dante Alighieri, Milano, Ulrico Hoepli, 1891.

3.

Cfr. Sommario biografico di Camillo Morigia, in Nullo Pirazzoli, Paolo Fabbri, Camillo Morigia: 1743-1795. Architettura e riformismo nelle legazioni, con un saggio di Marco Dezzi Bardeschi, Imola, University Press Bologna, 1976, pp. 99-100: 99.

4.

Pseudonimo arcadico della poetessa Maria Maddalena Morelli (Pistoia, 17 marzo 1727 Firenze, 8 novembre 1800).

5.

C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante Alighieri, cit., pp. 316-317.

6.

Corrado Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, seconda edizione con ventidue illustrazioni e diciassette tavole, Milano, Ulrico Hoepli, 1921.

7.

Ugo Foscolo, Discorso sul testo del Poema di Dante, in Opere edite e postume di Ugo Foscolo, Volume terzo, Prose letterarie, Vol. terzo, Firenze, Felice Le Monnier, 1850, p. 365.

8.

Giacomo Leopardi, Lettera a Carlo Leopardi, Roma, 20 febbraio 1823, in Id., Lettere, a cura e con un saggio introduttivo di Rolando Damiani, Milano, Arnoldo Mondadori, 2006, pp. 389-391: 390.

9.

Olindo Guerrini, [alias Lorenzo Stecchetti], Parla il Cicerone ravignano, III, vv. 3-4, in Id., Sonetti romagnoli, Bologna, Zanichelli, 1997, p. 159.

10. Ibid., III, v. 8, p. 191. 11. Ibid., IV, v. 11, p. 192. 12. Ibid., III, v. 6, p. 191. 13. Ambrogio Annoni, s.v. «Morigia, Camillo», in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, XXIII, 1934, p. 854. 14. Si veda il condivisibilissimo giudizio espresso da Marco Dezzi Bardeschi, in Itinerario 17701790. “Logica degli addottrinati” e mandato sociale di un architetto: un’interpretazione, in N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia: 17431795…, cit., pp. 29-94: 76. 15. Ambrogio Annoni, La tomba del Poeta e il recinto dantesco, Milano, Bestetti & Tumminelli, 1924, pp. 22-23; la frase del Muratori è tratta da Santi Muratori, La tomba di Dante nel sesto centenario [15 Agosto 1921], in «Arte cristiana», IX, n. 9, 1921, pp. 276-283: 281-282. 16. Sulla biblioteca del Morigia si veda Claudia

Giuliani, La biblioteca dell’architetto Camillo Morigia, in La biblioteca dell’architetto Camillo Morigia: I libri, le incisioni, i disegni all’origine del progetto architettonico del sepolcro dantesco, Catalogo della mostra (Ravenna, Biblioteca Classense, 13 settembre 2015 - 6 gennaio 2016), a cura di Claudia Giuliani, Donatino Domini, Alberto Giorgio Cassani, Bologna, Bononia University Press, 2015, pp. 9-20. Sulla ricezione di Dante dalla fine del Settecento agli anni Venti del Novecento, si veda Donatino Domini, Camillo Morigia e il Dantis Poetae sepulcrum, da icona civile ad «altare della Nazione», Ibid., pp. 21-28. 17. M. Dezzi Bardeschi, Itinerario 1770-1790…, cit., p. 38. 18. Ibid., p. 90. 19. Cfr. [Scheda n.] 14: Tomba di Dante. 17801781, Catalogo delle opere, a cura di Nullo Pirazzoli e Paolo Fabbri con la collaborazione di Carla Cenci, in N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia: 1743-1795…, cit., pp. 143-144: 144; e anche Nullo Pirazzoli, Architettura sacra maggiore: le facciate del Duomo d’Urbino e di S. Agostino a Piacenza, Ibid., pp. 115-121: 119, che rimanda ad Andrea Emiliani, Il volto della regione (1750-1815), in Questa Romagna: storia, costumi e tradizioni, 2, a cura di Andrea Emiliani, Bologna, Alfa, 1968, pp. 12224: 100. 20. Memorie per le Belle Arti, Roma, Stamperia Paglierini, 1785-1788, tomo I, 1785, p. LXXX. 21. Cfr. Nullo Pirazzoli, Tra Barocco ed Arcadia: primi lavori di architettura, in N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia: 1743-1795…, cit., pp. 109-113: 110 e [Scheda n.] 14: Ravenna. Tomba di Dante. 1780-1781, cit., p. 144. 22. Se per i due esempi precedenti l’affermazione non può che essere ipotetica, per quest’ultimo tempietto c’è un riscontro effettivo, in quanto esso è riprodotto in un’incisione all’interno della splendida edizione in folio delle opere d’architettura di Inigo Jones, The Designs of Inigo Jones, consisting of plans and elevations for public and private buildings, Published by William Kent, with some additional Designs, London, printed for Benjamin White at Horace’s Head, Fleet-Street, 1770, tomo I, planche 73, volume posseduto dal Morigia nella sua biblioteca. 23. N. Pirazzoli, Architettura sacra maggiore…, cit., p. 110. 24. E i cui risultati si possono leggere nel mio saggio Perché quel latino? Qualche osservazione sulle fonti architettoniche della tomba di Dante, in La biblioteca dell’architetto Camillo Morigia…, cit., pp. 29-40. 25. Cfr. Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio

raccolti ed illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi… etc., In Vicenza, per Francesco Modena, 1776-1783, tomo IV, tav. XXVI. A p. 39, il Bertotti Scamozzi scrive: «Si osservi, che nel Fregio dorico non vi sono Metope, né Triglifi, e invece il Palladio vi sostituì Teschi di Bue, con Bandelle, e Festoncini graziosamente intrecciati». 26. «Si nunquam librum hunc legisti lege Carissime Lector, et exinde percipias quanti perpendendum sit judicium procerum, multitudinis, et eorum quibus salus, tutela, regimen, et sors hominum credita est», come a dire che il testo albertiano è utilissimo a ben governare le città e gli uomini. 27. Si veda il passo nell’edizione latina posseduta dal Morigia: De re ædificatoria libri decem… etc., Argentorati excudebat M. Iacobus Cammerlander Moguntinus, 1541, c. 116v. 28. Cfr. L’Architettvra di Leon Batista Alberti… etc., Nel Monte Regale Appresso Leonardo Torrentino, 1565, p. 205. 29. Dello stesso avviso è Francesco Milizia, coetaneo del Morigia e autore di quei celebri Principj di Architettura Civile (Finale, Jacopo de’ Rossi, 1781), anch’essi in possesso del conte: in essi, tomo II, p. 340, il Morigia poteva leggere questa sentenza filosofica di un «cinico» filosofo, in realtà null’altri che l’autore: «La società non sa che fare de’ meri depositi de’ morti. Qui sono le ceneri di Trajano. Che me ne importa? Hanno elleno qualche virtù fisica particolare? Vogliono essere semplici, e chiari monumenti delle virtù più cospicue, cioè delle azioni più benefiche degli uomini grandi; e questi monumenti non possono meglio situarsi, che dove son seguite le loro gloriose azioni. Questo gran ponte sul Danubio è opera di Trajano: sia benedetto: questo è un beneficio, che interessa nazioni intere. La Via Appia è il vero mausoleo di Appio, e quello di Tarquinio è la Cloaca Massima».

A sinistra: Étienne-Louis Boullée, Cénotaphe à Newton, prospetto, 1784, inchiostro acquerellato, cm 66X40, Parigi, Bibliothèque Nationale de France, BNF Estampes, Rés. Ha-57-Boîte ft-4. A destra: Étienne-Louis Boullée, Cénotaphe à Newton, sezione notturna, 1784, inchiostro acquerellato, cm 66X40, Parigi, Bibliothèque Nationale de France, BNF Estampes, Rés. Ha-57-Boîte ft-4.


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Comitato scientifico Gianluca Bonini, Giovanni Mecozzi, Filippo Pambianco Organizzazione, promozione, documentazione Reclam edizioni e comunicazione srl – Casa Premium rivista dell’abitare

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ARTE E ARCHITETTURE

di Serena Simoni

Chi visita Ravenna o chi è solito frequentare mostre di arte conosce il Museo d'arte della città (MAR) collocato in via di Roma nella sede che tutti conosciamo come Loggetta lombardesca. Credo che sia abbastanza comune la sensazione di piacere che suscita la vista del piccolo chiostro quadrilatero che si incontra dopo aver superato l'atrio di ingresso del museo: è un piccolo gioiello architettonico rinascimentale che incornicia elegantemente uno spazio verde con arcate in doppio ordine. Negli ultimi anni, i corridoi del chiostro sono stati utilizzati come spazi espositivi permanenti sia al pianoterra che al primo piano, togliendo forse un po' di respiro all'occhio che – almeno per quanto mi riguarda – vorrebbe indugiare un po' più a lungo sugli spazi e le forme classicheggianti della struttura. Sul retro dell'edificio, verso i giardini pubblici, il doppio ordine del chiostro si intravede attraverso un loggiato chiuso da una bella cancellata del primo '900, determinando una visione di grande effetto, soprattutto nelle sere d'estate. Tutto sommato, almeno il chiostro rimane sufficientemente fedele a quello spazio raffinato che i monaci di Porto avevano immaginato ed iniziato a costruire dal 1502, pochi anni dopo alla prima fase di costruzione del complesso che doveva ospitare la comunità dei Canonici regolari lateranensi. Molto è invece scomparso dell'intero edificio originario che doveva essere talmente bello da giustificare il fatto che – prima della costruzione del Palazzo dei Legati in piazza – i rappresentanti pontifici o addirittura i papi di passaggio in città scegliessero il monastero di Porto per il loro soggiorno. In alcuni dipinti di Romolo Liverani del 1824 risultano ancora visibili elementi che non esistono più come il refettorio e il secondo chiostro trilatero costruito nel 1522, che si trovava davanti all'attuale facciata del museo, esattamente dove oggi c'è un bel prato con aiuole.

Un po' meno grande di quello sopravvissuto, questo chiostrino d'ingresso inglobava una torre con un orologio – poi abbattuta nel 1837 – e un portale cinquecentesco nel lato verso la basilica di Santa Maria in Porto. Definita la funzione militare dell'edificio portuense già al tempo delle soppressioni napoleoniche, nel 1885 si decise di abbattere tutta la parte dell'edificio che occupava la parte antistante alla facciata attuale. Abbattuto il refettorio, si smontò quindi il chiostro minore per lasciare spazio alla costruzione della Caserma Garibaldi, un edificio tetragono che occupava l'area dalla facciata attuale del MAR fino al marciapiede di via di Roma. La sede militare – testimoniata in alcune fotografie eseguite fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo successivo – scomparve sotto i bombardamenti del luglio '44 che coinvolsero purtroppo anche parte del chiostro attuale e della facciata. Solo nel dopoguerra si provvide a ricostruire la facciata e a restaurare quanto rimaneva dell'antica struttura, recuperandola ad una funzione diversa da quella ottocentesca. Tornando ai lavori del 1885, i pezzi del chiostrino smontato per dare inizio all'edificazione della caserma vennero riutilizzati in parte per costruire una struttura similare nei locali di Classe (l'attuale Biblioteca Classense), In alto a sinistra, il chiostro interno del Monastero di Porto, costruito nel 1502; in alto a destra il loggiato cinquecentesco del Monastero di Porto che si affaccia sui Giardini pubblici. In basso a sinistra: Romolo Liverani, Veduta esterna del Convento di Porto in Ravenna, disegno ad inchiostro, 1824 (Faenza, collezione privata). Nell’immagine si possono distinguere il muro esterno del chiostro minore abbattuto nel 1885 e il portale cinquecentesco – oggi inserito nel muro dell’edificio verso i Giardini pubblici – che metteva in comunicazione il monastero con il sagrato della Basilica di S. Maria in Porto; In basso al destra: Romolo Liverani, Veduta da dietro del Convento di Porto della Chiesa in Ravenna come nel 1829, disegno ad inchiostro e acquerello, 1829 (Faenza, collezione privata). L’immagine, ripresa dalla posizione degli attuali Giardini pubblici, mostra il loggiato del chiostro minore abbattuto nel 1885: a sinistra il muro di recinzione e una porzione di torre di cui non abbiamo notizie, a destra la sagrestia più bassa e la Basilica di S. Maria in Porto vista dall’abside.


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Un portale nomade da salvare Le vicende storiche, fra smontaggi e ricollocazioni, dell’arco cinquecentesco del Monastero di Porto, in attesa di un restauro in cui si trovava il Museo di Antichità. Inutile dire che la decontestualizzazione e il rimontaggio parziale delle colonne a nord della Chiesa di San Romualdo non erano che un pallido ricordo della struttura originaria, ma nel 1927 questa porzione residua venne di nuovo atterrata. Occorre aspettare il 1936, quando si decise che le colonne sopravvissute potevano migrare per decorare la Biblioteca Oriani, costruita da Giulio Ulisse Arata su commissione del Comune in luogo della cinquecentesca Casa Rizzetti appena abbattuta. In quello che appare oggi come un cattivo gioco di blocchetti Lego, le colonne si sono finalmente fermate sul retro dell'attuale Biblioteca dove incorniciano ancora il giardinetto che affaccia su Piazza San Francesco. Nei lavori di adattamento del monastero di Porto a caserma del 1885, non fu solo il chiostro trilatero ad essere soppresso ma anche il bel portale laterale che permetteva il passaggio dal chiostrino di ingresso al piazzale antistante alla basilica di Santa Maria in Porto, come si nota in un bel dipinto di Liverano del 1824. La struttura architettonica – che non va identificata col portale di ingresso su via di Roma come talvolta si è erroneamente affermato – venne smontata pezzo per pezzo e trasferita sempre al Museo d'Antichità classense, al tempo un vero collettore di tutte le opere smontate e in giro per la città. Purtroppo la peregrinazione di questa struttura non era ancora al capolinea e nel 1913 – in concomitanza con lo spostamento del Museo (oggi nazionale) nella nuova sede del complesso di San Vitale – anche il portale cinquecentesco doveva essere rimosso come tutto il resto della collezione. Al Sovrintendente Gerola, sentito probabilmente il parere di Corrado Ricci, parve che la soluzione migliore fosse la ricongiunzione del portale al proprio edificio d'origine, che nel frattempo era stato restaurato per l'esposizione regionale romagnola del 1904 e riaperto come caffè-ristorante per i visitatori. Purtroppo però, scomparso il chiostro trilatero e la porzione dei muri perimetrali dove il portale aveva sede, il problema era decidere una nuova collocazione. La soluzione poteva essere solo qualche porzione di muro vuota, magari sul re-

Sopra: La caserma Garibaldi, costruita al posto del chiostro di ingresso al Monastero di Porto nel 1885. L’edificio venne abbattuto durante i bombardamenti del luglio 1944. In basso a sinistra: una fotografia di Luigi Ricci, eseguita attorno al 1880, mostra lo stato del loggiato esterno del Monastero verso i Giardini pubblici, prima dei lavori di ristrutturazione del 1904. In basso a destra: la fotografia permette di vedere un lato del chiostro d'ingresso antistante al Monastero di Porto che venne abbattuto nel 1885 e ricollocato in parte nel Monastero di Classe, allora sede del Museo d’Antichità.

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ARTE E ARCHITETTURE

tro della sagrestia monastica verso i giardini ed è in effetti questo il luogo un po' nascosto e dimenticato dove si trova ancora oggi il portale, a destra della loggia. Più recentemente, grazie ad un rinnovato interesse verso la cultura della conservazione e del restauro, alcuni ravennati si sono mossi per riparare l'opera dall'azione del tempo, quasi a compensazione delle avventure che i nostri antenati le hanno inflitto. Nel 2011, l'Associazione degli ex alunni del Liceo Classico di Ravenna ha denunciato la situazione di degrado di

questa struttura cinquecentesca e Corrado Miccoli – in rappresentanza del gruppo – affermava in un'intervista che «il portale è rimasto in questo luogo assolutamente ignorato da tutti e soggetto ad ogni tipo di intemperie», rischiando «di diventare del tutto irrecuperabile». L'associazione ha quindi messo a disposizione una borsa di studio per una tesi nell'ambito della Facoltà di Conservazione dei Beni ambientali sotto la guida di Gian Carlo Grillini, docente presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni culturali dell'Università di Bologna. I risultati hanno portato ad un primo studio storico del portale e all'esame dello stato di conservazione, comprese alcune indicazioni riguardo agli esami da condurre per affronatre il progetto di restauro. Sottoposta la richiesta dei sondaggi al Comune e alla Sovrintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna, l'idea è stata sostanzialmente approvata con l'unico vincolo di presentare un progetto di recupero preciso e condiviso dal Comune. Per ottenere queste risposte da parte degli enti pubblici però è stato necessario quasi un anno, che se non altro è stato utile a decidere un passo importante: dalla primitiva ipotesi di un ennesimo spostamento del portale all'interno della Basilica di Porto si è passati infatti ad una più saggia ipotesi di mantenere e restaurare il portale dove si trova e creare un'area attigua, in modo da valorizzarlo e riconsegnarlo all'attenzione di cittadini e turisti. Il progetto – che si sta definendo secondo le indicazioni ricevute dalla Sovrintendenza – al momento è seguito da due giovani ricercatori del Dipartimento di Conservazione di Ravenna su incarico dell'associazione. Ad ottobre 2015, un ulteriore sopralluogo ha confermato l'intenzione di non abbandonare lo scopo, nonostante tutte le lentezza della burocrazia e la carenza di fondi. Il portale ha quindi sortito la giusta attenzione da parte dei cittadini che continuano a manifestare una sensibilità veramente lodevole: speriamo che i tempi a procedere da parte di chi ha l'incarico alla tutela del patrimonio non siano “bizantini” e corrispondano alla stessa attenzione.

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Sopra: il portale cinquecentesco laterale che metteva in comunicazione il primo chiostro del Monastero di Porto con il sagrato della Basilica. Dopo vari spostamenti, nel 1913 venne collocato definitivamente sul retro della sagrestia annessa, verso i Giardini pubblici. Sotto: la facciata del Monastero di Porto prima del rifacimento moderno della Loggetta Lombardesca.


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[IP] ARREDAMENTI D’AUTORE

Arka: la felicità dell'abitare

con la bellezza e la funzionalità del design Molteni&C e Dada Le proposte dello studio di progettazione d'interni e showroom di via Panfilia a Ravenna La purezza delle forme con tendenza all'essenzialità (less is more, nella lezione del grande architetto Mies van der Rohe), il piacere tattile dei materiali, la perfezione impeccabile delle finiture, l'originalità e affidabilità delle tecniche costruttive. Sono le ammirevoli caratteristiche dei pezzi d'arredo firmati Molteni&C e Dada, proposte recentemente in esclusiva a Ravenna dallo showroom appena rinnovato di Arka, in via Panfilia 45/47. Arka è un marchio noto da oltre un decennio in città, per la sua attività di progettazione d'interni, consulenza e vendita di mobili di design, legato al suo ideatore e imprenditore, Daniele Bronzetti: un'esperienza di lungo corso, praticamente una vita professionale legata al campo dell'arredo. Dopo una parentesi di qualche anno legata allo store monomarca Kartell, Daniele ha ripreso – assieme all'esperto di interior design Massimo Cicognani – la sua originaria attività di consulente dell'abitare felice con stile, fra "progetti su misura" e arredi di qualità: utili, belli, possibili e di lunga durata. Così, ripercorrendo la sua esperienza, Daniele Bronzetti ci rivela di avere deciso di affiancare all'iniziativa di progettazione di interni anche l'esclusiva di vendita di una vasta collezione di pezzi d'arredo di alta qualità. Quella, per l'appunto, del Gruppo Molteni&C. Che va ricordato, è uno dei più prestigiosi marchi dei mobili di design made in Italy (di cui fa parte anche Dada nel settore cucine). Nel 2015 Molteni&C ha festeggiato gli 80 anni di attività, stimata per la sua qualità in Italia e nel mondo, vantando la produzione di oggetti d'arredo memorabili, protagonisti della gloriosa storia del mobile italiano, che portano le firme di architetti e designer come Gio Ponti, Luca Meda, Aldo Rossi, Afra e Tobia Scarpa, Bob Noorda, Jean Nouvel, Patricia Urquiola, Alvaro Siza… Partiamo dal cuore di ogni casa, la cucina. «Dada è un'azienda di grande prestigio e all'avanguardia sul piano

tecnico ma con grande cura dell'estetica – ci rivela Daniele Bronzetti –. Le sue strutture, componibili in linea o a isola, con elettrodomestici di grande marca, sono dotate di particolari funzioni brevettate di notevole originalità ed efficienza, spesso non evidenti ma di notevole utilità e affidabilità, visto che sono sottoposte ad un utilizzo sempre intenso e prolungato. Anche sul piano costruttivo le cucine Dada sono realizzate con materiali inediti in un accostamento particolarmente felice di legni, acciai e nuove materie plastiche. Inoltre, la concezione modulare e flessibile delle componenti consentono di configurarle perfettamente ai più diversi ambienti domestici». «La stessa qualità ideativa e costruttiva – continua il titolare di Arka – vale anche per i mobili base e i complementi, proposti da Molteni&C, nei pezzi importanti per l'arredo del living e della zona notte. Divani e poltrone, tavoli e tavolini, scaffali e librerie, letti e armadi esaltano sempre la purezza e l'originalità delle forme, puntando su quella versatilità di utilizzo e quella estetica raffinata anche nei minimi particolari, che caratterizza uno stile elegante e confortevole dell'abitare. Insomma un alto livello di design nel suo più autentico valore di eccellenza tra funzione e bellezza». Le collezioni di design di Molteni&C e Dada ma anche di altre grandi marche del mobile sono tutte disponibili nell'Arka, per progettare su misura il futuro di una casa dedicata al buon vivere.

RAVENNA via Panfilia 45/47 - tel. 0544.219532 info@arkadesign.it - www.arkadesign.it gennaio-febbraio 2016


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Le creazioni no border di

Marcantonio Raimondi Malerba di Sabina Ghinassi

Talvolta la capacità di agire attraverso la sperimentazione, accettando i rischi e gli azzardi, produce effetti positivi. E questa vocazione è tanto più forte in momenti come questo, dominati dall’incertezza e dalla crisi globale che, come effetto primario, causano un’automatica necessità di ritorno all’ordine, di rassicuranti certezze su tutto ciò che ci circonda, a partire dalla casa e dagli oggetti di cui scegliamo di circondarci. Essere un designer adesso è scegliere una professione che oscilla tra un’aderenza totale alla necessità tecnologica e funzionale degli oggetti a scapito della creatività, e un impulso visionario totalmente sganciato dal piano di realtà. L’equilibrio tra i due elementi è quasi sempre impossibile.

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Una figura eclettica che spazia dall’arte agli oggetti funzionali, dalla scenografia all’interior design, facendo leva sull’ironia e lo spaesamento

Foto 1: Cuore con Ulivo (dimensioni reali, ceramica, fil di ferro, carta, resina, 2007) Foto 2: Gorilla su cattedra (dimesioni reali, vinilacrilato, 2013) Foto 3: Che Pakko (pouff pacco prodotti da Mogg, 2012) Foto 4: Variety (il lampadario accumulo di lampade, pezzo unico, 2011) Foto 5: 18 pillows (struttura divano antico con cuscini e cinghie, autoprouzione, 2011) Foto 6: My Little Neighbour (casetta dentro campana vetro, lampada prodotta da Seletti, 2015) Foto 7: Bastaaa (martello appendiabiti prodotto da Mogg, 2015) Foto 8: Crystal (lampadari classici con struttura diamantata di legno, auto produzione) Foto 9-11: Glue Clothing (negozio in via Paolo Costa a Ravenna) Foto 10: ChAir (sedia lampadario prodotto da Mogg, 2015)

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Ma al di là delle facili generalizzazioni, molti designer riescono a muoversi in equilibrio tra i due poli opposti e ad ottenere riconoscimenti, sia in termini di mercato sia in termini di critica di settore. Di questo gruppo fa parte il designer e artista Marcantonio Raimondi Malerba, quarantenne, originario di Massalombarda, studi all’Istituto d’Arte Severini e all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, e, da alcuni anni, cesenate d’adozione. Marcantonio Raimondi Malerba è un creativo a 360 gradi con un percorso intensamente sperimentale che, dal mosaico si è spostato liberamente alla scultura, alla scenografia (con la compagnia Fanny e Alexander) al design dove, negli ultimi dieci anni, ha collaborato con Seletti, Moog e Nodus, non dimenticando l’arte, l’autoproduzione ed esperienze nell’ambito dell’interior design – «è molto bello curare il contenuto e il contenitore» dice – a Cesena (Officina 49), a Ravenna (Glue Clothing, Enoteca Baldovino), a Milano (Ugo Cacciatori Show Room). Cuore del suo percorso progettuale, deliberatamente no border e multidisciplinare, è la connessione tra Uomo e Natura, raccontata attraverso l’ironia, la ludicità e il cambiamento dei punti di vista; uno spostamento semantico che, inevitabilmente, non può che portare a nuove direzioni, non soltanto poetiche ma anche, nel caso di un designer, di funzione. Questo coraggio, si diceva, è stato premiato dal favore delle aziende che hanno puntato sui suoi progetti. In primis Seletti che, al Maison&Objet 2016 di Parigi, ha presentato la collezione Flower Attitude: seghe, motoseghe, accette, pistole e manganelli si sono trasformati in una serie di candelabri in ceramica Capodimonte impreziositi da delicati fiori, seguendo una poetica divertita tra il dada e il pop. Per magia ha tramutato il servizio per le feste della credenza della nonna in quello di Freddy Kruger. Il designer non è nuovo a questi slittamenti di codice: con Monkey lamp, sempre per Seletti, ha invaso le case con macachi portatori di luce, in tre differenti configurazioni, creando un’interessante relazione tra ironia, istinto ludico, jungle fever contemporanea ed ipotesi revisioniste (è la scimmia che porta la luce, ovvero il Logos?). Sempre per Seletti è la lampada da tavolo My Little Neighbours, una piccola casa luminosa in resina contenuta in una campana di vetro. Il nome rievoca un mondo di fiaba che si adatta ai più piccoli ma anche agli adulti: un piccolo mondo parallelo da mettere sul comodino, una casetta abitata dai vicini che preferiamo. Prima, nel 2012, era stata la serie Sending Animals a stupire: tre animali della fattoria – un’oca, un maiale e una mucca – costruiti con materiali poveri e imperfetti e montati come casse di imballaggio, sono diventati mobili contenitore. Raimondi Malerba continua anche ad esporre – è stato tra gli artisti di “2025 Future Environment Human” all’ex Cartiera Latina di Roma nel 2015, tra quelli di “Going Places” al Nhow Milano nel 2014, ha avuto diverse personali, tra cui “Coniglio”, curata a Ravenna nel 2011 da Luca Maggio e Alessandra Carini – e non nega di amare artisti come Marcel Duchamp, Robert Rauschemberg, Cy Twombly e Bruno Munari, senza dimenticare l’Arte Povera in blocco. Tutti personaggi e visioni che hanno creato opere straordinarie a partire da un less is more, da una semplicità altra e dal cambiamento di prospettiva sulla quotidianità, animale o oggetto poco importa. Cambiamento di prospettiva ben rappresentato dal genio del ready made di Duchamp, dal recupero di Rauschemberg, dall’animo ludens del mai troppo celebrato Bruno Munari. Per il marchio Moog, Marcantonio Raimondi Malerba ha creato, tra i molti progetti, l’appendiabiti Bastaa, un martello in frassino con testa d’ottone attaccato al muro e trasformato in attaccapanni. Di questo progetto dice: «Gli oggetti che hanno una forte identità ci coinvolgono maggiormente. Il martello è un attrezzo molto forte nel nostro immaginario, è legato ad un gesto ben preciso, martellare, piantare un chiodo, rompere un salvadanaio o prendere a martellate qualsiasi cosa che vogliamo rompere, e quando siamo arrabbiati ci vorrebbe proprio un martello per spiegare alla stampante come funzionare! Mi piacciono le installazioni che raccontano una storia, soprattutto se lo fanno con ironia. Ho esteso questo momento di follia isterica fino ad arrivare al muro perché, in realtà, questi martelli sono attaccapanni»! Sempre per il marchio Moog ha progettato Che Pakko, un pouf ispirato ad un pacco che può essere assemblato in divano modulare, trasformando ancora una volta un oggetto assolutamente nomade in qualcosa di stabile e sedentario. Marcantonio Raimondi Malerba racconta storie attraverso i suoi progetti e costruisce allegorie e ossimori fruibili, fortemente seduttivi: specchio di un piacere quasi organico nella progettazione e segno di un percorso personalissimo e altamente creativo.

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14 Foto 12: Marcantonio Raimondi Malerba nel suo studio a Cesena Foto 13: Monkey Lamp (scimmie lampada prodotte da Seletti, 2015) Foto 14: Sending Animals (contenitori - cassa a forma di mucca, maiale, oca prodotti da Seletti, 2012)

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«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» Intervista al dottor Stefano Falcinelli Presidente dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Ravenna di Marina Mannucci

Il 18 maggio 2014 è stato pubblicato e diffuso il Codice di deontologia medica, a cura dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Ravenna. Il Codice identifica le regole, ispirate ai principi di etica medica, che disciplinano l’esercizio professionale del medico chirurgo e dell’odontoiatra iscritti ai rispettivi Albi professionali. I doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. L’articolo 5 del Codice affronta questioni che riguardano la promozione della salute, l’ambiente e la salute globale. Il medico, nel considerare l’ambiente di vita e di lavoro e i livelli d’istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva, deve collaborare all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze nei confronti della salute e promuovere l’adozione di stili di vita salubri, informando sui principali fattori di rischio. Sulla base delle conoscenze disponibili, il medico deve inoltre impegnarsi a una pertinente comunicazione sull’esposizione e sulla vulnerabilità a fattori di rischio ambientale e favorire un utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni.

«Non sei un uomo che combatte da solo una battaglia. Sei un elemento di una grande professione. Una professione che non fa che lottare a favore della salute, della vita, dell’umanità. Non puoi fermarti proprio adesso, lo capisci, vero? Tu vedrai molte morti, molti dolori e molte lacrime prima della tua fine. Devi continuare. Continuare a sperare e osare. È questo il compito di un medico» Dal film La cittadella, 1938 regia di King Vidor

A sinistra: fotogramma da Il deserto rosso, regia di Michelangelo Antonioni, 1964. A destra: impiego di prodotti vegetali, Ububchasym de Baldach, Theatrum Sanitatis, XV secolo, Ms. 4182, Roma, Biblioteca Casanatense.

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Approfondisco il contenuto di quest’articolo rivolgendo alcune domande al Presidente dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Ravenna, il dottor Stefano Falcinelli. Dottor Falcinelli qual è lo “stato di salute” della sanità nel nostro Paese? «Il nostro sistema Sanitario, pur in crisi e non sufficientemente finanziato (nel Fondo sanitario per 2016 mancheranno circa 2 miliardi) resta sempre uno dei migliori a livello mondiale, ma dobbiamo essere in grado di discernere gli obiettivi sostenibili di salute, con le attuali possibilità diagnostiche e terapeutiche e con le risorse date, dalla giusta, ma complementare, ricerca del benessere. Superata la bellissima, ma antica (1937) definizione di René Leriche «La salute è la vita nel silenzio degli organi» e considerata l’impossibilità di mettere in atto quella dell’OMS (1948) «la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità», sono personalmente interessato alla proposta del “British Medical Journal” (How should we define health?, “BMJ“, 2011): la salute intesa come “la capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive“. Vengono enfatizzati due punti: la variabilità del concetto stesso di salute che tiene conto del contesto e delle situazioni circostanti (“capacità di adattamento”) e l’enfasi che viene data al ruolo di protagonista del soggetto nel percorso di cura (“auto gestirsi”). Critiche sono state mosse anche a questo tentativo di definizione: il risultato sostanzialmente rinunciatario e il mancato risalto della partecipazione dei professionisti e del


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sistema al raggiungimento dell’obiettivo, ma il nocciolo della questione è avere sempre ben presente lo scopo dell’agire del medico e dei professionisti della salute, dell’organizzazione del sistema, della domanda del paziente. La medicina, molte volte non per colpa dei professionisti, ma per condizionamenti legati ad interessi commerciali, verso i quali i pazienti non hanno strumenti di discernimento («Si possono fare un sacco di soldi dicendo ai sani che sono malati», Ray Moynihan, «BMJ», 2003), ha sicuramente promesso cose che non è stata in grado di mantenere; si veda ad esempio il tema della medicina potenziativa e le estreme lusinghe di certe pratiche estetiche. Viceversa è dirimente la capacità di convivere e di saper gestire la cronicità di una vita più lunga, ma che deve necessariamente fare i conti con problemi di salute non eliminabili dalla medi-

A sinistra: Jean-Baptiste Fosseyeux, La femme hydropique, 1817, incisione all’acquaforte, cm 49x36,5. A destra: Rembrandt, Lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632, olio su tela, cm 169,5 × 216,5, L’Aja, Mauritshuis.

cina, ma che possono essere migliorati e alleviati; quella transizione epocale che ha visto il medico passare da guaritore che si confrontava con problemi di natura infettiva a curante che accompagna pazienti con patologie cronico degenerative come suggerisce molto bene Giorgio Cosmacini nel suo La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un’estinzione (Milano, Raffaello Cortina Editore, 2013)». Dottor Falcinelli, nel considerare l’ambiente di vita e di lavoro, i livelli d’istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva dei cittadin*, con quali azioni concrete l’Ordine dei medici del nostro territorio e i singoli medici collaborano nel concreto all’attivazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle diseguaglianze nella salute, informando sui principali fattori di rischio? «L’Ordine viene istituito a tutela dei cittadini – il primo compito è la tenuta degli Albi, con i quali certificare il possesso dei requisiti per l’esercizio professionale – ma non ha un ruolo operativo, bensì di verifica e di proposta, attraverso iniziative dell’Ordine stesso, ma anche con stimoli agli iscritti. In passato siamo intervenuti sia su richiesta di cittadini che di medici in

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diverse questioni riguardanti la tutela dell’ambiente: la costruzione di nuovi termovalorizzatori e la questione dello stoccaggio di materiali pulverulenti nei pressi del porto per fare due esempi. Nel corso di quest’anno l’Ordine ha organizzato, in collaborazione con la Federazione nazionale, due corsi di aggiornamento, entrambi replicati, con la partecipazione di un totale di più di 300 iscritti, dedicati a “Salute e Ambiente”: il primo su “Aria, acqua e alimentazione” e il secondo su “Pesticidi, cancerogenesi, radiazioni ionizzanti, campi elettromagnetici e antibiotico resistenza”». Sulla base delle indagini statistiche e dei dati epidemiologici che riguardano la salute dei pazienti, quali iniziative possono avviare i medici per promuovere una corretta informazione sui fattori di rischio ambientale del nostro territorio? «L’articolo 5 del Codice 2014, già citato, impegna i medici a una informazione ai singoli pazienti sull’importanza che possono avere oltre ai corretti stili di vita, la tutela e la salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo; penso per esempio all’elevata incidenza delle malattie croniche respiratorie nella nostra zona». Le rivolgo un’ultima domanda riguardo all’emergenza di nuove e diffuse fragilità; mi riferisco all’aumento delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale e all’arrivo, in continuo aumento, di migranti. Qual è il ruolo dell’Ordine dei medici nel suggerire politiche e strategie d’intervento efficaci ed inclusive per far fronte a queste problematiche e per garantire un corretto percorso assistenziale a tutela della salute


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e dei diritti fondamentali della persona? «Ritorno alla risposta iniziale: il medico si confronta sempre più con un malato cronico e anche sempre più fragile, sia tra i nostri cittadini anziani e molte volte soli, ma anche con una popolazione immigrata ancor più debole e bisognosa. Come già detto l’Ordine non ha un ruolo operativo, ma opera in collaborazione con Asl e Istituzioni, stimolando gli iscritti a una maggiore sensibilità verso i soggetti fragili, anche attraverso percorsi formativi dei medici e con campagne informative dei servizi messi a disposizione di queste persone.

A sinistra: Pietro Longhi, L’apotecario, 1752, olio su tela, Venezia, Gallerie dell’Accademia. A destra: Honoré Daumier, Le Malade imaginaire, 1860-1862, olio su tavola, cm 26,7 × 35,2, Philadelphia, Philadelphia Museum of Art. In basso: A.N.I.C., impianti methane cracking, anni Sessanta, Ravenna.

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ABITARE L’HABITAT

cura della Casa comune Sulla

Cominciamo col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile, e all’improvviso ci sorprenderemo a fare l’impossibile. di Marco Turchetti * Ciò che noi chiamiamo terra è un elemento della natura inestricabilmente intrecciato con le istituzioni dell’uomo. Isolarlo e farne un mercato è stato forse la meno naturale di tutte le imprese dell’uomo. La funzione economica è solo una tra le molte funzioni vitali della terra e in quanto tale non dovrebbe in alcun modo porre l’uomo o la natura in una posizione di subordinazione rispetto ai meccanismi di mercato. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità della vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. La lettera enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, con un linguaggio comprensibile a tutti, che chiede solo di essere ascoltato e meditato, irrompe con freschezza nel dibattito culturale mondiale, affinché la sfida urgente di proteggere la casa comune, non si limiti a riti di circostanza, dichiarazioni solenni o leggi ben fatte, ma incide decisamente e concre-

tamente nel ripensare, modello di sviluppo, metodi di produzione, stile di vita di ogni persona. Il modello dominante caratterizzato dalla massimizzazione del profitto, che concentra il potere nella finanza asservita dagli innumerevoli progressi della tecnologia, crea una cultura del tutto e subito, dell’usa e getta, dello scarto, dell’uniformità, spinge la persona a guardare la natura e anche gli altri esseri umani come mero oggetto. L’antropocentrismo deviato, come lo chiama il Papa, dà luogo ad uno stile di vita deviato. Quando l’essere umano pone se stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti e tutto il resto diventa relativo. Questa è la logica che provoca al tempo stesso degrado ambientale e degrado sociale. L’enciclica si pone da una prospettiva molto chiara: partendo dalle parole di Francesco d’Assisi, ricorda che la nostra casa comune è anche nostra sorella, con la quale condividiamo l’esistenza. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La sfida che abbiamo di fronte riguarda tutti e ci tocca tutti. Dimentichi-


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amo che noi stessi siamo terra, che il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta. Per questo è opportuno un dialogo a tutto campo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro. Scienziati, filosofi, teologi, economisti, finanzieri, industriali, organizzazioni della società civile, devono dialogare per costruire una nuova solidarietà universale. Nello stile della dottrina sociale, Papa Francesco nel capitolo 2 dell’enciclica raccoglie le riflessioni di innumerevoli scienziati, filosofi, organizzazioni sociali che descrivono lo stato di salute della “casa comune”: inquinamento e cambiamenti climatici, la questione dell’acqua, la perdita della biodiversità. Il Papa coniuga il degrado ambientale al degrado sociale e alla qualità della vita umana. La smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche dal caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti recentemente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e materiali, privati di contatto fisico con la natura. Se nel capitolo 3, Papa Francesco esplicita quale sia a suo giudizio la «radice umana della crisi ecologica», nel capitolo 4, afferma con originalità la necessità di una «ecologia integrale» che tenga insieme ambiente, economia e sociale. «Le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma di ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà». «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura». Papa Francesco parla anche di ecologia culturale e di ecologia della vita quotidiana. «Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale». Per uno come me e spero anche per il lettore di questo articolo, frasi come questa suonano come una benedizione ed un innegabile incoraggiamento a proseguire in quel cammino iniziato come esploratori che oggi viene indicato, da una fonte così autorevole, come il progetto per il futuro. «Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vivere la vita, di sentire e di agire».

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ABITARE L’HABITAT

Proprio la politica ancora fatica a cogliere l’importanza cruciale del tema, non riesce a comprendere come l’ambiente (inteso nel senso più ricco del termine, cioè quale ecosistema naturale-umano) e la sua cura non devono essere una prerogativa di Ong, movimenti extraparlamentari, o di semplice cittadinanza attiva, ma siano invece un suo dovere e una sua responsabilità. «Data l’interazione fra gli spazi urbani e il comportamento umano, coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, hanno bisogno del contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza del progetto, perché ha ancora più valore servire un altro

tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco». Non sappiamo se Papa Francesco conosce questa rivista, sono comunque di buon auspicio i passaggi dell’enciclica in cui mi auguro un nostro lettore possa ritrovare la sua identità. Detto questo, per concludere, non vi sono parole migliori che quelle di San Francesco: «cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».

* [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com


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Tempi troppo lunghi fra domanda e offerta? Oggi sono fra i rischi e le incertezze della compravendita “fai da te“ che possono essere superati dalla consulenza di un’agenzia immobiliare qualificata Ce ne parlano i professionisti del settore


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di Roberta Bezzi

Sull’onda dei primi deboli segnali positivi dell’economia, il mercato immobiliare pare avviarsi verso una lenta ma graduale ripresa. Certo è, però, che sono ancora un lontano – quanto gradito – ricordo i tempi in cui qualsiasi immobile veniva venduto in pochi mesi. Oggi, se il prezzo fissato non è giusto e la casa non è tra le più appetibili per posizione, taglio e finiture, il rischio è di dover mettere in conto anche anni. In un tale contesto, è ancora più importante rivolgersi a un’agenzia immobiliare per vendere o comprare, pena un snervante e avvilente iter. «Siamo passati – afferma il presidente Fimaa Ravenna, Pierluigi Fabbri -, da una fase in cui noi agenti rincorrevamo gli immobili per averli in carico prima del 2007-08, a oggi in cui è chi vende a rincorrere l’agenzia immobiliare dopo un lungo fallimentare excursus di fai da te. Nel mercato attuale, nulla è semplice perché manca la giusta dinamicità, col risultato che molti proprietari non sanno più a che santo votarsi dopo uno o due anni di invenduto. Purtroppo, ricorrono ai ripari solo quando si rendono conto di aver perso tempo». Al riguardo, Fiap Ravenna ricorda che in Italia poco meno del 50 per cento delle transazioni immobiliari sono gestite con la consu-

lenza di un agente immobiliare professionale. «Rivolgersi a un’agenzia – spiega il presidente regionale Gian Battista Baccarini – significa assegnare un preciso valore alla propria tranquillità, a quella serenità che può derivare soltanto dall’affidarsi a professionisti in grado di gestire informazioni complesse in modo corretto e strutturato: mi riferisco a un aggiornamento professionale continuo e a servizi concreti, che si traducono in maggiori tutele e garanzie per i contraenti. Questa è la direzione su cui dobbiamo continuare a impegnarci per migliorare la percezione dell’importanza della nostra professione evitando che altri, in particolare chi già si trova a progettare, amministrare o mantenere un immobile di qualche tipo, siano tentati di svolgerla in un modo che talora si configura come un vero e proprio esercizio abusivo della professione». Il primo passo di chi si appresta a vendere o a comperare dovrebbe dunque essere quello di rivolgersi a un’agenzia immobiliare di comprovata professionalità, raccogliendo il più possibile referenze positive. «Il cliente ha diritto di sapere cosa l’agenzia è disposta a fare soprattutto quando le si affida il proprio immobile – prosegue Fabbri di Fimaa –. Occorre diffidare delle agenzie che prendono l’incarico senza richiedere subito tutta la necessaria documentazione (atto di acquisto, planimetrie catastali, certificazioni energetiche, etc.) e che non si occupano di effettuare un’accurata visita dell’immobile anche con l’ausilio di collaboratori tecnici e legali se neces-

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sario. In assenza di tutto ciò, infatti, non si riesce a determinare il giusto valore di mercato dell’immobile. In cinque minuti non si fa nulla e chi accetta senza ribattere il prezzo che il cliente spera di ricavare dalla vendita, non sta facendo bene il proprio mestiere. L’agente deve essere preciso e dettagliato per non farsi trovare impreparato di fronte ad acquirenti aggressivi e ben informati. Vendere è oggi un obiettivo ambizioso e difficile». Spetta all’agenzia poi fornire la migliore presentazione dell’immobile, realizzando per esempio un buon servizio fotografico e inserendo gli annunci su tutti gli idonei canali di comunicazione. Va da sé che tutto ciò richieda tempo ed energia. Motivo per cui è preferibile affidare l’incarico in esclusiva. «L’agenzia che è in grado di fornire tutto questo “pacchetto” – conclude il presidente Fimaa – lavora con l’esclusiva. D’altra parte l’agente professionale non è un apriporta, il suo compito è quello di tenere alla larga curiosi e speculatori e di avvicinare invece chi è realmente interessato all’immobile senza far perdere tempo ad acquirenti e venditori». «La tranquillità dell’operazione immobiliare – conferma Baccarini di Fiaip – può essere garantita solo dal professionista che sia messo in condizione di gestirne, in modo consapevole e trasparente, tutte le sue fasi in esclusiva. Dobbiamo quindi dotarci di tutti quegli stru-

menti che ci consentano di garantire la tranquillità dell’operazione immobiliare mediante un controllo documentale diretto e preventivo sull’immobile, sotto l’aspetto legale, fiscale e tecnico, e di tale controllo tenere conto nell’assegnare il più congruo valore di mercato. È solo ed esclusivamente a tale valore che l’agenzia dovrà impegnarsi a promuovere e pubblicizzare il bene, condividendolo con tutti i colleghi e tutelando entrambe le parti sia sotto l’aspetto commerciale che contrattuale/documentale. Un aspetto non secondario, inoltre, è quello di individuare un unico referente in grado di gestire le varie fasi della compravendita, e lo scambio di informazioni con i colleghi: circostanza questa che certo contribuisce all’insorgere di quello stesso rapporto di fiducia che caratterizza le figure professionali di alto livello. Quella della trasparenza e della tutela è la direzione in cui va l’Europa, questa è la direzione in cui va la giurisprudenza e questa è la direzione in cui va il mercato. In questo articolato contesto una federazione deve assumersi l’onore e l’onere di produrre un preciso percorso formativo e informativo che definisca un “modello”, una procedura altamente qualificata e professionalizzante finalizzata a definire un metodo comune di lavoro che gli utenti possano riconoscere, distinguere e – ci impegniamo già oggi in questo senso – apprezzare».

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