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n. 110 NOVEMBRE-DICEMBRE 2016
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contenuti
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casa bella casa
La villa dalle consonanze spaziali a Errano di Faenza “firmata” da Alessandro Bucci Architetti _____________________________________________________
I fiumi domati: La straordinaria eredità del Cardinale Giulio Alberoni _____________________________________________________ di Pietro Barberini
storia e territorio
grand tour
La città fatale. Gabriele D’Annunzio, Corrado Ricci e Ravenna (1901 e 1902). Prima parte _______________________________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani
città e quartieri
Passeggiando per Faenza, la citta con l’arte nelle mani, la bellezza nel cuore ______________________________________________________ di Chiara Bissi
urbanistica e territorio
architetture e documenti
arte e urbanistica
Da Biagetti a Ravenna, un tributo al genio di Vico Magistretti __________________________________________ di Paolo Bolzani
Sistema Ceramica: libera e non esaustiva flânerie tra arte e artisti, design, pubblico e privato _______________________________________________________ di Sabina Ghinassi
architetture e documenti
spazi della cultura
abitare l’habitat
Il piano urbanistico associato del territorio faentino che vale un premio di qualità ___________________________________________ di Domenico Mollura
L’estetica delle rotatorie stradali, fra effimeri abbellimenti e slanci artistici identitari ___________________________________________________ di Serena Simoni
arte e artigianato
Nervi, un grande progettista a confronto con gli spazi dello sport _______________________________________________ di Domenico Mollura
Cercando il luogo degli Dei: intervista a Mariella Busi De Logu ______________________________________________________ di Marina Mannucci
Lanciare il cuore e la mente oltre le catastrofi ___________________________________________________________ di Marco Turchetti
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di Paolo Bolzani
Snoopy Casa 2 . Studio Effe 14 . Idea Casa 15 . Mazzini . Mondo Casa 16 . Romagna 17 . Happy Home . Scor 22 . Futura 23 . Gesticasa . Russi Casa 24 . Quatarca . Case d’Autore 25 . Ossani 32 . Edilmax 77 .
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[IP] COOPERAZIONE EDILIZIA
Snoopy Casa in festa per i 40 anni di attività Snoopy Casa, costituita nel 1976 come cooperativa edilizia del Comprensorio di Ravenna, vanta un’attività di ben quarant’ anni. Un traguardo importante, festeggiato a Faenza lo scorso 15 ottobre, in occasione dell’inaugurazione dell’ultimo intervento di edilizia residenziale sociale. All’incontro, presenziato dal presidente della Cooperativa, Giovanni Dallara, hanno partecipato il senatore Stefano Collina, il consigliere regionale Manuela Rontini, e gli assessori del Comune di Faenza Domizio Piroddi e Claudia Gatta. Presenti anche il presidente di Confcooperative Ravenna Carlo Dalmonte e il direttore Andrea Pazzi. «In un momento così difficile e delicato del settore edilizio – ha commentato il presidente Giovanni Dallara – giungere al traguardo dei 40 anni di attività, rappresenta per Snoopy Casa un motivo di orgoglio e soddisfazione. Il lavoro e le scelte effettuate, hanno permesso a Snoopy Casa di crescere e sviluppare sempre nuove iniziative, raggiungendo l’obiettivo che da sempre si pone come fondamento: fornire risposte adeguate alle richieste ed alle esigenze dei propri soci che vogliono costruirsi la propria casa ideale». Il presidente di Confcooperative Ravenna Carlo Dalmonte, ha sottolineato come, oltre all’impegno messo in campo nella direzione di Snoopy Casa, l’importanza del ruolo svolto dal presidente Giovanni Dallara, all’interno di Confcooperative Ravenna, movimento a cui è associata Snoopy casa, come consigliere e partecipante ai direttivi, nonchè vice presidente vicario di Federabitazione Emilia Romagna e consigliere nazionale, abbia permesso a Snoopy Casa di costruire importanti sinergie con altre realtà del movimento cooperativo. Il focus dell’attività di Snoopy Casa negli ultimi vent’anni è stato maggiormente indirizzato verso coloro che hanno avuto necessità di un alloggio in affitto a canone agevolato. Snoopy Casa, nonostante le molteplici difficoltà, tra cui il reperimento di aree a basso costo, l’ottenimento di finanziamenti agevolati per l’edilizia sociale e finanziamneti da parte degli istituti di credito poco propensi a concedere mutui alle società che operano nel settore casa, ha continuato a svolgere la propria attività. Ad oggi, conta oltre 1.300 soci e ha realizzato in tutta la provincia 82 interventi e 885 alloggi, di cui 155 finalizzati alla locazione a canone agevolato. Solo negli ultimi quattro mesi sono stati consegnati a Faenza due edifici, realizzati in parte con fondi regionali del bando ERS 2010, per un totale di 30 unità immobiliari: l’intervento di Via Boschi, composto da composto da 14 alloggi di cui 11 destinati alla locazione a termine con canoni agevolati, consegnato lo scorso mese di luglio, e l’intervento di via Cimabue, inaugurato in occasione del quarantennale e composto da 16 unità delle quali 12 destinate alla locazione permanente e 4 assegnati in proprietà. Snoopy Casa da sempre ha realizzato la progettazione delle proprie iniziative in collaborazione con altre Società aderenti a Confcooperative, in particolare con Unioncasa (attualmente incorporata in Snoopy Casa) e oggi, grazie alla presenza all’interno della cooperativa dell’architetto Valentina Gatti, prosegue nella progettazione e direzione lavori degli interventi in modo autonomo, al fine di concretizzare, già al momento della progettazione, le esigenze che emergono dalla base sociale. L’attività di progetta-
zione architettonica e direzione lavori è svolta in Snoopy Casa con preparazione, studio e passione per l’architettura ed il territorio in cui le nuove realizzazioni e i recuperi edilizi compiuti dalla cooperativa si collocano. Punto basilare di Snoopy Casa è trovare il giusto connubio tra tre fondamentali fattori: qualità, estetica, e la giusta economia delle opere realizzate. Fondamentale nella realizzazione dei nostri interventi è l’utilizzo delle più moderne tecnologie volte al maggior risparimio energetico, che ci hanno permesso ad esempio nell’intevento di Via Cimabue di ottenere unità immobiliari classificate oltre la classe A1. Snoopy Casa ha sempre considerato che la migliore risposta per i propri soci potesse essere concretizzata con un pacchetto di servizi che comprendono oltre la realizzazione degli alloggi anche la gestione post consegna (gestione condominiale e post assegnazione degli appartamenti).
Giovanni Dallara esprime le proprie preoccupazioni per il futuro. Lo stanziamneto di risorse pubbliche per il settore casa, e in particolare per l’edilizia sociale dopo il 2010, non consentono a Snoopy Casa e alle altre cooperative di continuare a svolgere il proprio impegno sociale. Va sempre tenuto in debita considerazione, che “la casa” è una necessità. La rigenerazione urbana e il recupero sono sicuramente obbiettivi che Snoopy casa dovrà perseguire in futuro, auspicando che la nuova legge regionale ma anche quella nazionale possano contenere importanti norme che consentano l’effettiva attuazione di questi programmi come ad esempio: • Azzeramento degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per i recuperi e le opere di rigenerazione urbana • Detrazione fiscale anche per le cooperative che realizzano interventi di recupero da assegnare ai propri soci. • Azzeramento dell’Imposta Comunale sulla casa per un congruo periodo. Snoopy Casa vuole promuovere fra i cittadini l’interesse verso la rigenerazione urbana e il recupero edilizio. La cooperativa potrà essere un punto di riferimento per la realizzazione delle iniziative volte alla rigenerazione urbana e al recupero edilizio. Questo modo di agire incentiverebbe l’ammodernamento delle infrastrutture e dei servizi urbani, il risparmio energetico, e la messa in sicurezza degli edifici dal punto di vista sismico, tema più che mai attuale in questo momento.
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edizione di Ravenna
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Controcopertina
Ecco “Casa S”, ideata da Alessandro Bucci Architetti, villa insediata ad Errano, nell’ampio ed “ubertoso” fondovalle del Lamone tra Faenza e Brisighella. Purezza geometrica e tinte chiare dialogano fra esterno e interno, dove la semplicità di forme e finiture si contrappone alla complessità del concetto spaziale che risulta il vero protagonista del progetto.
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Federica Cavani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Sabina Ghinassi, Marina Mannucci, Domenico Mollura, Cetty Muscolino, Guido Sani, Serena Simoni, Marco Turchetti.
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Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Restyling grafico: Gianluca Achilli Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Pietro Barberini, Paolo Genovesi, Barbara Gnisci, Maurizio Montanari, Fabrizio Zani (e altre citazioni in pagina). Redazione: tel. 0544.271068 - redazione@trovacasa.ra.it
Editore:
Edizioni e Comunicazione srl
viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it
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CASA BELLA CASA
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Vista della villa dalla strada
Soppalco con rampa a scendere verso lo spazio living
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La villa delle consonanze
spaziali Ad Errano, Val Lamone, l’ultima prova di Alessandro Bucci Architetti Complice l’ultima edizione di “Studi aperti di architettura”, oggi illustriamo la “Casa S”, una villa realizzata ad Errano, nell’ampio fondovalle del Lamone tra Faenza e Brisighella
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Spazio living a doppia altezza, con studiolo nel soppalco
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CASA BELLA CASA «Sul fronte – spiega Bucci - la scelta del colore scuro per gli sfondati dei balconi, in contrasto con il colore bianco dei prospetti, serve a rimarcare la pura geometria dell’involucro. Purezza geometrica e tinte chiare si ripropongono anche internamente, dove la semplicità di forme e finiture si contrappone alla complessità del concetto spaziale che risulta il protagonista del progetto»
di Paolo Bolzani
Viale Leon Battista Alberti, 99 - Ravenna Tel. 0544 402527 E-mail: info@progettarti.it
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Si è recentemente tenuta a Faenza una nuova edizione di “Studi aperti di architettura”, manifestazione curata da Bianca Maria Canepa e Luigi Cicognani per il Gruppo Architetti del Comprensorio Faentino. Tra gli studi professionali che sabato 15 e domenica 16 ottobre hanno deciso di incrementare l’offerta culturale della “Città dell’Astorre”, aprendo al pubblico le sale dove giornalmente si lavora, c’era anche Alessandro Bucci Architetti , sito in pieno centro, che insieme a Piergiorgio Gualdrini ospitava l’artista Luca Loreti. Nel pomeriggio di sabato era inoltre possibile visitare alcune architetture, aperte per l’occasione. Per quanto riguarda Bucci ciò riguardava l’opportunità di entrare nella bella serie di case di via Majorana, realizzate nel 2009. Se invece ci si fosse recati a trovarlo in studio, sarebbe stata un’ulteriore occasione per entrare in contatto con un tratto tipicamente aristocratico di Faenza, costituito dai suoi palazzi neoclassici. E quindi, visitando le sale con i tavoli pieni di foto, disegni, plastici e computer accessi, ancora una volta ci saremmo meravigliati nel sollevare lo sguardo verso le volte per ammirarne gli affreschi, alcuni dei quali eseguiti anche dallo stesso Felice Giani, per poi riposarlo sulle carte dell’ultima produzione della squadra guidata dall’architetto faentino. Architetto segnalato dalla critica di settore a livello nazionale e internazionale, è autore di molti edifici privati e pubblici, inoltre vanta la sistemazione della Sala Mostra della Cooperativa Ceramica di Imola, con il recupero di un capannone industriale e l’inserimento delle caleidoscopiche “casette” ricoperte di formelle fatte a mano, dopo aver varcato l’ingresso segnato dal rivestimento in lastre di corten. Oggi presentiamo una delle sue ultime opere, recentemente ultimata. Si tratta della “Casa S” – dietro la lettera si cela l’iniziale del nome del padrone di casa ma, come vedremo, può celarsi anche altro – villa realizzata ad Errano, nell’ampio ed “ubertoso” fondovalle del Lamone tra Faenza e Brisighella. La casa si trova al termine del paese, lungo il lieve pendio che
Sopra: lo spazio living con grande camino e grande vetrata sul cortile. Sotto: l’area pranzo e la cucina total white
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CASA BELLA CASA
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Lo spazio Living verso la scala
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L’ultima rampa di scale nella zona notte
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Vista della facciata rivolta al giardino
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discende dalla strada provinciale al fiume. Come si può osservare da piante e sezioni allegate, in questo modo l’ingresso dalla strada si trova collocato in una posizione leggermente più alta rispetto all’uscita nel giardino retrostante. La villa si mostra risolta con un gesto composto e lineare, giocato sul predominio della linea dell’orizzonte e sull’abbinamento di due cromie, chiara e scura. «Sul fronte – spiega Bucci – la scelta del colore scuro per gli sfondati dei balconi, in contrasto con il colore bianco dei prospetti, serve a rimarcare la pura geometria dell’involucro. Purezza geometrica e tinte chiare si ripropongono anche internamente, dove la semplicità di forme e finiture si contrappone alla complessità del concetto spaziale che risulta il protagonista del progetto». Progetto che prende spunto e gioca con la lieve differenza altimetrica del terreno, lavorando su alcuni piani reciprocamente sfalsati e collegati da rampe di scale strategicamente collocate. Quindi al piano della strada si trova l’ingresso, il garage e uno studio, compresi tra un piano interrato in cui sono collocati i servizi (cantina, lavanderia ma anche un’area fitness) e la superiore zona notte, mentre procedendo oltre si entra nel living, leggermente più basso. Perciò «i due livelli fuori terra e quello interrato che formano il fronte su strada sono affiancati da due livelli ammezzati che si aprono generosamente verso il cortile retrostante. La casa è quindi un lento percorso a salire, in cui gli ambienti si intervallano ad ogni rampa di scala». Dall’ingresso infatti si giunge ad un pianerottolo a mezza altezza nella zona living, con una rampa a salire e una a scendere; scegliendo questa ultima opzione ci si immerge in un ampio spazio a doppia altezza, imperniato su un grande camino totemico, rivestito di marmi preziosi, che si confronta con una grande vetrata aperta sull’ampio prato bordato da siepi e arbusti. La passeggiata, ovattata e ornata dai listoni in teak, prosegue fino a raggiungere la zona pranzo, celata da una grande vetrata opalescente e scorrevole, risolta con sobria eleganza da un tavolo in legno scuro, ornato da una corona di sedie Tulipano, un clas-
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«I due livelli fuori terra e quello interrato che formano il fronte su strada – afferma l’architetto Bucci – sono affiancati da due livelli ammezzati che si aprono generosamente verso il cortile retrostante. La casa è quindi un lento percorso a salire in cui gli ambienti si intervallano ad ogni rampa di scala»
> Crediti Edificio residenziale “Casa S” - Errano, Faenza e direzione lavori architettonici: • Progetto Alessandro Bucci Architetti, Via Severoli 18, Faenza tel. 0546 29237 - www.alessandrobucciarchitetti.com e direzione lavori strutturali: • Progetto Enginius Ingegneri Associati
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Particolare della facciata rivolta al giardino
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sico del design firmato Saarinen. La vista del fronte della villa rivolto al giardino consente anche di intuire un motivo ulteriore al nome “S” della casa; osservando infatti lo sviluppo della fascia bianca continua che borda per tre lati il volume della zona notte e scende verso la grande vetrata della zona living, a noi sembra apparire il segno di una grande “S”. Riprendendo le scale si ritorna al pianerottolo di ingresso e di qui si prosegue verso la zona notte, introdotta da uno studiolo, da cui si può accedere ad una prima grande camera da letto con bagno. Una seconda, altrettanto grande camera si raggiunge infine salendo per un’ultima rampa di scale, che sbarca tra la stanza stessa e un altro grande bagno. Dunque come segnalato all’inizio, il ruolo di queste rampe di scale le trasforma in elementi dalla personalità architettonica ben precisa, piacevoli alla vista e funzionali nel collegare i piani reciprocamente sfalsati, ma soprattutto nel contribuire alla declinazione del concetto spaziale per mezzo di un percorso continuo. Il confezionamento di questa elegante prova dell’abitare nella contemporaneità si dipana su un racconto intessuto dal consueto linguaggio lineare, fondato sulla ricerca di un’essenziale tendenza a “levare”. Come ha scritto Marco Biraghi nella sua Storia dell’Architettura contemporanea, «il moderno processo di riduzione dell’architettura a pochi elementi essenziali, ben lungi dal risolversi in una procedura meccanica, si traduce così in una precisa attitudine, in un’abilità vera e propria. Saper rinunciare diventa un’arte: arte della sottrazione». Coerentemente, come spiega Bucci, «lo sviluppo del tema residenziale rifiuta il modello della casa tradizionale. La complessità del volume articolato, ottenuto dall’aggregazione di elementi diversi ed omogenei, sottende sequenze di ambienti diversi, caratterizzati attraverso luce e superfici, secondo diversi gradi di intimità». Per questo motivo «la presenza dei doppi volumi e degli affacci che traguardano i livelli interni amalgamano e dilatano i confini degli spazi. Altrettanto dilatato e rarefatto appare il confine tra interno ed esterno per la presenza di grandi affacci e terrazzi verso l’esterno».
Impianti elettrici: Giuliano Rambelli Via G. Marconi 3, Faenza Coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione: Ingegnere Paolo Ruggeri Via Severoli 18, Faenza
• IMPRESE ESECUTRICI Impresa esecutrice lavori edili: Icla Costruzioni s.r.l. Viale della Resistenza 36, Massa Lombarda Impresa esecutrice impianti meccanici: Redamo Assirelli Via Fabbrerie 4, Faenza Impresa esecutrice impianti elettrici: Alpi Marco & C. s.r.l. Via Sant’Orsola 73, Faenza Impresa esecutrice serramenti: Area 51 Design Via Emilia 2356, Longiano
• OPERE IN VETRO Vetreria Landi srl - Via Porec 100, Massa lombarda
• MATERIALI Pavimento in legno: Progetto Legno S.r.l. Via Emilia Interna 157, Castel Bolognese Cappotto esterno: Röfix SpA Via delle Tecnologie 24, Fontanafredda Profilo infissi: Secco Sistemi Str. Terraglio 195, Preganziol (Profilo EBE 65, aisi 304, inox satinato) Serramenti interni: L'Invisibile By Portarredo Srl Via C. Besana 1, Argenta
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ROMAGNA CP 2015.qxp:Layout 1 16/11/16 08.34 Pagina 17
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STORIA E TERRITORIO
I fiumi domati Dalla Chiusa di San Marco al Ponte Nuovo la straordinaria ereditĂ del Cardinale Giulio Alberoni
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Il Ponte Nuovo con la sua monumentale architettura, nelle forme e misure settecentesche, assolve tuttora a importanti compiti di collegamento.
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STORIA E TERRITORIO
Testi e foto di Pietro Barberini
La Chiusa di San Marco è la grande opera idraulica che ha inaugurato le diversioni dei fiumi Ronco e Montone, permettendo a quest’ultimo di regolare il salto di quota per il notevole accorciamento del corso fluviale dovuto alla nuova inalveazione. Era necessario anche alzare il pelo dell’acqua per derivarne il canale d’alimentazione del Molino, l’opera d’arte consente altresì il passaggio in botte del canale Lama, che scola le acque tra i due fiumi. Dalla Chiusa San Marco venne scavato il nuovo alveo fino ad intercettare il fiume Ronco in località “Punta Galletti” dove avviene la confluenza fra Ronco e Montone che proseguono, uniti, in un grande cavo artificiale fino al mare. La Chiusa San Marco viene inaugurata soltanto nell’agosto del 1739, pur essendo stata progettata nel 1733, un anno prima dell’inizio dei grandi lavori; le iniziali dimensioni non avrebbero permesso un funzionamento ottimale se il Cardinale Alberoni, animato da grande determinazione, non avesse incaricato Gianantonio Zane di rivederne la larghezza e l’intero schema costruttivo. Il tecnico Zane era di Fusignano e misurava sul campo le sue notevoli capacità progettuali, interloquendo anche in dialetto con le maestranze, confrontandosi e verificando continuamente che i lavori fossero eseguiti a regola d’arte. Per questo suo atteggiamento, aveva ricevuto la fiducia del Cardinale Alberoni che non prevaricava i tecnici ma voleva essere costantemente aggiornato: Zane non mancava mai di coinvolgere il Legato nelle variazioni allo stato dei lavori. I progettisti Eustachio Manfredi e Bernardino Zendrini erano presi da mille cose: il primo era in precarie condizioni di salute e in età avanzata, pur tuttavia si dimostrava disponibile alla collaborazione con lo stesso Gianantonio Zane ed era sempre accondiscendente alle richieste del committente. Il veneziano Zendrini era un tecnico affermato, che “firmava” molti progetti, ma era di uno stato estero e scarsamente disponibile a rivedere le sue posizioni, se non dietro laute revisioni del suo compenso. A valle della grande opera idraulica, chiamata Chiusa San Marco, fu scavato l’alveo rettilineo del nuovo Montone fino ad incontrare il Ronco. Per indirizzarlo verso l’incile venne disegnata una “curva” realizzata artificialmente. Le grandiose opere idrauliche comportarono ingenti escavazioni e l’innalzamento di sponde con l’elevazione del terreno in quest’area, come può vedersi dalla disposizione degli argini destro e sinistro di entrambi i corsi d’acqua. Nel suo notevole saggio Giulio
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Alberoni e le acque di Ravenna (edizioni Il Girasole, Ravenna, 2004) Paolo Fabbri scrive così: «Il Ronco fu in effetti il primo dei due fiumi ad essere immesso nel nuovo alveo e questo a cagione del fatto che le opere idrauliche attorno ad esso erano state più semplici e soprattutto non era stato necessario costruire lungo il corso una chiusa, come per il Montone, essendo l’accorciamento del suo corso molto più breve. L’immissione era avvenuta il 14 dicembre 1738, di domenica, così che più gente potesse partecipare alla cerimonia di rimozione dell’intestatura. Appena due giorni dopo la Gazzetta di Ravenna pubblicava un entusiasta e dettagliato resoconto dell’evento. “Si vide un numerosissimo concorso di nobiltà e popolo di ogni grado al luogo della confluenza del nuovo alveo, dove erasi retto un altare con l’immagine miracolosissima della nostra Beata Vergine del Sudore”...». La “Punta” fu da allora chiamata “Galletti” o più comunemente “Galletta”, dal cognome della famiglia ravennate dei Galletti Abbiosi i cui terreni erano nei pressi. Per oltrepassare il fiume Montone, fu necessario, ultimati i lavori idraulici, costruire il ponte della “Ravegnana”, ma i fondi residui non consentirono di creare un’opera in muratura. Venne così completato un manufatto in legno, con il piano in tavole, che al passaggio dei carri risuonavano rumorosamente: da allora è chiamato comunemente dai ravennati “Ponte Assi”. La Punta Galletti è un “triangolo” di terreno disegnato dalla storia, frutto di una vicissitudine travagliata che aveva ritardato per anni l’allontanamento dei fiumi dalla città di Ravenna. Fu grazie alla fer-
mezza di un uomo di grande forza e determinazione, capace di sorvegliare personalmente l’andamento dei lavori, che i fiumi furono ”domati”! Il Cardinale percorreva il nuovo argine dei Fiumi Uniti fino alla via “Romana”, dove sarebbe sorto il Ponte Nuovo, divenuto poi simbolo monumentale di quei lavori. Il grande manufatto è stato costruito sull’alveo dei “Fiumi Uniti”, la cui ampia sezione di flusso necessitava di un’importante opera d’arte per dimensioni e robustezza. Il progetto iniziale in legno, pur di costo contenuto, fu accantonato per le difficoltà costruttive e gli eccessivi oneri derivanti dalle opere di manutenzione. Venne così approvato un nuovo progetto dello stesso tecnico Gianantonio Zane che prevedeva l’utilizzo di laterizi e mattoni, recuperati abbattendo parte dei torrioni e delle mura della Rocca Brancaleone, «... avanzo inutile dell’antichità» (come scrive Bellardi, biografo di Giulio Alberoni). Il ponte, a 7 arcate, due delle quali costruite nel riporto arginale per dare maggiore stabilità al manufatto, fu ultimato nel dicembre 1736. Trascorsero 17 mesi dall’avvio dei lavori che si svolgevano a ritmi incalzanti e con turni nelle ore notturne, utilizzando torce e il favore dei pleniluni! Nel novembre del 1944 il ponte fu abbattuto dai tedeschi in ritirata e riedificato l’anno successivo utilizzando gran parte dei materiali recuperati nell’alveo. A guidare la ricostruzione furono i progetti settecenteschi custoditi nell’Archivio Storico Comunale, presso la Biblioteca Classense di Ravenna. Nel fervente clima dell’Italia liberata bastarono pochi mesi alle maestranze della C.M.C. di Ravenna e ai tanti muratori volontari per far tornare all’antico splendore il grande ponte, vero monumento alle diversioni alberoniane.
> Punta Galletti Lo spazio all’interno di Punta Galletti è stato regalato da faticose lotte per ordinare le acque e si presenta attorniato dalla tipica vegetazione di ripa e da folti canneti, dove si alzano diverse querce: alcune farnie (quercus robur), un aristocratico cerro (quercus cerrus) e un sempreverde leccio (quercus ilex). Passeggiando in questo giardino che è “chiuso” dagli argini storici dei fiumi che uniscono le loro acque appenniniche, non si avrà percezione dello scorrere del tempo: non si vedono gli edifici della città che dai tempi di Giulio Alberoni si è estesa fin quasi a toccare i Fiumi Uniti e non si sentono rumori provenire dal vicino ponte, che da tanti anni ormai non ha più... le assi!
A sinistra, dall’alto: La Chiusa di San Marco. La Chiusa è il centro nevralgico della bonificazione permettendo alle acque del Montone di far smaltire, con questo “salto”, la quota ben più alta di quella del Ronco. Ponte Nuovo: inquadrata nell’arco del ponte, la moderna passerella, indispensabile passaggio per ciclisti e pedoni. Ponte Nuovo ripreso da Occidente. Sopra: Il monumentale ingresso in città da Sud. Pianta del territorio di Ravenna all’inizio del Seicento. Si noti come i fiumi Montone (a Nord) e Ronco (a Sud) circondassero la città.
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Gabriele D’Annunzio nella villa La Capponcina a Settignano (FI), in abito bianco e gardenia, foto di Mario Nunes Vais.
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La «città
fatale»
Gabriele D’Annunzio, Corrado Ricci e Ravenna (1901 e 1902). Prima parte di Alberto Giorgio Cassani
I. Il primo viaggio a Ravenna (1901) Tutti conoscono il celebre verso «[…] glauca notte rutilante d’oro»,1 con cui Gabriele D’Annunzio ha “immortalato” – e un po’ “condannato” – Ravenna, «la più cara fra le città del silenzio»2 amate dal Vate. Forse assai di meno sono coloro che sanno che il poeta pescarese è stato due volte qui da noi, nel 1901 e nel 1902, sempre nel mese di maggio. Affermo questo, perché, in passato, soltanto uno studioso, Fausto Saporetti, reggente per diversi anni della Biblioteca Classense, sulle pagine della mitica rivista «Felix Ravenna»,3 ha raccontato estesamente, trascrivendole, le lettere del carteggio tra D’Annunzio e Corrado Ricci,4 riguardanti, appunto, quelle due pacifiche incursioni del poeta-bombardatore.5 Fa tuttora impressione quanto questo nostro illustre conterraneo – intendo il Ricci – sia stato al centro della scena culturale (e politica, in senso lato) dell’Italia del primo quarto del secolo scorso. Il carteggio tra i due inizia nel 1885 e termina nel 1909. Nella prima lettera, in cui il D’Annunzio si rivolge al Ricci col termine «Caro Signore», chiedendogli di collaborare alla rinascita della rivista «Cronaca Bizantina», si fa anche il nome di un comune amico – che più avanti rinomineremo – di cui quest’anno si celebra il centenario della morte: Olindo Guerrini.6 Il motivo del primo viaggio ravennate era la raccolta di “fonti” per la stesura della tragedia in versi Francesca da Rimini (o meglio “da Ravenna”, come sarebbe d’ora in poi il caso di chiamarla);7 del secondo, invece, la volontà di ascoltare, dalla bacchetta del maestro Vittorio Maria Vanzo,8 l’esecuzione all’Alighieri del Tristano e Isotta, in occasione del cinquantenario dall’inaugurazione del teatro ravennate.9 Non è il caso di sottolineare l’evidente rapporto che lega la Francesca e il Tristano. D’Annunzio non viene solo in nessuna delle due visite: lo accompagna la sua Musa di allora – ma tante altre la precedettero e ne seguiranno –, Eleonora Duse. Non sfugge alla stampa l’arrivo di tali personalità. Su «Il Ravennate Corriere di Romagna» del 24 maggio, infatti, in un trafiletto dal titolo Ospiti illustri, si legge: «Sabato scorso era Giosuè Carducci che si trovava nella nostra città accompagnato dal marchese Albicini, oggi sono Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio. Si dice che la grande attrice e l’autore del Silenzio di Ravenna10 siano alloggiati al Byron, ma essi conservano l’incognito».11 Il poeta lascia una prima, concreta traccia del suo passaggio il 23 maggio del 1901 nell’Albo dei visitatori della Tomba di Dante – Obesequientium inscripta nomina 1897-190512 –, non firmandosi col suo nome – per modestia di fronte all’«altissimo13 poeta»? – ma con uno dei suoi tanti celebri “motti”: «“Per non dormire” /14 23 maggio 1901».15 Una seconda, se dobbiamo prestar fede al Saporetti, il giorno dopo, nel “libro dei visitatori” della Biblioteca Classense, ancora una volta mascherandosi dietro uno pseudonimo: «Marco Fulgoso, Venezia».16 Se non m’inganno – le lettere del carteggio tra il D’Annuncio e il Ricci non sono tutte in sequenza cronologica, anche per mancanza, a volte, delle date (come avviene anche, del resto, per altri carteggi) – non esiste alcun
tipo di corrispondenza col Ricci durante la prima visita ravennate del Vate. Invece, in data 1° giugno 1901, il poeta scrive da Settignano, nella famosa villa La Capponcina, dove egli risiedette e visse l’idillio con la Duse tra il 1898 e il 1910, la lettera più lunga tra quelle indirizzate all’allora Direttore della Regia Pinacoteca di Brera: «Carissimo Corrado, torno da Ravenna, febricitante [sic]. Ho presa la febbre, una sera, nella pianura dove fermenta il fieno.17 Tutto l’incanto della città fatale è dunque penetrato in me. Quante volte, nelle chiese, ti ho nominato, ringraziato, benedetto! Ho passato lunghe ore nel tuo San Vitale, che tu certo riuscirai a denudare interamente perché tutta l’armonia delle sue membra meravigliose ci sia rivelata.18 Avevo meco i tuoi libri,19 il tuo spirito. Ora eccomi qua. Il chinino mi libera dalla febbre; e sto per riprendere il lavoro. La tua raccolta polentana20 è custodita religiosamente. Oso domandarti ancora qualche libro di storia ravennate. Hai qualche monografia sul periodo polentano? Hai una Storia generale della Ravenna medievale? Puoi fornirmi qualche notizia intorno a Samaritana, sorella di Francesca? Nella tua bella prosa che illustra i restauri,21 trovo questa frase: “femmine fatali, come Francesca e Samaritana.”22 Parli della sorella di Francesca o dell’altra (1353) figlia di Ostasio? Illuminami, ti prego. E forniscimi tutti i documenti che hai raccolti. Tutto quel periodo è oscuro; e la tua sapienza può risparmiarmi molta fatica di ricerche. Attendo una risposta sollecita, della quale ti sarò infinitamente grato. Mi fu mostrata a Ravenna una piccola casa veneziana con due belle finestre bifore, e mi fu detto che è tua! Oh beato! Arrivederci. Ricordami alla signora Elisa. Ti abbraccio. Il tuo Gabriele d’Annunzio».23 Nella lettera, il D’Annunzio parla di Ravenna come «città fatale» (in tutti i sensi: fors’anche per via della febbre che il fieno gli procura), delle chiese, del San Vitale, che egli cita come se fosse un “figlio” del Ricci – «tuo», lo chiama –, e di cui sottoscrive, toto corde, l’operazione di “denudamento” che il Ricci stava compiendo. Inoltre, vi è un accenno a casa Stanghellini, in via Paolo Costa, residenza, anche se in affitto, dei Ricci.24 Ma l’argomento che trova più spazio nella lettera è la richiesta di chiarimenti sul periodo polentano, dal momento che l’idea fissa del poeta è, a questa data, la sua Francesca.25 La tragedia in versi sarà infatti, di lì a qualche mese, messa in scena, come detto, al teatro Costanzi di Roma. L’urgenza è tale, per il D’Annunzio, che, il 5 giugno, il poeta sollecita il Ricci con un telegramma: «Ri-
Sotto, da sinistra: Vittorio Guaccimanni, Ritratto di Corrado Ricci, 1934, olio su avorio, cm 7 Ø, iscrizioni: firmato e datato in alto a destra «V. Guaccimanni/1934», a sinistra «CORRADO RICCI», inv. QM0206, Ravenna, Museo d’Arte della Città (foto Giorgio Liverani). Ringrazio la Conservatrice del Mar - Museo d’Arte della Città di Ravenna, Alberta Fabbri, per averne concesso la pubblicazione. Olindo Guerrini, © Touring Club Italiano, inv. FOT 2233. Francesca da Rimini. Tragedia di Gabriele d’Annunzio rappresentata in Roma nell’anno MCMI A DI IX del mese di decembre impressa in Milano per i Fratelli Treves nell’anno MCMII a di XX del mese di Marzo [Gabriel Nvncivs finxit; Adolphvs De Karolis ornavit; Ioseph Treves accvratissime impressit; A.D. MCMII]. Dedica autografa nello spazio dell’ex libris di D’Annunzio, «A Magda Gabriel».
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cevesti mia lettera? Posso sperare le notizie che ti chiesi? Ave».26 La fortuna ha voluto che la risposta del Ricci sia fra le poche lettere conservate all’Archivio del Vittoriale. Il Ricci replica con una cartolina postale, datata Fabriano, 5 giugno [1901]: «Caro D’Annunzio Ho ricevuto la tua cara lettera, più cara perché mi parli di Ravenna. Non dubitare, io lotterò nei lavori fino a vedere quei magnifici monumenti in condizioni onorevoli. Appena tornato a Milano ti scriverò più a lungo. Intanto t’avviso che la miglior storia ravennate è quella latina di Girolamo Rossi che troverai facilmente.27 Pei tempi di Dante tu già conosci il mio Ultimo rifugio. 28 Pei Polentani la cosa meglio fatta resta sempre la genealogia compilata pel Litta (Famiglie celebri ecc.) dal Passerini. 29 La Samaritana fatale è la figlia d’Ostasio che rovinò (vedi caso!) l’altra famiglia “dantesca” degli Scaligeri di Verona. [Di traverso, sul margine di sinistra:] Ma ripeto, ti scriverò più a lungo. Intanto rispondo alla tua premura. Elisa, che è con me, ti saluta come il tuo Corrado Ricci».30 Ravenna è ancora al centro di una lettera, datata – come si evince dalla
busta – 20 ottobre 1901, e spedita da Milano all’indirizzo ravennate del Ricci:31 «Carissimo Corrado, grazie della buona lettera. Vorrei venire a Ravenna subito, ma sono costretto a ripartire stasera per Firenze. Tutto il lavoro di preparazione è sopra di me;32 e i giorni fuggono. A Ravenna vidi gli affreschi giotteschi di cui mi parli.33 Ho qui le fotografie. Tu mi dicesti che avevi un piccolo pittore – costì – il quale avrebbe potuto riprodurre qualcuna di quelle figure. L’hai ancora? Potrebbe egli copiare la figura di donna dall’abito ornato d’ermellino? Non ho mai pensato a servirmi degli affreschi di Schifanoia per i costumi. La notizia è falsa. I documenti su l’epoca sono assai scarsi; ma credo di aver trovato qualche cosa di buono. La casa – che ora tu studii – è quella appartenente a una Confraternita? situata in vicinanza di Porta Sisi? Se è quella, l’ho visitata minutamente. Ma – per l’effetto scenico – ho dovuto molto arricchire la casa di Guido;34 il quale, del resto, doveva essere magnifico, se lottava contro i ricchissimi Traversari. Di molte cose ho da parlarti. Tornerò a Milano verso la fine del mese. Ti troverò? Porterò meco la rac-
Note _______________________________________________________________________________________________________________ Desidero ringraziare Claudia Giuliani, Direttrice dell’Istituzione Biblioteca Classense, Floriana Amicucci, Paola Andrini, Fausto Fiasconaro, Claudia Foschini, Barbara Gentile, Benedetto Gugliotta e Daniela Poggiali, personale dell’Istituzione, per i loro preziosi chiarimenti, nonché i distributori Luigi Dal Re e Chiara Pizzuto, per avermi facilitato nella consultazione dei tanti volumi e articoli compulsati per quest’articolo; inoltre Alessandro Tonacci e Roberta Valbusa degli Archivi del Vittoriale, per la gentilezza dimostratami nell’avermi fatto pervenire in tempi rapidissimi le scansioni del carteggio di Corrado Ricci e per alcune indispensabili indicazioni iconografiche. Infine sono molto grato alla Conservatrice del Mar - Museo d’Arte della Città di Ravenna, Alberta Fabbri, per avermi concesso a titolo gratuito la pubblicazione del ritratto del Ricci eseguito da Vittorio Guaccimanni. 1. Le città del silenzio. Ferrara, Pisa, Ravenna, in Laudi del cielo del mare della terra degli eroi, Vol. II: Libro secondo, Elettra; Libro terzo, Alcione, Delle Laudi Libro Terzo, Alcione, Delle Laudi Libro Secondo, Elettra, Milano, Fratelli Treves Editori, MCMIV [ma 1903], pp. 134-137: 136. 2. Lettera a un’attrice che riportò in scena, all’Alighieri, La fiaccola sotto il moggio. Cfr. FAUSTO SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci. (Ravenna e la preparazione della Francesca), in “Felix Ravenna”, Fascicoli 2-3, (XLVII-XLVIII), 1938, pp. 57-74: 74. 3. Vedi nota 2. L’articolo del Saporetti è stato riedito in “Annali Romagna 2015”, supplemento al n. 79 di «Libro aperto», XXXVI (XXI), pp. 189-193, con una nota biografica di Daniele Bulgarelli (ibid. p. 189). 4. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, nn. 10422-10443. Sul rapporto tra il D’Annunzio e il Ricci, si veda anche Francesca da Rimini, in Note e notizie sui testi, in GABRIELE D’ANNUNZIO, Tragedie, sogni e misteri, a cura di Annamaria Andreoli, con la collaborazione di Giorgio Zanetti, Tomo primo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2013, pp. 1177-1226: 1179-1182. Nel testo si riportano notizie dall’articolo di Saporetti, ma senza citarlo. 5. «Bombardatore temerario delle Bocche di Cattaro e […] risvegliatore notturno del Leone», come sta scritto in un riquadro a fondo rosso, con al centro la testa dorata di Minerva, sotto il dipinto di Pietro Marussig raffigurante il leone della Vittoria, nel Cenacolo del Vittoriale. 6. «Ecciti Olindo Guerrini a scrivere per me almeno una volta al
mese e a non mancare per il primo numero», Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10422, del 23 ottobre 1885. Il nome di Guerrini ritorna anche nella cartolina postale n. 10423 del 1° novembre 1885, nella lettera n. 10424 del 22 novembre 1885 e, infine, nella lettera n. 10426 del 19 gennaio 1886. 7. La tragedia in versi Francesca da Rimini, composta tra il luglio e il settembre 1901 nella villa viareggina del Secco, uscì per i tipi milanesi dei Fratelli Treves il 20 marzo 1902, in un’edizione decorata da Adolfo De Carolis. La prima rappresentazione teatrale della tragedia si tenne invece qualche mese prima, il 9 dicembre 1901 al teatro Costanzi di Roma. Fra gl’interpreti principali oltre Eleonora Duse nel ruolo di Francesca, Gustavo Salvini (Paolo Malatesta), Carlo Rosaspina (Gianciotto Malatesta), Emilia Varini (Malatestino) e Ciro Galvani (Ostasio), intermezzi musicali del maestro Antonio Scontrino, manifesti e locandine di Adolfo De Carolis. Cfr. GABRIELE D’ANNUNZIO, Lettere ai Treves, a cura di Gianni Oliva, con la collaborazione di Katia Berardi e Barbara Di Serio, Milano, Garzanti, 1999, p. 231, nota 1. Notizie gustose sulle opinioni della Duse nei confronti di Rosaspina e Galvani – «Quel povero cane di Rosaspina» e «quel stonato Galvani» – si trovano nelle lettere scritte al D’Annunzio da Boston del 30-31 ottobre 1902. Cfr. ELEONORA DUSE, GABRIELE D’ANNUNZIO, Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923, A cura di Franca Minnucci, Edizione diretta da Annamaria Andreoli, Milano, Saggi Bompiani/RCS Libri S.p.a., 2014, pp. 803-807 [lettera n. 318]. La Francesca da Rimini sarà recitata al Teatro Mariani di Ravenna il 17 e il 19 maggio del 1904, in occasione dell’Esposizione Regionale Romagnola. Cfr. “Il Ravennate Corriere di Romagna”, XLII, n. 109, Mercoledì 11 Maggio 1904, [p. 3]. 8. Vittorio Maria Vanzo (Padova, 1862-Milano, 1945), fu pianista, concertista, direttore d’orchestra, compositore e insegnante di canto. Celebre soprattutto come interprete wagneriano di cui diresse la prima italiana de La Valkiria (Teatro alla Scala, 1891), fu direttore d’orchestra del cinquantenario della stagione concertistica dell’Alighieri. Cfr. F. SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci…, cit., 57. 9. Inaugurato la sera del 15 maggio 1852 con Roberto il Diavolo del Meyerbeer, Medea del Pacini e Lucia di Lammermoor del Donizetti (cfr. Un po’ di storia, in “Il Ravennate Corriere di Romagna”, XL, n. 81, Sabato 26 Aprile 1902, [p. 2]). 10. La “poesia su Ravenna”, appartenente al trittico con Ferrara e Pisa, comparve per la prima volta nella “Nuova An-
tologia di scienze, lettere ed arti”, Quarta serie, Volume Ottantaquattresimo, Della raccolta Volume CLXVIII, Fascicolo 670, 16 novembre 1899, col titolo, appunto, de Il silenzio di Ravenna (e, ugualmente: Il silenzio di Ferrara e Il silenzio di Pisa), all’interno di Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli Eroi, pp. 193-212: 206-207. Cfr. Gabriele d’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, edizione diretta da Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, Milano, Arnoldo Mondadori, 1984, [vol.] I, Note, pp. 1098-1105: 1098. Cfr. anche LUCIA PRINCIPI, TERESA PALUMBO, Gabriele d’Annunzio, Le Città del silenzio, in http://docenti. unimc.it /laura.melosi/teaching/2015/14635/files/citta-del-silenzio. 11. “Il Ravennate Corriere di Romagna”, XXXIX, n. 118, Venerdì 24 Maggio 1901, [p. 3]. 12. Frontespizio: «Onorate l’altissimo poeta». L’albo è conservato presso l’Istituzione Biblioteca Classense. 13. Il gioco del destino li aveva invece voluti, entrambi, piccoli di statura. 14. Prima della data, il poeta ha tracciato una piccola croce con quattro raggi nei quattro quadranti, suo segno caratteristico più volte utilizzato. 15. Cfr. F. SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci…, cit., p. 67. 16. Cfr. ibid., pp. 66-67. Di tale registro, purtroppo, non c’è riscontro presso la Biblioteca. 17. C’è già, in nuce, come riconosce il Saporetti (ibid., p. 67), un verso del “sonetto di Guidarello”: «Gravida di potenze è la tua sera, / tragica d’ombre, accesa dal fermento / dei fieni, taciturna e balenante», Le città del silenzio. Ravenna, in Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi..., Delle Laudi Libro Secondo. Elettra, cit., pp. 170-172: 172. 18. Il D’Annunzio fu uno dei primi ad aderire al cosiddetto «Concordato artistico internazionale» per eliminare dalla cupola del San Vitale le pitture barocche. Cfr. F. SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci…, cit., p. 67, ma soprattutto: ANNA MARIA IANNUCCI, La lunga vicenda dei restauri in San Vitale fra cantiere e carteggio. Tre questioni particolari, in La basilica di San Vitale a Ravenna, a cura di / edited by Patrizia Angiolini Martinelli, scritti di / text by Patrizia Angiolini Martinelli et alii, fotografie di / photographs by Paolo Rubino, Modena, Franco Cosimo Panini, 1997, pp. 69-89: 80-87 e ANTONELLA RANALDI, PAOLA NOVARA, Addenda al «Concordato artistico» di Corrado Ricci, in “Ravenna studi e ricerche”, XVIII-XIX, 1/2 (2011-2012), pp. 191-196. Gli scritti del Ricci sul San Vitale sono ora raccolti
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Da sinistra, nell’ordine: Ravenna, Tomba di Dante Alighieri. Foto dell’autore. Eleonora Duse a trent’anni, Venezia, Fondazione Giorgio Cini. Eleonora Duse nei panni di Francesca nel I Atto della Francesca da Rimini tenutasi al teatro Costanzi di Roma il 9 dicembre 1901, Archivio Museo Teatrale alla Scala. Del sarcofago parla il D’Annunzio in una lettera all’artista Mariano Fortuny y Madrazo, in un primo tempo incaricato di disegnare le scenografie e i costumi, ma che vi rinunciò per l’eccessivo impegno che l’impresa avrebbe comportato: «Inoltre v’è nella prima scena un accessorio importante: ed è un’arca bizantina scoperchiata – e precisamente quella che è nel sepolcreto di Braccioforte, creduta anticamente la tomba del profeta Eliseo, nella quale fiorisce un gran rosaio di rose purpuree. È importante la collocazione di quest’arca. Possibilmente dovrebbe esser collocata non troppo lontana dalla scala e dalla chiusura marmorea che separa il giardino dalla corte coperta. Come motivo decorativo quest’arca può essere bellissima e, nella tragedia, è un motivo poetico di grande forza che corrisponde quasi al motivo del filtro nel “Tristano e Isolda”. Non ho la fotografia dell’arca così detta d’Eliseo, ma la cercherò», lettera citata in GIANNINO OMERO GALLO, Gabriele d’Annunzio nelle rivelazioni di vecchie lettere inedite, in “L’illustrazione italiana”, LII, n. 14, 6 aprile 1941, pp. 495-496: 496. Ravenna, Basilica di San Vitale, vista della cupola con gli affreschi dei pittori bolognesi Serafino Baroffi e Ubaldo Gandolfi e del pittore veneto Jacopo Guarana (1780).
colta “polentana”. Saluti devoti a Donna Elisa. Ti abbraccio. Il tuo Gabriele».35 E proprio alla preparazione del testo della tragedia fa riferimento un telegramma da Settignano del 26 ottobre 1901: «Pregoti spedirmi schizzi dei costumi perché tempo stringe».36 Un altro gruppo di lettere, invece, riguarda la messa in scena milanese della Francesca, tenutasi nelle serate del 10 e 11 marzo 190237 al Teatro Lirico. In esse, oltre a richiedere al Ricci materiali su Ravenna e a ringraziarlo per l’aiuto datogli con i suoi testi per la ricostruzione dell’ambiente polentano, nonché per i costumi di scena, si fa per tre volte cenno al dono di biglietti omaggio per le recite della Francesca: «Mio caro Corrado, potresti tu mandarmi per qualche ora quel tuo studio su Ravenna, che fu pubblicato nell’Emporio?38 Ne ho bisogno súbito, perché ho da riscontrare una notizia. Grazie infinite. Il tuo Gabriele d’Annunzio»; [sul fianco di sinistra, scritto di traverso:] «Mandami, se l’hai, anche la Guida»;39 «Carissimo Corrado, ti rimando i tuoi opuscoli, con molte gra-
zie. E ti offro un esemplare della Francesca,40 rinnovando ancora le grazie per l’aiuto che volesti darmi così amicamente con i tuoi libri preziosi. Ricordami a Donna Elisa. Ave. Il tuo Gabriele d’Annunzio»;41 «Mio carissimo Corrado, grazie dei fraterni augurii.Non ho ancora trovato modo di venire a Brera. Sto lavorando. Giovedì avrò finito.Ti offro un palco per la rappresentazione di stasera, nel caso che ti piaccia di riudire la Francesca. Saluti alla signora Elisa cordiali. Ti stringo la mano. Il tuo Gabriele d’Annunzio»;42 «Domenica Mio caro Corrado, desidero molto di rivederti. Spero di poter venire domattina alla Pinacoteca. Oso offrirti – per la rappresentazione di domani sera – questo palco. I miei saluti alla signora Elisa. Ave. Il tuo Gabriele d’Annunzio»;43 «Caro Corrado, eccoti un biglietto per la rappresentazione di stasera. Basterà che tu lo presenti alla porta. Ti mando anche la Gloria.44 Ave. Il tuo Gabriele d’Annunzio».45 Altri tre documenti, infine, concernono i mancati appuntamenti tra il D’Annunzio e il Ricci – per il poco tempo a disposizione o per acciacchi fisici di entrambi.46
_________________________________________________________________________________________________________________ in Corrado Ricci e il San Vitale di Ravenna. Antologia di scritti, a cura di Paola Novara, Ravenna, Libreria Antiquaria Tonini, 2008. 19. Possiamo solo ipotizzare, tra questi: Il palazzo di Guido Novello da Polenta in Ravenna, Bologna, Tipografia Fava e Garagnani, 1887 e 18892 [Nozze Ricci-Bellenghi]; Francesca, in “Flegrea. Rivista di lettere, scienze ed arti”, I, 1899, vol. II, n. 4, giugno 1899, pp. 285-306; Francesca da Rimini e i Polentani nei monumenti e nell’arte, in “Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, scienze e varietà”, Vol. XIV, n. 84, dicembre 1901, pp. 445-467. 20. Vedi nota precedente. 21. Si tratta del lungo articolo dal titolo Città monumentale: Ravenna. Carattere della sua storia e de’ suoi monumenti, apparso in “Emporium”, Vol. VIII, n. 48, dicembre 1898, pp. 469-496 (e, come estratto, col titolo: Ravenna e i lavori fatti dalla Sovrintendenza dei monumenti nel 1898, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1899), divenuto poi il volume su Ravenna edito sempre dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche nel 1900. Cfr. F. SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci…, cit., p. 68. 22. Città monumentale: Ravenna…, cit., p. 481. 23. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10435. La lettera era originariamente indirizzata «a Corrado Ricci Pinacoteca di Brera Milano», reindirizzata, però, al nuovo indirizzo di «Fabriano (Marche)». 24. Si tratta, naturalmente, di casa Stanghellini, in via Paolo Costa. Cfr. F. SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci…, cit., p. 67. 25. Un telegramma del 19 ottobre 1901, spedito dall’Hotel Cavour di Milano, luogo che il poeta sceglie ogni volta che va nel capoluogo lombardo, tra l’altro annuncia: «sono qui per francesca». Cfr. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10428. 26. Ibid., n. 10441, spedito da Milano a Fabriano, dove il Ricci, in quel momento, si trovava. Cfr., supra, nota 23. 27. Hieronymi Rubei Historiarum Rauennatum libri. Decem, Hac altera editione libro vndecimo aucti, & multiplici, insignisq. antiquitatis historia amplissimè locupletati. Cum indice locupletissimo, Venetiis, ex typographia Guerræa, MDLXXXIX. 28. CORRADO RICCI, L’ultimo rifugio di Dante Alighieri, Milano, Ulrico Hoepli, 1891.
29. [LUIGI PASSERINI], 143.1 Da Polenta signori di Ravenna. Famiglia estinta intorno al 1447, Milano, Tip. Giulio Ferrario, 1861 [fa parte di: POMPEO LITTA, Famiglie celebri italiane]. 30. Indirizzata «A Gabriele D’Annunzio Firenze per Settignano». Nella cartellina “Archivi del Vittoriale”, con il motto: «immotvs nec iners», a nome «Ricci Corrado», sono conservati, con catalogazione XXVIII.3: un biglietto da visita del Ricci («dott. Corrado Ricci / Direttore Generale per le Antichità e Belle Arti / Roma», la cartolina postale, e un telegramma da Roma indirizzato a «Gabriele D’Annunzio Teatro Chatelet Paris» del 13 giugno 1913 riportante il testo: «Rallegromi cordialmente = Corrado Ricci =». 31. La lettera è semplicemente indirizzata: «Al prof. Corrado Ricci: Ravenna», per dire quanto il Ricci era conosciuto. Segue di un giorno il telegramma citato, supra, alla nota 25. 32. S’intende, della prima al Costanzi. 33. Con tutta probabilità quelli di Santa Maria in Porto Fuori, all’epoca ancora quasi perfettamente conservati. Cfr. F. SAPORETTI, Gabriele D’Annunzio e Corrado Ricci…, cit., p. 68. 34. Si tratta della casa di Guido Minore da Polenta, passata nel XV secolo ai Monaci di Santa Maria in Porto presso Porta Ursicina/Porta Sisi. Cfr. ibid. 35. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10434. 36. Ibid., [telegramma] n. 10431. 37. Il cast delle due serate si può leggere in http://memoria-attori.amati.fupress.net/S050?identificativo=390&contesto=5&idcollegato=72661 [data di ultima visualizzazione: 31 ottobre 2016]. 38. Si tratta, sempre, di Città monumentale: Ravenna…, cit. 39. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10443. Il D’Annunzio si riferisce alla celebre Guida di Ravenna del Ricci, la cui prima versione comparve nel 1878 col titolo Ravenna e i suoi dintorni, per i tipi ravennati di Antonio e Gio. David Editori. L’edizione cui fa probabile riferimento il poeta è la terza, rifatta, pubblicata dalla Ditta Nicola Zanichelli nel 1900. 40. Si tratta della splendida copia con copertina in pergamena, ornata da Adolfo De Carolis, amico del D’Annunzio, conservata nella III Sala Ricci 5.9.33 della Classense, dal titolo: Francesca da Rimini. Tragedia di Gabriele d’Annvnzio rappresentata in Roma nell’anno MCMI A DI IX del mese di decembre impressa in Milano per i Fratelli Treves nell’anno MCMII a di XX del mese di Marzo [Gabriel Nvncivs finxit;
Adolphvs De Karolis ornavit; Ioseph Treves accvratissime impressit; A.D. MCMII], con dedica: «a Corrado Ricci – che conobbe Francesca su la marina dove il Po discende – Gabriele d’Annunzio Calen d’aprile, 1902». Il volume, dunque, uscì appena una settimana dopo le recite milanesi. Un’identica copia fu donata dal D’Annunzio alla Classense (segnatura: 81.9.C2), con la celebre dedica: «Alla sacra Ravenna – alla terra di Francesca, ove son custodite le Ossa di Dante – Gabriele d’Annunzio Calen d’aprile MCMII». 41. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10432, senza data. 42. Ibid., n. 10433, senza data. 43. Ibid., n. 10437, senza data. 44. Si tratta, naturalmente, dell’opera La Gloria. Tragedia, Milano, Fratelli Treves Editori, 1899. 45. Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, Corrispondenti, vol. LIV, n. 10438. 46. Ibid., n. 10436, senza data [solo, in alto, «Giovedì» e timbro postale sulla busta illeggibile, a parte il giorno: 26]: «Giovedì Mio carissimo Corrado, desidero molto di rivederti. Seppi che tu eri venuto a chiedere notizie dell’infermo, e te ne fui grato. Oggi non sarò libero se non fino alle 2 e ½. Se puoi, vieni presto. Altrimenti potresti domattina per colazione qui con me, tra mezzogiorno e il tocco. Telefona. A rivederci. Il tuo Gabriele d’Annunzio»; ibid., n. 10439 [biglietto da visita]: «Mio caro Corrado, sono stato poco bene in questi due giorni e parto stasera col rammarico di non averti veduto ancora una volta come desideravo. Tornerò presto. Ti scriverò da Settignano, dalla casa solitaria dove troverò un’ombra di più. Ricordami alla signora Elisa. Ti abbraccio fraternamente. Ave. Il tuo Gabriele»; ibid., n. 10440, senza data [solo «Hôtel Cavour, sabato»]: «Carissimo Corrado, volevo venire a vederti, in queste poche ore di sosta in Milano, ma so – con molto rammarico – che sei malato e temo di disturbarti. Sono andato a chiedere notizie di te alla signora Elisa, ma non ho avuto la fortuna di trovarla in casa. La dolce notizia mi giunse per caso ier l’altro, a Settignano. Me ne rallegro per la buona amica, cui sono devoto da tanto tempo, e per te che amo ed ammiro sinceramente nel tuo acuto intelletto e nel tuo animo leale. A rivederci. Gabriele d’Annunzio». Il D’Annunzio si riferisce alla notizia del matrimonio tra Corrado Ricci ed Elisa Guastalla, celebrato il 14 marzo 1900.
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CITTÀ E QUARTIERI
In alto a sinistra: il Duomo. In alto a destra la fontana monumentale di Piazza della Libertà Sotto: Corso Garibaldi. Nella pagina a fianco, uno scorcio di Piazza della Liberta, con in primo piano la Torre dell’Orologio.
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Faenza: l’arte nelle mani,
la bellezza nel cuore
Cultura e buon vivere sono di casa nella città della ceramica di Chiara Bissi
Lasciata Cesena, la rubrica Città e quartieri si sposta ancora sulla via Emilia e dopo Forlì approda a Faenza. Chi visita la città, apprende dal materiale di promozione turistica che si trova in un “territorio incantato” nel quale si custodisce l’arte della ceramica, si può apprezzare i piaceri della buona tavola e l’amenità delle colline circostanti. Come è avvenuto nelle precedenti puntate non è possibile raccontare per intero la storia della città, le trasformazioni, la ricchezza di segni e la complessità del tessuto urbano, conviene allora indicare un possibile percorso fra i tanti offerti da Faenza, privilegiando alcune emergenze e cogliendo nuove funzioni e stili di vita. Di dimensioni ridotte rispetto a Forlì e Cesena, con 58.441 abitanti al 31 dicembre 2015, in calo di 80 persone rispetto al 2014, Faenza rimane nell’immaginario «quella culta e brillante Città» descritta dal poeta Vincenzo Monti nel 1788. Un destino tutto rivolto all’arte, insito nel nome, assunto per definire la parola ceramica (maiolica) in francese (faïance) e in inglese (faience). Raccolta, aggraziata, esuberante, delle città romagnole è quella che più di tutte ha mantenuto uno stretto legame con Firenze, dichiarato nella presenza di maestranze e artisti provenienti dalla città toscana, impegnati nel programma di monumentalizzazione avviato nel Quat-
trocento. Ma la ricchezza del patrimonio storico artistico non la cristallizza in una dimensione museale, la vivacità dell’offerta culturale sempre più spesso proiettata sulla contemporaneità, la qualificata rete commerciale, l’ampio scenario gastronomico e culinario garantiscono un carattere unico a Faenza, città dinamica, alle prese con le durezze di una crisi economica che sembra non volere cedere il passo. Dell’età romana mantiene un segno distintivo quale l’incrocio fra il decumano e il cardo posto sul tracciato della via Emilia; i due assi viari oggi sono rintracciabili, il primo nei corsi Saffi e Mazzini e il secondo nei Corsi Garibaldi e Matteotti. Qui si apre il cuore di Faenza, piazza della Libertà e piazza del Popolo, vissute come un unicum, rappresentano uno spazio urbano elegante e accogliente. Ed è lì che trova spazio la cattedrale costruita nel IX secolo poi riedificata fra il 1474 e il 1520 su progetto dell’architetto fiorentino Giuliano da Maiano, nonché i palazzi posti uno di fronte all’altro del Podestà e del Capitano del Popolo, quest’ultimo destinato a divenire sede della signoria manfrediana. Entrambi di epoca medioevali con portici a doppio ordine subirono diversi rifacimenti, fino all’aspetto attuale. La piazza prese la forma odierna nel XV secolo, l‘intero loggiato del palazzo Manfredi fu poi ricostruito in forme neoclassiche, nel 1859. Anche al palazzo del Podestà, fu aggiunto un loggiato a due piani, ma a spese dei mercanti che possedevano botteghe in piazza, nel
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CITTÀ E QUARTIERI
1760. Nel Taccuinetto faentino il poeta Dino Campana scrive: «Pare un caffè concerto dalla loggia grande dove sono seduto la Piazza». E ancora sorprende la duttilità dello spazio urbano, capace di accogliere fiere e mercati, sfilate storiche, la passeggiata dei cittadini, le corse dei bambini, il zigzagare di bici e skate, ma anche di farsi scenario metafisico, senza presenze umane. Dai portici che la bordano su due lati la fitta rete delle botteghe di un tempo, oggi, è diventata un susseguirsi di negozi e caffè dove ristorarsi e vivere lo scandire delle ore cittadine. Di fronte alla Cattedrale si apre il loggiato detto Portico degli Orefici, costruito nel primo decennio del Seicento, mentre a lato si trova la fontana monumentale, disegnata dall’architetto ticinese Domenico Castelli nel 1621, monumento cittadino tutelato dall’associazione Amici della fontana. A pochi passi la Torre dell’Orologio, progettata da fra’ Domenico Paganelli nel 1604, fu ricostruita dopo la Seconda guerra mondiale dopo la demolizione ad opera dei Tedeschi nel 1944. Dalla piazza si accede grazie al voltone della Molinella, sottostante il palazzo Comunale, alla raccolta piazza che dagli anni Ottanta è dedicata a Pietro Nenni, sulla quale si affaccia il teatro Masini, progettato da Giuseppe Pistocchi e costruito dalla municipalità fra il 1780 e il 1787. Il Masini, perfetto esempio di teatro all’italiana, conserva intatti i caratteri dell’architettura neoclassica e offre stagioni ricche di proposte fra prosa e musica; è collegato a palazzo Manfredi tramite la Galleria dei Cento Pacifici, annessa al Ridotto e progettata da Giuseppe Pistocchi, con decorazioni di Felice Giani. Un voltone collega poi piazza Nenni a via Pistocchi, elegante via, con negozi di pregio, posta fra via Severoli e corso Mazzini. Uno delle strade del passeggio faentino, corso Mazzini conserva in sequenza botteghe storiche come lo stabilimento grafico cartoleria fratelli Lega, pubblici esercizi, negozi delle catene nazionale e internazionali ed edifici storici come palazzo Mazzolani; Zanelli; Zucchini; palazzo Gessi e palazzo Conti Sinibaldi entrambi firmati da Giuseppe
In alto fa sinistra: Corso Matteotti, Corso Mazzini, via Severoli. In basso, a sinistra: Palazzo Valenti. In basso a destra: una singolare ordinanza comunale d’epoca in mosttra in un locale del centro storico,
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CITTĂ€ E QUARTIERI
Pistocchi. Di pregevole fattura anche palazzo Ferniani su via Naviglio, e palazzo Laderchi progettato nel 1780 circa da Francesco Tadolini e costruito all’angolo fra via XX settembre e corso Garibaldi con decorazioni pittoriche di Felice Giani. La Faenza di fine Settecento partecipa ai grandi avvenimenti storici e diverse famiglie nobiliari avvicinano gli ideali filo francesi, abbrac-
Sopra, da sinistra: il teatro comunale Masini, a destra Palazzo Ferniani. Sotto a sinistra, Piazza del Popolo, con i due loggiati del Palazzo del PodestĂ e del Palazzo Municpale Sotto a destra: particolare di Palazzo Ferniani.
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ciando il gusto neoclassico. Un patrimonio monumentale diffuso che si può ammirare passeggiando anche per corso Garibaldi, corso Matteotti, via Torricelli e corso Saffi, strade dove l’offerta commerciale non è mai scontata e la qualità sembra essere un requisito condiviso. Una menzione speciale va a palazzo Milzetti, immancabile metà nella passeggiata dentro le mura. In via Tonducci si apre uno spettacolare esempio di neoclassico, progettato da Giuseppe Pistocchi nel 1792. Nel 1799 l’incarico passò all’architetto Giovanni Antonio Antolini, mentre gli affreschi sono ancora una volta di Felice Giani. Solo nel 1973 il palazzo divenne dello Stato e dal 2001 è il museo dell’età Neoclassica in Romagna. Oltre al patrimonio monumentale Faenza da tempo immemore preserva e alimenta l’arte ceramica praticate nelle tante botteghe e
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CITTÀ E QUARTIERI
In alto: il Museo Internazionale della Ceramica (Mic). Sotto: Palazzo Milzetti. Le foto del servizio sono di Paolo Bolzani.
promuove le migliori espressioni artistiche grazie al Mic, museo internazionale della ceramica, fondato nel 1908. Le collezioni originari furono danneggiate dai bombardamenti del 1944 e nel dopoguerra fu incessante il lavoro di ricomposizione delle raccolte, nelle quale sono rappresentati i maestri faentini al pari degli artisti di fama mondiale Pablo Picasso, Lucio Fontana, Henri Matisse, Arturo Martini, Pablo Echaurren, Luigi Ontani, Mimmo Paladino. Da ricordare anche il Museo Carlo Zauli che dal 2002, attraverso le proprie collezioni e le diverse attività culturali esplora e diffonde l’arte contemporanea in tutte le molteplici espressioni, con un’attenzione particolare alla ceramica. Altra meta la Pinacoteca, aperta nel 1797, quando il Comune di Faenza acquistò la collezione di opere d’arte di Giuseppe Zauli. Nello stesso anno iniziò l’acquisizione di dipinti provenienti dai conventi e dalle chiese soppressi in forza delle leggi napoleoniche. Oltre alla storica collezione d’arte antica e moderna i suoi spazi ospitano mostre temporanee e incontri culturali Nonostante l’incessante lavoro di ricerca e valorizzazione del contemporaneo con iniziative di grande spessore, promosse dall’ente pubblico e da soggetti culturali, rattrista il danneggiamento del Cubo alato, opera dello scultore e ceramista Carlo Zauli, posta davanti alla stazione ferroviaria della città manfreda, ad opera di vandali. Un episodio che ha scosso i cittadini, abituati alle polemiche tutte interne sugli effetti maleodoranti delle distillerie e sulla difficile gestione e inclusione sociale dei migranti. Nonostante tutto la città palpita e lascia spazio alla movida, c’è un progetto che aggrega locali e forze creative concentrate nella zona di via Cavour e via Baccarini dove si può trovare il Clan Destino e Arbusto, tanti poi i caffè e i locali in città da citare tralasciando molto altro, tutti in ordine sparso, dall’enoteca Astorre, al caffe 27, al Piccadilly, l’Evergreen, la discoteca Giradischi, il Piccadilly alla pasticceria Fiorentini, passando per il Tesco, all’Infantini caffè, al Nove100, al Corona, al Rossini, al caffè della Molinella, al Mens sana, fino alla buona tavola vanto della città con le prelibatezze de La Baita, della trattoria storica La Marianaza, di Silverio, dell’osteria La Sghisa, di O’ fiore Mio, di Zigarò, di Ca’ Murani, di Cinque Cucchiai. Ma l’elenco è davvero incompleto e tanto c’è da scoprire nelle strade quiete di Faenza, dai vicoli dietro al duomo, dal mercato di piazza Martiri della Libertà, dai palazzi nobiliari, dalle botteghe d’arte, sino alle espansioni moderne fuori le mura che riflettono una consuetudine con la buona architettura e l’arte contemporanea, capace di germogliare anche nelle rotatorie delle circonvallazioni. Dolcemente, poi la campagna prende a muoversi e il territorio verso le colline diviene davvero “incantato”.
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di Domenico Mollura
I sei comuni della Romagna Faentina hanno scelto nel 2010 di elaborare congiuntamente il proprio piano urbanistico strutturale, condividendo scelte strategiche e valorizzando le proprie eccellenze territoriali. Questa scelta strategica ha valso all’Unione dei Comuni il “Premio Urbanistica 2016, sezione Qualità delle Infrastrutture e degli Spazi Pubblici”, promosso dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (Inu) nell’abito di “Urbanpromo”, evento culturale dedicato al tema della rigenerazione urbana in Italia, giunto alla sua XIII edizione. L’evento, organizzato da Urbit (Società di Urbanistica Italiana), è accompagnato dal sottotitolo “Progetto Paese”: un richiamo alla necessità di un «...rinnovato protagonismo del settore pubblico – afferma il professore Stefano Stanghellini, presidente Urbit, intervistato dal “Giornale dell’Architettura” – nella prospettiva evolutiva delle nostre città». In quest’ottica il recente bando per la riqualificazione delle periferie, el’annuncio della possibile finanziabilità di tutti i progetti presentati, desta più di un entusiasmo e impone, proprio alle amministrazioni locali, l’assunzione del ruolo di coordinamento tra pubblico e privato nell’attivazione
In questa pagina, dall’alto: Scorci dei territori dell'Unione di Comuni faentini Vista aerea del centro storico di Faenza (foto D. Bernabei) Parco della Vena del Gesso Romagnola (foto F. Liverani) Nella pagina a fianco: diagramma del piano strutturale del Comune di Faenza.
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Il piano urbanistico associato che vale un premio di qualità È quello dell'unione dei comuni faentini, vincitore del riconoscimento promosso nel 2016 dall'Istituto Nazionale di Urbanistica nell'ambito di “Urbanpromo” a Milano di politiche urbane di rigenerazione. L’Unione dei Comuni è composta da Faenza, Brisighella, Casola Valsenio, Castel Bolognese, Riolo Terme e Solarolo; ospita 85mila abitanti distribuiti su un’area pari a circa 600 kmq nella quale sono riconoscibili segni di continuità territoriale e dei sistemi insediativi storici, urbani e rurali. Sono questi gli elementi condivisi di partenza sui cui è stata impostata la fase progettuale, programmaticamente supportata da “tecniche urbanistiche innovative” per risolvere le criticità esistenti nel rispetto delle singole vocazioni territoriali. I principi della Pianificazione Associata si articolano in 10 obiettivi di qualità. Si tratta di un decalogo per la sostenibilità del Piano definito secondo dei principi operativi chiari tra i quali: fissare i confini tra territorio rurale e urbanizzato e tendere al consumo zero del suolo tramite la rigenerazione del tessuto consolidato; superare lo zoning normativo e qualificare la città attraverso ambiti paesaggistici (dal parametro quantitativo a quello qualitativo); semplificare la strumentazione normativa e diffondere meccanismi premianti per gli interventi che raggiungono elevati
prestazioni (energetiche, di miglioramento sismico ed estetiche) al fine di generare processi emulativi virtuosi. La definizione degli obiettivi si è riversata nell’elaborazione del Regolamento urbanistico edilizio (Rue), anch’esso associato, che ne individua gli strumenti attuativi secondo il sistema delle 4 Qualità: sociale, insediativa, ecologica e paesaggistica. Il traguardo fondamentale della buona pianificazione – affermava l’architetto Ennio Nonni nel 2013, durante una conferenza dal titolo “Un’altra urbanistica è possibile”, promossa da questa testata – è quello di introdurre nell’urbanistica il germe della progettazione: ovvero passare dalla scala del piano a quella del progetto tenendo ferma l’idea di qualità complessiva che genera il disegno urbano. Il Piano Associato rivela un’attenzione sostanziale agli aspetti della pianificazione del territorio dell’Unione e in particolare di Faenza che negli ultimi decenni ha saputo legare agli aspetti più direttamente normativi anche quelli della tangibile qualità urbana, introducendo nel disegno della nuova città, o nel ridisegno dell’edificato (residenziale e produttivi) concreti elementi di qualità, con l’aiuto del verde e dell’arte e dell’architettura contemporanea, si pensi al
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URBANISTICA E TERRITORIO
Museo all’Aperto e alle opere di arredo urbano, alla scuola di Lucien Kroll e alla casa progettata da Ettore Sottsas. La Pianificazione Associata della Romagna Faentina è stata presentata nel corso dell’edizione 2015 di Urbanpromo ed ha ottenuto il premio grazie alle preferenze espresse da tutti i partecipanti a quell’edizione per i progetti presenti nella gallery multimediale dell’evento. In occasione dell’assegnazione dei premi 2016 la rivista “Urbanistica“, che da 1933 costituisce l’organo ufficiale dell’INU, dedicherà un proprio allegato ai progetti vincitori (Inserimento nel contesto urbano e equilibrio degli interessi, sono i titoli delle altre due sezioni in cui è stato articolato il concorso). Insieme all’Unione dei Comuni della Romagna Faentina sono stati premiati, nella stessa sezione, l’Autorità Portuale di Taranto e il Comune di Riccione, rispettivamente con i progetti dal titolo “Waterfront come strategia per la rigenerazione del rapporto porto-città” e “Le linee d’acqua”. La premiazione si è tenuta durante l’apertura dell’edizione 2016 di Urbanpromo, tenutasi presso il Salone d’Onore de La Triennale di Milano, lo scorso 8 novembre.
> CREDITI Soggetto promotore: Unione della Romagna Faentina Presidente: Giovanni Malpezzi, sindaco di Faenza Progettisti incaricati: Progetto: Ennio Nonni Gruppo di progettazione: Mauro Benericetti, Daniele Babalini, Federica Drei, Lucia Marchetti, Devis Sbarzaglia, Marco Villa.
In alto: dettagli del piano del Comune di Faenza relativi ai temi della sismicità e del consumo energetico. Sotto: Schema delle quattro qualità del piano urbanistico associato faentino.
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ARCHITETTURE E DOCUMENTI
> Deposito MM Fondazione studio museo Vico Magistretti
> Deposito MM Fondazione studio museo Vico Magistretti
> Torre per abitazioni in piazzale Aquileia a Milano. Progetto di Vico Magistretti (www.klatmagazine.com)
>
Lampada “Eclisse� - courtesy Artemide
> Torre al Parco Fondazione studio museo Vico Magistretti
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Architettura e design: da Biagetti, a Ravenna, un tributo al genio di
Vico Magistretti di Paolo Bolzani
Giovedì 20 ottobre si è tenuto una serata in ricordo del decennale della scomparsa di Vico Magistretti, architetto e raffinato intellettuale milanese, le cui opere di design sono esposte nella collezione permanente del Moma di New York e in altri musei in America e in Europa. La pregevole location e la collaborazione all’evento di De Padova, storico marchio milanese del design, ci ha fatto capire nuovamente l’importanza di uno dei maestri dell’italian design e dell’architettura, a dieci anni dalla scomparsa, avvenuta il 19 settembre 2006. Vico nasce in una famiglia della borghesia milanese nel 1920; suo padre è l’architetto Pier Giulio Magistretti, autore di vari edifici della Milano degli anni Venti e Trenta e gli lascerà in eredità un avviato studio professionale. Studia architettura al Regio Politecnico di Milano dal 1939 al 1945, anni in cui ha l’opportunità di frequentare personaggi come Giò Ponti e poi Ernesto Nathan Rogers che incontra durante il soggiorno in Svizzera quando studia al Champ Universitaire Italien di Losanna. Negli anni Cinquanta diviene uno degli esponenti di spicco nello scenario milanese, firmando edifici come la torre al Parco in via Revere (1953-56, con Franco Longoni) e il palazzo per uffici e abitazioni in via Leopardi (1958-61, con Guido Veneziani).
Manfredo Tafuri lo segnalerà nella sua Storia dell’architettura italiana descrivendolo come un «professionista abile, capace di modulare inquiete aggregazioni volumetriche, come nell’edificio della Società “L’Abeille”», cioè proprio quello di via Leopardi. Parlando della generazione dei giovani architetti che si affacciano sul mondo della professione nel dopoguerra, tra i quali c’è anche Magistretti, Marco Biraghi traccia un quadro illuminante, allorché parla di «una razionalità intesa non come “stile” quanto piuttosto come ragionevolezza dell’approccio progettuale, una volontà di chiarezza, di intellegibilità delle forme e il tentativo di istituire un rapporto con il luogo» (Storia dell’architettura contemporanea). Le architetture di Magistretti, così come le sue opere di design a partire dalla mitica lampada Eclisse (1966, Premio Compasso d’Oro nel 1967), sono state brillantemente illustrate al Biagetti Design Store da Margherita Pellino, membro della «Fondazione studio museo Vico Magistretti», che dal 2010 ha sede nello storico ufficio a fianco della piazzetta su cui si affaccia la chiesa di Santa Maria della Pas> Vico Magistretti nel suo studio sione, dove l’architetto milanese ha lavorato dal 1946 al 2006. Qui ferve un’intensa attività di mostre di design e architettura, visite guidate, conversazioni, incontri laboratori e attività educative per gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. La giovane relatrice, nipote di Vico, ha raccontato come il nonno, au-
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ARCHITETTURE E DOCUMENTI
tore di icone che hanno fatto storia, fosse particolarmente ossessionato dal problema della “semplicità”, della quale parlava come della «cosa più complicata del mondo»; basti pensare, potremmo aggiungere noi, alle maniglie disegnate nel 1994 per Fusital o al tavolino Gemini in cristallo curvato del 2006 per Fiam. Nel corso della serata sono stati proiettate due testimonianze personali, riprese all’interno dello “studio museo”. Si tratta di Patricia Urquiola, famosa designer spagnola (Oviedo 1961), che nel 1996 firmava la Chaise Longue insieme a Vico, e Stefano Boeri (Milano, 1956), architetto milanese autore del premiato grattacielo “bosco verticale” e professore ordinario di Progettazione Urbanistica al Politecnico di Milano, che ha segnalato le peculiarità del linguaggio e delle scelte compositive di Vico, come quando ha illustrato la particolare scelta del tetto per il deposito MM di Famagosta. Il tributo al maestro quest’anno si arricchisce di una mostra molto interessante, dal titolo Interni milanesi. Architetture domestiche di Vico Magistretti, curata da Vanni Pasca con Manuela Leoni (allestimento di Francesco Librizzi Studio, ricerche d’archivio a cura di Margherita Pellino) visitabile allo “Studio Museo” fino al 18 febbraio del prossimo anno. Come scrivono i curatori, «la mostra mette a fuoco uno dei molti aspetti inediti dell’opera dell’architetto: la progettazione di ambienti domestici di citta, modellati attraverso una minuta opera di cesellatura, che agisce tanto su invarianti spaziali ricorrenti nel linguaggio di Magistretti (scale, camini, aperture sagomate, ecc.) quanto sul piano dell’arredo»; non a caso nel 2005 Vico ha ricevuto il premio speciale “Abitare il tempo”. Si tratta dunque di un tema direttamente collegato agli interessi di questa rivista, che ormai da tempo indaga sui molteplici aspetti dell’abitare, questa volta dalla provincia alla metropoli lombarda.
In alto a sinistra, disegni delle celebre sedia “Gaudì” progettata da Magistretti. In alto a destra: in Vespa alla scoperta di Magistretti con Stefano Boeri. Al centro: Dipartimento di Biologia dell’Università Statale di Milano, 1978-1981. Progetto di Vico Magistretti con F. Soro. Foto Gabriele Basilico. (www.klatmagazine.com) In basso: edificio per uffici e abitazioni in via Leopardi a Milano, 1958-1961. Progetto di Vico Magistretti.
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Il geniale eclettismo di Massimo Iosa Ghini fra arte, architetture e design d’autore ETB quell’astrazione progettuale che ricerca l’intonazione col paesaggio di Chiara Bissi
L’architetto e designer Massimo Iosa Ghini chiude l’edizione 2016 degli incontri sull’architettura contemporanea promossa dalla rivista Casa Premium della società editoriale Reclam e ideata dal comitato scientifico composto da Gianluca Bonini e Giovanni Mecozzi di Nuovostudio e da Filippo Pambianco Caveja-studio, con il patrocinio degli Ordini professionali degli architetti e ingegneri di Ravenna e Forlì anche ai fini formativi. L’architetto Iosa Ghini sarà l’ultimo dei “SeDici” protagonisti che hanno animato otto appuntamenti, affiancato il 17 novembre dallo studio ETB (Tessari e Bandiera) di Treviso. La Pinacoteca di Faenza è la tappa finale di un percorso che ha attraversato la Romagna e ha indagato le migliori esperienze e ha messo a confronto professionisti affermati della progettazione contemporanea e studi emergenti prevalentemente con sede in regione, ma operanti in Italia e nel mondo. Di arredo urbano e di quali strumenti utilizzare nei centri storici e nelle periferie dialogheranno nella tavola rotonda “Arte e design per l’identità cittadina” i relatori e altri esperti, condotti dal direttore della rivista Casa Premium Fausto Piazza.
L’infaticabile sperimentatore fra disegno e design, architetture “fluide” e ristrutturazioni d’artista Massimo Iosa Ghini, classe 1959, si laurea al Politecnico di Milano. È stato tra i fondatori del gruppo Bolidismo e ha collaborato con il
gruppo Memphis fondato da Ettore Sottsass. Artista, disegnatore e progettista eclettico nel 1990, fonda la Iosa Ghini Associati, con sede a Milano e Bologna. Si occupa di progettazione di architetture, installazioni culturali e commerciali, e catene di negozi. È inoltre attivo in campo teorico con la partecipazione a convegni, conferenze e seminari sull’architettura e il design. Tra le sue installazioni, quella del 1988 realizzata al Centro Georges Pompidou. I suoi progetti si trovano in vari musei e hanno ricevuto riconoscimenti, tra cui il Roscoe Award negli Usa, il Good Design Award dal Chicago Athenaeum, il Red Dot Award, l’IF Product Design Award nel e il premio Iai Award Green Design Global Award a Shanghai. Un suo progetto è stato presentato nel Padiglione Italia “Le architetture del Made in Italy”, 13ª Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia 2012. Nel 2013 la Triennale di Milano ha dedicato una mostra antologica ai suoi trent’anni di carriera professionale, dagli esordi all’oggi sostenibile, poi riproposta dal Mambo di Bologna. Nel 2015 un suo retail concept, Kiko Milano, ha vinto nella categoria Best Retail Global Expansion al Mapic 2014. La Fondazione Marconi e il Marconi Institute for Creativity gli hanno conferito il premio Marconi per la creatività come riconoscimento per le sue capacità ideative. Nella sede di Ice Agenzia a Roma Eur, è stata ospitata sua installazione “Assolo Italiano”, dedicata alle eccellenze del Made in Italy. Recentemente si è occupato di sostenibilità «non solo come tecnologia ma anche come atteggiamento». L’evoluzione professionale di Iosa Ghini si svolge nel design, nella progettazione di aree e strutture dedicate al trasporto pubblico, nonché nel design di catene di negozi realizzate in tutto il mondo,
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sviluppando progetti per importanti gruppi internazionali come Ferrari, Capital Group, IBM Italia, CMC Group Miami, Seat Pagine Gialle, Alitalia e tanti altri. La casa privata progettata da Massimo Iosa Ghini nel 2012 sembra accogliere le molteplici esperienze e idee progettuali e rappresenta si legge in una scheda di studio: «un esempio di ristrutturazione qualitativa che restituisce all’apparato strutturale originario - una palazzina di circa 600 metri quadrati situata in una zona nobile di Bologna - risalente al periodo razionalista del secolo scorso, una composizione dinamica, insieme alla componente di conservazione. Si tratta di un progetto per una nuova casa-studiolaboratorio e show-room che contiene diversi elementi significativi e originali e ricrea un ambiente ampliamente vivibile, un modo di abitare innovativo: un felice connubio di architettura, interior design, arredo, controllo del dettaglio. Recupero, minimizzazione dei consumi, progetti di elementi ad hoc, altissima qualità estetica e dei materiali, comfort sono le parole chiave del recentissimo progetto». Iosa Ghini definisce il proprio stile fluido ed ecco gli involucri sinuosi e isole di vetro opaco o trasparente dell’Ibm Software Executive briefing center di Roma interamente rinnovato nel 2010 con tecnologie d’avanguardia in campo audiovisivo per fornire agli ospiti un ambiente confortevole. Un’idea di futuro capace di dialogare con l’arte e il passato: nel 2009 Iosa Ghini restaura a Bologna la casa d’artista di Giorgio Morandi. L’appartamento di via Fondazza 36, è collocato all’interno di una edificio di epoca rinascimentale. L’intervento architettonico sull’appartamento prende le mosse dal ripristino della distribuzione originale degli ambienti al tempo in cui visse il pittore. «Il progetto della Casa d’artista – si legge nella scheda di studio – parte dal concept di luogo della narrazione e della memoria dove gli ambienti più significativi dell’esistenza del Maestro sono riportati, ove possibile, in vita; la “casa d’artista“ è anche luogo di divulgazione e di studio con ambienti attrezzati per l’approfondimento di temi specifici e luogo per la consultazione della collezione dei volumi di Morandi aperta a studiosi e ricercatori. Il percorso vede intercalati gli spazi storici dello Studio-Atelier, dell’anticamera e del ripostiglio dei modelli, alle nuove sale espositive dedicate alla biografia del maestro, agli amici artisti e ai fotografi che hanno immortalato la “camera magica” Studio di Morandi, da noi interpretata tramite un involucro in vetro, una scatola in vetro». E la storia si declina anche attraverso il mito, dal 2002 Iosa Ghini si occupa dei Ferrari Stores, luoghi che hanno l’ambizione di non essere solo negozi, ma punti di raccolta della storia e dello spirito Ferrari, dove le forme, le finiture e i materiali rappre-
Nella pagina a fianco e in alto a sinistra, un mosaico di immagini che rappresentano la versatilità progettuale dell’architetto Massimo Iosa Ghini: disegni, allestimenti artistici, abitazioni, edifici commerciali e uffici, mobili di design. Qui sopra. modelli e rendering di progetti dello studio ETB di Treviso.
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senta l’anima duplice del mondo racing e del mondo lusso. «Le linee di progetto, morbide e dinamiche, derivano direttamente dalle forme dei bolidi e delle berline Ferrari e anche da un’idea di velocità che prende avvio dall’estetica futuristica marinettiana, per definire un design essenziale ma espressivo. Questo futurismo elegante è potenziato dall’idea di movimento multimediale e iconografico». E infine impossibile citare la ricca produzione di oggetti Menphis, dal tavolo Roy (1987); alla sedia Juliette (1987), alla caraffa Moore (2014); per passare alle cucine Snaidero (2016); allo sgabello Moroso (1987); ai tavolini MGM Marbles and Stone (2015);la balaustra Lùmina di Faraone (2011). Nel lighting la lampada da tavolo Kalika di Venini (2016); lampada Canattata De Majo (2011); lampada Lens di IGuzzini (2010).
L’ordine autonomo dell’architettura e la sintonia con il genius loci ETB è uno studio di progettazione urbana, architettonica e di design fondato nel 2008 da Alessandro Tessari e Matteo Bandiera, con sede a Sviglia (Spagna) e Treviso (Italia). Lo studio ETB è particolarmente interessato all’interazione tra idea astratta dell’architettura e la sua tonalità. Idea astratta intesa come ordine autonomo dell’architettura, capace di stabilire regole semplici e comprensibili alla società; tonalità come capacità dell’architettura di trovare la giusta intonazione con i luoghi, una “seconda spontaneità” nel ra-
dicamento al paesaggio. Lo studio si dedica alla ricerca progettuale attraverso la partecipazione a concorsi internazionali di cui è risultato vincitore in varie occasioni e in particolare nel progetto per il Centro Multifunzionale di Sappada (Italia), il progetto per il Museo Archeologico di Punta Umbria (Spagna) e il progetto per la Senior City di Cortina D’Ampezzo (Italia). I lavori di ETB sono stati pubblicati nelle principali riviste di architettura europee. Lo studio ETB ha sostenuto lectures nelle principali Università di Architettura tra le quali lo IUAV di Venezia, l’AAM di Mendrisio, l’ETSA di Siviglia, la FAU-UFRJ di Rio de Janeiro e la Javeriana di Bogotà e in diversi istituti culturali in Europa tra cui la Biennale di Venezia e la Maisone de l’Architecture di Ginevra. Lo studio è stato insignito di diversi premi e riconoscimenti tra i quali l’AGATV 2010, il NIB 2011 e il YIA 2012. Dal 2009 sono soci dello studio ETB Nicola di Pietro e German Pro Lozano. Alessandro Tessari (Treviso, 1980) studia allo IUAV di Venezia e all’ETSA di Siviglia. Si laurea in Architettura con Bernardo Secchi e Guillermo Vazquez Consuegra, con il quale collabora dal 2005 al 2008, maturando esperienza nell’ambito di grandi progetti culturali pubblici e in concorsi internazionali. Nel 2008 fonda con Matteo Bandiera lo studio ETB. E’ Dottore di Ricerca in Architettura Villard d’Honnecourt di Venezia e in Urbanistica alla FAU-UFRJ di Rio de Janeiro. E’ stato visiting professor presso l’Università di Architettura di Venezia, l’Università Roma Tre di Roma, l’Università Cattolica di Pereira e l’Università Javeriana di Bogotà. Dal 2016 è docente presso l’Università di Architettura di Ferrara. Matteo Bandiera (Treviso, 1981), studia allo IUAV di Venezia e all’ETSA di Siviglia. Si laurea con Bernardo Secchi e Guillermo Vazquez Consuegra. Dal 2005 al 2007 collabora con lo studio C+S associati lavorando a diversi progetti pubblici e privati e numerosi concorsi internazionali. Nel 2008 fonda con Alessandro Tessari lo studio ETB. E’ stato visiting professor presso l’Università di Architettura di Venezia e l’Università Roma Tre di Roma.
Due rendering di progetti degli architetti Alessandro Tessari e Matteo Bandiera, associati nello studio ETB di Treviso.
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La vertiginosa estetica delle rotatorie Effimeri abbellimenti e slanci identitari negli alterni esiti dell’arredo urbano, al centro di snodi stradali fra centri storici e periferie di Serena Simoni
Quando una ventina di anni fa alcuni amici arrivavano in automobile da fuori regione o da altre provincie emiliane era ormai usuale aspettarsi il ritornello delle domande e delle successive prese in giro sulle rotonde che interrompevano lo stradario rettilineo delle città romagnole. Nella versione ravennate in particolare si faceva riferimento allo spirito bizantino che si ipotizzava costringesse ancora gli abitanti a girare intorno alle mete, ad allungare il percorso e perdere tempo invece di arrivare diretti allo stop. Il gioco delle canzonature poteva poi giungere al top nei giorni di pioggia, quando alle rotonde si creava un intasamento in grado di bloccare il traffico, specie nelle ore di uscita dal lavoro. Il che succede anche oggi, anche se siamo consapevoli del minor rischio che si corre su questi modi di immissione senza incroci e della maggiore fluidità del traffico in situazioni normali. Ma gli amici hanno anche smesso di ridere quando il modello delle rotonde è stato da anni esportato nelle loro città, acquistando nomi doversi, dal locale “rondò” di Mantova al più asettico e diffuso “rotatoria”. Se la Romagna è stata per quel che mi risulta una delle prime terre a dedicarsi in modo sistematico a questa modifica stradale, occorre riconoscerle anche il primato della decorazione dello spazio vuoto che risulta nel mezzo del cerchio delineato dalla strada: tante volte si è semplicemente arredato a giardino, altre volte si è provveduto alla piantumazione di un albero, ma pian piano si è fatta strada
Foto 1: Faenza, rotonda su via Granarolo: Gaia e la Balena di Stefano Bombardieri, 2003. Foto 2-3: Faenza, rotonda su via Granarolo: Gaia e la Balena nel riadattamento di alcuni buontemponi. Foto 4: Faenza, rotonda tra via Risorgimento, via Cittadini e Galvani: 5 statue in ferro di Germano Belletti, 1958 (allestita nel 2004). Foto 5: Faenza, Rotonda I° Maggio su via Emilia Ponente: La Spirale di Germano Sartelli, 2011. Foto 6: Faenza, rotonda Strada dei Vini e dei Sapori: Anfore di Franz Stahler, 2012. Foto 7: Faenza, Rotonda dei Writers in Via Filanda Nuova, 2013.
l’idea di un utilizzo diverso: da quello commerciale con l’inserimento di una marca di una ditta locale all’utilizzo di un insieme di simboli e prodotti tipici del territorio. Forlì addirittura ha realizzato l’anno scorso un laboratorio partecipativo per l’allestimento delle proprie rotonde per decidere gli aspetti che dovevano caratterizzare il loro allestimento, dalle essenze alle piante, dai colori ai simboli, dalle tradizioni e nome fino al richiamo dell’identità e della cartellonistica. Il risultato del progetto è stato raccolto in una sorta di abaco che è stato poi adottato dal Comune per essere integrato nel bando – rivolto a imprese, associazioni, quartieri, scuole e cittadini – che decide di volta in volta l’affidamento della gestione delle rotonde. Appena due mesi fa, è stata inaugurata a Villa Selva di Forlì la rotonda Bonfiglioli di via Mattei, proprio davanti alla grande industria metalmeccanica che per una decina di anni ne ha preso in appalto la cura del verde e della sofisticata illuminazione. Nello spazio è stata innalzata una scultura, realizzata grazie al coinvolgimento del Liceo Artistico di Forlì, che dovrebbe rappresentare la vocazione della città al volo. Il soggetto di Icaro rappresenta la storia che parte dall’aviatore forlivese Luigi Ridolfi e dall’aereoporto (un po’ in crisi) per terminare alle scuole del polo tecnologico aereonautico di Forlì. Giustificata la partecipazione della ditta, il collegamento con l’identità e il tessuto sociale del territorio, ma – dispiace dirlo dato il coinvolgimento di tanti studenti – l’effetto finale è un po’ triste, con quella serie di 41 enormi pali color ruggine conficcati nel terreno che sorreggono una (troppo) piccola ruota dentata con la silhouette del mitico trasvolatore. Da ravennate dovrei tacere, visto l’effetto estetico della rotonda delle tartarughe sulla Romea Sud, subito giù da Ponte Nuovo: presente dal 2004, vedeva 5 tartarughe in cemento rivestite in mosaico che dovevano attestare un qualche contatto identitario col territorio. Una bestiolina è stata rubata nel 2009 – si crede da parte del movimento di liberazione delle tartarughe – mentre le altre hanno resistito fino a questa estate, quando qualcuno le ha parzialmente sbriciolate. Poco male, credo, perchè – a sentire le testimonianze – pare non avessero un grande successo neanche fra i bambini. Di cattivo c’è che è un lavoro abbastanza brutto nonostante la presunta simpatia del soggetto; di bello è che bastava dire “tartaruga” perché tutti capissero di quale parte di Ravenna si stava parlando. In questa gara al brutto o ingiustificato arredo urbano, qualcuno emerge grazie a scelte molto più interessanti dal punto di vista estetico. Pur rispettando il collegamento con alcune delle vocazioni del territorio – ceramica e arte – Faenza ad esempio ha optato per un progetto coordinato di sculture e opere collocate all’aperto, collocate nei punti nevralgici della città, così come nella sua cintura periferica, che costituiscono una sorta di museo sotto gli occhi di tutti. La realizzazione delle opere non è stata affidata ai tecnici comunali o agli sponsor privati, non è nata da donazioni spontanee (e rischiose), ma dalla scelta o dall’affidamento del lavoro ad artisti
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ARTE E SCENA
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Foto 8: Sant’Angelo di Gatteo, Rotonda Secondo Casadei, 2009 Foto 9: Ravenna, Rotonda delle tartarughe a Ponte Nuovo, 2004 Foto 10: Forlì, rotonda Bonfiglioli di Via Mattei a Villa Selva di Forlì, Icaro, realizzazione degli studenti del Liceo Artistico di Forlì, 2015 Foto 11: Ravenna, una rotonda in veduta notturna
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faentini, italiani e internazionali. E visti i risultati non si può che applaudire al progetto che crea un’unità qualitativa di insieme, in grado di connotare i luoghi e riferirli costantemente al valore culturale del territorio. Si prenda ad esempio la rotonda I° Maggio sulla Via Emilia Ponente, dove campeggia un’installazione di Germano Sartelli dal titolo “La spirale”. Realizzata nel 2011, si tratta di una rete metallica di ferro con inserti appesi di ceramica di varie forme, color terracotta. Nonostante l’opera sottragga spazio per prenderlo tutto per sé, risulta lo stesso abbastanza leggera, in linea con la dimensione artistica della città che ha tributato un omaggio allo scultore imolese, appena pochi anni prima della sua scomparsa. Sartelli, artista di fama nazionale emergente nel clima di Arte povera per la sua scelta di riciclo di materiali come il ferro e il legno, aveva stabilito un rapporto privilegiato con Faenza, grazie ad una serie molto importante di sculture informali fatte a ceramica. Non molto distante da questa installazione, c’è la Rotonda tra le vie Risorgimento, Cittadini e Galvani, dove nel 2004 sono state allestite cinque grandi sculture in ferro di Germano Belletti. Faentino, l’artista lega la propria attività alla città natale dove aveva studiato e aperto un suo laboratorio di ceramica, condiviso con un lungo periodo di insegnamento nelle scuole d’arte cittadine. Nonostante non abbia la stessa statura di Sartelli, il percorso artistico di Bertelli è stato ricco di riconoscimenti, soprattutto negli anni ‘50 a cui si riferiscono le sculture che qui lo ricordano e che costituiscono un buon esempio delle ricerche di quegli anni e del rapporto che Faenza mantiene con le figure artistiche del proprio territorio. Siccome nessuno è perfetto, anche i faentini scivolano su una rotonda, quella del 2011, intitolata al brigante Passatore: ubicata fra le vie Firenze e Canal Grande, alle Bocche dei Canali, la rotatoria è omaggiata da una scultura un po’ disneyana del Passator cortese che vuole ricordare la gara dei 100 Km. su strada a lui dedicata. Peccato! Una distrazione sul territorio esterno alla città che almeno è equilibrato dalla rotonda su via Granarolo, ben più centrale e posizionata prima del ponte di ingresso alla città, venendo da Ravenna. Chi arriva rimane stupito alla vista di “Gaia e la balena”, una scultura in resina e ceramica di grandi dimensioni realizzata dallo scultore contemporaneo Stefano Bombardieri. Installata nel 2003, fin dal suo primo apparire ha creato un punto nevralgico di grande effetto: per poter vedere da vicino quella bambina – china e col viso nascosto da due bande di capelli, mentre trascina con una fune un’enorme balena – c’è chi addirittura si ferma con l’auto. Nonostante il fascino del lavoro, i consensi non sono stati unanimi: c’è chi l’ha criticata perché - sostengono - priva di significato, c’è chi invece si è divertito ad appendere alla fune mutande e calzini. Non siamo riusciti a contattare l’artista – di origini bresciane, vive fra Italia, Francia e Germania – per capire se è una bufala o no il fatto che l’ispirazione del lavoro gli sarebbe venuta da un fatto vero accaduto in Giappone, quando una bambina avrebbe cercato di salvare un cetaceo spiaggiato, cercando di rispingerlo in mare. Nell’incertezza ci si lascia trasportare dalla suggestione della scultura, ricordando altre storie. In questo caso viene in mente il romanzo The Whale Rider di Witi Ihimaera – divenuto poi un film nel 2002 – in cui si narra di una bambina maori che sente di essere di diritto la capotribù della propria comunità ma, per quanto capace e brava, viene esclusa perchè femmina. Una notte, col proprio canto richiama le balene dal mare che si arenano in spiaggia: nessun adulto è in grado di salvarle tranne la bambina, che a cavalcioni dell’esemplare principale riesce a salvarle, riportandole al largo. Quale sia l’ispirazione e quale le suggestioni prodotte, poco importa: rimane il fatto che un’opera contemporanea può slegarsi dal contesto stretto di significati e arricchire una città di una storia nuova.
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ARTE E ARTIGIANATO
Sistema Ceramica di Sabina Ghinassi È quasi banale parlare della relazione tra Faenza e la ceramica, ma, in tempi di chiacchiere vane, vale la pena raccontare gli effetti virtuosi della valorizzazione in chiave sistemica di una risorsa che è anche (ma non solamente), artistica e culturale, diventata lo specchio, felice e risolto, di una strategia etica che avvolge un’intera città, mantenendola coerente con la propria storia, la propria identità e in linea con il futuro prossimo venturo. I numeri, grandi, della fiera “Argillà 2016“ ne sono l’esempio, ma, ponendoci fuori dalla moda dei numeri e dei fatturati anche quando si parla di cultura e arte – che è sempre piuttosto fuorviante e sbagliato come pensiero – raccontiamo una città e il suo indice di felicità culturale ed etica diffuso, se i ragazzi, usciti dalle scuole, trovano lavoro, se gli artisti che hanno studiato sui banchi dell’istituto locale sono riconosciuti a livello internazionale, se è una città che accoglie l’”altro”, straniero e innovazione, poco importa. Ed è quindi aperta al confronto e allo scambio, disposta a correre rischi e a evolversi pur rimanendo fedele a se stessa, ad uscire dalla propria comfort zone per rinnovare il suo punto di vista. Attraverso un sistema culturale agile e vivace, Faenza è riuscita a vincere queste scommesse, mettendo in rete tutti i livelli che ruotano intorno alla Ceramica: storia, istituzioni, privati, aziende, formazione (Istituto d’Arte Ballardini, Isia e Corso di Laurea in Chimica e Tecnologie per l’Ambiente e i Materiali di Unibo), musei, artigiani, fondazioni, restauro, arredo urbano, pubblici e privati. Il Museo Internazionale delle Ceramiche è una delle realtà museali più attive e dinamiche della regione e punto di riferimento internazionale per la storia, la tradizione e il restauro fìttile; il suo Premio è uno dei riconoscimenti più importanti del mondo e nello stesso tempo è il sismografo dei nuovi linguaggi per gli artisti che lavorano con la ceramica; ha una direttrice, Claudia Casali, molto competente e allo stesso tempo innovativa. Poi c’è il Museo Carlo Zauli che, oltre ad essere uno spazio espositivo dedicato all’opera del grande scultore, organizza le Residenze d’Artista, incontri che, coinvolgendo un curatore, un ceramista, un gruppo di studenti e l’intera città, diventano ogni volta un processo creativo guidato da un artista che non conosce le regole ceramiche, con esiti unici e sorprendenti dal punto di vista artistico, tecnico e relazionale; allo stesso tempo da alcuni anni ha promosso un Corso per Curatore e un proprio FabLab, con il corso per “Artigiani Digitali”, creato in collaborazione con Ecipar Cna Faenza, dove si impara la progettazione 3D e si può sperimentare liberamente. Sembra quindi che il sistema faentino si sia comportato come la
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Libera e non esaustiva flânerie tra arte e artisti, design, pubblico e privato a Faenza e dintorni ceramica: materiale duttile e immensamente libero per infiniti usi e sconfinate declinazioni, sperimentazioni, contaminazioni. Lo è soprattutto quando entra in contatto con artisti giovani, italiani e stranieri. Barnaby Barford è un artista inglese che, meno eccentrico del Turner Prize 2003 Grayson Perry ma altrettanto valido e apprezzato oltremanica, nella sezione del Victoria and Albert Museum al London Design Festival 2015 ha creato una grande Torre di Babele con 3000 piccole sculture in ceramica che riproducevano i negozi tipici di Londra, etnici e non, rappresentando il melting pot e la gerarchia dei consumi di Londra in chiave critica e ironica (in basso i negozi più poveri, in alto quelli più chic). L’installazione è stata uno dei grandi successi della Design Week. Barford ha affermato che il periodo più stimolante e profondamente ricco per la sua crescita di artista è stato quello trascorso a Faenza a studiare ceramica durante un Erasmus del 1999. Dieci anni dopo, nel 2009 Barford partecipò al Premio Internazionale del MIC, ottenendo una menzione d’onore. Nello stesso
A sinistra, alcune opere di Andrea Salvatori; dall’alto, nell’ordine: Il caso di Pandora, 2016, ceramica e porcellana, cm. 71 x 80 x 54 (foto di Luca Nostri). Sogni d'Oro, 2015, ceramica e vetro, cm. 42 x 46 x 40 (foto di Luca Nostri). Amore... ma che succede?, 2016, ceramica e porcellana, cm. 42 x 46 x 40 (foto di Luca Nostri). Autoritratto, 2015, porcellana, cm . 20,5 x 11 x 9 (foto di Luca Nostri). TuttiTappi Delicious #3, 2016, ceramica e vetro, cm. 77,5 x 26 x 26 (foto di Luca Nostri).
A destra, alcune opere di Bertozzi e Casoni, dall’alto nell’ordine: Madonna scheletrita, 2008, ceramica policroma e argento, cm. h. 200 x 354 x 241. Composizione in bianco, 2007, ceramica policroma e bronzo, cm. h. 150 x 600 x 300. Frida, 2016, ceramica policroma e porcellana, cm. 22 x 25,5 x h. 23,5. Vassoio, 2010, ceramica policroma, cm. h. 18 x 61 x 34,5.
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ARTE E ARTIGIANATO anno di Barford, (ex aequo con il Giappone di Tomonari Kato) il Premio Faenza fu vinto da Andrea Salvatori, altro artista di grande classe, faentino doc cresciuto nelle aule dell’Istituto d’Arte Ballardini e dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, e diventato amatissimo a livello internazionale per il mix incantante di ironia, kitsch, calligrafia tecnica e humor dada delle sue opere, oggetto di slittamenti semantici che spiazzano lo sguardo e sono, nello stesso tempo, altamente seduttivi. Lo stesso pensiero divergente, accompagnato a un mix tra attenzione filologica alla materia e poetica colta e raffinatissima, è la strada percorsa dal duo imolese Bertozzi e Casoni, precedenti come generazione a Salvatori, ma anche loro provenienti dall’Istituto d’Arte Ballardini di Faenza e dall’Accademia di Bologna. Sono entrati, e a ragione, nel gotha del mercato e dell’attenzione degli addetti ai lavori già dagli anni ’80 del secolo scorso. Autori di meravigliose vanitas tutte contemporanee, Bertozzi e Casoni uniscono alla pratica artistica la sperimentazione e la ricerca tecnica sui materiali ceramici più innovativi di derivazione industriale all’interno della Cooperativa Ceramica di Imola. I loro epos ipnotici sono lo specchio dell’infinita trashitudine dei nostri tempi; raggelano, con una sintassi perfetta, la bellezza transitoria e obliqua del mondo, affermandola per mezzo di tableaux vivents di figure retoriche tridimensionali e costruendo una vera e propria grammatica della Meraviglia: ossimori e iperboli affascinanti come la sedia elettrica e le farfalle, il rifiuto e i fiori, lo scheletro-Madonna che falcia l’erba. Un altro artista innovativo e giovane, che lavora – anche – con la ceramica è Nero/Alessandro Neretti, anche lui faentino, Premio Faenza Under 40 nel 2013. Nero è forse l’artista più fortemente iconico e simbolico per raccontare le possibilità espressive della ceramica che, in lui, diventa linguaggio nomadico, concettuale, politico, multidisciplinare, in grado di sviluppare una critica acuta sulla condizione umana, mantenendo salda una qualità alta ed esigente nei confronti della materia e della pratica plastica. La ceramica a Faenza è segnata a più livelli dall’equilibrio tra il registro propriamente artistico, quello legato al design e quello più spiccatamente artigianale. La cosa, altrove fonte di polemica, a Faenza non rappresenta un problema ma, al contrario, diventa una risorsa eccellente per continuare a fare ricerca in tutti gli ambiti. Senza gabbie puriste e veterotestamentarie. Su un versante liminale tra arte e design agiscono, infatti, altre realtà, come Ceramiche Fos, nata come manifattura di ceramica da un’idea di Piero Mazzotti e Andri Ioannou che, anche con la collaborazione di Pastore e Bovina - Studio Elica e Giovanni Cimatti, danno vita a collezioni di oggetti e manufatti fito e biomorfici. Tra tradizione e sperimentazione contemporanea lavora invece Antonietta Mazzotti Antonietta Mazzotti che, oltre a creare collezioni storiche nella Manifattura ricavata nella serra dei primi del ‘900 della dimora di famiglia, percorre anche la strada di artista. Su un versante ancora più particolare, e unico a livello europeo, si muove la Bottega Gatti che, probabilmente, è una delle realtà più innovative e insieme neorinascimentali dell’intera scena creativa italiana. Nata nel 1928, sin dagli esordi la Bottega ha collaborato con i protagonisti del futurismo Balla, Marinetti, Dottori, con Giò Ponti e Giovanni Guerrini ai tempi
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dell’Enapi, e ora è diventata, grazie all’azione appassionata di Davide Servadei, pronipote del fondatore Davide Gatti, il punto di riferimento per molti protagonisti dell’arte contemporanea che vogliono realizzare un’opera in ceramica. Dal laboratorio Gatti, un vero e proprio Atelier nel quale gli artisti sono condotti per mano dentro la materia rispettando la loro poetica e la loro visione, sono passati, tra i tanti: Aldo Mondino, Ettore Sottsass, Arman, Enrico Baj, Giosetta Fioroni, Sebastian Matta, Carla Accardi, Pablo Echaurren, Hsiao Chin, Mimmo Paladino, Agostino Bonalumi, Mike Kelley, Hidetoshi Nagasawa, Vedova Mazzei, Liliana Moro – per problemi di spazio l’elenco è forzatamente sintetico. Così Faenza, grazie a questa rete che unisce cultura, identità, genius loci, accoglienza, arte, collaborazione e spirito imprenditoriale, è diventata un tessuto connettivo ricco e fertile, che attira e muove energia creativa intorno a sé, creando nuove relazioni, commistioni virtuose di cui, alla fine, trae beneficio l’intera comunità, di artisti, artigiani ma anche di semplici cittadini. Il che, in questi tempi mediocri, è un pensiero da copiare. Mutatis mutandis, ovviamente.
Alcune opere di Nero/Alessandro Neretti A sinistra, dall’alto: The knights of the sea or my soul hangs out with bad company, 2014, terracotta smaltata, ferro, legno di recupero, cm. 310x520x450 (collezione privata, foto Andrea Piffari). My mom always said: no alcohol, no drugs, no lies, no easy girls and no slow horses, 2014, terracotta smaltata, cm. 94x62x28, (courtesy dell’artista, foto Andrea Piffari). I nuovi apostoli ovvero paesaggi economico-strutturali, 2010/2011, terracotta smaltata, slim/4 by Florim, passepartout sagomati, legno, vernice nera, cm. 810x390x194 (collezione MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, foto Marco Piffari). In questa pagina: Particolare da: globalization #2, 2014, stampa a getto d'inchiostro su D-°©‐bond cm. 70x50x0,4 (courtesy dell’artista).
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Scorcio della tribuna dello stadio Flaminio di Roma
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Nervi, un grande progettista a confronto con gli spazi dello sport A proposito della mostra itinerante che, anche a Ravenna, ha documentato le opere – in particolare gli stadi – firmati dal geniale architetto dal 1929 al 1969 di Domenico Mollura
Roma, Buenos Aires e Ravenna rendono omaggio – in contemporanea – a Pier Luigi Nervi(1891-1979), e lo fanno con tre distinte iniziative volte a raccontare le opere, tra arte e scienza, di uno dei più importanti progettisti del Novecento. Le Giornate Argentine di Ingegneria Strutturale (28-30 settembre) hanno ospitato la mostra itinerante internazionale “Arte e Scienza della Costruzione”, che oltre ai progetti più noti ha esposto opere realizzate anche nel paese sudamericano, mentre al MAXXI di Roma dal 2 febbraio a 23 ottobre è stato possibile visitare la mostra “Pier Luigi Nervi. Architetture per lo Sport”.
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La filosofia progettuale di Nervi è fondata sull’esperienza operativa e sull’intuito statico, con una costante attenzione al rapporto tra struttura e forma: nelle sue opere la grammatica strutturale è di centrale importanza sia nell’efficienza che nell’estetica dell’edificio e la bellezza nasce dalla sincerità costruttiva dell’architettura. Tratto dalla presentazione alla mostra “Pier Luigi Nervi e gli stadi per il calcio”. Santa Maria delle Croci, Ravenna
P.L. Nervi con Le Corbusier e G.M. Présenté in visita allo stadio Flaminio di Roma, 1960 (Archivio Pier Luigi Nervi, MAXXI, Roma).
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ARCHITETTURE E DOCUMENTI
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La tribuna coperta dello stadio Giovanni Berta di Firenze (foto dello Studio Barsot
Quest’ultimo evento è stato derivato dalla mostra “Pier Luigi Nervi: gli stadi per il calcio” (anch’esso itinerante) che ha fatto tappa proprio a Ravenna dove è stato presentato lo scorso 30 settembre, nell’ambito della “Notte Europea dei Ricercatori”. L’edizione del 2016, dell’iniziativa, promossa dalla Commissione Europea a partire dal 2015, ha raccolto oltre 200 eventi in tutto il continente ed ha animato 52 città italiane su sei diversi progetti. L’obiettivo istituzionale è quello «di creare occasioni diincontro tra ricercatori e cittadini per diffondere la cultura scientifica e la conoscenza delle professioni della ricerca in un contesto informale e stimolante». Nervi – «progettista, teorico, docente, costruttore e imprenditore», come si legge nella presentazione alla mostra – ha fatto proprio della ricerca lo strumento principale della sua sconfinata creatività. Con una «coraggiosa volontà di sperimentazione» e il suo approccio multidisciplinare ha incarnato la figura dell’homo faber di metà Novecento. Come il Magister medievale e rinascimentale, Nervi rispondeva ad una filosofia del progetto in cui froma e contenuto dell’opera erano l’espressione dello stesso principio, maturato già a partire dalla fase degli studi presso la Scuola di Applicazioni per Ingegneri dell’Università di Bologna, dove si laurea nel 1913, e applicato nel corso della lunga pratica operativa; la quale dimostra l’inscendibilità tra architettura e struttura in un progetto di qualità – come evidenziato dall’architetto Gioia Gattamorta, presidente dell’Ordine Architetti di Ravenna, durante la conferenza di inaugurazione. La mostra è il risultato di una ricerca – curata da Annalisa Trentin, Micaela Antonucci e Tomaso Trombetti – che ha coinvolto l’Università di Bologna e il Maxxi di Roma che custodisce l’Archivio Nervi e prima di
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arsotti, 1931
Roma era già stata ospitata a Bologna, Cesena e Firenze. Il percorso, allestito al centro dello spazio di Santa Maria delle Croci, segue un filo cronologico e tramite pannelli informativi a corredo di disegni originali, riproduzioni e fotografie racconta 10 progetti di stadi per il calcio elaborati da Nervi – in collaborazione con il figlio Antonio o con l’architetto romano Cesare Valle – in Italia e all’estero tra il 1929 e il 1969. Questa tipologia esemplifica la ricerca e la produzione Nervi lungo tutta la sua carriere professionale: dallo stadio Giovanni Berta di Firenze (oggi stadio Artemio Franchi) fino al progetto per il Kuwait Sports Center, passando per il progetto di uno stadio monumentale a Rio de Janeiro (da 150mila posti) e lo stadio Flaminio di Roma. La ricerca è stata condotta sul tema degli impianti sportivi in quanto opere note e soprattutto frequentate con costanza, quindi non monumenti ma vive componenti dei contesti urbani e sociali che li ospitano da molti anni. La ricerca è stata anche l’occasione per fare il punto sullo stato di conservazione delle opere di Nervi, tra tutte proprio lo stadio Flaminio, progettato e realizzato – insieme ad altre sedi sportive – in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 che mostravano, con la consacrazione della “mondovisione”, il livello di modernità raggiunto dell’Italia. Quelle opere sono recentemente tornate agli onori della cronaca in occasione del dibattito sulla mancata candidatura della Capitale come sede dei giochi olimpici del 2024. La grammatica tecnica di Nervi ha costruito un linguaggio architettonico riconoscibile e diffuso lungo il corso della rinascita economica postbellica; si pensi all’influenza, più volte richiamata in anni recenti, dei portali del magazzino Sir in Darsena a Ravenna. L’eleganza delle strutture, inoltre, ha rappresentato la cifra dell’opera al pari della sua stessa
L'area è situata a San Bartolo, che dista 7-8 minuti dalla città. Il lotto è in via Cella nella parte centrale del paese: comprende due case abbinate, un terreno edificabile di circa 800 mq; aree di corte, una serie di costruzioni precedentemente adibite a scopo uffici/magazzino/pizzeria. Il lotto ha buone potenzialità per essere riconvertito in un insediamento abitativo/commerciale. Il terreno edificabile, ricco di alberi e cespugli e già configurato come parco/bosco, aumenta la cubatura degli edifici esistenti. Potrebbe, inoltre, essere frazionato in piccoli appezzamenti per la coltivazione a orto, da abbinare alla vendita di nuovi appartamenti da costruire. E rappresentare un valore aggiunto all'acquisto degli immobili, anche in considerazione della scelta sempre più diffusa di coltivare da sé ortaggi e frutta. Per vivere in campagna nel vero senso della parola a pochi chilometri dalla città. Per ulteriori informazioni tel. 339 6401220 - 3386600121
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ARCHITETTURE E DOCUMENTI destinazione, e il nome del progettista vi si lega in modo indissolubile come nel caso dell’aula Paolo VI in Vaticano (1964-71), destinata alle udienze papali e meglio nota come Sala Nervi . La cultura politecnica, sviluppata nel corso degli studi, si riversa in una geniale sperimentazione tecnica e industriale. Infatti per assecondare la sua inventiva Nervi metta a punto delle nuove tecniche costruttive – che brevetta – basate principalmente sulla prefabbricazione di elementi seriali successivamente resi solidali in opera; una pratica realizzativa che aveva anche il vantaggio di standardizzare la produzione, rendendola più economica e di rapida applicazione. Dopo Nervi, la distinzione pratica e normativa tra Ingegnere e Architetto si è fatta via via più marcata accentuando il divario tra le due competenze. L’ultimo esponente di quella Scuola Bolognese, capace di trasmettere conoscenze scientifiche e incentivare l’invenzione delle migliori forme strutturali, è oggi l’ingegnere Massimo Majowiecki, che ha progettato l’elegante velarium dello stadio Olimpico di Roma per i Mondiali di calcio del 1990, le coperture del Pala De Andrè a Ravenna e dei nuovi stadi di Modena, Torino e Atene, con la stessa grammatica di Nervi. L’ingegnere non può limitarsi ad essere un collezionista di formule – commenta Tomaso Trombetti – ed è per questo che nei suoi progetti non vi sono forme superflue e le strutture si svuotano dove i maccanismi delle forze in campo rendono superflui i materiali. La mostra presenta anche un progetto di un piccolo stadio, per una piccola città raccontato, nel corso della conferenza inaugurale, dall’architetto Laura Marino dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, autrice di una ricerca i cui esiti sono stati pubblicati all’inizio del 2016. Nel 1956 il sindaco di Taormina, meta di un turismo raffinato e internazionale, chiama Pier Luigi Nervi con il preciso obiettivo di poter annoverare nella splendida città della costa ionica della provincia di Messina, un’opera d’arte contemporanea. A Nervi viene chiesto di progettare una piscina e il nuovo stadio di calcio. Sarà realizzato solo quest’ultimo per il quale Nervi oltre al progetto seguirà anche i lavori, mentre i calcoli strutturali sono affidati al giovane ingegnere messinese Santi Ruberto. Nel suo disegno Nervi percepisce la forza del paesaggio siciliano, stretto tra il blu intenso del mare e le bianche vette dell’Etna. Come il bellissimo Teatro Antico, lo stadio di Nervi “cerca” il paesaggio e vi si adagia senza stravolgerne l’orografia con due sole gradinate aperte sullo Ionio. La pensilina a sbalzo si attesta sul costone nord dell’abitato con il doppio ruolo di copertura degli spalti e piazza pubblica affacciata sul paesaggio. La sapienza tecnica in questo progetto si fonde con la conoscenza della storia dei luoghi e la valorizzazione del contesto diventaelemento del progetto stesso. Lo stadio di Taormina può considerarsi come opera minore e poco conosciuta ma è nella piccola scala del progetto siciliano che emerge la grandezza del maestro Nervi.
Dallalto, nell’ordine: P.L. Nervi, Progetto dello stadio Giovanni Berta di Firenze, prospettiva dell'esterno delle tribune scoperte con una delle scale elicoidali, 17 novembre 1931 Ascf, Fondo Comune di Firenze, car. 213/019, 028270 (su concessione dell'Archivio Storico Comunale di Firenze). P.L. Nervi, Tribuna per lo stadio di Swindon (1963). Elaborazioni grafiche a cura di Laura Biondini ed Elena Giovannini. Model of Kuwait Sports Centre (Archivio Pier Luigi Nervi, Maxxi, Roma). Studio Nervi, modello della sezione dell'anello perimetrale dello stadio per il Kuwait Sports Centre (Archivio Pier Luigi Nervi, Maxxi, Roma).
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ORDINE ARCHITETTI RAVENNA
Con la collaborazione di Con il patrocinio di
Comune di Ravenna
Comune di Faenza
Comune di Cervia
Comune di Forlì
Comune di Cesena
ciclo di conferenze 2016 O t t o i n c o n t r i / c o n f ro n t i fra protagonisti esperti ed emergenti della progettazione contemporanea c o n t a v o l a ro t o n d a Andrea Dal Fiume Imola
Giovedì 17 MARZO Salone Nobile
Palazzo Rasponi RAVENNA
De Gayardon Bureau Cesena
Mauro Crepaldi
Giovedì 21 APRILE Show Room
Mide Architetti
Copparo (FE)
Oggetti d’Autore
Venezia
FORLÌ
Rossi&Tarabella
Giovedì 19 MAGGIO Show Room
Milano
Studio T
Bologna
RAVENNA
Zamboni Associati Architettura Reggio Emilia
Ciclostile Architettura
Giovedì 16 GIUGNO Padiglione delle Feste
Cavejastudio
Terme di Castrocaro
Forlì
CASTROCARO (FO)
Nicola Marzot
Giovedì 14 LUGLIO Cantina
Alvise Raimondi
Bologna
La Pandolfa
Cesena
PREDAPPIO (FO)
Diverserighestudio
Giovedì 15 SETTEMBRE Sala Conferenze
Bologna
Magazzini del Sale CERVIA (RA)
Alberto Giorgio Cassani Ravenna
Massimo Iosa Ghini Bologna
Giovedì 13 OTTOBRE Foyer
Teatro Bonci CESENA Giovedì 17 NOVEMBRE Sala Conferenze
Pinacoteca Comunale FAENZA
ore 20 Apertura, registrazione crediti formativi ore 20.30 Spazio imprese ore 20.40 Architetti emergenti ore 21.20 Architetti esperti ore 22.15 Tavola rotonda ore 23 Brindisi e saluto conviviale
InOut Architettura Ferrara
Francesco Di Gregorio Parma
ETB Tessari/Bandiera Treviso Info Reclam tel. 0544 408312 redazione@trovacasa.ra.it - www.reclam.ra.it
Comitato scientifico Gianluca Bonini, Giovanni Mecozzi, Filippo Pambianco Organizzazione, promozione, documentazione Reclam edizioni e comunicazione srl – Casa Premium rivista dell’abitare Aziende sostenitrici
Aziende partner
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Le aste immobiliari e le aste private Il futuro alla luce della nuova normativa di Paolo Bolzani
Questo il titolo del Convegno organizzato da Asnes, Associazione Notai per le Esecuzioni Mobiliari e Immobiliari di Ravenna, che si è tenuto al Pala De Andrè per l’intera giornata di venerdì 21 ottobre. La presenza del Sindaco Michele De Pascale, del Prefetto Francesco Russo, del Presidente del Tribunale Bruno Gilotta e dei presidenti dei consigli professionali provinciali interessati, ha segnalato l’importanza dell’evento, dal carattere sia informativo, sulle ultime novità normative, ma anche formativo per circa seicento persone. La numerosa partecipazione al Convegno di notai, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, ma anche di architetti, ingegneri e geometri e in generale di tutti gli operatori coinvolti nel settore è stata tale da richiedere un incremento di spazio oltre alla prevista Sala Rossa, trovato nella Sala Marmi del Pala, dove molte centinaia di persone hanno potuto seguire l’andamento dei lavori in streaming. Per meglio divulgare i contenuti principali della giornata ci siamo rivolti all’organizzatore dell’evento, il notaio Andrea Dello Russo, presidente di Asens. Come si è svolta la giornata e quali ne sono stati gli aspetti più rilevanti? «È stata una giornata molto interessante sia per l’ampia partecipazione di professionisti interessati al settore delle aste telematiche, sia per l’ampio spessore dei relatori presenti. In aprticolare va sottolineato il tracciato esposto dell’evoluzione della disciplina. A partire dal 1998 ad oggi i professionisti delegati dal giudice dell’Esecuzione (dal 1998 al 2005 solo i notai. Dal 2006 ad oggi anche avvocati e commercialisti) hanno dimostrato di poter coadiuvare egregiamente i magistrati e le cancellerie in un lavoro che prima era molto più lento, macchinoso e poco trasparente. Sono state analizzate non solo le nuove norme adottate dal Legislatore in tema di processo esecutivo con lo sdoganamento dell’asta telematica, ma anche i possibili utilizzi della stessa anche tra semplici cittadini privati. Un metodo che non solo rende più semplice la partecipazione all’asta, ma che amplia la platea dei possibili offerenti e favorisce la trasparenza della intera procedura». Qual è lo “stato dell’arte” con riferimento all’ambito nazionale e le sue peculiarità in provincia di Ravenna? «Dal quadro normativo introdotto dalle modifiche sia del 2015 che
Nella pagina a destra, in alto, il programma dell’incontro ravennate dedicato al tema delle aste immobiliari promosso dall’Asnes. Nella foto, a fianco il notaio Andrea Dello Russo, presidente di Asnes e organizzatore del convegno.
del 2016 è stata sottolineata la volontà del Legislatore di preferire al criterio di massimo realizzo, il criterio della massima celerità della liquidazione al fine di chiudere la procedura giudiziaria per incamerare risorse: ne è esempio il nuovo articolo 591 c.p.c., che consente al Giudice dell’esecuzione di ridurre il prezzo d’asta sino alla metà rispetto a quello precedente a partire dal quinto esperimento di vendita. Così se immaginiamo che un bene viene messo in vendita ad euro 100.000,00, dopo il quarto tentativo di vendita andato deserto, potrebbe essere aggiudicato a circa 16.000,00 euro. Il Giudice Rossi ha parlato di proposte di “outlet immobiliare”. Una decisione che forse svilisce il diritto di proprietà a favore di una pronta liquidazione ed una rapida estinzione della procedura. Ricordiamo infatti che l’Italia è ancora oggi fanalino di coda in Europa per la lunghezza del processo. Circa l’utilizzo dell’asta telematica oggi solo alcuni Tribunali Italiani ammettono per le procedure esecutive la possibilità di utilizzare il sistema dell’asta telematica perché il Ministero della Giustizia non ha ancora emanato le norme tecniche richieste dal DM 32/2015 utili alla realizzazione del software necessario alla cifratura delle offerte e all’istituzione dell’albo delle società che possono essere abilitate alla gestione informatica delle aste. L’asta telematica è invece già realtà tramite la Ran – Rete Aste Notarili –, che è il sistema informatico nazionale di gestione delle aste di cui si è dotato il Notariato, che consente sia agli Enti pubblici, sia alle procedure fallimentari, sia ai privati di indire aste telematiche per il tramite uno degli studi notarili abilitati, con un sistema che già prevede una doppia chiave di cifratura, come richiesto dal citato DM 32/2015. In tal modo è possibile alienare gli immobili tramite asta notarile telematica: qualsiasi offerente può depositare la propria offerta da uno qualsiasi dei notai abilitati (allo stato oltre 800 in tutta Italia), che possono ricevere offerte sia cartacee che digitali, queste ultime anche tramite la consegna del loro contenuto su una semplice pen drive. Un sistema che grazie alla Ran ha permesso all’INAIL di aggiudicare tramite asta telematica la maggior parte degli immobili facenti parte della dismissione del patrimonio. Si pensi che l’INAIL tramite asta telematica ha incassato oltre 10 milioni di euro, con un incremento medio del 10,8 % rispetto alla base d’asta proposta e passando da un’aggiudicazione di appena il 14% nel 2013 (quando non utilizzava il sistema dell’asta telematica) ad oltre il 55% nel 2015 (utilizzando l’asta telematica). E tale sistema può oggi essere utilizzato anche da un qualsiasi cittadino o impresa che intenda vendere il proprio immobile. Lo stesso infatti può indire un’asta telematica che possa permettergli di ricevere il miglior prezzo offerto dal mercato, partendo ovviamente dal prezzo base che ritiene di proporre. A Ravenna il Tribunale ancora non ha adottato il sistema dell’asta telematica né per le procedure esecutive, né per le procedure concorsuali, ma ritengo che almeno per queste ultime (ripeto per le procedure esecutive mancano ancora le norme tecniche) potrebbero esservi novità in quanto è un sistema che sta dimostrando essere molto competitivo e vantaggioso sia per la procedura che per il debitore. In ogni caso anche a
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zazione della Giustizia, mira ad ampliare la platea di possibili offerenti e a diminuire i costi, perché permette a chi vuol partecipare ad un’asta di non essere presente nel luogo in cui la stessa si svolge».
Ravenna è possibile partecipare, tramite uno dei notai abilitati (siamo 12 in provincia) ad una qualsiasi delle aste presenti sulla Rete Aste Notarili. Il mese scorso un offerente si è aggiudicato tramite asta telematica un immobile in Sardegna posto in vendita da una procedura fallimentare del Tribunale di Brescia, partecipando dal mio studio all’asta telematica che si stava tenendo a Brescia». Cosa comportano le principali novità della normativa di settore? La nuova normativa introdotta dal DL 59 del 2016 (recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione), prevedendo che le aste relative alle procedure esecutive giudiziali debbano avvenire secondo modalità telematiche (salvo che ciò risulti pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura), oltre a rispondere ad un’esigenza di informatiz-
Tra gli ultimi interventi al convegno c’è stato quello di Pietro Luca Bevilacqua, Presidente della Commissione Odcec Napoli - Diritto Penale dell’economia, che ha parlato della custodia dei beni e l’asta tra privati come modalità di collocazione dei beni sequestrati alle mafie. Può parlarcene? «Il dottor Bevilacqua è spesso nominato custode per i beni sequestrati alle mafie. Un fenomeno purtroppo in continua espansione. È stato dimostrato che l’aggressione dei patrimoni illeciti, tramite il sequestro e la confisca, costituisce oggi un indispensabile mezzo di contrasto alla criminalità organizzata: la grande efficacia di tali strumenti ha reso evidente come essi siano ormai assai più incisivi rispetto alle pene detentive inflitte con le sentenze di condanna e la consapevolezza di tale efficacia ne ha determinato una applicazione sempre più diffusa che registra una crescita esponenziale, non solo nei territori dell’Italia del sud, noti per la storica infiltrazione criminale nel tessuto sociale. Si pensi che secondo i dati del Ministero della Giustizia, al centro nord negli ultimi cinque anni, sono stati sequestrati beni per il 27% del totale italiano. Il sistema dell’asta telematica, con una identificazione forte dei soggetti che possono partecipare alle aste, potrebbe sicuramente contribuire a migliorare la percentuale di aggiudicazione degli immobili sequestrat»i.
Nelle foto, alcuni immagini del convegno, organizzato a Ravenna dall’Asnes e incentrato sulle nuove normative delle aste immobiliari, a cui hanno partecipatico autorevoli magistrati, notai, avvocati, docenti universitari e studiosi, esperti del settore.
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[IP] SHOW ROOM
Edilblock, l’azienda che da altre 20 anni è un punto di riferimento per il riscaldamento Una vasta esposizione e l’assistenza interna per seguire al meglio ogni cliente Edilblock è stato il primo a presentare le stufe a pellet in Romagna, di cui ora è diventato punto di riferimento a livello territoriale. Da trent’anni, l’azienda è gestita da Davide Giudizi, ma in realtà per conoscere le origini dell’attività di Villanova di Bagnacavallo, bisogna risalire al 1975, quando il padre – Gino Giudizi – l’ha fondata insieme ad altri due soci, che erano anche suoi cognati. Poi uno di questi ultimi se n’è andato e così, nel novembre 1986, è subentrato Davide. Dopo tre anni, anche l’altro socio ha abbondonato. Nei primi anni Davide si occupava soprattutto della consegna della merce, prendendo gradualmente confidenza con il settore che lo ha appassionato sempre di più. Al punto che nel 1994 ha aperto una succursale a Bagnacavallo in via Liguria 1, per la precisione una sala mostra di 500 metri quadrati, con stufe a pellet, caminetti, arredo bagno e pavimenti. Risale invece al 2008, la decisione di specializzarsi solo in stufe a pellet, stufe a legna e caminetti, di cui ormai è diventato leader. «Vent’anni fa – racconta Davide Giudizi, sono stato il primo in Romagna a intuire le potenzialità del mercato del pellet. Ci ho sempre creduto e ho saputo trasmettere alla gente la validità di questo prodotto, presentandolo anche alle fiere e durante eventi, spiegando al pubblico la sua funzionalità e tutti gli elementi di qualità che possiede il pellet. Il tempo mi ha dato ragione, se si considera che oggi Edilblock può essere considerata una delle prime aziende di vendita di stufe a pellet in termine di esperienza e importanza. Al riguardo, siamo anche in grado di fornire assistenza post vendita, attraverso il controllo delle caratteristiche termiche, interventi in tempi brevi e forniture di pellet». Nell’ampia sala espositiva, i visitatori possono ammirare circa novanta stufe a pellet, oltre a una ventina di caminetti completi di ri-
vestimento. Per chi vuole saperne di più, anche stando comodamente a casa, sul sito web aziendale www.edilblock.it, è possibile effettuare un tour virtuale dello show-room. «Il 90 per cento dei miei clienti utilizza stufe a pellet – racconta Giudizi –. Numerosi sono i vantaggi che offrono. Anzitutto, scaldano in fretta e si adattano con maggiore facilità agli interni. Sono molto facili da gestire, visto che si accendono con un pulsante, con possibilità anche di auto-accensione, e con meccanismi controllati da un termostato. Grazie agli sviluppi tecnologici più recenti, sistemi informativi posti all’interno delle stufe a pellet controllano le condizioni di sicurezza. Si puliscono con la spugna e producono poca cenere. Sono inoltre silenziose e sicure e dotate di una bella estetica. Nel corso degli anni, infatti, le stufe a pellet hanno cambiato notevolmente il loro aspetto, per seguire mode e tendenze dell’arredamento: un design moderno e ricercato ha sostituito i primi modelli rudimentali». Per restare al passo coi tempi, Edilblock ha quindi saputo capire – e talvolta anticipare – le necessità della clientela fornendo tutta una serie di soluzioni su misura. «In tempi di ristrettezze economiche – conclude il titolare Davide Giudizi -, la gente guarda molto al risparmio e quindi al prezzo. Economicità e rispetto dell’ambiente sono altri indiscutibili vantaggi del riscaldamento a pellet. I prezzi oscillano dai 500 ai 5 mila a seconda della qualità e del livello di finiture. Ciascuno può scegliere quella più adatta alle proprie esigenze. A livello aziendale, il segreto del nostro successo è stato quello di specializzarci sempre più su un prodotto dalle mille potenzialità». Pur concentrandosi in particolare sulle stufe a pellet, Edilblock è in grado di fornire un grande assortimento anche di cucine a legna, termocucine e caldaie, barbecue delle migliori marche. La sala espositiva è aperta dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 12.20 e dalle 14.30 alle 19, il sabato dalle 8.30 alle 12.20.
BAGNACAVALLO (RA) Via Liguria, 1 - Tel 0545 62637 www.edilblock.it
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SPAZI DELLA CULTURA
«A me non rimane altro che patire tutte le offese che subiscono le donne e ripetere e ancora ripetere fino alla fine dei miei giorni che per avere due soggetti dialoganti e qui anche amanti è necessario mutare l'educazione a tutti i livelli. Pubblici e privati. È urgente trasmettere e studiare la storia ricca di senso che appartiene alle donne, le grandi assenti. È proprio questa assenza la causa principale dell’incapacità del pensiero umano di conoscersi nella dualità di uomo/donna»
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Vista della terrazza panoramica dello studio. A destra: Mariella Busi De Logu, Passus, 2012, tempera su cartone, cm 18 × 18.
Mariella Busi De Logu, «I rapporti umani. La necessità di ripartire da lontano», in “Wall Street International”, sezione Arte e Cultura, 22 giugno 2016
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Cercando il luogo degli Dei Intervista a Mariella Busi De Logu di Marina Mannucci Nel mese di agosto sono stata invitata a una riunione presso lo studio d’artista di Mariella Busi De Logu. Uno spazio inaspettato, che si affaccia su una spettacolare terrazza panoramica che abbraccia una vista aerea di Ravenna, spingendosi a 360 gradi fino alle colline. Mi sono presentata a Mariella – non la conoscevo – e ho provato verso di lei un’istantanea simpatia. Al termine dell’incontro ci siamo accordate per un’intervista. Nel mese di settembre sono tornata nel suo studio osservando con più attenzione le sue opere, tavole, scudi e scritti, per poi ascoltarla raccontare. L’iniziale simpatia si è mescolata a un senso di sorellanza, un sentimento di reciproca solidarietà femminile, basato su una comunanza di condizioni, esperienze, aspirazioni. «Per raccontarsi è necessario partire da lontano. Da quando eravamo bambine/i, ci sono luoghi e situazioni che lasciano un’impronta. Poi, per tutta la vita, cerchiamo di comprendere come confrontarci con queste tracce, questi segni, che portiamo in noi. I luoghi della mia infanzia e della mia adolescenza sono Cesena e Fano. A Cesena sono nata, a Fano ho trascorso molto tempo a casa dei miei nonni. La mia natura era silenziosa, appartata, ero brava in educazione fisica, mi piaceva la danza, suonare il pianoforte e recitare, ma non riuscivo mai a finire i compiti in classe. Da ragazzina tenevo dei quaderni che riempivo di storie; erano quei quaderni di una volta con la copertina di cartoncino nero e con i fogli interni a righe e con il bordo rosso, con la tabella dell’orario settimanale nella pagina iniziale e la tavola pitagorica in quella finale. A scuola non andavo tanto bene e così, mentre i miei trascorrevano le vacanze estive in montagna, io passavo quei mesi con i nonni di Fano (ho sempre pensato che questa fosse una cosa crudele). In realtà il nonno Nazareno, ingegnere e uomo colto, trascorreva molto tempo con me leggendomi favole, alcune anche in francese ed è a lui che devo la mia prima educazioneformazione. Sempre a Fano c’era anche la zia Maria che passava
l’estate a dipingere acquerelli. Nella stanza dove trascorrevamo diverse ore, chi a leggere, chi a dipingere, chi, come me, ad ascoltare i racconti del nonno e a guardarmi attorno, c’era anche un tavolo con la base di marmo rosa con sopra diversi fossili e io ci giocavo, cambiavo le loro posizioni, li allineavo in modi differenti, creavo nuovi insiemi. Nel giardino della casa dei nonni rimanevo anche ore e ore seduta su un ramo di un grande pino scrutando con attenzione la natura che mi circondava. L’osservazione della natura e della vita che si svolgeva nei campi mi ha portato a sviluppare una coscienza ecologica che ho poi trasferito anche in campo artistico. È una passione e quindi anche un patire. È in questo periodo dell’infanzia, tempo delle verità assolute, che mi sono formata. L’adolescenza è invece stata più proiettata all’esterno e la ricordo come un periodo di maggior fragilità. Appena diplomata, ho iniziato immediatamente a insegnare Storia dell’Arte al Liceo Classico “Dante Alighieri” e, successivamente, Discipline pittoriche al Liceo Artistico “Pier Luigi Nervi”. Poi nella mia vita è avvenuto l’incontro della mano con la mente, della conoscenza con la coscienza e l’istinto si è saldato con essa. Ho cominciato con la tecnica dell’incisione. Nel tempo, le storie e le figure tracciate nei quaderni dalla copertina nera, da un’iniziale Scrittura Visiva, si sono trasformate in Manoscritti. Ed è nei Manoscritti che sono riuscita a mettere insieme nello spazio del foglio scrittura e immagini: un mio modo per lavorare intorno al concetto di vuoto e di assenza. Ho incontrato le opere di Ildegarda di Bingen, di Anicia Giuliana e di altre grandi donne del passato e del presente e ho iniziato a lavorare alle Grandi Pagine. Il gioco nella mia vita ha avuto una grande rilevanza, dando origine ai lavori più complessi che ho realizzato. Nei primi anni ’80, mi sono imbattuta in un libro che parlava della civiltà Nazca; il mistero e la potenza di questa civiltà colpirono profondamente la mia immaginazione e iniziai a sperimentare tecniche e forme artistiche quasi impossibili come il tentativo di far convivere fogli
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SPAZI DELLA CULTURA
Sopra, da sinistra: Vista dello studio. Mariella Busi De Logu, Grande Pagina, 2014, acrilico su carta da scena intelata, cm 180 × 90 (a sinistra). Mariella Busi De Logu, Grande Pagina, 2016, acrilico su carta da scena intelata, cm 180 × 90 (a destra). Mariella Busi De Logu, Le stanze della memoria, 1994, manoscritto, china acquerellata su carta, cm 35,5 × 25,5. Mariella Busi De Logu, Le stanze della memoria, 1994, manoscritto, china acquerellata su carta, cm 35,5 × 25,5. Sotto, da sinistra: Particolare dello studio. Mariella Busi De Logu, Le stanze della memoria, 1994, manoscritto, china acquerellata su acetato e su carta, cm 47 × 35. Mariella Busi De Logu, Il tempo imperfetto, 2009, manoscritto, china acquerellata su carta, cm 28 × 20. Mariella Busi De Logu, Il tempo imperfetto, 2009, manoscritto, china acquerellata su carta, cm 28 × 20.
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di acetato con gli inchiostri di china. Elaboravo gli animali tracciati dal popolo Nazca: scimmie, balene, lucertole, colibrì, condor, ragni, cani. I cicli del mio lavoro, fino agli anni ’90, sono “Il magico primario” o, come li chiamavo allora, “Il luogo degli Dei”, i “Tre scudi”, le “Vulcanologie”, la “Mano sinistra” e gli “Intoccabili”: piccole o grandi aggressioni ai fogli di acetato o di carta, al vetroresina, al cartone. In quel periodo la mia anima era nera e andava a fondo in compagnia del mio lavoro. Anzi oscillava tra il bianco e il nero perché m’immergevo nella polvere nera, poi, con panni bianchi, pulivo. Il mio tempo si consumava in un ciclo continuo: nero, bianco e di nuovo nero. La luce nei miei “Scudi” e negli “Intoccabili” nasce dal rovescio. A un certo punto ho cominciato, però, a rilevare sfumature e circostanze anche minime del mondo naturale intricato e luminoso; ho dato vita così alle Tavole Botaniche. Contemporaneamente, ho continuato la strada del manoscritto. Dal desiderio di far convivere nello stesso lavoro, in reciproche intimità, scrittura e vocabolario botanico, sono germogliate grandi pagine
che evocano le antiche miniature. Nel 2011, con l’aiuto di amiche e amici, ho realizzato presso la Manica Lunga della Biblioteca Classense la mostra personale Nero scarlatto, pensata come una foresta nella quale convivevano scrittura e immagini che avevano origine dalla ricerca di antichi codici miniati e tavole botaniche. L’artista Gerardo Lamattina ne ha interpretato poeticamente il carattere in un video. I miei lavori si sono via via mescolati anche a un’arte visibile delle relazioni. Giuliana Anicia è qui?, Gli alberi erano dei, Splendore oscurità, Come quel fiume… che si chiama Acquacheta sono performance artistiche in cui ho lavorato con decine e decine di artiste e artisti, docenti e allievi del Liceo Artistico “Nervi-Severini” di Ravenna. In tali opere sono partita da una memoria personale e, insieme, collettiva di tempi in cui era ancora possibile vivere in una natura non degradata fino a giungere alle devastazioni contemporanee. In questi giorni ho appena finito di smontare una mia mostra antologica dal titolo Il dritto e il rovescio all’Aula Piana della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Sono sod-
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disfatta perché sono riuscita a far conversare il mio lavoro con uno spazio così prestigioso. È stata una bell’impresa. Ora devo riprendere le prove di un evento che ho realizzato l’anno scorso al circolo Mama’s di Ravenna, e che, il 25 novembre alle 21 e 30 verrà ripresentato, sempre lì, arricchito di nuovi elementi. Il titolo è “Ritratti di donne” e il sottotitolo “Concerto a più corpi”. In questo lavoro penso di aver fatto qualcosa di rivoluzionario. La rivoluzione parte dalla prima scena quando Gigi Tartaul appoggiata la mano sulla spalla di Cristiana Zama con la sua voce autorevole dice: “Sono Silvana e vengo da Novi Ligure...”; e mentre il concerto prosegue con azioni di più corpi e suoni, Gigi continua a leggere in prima persona la vita di donne che hanno fatto scelte coraggiose e hanno tracciato
un percorso autonomo e libero da ruoli prestabiliti: tutte ricche di solidarietà umana. Desidero così che un uomo, senza travestimenti, s’immedesimi nella vita di una donna e ne riconosca l’irripetibile soggettività. Gli elementi condivisi nell’ordine reale e simbolico sono la bicicletta e il frutto del peccato, la mela. Naturalmente se non avessi avuto la collaborazione di Monica Marcucci, Paola Barbaro e Cristiana Zama per le Azioni, di Federica Maglioni per i Suoni, di Catia Gori per la direzione del Coro di bambine e bambini, di Gianluigi Tartaull per la Voce, questo lavoro non avrebbe potuto prendere corpo, voce e suono. Sarebbe rimasto nella mia mente. A loro e a Valeria Nonni devo quasi tutto. Tutto qui».
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CERTIFICAZIONE ENERGETICA PER IMMOBILI A PARTIRE DA €100 + IVA
Mariella Busi De Logu ha collaborato con le riviste “Stilo”, “Lucrezia Borgia”, “Harta Performing”, “Numero zero”, “Percorsi di navigazione”, “L’arte e la politica”. Per le Edizioni R.L. Stamperia d’arte di Ravenna, nel 1990, ha pubblicato il libro d’arte Pesce fuor d’acqua, a cura di Marisa Vescovo. Con Maurizio Bonora ha realizzato il libro d’arte Il taccuino di Esculapio, Tipografia Artigiana, Ferrara, 1993; per il volume Arte immateriale Arte vivente, a cura di Roberto Barbanti, Edizioni Essegi, Ravenna, 1992, ha scritto il testo Per necessità il caso. Nel 2011, per Editrice dell’Altritalia di Roma, ha pubblicato RAVENNA ravenna e Nero scarlatto. Dal 2012 è autrice ufficiale della sezione Arte e Cultura del “Wall Street International Magazine”. Molte le mostre personali e collettive in Italia e all’estero.
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Sopra, da sinistra: Mariella Busi De Logu, Il tempo imperfetto, 2009, manoscritto, china acquerellata su carta, cm 28 × 20. Mariella Busi De Logu, Læta scientia. Conversazione con Ildegarda di Bingen, 1998, manoscritto, china su acetato, cm 30 × 22. Sotto, da sinistra: Mariella Busi De Logu, Pesce fuor d’acqua, serigrafia, cm 42 × 31, Ravenna, R.L. Stamperia d’arte, 1990, libro d’arte a cura di Marisa Vescovo. Mariella Busi De Logu, Tre scudi, 1992, acrilico su vetro, resina e ferro, cm 120 × 46, particolare, chiesa di Santa Maria Assunta, Spinea (Venezia), foto di Andreas Henk. Tutte le foto, tranne quella dell’opera Tre scudi, sono di Alberto Giorgio Cassani.
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Lanciare il cuore e la mente oltre le catastrofi Serve una svolta culturale, rendere meno fragile un Paese ingentilito e antropizzato dagli antenati. Un bene comune la cui responsabilità è collettiva di Marco Turchetti * L’Italia rappresenta in tutti i suoi aspetti il Paese dove più si è sviluppata l’attenzione per la città storica e con punti di vista anche molto diversi. È sufficiente pensare a Saverio Muratori o a Roberto Gabetti, a Franco Albini o a Carlo Scarpa. O ancora al piano urbanistico di salvaguardia del Comune di Bologna approvato nel 1969 e gestito dall’assessore all’urbanistica Pier Luigi Cervellati che diventerà in pochi anni un’icona irrinunciabile per chiunque si occupasse di centri storici. Non è dunque la conoscenza o la cultura a mancare. Quello che manca è la percezione di un tessuto di borghi e paesi che ha il suo valore non nel singolo concetto di centro storico, ma nella rete di riferimenti culturali, sociali, simbolici che li accomuna. I recenti terremoti sono avvenuti proprio nel mezzo di alcuni processi ormai in corso da anni e paradossalmente potrebbero accelerarli. Da un lato, il rischio di abbandono, dall’altro le incognite legate alla “ricostruzione”, parola tra le più ambigue. Le tecniche che saranno utilizzate dovranno essere più sicure e allo stesso tempo più conservative dell’originale con il risultato che il valore degli edifici sarà destinato ad aumentare. Esiste un’alternativa a questa salvaguardia attraverso l’arricchimento del valore del bene che si ricostruisce? Oppure esiste anche un diritto di cittadinanza che si può riaffermare in termini non assistenziali per comunità quasi senza economia?
Lo spostamento di quelle popolazioni appare quasi inevitabile conseguenza della sostituzione di valori che le città storiche hanno già vissuto con l’espulsione delle classi lavoratrici. Le catastrofi troppo spesso cambiano diritti, attori in scena, senza preannunciarlo, proprio come fanno le scosse sismiche. Per ricostruire, va rimotivato quell’intreccio di saperi, professioni, artigiani, scienziati, restauratori, studiosi che sono stati tenuti ai margini della forma sociale non solo economica della civilizzazione contemporanea. Quel che ci aspetta è un profondo cambio di mentalità: e non è inutile ricordare come questo sia il più complesso e lungo cambiamento su cui si possa scommettere. La progettazione prima di tutto, per far sì che con la ricostruzione non si disperda il valore storico, artistico e culturale dei nostri borghi millenari. E’ un rischio reale, al quale però dobbiamo rispondere con un no secco e deciso. Progettare è urgente. Il rigore strutturale non può bastare: occorre anche uno sforzo unitario affinché i comuni distrutti dal sisma tornino ad avere caratteristiche il più possibile analoghe a quelle del passato. D’altronde si tratta della necessità più profonda che sta emergendo in queste ore anche dalle parole delle popolazioni terremotate. Un’esigenza che l’Italia – per le sue peculiarità storiche e culturali – non può permettersi di sottovalutare, questi territori rappresentano una parte vitale e imprescindibile del nostro Paese, con le sue tradizioni e le sue eccellenze amate in tutto il mondo. Si pensi all’altopiano di Castelluccio di Norcia con le sue celebri lenticchie che
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vengono vendute e mangiate ovunque. E’ giusto che gli agricoltori di quel territorio tornino ad avere il loro habitat originario, ovviamente con caratteristiche di sicurezza e di modernità adeguate. Il pericolo, altrimenti, è che queste aree vengano abbandonate per sempre. Per dirla più semplicemente bisogna elaborare un piano che non si sostanzi in un frettoloso sistema di otturazione dei buchi. Ciò che serve è un atteggiamento preveggente che rafforzi la capacità di resistenza al sistema nelle zone a più alto rischio e che garantisca, al tempo stesso, una ricostruzione che tenga conto del vissuto di questi territori. A questo riguardo la cultura italiana ed europea si differenzia nettamente, ad esempio, da quella del Giappone dove i terremoti sono ancora più duri e ricorrenti che nel nostro Paese. Nel Sol Levante le case non sono considerate monumenti, ma formano un tessuto quasi provvisorio di costruzioni. Da qui la relativa serenità che vige quando si tratta di ricostruire, perché in tal senso – salvo alcune eccezioni – non si avverte la necessità di ricreare le condizioni e le caratteristiche del passato. Un ragionamento valido per il Giappone ma inapplicabile a noi, uno degli aspetti più significativi della nostra cultura è rappresentato dal valore in sé che per noi rivestono i borghi e i paesi e, con loro, gli edifici che vi sorgono. Anche le case più umili, più povere – e non solo gli edifici monumentali – possono essere portatrici di una qualità artistica inarrivabile. Anzi in molti casi è proprio l’ambiente
Sotto, da sinistra: Il piano urbanistico di salvaguardia del Comune di Bologna approvato nel 1969 e gestito dall'assessore all'urbanistica Pier Luigi Cervellati diventerà in pochi anni un'icona irrinunciabile per chiunque si occupasse di centri storici. Lo spostamento di quelle popolazioni appare quasi inevitabile conseguenza della sostituzione di valori che le città storiche hanno già vissuto con l'espulsione delle classi lavoratrici. Castelluccio di Norcia con le sue celebri lenticchie. È giusto che gli agricoltori di quel territorio tornino ad avere il loro habitat originario, ovviamente con caratteristiche di sicurezza e di modernità adeguate. In alto: a Norcia è la cittadina in quanto tale a rappresentare un capolavoro, con le sue case che si allineano e che vanno a costituire un insieme omogeneo. Al centro: in Giappone le case non sono considerate monumenti. Da qui la relativa serenità che vige quando si tratta di ricostruire, non si avverte la necessità di ricreare le condizioni e le caratteristiche del passato.
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urbano l’elemento principale delle nostre città, ci sono paesi in cui la qualità complessiva dell’habitat è molto più importante della presenza di alcuni monumenti. Certo a Norcia ci sono la Castellina del Vignola e la Basilica di San Benedetto che purtroppo è crollata. Però è la cittadina in quanto tale a rappresentare un capolavoro, con le sue case che si allineano e che vanno a costituire un insieme omogeneo. In Giappone, dunque, così come in altri Stati – da questo punto di vista – tutto è più facile perché basta ricostruire con rigore tecnico e strutturale. In Italia, invece, c’è qualcosa in più da considerare e rispettare, purtroppo e per fortuna abbiamo questa grande eredità da conservare: il senso del nostro Paese come opera d’arte, che ci impone una responsabilità aggiuntiva. Elemento che deve costituire la principale bussola di riferimento da seguire per procedere alla complessa fase della ricostruzione a cui è essenziale faccia
riferimento anche la politica: Occorre una nuova sensibilità. E se la politica dovesse dimostrarsene priva, bisogna allora che il mondo della cultura alzi compatto la sua voce. La politica e le istituzioni non potranno non ascoltare. Come disse Sandro Pertini, dopo il terremoto in Irpinia: il miglior modo di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi. Aveva ragione, quindi difendiamoci. Non possiamo tollerare che crollino interi paesi e centinaia di persone restino sepolte sotto le macerie. Il terremoto è un mostro, ma possediamo le tecniche e le conoscenze per proteggerci. Deve entrare in modo permanente nelle nostre coscienze ancora prima che nelle leggi, abbiamo il dovere di rendere antisismici gli edifici in cui viviamo, così come è obbligatorio per un’automobile avere i freni che funzionano. Nessuno si metterebbe in viaggio con una macchina che non frena, invece tantissime famiglie vivono incoscientemente in zone sismiche in case insicure. C’è qualcosa che non torna. Per far partire questo grande cantiere si comincia applicando la scienza della diagnosi, che è precisa, oggettiva, per l’appunto scientifica. Come un bravo medico fa la diagnosi prima di prescrivere una cura o consigliare un’operazione, la diagnosi consente anche nelle case d’intervenire solo dove è necessario. Più la diagnosi è puntuale e meno l’intervento è invasivo e costoso, oggi abbiamo tutti gli strumenti per farlo. Con un approccio diagnostico si esce dal campo delle opinioni e si entra in quello delle certezze scientifiche. Ci vuole un cambiamento culturale che abbandoni l’oscurantismo dell’opinione, del “secondo me si fa così”, per abbracciare il mondo contemporaneo. Con la termografia possiamo determinare lo stato di salute di un muro senza neppure bucarlo, proprio come un corpo vivente. Il nostro è un Paese bellissimo ma fragile. La nostra bellezza è un valore profondo al quale troppi di noi si sono assuefatti e non la colgono più. In Italia la bellezza è così straordinariamente diffusa che è diventata assuefazione, la gente la vive con distrazione, senza accorgersene. Ma il mondo ci guarda come eredi scriteriati e ha ragione perché la fenomenale bellezza dell’Italia storica non appartiene solo a noi, è un patrimonio dell’umanità. Siamo eredi indegni perché non lo proteggiamo a dovere. Serve una svolta culturale, abbiamo il dovere di rendere meno fragile la bellezza dell’Italia ingentilita e antropizzata dai nostri antenati. Un bene comune la cui responsabilità è collettiva. * Marco Turchetti [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com
Sopra: con un approccio diagnostico si esce dal campo delle opinioni e si entra in quello delle certezze scientifiche. Qui a fianco: il mondo ci guarda come eredi scriteriati e ha ragione perché la fenomenale bellezza dell’Italia storica non appartiene solo a noi, è un patrimonio dell’umanità.
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2016 anno della ripresa delle compravendite Gli indicatori di mercato segnalano una virata in posititvo del mercato che registra un incremento medio del 20% delle transazioni rispetto al 2015. I commenti degli operatori di Roberta Bezzi
Dal punto di vista immobiliare, il 2016 sarà certamente ricordato come l’anno che ha segnato un netto miglioramento delle vendite, con un bel 20 per cento in più rispetto al 2015. A livello nazionale, il dato è stato infatti rilevato dall’Istituto Nazionale di Statistica secondo cui, nel secondo trimestre 2016, la crescita delle convenzioni notarili di compravendita per unità immobiliari ha toccato il 20,6 per cento, dopo che già nei primi tre mesi dell’anno si era registrato un bel +17,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una brillante virata, dunque, se paragonato al minimo storico raggiunto nel quarto trimestre del 2012 (–25,7 per cento), anno in cui le variazioni sono state fortemente negative in tutti i trimestri. Il 93,9 per cento delle compravendite riguarda immobili a uso abitativo e accessori, il 5,5 per cento quelli a uso economico e lo 0,6 unità a uso speciale e multiproprietà. Inevitabile poi che l’espansione riguardi anche i mutui che registrano una variazione positiva del +26,5 per cento, per un totale di 197.822 convenzioni. Anche Ravenna, è stata pienamente coinvolta in questa positiva tendenza, come confermato dai sindacati immobiliari Fimaa e Fiaip. «Una bella rinfrescata – afferma Pierluigi Fabbri, presidente provinciale Fimaa –, in quanto sono finalmente usciti dal mercato immobili che erano fermi da tempo. Questo risveglio di interesse lascia ben sperare, soprattutto perché sappiamo quanto ciò possa essere “contagioso”. Abbiamo avuto tanti nuovi contatti, in particolare da giovani alla ricerca della prima casa e di famiglie che desiderano cambiare, passando magari da un quartiere all’altro, dal forese alla città o viceversa. Questo ovviamente non deve suscitare “false” speranze nei clienti-venditori, in quanto vendere resta ancora un’operazione complicata e i prezzi non sono in crescita. Anzi, quest’anno si è ancora sotto il segno negativo, anche se di poco rispetto al 2015». Per Fimaa, diversi fattori hanno contribuito al rilancio delle richieste e delle compravendite: anzitutto, il forte ribasso dei prezzi di questi ultimi anni, soprattutto per l’usato anche da ristrutturare, ma anche la maggior possibilità di ottenere mutui anche fino all’80-100 per cento del valore dell’immobile, con tassi di interesse che non sono mai stati così bassi (tassi fissi a 1,52 per cento e variabili sotto l’1 per cento). Mai come ora è così “appetibile” indebitarsi. «Il mercato immobiliare – commenta Fabio Garoni, delegato Editoria e comunicazione di Fiaip Emilia Romagna – sta vivendo un momento di veloce trasformazione, al punto che qualcuno non parla più di “ripresa”, bensì persino di “rimonta”. Nel nostro territorio, i segnali di risveglio hanno coinvolti tutti i segmenti, anche se in par-
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MERCATO IMMOBILIARE ticolare gli immobili di fascia media e bassa, precedentemente bloccati per diverso tempo. Non sempre la scelta degli investitori è caduta sul nuovo, ma spesso e volentieri si sono preferiti fabbricati usati che permettono, una volta ristrutturati, di godere di spazi abitativi più generosi e di corposi sgravi fiscali, riconfermati per l’anno in corso. Le vendite dei fabbricati di nuova costruzione non hanno registrato lo stesso andamento positivo delle vendite dell’usato, tranne che per alcuni sporadici interventi ben studiati da conosciute imprese locali, che hanno offerto tipologie particolarmente richieste dal mercato e in elevata classe energetica. Si nota, invece, un fermo quasi totale delle compravendite di immobili a uso diverso dall’abitativo: direzionale, commerciale e artigianale, per non parlare delle cessioni di attività, queste ultime davvero molto limitate». Secondo Fiaip, la ripresa delle compravendite ha coinvolto specialmente le zone di pregio delle località più grandi, mentre nelle zone periferiche, nelle cittadine più piccole e nelle frazioni non si sono verificati grossi volumi di affari, salvo rare eccezioni. «L’usato sta trainando il rilancio di vendite – condivide Fabbri di Fimaa Ravenna –, in alcuni casi anche da ristrutturare, e mosso principalmente dal mercato privato. È un segnale forte e le richieste ci sono, anche se si conclude in genere solo dopo mesi di trattative. D’altra parte, di nuovo c’è ormai ben poco e in questi ultimi anni si è smaltito l’invenduto. Nel frattempo, non sono stati aperti nuovi cantieri. Tante giovani coppie e famiglie sono state a lungo, per così dire, alla finestra, in attesa del momento giusto in cui comprare, magari accontentandosi di una soluzione provvisoria come l’affitto e ora finalmente è arrivato il loro turno». «È ripresa la “passione” per gli immobili – aggiunge Garoni di Fiaip –, non solo da parte degli acquirenti di prime case, ma anche da parte di coloro che si avvicinano al mercato immobiliare a scopo di investimento, ormai stanchi da anni di delusioni e promesse non mantenute dai mercati finanziari. Inutile aggiungere che, in questo scenario complesso e in evoluzione, resta essenziale il ruolo di un professionista che affianchi il cliente nella ricerca dell’immobile in grado di rispondere in modo efficace alle sue esigenze». Per Fimaa e Fiap ci sono tutte le condizioni, ivi compreso un bell’ottimismo, che lasciano ben sperare per il 2017, anno che potrebbe registrare invece la tanto attesa inversione di tendenza dei prezzi, in modo da poter far tornare il sorriso anche a tutti i clienti-venditori.
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