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contenuti 04 16 28 38 50 56 60 68 74

Voglia di relax nel borgo antico tra natura, pietra e aufguss sulle sponde dell’Acerreta _____________________________________________________ di Paolo Bolzani

casa bella casa

architettura e storia

città e quartieri

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Il Palazzo del Governo a Ravenna, le vicende secolari di un edificio del potere ________________________________________________ di Pietro Barberini

Lugo: la piazza di Romagna racconta la propria storia fra mercati, cultura e passioni ______________________________________________________ di Chiara Bissi

Pulp fiction da riviera: Pasolini e la «ragazzaglia» ravennate incontrata nel viaggio del 1959 ______________________________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani

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La Paulownia di Le Corbusier. Storia di un albero e di un architetto _____________________________________________________ di Sabrina Ghinassi

M11, un club di campagna tra Scandinavian dinner, “tex-mex” e Django-Django ________________________________________________________ di Paolo Bolzani

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Controcopertina

Dall’esterno il locale M11, immerso nella campagna di Russi, è sostanzialmente invisibile, se non fosse per il piazzale adibito a parcheggio posto accanto alla casa colonica, sul fianco opposto a quello in cui viene fronteggiata da un vecchio corpo di servizio, da cui viene separata per mezzo di un giardino, ricavato al posto della vecchia aia contadina. M11 corrisponde ad un fare moderno: essere alla mano, ma amare i dettagli. Lasciare l’idea del ristorante per abbandonarsi a quella del club. Un lugo di ritrovo senza insegne.

Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Sabina Ghinassi, Marina Mannucci, Domenico Mollura, Cetty Muscolino, Guido Sani, Serena Simoni, Marco Turchetti. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Restyling grafico: Gianluca Achilli Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Pietro Barberini, Paolo Genovesi, Barbara Gnisci, Maurizio Montanari, Fabrizio Zani (e altre citazioni in pagina). Redazione: tel. 0544.271068 - redazione@trovacasa.ra.it

Editore:

Edizioni e Comunicazione srl

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Voglia di relax tra natura, pietra e aufguss sulle sponde dell’Acerreta La nuova vita di un borgo rurale di alta collina fra i territori di Marradi e Tredozio di Paolo Bolzani

Nell’Antico Borgo di Rio Corniola vivono Francesco Muscio e Laura Giacovazzi, che hanno lasciato la città per immergersi in un paesaggio sospeso in una condizione senza tempo: il tempo della pietra, del medioevo, delle colline verdi, ma anche del rituale del vapore aromatico nella pratica della sauna finlandese

Con il ritorno della primavera, velata dall’aria umida di un ricordo di un tiepido inverno, saliamo sulle colline del Comune di Marradi, nel lembo più orientale della provincia di Firenze. È probabile che in ciò influisca anche l’imminente anniversario del centenario dell’incontro tra Dino Campana e Sibilla Aleramo; un idillio, breve ma intenso, che si apre con una lettera di Marta Felicina Faccio, detta Rina, del 10 giugno 1916, con la quale ella esprime al poeta di Marradi la sua ammirazione per i suoi Canti Orfici usciti nel 1914. Sarà che il tema dell'opera di Campana è centrato sul viaggio, onirico o reale, sarà che l’alta collina faentina ha sempre qualcosa di magico, ma noi oggi vorremmo evocare il viaggio come pratica di emancipazione dalla prassi del consueto e del quotidiano. Il nostro racconto ci porta nella valletta del torrente Acerreta, non lontano da Marradi e a due passi da Tredozio. Sulla strada che “mena” alla volta dell’Eremo di Gamogna, fondato da San Pier Damiani nel 1053, oltrepassata da poco Badia della Valle, alla nostra sinistra si intravede, nascosto dal pendio che scende verso il torrente, un piccolo gruppo di case in pietra, incassato tra i due controcrinali che scendono verso Lutirano, nella foto imbiancati dalle ultime nevi (figg. 1-2). Il territorio è carico di elementi suggestivi. Poco lontano, oltre il controcrinale occidentale, si trova la Cascata dell’Acquacheta, celebrata da Dante nell’Inferno (XVI, 94-102); sarà quell’acqua, un po’ più a valle, a formare il Montone, che bagna Forlì e sfocia a Ravenna. Lungo il gorgheggiante mormorio dell’Acerreta (fig. 3), in prossimità dell’affluenza del piccolo

ruscello del Rio Corniola sulla riva opposta al borgo, nel XVII secolo si insediava un mulino insieme a qualche fabbricato, funzionale all’attività di controllo di un vasto podere delimitato dalle cime dei due controcrinali, cui in seguito si costituì verosimilmente una stazione di posta. Oggi, a seguito di un attento lavoro di recupero condotto dal 1996 al 2000 dall’architetto Ennio Nonni di Faenza, il piccolo complesso aziendale è rimasto residenza di pregio, accogliendo ora un B&B con sauna finlandese, incastonato dall’antica rugosa bellezza della pietra dell’alta collina marradese. Il fabbricato principale seicentesco è ornato nel fronte da un grande forno e si apre sulla corte principale, articolata in due livelli dalla linea sinuosa di una scala ad effetto scenografico, quasi teatrale; da qui il nome di “piazza del teatro”, anche per la loggetta che si dispone come una quinta verso il terreno. Ristrutturato parzialmente negli anni Cinquanta a seguito di un terremoto, oggi il fabbricato principale reca memoria di quell’intervento con i cordoli in cemento lasciati a vista, dopo essere stati opportunamente oggetto di una provvidenziale martellinatura che ne ha stemperato l’eccessiva modernità materica, pur senza negarla. Verso valle gli si affianca una casa in cui ora si trovano le camere da letto padronali e quelle degli ospiti, ad eccezione della stalla con fienile, costruiti sul lato a monte a metà dell’Ottocento. Dalla corte centrale si può scendere al greto del torrente percorrendo un passaggio laterale che borda l’ampio parco verso valle e conduce alla piazzola più bassa, omaggiata dalla chioma di un possente albero e denominata “piazzetta del torrione” per la presenza di un cilindrico terrapieno bordato da un vecchio muro che pro-

Foto 1: vista del borgo in inverno, proveniendo dal valico. Foto 2: vista dal borgo dal torrente Acerreta. Foto 3: scorcio dei tetti dei tre fabbricati principali del borgo in inverno, proveniendo dal fondovalle.

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Foto 4: un fabbricato lambito dal torrente Acerreta. Foto 5: planimetria del Borgo. Foto 6: veduta della “piazzetta del teatro”, corte principale del Borgo a due livelli. Foto 7: il soggiorno del B&B verso il camino. Foto 8: l’angolo conversazione nel soggiorno. Foto 9: il soggiorno verso la porta che conduce al living del corpo di fabbrica doppio. Foto 10: living del corpo di fabbrica doppio.

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Oggi, a seguito di un attento lavoro di recupero condotto dal 1996 al 2000 dall’architetto Ennio Nonni di Faenza, il piccolo complesso aziendale è rimasto residenza di pregio, ora accogliendo un B&B con sauna finlandese, incastonato dall’antica rugosa bellezza della pietra dell’alta collina marradese

segue come bordo del prato del parco e su cui un tempo si trovava addossata la letamaia. Osservando l’alveo dell’Acerreta che si spinge fin quasi a bagnare le mura in pietra dei fabbricati più antichi (fig. 4), scivolando con la sua acqua limpida su grossi lastroni di arenaria e pietra di galestro, viene spontaneo di immaginare ad un effetto dovuto ad un’azione naturale. Quello che sembra tale, in realtà si rileva l’esito di un intervento di rimodellazione dell’alveo stesso, con asportazione di grandi depositi di terra e di vegetazione infestante, al termine del quale le sponde del torrente si sono tramutate in una piscina naturale. Questa predisposizione al restauro ambientale si rivela anche nel parco a valle, ornato da essenze arboree autoctone (carpini, ippocastani) e nel segmentare il dislivello di 11 metri tra la strada di Valle Acerreta e il torrente, al termine del quale il borghetto ha assunto l’aspetto di una struttura “urbana” a gradoni (fig. 5), sfalsata in piazzette, scalinate e nuovi pendii, come quello che omaggia le stanze della vecchia stalla-fienile con un fitto manto sempreverde tappezzante in cotonastro (cotonaster salicifoglie). Dalla piazzetta centrale si può invece risalire al livello superiore stradale sottopassando l’arco di un corpo di fabbrica che ricorda una porta urbana, ornata da una finestra orbicolare in cui si trova inserita una ruota di un carro, viceversa un grande fiore della collina, simbolo di prosperità, fertilità e lavoro. E qui il restauro conservativo lascia spazio a quello stilistico, come accade nel fabbricato posto accanto in aderenza alla loggetta, che reca un segnacolo simile, e che ritroveremo iscritto sull’architerave del fabbricato principale. Nell’Antico Borgo di Rio Corniola, questo il nome del B&B, vivono Francesco Muscio e Laura Giacovazzi, che raccontano in questo modo la scoperta che li ha portati a mutare scenari e stili di vita: «stavamo cercando un rustico per allontanarci dalla città. Avevamo già trovato un mulino in Toscana, ma quando da Faenza ci hanno segnalato questo luogo abbiamo capito che qui c’era l’atmosfera psichica positiva». Al richiamo del paesaggio della natura silvestre, dell’architettura rurale dell’alta collina tra la Toscana e la Romagna faentina, dal contatto rude della pietra e dell’esperienza della solitudine, lontani dai rumori, che evoca un certo senso di medioevo, più magico che reale, palpitante di odori antichi, sono accorsi ospiti da tutte le parti d’Italia e del mondo. Entriamo nell’edificio padronale, posto al centro dei tre che si affacciano sul torrente. Subito una scala si disimpegna nei percorsi, vegliata da Il canto mattutino del galletto, opera di Francesco Galeotti di Marradi

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Osservando l’alveo dell’Acerreta che si spinge fin quasi a bagnare le mura in pietra dei fabbricati più antichi, scivolando con la sua acqua limpida su grossi lastroni di arenaria e pietra di galestro, viene spontaneo di immaginare ad un effetto dovuto ad un’azione naturale. Quello che sembra tale, in realtà si rileva l’esito di un intervento di rimodellazione dell’alveo stesso, con asportazione di grandi depositi di terra e di vegetazione infestante, al termine del quale le sponde del torrente si sono tramutate in una piscina naturale. dipinta sul sasso locale, autore inoltre di una singolare “Madonna Faraona”. Proseguiamo, passando sotto un architrave con coppia di mensole seicentesche, e raggiungiamo il grande soggiorno padronale, cuore del borgo, utilizzato anche come sala per le colazioni (fig. 7). È dominato da un grande camino recante lo stemma di Marradi. Ai suoi fianchi si trova un lungo tavolo frattino, bordato da una credenza a muro ad ante mascherate da sportellini quadrati, illuminate da una singolare applique a “palo di vite”, progettata dallo stesso Nonni e collocata a fianco della finestra. Tra le sedie si scorge la “sedia con orecchie” della “Collezione Rio Corniola” disegnata anch’essa da Nonni (fig. 13). All’altro lato del camino si dispone la zona conversazione, con due comode poltrone imbottite dal gusto rétro (fig. 8), illuminata da una abat jour a terra con struttura in ferro in foggia di serpente, anch’essa uscita dalla mano dell’architetto, autore di quasi tutti gli oggetti che pullulano negli ambienti. Ci giriamo verso una grande porta “armata” con struttura in ferro a vista, che scopriremo essere progettata per difendersi da intrusi non graditi provenienti dal vecchio fienile, cui si perviene per mezzo di un passaggio a ponte sospeso in quota, dal sapore medievale. Accanto alla porta si dispone un tavolino di servizio tratto da un piano da lavoro di un ebanista, vegliato da una serie di oggetti, tra cui un stampa per ostie (fig. 9). Raggiungiamo il fienile (fig. 10), “Suite sul torrente”, introdotta da una “Pera” su arenaria di Giovanni Pini da Solarolo. Il fienile si incendiò nel 1848, come riporta una targa soprastante la grande finestra con grata dello spazio living, al primo piano. Consiste in un corpo di fabbrica doppio, con camera da letto al piano terra, laddove si trovava la stalla per le pecore, e ambiente living al primo piano nel fienile, collegato al grande soggiorno. Un sofa con stoffa in stile Mackintosh «consente alla persona seduta di stare con lo sguardo alla stessa altezza di

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Foto 11: scala del corpo di fabbrica doppio. Foto 12: camera da letto del corpo di fabbrica doppio. Foto 13: particolare di una “sedia dalle orecchie”, della collezione “Rio Corniola”. Foto 14: camera da letto matrimoniale.

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Il grande soggiorno padronale, cuore del borgo, viene utilizzato anche come sala per le colazioni. È dominato da un grande camino recante lo stemma di Marradi. Ai suoi fianchi si trova un lungo tavolo frattino, bordato da una credenza a muro ad ante mascherate da sportellini quadrati, illuminate da una singolare applique a “palo di vite”, progettata dallo stesso Nonni e collocata a fianco della finestra. un presbitero yemenita posto accanto», spiega Nonni, autore di una singolare chaise lounge in legno e ferro e del lampadario/abat jour “a forca” (fig. 11), posto ad illuminare anche la scala che conduce alla zona notte (fig. 12), in cui troveremo un “trono di legno” a vegliare il talamo nuziale e una Madonna con Bambino su fondo oro di Pietro Lenzini. La visita prosegue nelle altre due camere da letto matrimoniali (fig. 14), una delle quali occupata dai nostri ospiti e dalla “Stanza del viandante”, con coppia di letti a castello (fig. 15). Si può inoltre scendere a piano terra e in questo modo raggiungere una tavernetta, con frattino centrale (fig. 16) e camino «alla Wright» (Nonni), sagomato con camera di riscaldamento. Usciamo per raggiungere l’ultima meraviglia, il regno dell'Aufgussmeister ("maestro di Aufguss"), il rituale con cui Francesco intrattiene i propri ospiti nella sauna finlandese ricavata nel deposito della legna, posta nella corte più alta, in cui si può fermare in relax nella camera con gli sdrai (fig. 18), oppure affrontare la fragrante e spirituale esperienza degli 80°C della sauna, da cui si può uscire per immergersi nella vasca idromassaggio “a tino” con stufa a legna ad immersione (fig. 19). Oggi ci siamo presi una piccola pausa dal “logorio della vita moderna”, come avrebbe detto qualcuno tanti anni fa. Abbiamo descritto un paesaggio sospeso in una condizione senza tempo: il tempo della pietra, delle colline verdi, del silenzio, del medioevo, ma anche del rituale dell’aufguss. Le foto del servizio sono di Fabio Forapan e Ennio Nonni (2, 16, 17).

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Foto 15: camera da letto con letti a castello. Foto 16: tavolo della tavernetta. Foto 17: camino della tavernetta. Foto 18: sala relax con rivestimento in mezzi tronchi. Foto 19: sauna finlandese ricavata nel deposito, con vista verso la vasca idromassaggio “a tino�, con stufa a legna ad immersione.

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CASA BELLA CASA di Pietro Barberini

[interpretazioni d’interni]

Siamo nell’alta valle dell’Acerreta, un bel torrente che scende dai contrafforti del Monte Bruno (1089 m. di altezza). Il ruscello corre verso valle, incidendo con un solco diritto i dolci declivi quasi inchinati ai piedi della Badia della Valle che Pietro Damiano consacrò a San Giovanni Battista nel 1053. Saranno state le acque, trasparenti e pure, ad ispirare il Santo, fondatore dell’Ordine dei Monaci Camaldolesi? Dalla Badia di Acerreta della Valle, dipendeva l’Eremo di Gamogna, dedicato a San Barnaba che prosperò per oltre cinque secoli come romitorio dei monaci Camaldolesi. Nel XIII secolo, dove il Rio Corniola “precipita” nel ruscello, si è formato un Borgo, stazione di posta dove riposavano viandanti e cavalli nei percorsi appenninici fra Firenze e le Romagne. Il Borgo addossato al torrente ne sfruttò le acque per macinare orzo e granaglie strappate alle dure terre di una campagna protetta da creste collinari che formano ampi terrazzamenti. Le case assumono nomi ed identità toponomastiche come lo stesso Borgo Corniola e Rio Faggeta. Lutirano è il centro principale che permette di raggiungere la valle del Tramazzo, valicando il passo della Collina che fa da confine fra Toscana e Romagna: nel folto di una bella abetaia si arriva a 600 metri di quota per scendere verso Tredozio, il cui territorio fa parte delle foreste Casentinesi. Le case di Lutirano si affacciano alla strada e al torrente e la sua piazza, un prato erboso, è sovrastata dal ponte che unisce le due sponde. La località è collegata a Marradi da un servizio di autobus che serve anche a trasportare gruppi di persone all’importante centro di meditazione buddista di Vipassana. Questi luoghi conservano ancora il fascino derivante dalle solitarie ispirazioni dei monaci Camaldolesi, che ne hanno mantenuto intatta la memoria. La morfologia e la stessa collocazione geografica hanno favorito, fin dai tempi di Dante, il passaggio di viandanti e mercanti dal Casentino e dal Mugello alla Romagna e viceversa. Per i ricordi e le citazioni nella sua Commedia, Dante Alighieri transitò lungo il torrente Acerreta, forse provenendo dalla cascata dell’Acquacheta che descrive mirabilmente: Come quel fiume c'ha proprio cammino prima dal Monte Viso 'nver' levante, da la sinistra costa d'Apennino, che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante, rimbomba là sovra San Benedetto de l'Alpe per cadere ad una scesa ove dovea per mille esser recetto; così, giù d'una ripa discoscesa, trovammo risonar quell'acqua tinta, sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XVI, Versi 94-102 Sul fianco della Badia di San Giovanni Battista è collocato un orologio solare che porta un’altra straordinaria terzina di Dante (Paradiso, X-28)

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Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura Secoli dopo un altro illustre viandante passò da Badia di Valle: era una notte d’agosto 1849 e il generale Giuseppe Garibaldi accompagnato dal suo luogotenente, venne protetto e guidato dal sacerdote di Modigliana don Giovanni Verità. La via della fuga verso il Granducato di Toscana passò fra queste colline. Transiti illustri che sembrano far parte dello stesso paesaggio, perché anche la geografia conserva la memoria della storia. Agli abitanti e ai visitatori il compito di mantenerla viva.


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L’alta valle dell’Acerreta e i suoi transiti illustri

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7 Foto 1: Passo della Collina: si entra in Toscana. Foto 2: Lutirano sul torrente di Valle o Acerreta. Foto 3: l’orologio solare sul fianco di un edificio di Badia di Valle. Foto 4: bus stop fra le colline. Foto 5: l’acqua corre fra le case di Lutirano. Foto 6: Badia di Valle, sullo sfondo il campanile della chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Foto 7: Borgo Corniola sull’Acerreta. Tutte le foto sono di Pietro Barberini.

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Il Palazzo del Governo Per oltre trecento anni è stata la sede del Legato Pontificio. Una cittadella a capo di un territorio che andava da Rimini a Imola. di Pietro Barberini

Le giornate del FAI quest’anno hanno aperto il Palazzo del Governo, la grande struttura che occupa gran parte del lato sud della piazza del Popolo di Ravenna. La Piazza, prima del risanamento ad opera dei veneziani, era uno spazio erboso che conduceva dal mercato del pesce alla piazza delle Oche (platea ocharia, l’attuale via Diaz), dove si svolgeva il mercato degli uccelli di valle e da cortile. Dopo la sistemazione della Piazza che viene selciata, l’abbellimento degli edifici circostanti fra i quali spiccano il Palazzetto Veneziano, le colonne sui basamenti di Pietro Lombardo e la Torre dell’Orologio, passa più di mezzo secolo prima che venga riedificato il Palazzo Apostolico, sede del Legato Pontificio che dal 1509 era stato ospitato nella canonica di Porto. Nel 1557 l’intervento viene ultimato nelle decorazioni e nei suoi dettagli architettonici e rimarrà tale fino a quando il cardinale Francesco Barberini non opererà importanti lavori di ampliamento sullo stile dei grandi palazzi della Roma di fine Seicento. È di quell’epoca la massima estensione della “cittadella” che comprende: la caserma del corpo di guardia, il carcere, le scuderie, la teso-

reria, il tribunale, archivi e uffici amministrativi, sale di ricevimento e rappresentanza nonché le residenze del Legato e del suo Vice. Il carcere situato dietro il Palazzetto Veneziano dove ora si apre la piazzetta Unità d’Italia, è stato demolito nel 1907. Nel 1927 il Palazzo ha perso l’ala sud trasformata nella sede centrale delle Poste, la cui corte interna è stata ricoperta, come era diffuso a quel tempo, in modo da ricavarne un ampio salone tuttora in uso. All’esterno il Palazzo del Governo rappresenta in maniera significativa, ma austera e sobria, il potere temporale della Chiesa che amministrava un territorio di rilevanti dimensioni ed importanza: la legazione della Romagna. Un ampio scalone porta al piano superiore dove si sviluppano le sale di rappresentanza: dal più ampio spazio per ricevimenti e balli ad altri più

Alcuni scorci del Palazzo del Governo di Ravenna affacciato sul lato sud di Piazza del Polo. Un tempo Palazzo Apostolico, sede del Legato Pontificio, oggi è comunemente conosciuto come sede della Prefettura. Recentemente sono state aperte al pubblico alcune sale storiche grazie alle “Giornate del FAI”.

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raccolti per incontri. C’è anche una sala dove al centro è situato un biliardo antico. Sui soffitti dipinti di scene mitologiche ed allegorie, pavimenti eleganti abbinati nel colore alle tappezzerie, agli intonaci, agli arredi: il salotto rosso, quello giallo, quello azzurro, che si aprono tutti sulla Piazza del Popolo. La visita organizzata dal Fondo per l’Ambiente Italiano ha permesso di ammirare questi spazi, le statue che abbelliscono lo scalone monumentale e gli stemmi (o armi gentilizie) dipinti su tela ed appesi alle pareti. A tal proposito si riporta quanto scrive Gian Franco Andraghetti sul suo libro di toponomastica (Ravenna, 2010): «Il cardinale Barberini ordinò di dipingere, nella grande sala del palazzo, le armi gentilizie dei legati che avevano presieduto il governo della città, a partire dall’uscita di scena dei veneziani. Successivamente il cardinale Saverio Massimo (1846) facendo demolire i muri su cui erano dipinti, fece ricopiare e dipingere li stemmi su quadretti di tela, ampliando la serie dal 48 a.C. all’anno 1509 (230 stemmi). La collezione fu perfezionata da Benedetto Baronio, il conte Ippolito Gamba e Francesco Donati, deputati dell’amministrazione provinciale (1849), per conto del conte Francesco Laderchi di Faenza , preside di Ravenna, per un totale di 432 stemmi, dal 1432 al 1849. L’autore è Angelo Ferrari (1799-1894), figlio del noto decoratore Gaetano (1775-1858) che lavorò con il padre nel Palazzo Arcivescovile, nel Palazzo Rasponi Murat, nel Palazzo Pasolini Dall’Onda e altri.

A sinistra, il salotto rosso del Palazzo del Governo; in alto, una parete affrescata del piano nobile; a destra uo delle centinaia di stemmi (armi gentilizie) che abbelliscono le pareti delle sale del palazzo.

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La serie fu aggiornata con gli stemmi prefettizi fino al 1929, dai pittori Enrico Piazza e figlio, e proseguirà fino al 1961. Metà degli anni 1930, per lavori di manutenzione del palazzo, le tele degli stemmi e i ritratti furono consegnate a Santi Muratori, direttore della Biblioteca Classense, collocati nelle pareti della scala d’accesso e nel magazzino detto Manica Lunga. Nel 1956 gli stemmi passarono all’Archivio di Stato, restaurati e appesi alle pareti, fino al trasferimento dell’istituto (1966). Infine, la serie araldica è tornata ad ornare le sale del Palazzo del Governo». Dal 13 giugno del 1859, quando dal Palazzo fugge precipitosamente (in pantofole, scrivono le cronache del tempo) il Cardinale legato, il Palazzo “è passato di mano”: dal governo vecchio a quello nuovo, rappresentato dallo Stato unitario che prende possesso di quel luogo inizialmente come sede del commissario straordinario della Provincia di Ravenna, che dal 1863 assumerà il nome di Prefetto, rappresentante del governo e nominato direttamente dal Ministero dell’Interno. Da quella data “Sua Eccellenza” il prefetto abita qui e il suo appartamento è sopra il “volto Perelli” dove stanziavano le guardie svizzere. L’arco permette di passare dalla piazza del Popolo alla piazza Garibaldi, ci si infila anche il vento di tramontana tanto che un tempo veniva chiamato “e volt de fred”. L’arco, che un tempo era più basso, offre una singolare e suggestiva prospettiva da piazza del Popolo alla Tomba di Dante che viene esaltata dalla sua biancheggiante architettura.

Sopra, una delle statue che ornano lo scalone monumentale. A destra, in alto, il salotto azzurro e un grande lampadario in vetro di Murano.


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Le guide che hanno accompagnato i numerosi visitatori delle “Giornate del FAI” erano studenti delle classi dei tre licei cittadini: Classico, Scientifico e Artistico. Preparati dai loro insegnanti, in particolar modo quelli di storia dell’arte, si sono presentati all’appuntamento con entusiasmo e “professionalità” ed hanno fatto una gran bella figura. Ho parlato con uno di loro, Giulio Piazza che frequenta la IVA del Liceo Scientifico Orinai “Scienze Applicate”: «Ero particolarmente interessato alla visita guidata, mi attirava la vastità del palazzo che potevo confrontare con quello della visita FAI dello scorso anno, Palazzo Rasponi delle Teste – racconta Giulio –. Gli ambienti di questo edificio governativo si fanno apprezzare per le loro peculiarità e la diversità delle dimensioni. Mi trovavo e sono stato fortunato, nella sala più ampia e forse più elegante, quella delle feste, con bel un pavimento di marmo, due importanti dipinti e uno splendido lampadario di Murano. A partire da questo grande ambiente, si aprivano salotti dominati dal colore e per questo motivo chiamati “salotto rosso”, “salotto azzurro”, “salotto giallo”. Oltre quattro secoli di storia hanno permesso di attraversare vari periodi storici che si riflettono nello stile degli arredi, nelle tappezzerie, negli stessi pavimenti che passano dal legno al marmo e alle maioliche dipinte». Giulio e i suoi compagni hanno illustrato e soddisfatto le molte curiosità dei presenti, dando una bella immagine di come la scuola possa interagire positivamente con la società. Protagonisti di una bella esperienza che continua, anno dopo anno, a svelare con occhi senz’altro diversi, le tante bellezze, più o meno conosciute, che Ravenna custodisce. Grazie alla formula adottata dal FAI, ogni anno vengono spalancati palazzi e monumenti alcuni dei quali rappresentano vere e proprie scoperte. Chi non è mai stato in Prefettura, per un permesso o pratiche burocratiche? Molti cittadini hanno salito i gradini dello scalone, sorvegliato dagli occhi severi delle statue allegoriche che simboleggiano la Forza, la Temperanza, la Prudenza e la Giustizia. In anni passati, nel cortile del Palazzo, venivano eseguite le pene capi-

Un gruppo di guide volontarie al Palazzo del Governo di Ravenna in occasione delle “Giornate del FAI: (da sinistra) Francisca Orrego, la professoressa Donatella Fusconi, Sara Mathlouthi e Giulio Piazza, studenti della IV A sa del Liceo Scientifico “A. Oriani” di Ravenna.

tali: proprio di fianco vi era la Chiesa di San Giovanni decollato, dove la Confraternita della Misericordia o della Buona Morte assicurava i conforti religiosi (sic!). Per fortuna il tempo non è passato invano e tante cose sono mutate, ma “il contenitore” è sempre quello: un possente edificio dal quale si entra attraverso un portale barocco. Varcato l’androne, si può immaginare quanto fosse diverso il passo di chi si recava al Palazzo Apostolico per essere ricevuto da un Segretario del Cardinale legato, da quello festoso dei tanti ravennati e turisti che sono stati accolti e intrattenuti dagli studenti-cicerone, domenica 20 marzo 2016. Nei primi anni del Novecento, anche Gaetano Savini, disegnatore e pittore, insegnante di materie artistiche, dava come compito ai suoi allievi l’esecuzione di bozzetti e disegni dal vero. I ragazzi si recavano così davanti a basiliche e palazzi, talvolta spingendosi all’interno per ritrarre particolari di scaloni, stucchi e balaustre. Per quanto riguarda il Palazzo del Governo non credo abbia potuto utilizzarli, tantomeno per guidare visitatori. Sul Palazzo della Prefettura resta però un suo scritto che si riporta integralmente: «Nell'atrio, a destra e a sinistra, vi sono due scale ... la scala di sinistra ... conduce alla Prefettura ... benché di marmo non abbia che le pedane ... presenta l'aspetto di scalone nobile; è decorato con colonne ioniche e balaustre, il tutto di cotto verniciato, e sei statue di scagliola lucida allusive alla scienza, giustizia, ecc. fra le quali Minerva, posta in una nicchia ... fronteggia lo scalone.. Di questo scalone neoclassico, ornato da una balaustra con colonne ioniche binate, rimangono solo il ricordo e le statue».


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CITTÀ E QUARTIERI

La piazza della Romagna racconta la propria storia di Chiara Bissi

Le infinite trame alla scoperta di Lugo, mercato, luogo di cultura e di grandi passioni

Fuori dalle mura urbane, prosegue il viaggio nelle città del comprensorio ravennate. La meta di questa settimana è Lugo. Di certo lo spazio della rubrica non può bastare a rappresentare appieno la città, ma può essere utile fissare alcuni elementi che aiutano a conoscerla e a comprenderne l’evoluzione. Da sempre è stata definita e riconosciuta come città di mercato, luogo di scambio per le merci, di incroci di persone e di idee. Una vocazione che ne ha tratteggiato la fisionomia, il carattere, il profilo e ne ha decretato la fama secolare come piazza della Romagna. Ed è alla presenza di questa forma urbana moltiplicata attorno al fulcro originario, la Rocca, che Lugo deve il suo aspetto attuale. Gli ampi spazi, il mercato e la straordinaria “macchina” scenografica, nota come il Paviglione ne fanno il cuore pulsante. A Lugo il passato affiorante convive con le esigenze del presente e non pregiudica le scommesse del futuro. Qui come altrove la crisi economica morde, il tessuto commerciale soffre e il centro storico non è immune da fenomeni presenti in tante città italiane, come la chiusura di negozi,


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il calo di abitanti e la difficoltà a tenere coeso il tessuto sociale, ma di certo Lugo è attrezzata per superare le difficoltà e resistere. Una chiave per comprendere la fortuna della città risiede nell’individuazione di alcuni binomi facili da elencare: aver legato saldamente le ragioni dell’economia a quelle della cultura, del commercio allo spettacolo, degli affari all’intrattenimento. Concetti espressi e approfonditi nel 2009 da Cristina Garotti, nel volume La formazione della struttura urbana di Lugo di Romagna, Edit Faenza. Le origini di Lugo sono remote, si parla di resti di un villaggio neolitico a nord est dell’attuale abitato, di un alveo fluviale successivamente abbandonato, di presenze di galli boi fra il VI e II secolo avanti Cristo, di bonifiche e centuriazioni romane. Le prime fonti scritte risalgono al 782 e Lugo vanta una continuità insediativa non comune. In un documento del 1224 appare la dicitura Villa Lugi possibile richiamo all’attuale toponimo. Contesa dai Polentani, dai bolognesi, dai Visconti di Milano, passò agli Estensi dal 1437 fino al 1597 per passare nei possedimenti dello Stato pontificio. E proprio il nuovo assetto garantì la stabilità necessaria alla città per di-

Alcune vedute della struttura esterna, della corte interna e del vasto porticato del Pavaglione, uno dei simboli e delle testimonianze storiche della Lugo mercantile.

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CITTÀ E QUARTIERI

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venire uno dei più fiorenti mercati della regione. A fianco della Rocca dal XII secolo cresce il borgo Brozzi, la presenza di ospedali e opere di carità testimoniano la consistenza delle attività produttive e mercantili favorite anche da un sistema di comunicazione fluviale e di scambi con i territori a nord del Po di Primaro. Della Rocca si hanno notizie dal X secolo, distrutta a più riprese. Al condottiero ghibellino Uguccione della Faggiola, gli storici, attribuiscono la costruzione del mastio di nord-ovest alla fine del Duecento. Ma lo sviluppo del fortilizio si deve agli Estensi. Nel 1568-1570 il duca Alfonso II fece abbattere la cittadella, divenuta superflua ai fini difensivi. Con il passaggio di Lugo allo Stato pontificio, la Rocca divenne sede dei governatori pontifici, poi con il Regno d’Italia sede del governo locale. Ad oggi è possibile ammirare il giardino pensile che occupa un’area di 1.000 metri quadrati a 7 metri d’altezza, e lungo le mura ha trovato un felice habitat la Capparis Spinosa. Da secoli sono presenti numerose piante spontanee di cappero, e l’amministrazione si occupa della raccolta e la conservazione sotto aceto per far dono del prodotto agli ospiti in visita in città. Esiste anche il diritto di capperaggio per i cittadini che possono raccogliere i frutti fino ad altezza d’uomo. Nel 1574 viene costruita la loggia dei mercanti della seta riuniti nell’appuntamento settimanale del mercoledì. E saranno proprio le manifatture, i commerci della lana, come detto della seta, della canapa, dei cereali e dei bovini a fare di Lugo un centro commerciale di prima grandezza, posto all’incrocio delle legazioni pontificie


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di Ravenna, Ferrara e Bologna. Di certo incise nello sviluppo dell’economia locale anche la presenza di una forte comunità ebraica, ridotta in un ghetto a partire dal 1639 su via Codalunga ovvero corso Matteotti, sulla quale si aprivano la sinagoga, scuole, l’archivio e la biblioteca della comunità. Fuori della porta a poca distanza nacque anche il cimitero ebraico poi alla fine dell’Ottocento spostato in via di Giù - all’angolo delle odierne via dell’Arca e viale Europa. Sull’elegante corso Matteotti sono ancora riconoscibili casa Marangoni del XV secolo conti di Barbiano, in più parti rimaneggiata e il palazzo costruito dal conte Giovanni Rossi nel XVII, dal 1952 sede dell’albergo Ala d’Oro, gestito da allora dalla stessa famiglia. Lì nacque nel XVIII secolo Cornelia Rossi di San Secondo, in Martinetti. E a lei si deve all’inizio dell’Ottocento la creazione di un salotto letterario frequentato da ospiti illustri, come Giacomo Leo-

Altri due scorci del Pavaglione, che sotto i suoi portici ospita diversi esercizi commerciali e di ristoro. Qui a destra , l’ingresso dell’Hotel Ala D’Oro, albergo e ristorante lughese aperto nel 1952 e noto in tutta la Romagna. Ha sede nello storico palazzo residenza del conte Giovanni Rossi (XVII sec.) che si affaccia su via Matteotti. Agli inizi dell’Ottocento, grazie a Cornelia Rossi di San Secondo, ospitò un salotto letterario frequentato da illustri letterati come Leopardi, Byron, Foscolo e Stendhal.

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pardi, Lord Byron, Ugo Foscolo, Stendhal. Ma è fra Settecento e Ottocento che il centro storico prende l’aspetto attuale con la costruzione del Pavaglione, il quadriportico monumentale che enfatizza l’antica area dei mercanti, posta in prossimità della Rocca sin dal XVI secolo. Un segno tangibile della ricchezza della città realizzato ad opera di Giuseppe Campana a partire dal 1771. Lo spazio chiuso circondato da portici di ordine gigante oggi appare nella nuova veste dopo la riqualificazione completata nel dicembre del 2015, seguita dall’architetto Giovanni Liverani, responsabile del Servizio patrimonio ufficio Associato Area infrastrutture per il territorio. Piazza Mazzini, l’area scoperta del Pavaglione è stata dotata di una pavimentazione in “ghiaietto giallo mori”, di sedute e di un impianto di illuminazione a Led. I corpi illuminanti sono stati collocati su pali dal disegno stilizzato, la fascia perimetrale del loggiato a ridosso dei pilastri è invece in acciottolato con materiale di recupero proveniente dai magazzini comunali e copre circa 2.800 metri quadrati, su una superficie totale della corte interna di circa 6mila metri quadrati. I costi per la realizzazione dell’intervento ammontano a

Due svettanti monumenti lughesi: a destra, la celebre ala con la statua dell’eroe aviatore della Prima Guerra Mondiale Francesco Baracca. In alto: il recente (2014) e imponente (quanto controverso) portale intitolato “La meridiana dei popoli”, ideato dall’artista Mario Nanni.


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A sinistra, la quattrocentesca Casa Marangoni con il portale gotico rinascimentale, già appartenuta (si legge in una targa commemorativa) ai Conti di Barbiano e ai Duchi d’Este. A destra, l’ingresso della Rocca Estense, originaria del X secolo, fortezza da secoli sede del governo locale e ora del Municipio.


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che era definito il Prato della fiera. Fra il 1758 e il 1760 vennero costruite le parti principali, su progetto di Ambrogio Petrocchi, mentre, a partire dal 1760, i lavori interni, furono completati da Antonio Galli Bibiena. Inaugurato nel 1761 con l’opera Catone in Utica di Pietro Metastasio, nel 1859 fu intitolato a Rossini. Dello stesso secolo la biblioteca Civica, ospitata nel settecentesco Palazzo Trisi, eretto su progetto di Cosimo Morelli. Il palazzo dal 1774 ospitò il collegio dei nobili, istituzione voluta dal conte Fabrizio Trisi nel 1630. Oggi la Biblioteca vanta un patrimonio di oltre 220 mila testi tra manoscritti, incunaboli, cinque centine, edizioni di pregio, periodici, stampe, disegni, immagini e materiale multimediale. A due passi dal Pavaglione si apre inoltre la chiesa del Carmine, opera dell’architetto Francesco Petrocchi, ricostruita a metà del Settecento, in stile barocco su una precedente chiesa del 1520, annessa all’attiguo convento carmelitano, che oggi ospita la sede dell’Unione della Bassa Romagna. Qui si venera Sant’Ilaro, patrono della città. La Chiesa custodisce un famoso organo realizzato nel 1797 da Gaetano Callido e un Gatti del 1750. Negli stessi anni in piazza Savonarola, nel 1772, sorse la chiesa della Collegiata su disegno di Cosimo Morelli, costruita su una precedente chiesa eretta dai francescani attorno al 1230. Una stagione quella settecentesca felice, ma bruscamente interrotta dall’arrivo delle truppe napoleoniche nel 1796. La resistenza opposta dalla nobiltà, dal clero e dalla popolazione fu repressa nel sangue con il sacco della città. Ma Lugo ha dato i natali anche a Giuseppe Compagnoni, (1754 – 1833). L’intellettuale e letterato, dopo aver abbandonato l’abito talare, abbracciò le idee illuministe, fu segretario generale della Repub-

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CITTÀ E QUARTIERI

blica Cisalpina, eletto al Congresso di Reggio Emilia propose nel 1797 di identificare la bandiera Cispadana in uno stendardo verde, bianco e rosso. Tra le figure leggendarie di Lugo un posto speciale va assegnato a Francesco Baracca (1888 – 1918), al quale la città ha dedicato una piazza con il celebre monumento e un museo. La memoria del pioniere dell’aviazione italiana, dell’eroe della Prima guerra mondiale, fu negli anni Trenta interamente assunta dal regime fascista che ne fece un veicolo di propaganda. La statua in bronzo, collocata nella piazza è alta 5,70 metri, e fa da sfondo un’ala alta 27 metri , sulla quale è scolpito il cavallino rampante col motto “Ad Maiora” e l’ippogrifo, simbolo mitologico della vittoria dell’uomo nei cieli. Liberato da ogni intento ideologico il Museo rappresenta il punto di partenza di un itinerario cittadino che comprende il monumento, progettato e ultimato nel 1936 dallo scultore faentino Domenico Rambelli, la cappella sepolcrale, decorata dall’artista lughese Roberto Sella, nel cimitero cittadino, al cui interno è collocato il sarcofago fuso col bronzo dei cannoni austriaci del Carso. Infine ultimo in ordine di apparizione l’opera dell’artista e light designer Mario Nanni, La meridiana dei popoli, un monumento sorto non senza polemiche nel 2014. Si tratta di una grande porta in acciaio alta 21 metri, sulla quale sono riportate le date più significative della storia lughese, un testo poetico tradotto anche in inglese, in dialetto romagnolo e in alfabeto braille. Servizio fotografico di Barbara Gnisci. Alcune immagini sono di Pietro Barberini.


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Pier Paolo Pasolini.

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GRAND TOUR

Fotografie di fine anni Cinquanta-inizi Sessanta del molo di Marina di Ravenna/Porto Corsini, Archivio Danilo Montanari editore. Ringrazio di cuore l’amico Danilo per averne permesso la pubblicazione.


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Pulp fiction da riviera Pasolini e la «ragazzaglia» ravennate (1959) di Alberto Giorgio Cassani

Di Pasolini è piuttosto nota la poesia dedicata al “mausoleo” di Galla Placidia.1 Assai meno che un po’ degli umori della città scorrono nel sangue di uno dei più grandi intellettuali di quello che è stato chiamato, a torto o a ragione, il “secolo breve”. Sì, perché il padre di Pier Paolo era proprio ravennate, di una delle tante ramificazioni dei Pasolini. La «cara domestica Ravenna» è un «tappeto orientale», lo sappiamo… ma i ravennati? Che cosa pensa degli abitanti della “malinconica”2 città il “ragazzo di vita”? Pier Paolo calcò il nostro suolo, per meglio dire le nostre spiagge, nell’agosto del 1959, nel corso di un reportage in tre puntate sulle coste italiane commissionatogli dal mensile “Successo”, dal titolo: La lunga strada di sabbia.3 Questa strada lo porta un bel giorno sul lido di Marina di Ravenna, che Pier Paolo chiama ancora Porto Corsini (i vecchi toponimi sono assai tenaci). Qui si ferma solo qualche ora, ma il suo lucido sguardo coglie immediatamente il genius loci degli “indigeni”. Sì perché Pasolini ci guarda

come se fossimo dei selvaggi e lui fosse capitato in un’isola degna dei Viaggi di Gulliver. Poche, affossanti parole: «Spiaggia per soli ravennati» (ormai di nuovo vero, dopo il fallimento del “sistema Marina” degli anni del boom e il ritorno a una dimensione più “domestica”). «Il mare di lacca», la spiaggia4 «di calce»: noi, forse, li possiamo immaginare così, ma non riusciamo a dirlo, altrimenti saremmo dei poeti. Ma Pasolini è autore “di frontiera”, e non indulge in elegie: «Qui infuria la ragazzaglia della periferia, del contado, del proletariato» che lavora nelle fabbriche, «quasi nuove cattedrali, nuovi Sant’Apollinari». Ravenna è un’«isola», un’«area marginale»: non può che essere «conservatrice». Macché «Bizantini», piuttosto «Goti», forse. Ma è la fisiognomica che ci frega: «Questi giovani, piccoli di cranio, grossi di mascella, nasuti, sono scatenati». Uno scenario da grandguignol, che non sarebbe spiaciuto al fin troppo lodato Quentin Tarantino: «urla animali», sputi, tentativi di speronamento con una barca a vela contro degli ignari bagnanti: «roba da spappolargli il cranio».

Note 1. 2. 3.

4.

Tappeto orientale, in “Il Caffè”, XI, n. 1, gennaio-febbraio 1963, ora in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, Tomo primo, a cura e con uno scritto di Walter Siti, Saggio introduttivo di Fernando Bandini, Cronologia a cura di Nico Naldini, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2003, pp. 1380-1382. Il termine «malinconia» ritorna ben cinque volte nella lirica. Cfr. “Successo”, I, n. 5, settembre 1959; le prime due puntate erano apparse nei nn. 3 del 4 luglio e 4 del 14 agosto. Il brano – ripubblicato con tutta l’inchiesta in PIER PAOLO PASOLINI, Romanzi e Racconti, Volume primo: 1946-1961, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude con due saggi di Walter Siti, Cronologia a cura di Nico Naldini, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, pp. 1479-1526: 1521 e, da solo, in DANILO MONTANARI, Volo d’angelo, Brescia, Edizioni l’Obliquo, 2000, p. 51 – compare ora, assieme a tutto il reportage, in PIER PAOLO PASOLINI, La lunga estate di sabbia, fotografie Philippe Séclier, Roma, Contrasto, 2014, p. 201 (il passo del dattiloscritto originale è riprodotto a p. 207). Nel dattiloscritto, «spiaggia» sostituisce un precedente «sabbia», parola cancellata da Pasolini con una serie di “x”, come si faceva una volta, quando ancora si utilizzava la macchina da scrivere.

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SEDICI ARCHITETTURA 2016

Edifici Pubblici

Restauri e recuperi di nell’esperienza di Mauro Crepaldi

essenzialità di MIDE architettura

e l’

Orientamenti professionali e progetti a confronto fra due generazioni di progettisti, in occasione della seconda conferenza 2016 dedicata ai temi dell’architettura contemporanea, in programma il 21 aprile nello showroom di Oggetti d’Autore a Forlì di Chiara Bissi Secondo appuntamento per la rassegna 2016 di incontri- confronti sulla progettazione contemporanea "SeDici Architettura", promossa dalla rivista Casa Premium della società editoriale Reclam e ideata dal comitato scientifico composto da Gianluca Bonini e Giovanni Mecozzi di Nuovostudio di Ravenna e da Filippo Pambianco di Cavejastudio di Forlì. Protagonisti della conferenza del 21 aprile – che si tiene nella prestigiosa sede dello show-room di mobili e complementi di design Oggetti d'Autore di Forlì – saranno l'architetto Mauro Crepaldi (Copparo, Ferrara) e i più giovani professionisti dello studio Mide (Stra, Venezia). Novità degli incontri di quest'anno una breve tavola rotonda, a conclusione della serata, sul tema: "Il peso della sostenibilità. Minimo impatto ambientale massimo risparmio energetico. Dove sta l'equilibrio? Un argomento di stringente attualità sia sul piano dei nuovi indirizzi professionali della progettazione che della normativa in campo edilizio. Oltre ai relatori della conferenza sarà ospite al tavolo della discussione a più voci anche l'architetto faentino Paolo Rava, particolarmente esperto del campo, delegato dell'Associazione Nazionale Architettura Bioecologica e con alle spalle anche un'esperienza di amministratore pubblico come assessore all'urbanistica del Comune di Forlì.

Risorse limitate e interventi frammentari per il patrimonio comune E i temi della sostenibilità sono facilmente rintracciabili nelle esperienze progettuali di Mauro Crepaldi, nato a Copparo nel 1975. Cre-

paldi si laurea alla facoltà di Architettura di Ferrara nel 2001. Collabora stabilmente con lo studio Antonio Ravalli Architetti fino al 2008 partecipando a numerosi progetti e concorsi internazionali. Attualmente è progettista presso Patrimonio Copparo s.r.l., società “in house” del Comune di Copparo. In particolare l’attività svolta da Mauro Crepaldi spazia dalla progettazione alla realizzazione di opere pubbliche, di grande e piccola scala, dal restauro architettonico a nuovi interventi inseriti all’interno del tessuto urbano. In questi anni progetta e realizza numerose opere che gli valgono riconoscimenti e pubblicazioni su riviste di settore. Nel 2012 partecipa al Premio Internazionale “Domus Restauro e Conservazione” ricevendo la Menzione Speciale con il progetto “Villa Mensa – Salvaguardia, Intrusione Riscoperta”. Nel 2015 partecipa al premio “Giovane Talento dell’Architettura Italiana” con il progetto Nuovo Polo Cimiteriale di Copparo, che gli vale la segnalazione all’interno dei progetti premiati. Come descriverebbe l’esperienza della società Patrimonio Copparo rispetto alle realtà convenzionali presenti negli enti locali? E come si caratterizza il ruolo del responsabile dell’ufficio progettazione? «Patrimonio Copparo s.r.l. è una società in house del Comune di Copparo, costituita nel 2007 per la gestione del patrimonio comunale, l’organizzazione dei servizi pubblici locali, delle attività complementari, la progettazione delle opere pubbliche. Ad essa è stata conferita parte del patrimonio immobiliare comunale, di cui cura riqualificazione e manutenzione, la gestione di servizi pubblici locali, quali la manutenzione di strade, verde pubblico e la gestione cimiteriale che svolge attraverso la società Gecim srl. Al suo interno, l’Ufficio Progetti, oltre alla riqualificazione del patrimonio comunale, si occupa di progettazione e realizzazione delle Opere Pubbliche, a stretto contatto


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con l’Area Tecnica del Comune di Copparo, avvalendosi inoltre della collaborazione esterna di tecnici locali. Pertanto, il ruolo principale dell’Ufficio Progetti, è di elaborare i progetti gestendo le risorse a disposizione, ottimizzando i costi, anche in un’ottica di gestione futura del bene, e massimizzare la qualità e l’efficienza del progetto. Si occupa inoltre dirigere i professionisti esterni che collaborano alla redazione delle opere impiantistiche e strutturali relative ad ogni intervento. Negli ultimi anni, le risorse a disposizione sempre più limitate, hanno imposto una frammentazione degli interventi ed una suddivisione dei costi su più di stralci funzionali. In quest’ottica, occorre pertanto pensare ad un progetto globale che venga diluito negli anni. In questo caso, Patrimonio Copparo e l’Ufficio Progetti, garantisce anche una continuità linguistica ed esecutiva degli interventi». Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nel restauro del patrimonio esistente o di quello storico in relazione agli obiettivi stringenti del basso impatto ambientale e del massimo risparmio energetico? «Il patrimonio del Comune di Copparo è principalmente costituito da edifici realizzati nel secolo scorso e da alcune emergenze di maggiore interesse storico architettonico sparso sul territorio comunale (Delizia Estense sede del Palazzo Municipale – Villa Mensa per citarne alcuni). Oggi, la maggiore difficoltà nel recupero del patrimonio storico sta nell’operare principalmente con risorse limitate che impongono una frammentazione degli interventi. Gli importanti investimenti

che in passato permettevano grandi restauri, per realtà ridotte come la nostra, devono essere sempre più di frequente frammentati negli anni. I bandi europei ed i finanziamenti, molto spesso mirati al conseguimento di una riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare spesso aiutano le Amministrazioni ad intervenire sul recupero patrimonio storico per una ottimizzazione dell’impatto ambientale e dei costi di gestione futura». Il nuovo polo cimiteriale, la ristrutturazione dell’ex pretura e delle ex carceri sono alcune delle opere realizzate in questi anni. Si tratta di luoghi aperti al pubblico e di uffici, qual è il vantaggio di una progettazione pubblica rispetto a un incarico a un professionista esterno? «Il ruolo dell’Ufficio Progetti è non solo di pensare ad un progetto economicamente vantaggioso, in termini finanziari, di servizi e di gestione futura del bene, ma anche di coordinare un gruppo di professionisti esterni, che di volta in volta viene selezionato sul territorio,

Nelle foto, alcuni degli edifici e degli spazi pubblici, realizzati a Copparo su progetto e direzione lavori dell’architetto Mauro Crepaldi, progettista di una società “in house” del comune ferrarese.

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al fine di collaborare al progetto, e di svolgere quelle funzioni che Patrimonio Copparo non comprende nel suo organico. In particolare il Nuovo Polo Cimiteriale, contenente al suo interno un Impianto di Cremazione, è stato pensato fin da subito per essere progettato, realizzato e gestito interamente da Patrimonio Copparo e da Gecim srl, la propria società addetta alla gestione cimiteriale. Siamo partiti realizzando un business plan, che ha indagato i costi e benefici di un servizio che avrebbe avuto una importante ricaduta sul proprio territorio, quantificando le risorse a disposizione per la realizzazione dell’opera, nell’ottica di un rientro dell’investimento, e coniugando un progetto, che potesse avere un basso impatto ambientale in termini energetici e di inserimento urbanistico. Il Polo infatti si inserisce in un’area verde confinante con il Centro Storico, un prolungamento della fascia cimiteriale, destinata sempre più a diventare Parco Urbano Cittadino». Quanto è consistente il patrimonio immobiliare gestito dalla società Patrimonio Copparo e quindi quali sono i progetti per il futuro? «Patrimonio Copparo gestisce alcuni immobili all’interno del Centro Storico di Copparo, che ha riqualificato, occupato o dato in gestione

ad enti pubblici locali, immobili produttivi ed aree verdi o sportive. Attualmente sta collaborando con l’Area tecnica del Comune di Copparo alla riqualificazione di un’ex-area industriale degradata, inserita nel tessuto storico del paese al fine di trasformarla in uno spazio aperto a servizio della comunità. Inoltre sta realizzando un progetto di ristrutturazione della Biblioteca Comunale. Partendo dall’esigenza di un urgente adeguamento impiantistico, coglie l’occasione per ampliarla e trasformarla in un grande Polo culturale contemporaneo a servizio dei cittadini. Si tratta di un progetto che mira a trasferire gran parte delle funzioni bibliotecarie all’interno della antica Torre Estense, cuore e fulcro del centro storico e delle attività culturali di Copparo».

Come costruire una palestra in area sismica in cinque mesi Mide architetti è uno studio di architettura che si occupa di progettazione in differenti ambiti d’intervento: urbanistico, architettonico, e d’interni; il particolare interesse alla semplicità delle linee e dei volumi, l’estrema attenzione al dettaglio, alle finiture e alla scelta


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dei materiali, ne caratterizzano l’approccio progettuale. Le suggestioni che ispirano la produzione architettonica, nascono dall’analisi funzionale delle esigenze del committente e dalla lettura emozionale del luogo; al progetto viene attribuito il ruolo di risposta alla vocazione del sito d’intervento, i cui i tratti tipici vengono reinterpretati e tradotti in nuove soluzioni architettoniche. Il lavoro dello studio – fondato dai giovani progettisti Fabrizio Michielon e Sergio de Gioia che ha sede a Stra nell'area metropolitana di Venezia – si distingue per una particolare attenzione ai temi della sostenibilità ambientale ed energetica, anche grazie a consulenze di specialisti qualificati. Tra i clienti di maggior rilievo acquisiti da Mide, sono stati sviluppati progetti per importanti aziende quali Volvo Trucks Italia, Renault Trucks, Intrerbrau, Philippe Model, Ipercoop, Rubner Haus, Stilenatura, John Barritt, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Benetton, Birrificio Antoniano. Lo studio ha ideato progetti anche per diverse pubbliche amministrazioni: Regione Emilia Romagna, Comune di Mirandola, Comune di Viadana, Comune di Massa Finalese, Comune di San Felice sul Panaro e Comune di Mira. In parallelo all’attività professionale Mide persegue una continua

attività di ricerca e confronto, attraverso la partecipazione a concorsi di progettazione nazionali ed internazionali. In breve tempo lo studio ha ottenuto importanti riconoscimenti e pubblicazioni. In occasione della conferenza dei “SeDici”, Mide architetti presenta fra gli altri progetti, la realizzazione della ristrutturazione di un casale di campagna a Lucca, la ristrutturazione di un’abitazione privata a Stra di Venezia, la costruzione di una palestra scolastica temporanea dopo il sima del 2012 a Massa Finalese, in provincia di Modena; edificio che è stato realizzata in soli 5 mesi .

Nelle imagini, in sequenza in basso e in alto a destra, alcune opere realizzate dalllo studio Mide architetti di Stra (Venezia).

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[IP] ARREDI DI DESIGN

Oggetti d’Autore Un grande showroom a Forlì dove scegliere e progettare interni su misura con materiali e mobili dei più noti brand dello stile internazionale Oggetti D’Autore muove i suoi primi passi come costola di Tecnesa, società nata negli anni ’70 e che si è evoluta e specializzata nella lavorazione di laminati metallici. Dopo oltre 10 anni di esplorazione del mondo ufficio, avvia la ricerca e la collaborazione con grandi brand dell’arredo di design. È un cammino di grande successo che porta Oggetti D’Autore a stringere partnership con brand di alto livello internazionale, abbracciando via via progetti sempre più trasversali, sia per clienti privati che in collaborazione con architetti e interior designer. Nel 2013 è stata inaugurata la sede attuale di via Martoni a Forlì, uno showroom di 2.000 mq dove poter ricevere la clientela internazionale in un’atmosfera particolarmente efficace, in cui viene esaltata l’eccel-

lenza di ogni grande brand del design e ogni marchio è presentato nella sua più specifica particolarità. Solo per citarne alcuni, da Oggetti D’Autore potrete vedere le cucine Bulthaup – marchio in esclusiva per la Romagna –, gli arredi Poltrona Frau, Molteni, Vitra, Zeitraum, le superfici continue di Oltremateria, i pavimenti in legno di pregio, dalla forte identità sostenibile, di Listone Giordano, sinonimo in tutto il mondo di grande eccellenza italiana. «Ci piace pensare al nostro lavoro come a quello degli scenografi e dei costumisti nel cinema: la ricerca dell’ambiente e dell’abito perfetto al servizio della regia dei nostri committenti per la realizzazione dei loro capolavori» afferma, Francesca Rambaldi, responsabile dello showroom. In Oggetti


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D’Autore opera uno staff di professionisti con diversi profili ed expertise, che da lungo tempo e con grande passione si adopera per trasformare in realtà i progetti dei propri committenti. «Aggiornamento continuo e costante scambio di informazioni con i professionisti del settore sono i punti di forza della nostra struttura – prosegue Rambaldi, personalità spiccata e

forte attenzione ai fatti –. Proprio per poterlo realizzare al meglio, abbiamo allestito nei nostri uffici una sala riunioni da oltre 100 posti, che ospita meeting e conferenze di aggiornamento professionale, con contenuti innovativi e di interesse generale, proprio come il ciclo di conferenze “I 16 - SeDici Architettura”, che siamo lieti di sponsorizzare e ospitare già da due anni».

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PERCORSI ARTISTICI


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Artificio e natura fra paesaggi e Land Art Dalle pitture di marine, boschi e giardini ai titanici interventi territoriali degli statunitensi Smithson e De Maria, fino ai lavori dell'italiano Piero Gilardi di Serena Simoni La natura - intesa come vegetazione, terra, mondo di Flora - è sempre stata presente nella storia dell'espressione visiva ma con sorte alterna e pesi differenti. Inutile dire che la nascita del paesaggio come genere artistico autonomo nel corso del '600 segna l'inizio di questa storia, partita però sottotono visto che dipingere paesaggi era considerata una specializzazione "minore" e a costi ridotti rispetto ad esempio ai soggetti storici o di invenzione. Il mercato ha invece avuto una chiara impennata di gradimento e le case occidentali hanno iniziato proprio da questo periodo a riempirsi di paesaggi, con sottocategorie particolari come marine, "boscareccie" o vedute con monumenti antichi. Di questi dipinti ne rimangono ancora in circolazione data l'intramontabile passione per un genere che ancora oggi ha prezzi di antiquariato abbastanza alti: una marina di Philipp Hackert, il maestro di disegno di Goethe, può aggirarsi fra i 25-30,000 euro mentre per un minore di fine '800 si può spuntarla con prezzi 10 volte inferiori. Partendo sempre dai secoli passati occorre ricordare anche la nascita degli orti botanici, sorti in Europa fin dalla metà del '400, e la diffusione degli erbari - collezioni in album di erbe e fiori - che vennero prima solo dipinti e poi dal Cinquecento raccolti grazie alla tecnica dell'essicazione, a quanto pare prima non così semplice ed efficace. Difficile vederli dal vivo ma a chi fosse interessato ricordiamo che l'erbario di Ulisse Aldrovandi è oggi tutto on line, mentre per altre raccolte esistono buone pubblicazioni.

Nella pagina a sinistra, in alto: Jakob Philipp Hackert, A view along the valley of the river Tiber towards Poggio Mirteto, and beyond the sabine mountains lit up by the evening sun, 1799. In basso: Walter De Maria, Lightning Field, 1973/79. In questa pagina, sopra: Robert Smithson, Spiral Jetty, 1970. In basso a sinistra: Marie Luise Gothein (1863 - 1931). In basso a destra: Jan Dibbets, Perspective Correction, 6 Hours Tide Object with Correction of Perspective, 2009.

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PERCORSI ARTISTICI

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COMUNITÀ ALLOGGIO PER ANZIANI A Villa Mimosa si vive in compagnia, in un ambiente bello e confortevole, fra il verde del parco, il buon cibo genuino e i nostri sorrisi accoglienti. Lo staff competente e motivato è al servizio degli ospiti 24h su 24.

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Sempre in argomento, credo sia questa l'occasione di rendere omaggio a Marie Luise Gothein (1863-1931), la prima studiosa in Occidente a indagare il tema dei giardini in un'ottica storico-artistica: la sua Storia dell'arte dei giardini uscita nel 1913 in Germania e considerata ancora oggi fondamentale purtroppo è ancora conosciuta solo da una nicchia di esperti. In Italia il testo è stato tradotto infatti per la prima volta appena 10 anni fa e l'alto costo della pubblicazione lo rende ancora invisibile (nessuna traduzione su wikipedia italiano, tanto per dire): si rimanda quindi alle biblioteche del polo romagnolo che come sempre dimostrano una grande attenzione. Saltando a decenni più vicini, l'attenzione alla natura conosce una rinnovata stagione nella seconda metà degli anni Sessanta: la Land Art è la corrente artistica statunitense che meglio ha espresso questa attenzione al territorio naturale, rovesciando i termini dell'antropocentrismo che per secoli ha colonizzato la storia dell'arte occidentale. Sarebbero numerose le opere da citare per la capacità di coinvolgere lo spettatore rimettendo al centro della progettazione la relazione fra natura e azione umana. Oltre a Walter De Maria, Robert Smithson, Richard Long, Michael Heizer e Dennis Oppenheim, molti sarebbero i nomi coinvolti, alcuni dei quali non contemplati nello storico film Land Art di Gerry Schum (1969), il gallerista che ha coniato il termine dando per primo visibilità ad un linguaggio che per le caratteristiche di estemporaneità, irraggiungibilità o durata effimera rischiava di essere escluso dalla memoria collettiva. A parte alcune opere di Richard Long create appositamente per gli spazi delle gallerie d'arte, è quasi impossibile vedere questi progetti, la cui visibilità è stata affidata fin dall'origine a fotografie, videoregistrazioni, film, a tutto ciò che poteva documentare e al tempo stesso essere destinato al mercato dell'arte. Come immagine guida è difficile liberarsi dalla bellezza del Lightning Field di Walter De Maria, realizzato fra il 1973 e il 1979 in New Mexico: l'installazione, composta da 400 steli di acciaio piantati in un'area di un miglio per un chilometro di lato nel deserto presso Albuquerque è fra le poche ancora oggi visitabili da un numero limitato di persone massimo sei al giorno - fra la primavera e l'autunno. Lo spettacolo di questa zona, già affascinante grazie al paesaggio, acutizza la percezione visiva e sonora degli spettatori, chiarendo l'importanza dell'esperienza musicale dell'artista partito inizialmente come musicista con i Velvet Underground. Rimane la difficoltà di assaporare l'opera nella sua solennità tramite le semplici fotografie o le rare immagini su Youtube – purtroppo guastate dalle voci dei visitatori o da soundtrack discutibili – che non possono restituire in nulla l'atmosfera reale. Per assistere al concerto naturale, occorrono dai 150 ai 250 dollari più il volo negli Usa e la fortuna di beccare un temporale (studiate i monsoni estivi) che concentra tutta la potenza di tuoni e fulmini in un perimetro di pochi chilometri. Credo sia un'esperienza indimenticabile. Le linee di Nazca in Perù sono quanto di più vicino alle progettazioni su vasca scala della Land Art, purtroppo ben individuabili solo grazie a vedute aeree: se per le antiche popolazioni peruviane si trattava di togliere pietre dal suolo per lasciare la traccia del disegno, in molti casi gli Earth Workers hanno operato al contrario, aggiungendo materiale – pietre, terra, legno, fogliame, minerali, sabbia – per creare esempi come la grandiosa Spiral Jetty di Robert Smithson, un lungo molo di terra a forma di spirale sul Grande Lago Salato dello Utah (1970), o la serie delle Correzione di prospettiva (1969) dell'olandese Jan Dibbets, raffiguranti geometrie sul suolo che ricostruiscono una percezione virtualmente prospettica agli occhi dello spettatore. Altri interventi di Land Art si avvicinano anche alla tecnica dei Crops Circles – i famosi "cerchi di grano", inventati e realizzati per gioco da Doug Bower e Dave Chorley alla fine degli anni '70 – in cui le forme vengono identificate nel togliere, tagliare, dar forma a materiali naturali: è questo il caso delle sagome del corpo dell'artista impresse nell'erba, nella neve o nella terra della serie Silueta di Ana Mendieta (1976-78) o dei grandi circoli di neve creati da Michael Heizer nel 1968 presso El Mirage Dry Lake in California, realizzate mediante tonnellate di materiale gettato da un camion che ripete un pattern ad alta velo-


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cità. E se nel lavoro di Mendieta la natura diventa lo sfondo in cui viene assorbito il corpo femminile mettendo in crisi il rapporto fra natura/cultura (sono gli anni della riflessione sul femminile), nel lavoro di Heizer si esplora – come in tante altre opere dei colleghi – gli intrecci fra Land Art, Arte Concettuale e Gestuale. Che questa grande stagione espressiva non sia terminata ne è testimonianza l'uscita recente (luglio 2015) del film documentario Troublemakers: The Story of Land Art, scritto e diretta da James Crump e basato su una serie di interviste ai grandi interpreti storici della corrente. Anche un giro in rete permette di verificare la freschezza di interventi più recenti fra cui quelli realizzati dal duo francese Gilles Bruni e Marc Babarit, che operano da diversi anni in Europa e nel nord America creando installazioni all'aperto mediante materiali vegetali reperiti sul luogo al fine di riattivarne il significato. Senza scopi altrettanto significativi, possiamo aggiungere anche i macrointerventi di Andres Amador (1971), un artista di San Francisco che esegue sulla spiaggia enormi pattern curvilinei nei momenti di bassa marea allo scopo dichiarato di ottenere una decorazione destinata presto al tramonto. Dalla postazione al computer oppure tramite vere e proprie In alto a sinistra: Ana Mendieta, Silueta Works in Mexico, 1973-1977. In alto a destra: Ana Mendieta, Silueta Series in Mexico, 1976. Segue: Michael Heizer, Circular Surface, Planar Displacement Drawing, 1969. Sotto: Gilles Bruni e Marc Babarit, La tonnelle, 1996, Rudkobing, Langeland, Danemark.

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perlustrazioni sono visitabili inoltre i percorsi di Land Art all'aperto in provincia di Trento, fra cui ricordiamo i percorsi di ArteNatura nei boschi della Val di Sella – dove dal 1986 sono disseminate installazioni create con sassi, foglie, muschi e tronchi, realizzate da artisti locali - e quelli similari del lago di Ledro, dell'Alpe Cimbra o del Bosco di Stenico. Se ci spostiamo poi nel sud dell'Italia, andrebbe visitato almeno una volta nella vita il Museo di Gibellina in provincia di Trapani, che per quanto caratterizzato dalla raccolta di sculture all'aperto, presenta anche l'installazione del grande Cretto di Burri, realizzato tra il 1984 e il 1989 dall'artista su un'area di 8.000 metri quadrati. Lungi dall'aver esaurito l'argomento, possiamo solo citare altri grandi protagonisti come Joseph Beuys, i cui interventi – spesso eseguiti in Italia – si situano a cavallo fra Land Art, Arte Concettuale e Arte Pubblica, o gli italiani Giuseppe Penone e Piero Gilardi, entrambi accomunati dall'esperienza iniziale di Arte Povera. Nulla pone questi due artisti a maggior distanza da Jeff Koons che nel 1992 realizzava un enorme cagnolone, oggi davanti al Museo Guggenheim di Bilbao: per quanto Puppy – questo il nome del white terrier alto 13 metri – sia eseguito solo da un'armatura che sorregge fiori e piante in continuo mutamento a seconda della stagione, il fine ultimo dell'artista statunitense è simboleggiare tanto "amore, calore e felicità", una triade di significato molto semplice rispetto agli intenti espressi dai tappeti-natura di Gilardi dove si indaga il rapporto fra natura e artificio oltre alla fragilità stessa dell'ecosistema. Proseguendo la linea di attivismo che lo aveva condotto a forme sempre più partecipative, più recentemente Gilardi ha congiunto la sua passione per l'arte, la terra e la collettività nella realizzazione a Torino del Pav-Parco d'Arte Vivente, progettato e gestito da un collettivo di persone guidate dall'artista e dall'architetto del paesaggio Gianluca Cosmacini: in questo contesto si radunano i leitmotiv della ricerca dell'artista come il rapporto fra arte e natura, l'arte relazionale e partecipativa, il bisogno di sostenere i movimenti artistici. Come a dire: – "tutto torna" – ma ciò che torna risponde talvolta al cuore e ai bisogni del contemporaneo. In colonna, dall’alto: Andres Amador, intervento di Land Art, San Francisco, costa settentrionale. Alberto Burri, Cretto, 1984-1989, Gibellina (TP). Piero Gilardi, Angurie, 1967. Piero Gilardi, Gianluca Cosmacini, Parco d’Arte Vivente (PAV), Torino. In basso a sinistra: Giuseppe Penone, Continuerà a crescere tranne che in quel punto, 1968-2003.


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[IP] ARREDAMENTI D’AUTORE

Arka

Da la purezza estetica e la confortevole funzionalità dei mobili di design Molteni&C L’abitare con stile nelle proposte dello showroom e studio di interior design di via Panfilia a Ravenna Quando la tradizione – ottant'anni di esperienza nel campo dei mobili – si incontra con l'innovazione costante – decine di brevetti ad alta tecnologia e di progetti firmati dai grandi nomi del design internazionale – il brand che intreccia entrambi all'insegna dell'eccellenza dell'arredamento è Molteni&C. Un vero e proprio sinonimo della bellezza, della funzionalità e del confort in ambiente domestico: un catalogo di oggetti d'arredo d'alto profilo estetico e tecnologico, per la qualità dei materiali e la perfezione delle finiture. Un'avanguardia nel settore dei mobili, vanto del Made in Italy in tutto il mondo. Molteni&C propone componenti e complementi per il living e la camera da letto – e con il marchio Dada per la cucina – dallo stile ricercato, oltre le mode effimere, fatti per durare nel tempo. Tutte le straordinarie opportunità marcate Molteni&C e Dada – da vedere, valutare, e scegliere per progettare gli interni di casa propria – sono disponibili da Arka, in via Panfilia a Ravenna, che ha ottenuto l'esclusiva in città della gamma dello storico gruppo industriale milanese. Così come sono disponibili il titolare dello showroom Daniele Bronzetti (decenni di esperienza nel settore degli arredi di qualità) e i suoi collaboratori, gli interior designer Massimo Cicognani e Alessandra Mazzotta, per servizi a tutto campo: approfondimenti su dettagli funzionali e convenienza dei mobili, consulenze per progetti d’interni “su misura”, assistenza – prima e dopo l’acquisto – e messa in opera degli arredi. «I mobili di design di Molteni&C e Dada – sottolinea Bronzetti – sono caratterizzati da una intramontabile purezza stilistica, ampia funzionalità e comodità d'uso. Esprimono il piacere di vivere e rilassarsi a casa propia in modo estremamente confortevole. Tutti le componenti sono garantite da un ciclo integrale di produzione che va dalla scelta dei materiali fino alla definizione stilistica del prodotto, sempre firmata da

autorevoli designer di valore internazionale. Un controllo totale dei prodotti che fa di Molteni un marchio di grande affidabilità. Si tratta di componenti modulari e singoli pezzi, sempre versatili e flessibili nell'utilizzo, dotati di innumerevoli varianti per quanto riguarda accessori, materiali e colori, che possono essere adattati negli spazi abitativi più diversi e sintonizzati a stili di vita estremamente personalizzati». Nella collezione di sistemi modulari – scaffali e contenitori – per il living sono da segnalare l’eleganza di Pass-word (design Dante Bonuccelli), le ampie potenzialità di 505 (design Nicola Gallizia), la flessibilità di Fortepiano (design Rodolfo Dordoni) ma anche singoli pezzi seriali come le librerie Graduate di Jean Nouvel, la celebre Piroscafo di Aldo Rossi e Luca Meda e la raffinata Kristal, sempre di Bonuccelli. Molto vasta la gamma di divani e sofà modulari, poltrone, sedie, tavoli e tavolini, di grande fascino e sottile eleganza, firmati da prestigiosi architetti e designer quali Nunziati, Dordoni, Laviani, Nouvel, Wettstein, Gallizia, Urquiola, MDT, Levy... Infine, per chi cerca un pezzo d’autore, ecco la serie di mobili che hanno fatto la storia del design italiano – fra comò, libreria, sedie, tavolini e poltrone – ideati dal maestro Gio Ponti.

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6 Foto 1: Villa Le Lac Paulownia Collection: Little Bird, The Bird House, The Edge, di Jaime Hayon (produzione Cassina 2015). Foto 2: Villa Le Lac Paulownia Collection: Little Bird, The Edge, di Jaime Hayon (produzione Cassina 2015). Foto 3: Villa Le Lac Paulownia Collection: Little Bird, The Bird House, di Jaime Hayon (produzione Cassina 2015). Foto 4: Salle de verdure, Villa Le Lac, Corseaux (Lago di Ginevra), progetto di Le Corbusier e Pierre Jeanneret, 1924 (www.wikiwand.com). Foto 5: Salle de verdure con la Paulownia e scorcio dell'edificio, Villa Le Lac, Corseaux (Photo 2012. © 2013 Artists Rights Society - ARS, New York/ADAGP, Paris/FLC. Photo © Richard Pare). Foto 6: ingresso dal giardino, Villa Le Lac, Corseaux (www.wikiwand.com). Foto 7: fronte sul lago, Villa Le Lac, Corseaux (foto Cemal Emden, www.architettura-italiana.com). Foto 8: fronte sulla strada, Villa Le Lac, Corseaux (www.fondationlecorbusier.fr). Foto 9: disegno prospettico dall'alto, Villa Le Lac, Corseaux (Fiftieth anniversary of Le Corbusier’s passing: “Homage to Le Corbusier” © Villa “Le Lac”). Foto 10: schizzo della Villa Le Lac (www.villalelac.ch, Fondation Le Corbusier).


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Storia di un albero e di un architetto Il design come strumento poetico e di memoria: l’albero di Paulownia di Le Corbusier a Villa Le Lac di Sabina Ghinassi

Il design, un po’ come l’arte, ha il privilegio di essere intuitivo e, oltre ad essere green, negli ultimi tempi è diventato funzionale, ripensa se stesso, progetta il suo ciclo di vita e racconta storie e relazioni. Relazioni dinamiche con lo spazio, con il tempo e con le persone, ma anche relazioni poetiche: si è fatto emozionale e sociale insieme. Questo a volte può avere a che fare con il lusso, ma, ultimamente, ha a che fare soprattutto con altre componenti. I consumatori sono diventati più esigenti e, nello stesso tempo, hanno mediamente meno accesso alle risorse economiche. Quindi un prodotto, soprattutto se costoso, deve essere di qualità. Deve essere evocativo, raccontare una memoria o aprire a un immaginario diverso e inedito, adattandosi alla personalità, ai diversi passaggi della vita. Sia esso cibo, sia esso indumento, sia esso oggetto di design destinato ad abitare la nostra casa. La dimensione estetica ed emotiva dei progetti ci deve riflettere nella nostra unicità e la logica del consumo fast non è più adeguata. Si tratta di una sorta di Ritorno all’Ordine, dove l’ordine è una conservazione dinamica e innovativa tra passato e presente, che cerca di costruire un futuro essenziale, felice e sostenibile. Un futuro che nasce partendo dalla storia. Si cerca la Storia, la nostra Storia e quella degli altri, le nostre costellazioni affettive, anche e soprattutto nel design. La collezione di oggetti Villa Le Lac Paulownia di Jaime Hayon per Cassina è un esempio di queste storie. Un piccolo uccellino con il legno di un’albero di Paulownia ha la funzione di tenere nel becco e nella fessura sul dorso le lettere; The Bird House, la casetta dell’uccellino, è invece il contenitore per appoggiare piccoli oggetti come cellulari, monete, schede e tessere ed è dotato di un gancio a cui appendere le chiavi; The Edge, l’altalena, è un ripiano da fissare alla parete tramite due corde in cuoio naturale. Villa Le Lac Paulownia è una collezione a tiratura limitata di 100 esem-

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DESIGN & LIFESTYLE

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Tatiana Mambelli Cell. 348 2338612 Studio Interni - C.so G. Garibaldi, 189 - Forlì info@studiointerni.eu

Studio Interni di Tatiana Mambelli

plari per ognuno dei pezzi ed è dedicata alla petit maison di Corseaux sulle rive del lago di Ginevra, primo esempio di architettura moderna disegnata da Le Corbusier e da suo cugino Pierre Jeanneret. Nella piccola casa sul lago andarono ad abitare i genitori dell’architetto. Il padre per un solo anno e la madre sino al 1960. Nei sessantaquattro metri quadri di Ville Le Lac, completata nel 1924, si trovano già espresse le linee guida del programma di Le Corbusier. Si tratta di un luogo mitico per gli architetti di tutto il mondo: una casa progettata a partire dal paesaggio, dolcemente adagiata in riva al grande lago svizzero, piccola e discreta eppure grandissima perché l’esterno si irradia all’interno e, pur essendo un confortevole nido, si percepisce un grande respiro, la libertà dello sguardo. Il roof garden nasconde con discrezione la casa in mezzo alla natura, proteggendola, e la grande finestra a nastro si apre sull’orizzonte di acqua e montagna. Nel giardino della villa fu piantato un albero di Paulownia tormentosa, considerato dagli architetti come un “albero sacro” perché i suoi rami lunghi dovevano creare, nelle intenzioni dell’architetto, il tetto di foglie della Salle de Verdure, lo spazio vicino all’acqua chiuso da un muro con una piccola finestra che incorniciava, come un quadro, il panorama meraviglioso sul lago. Le Corbusier scelse una Paulownia per la sua storia simbolica e perché era a crescita rapida: in Cina viene utilizzata da millenni ed è piantata in occasione della nascita di una figlia femmina. Quando la figlia si sposa, l’albero viene tagliato e con il legno si realizzano il letto nuziale e altri arredi per la casa, portati dalle ragazze come dote. È quindi un albero orientale, con una memoria forte e portatore di un’identità importante. Nel 2013 l’albero fu tagliato perché irrimediabilmente malato e Cassina, venuto a conoscenza di questo episodio dall’ECAL - University of Art and Design Lausanne, si impegnò a ripiantare un nuovo albero per la Salle de Verdure, riutilizzando il legno della Paulownia storica per un nuovo progetto di design che mantenesse una relazione con l’albero stesso. Nonostante i numerosi tentativi di piantare un discendente tramite talee dell’albero originario, nessuno è riuscito a sopravvivere durante la primavera piovosa del 2013, e i semi raccolti dai suoi frutti e seminati a diverse latitudini a Corseaux (Svizzera), Parigi, Boulogne-surMer (il nord della Francia), Roquebrune Cap Martin (il sud della Francia) e Bruxelles (Belgio), non sono cresciuti. Nel novembre del 2013, un nuovo albero Paulownia è stato piantato a Ville Le Lac come segno di continuità dell’eredità di Le Corbusier e della sua architettura. Tuttavia nella primavera del 2014, è stato scoperto un germoglio che cresceva dal muro della terrazza della villa, molto probabilmente grazie a un seme spinto dal vento o portato da un uccellino, come quello pensato da Jaime Hayon. Questo piccolo erede della Paulownia di Le Corbusier è stato trapiantato a Bourse aux Arbres, nella periferia di Losanna, dove ha raggiunto più di 50 centimetri di altezza. In occasione del 50° anniversario della collezione LC, Cassina ha quindi affidato al designer Jaime Hayon l’incarico di rendere omaggio al grande maestro creando una serie di accessori inevitabilmente in edizione limitata poiché realizzati con il legno di questo unico albero di Paulownia. «Ho pensato a chi avrebbe più sentito la mancanza di questa bellissima Paulownia sulle rive del Lago di Ginevra. Ho pensato agli uccelli che cantano con il sottofondo delle foglie che si muovono con il vento, a una piccola casa per quegli uccelli, e ai bambini che ridono felicemente mentre oscillano dai rami. Ho lasciato che quest’intuizione mi

Foto 11: disegno al tratto del fronte sul lago, Villa Le Lac (www.poppybevan.com). Foto 12: Pauwlonia tormentosa, fiori e frutti. Foto 13: la rimozione della Paulownia ammalorata, Villa Le Lac, 2013. Foto 14: Pauwlonia tormentosa, esemplare adulto (foto Jaean-Pol Grandmont, creative commons, Wikipedia). Foto 15: Pauwlonia tormentosa, esemplare adulto in fioritura.


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guidasse nel realizzare tre oggetti che parlano il linguaggio poetico dell’albero, evocandone una nuova vita», ha raccontato Jaime Hayon a proposito del progetto. Una curiosità: la Paulownia è uno degli alberi più sostenibili del mondo. Una piantagione di 4 acri assorbe 13 tonnellate di CO2 ogni anno, il suo legno è una biomassa straordinaria e le sue foglie si possono utilizzare come foraggio. È inoltre un albero adatto per la prevenzione dell’erosione del suolo perché sviluppa in breve tempo un profondo apparato radicale; è indicato per la bonifica dei siti inquinati dai metalli pesanti e cresce velocemente, sviluppando una bellissima chioma e grandi fiori a calice, profumati e melliferi; il suo legno è elastico e allo stesso tempo molto resistente, ottimo per le tavole da surf e gli skateboard. In Cina, oltre che per le doti delle giovani spose, era il legno con cui si costruivano gli strumenti musicali e i giocattoli. Un po’ come il Little Bird di Jaime Hayon, insomma, un gioco utile che ricorda il canto degli uccelli tra i rami dell’albero di un grande architetto sognatore.

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«Il locale è nato per caso», racconta Daniele. «Con Danilo avevamo questo spazio rurale pieno di trattori. Volevamo fare un coffee shop a Ravenna, ma alla fine abbiamo deciso di farlo nella campagna di Russi»


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M11 tra Scandinavian dinner, “tex-mex” e Django-Django Torna la rubrica dell’«Architettoste», vale a dire l’architetto ristoratore. Questa è la volta di Daniele Vertemati e Danilo Pavone, un brianzolo e un barese piacevolmente persi nella campagna di Russi di Paolo Bolzani

Riprendendo il filone del viaggio e della ricerca sul territorio avviato con la casa di questo mese, oggi ci perdiamo nella “ubertosa” campagna di Russi. All’inizio il girovagare non sembra condurre in alcun luogo, ma poi si ferma al civico 11 di via Madrara, davanti ad una casa colonica di fine Ottocento. In realtà qualcosa di familiare si si scorge in lontananza. A nord sono le sagome dello Zuccherificio Eridania, ormai archeologia industriale, e, spostato più a ovest, del Gran Palazzo tardo seicentesco dei Rasponi a San Giacomo, ac-

«M11 – riprende Daniele – corrisponde ad un fare moderno. Essere alla mano, ma amare i dettagli. Lasciare l’idea del ristorante per abbandonarsi a quella del club. Per questo motivo non abbiamo messo un’insegna sulla strada».

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canto al Lamone. Dall’esterno il locale è sostanzialmente invisibile, se non fosse per il piazzale adibito a parcheggio posto accanto alla casa, sul fianco opposto a quello in cui viene fronteggiata da un vecchio corpo di servizio, da cui viene separata per mezzo di un giardino, ricavato al posto della vecchia aia contadina. Nel corpo di servizio si riconoscono tre fasi costruttive, progressivamente realizzate procedendo verso sud, in quanto il primo ambiente si trova prossimo alla strada. Quella originale è costituita da due ambienti, un tempo utilizzati in sequenza come stalla e deposito di attrezzi agricoli. Segue una fase successiva, attuata negli anni Sessanta con la costruzione di un corpo adibito a fienile. Infine ecco il quarto ambiente, una luminosa veranda ulteriormente collocata verso sud nel 2015, che si affaccia su un giardino vegliato a est da un grande pioppio bianco, che in russiano e ravennate si chiama “albaraz”. In questa successione di quattro ambienti si articola «M11 Restaurant&Shop», ideato e gestito dagli architetti quarantenni Daniele Vertemati e Danilo Pavone. Il primo nasce in Brianza e si laurea al Politecnico di Milano. A Bologna si incontra con Danilo, che è di Bari e si è laureato a Venezia. «Il locale è nato per caso», racconta Daniele. «Con Danilo avevamo questo spazio rurale pieno di trattori. Volevamo fare un coffee shop a Ravenna, ma alla fine abbiamo deciso di farlo nella campagna di Russi». Il recupero delle parti più vecchie risale al 2013, momento in cui si ricava la zona tecnica, costituita dalla sequenza cucina, preparazione pasti, dispensa e gli spazi per i bagni, aggregati ad una prima sala, omaggiata dalla lunga installazione Clouds di Ronan & Erwan Bouroullec, felicemente montata su un muro sismico in blocchi a vista fronteggiato da muri in mattoni, mentre la sequenza di tavolini è illuminata dalle bolle in vetro soffiato a mano di Bocci serie 14, provenienti dal solaio tradizionale in travi, listelli e pianelle. Passeggiando sul parquet in listellini industriali di teak, opportunamente proposto da Giovanni Baldini di Tavar, si raggiungono i bagni, nel cui pavimento

Passeggiando sul parquet in listellini industriali di teak, opportunamente proposto da Giovanni Baldini di Tavar, si raggiungono i bagni, nel cui pavimento si dispiegano le ceramiche di “14oraitaliana”, in particolare la serie «i Gattopardi» che allude chiaramente al ricordo del Novecento siciliano, mentre i lavabi sono di MOAB 80 con vassoio in acciao su lungo piano in legno.

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LOCALI DI DESIGN

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La vasta sala al piano inferiore si apre verso il giardino a prato con una piacevole movimentazione delle falde. «L’idea proviene dal genius loci – spiega Danilo – in particolare dalla rilettura delle falde della casa ottocentesca. Per la struttura ho messo a frutto l’esperienza lavorativa maturata nell’ambito del progetto di carpenterie metalliche, disegnando una struttura in acciaio e vetro che si vede solo quando si è entrati. Quindi non è mai di impatto, è molto luminoso e silenzioso. Nel pomeriggio poi si smaterializza e non se ne percepisce più il volume perché è invaso dal sole».

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LOCALI DI DESIGN

si dispiegano le ceramiche di “14oraitaliana”, in particolare la serie «iGattopardi» che allude chiaramente al ricordo del Novecento siciliano, mentre i lavabi sono di MOAB 80 con vassoio in acciao su lungo piano in legno. Attraversando il vecchio fienile, che mantiene intatto il solaio in travi Varese e tavelloni opportunamente tinti di grigio, infine entriamo nella nuova grande veranda, che in realtà si rivela un volume a doppia altezza, con quello superiore destinato a shop per prodotti di cucina e pezzi di design, ma concepito come luogo più riservato, «come un club», da cui lo sguardo spazia fino allo skyline delle colline di Faenza, a rassicurare il nostro sguardo sul senso del limite della grande pianura. La vasta sala al piano inferiore si apre verso il giardino a prato con una bella pedana esterna in listoni di teak ugualmente forniti da Tavar e una piace-

vole movimentazione delle falde. «L’idea proviene dal genius loci – spiega Danilo – in particolare dalla rilettura delle falde della casa ottocentesca. Per la struttura ho messo a frutto l’esperienza lavorativa maturata nell’ambito del progetto di carpenterie metalliche, disegnando una struttura in acciaio e vetro che si vede solo quando si è entrati. Quindi non è mai di impatto, è molto luminoso e silenzioso. Nel pomeriggio poi si smaterializza e non se ne percepisce più il volume perché è invaso dal sole». Mentre osserviamo da vicino i bulloni cromati in evidenza sui profili metallici tinti di un grigio scuro con una vena calda testa di moro, una commensale si entusiasma alla vista delle orchidee Vanda appese ai pilastri. «M11 – riprende Daniele – corrisponde ad un fare moderno. Essere alla mano, ma amare i dettagli – come i bicchieri e piatti in ceramica di Nicola Fasano di Grottaglie o i tessuti di Vanda Catucci, ma anche i tavoli in ferro naturale – lasciare l’idea del ristorante per abbandonarsi a quella del club. Per questo motivo non abbiamo messo un’insegna sulla strada». Mentre stiamo uscendo abbiamo il tempo per cogliere meglio all’ingresso l’idea dei divisori in lamiera forata per delimitare la zona ufficio, la grande parete traslucida in vetro retinato per proteggere la cucina, il riuso di un grande tavolo da lavoro per falegname da distretto industriale brianzolo come piano per l’accoglienza o il congedo dei commensali “soci”, tra Scandinavian dinner e “tex-mex”, stile Django Unchained. Le fotografie del servizio sono pubblicate per gentile concessione di Cristina Bagnara, eccetto alcuni scatti realizzati dall’autore dell’articolo Paolo Bolzani.


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L I B R E R I A

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CITTÀ E SOCIETÀ

Pensieri sparsi sulla schiuma del mondo

Rifugiati e diritto di asilo di Marina Mannucci

È noto che dall’agosto 2015 decine di uomini di origine pakistana sono giunte a Ravenna per avviare la procedura di legge per il riconoscimento della protezione internazionale presso la locale Questura. In attesa della valutazione delle loro domande da parte della Commissione Territoriale queste persone sono state aiutate dapprima da una rete di volontariato e di cittadinanza attiva e dal 23 dicembre hanno potuto usufruire di otto container riscaldati con quaranta brandine e un box con docce e bagni nei pressi dell’associazione di protezione civile Mistral, in via Romea Nord a Ravenna. Annoiata da un chiacchiericcio fastidioso che troppo spesso ignora conoscenze minime di storia, di geografia, di giurisprudenza e di semantica, in questa mia ricerca ho cercato di raccogliere un po’ d’informazioni per tentare di approfondire, se pur in modo parziale la questione.

Norme In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione che recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». In relazione alla particolare condizione, può essere riconosciuto al cittadino straniero che ne faccia richiesta lo status di rifugiato o può essere accordata la misura di tutela di protezione sussidiaria. La differente tutela attiene a una serie di parametri oggettivi e soggettivi, che si riferiscono alla storia personale dei richiedenti, alle ragioni delle richieste e al paese di provenienza. Nello specifico, il rifugiato è un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di es-


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sere perseguitato per motivi di etnia, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Può trattarsi anche di un apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni e non può o non vuole farvi ritorno. È invece ammissibile alla protezione sussidiaria il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. Sono esclusi dalla protezione gli stranieri già assistiti da un organo o da un’agenzia delle Nazioni Unite, diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Lo status di rifugiato e le forme di protezione sussidiaria sono riconosciute all’esito dell’istruttoria effettuata dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Le norme che disciplinano l’asilo sono regolate a livello comunitario dal cosiddetto Regolamento Dublino II, per il quale lo straniero può richiedere la protezione internazionale nello Stato di primo ingresso che, pertanto, diviene competente a esaminare la domanda. Oltre alle misure di protezione internazionale, in forza dell’art. 5 comma 6 del D. Lgs 286/1998, richiamato dall’art. 32, comma terzo, D. Lgs 251/2007, è prevista la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari quando ricorrano «seri motivi, in particolare di carattere

umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». Si tratta di una clausola di salvaguardia mirata a riconoscere tutela anche a situazioni non rientranti in obblighi specifici. Fra i seri motivi-suscettibili di ampia interpretazione- possono rientrare sia situazioni soggettive, come i bisogni di protezione a causa di particolari condizioni di vulnerabilità quali motivi di salute o di età, sia situazioni relative al Paese di provenienza, come grave instabilità politica, episodi di violenza o insufficiente rispetto dei diritti umani, carestie, disastri naturali, ambientali o situazioni similari. La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche quando vi sia comunque un concreto pericolo di essere sottoposti a torture, pene e trattamenti inumani o degradanti, in caso di rientro nel Paese di origine.

Cenni storici Uno sguardo alla storia del Pakistan può essere d’aiuto a comprendere cosa sta succedendo in questo paese, di cui poco ci viene riportato dagli “organi d’informazione”. Stato dell’Asia meridionale, il Pakistan è costituito nel 1947 a seguito della dissoluzione del dominio britannico nel subcontinente indiano. Le ragioni che portano alla sua nascita hanno radici remote. Prima della conquista britannica nel XIX secolo, l’India era stata a lungo dominata da potenti dinastie musulmane le quali avevano consolidato nel Paese una forte componente islamica, in rapporti conflittuali con la maggioranza induista della popolazione. Il contrasto tra le due comunità proseguì durante la dominazione britannica e segnò gli anni della lotta di liberazione; al momento dell’indipendenza, in un quadro di gravi violenze, nacquero due nuovi Stati, l’Unione Indiana, a maggioranza indù, e il Pakistan, a maggioranza musulmana. Questo comprendeva il

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Moschea di Abbasi (Cholistan), Bahawalpur (Punjab), Pakistan

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CITTÀ E SOCIETÀ

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Sind, il Punjab occidentale, il Belucistan, la provincia della Frontiera del Nord-Ovest e il Bengala orientale, che divenne il Pakistan orientale, separato dal Pakistan occidentale da oltre 1500 km di territorio indiano. Il Pakistan divenne nel 1956 una Repubblica islamica, sebbene schierata con il blocco occidentale. Nel 1948, Muhammad Ali Jinnah aveva dichiarato l’urdu lingua ufficiale del Pakistan, scatenando gravi disordini nel Bengala, di lingua bengali; la tensione fra Pakistan occidentale e orientale crebbe fino a scatenare, nel 1971, una guerra civile, in seguito alla quale il Bengala orientale si distaccò, dando vita al Bangladesh. La crisi politica che seguì portò al potere Zulfiqar Ali Bhutto, che dette il via a un programma nucleare, imprimendo alla politica interna una svolta nel senso del socialismo di Stato. Bhutto cedette infine all’ascesa dei partiti religiosi, che condusse al potere (1977) il generale Muhammad Ziaul-Haq, in un colpo di Stato che islamizzò il Pakistan e impose la legge marziale, abolendo le riforme socialiste e riconducendo il Paese nel blocco antisovietico. Nel 1988 Zia-ul-Haq morì in un incidente aereo. Fece seguito un decennio di governi retti da Benazir Bhutto e da Nawaz Sharif, che dovettero far fronte alle conseguenze dell’invasione sovietica in Afghanistan, che spostò in Pakistan grandi masse di profughi adepti di una forma estrema di riformismo sunnita: i taliban. Nel 1999 un nuovo colpo di Stato portò al potere il capo dell’esercito, Pervez Musharraf, il quale rafforzò i legami con gli USA, pur continuando il confronto militare e nucleare con l’Unione Indiana, in particolare per il controllo del Kashmir. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, il Pakistan è stato spinto dagli USA a interrompere l’assistenza ai taliban afghani, sostenuti fin dalla loro presa del potere (1996) dai servizi segreti pakistani, per diventare nel 2004 uno dei principali partner degli Stati Uniti al di fuori della NATO. Le elezioni del 2008 hanno condotto all’abbandono del potere da parte di Musharraf e alla vittoria di Asif Ali Zardari, capo del Partito popolare del Pakistan (PPP) dopo l’assassinio politico di


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Benazir Bhutto, che era sua moglie. Nonostante la progressiva distensione dei rapporti con l’India, nel 2011, dopo l’assassinio del governatore del Punjab da parte di fondamentalisti islamici, il paese fu scosso da una nuova ondata di violenze a carattere religioso. Nel maggio dello stesso anno, in seguito all’operazione militare americana che portò alla morte di Osama Bin Laden, i rapporti tra Stati Uniti e Pakistan subirono un sensibile inasprimento (cfr. «Pakistan», s.v., in www.treccani.it). La grande maggioranza dei pachistani, circa il 95%, è di religione musulmana, con minoranze induiste e cristiane. La popolazione musulmana risulta divisa tra la componente sunnita (circa il 75% dei musulmani) e quella sciita, divisione che genera numerose tensioni e violenze. Il gruppo etnico più numeroso è costituito dai punjabi, circa il 45%, seguiti dai pashtun (15%), dai sindhi (14%) e da altre minoranze come i sariaki e i beluci. Anche a causa di tale ripartizione, l’urdu, lingua ufficiale del paese assieme all’inglese, è parlata solo dall’8% della popolazione, mentre la lingua punjabi, riconosciuta ma non ufficiale, è parlata da quasi metà della popolazione. L’area punjabi risulta anche quella con la maggiore densità di popolazione, con una distribuzione molto variata: si passa dai circa 19 abitanti per chilometro quadrato nel Belucistan ai più di 350 nel Punjab. Dal 2008, sono trentaquattro i giornalisti uccisi in Pakistan; dall’insediamento del governo di Nawaz Sharif, nel giugno 2013, gli omicidi di reporter sono stati otto, di cui sei nel 2014. In alcune zone del paese, soprattutto quelle rurali e di frontiera con l’Afghanistan, alle istituzioni statali si sovrappongono sistemi legislativi e consuetudinari basati su tradizioni locali e sulla religione, il che rende tali aree quasi indipendenti da Islamabad. In particolar modo le cosiddette aree tribali di amministrazione federale (Federally Administered Tribal Areas, Fata), a maggioranza pashtun, sono governate da funzionari non eletti, afferenti al sistema tribale locale, che vengono nominati dal presidente, senza l’intermediazione dei partiti politici. Allo stesso modo nel Khyber Pakhtunkhwa, nota in passato

come provincia della frontiera del Nord-Ovest (North-West Frontier Province, Nwfp), ha destato preoccupazione il fatto che, nel distretto di Swat, il governo di Islamabad abbia raggiunto un accordo con i gruppi islamisti locali legati ai talebani per permettere l’applicazione della legge islamica (sharia) in quell’area. Il recente attentato al parco giochi di Lahore è un ulteriore tentativo da parte di un nuovo gruppo fondamentalista islamico di affermarsi tra le tante fazioni attive in Pakistan. Il sistema legale tribale vigente in alcuni distretti limita molto anche l’uguaglianza di genere, nonostante a livello istituzionale sia garantita dal numero fisso di seggi (60) destinati alle donne in parlamento. In alcune aree vi sono ancora tribunali religiosi e negli ultimi anni si sono verificati casi di lapidazione per adulterio. Secondo l’ordinamento giuridico dello stato, la blasfemia è considerata un reato punibile con la morte. Il governo di Pechino ha investito molto nell’area del Belucistan e nel porto di Gwadar, nel sud del paese, individuando quest’area come possibile terminal per le proprie importazioni petrolifere; e, oltre al porto, sta costruendo per un totale di circa 15 miliardi di dollari. La Cina è il secondo partner per le importazioni pachistane, dopo gli Emirati Arabi Uniti (Uae) e prima di Kuwait e Arabia Saudita, dai quali il Pakistan compra petrolio. Pechino è il secondo partner di Islamabad anche per quanto concerne le esportazioni, preceduta dagli Usa e seguita dall’Afghanistan.

Foto a sinistra: immagine ormai ricorrente quella degli emigranti in cerca di un futuro migliore. A destra: la mappa etnica del Pakistan.

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CITTÀ E SOCIETÀ

La semantica del rifugiato

Attualità

Il vocabolario che usiamo è decisivo: solo con le parole giuste possiamo capire il significato della presente fuga in massa di popoli. Fuga da che? Da chi? Rispondendo a queste domande siamo in grado di individuare le responsabilità primarie dell’esodo cui stiamo assistendo. Come scrive Barbara Spinelli, la distorsione della realtà comincia con la stessa parola “migranti”, quindi con il sintagma “questione migranti”. Sono pochissimi però gli organi deputati all’informazione che usano il vocabolo appropriato “rifugiati” o “persone in fuga”, l’unico che corrisponde alla stragrande maggioranza degli arrivi.

Riporto di seguito stralci di una sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Trieste, nella quale il 2 febbraio 2015 si provvedeva ad accogliere l’appello lanciato da un cittadino pakistano riconoscendogli lo status di protezione sussidiaria. Nella sentenza di causa civile contro il Ministero dell’Interno per il provvedimento adottato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e per sentire, accertare e dichiarare il proprio diritto alla protezione sussidiaria o, in subordine, a quella umanitaria vengono riportate queste motivazioni: «Osserva il Collegio che l’impugnazione proposta debba essere accolta con conseguente riforma dell’Ordinanza impugnata e debba essere concessa protezione sussidiaria. La Corte ha acquisito informazioni sul Pakistan e in particolare sulla città di Gujrat mediante la Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo presso il Ministero dell’Interno; ulteriori informazioni sono state assunte attraverso i siti reuters.it, ansa.it nonché attraverso il rapporto annuale sui diritti umani in Pakistan fornito da Amnesty International, tra i cui punti critici rilevano la forte discriminazione delle minoranze religiose, la mancanza della libertà d’espressione, l’abuso nell’utilizzo della pena di morte, le sparizioni forzate... la Corte ha quindi deciso che: le dichiarazioni del richiedente possono essere dunque considerate credibili e coerenti, trovando riscontro nella situazione del Paese e nella documentazione prodotta. Alla luce di ciò, la motivazione di diniego adoperata dalla Commissione e l’Ordinanza di rigetto

Sopra: Benazir Bhutto col Manifesto per le elezioni del 2008. A sinistra: Hanna Arendt, courtesy of the Hannah Arendt Private Archive.


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della richiesta di protezione richiesta non appaiono condivisibili, perché il richiedente risulta attendibile. Le condizioni del Paese d’origine invero appaiono idonee ad integrare i presupposti di cui all’art. 14 lett. c) del D. lgs. n. 251/2007, tenuto conto dell’escalation di violenza generalizzata quale emerge dalle informazioni assunte. Dal Rapporto EASO sul Pakistan aggiornato all’agosto 2015 (https//easo.europa.eu/latest-news/easo-issues-country-oforigin-information-report-on-pakistan-country-overviev) si ricava infatti che nel 2014, in Punjab, vi sono stati 41 attacchi terroristici e che il numero delle vittime è cresciuto in modo significativo, così come il numero degli incidenti violenti (che include anche il numero degli incidenti per natura religiosa, etnica, politica e le violenze comuni) e delle persone scomparse. Dal rapporto Country Information and Guidance, Pakistan, del luglio 2014 (http//www.refworld.org/country) risulta che a prescindere dai motivi di rischio individuale legati a motivi politici e religiosi, tutti i cittadini pakistani, inclusi gli studenti e coloro che non seguono rigidamente la legge della sharia, sono soggetti alla violenza dei gruppi armati. La situazione di criticità esistente in Pakistan è confermata anche dal Rapporto di Amnesty International del 2013, secondo cui “Le minoranze religiose sono state vittime di persecuzioni e attacchi, con uccisioni mirate da parte di gruppi armati, le forze armate e i gruppi armati hanno continuato a perpetrare violazioni nelle zone tribali, tra cui sparizioni forzate, rapimenti, tortura e uccisioni illegali… Le forze di sicurezza hanno continuato ad agire nell’impunità e sono state accusate di diffuse violazioni dei diritti umani, tra cui arresti arbitrari, sparizioni forzate, tortura, decessi in custodia ed esecuzioni extragiudiziali… Da più parti sono state denunziate centinaia di uccisioni illegali, tra cui esecuzioni extragiudiziali e decessi in custodia…I talebani pakistani, Lashkar e Jhangvi, l’esercito di liberazione del Belucistan e altri gruppi armati hanno preso di mira le forze di sicurezza e i civili, compresi membri di minoranze religiose, operatori umanitari, attivisti e giornalisti… Hanno compiuto attacchi indiscriminati utilizzando ordigni esplosivi rudimentali e attacchi dinamitardi suicidi…”. Pertanto, considerata la situazione del paese d’origine e la corposità dei riscontri, in riforma dell’impugnata Ordinanza, all’appellante deve essere concessa la protezione sussidiaria, valutando la Corte che sussistono, nel suo Paese d’origine, fondati elementi che inducono a ritenere la presenza di una situazione di potenziale rischio per l’attuale incolumità dei cittadini, stante il perdurare ed il diffondersi di un clima di generale violenza indiscriminata e di scontro tra i gruppi armati di varie correnti religiose, in un contesto di assoluta carenza delle condizioni minime di sicurezza».

Riflessioni finali sulle derive dell’ortopedia sociale «Privati dei diritti umani garantiti alla cittadinanza, si trovarono ad essere senza alcun diritto, schiuma della terra». È questa la tesi, posta in Le origini del Totalitarismo a premessa del capitolo sul Tramonto degli Stati nazionali e la fine dei diritti umani, di Hannah Arendt. Prendendo spunto da un articolo del 1943 sempre della Arendt, dal titolo We Refugees, il filosofo Giorgio Agamben così interviene: «La Arendt rovescia la condizione di rifugiato e di senza patria che si trovava a vivere, per proporla come paradigma di una nuova coscienza storica. Il rifugiato che ha perduto ogni diritto e cessa, però, di volersi assimilare a ogni costo a una nuova identità nazionale, per contemplare lucidamente la sua condizione, riceve,

in cambio di una sicura impopolarità, un vantaggio inestimabile». Questo vantaggio caratterizzerebbe una nuova coscienza storica, ed è così descritto dalla Arendt: «I rifugiati cacciati di paese in paese rappresentano l’avanguardia dei loro popoli». Secondo Agamben il rifugiato è «nuda vita». Tutto ciò certificherebbe la crisi irreversibile dello Stato-nazione e l’inadeguatezza dell’impalcatura ideologica dei diritti dell’uomo come riportato sempre dalla Arendt: «La concezione dei diritti dell’uomo basata sull’esistenza supposta di un essere umano come tale, cadde in rovina non appena coloro che la professavano si trovarono di fronte per la prima volta uomini che avevano veramente perduto ogni altra qualità e relazione specifica – tranne il puro fatto di essere umani». Lo Stato-nazione, che si regge sul concetto di cittadinanza formulato nella Dichiarazione del 1789, non sarebbe quindi in grado di far fronte a questa nuova realtà, poiché secondo Agamben: «lo statuto di rifugiato è stato sempre considerato, anche nel migliore dei casi, come una condizione provvisoria, che deve condurre o alla naturalizzazione o al rimpatrio. Uno statuto stabile dell’uomo in sé è inconcepibile nel diritto dello Stato-nazione». Di qui le logiche conclusioni: «Se il rifugiato rappresenta, nell’ordinamento dello Stato-nazione, un elemento così inquietante, è innanzitutto perché, spezzando l’identità fra uomo e cittadino, fra natività e nazionalità, esso mette in crisi la finzione originaria della sovranità». Il rifugiato diviene così la figura centrale della nostra storia politica.

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ABITARE L’HABITAT

Antichi borghi, evoluzione del concetto di “recupero” La valorizzazione di un bene culturale attribuisce riconoscimento della sua importanza nel sistema di valori di una comunità di Marco Turchetti * Il fascino dei luoghi si accompagna al loro destino e spesso a un sentimento di abbandono. Esiste cioè una bellezza particolare nella polvere che il tempo disperde nei luoghi e una seduzione singolare nei brandelli delle cose che non servono più. L’abbandono livella i destini, i ruderi sono simili nel colore, negli spacchi, nelle infestazioni della natura. I muri, sono pieni di tutte le vite di chi ci ha preceduto, delle lacerazioni delle guerre, della furia della natura. L’abbandono riduce le dissomiglianze sociali, economiche, geografiche e persino quelle religiose. Le sontuose ville di campagna, ad esempio, oggi somigliano a quelle dimesse abitazioni dei contadini. Tutte sono segnate da crepe e coperte di edera. Anche la più nobile dimora non è diversa dall’umile chiesa campestre. Entrambe sono prive di orpelli e hanno assunto il colore della terra. Bisogna sentire l’urgenza di guardare le cose inutili e vecchie cui dare significati nuovi. Gli antichi borghi abbandonati, benché esprimano una poetica

stramba e malinconica, non sono privi di una gioia speciale, quasi tattile. E’ importante toccare la superfice delle case, la loro pelle ferita e sentire in che modo resistono al tempo. In questi luoghi, se la fine è venuta è anch’essa passata: non sono morte perché anche la morte da qui se ne è andata. I ruderi stanno lì, imperfetti e pericolanti, come un canto alla durata. I nostri ruderi sono lo spaccato di un paese franante e crudele, nel quale, figure decise e disperate, lottano per curare le ferite di un mondo di vinti. La storia dei paesaggi italiani coincide con quella delle sue stratificazioni e del modificarsi continuo tramite aggiunte e sottrazioni di manufatti. Fin dall'antichità gli uomini si sono sempre appropriati delle costruzioni delle generazioni precedenti modificandole secondo i propri bisogni. Oggi la consapevolezza della necessità di ridurre i consumi energetici e di costruire in modo sostenibile è diventato un imprescindibile criterio progettuale, che ha portato a riscoprire e a rendere attuali antiche modalità di progettazione, in grado di utilizzare l'esistente come risorsa preziosa. In altra parte di questa rivista l’articolo di Paolo Bolzani tratta di un bell’esempio di recupero di un borgo aabbandonato, abbiamo ritenuto importante cogliere questa occasione e unire con un filo rosso la sua


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presentazione a qualche riflessione più specifica e trattare l'approccio bioclimatico e sostenibile al recupero del patrimonio edilizio esistente, in particolare a quello dei centri storici minori, e dell’edilizia rurale, anche in funzione di un sempre maggiore sviluppo del turismo che va alla ricerca di esperienze all'insegna di una sostenibilità globale. Lo scopo è dimostrare come le esigenze del turismo, della valorizzazione e del recupero possano interagire efficacemente. Il recupero edilizio permette di risparmiare l'uso del suolo per nuova edificazione, con tutti i vantaggi ambientali che questo può comportare assieme al risparmio energetico messo in atto con un recupero eco-efficiente. La valorizzazione di un bene, anche attraverso un adatto, studiato e calibrato cambio di destinazione d'uso, permette di innescare circoli virtuosi che possono giovare all'economia e alla socialità di un intero territorio. Il crescente mercato del turismo sostenibile, può essere la spinta propulsiva per recuperare edifici e paesaggi del nostro paese, evitando il fenomeno dell'abbandono e conservandone la memoria storica. Da sempre l'uomo ha ripensato il patrimonio edilizio e urbano ereditato dai propri predecessori, bisognoso di soddisfare le mutate esigenze della società, ma anche consapevole della scarsità delle risorse, nei secoli si sono riadattati ai più diversi usi gli edifici nati con funzioni diverse, mutandone spesso la forma oltre che il significato. Le trasformazioni attuali tendono a tenere in considerazione la compatibilità delle nuove funzioni con la conservazione della testimonianza storica del manufatto, anche per il patrimonio minore riconosciuto sia nel valore economico sia in quello storico. Gli aspetti da affrontare, nella realtà di oggi, sono di due tipi: la rifunzionalizzazione-valorizzazione dei fabbricati e il loro recupero edilizio in termini di sostenibilità e risparmio energetico. Si tratta di un intervento che mira all'individuazione di una destinazione d'uso compatibile con le forme, il luogo e i materiali, che renda l'intera operazione sostenibile anche dal punto di vista economico e al consolidamento-recupero della materia. Il recupero del patrimonio esistente riguarda non solo il loro aspetto tecnologico, funzionale e normativo, ma anche al mantenimento dei loro caratteri storici. Anche se spesso non si tratta di edifici vincolati, l'approccio dovrebbe puntare agli obiettivi propri del recupero degli edifici tutelati, in particolare mantenere le informazioni contenute nelle sue forme e nelle sue componenti, conservarne l'integrità e assicurare la protezione dei suoi valori culturali. Date queste premesse diventa imprescindibile un progetto di conoscenza, i cui scopi sono in particolare di capire le cause che hanno portato al degrado le strutture materiali e reperire le informazioni sui metodi costruttivi locali dell'epoca, per poter in seguito elaborare una risposta ottimale nel progetto di restauro e recupero. In relazione ai diversi obiettivi dovranno essere elaborati diversi livelli di conoscenza da elaborare e restituire criticamente. Sinteticamente si può affermare che il progetto di conoscenza in un recupero si articola in due grandi parti: l'analisi del contesto e l'analisi dei manufatti. L'analisi del contesto è di importanza fondamentale per la valutazione della sua fattibilità e dalla quale spesso emergono elementi decisivi per il progetto. La conoscenza del contesto avviene attraverso il rilievo e l'analisi di tutti quei fattori ed emergenze che sono tipici del territorio. Tra gli aspetti da indagare vi è sicuramente l'accessibilità, in funzione dell'uso che si prevede dell'edificio. L'analisi dell'evoluzione territoriale e urbanistica dell'abitato tramite carte storiche e delle tecniche costruttive tramite manuali sull'edilizia storica. Lo studio dei vari piani vigenti, delle norme locali, di eventuali vincoli, ma anche lo studio delle caratteristiche del lotto, distanze dai confini e da facciate esistenti. Lo studio poi potrà approfondirsi fino ad analizzare ai vari livelli le funzioni primarie insediate o di progetto, nonché la presenza di servizi e di attività commerciali. La conoscenza dell'edificio ha come obiettivo l'individuazione dei metodi di intervento più adeguati per risanare i degradi e delle soluzioni tecniche per le parti nuove e per un'adeguata impiantistica. Da quanto sopra si comprende come non possa esistere una griglia di operazioni univoca per gli interventi di recupero, ma per tutte le varie voci deve essere definita una soglia minima di conoscenza in relazione agli scopi che si vogliono perseguire, sia a livello urbano-territoriale per esempio un cambio d'uso da abitazione ad albergo diffuso, sia a livello edilizio come un adeguamento normativo, una manutenzione straordinaria, un risanamento energetico, una trasformazione integrale.

Nella pagina a sinsitra: i ruderi della parrocchiale di San Lorenzo a Filetto. L’abbandono riduce le dissomiglianze sociali, economiche, geografiche e persino quelle religiose, bisogna sentire l’urgenza di guardare le cose inutili e vecchie cui dare significati nuovi. In questa pagina, dall’alto: Lozzole, piccolo borgo sul giogo montano spartiacque tra le vallate dei fiumi Senio e Lamone. Parzialmente recuperato grazie all’infaticabile Don Antonio Samorì, partendo proprio dalla chiesa di San Bartolomeo e la sua canonica, i lavori sono poi proseguiti con il recupero del vecchio circolo. Casolari abbandonati nelle nostre campagne. Vuoti e tristi, dove gli alberi ormai la fanno da padroni, ricordano acquerelli che andrebbero dipinti. Costruzioni accessorie come le capanne di canna, spesso associate a casolari e piccoli borghi. Rappresentano il tentativo di salvaguardare, non solo le modalità abitative che caratterizzavano un tempo il territorio, ma soprattutto le tecniche e le conoscenze costruttive alla base della loro edificazione.

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ABITARE L’HABITAT

Nell’ormai ventennale riscoperta dell’interesse al recupero dei borghi antichi vi sono alcuni esempi di grande livello e fascino, Paolo Bolzani ne ha ben descritto uno proprio nelle nostre vicinanze, ma forse l’intervento più famoso, e sicuramente uno dei meglio riusciti, in questo senso è quello di Santo Stefano di Sessanio in provincia dell’Aquila. Qui un giovane imprenditore di origini svedesi, Daniele Kihlgren, ha acquistato alcuni anni fa, molti edifici del centro storico, li ha ristrutturati con criteri rigorosi e assolutamente eco-compatibili con il tessuto storico-architettonico e ne ha fatto un albergo diffuso, il Sextantio. Grazie a questo intervento non solo il borgo è diventato una meta di turismo colto e responsabile ma è anche considerato esempio di sviluppo sostenibile. Vale sicuramente la pena di informarsi sui criteri che hanno guidato questo progetto che è diventato anche un caso di studio. Si tratta in ogni caso di individuare progetti che richiamino un’attenzione diversa da quella del popolo delle seconde case, progetti ben diversi da quello di una rivitalizzazione stagionale. I borghi dismessi possono diventare un tassello di una nuova economia. Insomma forse si sta sempre più facendo strada l’esigenza di un nuovo modo di vivere all’insegna del “piccolo è bello” oltre che prezioso. * [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com

In alto e a fianco: Santo Stefano di Sessanio in provincia dell’Aquila. Daniele Kihlgren ha acquistato molti edifici del centro storico, li ha ristrutturati con criteri rigorosi e assolutamente eco-compatibili con il tessuto storico-architettonico e ne ha fatto un albergo diffuso: il “Sextantio”. Non solo il borgo è diventato una meta di turismo colto e responsabile, ma è anche considerato esempio di sviluppo sostenibile.


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ORDINE ARCHITETTI RAVENNA

Con la collaborazione di Con il patrocinio di

Comune di Ravenna

Comune di Faenza

Comune di Cervia

Comune di Forlì

Comune di Cesena

ciclo di conferenze 2016 Otto incontri/confronti fra protagonisti esperti ed emergenti della progettazione contemporanea con tavola rotonda Andrea Dal Fiume Imola

Giovedì 17 MARZO Salone Nobile

Palazzo Rasponi RAVENNA

De Gayardon Bureau Cesena

Mauro Crepaldi

Giovedì 21 APRILE Show Room

Mide Architetti

Copparo (FE)

Oggetti d’Autore

Venezia

FORLÌ

Rossi&Tarabella

Giovedì 19 MAGGIO Show Room

Milano

Studio T

Bologna

RAVENNA

Zamboni Associati Architettura Reggio Emilia

Ciclostile Architettura

Giovedì 16 GIUGNO Padiglione delle Feste

Cavejastudio

Terme di Castrocaro

Forlì

CASTROCARO (FO)

Nicola Marzot

Giovedì 14 LUGLIO Cantina

Alvise Raimondi

Bologna

La Pandolfa

Cesena

PREDAPPIO (FO)

Diverserighestudio

Giovedì 15 SETTEMBRE Sala Conferenze

Bologna

Magazzini del Sale CERVIA (RA)

Alberto Giorgio Cassani Ravenna

Massimo Iosa Ghini Bologna

Giovedì 13 OTTOBRE Ridotto

Teatro Bonci CESENA Giovedì 17 NOVEMBRE Sala Conferenze

Pinacoteca Comunale FAENZA

ore 20 Apertura, registrazione crediti formativi ore 20.30 Spazio imprese ore 20.40 Architetti emergenti ore 21.20 Architetti esperti ore 22.15 Tavola rotonda ore 23 Brindisi e saluto conviviale

InOut Architettura Ferrara

Francesco Di Gregorio Parma

ETB Tessari/Bandiera Treviso Info Reclam tel. 0544 408312 redazione@trovacasa.ra.it - www.reclam.ra.it

Comitato scientifico Gianluca Bonini, Giovanni Mecozzi, Filippo Pambianco Organizzazione, promozione, documentazione Reclam edizioni e comunicazione srl – Casa Premium rivista dell’abitare Aziende sostenitrici

Aziende partner

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MERCATO IMMOBILIARE

Sgravi e incentivi sulla casa nella Legge di Stabilità 2016 Quali effetti sulle compravendite? Il commento delle associazioni di categoria degli intermediatori Fimaa e Fiaip di Roberta Bezzi

Diverse le novità – fra sgravi e incentivi – riguardanti il "pianeta casa" contenute nella Finanziaria 2016, ossia nella legge di stabilità approvata definitivamente dal Senato lo scorso dicembre. Novità che rafforzano la convinzione che il settore immobiliare stia faticosamente riguadagnando quella centralità che merita, per le famiglie che coinvolge, per gli oltre sei miliari di euro che rappresentano il patrimonio immobiliare italiano (4,3 volte il Pil) fatto, non solo di mattoni, ma anche di cultura dell’abitare, di saperi millenari, di arte famosa nel mondo e del sacrificio di generazioni che hanno saputo volgere lo sguardo al futuro.

«Da segnalare – afferma il presidente Fiaip Romagna, Pier Paolo Baccarini – la riduzione della base imponibile Imu, in luogo dell’esenzione totale, sugli immobili concessi in comodato, la detrazione Iva per l’acquisto di immobili nelle classi energetiche A o B e l’introduzione del leasing immobiliare. Si tratta di provvedimenti che ci inducono a sperare in un approccio finalmente più organico e sistemico adottato dalla politica nei confronti del settore immobiliare». Dello stesso avviso è il sindacato immobiliare Fimaa. «La politica – afferma il presidente provinciale Pierluigi Fabbri – ha adottato misure che vanno incontro alla ripresa del mercato immobiliare. Ovviamente speriamo che sia solo il primo passo, a cui ne faranno seguito altri. Tra le novità vi è, per esempio, la possibilità di de-


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trarre il 50 per cento dell’Iva per chi acquista un’unità immobiliare residenziale da impresa costruttrice entro il prossimo 31 dicembre. Un incentivo interessante nel caso di seconda casa al mare o acquisto a scopo investimento. Ai soggetti che invece acquistano la prima casa, la legge di stabilità 2016 consente di usufruire di benefici anche se la casa che si detiene come prima casa non è stata ancora ceduta. Fino all’anno scorso chi voleva cambiare la prima casa, doveva per forza prima venderla e poi riacquistare. Da ora invece c’è un anno di tempo dalla data di acquisto di quella che diventerà la nuova prima casa, per vendere quella che si lascia. Un’ottima cosa in un momento in cui i tempi di vendita si sono così tanto allungati». Fimaa rileva anche il bonus per immobili da locare. «La misura risale in realtà al 2014 – spiega Fabbri –, e prevedeva una deduzione del 20 per cento sulle spese di acquisto/costruzione di immobili destinati a locazione a canone concordato, frutto di accordi fra associazioni di proprietari e associazioni di inquilini. Ma l’Agenzia delle Entrate ha specificato che c’è un limite di spesa di 300 mila euro e che la deduzione degli interessi passivi spetta per tutta la durata del mutuo, purché non superiore a predetta cifra». Senza contare che, a livello fiscale, le unità immobiliari locate a canone concordato possono avere una riduzione del 25 per cento dell’Imu e della Tasi. Sono state prorogate anche al 2016 le detrazioni Irpef per interventi di ristrutturazione edilizia e per incremento di prestazioni energetiche. In particolare, sono fissate al 50 per cento quelle per i lavori di recupero del patrimonio edilizio e al 65 per cento quelle per la riqualificazione energetica, compreso l’acquisto, installazione e posa in opera di meccanismi multimediali per

il controllo del riscaldamento, dell’acqua calda e della climatizzazione estiva. Tra le misure della manovra, Fiaip ricorda anche: l’esenzione Imu sui terreni agricoli; l’esenzione Tasi per la prima casa (a eccezione delle categorie A/1, A/8, A/9); il blocco della possibilità di deliberare aumento dei tributi e delle addizionali regionali e comunali; la possibilità per le giovani coppie – che hanno acquistato un immobile da adibire ad abitazione principale – di usufruire di una detrazione fiscale del 50 per cento per le spese sostenute per l’acquisto di mobili nel 2016 fino a 8 mila euro. Fiaip guarda inoltre con grande attenzione e curiosità al leasing immobiliare (o “locazione finanziaria di immobile”), che contribuisce a dare un certo dinamismo al settore. «Con il leasing immobiliare – precisa Baccarini –, banche o intermediari finanziari si obbligano ad acquistare o far costruire l’immobile da adibire ad abitazione principale, su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, il quale ne assume tutti i rischi. L’immobile viene messo a disposizione per un determinato tempo e dietro un corrispettivo che considera il prezzo di acquisto o di costruzione e la durata del contratto: alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito». Dal punto di vista fiscale sono previste detrazioni dei canoni e dei relativi oneri accessori per un importo non superiore a 8 mila euro, e del costo di acquisto nei casi di opzione finale, per un importo non superiore a 20 mila: detti limiti valgono nel caso in cui il beneficiario sia un soggetto di età inferiore a 35 anni con un reddito complessivo non superiore a 55 mila euro all’atto della stipula del contratto di leasing e non titolari di diritti di proprietà su immobili

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MERCATO IMMOBILIARE

a destinazione abitativa. Se il soggetto utilizzatore ha più di 35 anni, la detrazione è riconosciuta ma per importi dimezzati rispetto a quelli sopra indicati. «La parola chiave è "personalizzazione" – conclude il presidente Fiaip -. Benché estremamente complessa e poco organica, la nostra burocrazia lascia la possibilità di ricercare la soluzione più adatta alle varie esigenze della clientela, anche in base agli sgravi e incentivi del momento. Senza volere né potere privilegiare una categoria di consumatori rispetto ad un’altra, va rilevato come una rinnovata attenzione alle giovani coppie, alla riqualificazione ener-

getica e alla ristrutturazione degli edifici siano scelte che lasciano intendere una prudente progettualità, un accenno di visione, la voglia di cominciare a definire un mondo possibile e sostenibile». Un giudizio positivo viene anche da Fimaa. «Si prospettano buone opportunità per chi vuole acquistare – conclude il presidente provinciale Fabbri -. Anzitutto perché i prezzi sono relativamente bassi se paragonati agli anni pre-crisi. Poi in quanto c’è tutta una serie di benefici e detrazioni che rende appetibile, per esempio, comprare un appartamento vecchio ma di generose dimensioni per ristrutturarlo con il proprio gusto personale».

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