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n. 113 APRILE-MAGGIO 2017

Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it . ISSN 2499-2550

CASA PREMIUM .

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n.113 APRILE-MAGGIO 2017

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contenuti

aprile-maggio 2017

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casa bella casa

Visita alla Bonarella, la villa della marchesa Giordani nella campagna di Cortina di Russi _____________________________________________________

Zavaglia, premiata ditta edile ravennate. Un'impresa lunga come l’Italia unita ____________________________________________________ di Pietro Barberini

storia e memoria

iconologia e storia

Gli stalli lignei della sala Dantesca della Biblioteca Classense, scolpiti fra il XVI e il XX secolo _________________________________________________ di Cetty Muscolino

estetica e architetture

abitare il territorio

arte contemporanea

design e lifestyle

città e società

L’Italia d’Oltremare. In mostra a Forlì l’urbanistica e le architetture coloniali __________________________________________ di Domenico Mollura

Bill Viola a Firenze e i quadri di un nuovo Rinascimento elettronico ______________________________________________ di Serena Simoni

Nomadismi. Come sta cambiando il nostro modo di vivere e di abitare ________________________________________________________ di Sabina Ghinassi

Mamelo e Merikipe, fra stile dell’accoglienza e buone cose confortevoli _______________________________________________________________ di Roberta Bezzi

Un coup de dés jamais n’abolira le hasard. I giochi di ruolo raccontati da Lorenzo Soleri ________________________________________________________________ di Marina Mannucci

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Fra le “belle“ del Paese, Ravenna città “singolare” e “contrappuntistica” __________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani

Il paesaggio muta fra città e campagna e nasce la Banca della terra __________________________________________________ di Chiara Bissi

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locali e design

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Giovani architetti e rigenerazione urbana Controcopertina

Il nome della villa Bonarella – in quel di Cortina di Russi – deriva dai proprietari di fine Settecento, i marchigiani conti Bonarelli e in particolare dalla rappresentante di un ramo ravennate della famiglia, la contessa Bonarelli, della quale le cronache d’epoca descrivono un’immagine di nobildonna scaltra e trasgressiva, affascinante ma frivola, che riuscì a mantenere il possesso del palazzo, sottraendolo agli altri eredi di suo zio, Nicola Cilla.

Con la partecipazione di Officina MEME - Ravenna e altri progettisti ed esperti sul tema. Con Tavola Rotonda. ore 22.45 Brindisi e saluto conviviale

c/o Palazzo Rasponi delle Teste piazza Kennedy - Ravenna Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Federica Cavani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Sabina Ghinassi, Marina Mannucci, Domenico Mollura, Cetty Muscolino, Guido Sani, Serena Simoni, Marco Turchetti.

Per info: tel. 0544 408312 ravennaedintorni.it /casa-premium-magazine www.reclam.ra.it

Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Restyling grafico: Gianluca Achilli Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Pietro Barberini, Paolo Genovesi, Barbara Gnisci, Maurizio Montanari, Fabrizio Zani (e altre citazioni in pagina). Redazione: tel. 0544.271068 - redazione@trovacasa.ra.it

Editore:

Edizioni e Comunicazione srl

viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it

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CASA BELLA CASA

Lo charme di una residenza gentilizia che ricorda tuttora il modello della villa-castello


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Visita alla

Bonarella, la villa della marchesa Giordani nella campagna di Cortina

di Russi

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CASA BELLA CASA Nel blocco in pietra d’Istria del portale di ingresso, al culmine della rampa, troviamo scolpito uno stemma riportante tre lune crescenti, arme dei conti Strozzi di Ferrara, testimoniato ulteriormente dall’iscrizione nel nastro lapideo in cui è inciso il nome “Laurentius Strozzius” seguito dalla data “1691”

di Paolo Bolzani Siamo lungo la via Palazza nel territorio di Cortina di Russi, a circa tre chilometri ad est dal fiume Lamone. Un lungo viale erboso, ritmato da alti pini domestici, ci invita a raggiungere il fronte di “Palazzo Bonarella”, grande residenza di campagna di una serie di famiglie nobiliari che qui si sono succedute nel corso dei secoli. Si tratta di una villa gentilizia, antica testimonianza dell’architettura nobiliare nelle campagne di Ravenna, dalla rigorosa composizione planimetrica a pianta quadrilatera ma dall’aspetto di fortilizio, derivante dalla presenza della base a scarpa conclusa da un toro in rilievo, su cui si appoggiano forti muri dalla compatta tessitura in mattoni, emergente con evidenza tra i lacerti di intonaco. Il cornicione su sequenza di modiglioni appoggiati a terne di gocce testimonia l’evoluzione della tradizione architettonica che lascia il tipo della villa-castello neofeudale, come Palazzo Grossi a Castiglione di Ravenna o il Palazzo di San Michele a Godo, ultimati tra il 1560 e i 1570 (Fontana 1994), per aderire ad un modello dall’aspetto meno militare, così come mo-

> Particolare con stemma degli Strozzi nel concio in chiave al portale di ingresso al piano nobile


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Sala del Passatempo, in evidenza le due poltroncine in legno dipinte da Mattia Moreni

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CASA BELLA CASA


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Trasporto materiale anche in cantiere con camion gru Sabbiatura e pulizia del materiale

RECUPERO E VENTITA DI Nello scudo che campeggia nell’imponente sagoma del camino barocco al piano nobile si ritrovano riuniti gli stemmi gentilizi di Strozzi, Rasponi e Cilla. Tra i nipoti di Nicola Cilla ci sarà anche la famosa contessa Bonarelli, figura ambigua che nel 1788 pretenderà i beni dello zio, ma lascerà tracce nella memoria popolare, portando alla comparsa del toponimo attuale del palazzo

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In alto a sinistra, la stanza della Colazione; a sinistra il mobile da sagrestia di una chiesa ungherese, al centro la porta decorata da Mattia Moreni. In alto a destra, la grande cucina con i rami appesi al camino. In basso, la vecchia bilancia accostata alla colonna della scala principale.

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Qui a fianco unpo scorcio del salone del piano nobile con il camino barocco dove è incastonato lo scudo con i simboli delle famiglie Strozzi, Rasponi e Cilla.

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strato nella seicentesca villa Lovatelli Negrotto Cambiaso a Castiglione di Ravenna accanto alla torre colombara di fine Duecento e nella stessa “Palazza Spreti” di Piangipane, non lontano dalla “Bonarella”. Il nome di questa villa deriva dai proprietari di fine Settecento, i marchigiani conti Bonarelli e in particolare dalla rappresentante di un ramo ravennate della famiglia, la contessa Bonarelli, della quale le cronache d’epoca descrivono un’immagine di nobildonna scaltra e trasgressiva, affascinante ma frivola, che riuscì a mantenere il possesso del palazzo, sottraendolo agli altri eredi di suo zio, Nicola Cilla. In realtà la vicenda delle successioni di proprietà della villa inizia ben prima, come rivela il concio in chiave dell’arco del portale di ingresso al piano nobile, che si raggiunge al culmine di una possente rampa a grandi gradini in cotto. Nel blocco in pietra d’Istria troviamo scolpito uno stemma a scudo centrale riportante tre lune crescenti, mentre nel nastro lapideo che guizza attorno allo scudo è inciso il nome “Laurentius Strozzius” seguito dalla data “1691”. Dunque alla fine

Particolare di un dipinto di Adriano Fava, a fianco della colonna della scala principale


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del XVII secolo la villa apparteneva alla famiglia dei conti Strozzi di Ferrara ma, come già suggeriva Umberto Foschi quarant’anni fa, l’anno 1691 non appare credibile come data di costruzione ex novo del palazzo, poiché il portale sembra essere inserito in un secondo momento nella facciata di una struttura eretta in epoca precedente, probabilmente circa un secolo prima (Foschi 1976, p. 13) secondo il modello della villa-castello. In mancanza di notizie sull’anno di fondazione del palazzo, se ne è dunque indicata come prima proprietaria la famiglia Strozzi, anche per la presenza del toponimo “Casino Strozzi” nella cartografia settecentesca del territorio, che induce a pensare quindi ad una residenza più legata ai piaceri venatori e meno ad un centro agricolo, anche in virtù della presenza in quei tempi di zone vallive (Ricci 2010, p. 4). Il racconto della storia della sequenza ereditaria successiva al 1691 prosegue all’interno del palazzo, quando dal vasto salone passante del piano nobile si accede alla prima stanza a destra, un salotto con poltrone e divani ornato dall’imponente sagoma di un camino barocco, decorato con un ricco apparato di volute, cartocci, mascheroni, conchiglie e rosette a stucco. Al centro della composizione campeggia un altro scudo in cui si trovano riuniti gli stemmi gentilizi degli Strozzi (quarto inferiore a sx: le tre lune crescenti), dei Rasponi (quarto inferiore a dx: le due zampe leonine incrociate), e dei Cilla (metà superiore: la rondine nera). Infatti, nel 1735 Giacoma Strozzi, ultima erede della famiglia, sposa Michele Felice Cilla detto Andrea e lo rende padre di cinque figli, uno dei quali, chiamato Nicola, sposa a sua volta Laura Rasponi (Uccellini 1855, p. 100). Tra le nipoti di Nicola ci sarà la futura contessa Bonarelli, che nel febbraio 1788 entra in conflitto con gli eredi diretti, pretendendo i beni dello zio, anche se la vertenza giudiziaria in realtà sembra darle torto. In ogni caso la figura ambigua della nobildonna ha lasciato tracce nella memoria popolare, por-

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CASA BELLA CASA Alla Sala della Colazione si accede da due porte, omaggiate da un intervento pittorico di Mattia Moreni, zio acquisito dei marchesi Giordani. L’artista pavese lascia inoltre in eredità due poltroncine in legno dipinte davanti al camino della Sala del Passatempo e i due cancelli al centro del salone passante al piano nobile, intagliati in un legno disegnato da una flessuosa decorazione floreale, morbidamente memore di un’inaspettata stagione Liberty

tando alla comparsa del toponimo attuale del palazzo, che in seguito troviamo indicato come “Villa Cavallini” (Savini 1912, p. 37). Il nome deriva dai proprietari del primo Novecento, una nota famiglia di Lugo legata alla produzione e al commercio della canapa, il cui stemma, un cavallo bianco rampante su fondo azzurro, si trova incastonato nel camino barocco del salotto al piano attico, dove vive Rita Giordani, nipote di Chiara Cavallini e attuale proprietaria della villa insieme al fratello Pier Giacomo. Il piano terra della villa e alcune camere di quello nobile sono stati destinati dalla marchesa Giordani al Bed & Breakfast di charme “La Bonarella”, aperto da aprile ad ottobre. Agli ospiti si promette il fascino della «magia del luogo», i vasti ambienti luminosi, in virtù di quel “sapore” di antico costruito su un’immagine evolutasi nei secoli, con pavimentazioni in cotto e mattoni, sof-


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fitti a grandi travi opportunamente distanziate, travetti e assito in legno. Sono spazi che affascinano il viaggiatore, a partire dallo scalone esterno e dal grande portale al piano nobile, fino alla camera da letto con il baldacchino. Non di meno collabora a questa atmosfera particolare anche il piacevole privilegio di consumare il rito della colazione in un’ampia sala, ornata da un tavolo romagnolo e da un grande mobile da sagrestia proveniente da una chiesa ungherese e acquisito da un antiquario ravennate. Alla Sala della colazione si accede da due porte, omaggiate da un intervento pittorico di Mattia Moreni, russiano d’adozione, ma legato da vincoli di parentela ai due proprietari come zio acquisito. Avendo abitato alla “Bonarella” nella seconda metà del Novecento, l’artista pavese lascia in eredità alla villa alcuni interventi, iniziando dalla decorazione pittorica delle due porte della sala fino a quella di altre due poltroncine in legno poste davanti al camino della Sala del Passatempo, sempre al piano terra. Salendo al piano nobile il nostro viaggiatore, sia egli italiano, d’oltralpe o provenga da territori d’oltremare, si imbatte nell’evento spaziale più significativo della villa: il vasto salone passante, al cui centro sbarca la scala principale segnalata dalla snella colonna affiancata da una vecchia bilancia brunita. Dalla parte opposta, ecco qualcosa di figurativo del tutto speciale: i due cancelli che si aprono su una camera da letto e sul disimpegno della scala di servizio sono intagliati in un legno disegnato da una flessuosa decorazione floreale, morbidamente memore di un’inaspettata stagione Liberty. In una voluta di quello di destra si intravede la firma «Mattia», che nuovamente segnala il suo legame a lungo coltivato con gli altri membri della famiglia. Nel piano attico gli ambienti assumono una dimensione più intima, legata alla privacy di Rita, ma sempre pronti ad ospitare qualcosa di sorprendente, vuoi una coppia di colonne in legno scanalato e dorato ad inquadrare una porta o, come accade in un angolo del vasto soggiorno living, il potente irrompere di una grande tela di Moreni. Tutte le fotografie del servizio sono di Paolo Bolzani

> Crediti Palazzo con abitazione e B&B sito in via Palazza n. 7 a Cortina di Russi (RA)

• Proprietà: Rita e Pier Giacomo Giordani progetto di restauro: • Pratica Arch. Vittorio Baldini, Bologna lavori edili: • Esecuzione Ditta S.L.J.C.O., Bologna elettrici: • Impianti Ditta CELATI, Fusignano ascensore: • Fornitura Ditta IRAM, Ravenna

• Fotografie: Paolo Bolzani Cenni bibliografici _________________________________ Uccellini 1855 - P. Uccellini, Dizionario Storico di Ravenna e di altri luoghi della Romagna, Ravenna, 1855 Savini 1912 - G. Savini, Memorie illustrate di Ravenna. Miscellanea, v. IV, 1912 Foschi 1976 - U. Foschi, La Bonarella, presso Piangipane., in «Rivista d’Illustrazione Romagnola “La Piè”», 1976, n.1 Fontana 1994 – V. Fontana, L’architettura e nella città e nel territorio dal Quattrocento al Seicento, in Storia di Ravenna, IV, a cura di Lucio Gambi, Venezia, Marsilio ed., pp. 179-216 Ricci 2010 - A. Ricci, Relazione storico-architettonica. “Palazzo Bonarella”, Pratica di restauro del palazzo, Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Ravenna, 2010

A sinistra, in alto, la camera da letto con baldacchino al piano nobile. A sinistra, in basso, il salotto con camino barocco al piano nobile. A destra, la camera da letto della marchesa Rita Giordani al piano attico.

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STORIA E MEMORIA di Pietro Barberini

Come tanti patrioti romagnoli, Agostino Zavaglia lasciò le colline forlivesi per arruolarsi con i “Mille” che stavano liberando l’Italia e, dall’Aspromonte, si unì all’esercito garibaldino. Ritornò nel 1861 in Romagna e si fermò nelle Ville Unite a sud di Ravenna: aveva partecipato ad un’impresa di tutto rispetto, per anni sognata e segnata da ideali, lotte sanguinose e al limite della follia. Con i soldi delle campagne militari “e’Gagì”, così era chiamato Agostino Zavaglia, mise in piedi, a Gambellara, un’impresa di manovali e muratori per costruire abitazioni, stalle e altri manufatti. Avvezzo ai pericoli corsi in battaglia il nostro “garibaldino” appese le uniformi militari e si dedicò all’arte muratoria. Lo fece con grande impegno e nel 1861 diede vita ad un’attività che continua tuttora dopo 156 anni, come certifica l’attestato della Camera di Commercio di Ravenna. A Gambellara esiste ancora “e’borg de Gagì”, un gruppo di case probabilmente costruite da lui. Successivamente è il figlio Marino che porta avanti l’attività edile, coadiuvato dalla moglie Ninetta “famosa” fra i muratori perché era lei che il sabato sera li pagava! Con il mutare dei tempi, passando dalla Ravenna delle “leggi Rava” e dei progetti di Corrado Ricci, si arriva alla grande e tumultuosa ricostruzione del secondo dopoguerra. È una sorta di rigenerazione sociale e civile, che ripropone quel clima entusiastico vissuto dal fondatore nel 1861. In quel periodo il titolare dell’impresa è l’ing. Dario Zavaglia, nipote del fondatore “in camicia rossa”: lungo la Ravegnana poco oltre via Mangagnina, ha la sede operativa nel cortile di casa sua, con il magazzino e le attrezzature stipate un po’ da tutte le parti. C’è bisogno di ricostruire molte strutture distrutte dai bombardamenti del 1944 e dalle successive azioni militari che hanno interessato tutto il territorio, dal fiume Savio al Senio. L’impresa Zavaglia accompagna la rinascita edilizia, ma anche morale della città e del forese. La guerra non ha risparmiato i campanili delle chiese, punti di osservazione privilegiati, che sono stati abbattuti dai tedeschi in ritirata, causando spesso il crollo di intere porzioni degli attigui edifici religiosi. Le distruzioni belliche davano anche la possibilità di operare pianificazioni urbanistiche, rifacendo stabili, ristrutturando chiese e antichi palazzi, riqualificando l’edificato cittadino nelle funzioni e nello stile.


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impresa

Un'

lunga come l’Italia

unita

Fondata da un reduce della spedizione garibaldina che portò all'unificazione del Paese, il nome Zavaglia accompagna da 156 anni l’edilizia civile e industriale di Ravenna Come ricorda l’ing. Pietro Zavaglia, attuale titolare dell’impresa, “i lavori eseguiti dalla nostra Ditta, ridanno alla città l’acqua con la ricostruzione dei tratti danneggiati dell’acquedotto di Torre Pedrera e la vita sociale con la sistemazione della galleria, della platea e di tutti i passaggi d’accesso del Teatro Alighieri: luogo simbolico di aggregazione, che viene riaperto alla comunità ravennate”. C’era poi bisogno di rinnovare il tessuto edilizio per stare al passo con una società più evoluta e pronta ad accogliere l’industrializzazione, che si stava concentrando lungo l’asta del canale Corsini, da Ravenna al mare. La Ditta Zavaglia è protagonista di quel periodo, concentrando i suoi sforzi su singole costruzioni di notevole impegno stilistico, edifici civili e religiosi, insediamenti industriali ed opere infrastrutturali. Il maggior impegno necessario determina l’affiancamento del geometra Celso Ceroni all’ingegnere Dario Zavaglia. Vengono costruite “ex novo” la bella struttura di San Pier Damiano al centro del quartiere Darsena, la chiesa parrocchiale a Mezzano, poi la Parrocchiale di Ponte Nuovo e quella di San Lorenzo in Cesarea. Al centro della città viene ristrutturato l’antico edificio religioso di San Michele in Africisco risalente alla metà del VI sec.: la chiesa, da tempo sconsacrata, è stata trasformata nel “Forno Giorgioni”, che proprio nell’abside, dal quale erano state staccate le decorazioni musive,

aveva il centro della sua attività. Per ampliare la sede della Banca Popolare di Ravenna viene chiamato il brillante architetto bolognese Roberto Evangelisti che sarà autore anche della vicina sede del Gruppo Ferruzzi, entrambi i lavori sono affidati all’impresa Zavaglia. Durante gli scavi nel cantiere della Banca Popolare, viene rinvenuta una torre che faceva parte della cinta muraria romana. I lavori vengono subito interrotti, ma la Soprintendenza ai Beni Architettonici autorizza il sezionamento del manufatto, che sarà riposizionato nel caveau dove è visibile tuttora. Con i Beni Culturali sembra che l’ingegnere Dario Zavaglia abbia un rapporto stretto: è un andirivieni di visite e sopralluoghi da parte del Soprintendente architetto Anna Maria Iannucci che incontra i tecnici, le maestranze, lo stesso progettista Evangelisti e Monsignor Mazzotti, studioso e direttore del vicino Archivio Arcivescovile. La matita di Evangelisti si spinge a disegnare un ardito palazzo in vetro e acciaio, sede dell’Italiana Olii & Risi di Serafino Ferruzzi, inglobando lo storico edificio di culto di Santa Giustina, del quale restava soltanto la facciata situata in via Romolo Gessi (ora via Raul Gardini). Ben presto viene alla luce la parte pavimentale con l’abside e la base dei muri perimetrali. I lavori procedono con cautela, sorvegliati da Monsignor Mario Mazzotti, sacerdote in prestito all’Archeologia, che si immedesima talmente nel suo compito, tanto da scivolare nel fango del cantiere e finire tutto sporco in fondo alla scarpata. Questo è un aneddoto passato di bocca in bocca fra i tecnici e i muratori della Ditta Zavaglia, che seguivano sempre con attenzione le lezioni sul campo dello studioso in abito talare. Il palazzo di vetro diventa la sede “dell’impero Ferruzzi” con un ingresso che scavalca, come un ponte levatoio, le rovine dell’antica chiesa di Santa Giustina in Capite Porticus. In quel periodo, ottanta dipendenti dell’impresa Zavaglia sono a servizio del Gruppo Ferruzzi, del quale hanno costruito lo stabilimento di lavorazione dei semi oleosi denominato “Soia”, dal quale escono

In alto: Il palazzo di vetro, all’entrata una passerella sull’antichità. Al centro: Il palazzo della ex “Olii e Risi” su via Raul Gardini. In basso, da sinistra: Il palazzo di vetro, un particolare all’interno. All’angolo fra via Canneti e via De Gasperi, l’elegante condominio costruito su progetto dell’architetto Matteo Focaccia. L’ingegnere Pietro Zavaglia mostra orgoglioso il diploma conferito nel 1961 dalla Camera di Commercio di Ravenna all’Azienda Zavaglia in occasione dei cent’anni di attività. L’ingegnere Pietro Zavaglia, quarta generazione della famiglia, alla sua scrivania: sullo sfondo ricordi del padre Dario che combattè in Nord Africa in una divisione corazzata durante la seconda guerra mondiale.

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STORIA E MEMORIA


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le lattine dell’olio Teodora. L’attività è passata poi a Cereol Italia e ora appartiene a Bunge Italia SpA. Anche il cementificio “Cementi Ravenna” (oggi demolito) e un allevamento suinicolo a Porto Fuori, che ha ospitato fino a 25.000 maiali, sono opera dell’impresa Zavaglia, che ristruttura anche la Ex Standa in via degli Ariani, che diventa il “cuore” della Ferruzzi Finanziaria, oggi sede dell’Università di Ravenna. Altra ristrutturazione di pregio voluta dai Ferruzzi, quella di Villa Monaldina, sulla strada per Punta Marina, progettata da Camillo Morigia. Il rapporto con gli uomini di “chiesa”, come Monsignor Mazzotti, e con i tecnici della Soprintendenza è ricco di tanti intrecci: dal rifacimento della Sala Aste del Monte di Pietà, al consolidamento architettonico della chiesa del Suffragio. Non mancano interventi su due dimore veneziane del Quattrocento: la Palazzina Diedi e la sede dell’Albergo Cappello in via IV Novembre, commissionata da Raul Gardini a Ravenna. Negli anni ’90 viene poi ristrutturato il Palazzo Rasponi Murat, che al suo interno conserva intatto l’appartamento “napoleonico” e il Palazzo Farini in Piazza Duomo, che tuttora appartiene all’ultimo discendente della nobile famiglia russiana, che ha avuto fra i suoi esponenti di spicco Luigi Carlo Farini, artefice con Cavour dell’Unità d’Italia. Anche le operazioni meno importanti, come la manutenzione della Caserma della Brigata contraerea missilistica di via Nino Bixio, vengono effettuate su immobili di notevoli dimensioni e dal passato piuttosto “intenso”: prima di essere acquistata dal Genio Militare, era la sede del Collegio dei Nobili e, per alcuni anni nel secondo dopoguerra, aveva ospitato l’ospedale civile di Ravenna. Non mancano, come d’obbligo per un’impresa di costruzioni, lavori infrastrutturali, ponti ed elettrodotti sotterranei, sedi operative di Enel e Sip. L’attività dell’impresa che ha contato nel periodo di massima espansione più di 160 dipendenti, continua con le modalità del mercato odierno, maggiormente attento alla sicurezza e ai nuovi regolamenti di edificazione, anche se i ricordi del passato, brulicante di attività sulle impalcature e a terra, è ancora nitido nelle fotografie e nei personaggi.

Da molti di questi lavori edili, è stata restituita una città che ha un’immagine viva dietro l’angolo, risvegliando curiosità e dando senso compiuto ai toponimi. Da Agostino Zavaglia, il garibaldino, siamo arrivati alla quarta generazione: ora l’impresa è diretta dall’ingegnere Pietro Zavaglia, che non appena conseguita la laurea nel 1969, da Bologna vola negli Stati Uniti. Si fa le “ossa” a New Orleans e in Illinois, dove il Gruppo Ferruzzi ha costruito grandi impianti di stoccaggio e movimentazione dei cereali lungo le banchine del fiume Mississippi. L’impianto di New Orleans nell’anno 1971-72 caricherà su navi per il trasporto e l’alimentazione del mondo milioni di tonnellate di cereali, stabilendo un record quantitativo annuale tuttora ineguagliato. Negli Usa il giovane Pietro lavora sul campo, acquisisce esperienze a contatto con l’ingegnere Gianfranco Ceroni, “braccio destro del dottor Serafino Ferruzzi” e vede realtà costruttive del Nuovo Mondo. Con le dovute proporzioni, Pietro Zavaglia compie quel viaggio così simile a quello che aveva fatto il suo bisnonno al seguito di Garibaldi.

In alto a sinistra, lo stabilimento di lavorazione dei semi oleosi in una fotografia aerea (Archivio Ferruzzi). In alto a destra, la chiesa di San Pier Damiano (foto Natali) In basso a sinistra, l’Ingegnere Dario Zavaglia e Monsignor Mario Mazzotti (a destra), di fronte a Santa Giustina, durante i lavori (foto Natali). A fianco, le medaglie conferite al fondatore, il garibaldino Agostino Zavaglia: (dall’alto) Onoreficenza della Repubblica Romana del 1849, Medaglia conferita da Vittorio Emanuele nel 1859 in occasione dell’annessione della Legazione di Ravenna allo Stato Sabaudo, Medaglia delle guerre per l’indipendenza e l’unità d’Italia. Sul nastro i colori della bandiera italiana, bianco, rosso e verde. Tutte le foto (escluso dove diversamente specificato) sono di Pietro Barberini.

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STORIA E MEMORIA

> Silvano Ceroni: una vita da geometra nei cantieri della Ditta Zavaglia

Silvano Ceroni ritratto nella via ora intitolata a Serafino Ferruzzi che qui aveva il suo studio

Un acquerello di Silvano Ceroni raffigurante la chiesa di Santa Maria del Suffraggio il cui cantiere è stato diretto dall’autore dello schizzo

Il geometra Celso Ceroni è di Gambellara, località dove ci sono le case costruite da Agostino Zavaglia all’inizio della sua attività. Come molti romagnoli ha due nomi: in famiglia è chiamato Silvano, Celso è riservato al registro scolastico e agli atti ufficiali, come il timbro di progettista. Silvano frequenta con buon profitto l’Istituto “Ginanni” di Ravenna, che incorpora la sezione per “geometri”. Fra i suoi insegnanti ricorda quello di lettere, il Professore Michele Vincieri, consigliere comunale di spicco del Partito Repubblicano. Vincieri diventerà poi preside dell’Istituto Commerciale “Ginanni”, che diplomerà un’intera generazione di ragionieri. Diventato geometra, Silvano Ceroni non perde tempo e si mette al tavolo da disegno: inizia all’Acmar, ma ben presto trova “casa” alla Ditta Zavaglia, che ha gli uffici presso l’abitazione del titolare ingegnere Dario. Il giovane geometra spesso viene invitato a pranzo e inizia così un rapporto di fiducia, amicizia e stima reciproca, che proseguirà fino al termine dell’attività professionale di Silvano Ceroni. Pittore e acquerellista delicato, capace di tratteggiare il paesaggio urbano, la campagna e la pineta, Silvano Ceroni mi accompagna fra i palazzi costruiti dall’impresa Zavaglia. Attraversiamo via Canneti, dove in angolo con via De Gasperi, si alza con un bel movimento un condominio progettato dall’architetto cervese Matteo Focaccia. I ricordi del geometra Ceroni sono però collegati ad opere di restauro dove lui, che dirigeva il cantiere, veniva spesso affiancato da Monsignor Mario Mazzotti, sempre attento alle “cose antiche”: «Ricordo che eravamo nel forno Giorgioni che andava ristrutturato, era la chiesa, quasi del tutto perduta, di San Michele in Africisco eretta a metà del VI secolo. Monsignor Mazzotti mi sollecitava a scavare nell’abside, dove per anni era stato installato il forno: si cercavano gli antichi mosaici pavimentali. Di fianco doveva esserci un’absidiola laterale che infine trovammo, ma dei mosaici non rilevammo alcuna traccia, con grande dispiacere di tutti. Una delle ultime opere volute da Raul Gardini è stata la ristrutturazione dell’Albergo Cappello, un palazzo veneziano di fine Quattrocento con affreschi del XVI secolo, ritrovati durante i lavori. «Dopo aver risolto tanti problemi connessi alla complessità della struttura e al suo pregio che andava conservato sotto gli occhi vigili della Soprintendenza, arrivammo al tetto che venne costruito da un’impresa altoatesina sulla base dei rilievi effettuati dai tecnici. Il soffitto interamente in legno lamellare riproduce il fondo di una barca e venne portato con un trasporto eccezionale (una gru da 300 quintali) che non ebbe pochi problemi per raggiungere via IV Novembre. Finalmente il tetto fu collocato al suo posto: era perfetto al millimetro». Unica attività al di fuori del suo rapporto professionale, il geometra Silvano Ceroni l’ebbe quando la famiglia nobiliare Pasolini Dall’Onda, che aveva molti poderi attorno a Gambellara, li vendette ai mezzadri: molti “frazionamenti” delle terre furono effettuati da Silvano, che ben conosceva le campagne della sua fanciullezza.


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ICONOLOGIA E STORIA


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Gli stalli lignei della sala Dantesca fra XVI e XX secolo Caccia agli “infiltrati“ nel refettorio dei Camaldolesi della Biblioteca Classense di Ravenna di Cetty Muscolino Terminato il laborioso restauro è stato da poco riaperto al pubblico il grande refettorio del convento camaldolese della Biblioteca Classense di Ravenna, meglio conosciuto come Sala Dantesca. E finalmente si può riammirare il dipinto delle Nozze di Cana, suggestiva creazione di Luca Longhi, riportato in vita dalla meticolosa “ricucitura” pittorica delle parti frammentarie. Di fronte a tanta bellezza, all’ammiccante sguardo della fanciulla (ritratto della figlia di Luca, Barbara) che sembra invitarci a partecipare al banchetto nuziale, certamente passano quasi inosservati gli stalli lignei addossati alle pareti della grande sala. Realizzati in legno di noce, fra il 1575 e il 1580, dall’anconetano Mario Peruzzi, testimoniano l’affermarsi e il sopravanzare della tecnica del-

l’intaglio, rispetto alla tarsia, nell’arte del legno e la crescente voga degli ornati fitomorfici e visionari tipici delle grottesche. Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, prima opera moderna di storiografia artistica, sottolinea l’assoluta dignità dei cori lignei che, per la loro progettazione ed esecuzione, richiedono abilità e competenze specifiche e che manifestano un’evidente mimesi edificatoria con l’edilizia. Nella vita di Baccio d’Agnolo, architetto fiorentino, scrive Vasari: «Sommo piacere mi piglio alle volte nel vedere i principii degli artefici nostri che pervengono di basso in alto, e specialmente nell’architettura, la scienza della quale non è stata esercitata da parecchi anni a dietro, se non da intagliatori o da persone sofistiche, le quali aspirano a le cose della prospettiva, e non può nientedimanco perfetta-

Dall’alto, veduta dall’ingresso della Sala Dantesca della Biblioteca Classense di Ravenna, con l’affresco a parete di Luca Longhi (Foto Angelo Palmieri) A seguire, gli stalli lignei del XVI secolo, vedute d’insieme e particolari. (Foto Rosetta Berardi)

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ICONOLOGIA E STORIA mente esser fatta, se non da quegli che hanno giudizio sano e disegno buono, che o in pitture o in sculture o in cose di legname abbino grandemente operato. Con ciò sia che in essa si misurano i corpi delle figure loro, che sono le colonne, le cornici, i basamenti e tutti gli ordini di essa, i quali a ornamento delle figure son fatti, e non per altra cagione. E per questo i legnaiuoli di continuo maneggiandogli, diventano fra qualche tempo architetti». Il complesso ligneo classense, costituito da 66 stalli lignei, (26 sulla parete destra, 27 sulla sinistra e 13 sulla centrale) è caratterizzato da una serie di cariatidi che separano le singole sedute e da festoni vegetali ad ornamento della parte superiore dei postergali. Il coro non presenta tarsie con lastricature di essenze lignee pregiate, ma è realizzato unicamente ad intaglio, in noce, essenza arborea di cui Vasari esalta la qualità: «ornamenti di noce bellissimi, i quali quando sono di bel noce che sia nero, appariscono quasi di bronzo». Molte cariatidi sono rivestite di giubbetti aderenti o di armature e alcune presentano all’estremità superiore trofei d’arme, come lance, spade e scudi. La presenza dei trofei d’armi e il fatto che alcune cariatidi indossino armature potrebbe essere correlato alle glorie militari delle nobili famiglie a cui appartenevano alcuni religiosi e nel contempo riaffermare le raccomandazioni paoline sulla necessità di essere armati, rivestiti della fede per affrontare la quotidiana lotta contro il male. «Del resto fortificatevi nel Signore e nella sua onnipotente virtù. Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo […] per poter resistere nel giorno del maligno e mantenervi vittoriosi. In piedi, dunque, cinti i fianchi con la verità, rivestiti dalla corazza della giustizia […] abbiate sempre in mano lo scudo della fede, con il quale possiate estinguere tutte le frecce infuocate del maligno. Prendete ancora l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio». San Paolo, Lettera agli Efesini, Epilogo 6,10-24. Osservate attentamente le cariatidi classensi non sembrerebbero riconducibili a intagliatori locali ma piuttosto a maestranze itineranti approdate in Romagna a seguito delle leggi iconoclaste e controriformiste che imperversavano nei paesi d’oltralpe. Sono infatti figure lontane dal classicismo italiano e più connotate da un espressionismo e da un sapore tardo gotico ispirato probabilmente dai modelli grafici che circolavano diffusamente. Sono particolarmente raffinate le cariatidi al centro del coro, destinate con ogni probabilità all’abate e ai padri più anziani, e realizzate con maggiore cura rispetto alle altre da uno scultore più avveduto. La cornice superiore, non più scandita in singole ghirlande vegetali, è costituita da un raffinato fregio continuo: al centro, in corrispondenza della cariatide centrale che reca sul petto un mascherone, si trova un grande mascherone col naso camuso e terminazioni vegetali come baffi ondulati. Dal viso si diparte una barba fogliacea e al posto delle orecchie figurano due boccioli floreali. Lateralmente si dispongono, simmetricamente, due figure mostruose dall’espressione malevola e con fauci spalancate da cui fuoriesce la lunga lingua. Queste creature ibride sono a loro volta affrontate ad altre fantastiche dal corpo di cigno. Le fattezze della maschera zoomorfa che via via si trasforma lateralmente con cartigli srotolati e svolazzanti ci riporta al poliformismo, al gusto della metamorfosi e alla notevole fertilità tipica dei mascheroni

Ravenna, Biblioteca Classense, sala Dantesca, stalli lignei XVI secolo. In questa pagina, in alto: particolare (Foto Rosetta Berardi). In basso: particolare delle cariatidi del Novecento (Foto Gabriele Pezzi). Nella pagina a fianco, a sinistra: particolare delle cariatidi del Novecento (Foto Gabriele Pezzi). A destra: particolare della parete centrale (Foto Gabriele Pezzi).


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architettonici del manierismo fiorentino, a quel gusto per il proliferare di figure mostruose e bizzarre che verrà in periodo controriformista esiliato dalle architetture religiose e aspramente condannato come a suo tempo aveva fatto San Bernardo definendole ridicula difformitas. «[…] forme d’uomini o d’animali o d’altre cose, che mai non sono state, né possono essere in quella maniera, che vengono rappresentate, e sono capricci de’ pittori e fantasmi vani e loro irragionevoli immaginazioni; le quali […] sono penetrate fino nei tempii venerandi et accompagnatesi con gli altari e coi vasi e vestimenti sacri[…]». Il cardinale Gabriele Paleotti è molto esplicito a riguardo e ritiene che «le grottesche poco oggi convengono altrove, ma nelle chiese in nessun modo».1 La fortuna della sala Dantesca e le vicende del coro ligneo sono intimamente connesse al culto tributato a Dante dalla città di Ravenna. Nel 1865, ricorrenza del sesto centenario della nascita di Dante, desiderando rendere omaggio al divino poeta, con rinnovato fervore a seguito del rinvenimento delle sue ossa, fu stabilito di organizzare una lettura pubblica della Divina Commedia nella grande e prestigiosa sala del refettorio camaldolese. Tale fu il successo e il concorso di pubblico che, nei giorni successivi, fu necessario proseguire le pubbliche letture nel Teatro Alighieri. Nel 1882 maturò la decisione di destinare alla lectura Dantis la sala maggiore del Consiglio Comunale e quindi di trasferirvi, per renderla più degna, gli stalli lignei del refettorio classense, ritenuto inidoneo e per dimensioni e per motivi climatici. La complessa operazione, che comportava lo smontaggio, il restauro e il successivo rimontaggio nella nuova sede, fu affidato all’ebanista Vincenzo Morelli di Firenze, non trovandosi presenti a Ravenna maestranze idonee a tale scopo. Vennero quindi rimossi gli stalli lignei e il refettorio camaldolese fu adibito a medagliere,facendo ormai parte del Reale Museo di Antichità diretto da Enrico Pazzi. Ma nei primi decenni del Novecento, volendo riportare la sala Dantesca al centro della vita culturale e riproporla come sede deputata a tale scopo, ci si adoperò per fare tornare nella sede originaria gli stalli lignei ma, a trasferimento compiuto ci si rese sconto che parti delle pareti rimanevano sguarnite: evidentemente fra smontaggi e trasfe-

rimenti alcuni elementi erano andati dispersi o distrutti. Successivamente a causa degli eventi bellici la lectura Dantis fu interrotta, ma ci fu una ripresa nel 1917, come risulta da un articolo di Santi Muratori pubblicato nel Corriere di Romagna, di quell’anno: «Riprenderà – giova crederlo – in tempi di rivendicati diritti per la patria e per la civiltà; riprenderà nel refettorio di classe, restaurato e riadattato per il suo nuovo ufficio di sala dei ritrovi intellettuali cittadini, là dove essa ebbe cinquant’anni or sono, il suo primo battesimo e dove le austere immagini impressevi dall’arte ci parlano allegoricamente del cibo materiale che si transustanzia in cibo mistico, dell’umanità che si purifica salendo per le vie della sua naturale redenzione». Silvio Bernicoli – in un articolo sul “Corriere di Romagna” del 15 giugno 1919 – precisa che: «Nel 1882 esso [l’ex refettorio, ndr] fu spogliato de’ suoi stalli che furono trasportati ad adornare le pareti nientemeno che della sala del Consiglio Comunale. Sono stati giudiziosamente ricollocati in questi giorni al ripristino posto; ma decimati da qualche unghia non coprono più l’intero spazio». Per rimediare a questo inconveniente e completare il coro ligneo fu affidata l’esecuzione delle cornici e delle specchiature liscie alla cooperativa falegnami e per le cariatidi mancanti venne incaricata la scuola d’intaglio della Reale Accademia di Belle Arti. Le nuove cariatidi, eseguite per risparmiare in legno di abete e non più in noce, nonostante imitino quelle cinquecentesche, se ne discostano per la diversa lavorazione e la diversa resa psicologica delle figure. Un esercizio interessante potrebbe essere quello di intercettare le cariatidi infiltrate. Ecco un piccolo aiuto per chi voglia cimentarsi nell’impresa: su un totale di sessantasei cariatidi quelle eseguite nel Novecento sono dodici. Buona caccia!

Note_____________________________________________ 1. G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna 1582. In Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, III, MilanoNapoli 1973, pp. 2639, 2640, 2655, 2658.

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Ravenna

città “singolare” e “contrappuntistica”

A proposito di un libro di Marco Romano su Le belle città di Alberto Giorgio Cassani Il noto studioso di Estetica della città, Marco Romano, autore, tra gli altri, di testi come L’estetica della città europea (Einaudi, 1993), La città come opera d’arte (Einaudi, 2008) e, più recentemente, La piazza europea (Marsilio, 2015), ha da poco pubblicato il suo ultimo libro dal titolo Le belle città. Cinquanta ritratti di città come opere d’arte (Utet, 2016). Come si vede dai termini ricorrenti nelle intitolazioni dei suoi volumi, il tema centrale della sua ricerca è la “bellezza” della città, termine assai difficile da determinare, ma che, da sempre, ha visto impegnati, nella sua definizione, filosofi, artisti, critici. Claude Perrault, medico e architetto francese, autore della facciata est del Louvre – fratello del più celebre Charles, scrittore e iniziatore, con Nicolas Boileau, della famosa Querelles des anciens et des modernes che vide schierati, su opposti fronti, gli intellettuali francesi del tempo –, è stato una figura centrale nella rivoluzione del concetto di bellezza in architettura – il che, dunque, riguarda da vicino il nostro discorso. Egli, in un testo fondamentale per la nascita dell’estetica architettonica contemporanea, distingueva fra una «beauté positive […] qui plait nécessairement par elle même» e una «beauté arbitraire […] qui ne plaît pas nécessairement, mais dont l’agrément dépend des circonstances qui l’accompagnent».1 Concetto “dirompente” per l’estetica classicista, ribadito, una volta di più, nell’opera Ordonnances des Cinq Espèce de Colonnes selon la Methode des Anciens, in cui il Perrault contrappone a una bellezza «Positive», e «convaicante» (convincente), che dipende dalle proporzioni musicali della simmetria, una bellezza «Arbitraire», che invece deriva dall’«accoûtumance», cioè dall’abitudine.2 Ma la più “scandalosa” affermazione del medico-architetto francese rimane quella espressa nella Préface ai Dix Livres d’Architecture de Vitruve, edizione da lui curata nel 1673 e, ampliata, nel 1684, in cui sosterrà, senza mezzi termini, che «[…] la Beauté n’[a] guere d’autre fondament que la fantaisie, qui fait que les choses plaisent selon qu’elles sont conformes à l’idée que chacun a de leur perfection […]».3 Anche se ciò determina il fatto di dover “correre ai ripari” rispetto al pericolo di un relativismo assoluto in

termini di “bello”, avendo perciò «[…] besoin de regles qui forment & qui rectifient cette Idée».4 E queste regole saranno fissate da «[…] une certaine autorité qui tienne lieu de raison positive»:5 cioè gli esperti di architettura. Difficile poter dire, dunque, cos’è bello e cosa non lo è. In ogni caso, dobbiamo considerare un onore, il fatto che Marco Romano abbia inserito la nostra città all’interno delle cinquanta più “belle” città d’Italia, assieme a un piccolo contingente di città europee e mondiali come Bordeaux, Brasilia, Bruxelles, Edimburgo, Jaipur, Lione, Londra, Madrid, Monaco di Baviera, Mosca, New Orleans, New York, Parigi e Strasburgo. Ma perché Ravenna è stata eletta in quest’Olimpo? Per due sue caratteristiche che la fanno essere un singolare unicum fra le città europee: via di Roma e il complesso delle sue piazze.6 Scrive Marco Romano: «C’era una volta a Ravenna la strada maggiore tracciata al tempo bizantino, con la chiesetta di Santa Barbara di fianco a Sant’Apollinare Nuovo, con il palazzo di Teodorico – ch’era poi in realtà un’altra chiesa –, il monastero di Santa Chiara che diventerà un teatro, e poi la grande basilica di Santa Maria di Porto subito prima della porta Nuova».7 Nei secoli successivi, del «carattere celebrativo»8 di questa «strada maestra andrà perdendosi il ricordo»,9 anche se essa «alla fine del Cinquecento verrà proseguita, dalla parte opposta, fino alla nuova porta Serrata»10 dai veneziani. Ma per l’Autore – nonostante la decadenza dei tempi successivi (Francesco Bertelli, Theatro delle città d’Italia […], Padova, 1629, la ritrae «[…] quasi come un’innocua fila di casette e di chiese ai marA sinistra: Anonimo (pittore dell’Italia centrale), Citta ideale, 1480-1490?, tempera su tavola, supporto ligneo cm 67,32 x 239,4 x 3,7, in gran parte coincidente con la superficie dipinta, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, inv. 1990 D37, particolare (utilizzato come copertina del volume di Marco Romano, Le belle città. Cinquanta ritratti di città come opere d’arte, UTET, 2016). Sopra: l’architetto Marco Romano.

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Sopra: Claude Perrault, incisione di Geŕ ard Edelinck da un dipinto di Vercelin, 1666-1688. In basso a sinistra: Camillo Sitte. In basso a destra: pianta schematica di Piazza del Duomo con l’indicazione delle strade tratta dal volume di Camillo Sitte, L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, note a cura di Daniel Wieczorek, Milano, Jaca Book, 1981, p. 59. Nella pagina a fianco, in alto, da sinistra: Frontespizio di Claude Perrault, Les dix Livres d’Architecture de Vitruve corrigez et tradvits nouvellement en François, avec des Notes & des Figures, Paris, Chez Jean Baptiste Coignard, MDCLXXIII. Frontespizio di Claude Perrault, Abrégé des dix Livres d’Architecture de Vitruve, Paris, Chez Jean-Baptiste Coignard, MDCLXXIV. Frontespizio di Claude Perrault, Ordonnances des Cinq Espèce de Colonnes selon la Methode des Anciens, Paris, Chez Jean Baptiste Coignard, MDCLXXXIII. Nella grande foto in basso a destra: Piazza del Duomo, Ravenna, © José Luiz Bernardes Ribeiro, 17 settembre 2016 (da Wikimedia Commons).

gini della città […]»11) – questa «[…] lunga strada trionfalmente conclusa da due porte monumentali […]»12 costituisce un evento del tutto inconsueto nel panorama delle città europee, rimarcando «il fatto straordinario che nessun’altra città europea ha una strada altrettanto singolare, una strada maestra che, pur attraversando l’intero abitato, è tematizzata soltanto dalle due porte, mentre il vero cuore simbolico di Ravenna crescerà ai suoi margini, con tutti i temi collettivi consueti delle città europee, solcata dalla strada principale (la via Cavour di oggi) orientata, oltre porta Adriana, verso Bologna e la via Emilia, e dalla strada principale secondaria (la via Mazzini di oggi) oltre porta Sisi verso Faenza».13 Una strada “eccentrica”, dunque. Ma non basta. L’unicità di Ravenna deriva anche dal sistema delle sue piazze, che contribuisce, assieme alle porte e alle colonne, a quello che Marco Romano chiama il suo «segreto»:14 che non è altro che la «[…] sua propensione per il contrappunto, il contrappunto delle numerose porte monumentali disseminate talvolta una di seguito all’altra, o il contrappunto delle sue colonne […]»,15 ma, soprattutto, «il contrappunto delle sue piazze»16 che per l’Autore costituisce la seconda “singolarità” di Ravenna, «[…] uno spettacolo forse unico nelle molte città europee che conosciamo».17 Perché, come rileva Marco Romano, se molte città italiane ed europee «come l’Aquila o Salamanca, sono disseminate di piazze e piazzette […]», «[…] soltanto Ravenna ne ha fatto [sc. delle piazze] il suo tema più rilevante».18 Si tratta, come rileva l’Autore, di «[…] quasi tutte piazze moderne o rinnovate in epoca moderna, ché il contrappunto di queste nuove piazze è poi sottolineato da un rinnovamento edilizio, a partire dagli anni trenta del Novecento, che dimostra la deliberata consapevolezza di voler costruire nel suo insieme un nuovo paesaggio della città, quasi a voler riscattare quell’aura di città morta che la perseguita dai tempi di Bonvesin de la Riva, che già ai suoi tempi la considerava decaduta».19 Da queste piazze, poi, parte il rinnovamento delle vie. In questi nuovi progetti Marco Romano individua «[…] la traccia di uno stile»:20 «Sulla consapevolezza del proprio mitico passato bizantino Ravenna risorge nel Novecento ricorrendo al contrappunto di qualche tema consolidato – le porte, le colonne, gli arconi – che sembrano echeggiare il rincorrersi delle rare abbazie piuttosto che l’affollarsi di molte nuove chiese come in altre città, soprattutto al clamoroso contrappunto delle piazze che affollano la sua parte più centrale».21 E l’elenco fa una certa impressione a noi che siamo abituati a non considerarne il numero: «[…] dalla piazza Andrea Costa


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con il mercato coperto alla piazza del mercato, dalla piazza principale alla modesta piazza Einaudi e alla vasta piazza Garibaldi, e di lì alla incompiuta moderna piazza Firenze e a piazza San Francesco, con la tomba di Dante, e subito accanto la piazza dei Caduti per la libertà e subito dietro piazza dell’arcivescovado e piazza duomo che da un lato la breve via Rasponi lega alla piazzetta omonima e soprattutto alla vasta piazza Kennedy e dall’altro, più lon-

tano, alla piazza d’Annunzio e alla piazzetta di Sant’Agata».22 Ma, per l’Autore, ancor più delle piazze, «[…] il contrappunto moderno più ricorrente è quello dei grandi boulevard»,23 il cui modello non sono tanto i viali della stazione, quanto «[…] i due borghi fuori porta Sisi e fuori porta Adriana […]».24 Un esempio che torna nel viale fuori porta Nuova e soprattutto nei «[…] quartieri moderni degli ultimi decenni, dove la straordinaria larghezza e i nuovi edi-

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ESTETICA E ARCHITETTURE

fici moderni, talvolta architettonicamente singolari, vogliono in fondo testimoniare il desiderio di un rinnovamento e di un riscatto fondato tuttavia nel solco di una tradizione venuta formandosi di fatto nell’ultimo secolo ma radicata nella convinzione che il passato bizantino, a suo tempo riscoperto – da Corrado Ricci, aggiungiamo noi –, desse diritto e forza alla costruzione di un paesaggio insieme antico e contemporaneo».25 Analisi che si possono sottoscrivere, con un unico dubbio: quell’aggettivo «singolare», riferito all’edilizia più recente, ha valore positivo o manifesta una qualche venatura ironica? Lasciandoci al nostro dubbio, Marco Romano termina evidenziando la comparsa – «[…] una vera innovazione […]»26 per Ravenna – dei portici nelle nuove strade e un prevalere di «[…] case a due piani […]», «habitat privilegiato»27 della nostra città. In conclusione del suo capitolo su Ravenna l’Autore, indossando i panni dell’urbanista, tira le fila della sua ricerca proponendo, sulla base dello «stile»28 di Ravenna, il modus operandi della programmazione urbanistica dei prossimi anni: «tracciare sequenze ancorate a nuovi boulevard radicati su quelli esistenti e articolate con contrappunti di piazze, con qualche passeggiata e grandi giardini pubblici, case di due piani a schiera lungo i boulevard, villette isolate nel proprio terreno con lotti di diversa grandezza, e case di tre piani sulle piazze».29 Concludendo con un sibillino: «chissà».30 Spero che i nostri tecnici del Comune abbiano preso appunti.

Postilla Marco Romano ha intitolato la sua prefazione al libro: L’arte di vedere le città. Chi ha un po’ di conoscenza di storia dell’urbanistica, sa che l’Autore ha qui parafrasato il titolo italiano di un celebre libro di Camillo Sitte, L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici. Il testo, pubblicato a Vienna nel 1889,31 godette di un immediato successo, come testimoniano le due nuove edizioni apparse nello stesso anno e nell’anno successivo. Scopo del libro, per Sitte, era quello di «[…] trovare una scappatoia al moderno sistema degli edifici-scatola, di salvare, se si fa ancora in tempo, le nostre vecchie città dalla distruzione che le col-

pisce sempre più e infine permettere la creazione di opere simili a quelle degli antichi maestri»,32 in particolare attraverso «[…] lo studio di alcune piazze e sistemazioni urbane del passato, al fine di individuare le ragioni della loro bellezza».33 Siamo perciò tornati al punto di partenza: la questione di cos’è il bello. Ma un elemento lega ancora Camillo Sitte a Marco Romano: la questione delle piazze, e in particolare delle piazze “chiuse”.34 Nelle città antiche «[…] uno spazio libero non diventa piazza, che quando appare effettivamente chiuso».35 L’elemento che va attentamente progettato sono perciò le strade d’immissione alla piazza stessa. Il Sitte mette a confronto le diverse esperienze della città moderna e di quella antica: «Ai nostri giorni è di regola che ad ogni angolo della piazza vengano ad incontrarsi e a tagliarsi due strade perpendicolari. Così si ingrandisce l’apertura della piazza e s’isolano al massimo i vari quartieri o blocchi di case, cioè non si pensa affatto di dare unità al complesso. Gli Antichi – prosegue l’Autore – applicavano la regola opposta: si sforzavano di non lasciar giungere ad ogni angolo di piazza che una sola strada, mentre le altre vie secondarie s’innestavano direttamente in questa e non erano visibili dalla piazza. Insomma la disposizione delle strade d’angolo, frequente e varia, va considerata come uno dei principi basilari dell’urbanistica antica».36 Ma il Sitte, subito dopo, ci svela qual è il vero fine visivo di tutto ciò: «Osservando a fondo la questione ci si accorge che con questa disposizione delle strade, per così dire a turbina, è stata adottata la soluzione più vantaggiosa. Infatti da un punto qualunque della piazza si vede una sola uscita, cioè una sola interruzione nella continuità delle case. In realtà, da quasi tutti i punti della piazza, la continuità del suo perimetro non appare interrotta, perché per effetto della prospettiva gli edifici situati allo sbocco delle strade sembrano accavallarsi e quindi non lasciano scorgere nessuna sgradevole breccia».37 Ci credereste? «Il tipo più puro di questa ingegnosa disposizione»38 è nascosto nel cuore della nostra città, senza che nessuno se ne sia mai accorto: la «piazza della Cattedrale di Ravenna».39 Andiamone fieri, dunque, sperando di lenire, con ciò, il dispiacere per la perdita della basilica ursiana, al cui posto sorge quel brutto Duomo del Buonamici, che nessun’altra città, questo è certo, c’invidia.

Note ____________________________________________________________________________________________________ 1. Claude Perrault, Abrégé des dix Livres d’Architecture de Vitruve, Paris, Chez Jean-Baptiste Coignard, MDCLXXIV, p. 103. 2. Claude Perrault, Ordonnances des Cinq Espèce de Colonnes selon la Methode des Anciens, Paris, Chez Jean Baptiste Coignard, MDCLXXXIII, p. vii. 3. Claude Perrault, Les dix Livres d’Architecture de Vitruve corrigez et tradvits nouvellement en François, avec des Notes & des Figures, Paris, Chez Jean Baptiste Coignard, MDC LXXIII, senza numero di pagina. 4. Ibid. 5. Ibid. 6. Sulle piazze ravennati mi sia permesso rimandare a due miei testi: Instauratio

Fori. Il ridisegno delle quinte della piazza nel SeiSettecento, in Ravenna: Piazza del Popolo. Storia e progetto, Ravenna, Danilo Montanari editore, 1996, pp. 27-37 e Le piazze, in Aldo Fabiani, Enzo Turso, Ravenna una storia in cartolina, Testi di Mauro Mazzotti et alii, Ravenna, Danilo Montanari Editore, 2013, pp. 78-79 [illustrazioni: pp. 80-105]. 7. Marco Romano, Le belle città. Cinquanta ritratti di città come opere d’arte, UTET, 2016, pp. 347-354: 347. 8. Ibid. 9. Ibid. 10. Ibid. 11. Ibid., p. 348. 12. Ibid. 13. Ibid.

14. Ibid., p. 352 15. Ibid. 16. Ibid. 17. Ibid. 18. Ibid. 19. Ibid. Cfr. Bonvesin da la Riva, Le meraviglie di Milano (De magnalibus Mediolani), a cura di Paolo Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori Editore, 2009, p. 150: «Amplius dicam: in quo conferri potest Mediolano Ravenna? Qui michi totam Ravennam cum diocesi dare voluerit, posito quod hoc fieri possit, non dabo pro ea tantummodo aeris Mediolani temperiem et vivorum fontium copiam pretiosam» (trad. it., p. 151: «Dirò di più: in che può competere Ravenna con

Milano? A chi mi volesse cedere tutta Ravenna con la sua diocesi – se ciò fosse possibile –, non darei in cambio neppure il clima mite di Milano e la sua preziosa abbondanza di fonti vive»). 20. M. Romano, Le belle città…, cit., p. 353. 21. Ibid. 22. Ibid., p. 352, didascalia. 23. Ibid., p. 353. 24. Ibid. 25. Ibid. 26. Ibid., p. 354. 27. Ibid. 28. Ibid. 29. Ibid. 30. Ibid. 31. Camillo Sitte, Der StädteBau nach seinen Künstlerischen Gründsätzen. Ein Beitrag zur Losung modernster Fragen der Archi-

tektur und monumentalen Plastik unter besonderer Beziehung auf Wien, Mit 4 Heliogravuren und 109 Illustrationen und Detailplänen, Wien, Verlag von Carl Graeser, 1889. 32. Camillo Sitte, L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, note a cura di Daniel Wieczorek, Milano, Jaca Book, 1981, pp. 20 e 23. 33. Ibid., Prefazione, p. 14. 34. Cfr. ibid., il capitolo La piazza chiusa, pp. 57-66. 35. Ibid., p. 57. 36. Ibid., p. 59. 37. Ibid., pp. 59-60. 38. Ibid., p. 60. 39. Ibid.


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Il paesaggio muta e nasce la Banca

della terra

Un archivio online censisce a livello nazionale i terreni non coltivati e un bando li riassegna

di Chiara Bissi

Ravenna è inserita in un Comune da 654 chilometri quadrati, metà dei quali occupati da terreni agricoli che circondano il centro urbano. Nel susseguirsi di frazioni e località, zone umide, litorale, ambienti naturali, aree portuali e industriali, il paesaggio ravennate non assomiglia per varietà e complessità a nessun altro. Un paesaggio che muta nel tempo con l’azione dell’uomo e a volte sotto la forza degli elementi; la grande pianura strappata alle acque è costellata da ampi possedimenti, da colture intensive e frutteti. Tra i soggetti cooperativi e i grandi proprietari vive una rete di medie e piccole aziende con terreni da 30-40mila euro all’ettaro. Dopo la fase dello spopolamento negli anni Ottanta è seguita la crescita, ma la crisi degli ultimi dieci anni ha colpito duro, riducendo ricavi e azzerando redditività consolidate. Scompaiono così i frutteti e il paesaggio torna ad avere linee orizzontali, ma non scompare chi all’agricoltura dedica la propria vita e affida il proprio sostentamento e benessere. Tanto che anche la politica guarda al fenomeno e comincia a mettere in campo azioni, risorse e strumenti urbanistici per sostenere aziende esistenti e favorire la nascita di nuove realtà imprenditoriali, che non esauriscono la propria attività nello sviluppo di filiere

produttive di beni e servizi nei settori agro-alimentare e agro-energetico, ma si impegnino anche in quello turistico, culturale, ambientale e artigianale. Per gli agricoltori cosiddetti di prima generazione che quindi non hanno aziende di famiglia alle spalle, esistono nuovi strumenti come la Banca della Terra, una sorta di archivio online dei terreni agricoli non utilizzati da affidare tramite bando. Il progetto, avviato in Italia nel 2012, offre nuove opportunità di lavoro, specie per le giovani generazioni. Nata in Toscana poi sostenuta da leggi regionali in Trentino, Molise, Liguria e in altri territori prevede dapprima il censimento dei campi lasciati incolti di proprietà pubblica e privata e di quelli confiscati. I terreni vengono poi messi a disposizione degli agricoltori privi di appezza-

Nella pagina a fianco, in alto, un’immagine della Bassa bonificata. In basso, coltivazioni su un versante (Foto Mirko Marchetti) che danno forma alla collina trasformandola in paesaggio. In questa pagina, da sinistra, vitivinicultura collinare e un’immagine della pianura coltivata. Il lavoro costante dell’uomo rappresenta la prima forma di presidio, economico e di tutela, del territorio

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ABITARE IL TERRITORIO

menti da coltivare, con precedenza ai giovani che si impegnano in attività innovative o nell’agricoltura biologica o in progetti sociali e sostenibili. La rinascita dei territori introduce anche il tema della difesa dal rischio idrogeologico e innesca un circolo benefico per l’economia locale. Il progetto prevede l’assegnazione dei terreni tramite bando con contratti di affitto e concessione e compravendita con mutuo agevolato. Una cooperativa si può candidare a coltivare direttamente un terreno in abbandono o organizzare un’attività di conduzione dei terreni; oppure può promuovere la formazione di una nuova azienda agricola. Nel caso di insediamento di un’impresa individuale il soggetto richiedente dovrà insediarsi quale capo azienda. In Emilia Romagna esistono alcuni terreni compresi nel bando 2017 di ISMEA, l’Ente economico del Ministero delle Politiche Agricole. A disposizione ci sono 65 milioni di euro. Sul fronte del ritorno alla terra le maggiori competenze sono in ambito regionale, ai comuni resta la possibilità di sostenere attività e promuovere buone prassi, fatta salva la pianificazione urbanistica,

dove gli strumenti possono influire non poco specie sul recupero di fabbricati storici documentari o nell’inserimento regolato di nuove edificazioni a servizio delle attività aziendali. «Nello scorso mandato – spiega l’assessore alle attività produttive del Comune di Ravenna, Massimo Cameliani – abbiamo cercato di portare l’agricoltura in città, aprendo spazi pubblici ai mercati contadini cercando di educare i cittadini al consumo di prodotti freschi e di stagione, il cosiddetto chilometro zero. Penso a Madra, ai mercati del lunedì e giovedì in piazza della Resistenza, del martedì in

In alto, da sinistra: una sconfinata distesa di coltivazione di grano; un’altrettanto sconfinato campo incolto; un paese di pianura dove il confine tra la aree rurali e urbanizzate sfuma in una alternanza tra edifici storici e campi. Sotto, da sinistra: una pianura valliva poco dopo la mietutura e una tavola del Piano Paesaggistico Regionale con la diversa rappresentazione delle zone umide e di quelle agricole,a vari liveeli di funzione e di tutela.


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viale Farini e al biomarché del martedì in piazza San Francesco. Una presenza, specie nel periodo invernale molto apprezzata dai cittadini e ora anche dai ristoratori, che si affidano sempre di più ai prodotti di stagione orientando l’offerta gastronomica verso una rivisitazione della tradizione, caratterizzando le proposte sul territorio, presentando una proposta non omologata. Ravenna poi conserva quel fenomeno sociale che sono gli orti comunali al limitare delle città. Ora si parla di orti urbani, bene, noi li abbiamo da anni. Ricordo con piacere il progetto “Orto in condotta” delle scuole di Piangipane e della Riccardo Ricci. Diamo inoltre un contributo ad Agrifidi per l’accesso a prestiti ad interessi calmierati. Penso poi all’azienda di diritto pubblico Marani che è in liquidazione e sta per essere acquisita. Lì vorremmo che si facesse della formazione in ambito agricolo. Infine un progetto di agricoltura sociale a cui tengo molto, seguito con l’assessora Morigi. Un bando regionale mette a disposizione contributi ad aziende agricole selezionate dai comuni. Abbiamo individuato un’azienda che inserisce lavoratori disabili per la produzione di ortaggi, un passo importante, ben poco praticato».

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ARCHITETTURE E DOCUMENTI


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L’Italia d’Oltremare In mostra a Forlì l’urbanistica e le architetture coloniali tra Mar Egeo, Balcani e Corno d’Africa di Domenico Mollura

Nel 1937, mentre a Roma si inaugurava Cinecittà, la fabbrica del cinema e della propaganda mussoliniana, in Africa Orientale Italiana si immaginava la capitale dell’Impero da poco proclamato. Il piano urbanistico per Addis Abeba è la magniloquente dimostrazione delle ambizioni colonialiste del regime che subiscono una intensa, quanto effimera, accelerazione proprio dopo la Guerra di Etiopia. L’Italia d’Oltremare, con l’occupazione dell’Albania nel 1939, spaziava dalle Isole dell’Egeo fino ai Balcani, alla Libia e al corno d’Africa. La mostra Architettura e Urbanistica nelle terre d’Oltremare. Dodecaneso, Etiopia, Albania (1924-1943), inaugurata negli spazi dell’Ex GIL di Forlì lo scorso 21 aprile, si occupa di questo particolare capitolo della storia dell’architettura e dell’urbanistica italiana al di fuori della madrepatria, durante il regime fascista. La politica espansionista inaugurata con Crispi, si trasforma sotto la dittatura, in anelito di redenzione e valvola di sfogo per una popolazione operaia e bracciantile in crescita che premeva pericolosamente all’interno dei sacri confini. Così le campagne di colonizzazione, dettate da fattori ideologici (appagare lo spirito guerriero del popolo italiano) ma anche contingenti (dare la terra ai contadini che ne erano rimasti privi), ebbe come conseguenza pratica quella di italianizzare terre, villaggi e città. Queste trasformazioni interessarono le isole di Rodi e Kos già dalla metà degli anni ’20 e, successivamente, realtà urbane come Tirana, Gondar, Addis Abeba, Massaua. L’approccio progettuale fu dapprima rispettoso e quasi mimetico grazie al recupero di un linguaggio localista caro ad esempio a Florestano di Fausto che dopo l’esperienza nella maggiore delle isole egee, sarà chiamato a disegnare la nuova Predappio. L’esposizione, allestita nell’ambito del Festival Forlì. Citta del 900,

Nella pagina a fianco, in alto: 22 Aprile 2017. Un momento della conferenza inaugurale della mostra. In basso a sinistra: La sala dedicata ai progetti per Addis Abeba In basso a destra: La Rivista del Sindacato degli Architetti del Maggio 1938, esposta insieme ad altre pubblicazioni nella mostra di Forlì In questa pagina, dall’alto: Florestano Di Fausto, Palazzo del Governo, Rodi 1927-1929, dettaglio (foto E. Godoli). Florestano Di Fausto, Comando della Marina, Rodi, 1925-1926 (foto E. Godoli). Addis Abeba. Vittorio Cafiero, Ignazio Guidi, Guglielmo Ulrich, Cesare Valle, P.R.G.: plastico del centro rappresentativo della capitale con il Palazzo Vicereale sull’area del Grande Ghebì, 1939 (Archivio eredi Valle, Roma).

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> La Casa Stadio dei Balilla diventa spazio per la cultura L’edificio che ospita la mostra è testimonianza dello stesso periodo storico all’interno del quale si muovono i progetti in essa raccontati. La Casa Stadio dell’Opera Nazionale Balilla di Forlì, edificio meglio noto come Ex Gil, viene edificato tra il 1933 e il 1935 su progetto di Cesare Valle e in ossequio al programma nazionale di educazione della gioventù, attuata tramite la formazione e lo sport operata proprio dall’Onb, che trasferirà alla Gioventù Italiana del Littorio (Gil) le proprie competenze a partire dal 1937. La Casa Stadio forlivese, riconosciuta dalle riviste dell’epoca, come un modello compositivo poteva vantare in un’ampia dotazione funzionale di spazi interni e all’aperto. I volumi netti derivavano dall’applicazione di un codice ormai diffuso nel razionalismo di regime; l’accostamento di un corpo absidato all’immancabile torre littoria (30 metri) e il susseguirsi di porticati e cortili sembra trasformare l’edificio dell’istruzione in un moderno monastero dove fin dall’adolescenza si veniva indottrinati alla nuova religione di stato. Anche il contrasto tra l’intonaco rosso cupo e il travertino dei basamenti è in perfetta sintonia con il linguaggio che doveva rendere riconoscibile – dalle Alpi all’Oceano Indiano – l’impronta sul territorio del nuovo ordine che, tuttavia, stava correndo sull’orlo della disfatta. Dopo anni di abbandono e incuria, l’edificio divenuto proprietà del Comune di Forlì nel 1999 viene recuperato a nuova vita, grazie ad un importante intervento di restauro (costato circa 7 milioni di euro, divisi tra Comune, Mibact e Fondazione Mps) che ha restituito la stabilità strutturale e la continuità funzionale delle diverse parti ad uno dei grandi monumenti di Viale della Libertà e nuovi spazi per la cultura. L’ex Gil è stato inaugurato nel settembre del 2015 con due mostre: una dedicata al suo progettista (autore nell’ stesso arco temporale di altri edifici pubblici nel capoluogo e nella provincia) e del progetto di restauro ed oggi rappresenta il perfetto contenitore delle attività della rotta culturale Atrium.

racconta anche la storia di distruzioni a volte funzionali alle previsioni urbanistiche ma più spesso finalizzate a cancellare le tracce del patrimonio culturale delle popolazioni occupate. È il caso delle distruzioni della città-convento di Däbrä Libanos come ritorsione al fallito attentato al Viceré Rodolfo Graziani, ancora nel 1937. L’idea era di dipingere la nuova terra di conquista come tabula rasa,1 cancellando ove possibile quelle tracce storiche che avrebbero potuto costituire il simbolo di unità e ribellione allo straniero occupante. Quelle terre, in realtà, vantavano un patrimonio culturale millenario che la politica della spada e dell’aratro, preferiva allontanare (si pensi all’obelisco di Axum) o distruggere.2 È nota la fascinazione provata da Le Corbusier nei confronti di Mussolini e lo stesso progettista del Plan Obus di Algeri considerava l’Italia (compresi i suoi possedimenti), il paese dove era realmente possibile realizzare l’Architettura Moderna (!); tuttavia il Duce non ricambiava la simpatie, considerando l’architetto svizzero «eretico calvinista», come ha ricordato il professore Ulisse Tramonti – curatore della mostra, allestita con la collaborazione di Riccardo Renzi e Marino Mambelli – nel corso dell’inaugurazione. Furono sempre preferiti, alle soluzioni esterofile, progettisti interni agli uffici del Governatorato, su tutti Cesare Valle e Gherardo Bosio: il primo, romano e progettista dell’edificio che ospita la mostra (vedi scheda

In alto a sinistra: Cesare Valle, Ignazio Guidi. Arturo Bianchi, P.R.G., veduta prospettica della grande arteria che allaccia la vecchia città indigena con il nuovo centro politico-amministrativo, 1937. (Archivio eredi Valle, Roma). A destra: lavori di costruzione del Viale dell’Impero a Tirana (Archivio eredi Bosio, Firenze). In basso a sinistra: l'ex Gil con in primo piano il corpo absidato e la torre littoria (foto dell'autore).


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di approfondimento a fianco), è tra i principali estensori del piano di Addis Abeba, mente il secondo, fiorentino, si è occupato del ridisegno di Tirana. Sono proprio i materiali originali prestati dagli eredi dei due progettisti a rendere preziosa la mostra: chine e grafite su lucido, schemi alla scala topografica e dettagli degli arredi, copie delle pubblicazioni d’epoca che raccontano una faraonica opera di urbanizzazione che, nel caso della Capitale dell’Impero, era ancora incompleta al momento dell’occupazione inglese del 1941.3 Forlì, con questa esposizione, conferma il percorso inaugurato con l’itinerario Atrium che ormai rappresenta una delle più importanti realtà per lo studio critico delle vicende urbane e architettoniche legate ai regimi totalitari in Europa durante tutto il Novecento. La città e la Regione sono consapevoli del peso di questa “eredità dissonante”, per certi versi ancora scomoda. Tuttavia la distanza temporale permette già una completa “elaborazione culturale” di questo periodo e per questo è stata approvata nel 2016 la Legge sulla Memoria del Novecento (L.R. n. 3 del 3 marzo 2016), finalizzata allo studio di questa controversa fase storica per capire meglio il presente. La mostra sarà visibile al pubblico fino al 18 giugno 2017.

Note_____________________________________________ 1 U. Tramonti, Addis Abeba. Piano Regolatore 1936-1939, in Architettura e Urbanistica nelle terre d’Oltremare, Bononia University Press, pag. 160. Catalogo della mostra presso l’Ex GIL (22 aprile-18 giugno 2017). 2

L’Italia tornerà ad occuparsi del patrimonio culturale della Chiesa Copta etiope, questa volta proteggendo e valorizzando le chiese ipogee del sito Unesco di Lalibela, grazie al progetto di Teprin Associati che nel 1999 vince un concorso internazionale. Lo studio ravennate realizzerà «Un cielo architettonico bianco, come gli abiti della tradizione locale, e informe, per non intaccare la pura stereometria lapidea dei luoghi di culto copti, resi quasi immateriali dalle stelle artificiali che di notte le sospendono tra la terra alla quale appartengono e il cielo (quello vero) che come un manto nero li protegge». Cfr. D. Mollura, Quando l’architettura incontra la scrittura, “Trovacasa Premium”, n. 77, Ottobre 2012, pag. 41.

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U. Tramonti, Addis Abeba. Piano Regolatore 1936-1939, cit., pag. 160.

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ARTE CONTEMPORANEA

Quadri di un

Rinascimento elettronico

di Serena Simoni

La prima volta che vidi un’opera di Bill Viola onestamente sapevo assai poco di lui: nel 1995, a Venezia nel contesto della Biennale, rimasi affascinata dall’installazione sonora Presence, in cui alcune voci in loop sussurravano segreti e vicende personali fra i battiti di un cuore e la profondità di un respiro diffusi per tutta una stanza. Nella stessa mostra, ancora di più emozionante fu la videoinstallazione The Greeting, una sorta di rifacimento del soggetto della Visitazione che con evidenza richiamava spazi e personaggi del dipinto realizzato nel 1528 dal pittore manierista Pontormo. Col successo di questi lavori, la passione di Viola per la storia dell’arte in generale e per quella del Rinascimento italiano divenne nota. Risale almeno al 1974, quando l’artista newyorkese - allora poco più che ventenne - si trasferì a Firenze per lavorare come tecnico e cameraman della Galleria ART/TAPES/22, una delle prime in Europa ad occuparsi di videoarte. In forte anticipo sui tempi, Maria Gloria Bicocchi, la fondatrice dello spazio, aveva capito che questa nuova forma di arte avrebbe avuto un’importanza capitale nei decenni successivi. Lo spazio, divenuto punto di incontro di artisti famosi come Mario Merz, Giulio Paolini, Jannis Kounellis, Arnulf Rainer e Chris Burden, diede modo a Viola di assorbire la cultura contemporanea europea. Firenze, nel frattempo, accendeva l’amore dell’artista per l’arte italiana del Rinascimento. The Greetings è un lavoro “strano” - come lo ha definito Viola - che vent’anni dopo alla sua esperienza professionale in Italia si legava strettamente a queste passioni che non sono mai tra-

montate. Il video reinterpreta completamente il dipinto del Pontormo: dove il fiorentino pone due figure femminili affrontate di profilo - la Vergine e Santa Elisabetta - duplicandole in secondo piano in veduta frontale, secondo una licenza ancora incomprensibile per significato, Viola riduce a tre donne distinte, secondo una scansione temporale di due incontri. Ancora similmente al modello vengono presentati una fuga prospettica di edifici e in lontananza due piccole figure (in Pontormo solo una). Il rallentamento dell’azione nel fimato - 45 secondi reali dilatati a 10 minuti - permettono di leggere in modo quasi lenticolare le espressioni dei corpi restituendo la sacralità del momento attraverso il tempo: un ribaltamento dei mezzi scelti dall’artista del Manierismo, che impiega invece lo spazio e il posizionamento dei personaggi, i loro volumi statuari, per sottrarre l’avvenimento alla Storia e restituirlo alla dimensione dell’eterno. Per comprendere di quale eternità Viola si occupi, occorre contestualizzare la nascita di questa opera: in un’intervista dichiara di essere stato abbagliato da Pontormo, dalle sue forme e in particolare dalla sua gamma cromatica, “quasi surreale”. Un giorno, recandosi in auto al lavoro a New York, si ferma ad un semaforo e incrocia lo sguardo su tre donne che si trovano per strada, le vesti rigonfie dal vento. Giunto in studio, la prima cosa su cui cade l’occhio dell’artista è una copia della Visitazione di Pontormo nella quale riconosce folgorato la scena appena vista in strada. Da qui l’idea del video, quello che poi a Venezia gli decreterà una fama mondiale. Il racconto reso in un’intervista spiega questo video come il riconoscimento di una visione, senza alcuna interpretazione di carattere religioso: l’eternità a cui l’artista affida l’immagine,


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Sulla mostra retrospettiva di Bill Viola allestita a Palazzo Strozzi e altri spazi espositivi a Firenze

l’analisi delle forme e delle passioni, appartiene alla sfera estetica dell’arte, all’essere senza tempo a cui è destinata ogni opera d’arte quando si prende in considerazione quella distanza incolmabile di senso fra lo spettatore e l’opera d’arte, riempita solo dal tempo di chi la guarda ma mai dal tempo per cui (e in cui) essa è nata. La disponibilità di mezzi raggiunta grazie al successo ha fatto in modo che anche i video successivi di Viola potessero contare su un’eccezionale disponibilità tecnica, simile al set cinematografico. Agli inizi della carriera negli anni ‘70, l’artista realizzava video secondo i temi e le tecniche del periodo, allora agli albori: fissando un’eclisse di luna dalla finestra con la camera fissa o bloccando l’azione di un tuffo in una piscina (The Reflecting Pool, 1977/79) e lasciando libero contemporaneamente il movimento dell’acqua, grazie ad una modalità operativa quasi incomprensibile nell’epoca del digitale. Il cuore dei lavori erano allora la manipolazione del tempo, il rapporto dell’uomo con la realtà e la tecnologia e la presenza di una forte componente spirituale, caratteri che continuano in modo diverso ad essere presenti nel lavoro successivo dell’artista. Nonostante la povertà di mezzi, un primo scatto nel suo lavoro avviene con la realizzazione di Chott el-Djerid (1979) un video in cui le immagini del deserto sahariano - ricche di vibrazioni formali grazie ai miraggi e al calore - si mescolano agli effetti visivi di due tempeste di neve riprese negli Stati Uniti e in Canada. L’esito del tutto pittorico riesce a mettere in dubbio la natura della percezione e la sostanza delle immagini, mantenendosi lo stesso fedele alla bellezza, all’incerta estraneità che esse suscitano. Dagli inizi degli anni ‘90 i lavori di Viola assumono le caratte-

ristiche di brevissimi film, prima scegliendo cast casuali o persone conosciute, poi girandoli su set con attori professionisti. Il motivo del passaggio è dovuto ad una volontà di controllo formale sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista della ricerca sui corpi. Fra le opere di questo periodo vale la pena ricordare Nantes Triptych (1991) in cui l’artista registra la morte della madre sovrapponendo le immagini a quelle - cronologicamente avvenute nello stesso anno - della nascita di suo figlio. La perdita, il tempo e i suoi segni, le emozioni, sono i corollari di una ricerca artistica che si inoltra nel terreno del mondo interiore. Emergence (2002), commissionata dal Getty Museum, fa parte di The Passions, una serie tutta incentrata sulle emozioni: dopo la scomparsa dei genitori, Viola ammette di aver avuto bisogno di orientare il suo lavoro in senso più interiore e di dare più spazio alla componente di ricerca spirituale. Di nuovo è la riflessione su un dipinto di Masolino di Panicale che fa da stimolo ad un’analisi sulla struttura e iconografia delle immagini che in questo caso trasformano la morte in un atto di rinascita grazie alla presenza dell’acqua. L’iconografia così come la pratica tecnica della pittura riescono a superare in parte i loro limiti oggettivi di finzioni statiche del reale. Viola spiega con un aneddoto la grandissima capacità dell’arte di trasmettere emozioni, di stimolare un coinvolgimento comune fra spettatore e la rappresentazione artistica: nel periodo della malattia del padre - un avvenimento che lo mette duramente alla prova - si trova per lavoro a Chicago dove, in una pausa, in visita al museo, vede una Madonna piangente del fiammingo Dieric Bouts. I particolari del dolore sono così evidenti e realistici che Viola ricorda di aver cominiciato a singhiozzare

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ARTE CONTEMPORANEA


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L I B R E R I A

Ravenna Disegnata di Paolo Bolzani

La nuova guida di Ravenna al tratto Le meraviglie di Ravenna come non si erano mai viste. In 45 eleganti disegni architettonici, le facciate e i particolari dei monumenti e degli edifici storici della millenaria città d'arte. Completano l’edizione bilingue italiano e inglese cenni storici e 11 percorsi turistici urbani.

Nelle pagine di apertura: Four hands, polittico di video in bianco e nero, 2001

In libreria a 10 euro

In alto: due “fermo-immagine” di The Greeting, video/sound installation, 1995. A seguire, un ritratto di Bill Viola Sotto: due “fermo-immagine” di Emergence, video a colori ad alta definizione, 2002

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ARTE CONTEMPORANEA

in modo incontrollabile. Solo più tardi comprende che, come in uno specchio, l’azione si era replicata fra dipinto e realtà, un effetto che secondo lui dimostra come la funzione dell’arte può cambiare un dato oggetto artistico in esperienza emozionale, interiore e privata. Una forte connotazione spirituali è la base anche di Surrender, un video del 2001 in cui l’immagine rallentata rende perfettamente la scrittura delle passioni sul corpo – uno maschile e uno femminile in posizione specularmente verticale – in cui i turbamenti leggibili sui volti trapassano come onde nell’acqua in cui entrambi i protagonisti si specchiano e si immergono. La domanda centrale di questo lavoro e dell’intera serie è come gli estremi delle emozioni possano essere rappresentati. Lo stesso quesito riappare in Four Hands (2001), appartenente alla medesima serie, in cui l’inquadratura di quattro monitor si restringe solo sulle mani di una donna giovane, di un uomo e di una donna di età matura e di una donna anziana. Le diverse fasi della vita si concentrano sulla lettura della pelle arricchendosi però nell’analisi dei gesti ispirati a varie fonti, dalle mudra buddhiste alla tavole chirologiche inglesi del Seicento. Il lavoro può essere considerato come una sintesi di un atlante iconografico che Viola traduce attraverso le tecnologie contemporanee, analizzando fra passato e presente la distanza dei gesti o il suo contrario. Come ripete l’artista, le immagini non possono incarnare o creare il tempo, al contrario delle emozioni rappresentate: il video in questo caso realizza ciò che i pittori classici hanno sempre cercato di raggiungere, la trasmissione dei sentimenti attraverso il tempo. Un lavoro che non potrà essere visto nella bella retrospettiva che Firenze dedica a Viola in questi giorni – a Palazzo Strozzi e in vari musei e chiese della città, fino al 27 luglio – è Ocean Without a Shore, un video allestito appositamente per la chiesetta di San Gallo a Venezia nel 2007, dove la presenza di tre altari – secondo

la tradizione dedicati al contatto fra vivi e morti – diventano un vincolo dell’allestimento, impossibile da replicare. Ispirata al testo del maestro sufi andaluso Ibn Arabi (sec. XII) in cui si parla dell’essenza umana come un oceano senza riva, la videoinstallazione prevedeva tre schermi al plasma su ogni altare in cui alcune persone – filmate in bianco e nero, a bassa risoluzione – camminano dall’oscurità verso lo spettatore; nel momento in cui le figure sgranate attraversano un muro di acqua, sottile e trasparente come una lastra di vetro e percepibile solo nel momento del passaggio, acquistano colori pieni e perfettamente definiti. La connessione fra i due mondi e la metafora della rinascita attraverso l’acqua riepilogano gli interessi tematici più forti di Viola che considera la macchina da ripresa come un occhio sempre aperto, in grado di insegnare a guardare in profondità, un’azione questa che è comune a tutte le pratiche spirituali. In questo modo la tecnologia non deve essere pensata come un fine né interpretativo, né spirituale: come dimostrano questi lavori, essa può costituirsi come uno strumento di analisi del sé e di coinvolgimento di tutti gli esseri umani.

In alto: Nantes Triptych, 1992 Sotto, da sinistra: The Raft, video a colori ad alta definizione, 2004. Surrender, dittico di video a colori, 2001.


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DESIGN E LIFESTYLE

di Sabina Ghinassi

La generazione digitale, i cosiddetti Generation Y/millennials nati e cresciuti con le nuove tecnologie, è abituata a viaggiare e andare oltre i confini della geografia. Tutto questo ha ovviamente delle valenze positive, ma anche delle valenze negative. In Italia i millennials sono la generazione alla quale i padri e i nonni hanno regalato un tasso di disoccupazione giovanile medio del 37,6% (nel 2016), con la colpevole complicità della crisi economica del 2008. Come dimostra il feroce piano di realtà, tra i giovani si è ormai allontanata l’idea del posto fisso: ci si arrangia e ci s’inventa con bilanci precari che rendono una chimera il mutuo per l’acquisto di un monolocale (sempre che i genitori non firmino o paghino per l’erede). Il lato positivo è che questa generazione si sposta, transumante per scelta e costrizione, esce da casa per l’università e

In alto, e in basso a sinistra: la moderna condizione di nomadismo slega la generazione dei Millennials dai tradizionali vincoli sociali e dal possesso di una abitazione di tipo stabile; La condivisione degli spazi, di lavoro e di vita, sembra rispondere a questo nuovo modello di vita (foto © unsplash.com); il design sta ripensando il concetto di arredo. e la svedese Ikea che ha fatto della praticità di montaggio e dell’economicità dei suoi complementi una bandiera planetaria, “velocizza” anche la fase di smontaggio introducendo sistemi ad incastro privi di bulloneria. Nel dettaglio il supporto ad incastro dei tavoli della serie serie Lisabo, dettaglio (foto Ikea). A destra: il designer Jeff Wilson davanti ad un prototipo della casa modulare Kasita, installata ad Austin, Texas (foto communityimpact. com) e in fase di trasporto (foto © thenewstack.io).


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Nomadismi Come tra coppie scoppiate, comunitarismi Millennials sta cambiando il nostro modo di vivere e di abitare magari, dopo un Erasmus, si ferma all’estero per sempre, rendendo l’orizzonte italiano fatto di anziani-baby boomer, con coté di badanti e residenze per ospiti over 80. Il che, considerando l’atteggiamento medio della politica degli ultimi tre decenni, è quello che ci meritiamo. Questo succede non solo in Italia, ma anche a livello internazionale; nelle grandi città, i costi degli affitti sempre più alti, la diminuzione delle risorse economiche, i mutui esigenti a livello di garanzie, stanno diffondendo sempre di più il modello di co-housing e quello di Laas (acronimo di Living as a service). Il che significa che la Generation Y si domanda: perché devo acquistare qualcosa, se si può affittare o prendere in prestito? Perché devo acquistare una casa che, nella migliore delle ipotesi, graverà con un mutuo terribile sulla mia testa per i prossimi trenta anni? Negli Stati Uniti l’hanno definito Subscriction Co-Living, cioè convivenza su abbonamento. Come avviene per le serie di Netflix, per Uber, per Air b&b, per Kindle e per le App degli smartphones, dall’economia di proprietà si passa all’economia della condivisione su abbonamento. Anche chi è proprietario spesso si assesta su queste tendenze per sopravvivere; spopolano le home gallery (case private trasformate in gallerie d’arte per mostre), le location per eventi (soprattutto le grandi ville, assai dispendiose da mantenere), bed and breakfast e affini, magari con necessario calendario di manifestazioni (corsi di yoga, di astrologia, serate tematiche, corsi di cucina): lo spazio domestico diventa variabile e aperto alla condivisione di esperienze. Insieme c’è l’altro fenomeno sociale, cioè le coppie che scoppiano, direttamente ascrivibile alla stessa fluidità nomadica post crisi subprime: il tasso di separazioni e divorzi è, infatti, aumentato vertiginosamente dal 2008. Secondo i dati dell’Istat risalenti al 2012, in Italia ogni mille matrimoni celebrati, 311 finiscono con una separazione e 174 con un divorzio. Il che si traduce quasi sempre in un impoverimento di entrambe le parti. Sino a qualche anno fa, infatti, erano soltanto le madri con figli piccoli o adolescen-

ti il gruppo sociale a maggior rischio di povertà, adesso invece anche i padri post divorzio sono entrati in classifica (seppure con una percentuale statistica sempre minore). Così se per i giovani l’adultità è sospesa in un perenne fieri, la condivisione dell’appartamento all’università, con professione free lance annessa, diventa lo status permanente; “abitare” è altrettanto complicato per la pletora di neo divorziati/e alle prese con un affido congiunto: c’è chi torna a casa dai genitori ormai anziani in una casa multigenerazionale e chi costruisce una comunità affettiva (la framily, unione di friend e family), all’estero soprattutto. Chi possiede una casa grande di proprietà spesso la deve modulare su più generazioni (nonni, figli e nipoti) e renderla fluida, perché l’incontro tra generazioni diverse può rivelarsi una perenne trincea. Sul fronte nomadismo digitale l’Italia è invece ancora orfana di soluzioni di co-housing socializzante, ma, senza oltrepassare l’oceano, l’Europa pullula invece di soluzioni per i più avanguardisti. In Spagna, ad esempio, ci sono Coworking in the sun a Tenerife, con co-living e uso degli spazi di lavoro comuni a 122 euro a settimana, “Vagare” a Madrid (e anche a Bali e a Miami per 5 dollari a settimana di abbonamento) e The Collective Old Oak a Londra. Per i più dinamici basta iscriversi a https://nomadlist. com/, dove si può scegliere la location giusta per lavorare con connessione wi-fi superveloce e godersi la vita, scegliendo tra lo scenario metropolitano e quello tropical-selvaggio. Sempre su questo versante un giovane freelance può iscriversi a Purehouse (www.purehouse.org) per trovare una hub-home che è un po’ casa un po’ ufficio, aderendo al manifesto dell’organizzazione: «In a world where change has become a constant, it is our connection to others that fosters the internal strength to weather the winds of change» («In un mondo in cui il cambiamento è una costante, è la nostra connessione con gli altri a favorire l’energia interna per superare i venti del cambiamento»). Ovviamente il mercato e la progettazione si stanno sempre più adeguando al cambiamento radicale di una società segnata dal no-

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DESIGN E LIFESTYLE

Dall’alto: la duttilità di Kasita permette la composizione tridimensionale dei moduli. Nell’immagine il progetto di housing per Austin Downtown (foto downtownaustinblog.org). Kasita, rendering con spaccato assonometrico del modulo abitativo dal quale è visibile la successione degli ambienti con le diverse funzioni (foto kasita.com). La prenuptial house che reinterpreta il tradizionale modello olandese della casa galleggiante attraverso la sovrapposizione di diversi moduli, ognuno dei quali capace di essere autonomo, di riaggregarsi e continuare a galleggiare (foto dezeen.com). Diagramma concettuale del prenuptial housing con i diversi schemi aggregativi (foto dezeen.com).

madismo endemico e diffuso. Così Ikea per accogliere le nuove necessità transumanti (post divorzio o millenial) sta riprogettando il modo di costruire mobili, per rendere più facile l’azione di montaggio/smontaggio in caso di improvviso cambio di residenza: addio viti, bulloni, brugole e benvenuto al facile metodo a incastro che facilita tutte le operazioni. Il primo mobile è stato il tavolo Lisabo, ma il sistema ben presto sarà replicato ad altre produzioni. Nel design il modulo è ormai un topos immancabile per divani, cucine, letti multifunzione. Come il motto less is more che da Mies Van Der Rohe è diventato uno dei diktat più adeguati al vivere contemporaneo, poiché per i giovani è prioritaria l’attribuzione di valore alla qualità delle esperienze più che al possesso di beni in sé. Quello che si compra si deve poter trasportare o, se ingombrante, vendere, magari in un Garage Sale domestico e condiviso con gli amici. Così anche le case rappresentano una sfida per i progettisti e per i designer: devono essere flessibili e a geometria variabile, per accogliere più generazioni, diversi tipi di famiglia o comunità con interessi simili. Il che può tradursi anche in case scomponibili come i Lego e le casette di Minecraft. Sono simili, in qualche modo, al concept dei container di Pop Up Darsena a Ravenna di Officina Meme. Un esempio di queste tipologie, dal punto di vista residenziale, sono le abitazioni modulari Kasita (https://kasita.com), progettate da Jeff Wilson, professore di scienze ambientali all’Università Huston-Tillotson di Austin, in Texas, aiutato da Remy Labesque, ex capo progettista di Frog Design. La Kasita è low cost, modulare, di circa 33 metri quadrati, strutturata in diversi livelli per 3 metri di altezza; ha grandi vetrate e dispositivi controllabili mediante un’app per smartphone che controlla i termostati intelligenti Nest, il sistema wireless di illuminazione a led e i vetri delle finestre che si opacizzano al variare dell’intensità della luce esterna. Può essere impilata sino a dieci moduli in altezza e combinata secondo la disponibilità di spazio. Per eventuali cambi di residenza è mobile e quindi riposizionabile nel tempo secondo le necessità: dall’Università al primo lavoro può seguire il proprietario ovunque. Mobile è anche la casa modulare galleggiante Prenuptial Housing. Ispirata alle classiche case sull’acqua dei canali olandesi, è progettata dallo studio di Amsterdam OBA ed è divisa in due parti: in caso di divorzio dei coniugi può essere scomposta in due entità distinte e autonome e riposizionate sull’acqua, possibilmente non troppo vicine l’una all’altra. Sempre di co-housing e coworking tratta il progetto dell’artista inglese Grayson Perry, premio Turner Prize 2003, eccentrico (per il dresscoding femminile) e vulcanico protagonista della vita culturale d’oltremanica degli ultimi venti anni, che ha progettato, in team con l’associazione Create London e lo Studio di Architettura Apparata, “House for Artists”, un complesso residenziale con alloggi e studi a basso costo, a uso esclusivo di dodici artisti (selezionati tramite bando) nel quartiere Barking, nella periferia di Londra. L’obiettivo è di ospitare gli artisti nelle diverse fasi della loro vita, dai neo-laureati a quelli più anziani con le loro famiglie, facendoli vivere insieme e promuovendo lo scambio e la trasmissione di esperienze tra generazioni differenti, sostenendo chi sceglie di vivere d’arte e cultura e fronteggiando il caro prezzi degli immobili nella capitale inglese. Il piano terra è dedicato agli studi, mentre gli appartamenti sono collocati ai piani superiori. Uno spazio comune all’aperto per mangiare e lavorare è condiviso tra gruppi di tre appartamenti, che si possono unire insieme per offrire la possibilità di accordi di convivenza e progettazione di eventi comuni.


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LOCALI E DESIGN

C’è un certo fermento a livello di locali a Ravenna, dove in particolare alcuni nuovi bar si distinguono – oltre che per l’entusiasmo e il coraggio dei titolari – anche per le scelte originali in materia di arredi e decori, per ricreare ambienti caldi e accoglienti, diversi dal solito

di Roberta Bezzi

Entrando nel nuovo Mamelo di via San Mama 13, bar con annesso un bel laboratorio, non si può che restare colpiti dalle suggestioni nordiche degli interni. Una bella “scenografia” che ha tratto ispirazione dalla fotografia del Sassongher – la vetta delle Dolomiti che domina Corvara in Val Badia – scattata dal professionista Gustav Willeit, esposta sulla mensola consumazione del bar. Un posto molto caro alla titolare Francesca Di Carlo che “scappa” in quei posti appena gli impegni lavorativi glielo consentono. Da quei colori rilassanti della montagna, ha preso spunto per le pareti che sono anch’esse grigio scuro, tonalità che è declinata in una tonalità più chiara nella boiserie in legno e nel bancone. Fa un bel contrasto il pavimento, formato da mattonelle decorate un po’ alla maniera delle antiche cementine, ma sempre con colori neutri riposanti. Si evoca il Nord Italia ma anche il Nord Europa con un design minimale ed essenziale, anche nell’illuminazione, caratterizzata da boule e porta lampada in ottone destinati a scurirsi col tempo. I tavoli e gli sgabelli sono in rovere sbiancato, mentre le sedie nere, ma ugualmente dalle linee semplici e pulite. Il bar è separato dal super efficiente laboratorio da una vetrata, che consente un contatto diretto con la clientela. Quello è il regno di Francesca che, con Mamelo, ha dato una svolta importante alla sua vita, dopo anni di studio, gavetta e progetti. Con una laurea in Fisica nel cassetto, dieci anni fa decide infatti di cambiare professione: dopo aver seguito il corso serale della scuola alberghiera, diventa anche cuoca diplomata all’Istituto Pellegrino Artusi. Con piglio artigianale, raccoglie l’idea di trasformare la frutta in gustose confetture e squisiti biscotti che propone al pubblico, non solo al bar, ma anche in confezione a marchio Mamelo. Da provare sono gli accostamenti originali quali pere e lime, prugne e cardamomo, arance e zenzero per le confetture, così come da scoprire i biscotti gigli di farro alla cannella, fiori di lampone, piccoli strudel e molti altri. Un nome originale quello scelto per il locale, che nasce dalla contrazione della


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Mamelo e Merikipe: fra stile, accoglienza e buone cose parola marmelo, antico termine portoghese da cui deriva la parola marmellata. D’altra parte, la filosofia dei prodotti Mamelo ha il suo fondamento in questo legame con il passato, che si esprime nel rispetto della materia prima lavorata artigianalmente con grande impegno e passione. Chi si lascia attirare dalla bella vetrina con decori bianchi alla bistrot, potrà quindi non solo usufruire dei tradizionali servizi del bar, ma anche gustare confetture, brioche, muffin, plumcake, crostate, tartellette, torte di mele e biscotti, al pari di insalate e panini, creme e vellutate di ortaggi, per la pausa pranzo. Competenza e creatività per offrire prodotti della terra, seguendo il ciclo delle stagioni. Una produzione sana, genuina, pensata per chi ama la semplicità in cucina pur non rinunciando ad gusto prelibato. Aperto nel maggio 2016, anche il Merikipe Café in via Andrea Agnello Istorico 1 ha una storia che merita di essere raccontata. A pochi passi dalla centralissima via Cavour, colpisce per l’atmosfera rilassante, familiare e informale. Tutto merito dei due giovani titolari, i ventenni Lorenzo Cesarini e Chiara Belloni, entrambi con precedenti esperienze nel settore e con il sogno – da sempre – di aprire un locale tutto loro. Con gli spazi disponibili per il nuovo bar è stato amore a prima vista. Originari entrambi dell’entroterra, in quanto residenti a Savarna e Villanova, cercavano un locale spazioso ma non troppo grande per non dover utilizzare personale di servizio sin da subito e farcela con le proprie forze. Questa il l’intenzione che li ha animati all’esordio per gettarsi a capofitto in questa nuova avventura imprenditoriale. A cominciare dalla ristrutturazione del vecchio locale che è stata seguita sin nei minimi dettagli da loro, avvalendosi al massimo dell’aiuto di qualche conoscente abile nei lavori artigianali. La bella vetrina esterna colpisce per l’evidente richiamo a Ravenna e ai suoi monumenti, nei decori realizzati da un artista locale. Entrando è subito chiaro quale sia il pezzo “forte”, ossia il rivestimento con la tecnica découpage del bancone, di parte delle pareti, dei tavoli, della mensola e del mobile ad angolo che regola l’ac-

In alto, a sinistra, la vetrina di Mamelo, in via San Mama. Nelle altre foto di questa pagina, alcuni scorci e particolari degli interni del Mamelo. Parte delle foto di Ermes Tazzari .

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LOCALI E DESIGN

cesso al magazzino, con le pagine sbiadite di libri quali Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez e Le pagine della nostra vita di Nicholas Sparks. Seguendo il loro gusto estetico, che amano definire post moderno, le restanti pareti sono state dipinte con un giallo acido che fa da contrasto al legno wengé e di altri arredi, mentre le sedie sono in legno naturale. Si fanno notare, a fianco del bancone, una bella bacheca con infusi, tè e tisane provenienti dalla Sicilia, e i quadri forniti dalla Galleria Il Coccio. Un pannello, collocato vicino alla porta di ingresso, spiega in modo simpatico la scelta del nome del locale: Merikipe è colui che mesce il vino ed è un omaggio al viaggio in Georgia del padre di Lorenzo. L’obiettivo è dunque quello di essere i Merikipe di Ravenna, proponendo etichette selezionate di cantine del territorio ravennate ma anche di fuori regione. In appena un anno il bar si è già fatto conoscere e per i due giovani è sempre una grande soddisfazione veder ritornare il cliente. Il quartiere ha “risposto” bene

In alto, a sinistra, l’ingresso di Merikipe, con il piccolo dehor, in via Agnello Istorico, poco prima dell’incrocio con via D’Azeglio. Nelle altre foto, alcune vedute e dettagli della vetrina e degli arredi di Merikipe. Parte delle foto di Ermes Tazzari .


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LOCALI E DESIGN

anche perché è molto residenziale, rispetto ad altre zone del centro storico, ma non mancano anche turisti e ravennati di passaggio. Il segreto del successo è anche l’apertura, tutti i giorni dalle 7 di mattina alle 23, oltre all’ottima offerta serale degli aperitivi con mini tapas a base di carne, pesce e verdure, utilizzando il più possibile prodotti del territorio. Così il Merikipe Cafè sta già diventando un punto di riferimento per i tanti giovani che ne apprezzano stile, qualità dei prodotti e confortevole accoglienza.

> Crediti Mamelo: e forniture bar: Ditta Perugini, Forlì • Lavori Laboratorio Ditta Scozzoli, Montaletto di Cervia • Luci: Elfi Luce,di pasticceria: Ravenna Cesena • Fornitura Caffè: Torrefazione Granonero, Ravenna • Prodotti biologici di nicchia (latte di soia, avena, mandorle • e riso): Terra e Pane, Rep. San Marino biologiche: La Pozione, Casalecchio di Reno (BO) • Tisane Vino: Poderi Dal Nespoli, Nespoli (FC) •

Merikipe: bar e celle frigorifere: Arreditalia, Alfonsine (RA) • Bancone Luci: Amazon • Mobili: Ikea •


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CITTÀ E SOCIETÀ


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Un coup de dés jamais n’abolira le hasard I giochi di ruolo raccontati da Lorenzo Soleri di Marina Mannucci

Nel 1811, un soldato prussiano e suo padre, Georg Leopold e Georg Heinrich Rudolf von Reiswitz, sviluppano Kriegsspiel (letteralmente, “gioco di guerra”): un gioco da tavolo di strategia ideato per addestrare gli eserciti prussiani e tedeschi, nel quale, a seguito di tattiche e tiri di dado, un arbitro decideva l’esito della partita. Poco più di un secolo dopo, Herbert George Wells, celebre scrittore inglese di opere come The Invisible Man (L’uomo invisibile) e The War of the Worlds (La guerra dei mondi), trasforma quest’innovativo metodo di addestramento militare in Piccole Guerre, un gioco da tavolo, che, privo di arbitri, aveva il divertimento e la sfera ludica come finalità. Seguono varie versioni di queste guerre in miniatura alle quali venne poi aggiunto una sorta di arbitro (il game master). Nel 1970 David Lance Arneson presentò a Gary Gygax (colui che viene citato come il padre dei giochi di ruolo) un suo gioco ancora in fase sperimentale allora chiamato Chainmail (cotta di maglia). Gygax ampliò il set di regole e il contesto, arricchendolo di un’ambientazione fantasy (ispirata in gran parte alle opere di John Ronald Reuel Tolkien) e, nel 1974, insieme a Lance Arneson, creò Dungeons & Dragons, il primo gioco di ruolo da tavolo nel quale il giocatore non solo controllava un solo personaggio, ma questo era in sé unico e irripetibile perché creato in base a una serie di caratteristiche ricombinabili a piacimento dal giocatore stesso (cfr. Eric W. Swett, Internal and External Perspectives On the Role-Playing Gamer Subculture, lavoro di ricerca di uno studente americano, sulla “subcultura” legata al gioco di ruolo. Disponibile in formato htlm sul sito dell’autore). Dopo il successo di Dungeons & Dragons, dagli anni Ottanta in poi, i giochi di ruolo iniziarono ad avere una trasposizione fisica sempre più popolare, aggiungendo una sfaccettatura reale a queste avventure fantastiche. Nasce il LARP, live-action role-play, o gioco di ruolo dal vivo (l’acronimo più usato un tempo era GRV - Gioco di Ruolo dal Vivo; altri usavano anche RV - Ruolo Vivo) nel quale i giocatori hanno la possibilità di immergersi quasi completamente nella realtà di gioco, vestendosi, comportandosi e vivendo come il proprio personaggio. Ciò diventa un’attività in qualche modo simile al teatro: delle persone si riuniscono intorno a un tavolo e, attenendosi a determinate regole, risolvono delle storie. Oltre lo scopo ludico, non è la competizione che attrae il giocatore, bensì il desiderio di accumulare un’esperienza fisica e materiale (punti esperienza) che a fine partita viene decisa dal game master (l’arbitro e narratore della storia) a ciascun personaggio. Il LARP nasce come fenomeno di nicchia, concretizzandosi inizialmente nell’esperienza del Treasure Trap, una sorta di paintball fantasy per universitari, oppure come gioco di investigazione o altro ancora. Man mano, le dimensioni degli eventi, la qualità e il livello tecnico migliorano assieme alla varietà. Si passa dal gioco basato sulla sfida con un po’ d’interpretazione a veri momenti di avventure vissute in prima persona. Oggi il LARP è una forma di gioco, un media e un tipo di espressione artistica in rapida evoluzione, caratterizzata da una grande varietà di stili.

Una delle spiegazioni che viene più comunemente data a questo fenomeno (e allargata alla realtà dei video-giochi) è la cosiddetta evasione dalla realtà. Gli studi riguardo a questa materia sono pochi e recenti. Gordon Olmstead-Dean, un collaboratore al volume antologico Lifelike sul LARP cerca di rimuovere alcuni stereotipi su questa categoria di giocatori, mettendone in luce alcune caratteristiche di tipo sociale: «Sembra che il modello tradizionale del LARP fiorisca attraverso il desiderio che abbiamo per la fantasia e quello di provare a essere qualcun altro – il che è essenzialmente un’evasione della realtà. […] Sebbene riconosca che l’evasione è un elemento del LARP, mi sembra che l’elemento che si trova alla sua base sia principalmente di tipo sociale – giochiamo per entrare in contatto con altri esseri umani» (Lena Danielle Tudor, Gender, Sexuality, and Race in the Gamespace of Live Action Role Play, Submitted in partial fulfillment of the requirements for the degree of Master of Arts in the Department of Gender and Race Studies in the Graduate School of The University of Alabama Tuscaloosa, Alabama 2010). Le tecniche di simulazione come strategia conoscitiva hanno una lunga tradizione in molti settori scientifici e tecnologici. Nelle scienze sociali la simulazione ha trovato applicazioni nelle attività che presentano situazioni di conflitto e delle quali si desiderano prevedere gli sviluppi. C’è comunque ancora scetticismo a usare queste tecniche come strumento di terapia. Risalgono all’Ottocento le simulazioni strategiche utilizzate dagli Stati Maggiori e poi sviluppate in forma di vero e proprio gioco (wargames) a partire dagli anni ’50. Di poco successive sono le applicazioni degli stessi principî nell’addestramento alle attività economiche (business games). Più recenti sono le applicazioni della simulazione all’attività di pianificazione territoriale, rappresentazioni dinamiche di particolari aspetti degli insediamenti umani, degli interessi contrastanti e dei costi e benefici derivanti dalle decisioni assunte. In tutti questi settori la simulazione è diventata uno strumento di lavoro abituale. La pervasività della dimensione ludica non è mai stata tanto attuale come in questo periodo. Il diffondersi di termini quali gamification, rende complicato tracciare un confine tra gioco ed esperienza quotidiana e distinguere ciò che è ludico da ciò che non lo è. Nel 1955 Johan Huizinga aveva già affrontato questo tema nel celebre Homo Ludens discutendo il rapporto tra gioco e cultura. «Attività ludiche e rituali – scriveva Huizinga – costruiscono con le stesse modalità mondi temporanei delimitati nel tempo e nello spazio, al cui interno i comportamenti, gli obiettivi e le aspettative dei partecipanti assumono altri significati rispetto a quelli della vita quotidiana». Questo concetto, noto con il nome di “cerchio magico”, è stato per diversi anni terreno di scontro all’interno dei game studies.

A sinistra: copertina del manuale della seconda edizione di “Runequest”, gioco creato da Steve Perrin e edito dalla Chaosium. Sopra: i dadi, componenti imprescindibili della maggioranza dei Giochi di Ruolo.

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CITTÀ E SOCIETÀ Grazie al contributo di Lorenzo Soleri, studente iscritto al III anno dell’Università di Scienze e Tecniche psicologiche di Cesena, ho ricostruito questa breve cronistoria dei giochi di ruolo. Questo il racconto di Lorenzo. «Per giocare di ruolo in modo efficace sono necessarie competenze trasversali non indifferenti: capacità di cooperazione con i propri compagni, competenze di teoria della mente per impersonare un personaggio con carattere e atteggiamenti diversi dal giocatore, conoscenze storiche e di fisica per dare una maggiore veridicità al mondo di gioco. Tutti questi sono piccoli esempi di ciò che giocatori e Narratori dovrebbero possedere per costruire una solida “quarta parete”. Il divertimento del Gioco di Ruolo (GdR) si basa sulla risoluzione di un conflitto che viene presentato dal Narratore ai giocatori, situazione che viene risolta seguendo le regole del gioco, tirando dei dadi (aspetto casuale), confrontando il risultato ottenuto con gli attributi del personaggio (aspetto stabilito), per determinare, infine, se l’azione ha avuto successo o meno. In un certo senso può risultare uno specchio del mondo reale dove noi ci muoviamo con le competenze che abbiamo acquisito cercando di far fronte alle difficoltà che si presentano. Nel GdR, rispetto a un film o a un libro, c’è in più la possibilità di forgiare la storia, di essere il cavaliere che affonda la spada nel cuore del dragone, o il leader della rivolta che condurrà le colonie della Confederazione Galattica a emanciparsi dal giogo dell’Impero; oppure colui che stringe alleanza col drago per ridurre a ferro e fuoco le lande circostanti… Il GdR permette, in un atto ludico-esorcizzante, di affrontare anche i lati più oscuri di noi, esaminandoli senza reprimerli per poterli comprendere». Le riflessioni di Lorenzo mettono in luce le possibili opportunità offerte dal GdR; sta poi a chi gioca decidere se coglierle. Come ogni prodotto


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destinato al commercio, anche il GdR resta pur sempre all’interno delle logiche dello scambio e del mercato, inducono mode e determinano giri d’affari. Aspetto che non va demonizzato, ma riconosciuto e valutato. Rivolgo a Lorenzo ancora alcune domande. Le giocatrici e i giocatori di LARP che coscienza hanno della differenza fra realtà reale e realtà diegetica (ovvero “di gioco”) e delle interazioni fra le due. Fino a che punto arriva l’immedesimazione di chi gioca nel personaggio, che, diversamente da quella dell’attore, mi sembra di aver capito, può arrivare a coinvolgere totalmente il giocatore. In questo senso è importante la comprensione e condivisione di consuetudini e regole del gioco? «Realtà reale e diegetica sono inevitabilmente collegate dato che la seconda deriva dalla prima. Si rende necessario quindi fare una netta distinzione fra giocatori di ruolo e attori. I secondi, per propensione naturale e preparazione professionale, sono portati a “diventare” il personaggio da loro impersonato, con vari gradi di differenza a seconda delle differenti scuole di formazione. I giocatori di ruolo, al contrario, possono anche essere persone normalissime che, per evadere dalla realtà, costruiscono un mondo fittizio condiviso nel quale agire, a volte essendo limitatamente credibili per quello che potrebbe essere uno standard di verosimiglianza; ma, come i bambini giocano all’essere adulti / mostri / animali, senza poterlo realisticamente essere, così è per coloro che si immergono nel GdR. In questo senso il grado d’immedesimazione è estremamente soggettivo, cambiando da persona a persona. Inoltre si deve distinguere chi partecipa a dei LARP che possono durare anche una settimana, dovendo quindi rimanere nel personaggio più a lungo e circondati da un contesto più credibile, da chi si muove in un live di una sola sera, organizzato magari con mezzi più modesti e la cui finzione traspare, quindi, maggiormente. Detto ciò, esclusi casi di alienazione dalla realtà, il giocatore è sempre conscio di ciò che gli sta intorno». Ci sono situazioni in cui la realtà diventa fattore di “disturbo” per il giocatore di LARP? «La realtà può risultare di disturbo sia a livello fisico (l’aereo che passa sopra le teste mentre si gioca in un’ambientazione medievale), sia a livello psicologico, nel caso un giocatore che stia vivendo nella sua vita una situazione di stress non riesca a distanziarsene per potersi rilassare. Tuttavia questi esempi sono generali e banalmente potrebbero applicarsi alla vita reale». In altri stati come ad esempio in Germania, il LARP viene normalmente usato nella selezione del personale. In Italia mi risulta che tale realtà non esista e che il gioco sia visto non come strumento di crescita o pedagogico. Da cosa dipende questo, secondo te? «In realtà in Italia il GdR è già inserito da tempo sia a livello professionale (selezione e formazione del personale) sia a livello pedagogico e terapeutico. Ovviamente è un metodo (soprattutto quello in terapia) che per certi aspetti può risultare poco ortodosso, ma la sua validità è supportata dalle ricerche scientifiche svolte in merito».

Nella pagina a fianco: in alto: le miniature, nel caso si faccia uso di una plancia di gioco, servono per rappresentare il proprio personaggio e facilitare il calcolo delle distanze. Quasi sempre sono dipinte a mano. Al centro: ogni buon avventuriero che si rispetti non va da nessuna parte senza una mappa del territorio che deve attraversare. In basso: la griglia di gioco può essere immaginifica, un semplice abbozzo al volo su un foglio o, come in questo caso, una piantina accurata dell’edificio. In questa pagina: Dall’abbattere un cinghiale all’affrontare un enorme drago bicefalo in mezzo ai ghiacci: la vita dell’avventuriero non è priva di sfide e soddisfazioni. Un esempio di scheda del personaggio del celeberrimo gioco “Dungeons and Dragons”, edizione 3.5.

Su internet sono sorte comunità che hanno affrontato il GdR da un punto di vista critico, sviluppando teorie su di esso (come la teoria GNS o il Big Model) e prodotto nuovi approcci. Un’esigenza di ridefinire le meccaniche, i ruoli dei giocatori e la loro autorità sul piano creativo e narrativo? «L’essere umano in generale sente il bisogno di definire i concetti e i processi con cui si trova ad avere a che fare, fa parte della sua natura di coerenza e stabilità. In questo caso ciò si aggiunge alla necessità-volontà di individuare le tendenze dei vari giocatori: ciò che richiedono, le ambientazioni o i sistemi che vogliono esplorare. Il tutto per riuscire a creare prodotti che soddisfino maggiormente l’utenza. Il GdR è sì ludico artistico, ma è anche un articolo che per proliferare deve sapersi vendere. La diffusione di internet, se da un lato ha portato alla chiusura di moltissimi negozi e negozietti legati al GdR (a Ravenna hanno dovuto chiudere almeno quattro attività da che ho memoria), dall’altro, attraverso le campagne di crowdfunding e un contatto più diretto con l’appassionato, ha permesso la creazione di piccoli gioielli nati da menti che economicamente non avrebbero potuto competere con i “Big” del campo».

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ABITARE L’HABITAT

Green New Deal

per le città

Un rapporto della green economy con l’architettura e con l’urbanistica è necessario per il rilancio delle città

di Marco Turchetti * Le città hanno segnato successi e crisi delle civiltà. Sono i luoghi dove non solo vive la gran parte della popolazione, ma dove si trovano, insieme, le maggiori contraddizioni e le più feconde potenzialità di cambiamento. Lo straordinario patrimonio storico e architettonico delle città e dei piccoli borghi dell’Italia, la bellezza e la varietà del suo territorio, la ricchezza del mosaico dei suoi paesaggi e della sua biodiversità, insieme alla non più rinviabile necessità di affrontare e superare i rilevanti fattori di degrado ambientale e sociale, di cambiamento climatico in atto, di elevato rischio sismico e di crescente rischio idrogeologico, costituiscono i riferimenti imprescindibili per ogni progetto e intervento nelle nostre città. Il modello di sviluppo e di crescita incontrollata delle città dell’ultimo secolo appare inadeguato ad affrontare i nuovi problemi e le nuove sfide: dal peggioramento della qualità della vita e dell’ambiente urbano, all’avanzare della crisi climatica, alla compromissione del capitale naturale, insieme alla crisi prolungata dello sviluppo locale, con alti tassi di disoccupazione, specie giovanile, e con una crescente difficoltà a promuovere coesione ed inclusione sociale, in particolare della popolazione di recente immigrazione. Per affrontare sfide di tale portata l’architettura e l’urbanistica possono avere un ruolo centrale, purché siano dotate sia di visione e consapevolezza delle problematiche della nostra epoca, sia di capacità di sviluppare e utilizzare ricerca e conoscenza insieme alle migliori tecnologie e pratiche disponibili. In tale contesto la green economy rappresenta per l’architettura e l’urbanistica una scelta di fondo, imprescindibile e necessaria per trasformare le sfide - ecologiche e climatiche, ma anche economiche e sociali - in straordinarie occasioni di rilancio e riqualificazione delle città. Il cambiamento climatico, la principale sfida globale della nostra epoca, è in atto e continuerà a produrre effetti rilevanti sulle nostre città, che da una parte dovranno essere rese più resilienti pianificando e attuando politiche e misure di adattamento; dall’altra dovranno

svolgere un ruolo di nodi strategici per attuare efficaci politiche di mitigazione climatica, puntando al taglio drastico delle emissioni di gas serra. Per attuare efficaci politiche di adattamento è determinante il processo di conoscenza dei caratteri ambientali alla scala locale e la messa in atto di appropriate azioni e interventi di riqualificazione bioclimatica e tecnologica. L’aumento della capacità di resilienza degli edifici richiederà di massimizzare l’impiego dei sistemi bioclimatici di ventilazione naturale, di raffrescamento passivo e di protezione solare, che produrranno anche un aumento del comfort e del benessere ambientale per tutti gli utenti. Ai fini della mitigazione climatica in edilizia e urbanistica nei diversi usi, deve fare ancora molti passi l’innovazione della progettazione tecnologica e della gestione energetica per la riduzione dei fabbisogni di tutti gli edifici e per il perseguimento della massima efficienza energetica di tutti i tipi di fabbricati nella loro interezza, ricorrendo sistematicamente alle diagnosi energetiche, e monitorando periodicamente le prestazioni in termini di consumi, rendimenti, efficienze. Centrale è l’obiettivo di passare dal modello di edificio ad energia quasi zero (nearly zero energy building), a quello di energia zero (net zero energy building), a quello di energia positiva (positive energy building), per i quali è strategico il ruolo integrato nell’architettura delle fonti energetiche rinnovabili. Le città devono dare grande impulso all’impiego estensivo e generalizzato dei sistemi di generazione e accumulo da tali fonti energetiche e allo sviluppo di reti intelligenti per una loro distribuzione flessibile e adattabile nel tempo. La crescita tumultuosa e incontrollata delle città, alimentata dalla speculazione edilizia e dalla valorizzazione della rendita urbana, così come da una insufficiente consapevolezza ecologica, non è più sostenibile: genera costi ambientali elevati e compromette aspetti rilevanti della qualità e vivibilità delle città e del loro futuro. Per contrastare il degrado ambientale occorre ripartire dalla qualità ecologica delle città: investire nel capitale naturale, tutelare e


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ripristinare le reti ecologiche, promuovere le infrastrutture verdi, rigenerare la produzione agricola nei contesti periurbani, salvaguardare le risorse idriche, aumentare l’efficacia dell’uso delle risorse, puntare su una mobilità più sostenibile e applicare strumenti e modelli più efficienti, nel monitoraggio e nella verifica degli impatti. L’edilizia, supportata da una maggiore qualità tecnica e capacità di analisi dei cicli di vita dei propri processi produttivi e dei manufatti che realizza, deve dare impulso a una nuova fase di sviluppo diventando protagonista di un modello circolare di economia che minimizza il prelievo di risorse naturali, attua demolizioni selettive, punta sul recupero, il riciclo e il riuso dei materiali. L’utilizzo di sistemi di valutazione e certificazione ecologica e ambientale degli edifici basati su standard avanzati dei progetti, dei materiali, delle realizzazioni e delle gestioni, e controllati da soggetti indipendenti qualificati, va esteso per promuovere miglioramenti delle imprese e per orientare il mercato consentendo scelte informate e consapevoli dei cittadini. Troppo a lungo lo sviluppo edilizio e la pianificazione urbanistica hanno sottovalutato la necessità e l’urgenza di una svolta profonda nella mobilità urbana che genera inquinamento dell’aria, rumore e congestione del traffico. L’uso, la circolazione e l’occupazione di spazi pubblici con auto private in città vanno contrastati, così come va fortemente incentivata la mobilità pubblica su ferro e quella di tipo ciclopedonale, con adeguata rete di percorsi e piste ciclabili protette e con ricorso a mezzi ecologici e a sistemi collettivi, condivisi e pubblici. Lo sviluppo delle aree pedonali, chiuse al traffico veicolare privato, va esteso, progettato e utilizzato quale occasione di sviluppo di servizi e di attività esistenti e aggiuntive e soprattutto come spazio di maggiore incontro e socialità, ingredienti essenziali per il perseguimento della bellezza della sicurezza e della qualità della vita nelle città. Le città sono e saranno i luoghi principali, con crescente importanza nel contesto globalizzato, del mantenimento, della cura, dell’arricchimento dei patrimoni culturali, storici, archeologici, architettonici e artistici. Tali patrimoni costituiscono un capitale culturale di valore non solo per l’identità locale, ma per l’umanità intera. Sono indispensabili per la qualità e la bellezza delle città, per la vivibilità, il benessere, l’accoglienza e per la qualità di interi territori. Sono alla base di importanti attività economiche connesse con il turismo, ma anche per la qualificazione e l’attrattività delle città e di tutte le attività economiche che esse ospitano. Nelle attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale si sono formate professionalità ed esperienze di grande rilievo, sia nel recupero dei centri storici delle città che in quello dei borghi storici minori, che non solo non vanno indebolite, ma vanno mantenute, rafforzate e arricchite. Per contro è stata debole la capacità di mantenere nella progettazione urbana e architettonica la volontà di integrare e di estendere i livelli di qualità all’altezza del patrimonio ereditato all’insieme dei tessuti urbani e dei territori. I futuri interventi sul patrimonio edilizio esistente dovranno evitare

gli errori del passato ed essere accompagnati da attenti programmi di riqualificazione urbanistica e architettonica. Il meno va colto come occasione per fare meglio. La bellezza e la qualità architettonica non vanno considerati beni di lusso. Buone tecniche e buone pratiche di recupero del patrimonio edilizio esistente, insieme a politiche di credito agevolato, di incentivazione fiscale e di contrasto delle rendite, consentirebbero di rendere accessibili gli edifici di qualità anche per cittadini a basso reddito, con contenuti costi di intervento e bassi costi di gestione. È tempo per più accorte politiche pubbliche e per imprenditori lungimiranti capaci di fare profitti con attività edili sostenibili e di elevata qualità ecologica. Il futuro delle nostre città si fonda su una iniziativa di radicale rigenerazione urbana, di sistematica manutenzione, di recupero, riqualificazione, riuso e riciclo del patrimonio esistente, delle aree periferiche, dei tessuti urbani non pianificati, delle aree deindustrializzate, delle zone militari non più utilizzate, delle aree ferroviarie e portuali non più attive, delle molteplici aree di risulta prodotte dalla crescita caotica della città contemporanea, delle aree agricole periurbane non più coltivate. Tali aree e costruzioni sono parti cospicue delle città che, da fonte di degrado, superando la prassi degli interventi frammentati e dei recuperi puntuali, possono diventare fulcri di un sistema di progetti integrati di rigenerazione urbana, alternativo ad un modello espansivo di bassa qualità, ormai superato. La rigenerazione urbana è efficace strumento di conversione ecologica delle città purché non si limiti al riutilizzo e al riciclo dei “rottami” urbani, sia accompagnata dal sostanziale blocco del consumo di nuovo suolo non urbanizzato e dal soddisfacimento di nuova domanda abitativa con il riutilizzo di aree dismesse già urbanizzate e di edifici esistenti. La rigenerazione urbana e la riqualificazione del patrimonio esistente sono un’occasione storica affinché la - non più rinviabile - messa in sicurezza delle città a maggiore rischio idrogeologico (con pericolo di alluvioni e frane) e sismico non sia basata su interventi episodici, inadeguati e scoordinati, o solo successivi agli eventi catastrofici, ma sia sistematicamente inserita in un programma integrato di prevenzione che valorizzi l’intero ciclo di vita dei sistemi insediativi e punti,

In basso da sinistra: Puntare sulla green economy per affrontare le sfide delle città. Affrontare la sfida climatica con misure di adattamento e di mitigazione centrate sulla riqualificazione bioclimatica ed energetica. Fare della tutela del capitale naturale e della qualità ecologica dei sistemi urbani le chiavi del rilancio dell’architettura e dell’urbanistica. Tutelare e incrementare il capitale culturale, la qualità e la bellezza delle città.

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ABITARE L’HABITAT

insieme, alla sicurezza e alla qualità delle città. Un progetto di rigenerazione urbana richiede l’aggiornamento della strumentazione della pianificazione urbanistica, delle procedure autorizzative, della aggiudicazione e realizzazione degli interventi, in modo da accelerare il processo decisionale, rendere gli obiettivi più chiari, coerenti e vicini ai cittadini, utilizzando le tecnologie oggi disponibili per favorire la massima trasparenza e una maggiore partecipazione. Va incoraggiata e rafforzata la spinta in atto, recepita nell’ordinamento di diversi Paesi, verso gli “Appalti pubblici verdi” (Green Public Procurement) che applica un fondamentale principio: le Amministrazioni pubbliche ai vari livelli devono dare il buon esempio. L’adozione di “Criteri Ambientali Minimi” (CAM) che si va affermando in diversi appalti pubblici deve diventare più vincolante e più incisiva, con criteri ecologici avanzati, sia per la pianificazione urbanistica, sia per ogni tipo di intervento in edifici pubblici: tanto per la riqualificazione di quelli esistenti quanto per tutti i nuovi. Programmi pluriennali di riqualificazione energetica, ecologica e bioclimatica di tutto il vasto patrimonio di edifici pubblici - da quelli delle sedi delle Pubbliche amministrazioni a quelli scolastici e universitari, da quelli delle strutture ospedaliere e sanitarie a quelli delle forze di sicurezza e armate – benché promossi da normative europee - sono praticati in modo ancora ridotto e insufficiente poiché si tende a sottovalutarne i benefici. Sarebbero in grado invece di costituire un formidabile volano per lo sviluppo di tecniche, di investimenti e di imprese qualificate e specializzate, con importanti ricadute occupazionali. La qualificazione ambientale di edifici pubblici, esistenti o nuovi, dovrebbe essere utilizzata per realizzare progetti basati sull’approccio del ciclo di vita (life cycle thinking), fortemente innovativi, capaci di affrontare i processi di trasformazione dell’ambiente costruito dalla scala dell’edificio a quella della pianificazione urbana in una visione integrata, e di sperimentare nuove tecniche, nuovi materiali, sistemi di gestione informatizzati, considerando e migliorando, insieme, le prestazioni sociali ed economiche, i flussi di risorse e gli impatti ambientali lungo tutte le fasi del ciclo di vita. L’approccio del ciclo di vita, quale elemento fondante di un’economia circolare, deve caratterizzare i processi, i prodotti e i servizi dell’urbanistica e dell’edilizia, a partire da quella pubblica. Tale approccio comporta una valutazione dei costi e dei vantaggi economici, diretti e indiretti, anche a medio e lungo termine, riducendo l’esposizione ai rischi di logiche speculative basate solo sulle convenienze di breve termine, con una maggiore capacità di creare sinergie fra investimenti pubblici e privati e di coinvolgimento del sistema bancario in investimenti per interventi di buona qualità ecologica ed energetica. L’urbanistica e l’architettura devono ritrovare nuovo slancio nel progettare un futuro migliore e desiderabile per le nostre città. L’integrazione fra qualità ecologica, sociale ed economica delinea l’unica

via possibile per un futuro sostenibile. La pianificazione e la progettazione devono prestare la massima attenzione a tale indissolubile intreccio, decisivo per il futuro delle città. La città che guarda al futuro deve potenziare le reti e le connessioni, promuovere la ricerca e l’eco-innovazione, sperimentare la formazione e la diffusione dei programmi e delle applicazioni, per essere un nodo attivo dell’economia della conoscenza e della sostenibilità. Gli edifici devono essere di alta qualità ambientale, a ridotta impronta ecologica, a emissioni zero, a comportamento bioclimatico, a bassissimo fabbisogno di risorse ed esclusivamente alimentati con fonti energetiche rinnovabili. Le città devono essere libere dall’uso invasivo dell’auto privata e i sistemi di mobilità profondamente diversi e sostenibili. La gestione dei rifiuti va inserita in un modello circolare di economia che minimizzi il prelievo di risorse materiali ed energetiche, punti sulla prevenzione e la riduzione, massimizzi il riuso e il riciclo, azzeri gli sprechi e gli smaltimenti. Le aree periurbane vanno gestite come cinture di cuscinetto ecologico per frenare l’espansione edilizia e azzerare il nuovo consumo di suolo, per migliorare la biodiversità e promuovere i servizi ecosistemici, e per sviluppare sistemi di produzioni agricole a filiera corta. Vanno aumentati - e va loro dedicata maggiore attenzione e cura - gli spazi aperti e verdi, le piazze e in genere i luoghi di incontro e di aggregazione, con arredi, servizi, ricerca della qualità bioclimatica e del comfort ambientale, modalità di gestione che favoriscano benessere fruitivo, socialità, coesione e inclusione, non solo nei centri storici, ma anche nelle zone periferiche. La presenza di una quota significativa di popolazione immigrata, con diverse religioni e culture, è un dato rilevante per il futuro delle città: va pianificata e gestita con realismo e spirito di accoglienza, puntando ad evitare che si formino sacche di illegalità, e promuovendo disponibilità abitative caratterizzate da bassi costi e, quando necessario, dalla temporaneità e reversibilità degli utilizzi. Rafforzare i processi di inclusione sociale è necessario non solo per rendere le città più etiche, ma per costruire un futuro migliore, più sicuro e desiderabile per tutti. *[Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com

Da sinistra: Promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione del patrimonio esistente. Qualificare gli edifici pubblici con progetti innovativi e con la diffusione dell’approccio del ciclo di vita. Progettare un futuro desiderabile per le città.


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Ravenna Via A. Bozzi 69 tel. 0544 217369 tel. 0544 400004 cell. 334.7556891 emanuela.famoso@scor.it ZONA CLASSE

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Villa abbinata con ingresso carraio in comune, composto da: ingresso, soggiorno, cucina abitabile, bagno recente, locale servizi; 1°P. camera matrimoniale, camera doppia, camera singola, bagno, sottotetto; giardino fronte e retro, da risistemare - Ape G ep 253,66 - Rif. MHH44 € 170,000,00 tratt.

Vendiamo n. 2 case indipendenti al piano terra, da ristrutturare, con ampia corte comune e servizi in corpo staccato - Ape G ep 417,63 / Ape G ep 474,45. Rif. CHH10 € 180.000,00 tratt.

ZONA CLASSE

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S.STEFANO (RA), CENTRO PAESE Bella casa semi-indipendente da riaggiornare, composta da 2 appartamenti con ingresso indipend., ampia area cortilizia più capannone di mq. 130 ca. Classe energetica G, kWh/m2/anno 275,24. Rif. GS4 € 250.000,00 tratt.

Z0NA CHIAVICA ROMEA RAVENNA, ZONA DARSENA Vendesi appartamento di recente costruzione, composto da soggiorno, cucina, 2 letto, bagno, balcone, ripostiglio, posto auto scoperto. Risc. aut., climatizzazione. Classe energetica D, kWh/m2/anno 241,22. Rif. L872 € 160.000,00

Appartamento al PT, in condominio di recente costruzione, con grande giardino privato di 240 mq, soggiorno con ak, 1 camera matr., 1 studio/cameretta, bagno, ampio porticato garage e posto auto di proprietà. molto carino - Ape D 175,01 - Rif. FG022 € 153.000,00

RAVENNA, ADIACENZE CENTRO STORICO Vendesi attico all'8° piano così composto: ingresso, soggiorno, veranda con camino e vista sulla città, cucina, 2 camere da letto, bagno, ripost. Cantina e ulteriore terrazzo indiviso con l'attico adiacente. Classe energetica G, kWh/m2/anno 238,95. Rif. L859 € 195.000,00

Villa indipendente con ampio giardino mq 1.300 circa, composta da ampio ingresso, sala, salotto, studio, cucina abitabile con doppio camino, bagno; al primo piano 2 ampie camere matrimoniali, 1 doppia con cabina armadio, bagno, terrazzino, garage mq 90 circa, riscaldamento anche a pellet, completamente ristrutturata, ottime rifiniture - Ape in fase di attuazione - Rif. MHH45 € 418.000,00

CENTRO STORICO ZONA SAN MICHELE

In piccolo contesto di recente costruzione appartamento piano primo: ingresso in soggiorno con parete attrezzata a cucina, balconata con camino, bagno; piano mansardato locale aperto, bagno, cabina guardaroba; aria condizionata; completamente ristrutturata e compreso nel prezzo anche l'arredamento moderno. Ape D kwh/m2 176,4. Rif. MHH43 € 115000,00 tratt.

Splendida casa con ingresso indipendente e cond., in splendido contesto, composta da: piano terra garage doppio, posto auto, piccola corte, ingresso; al primo piano ingresso su ampio soggiorno con camino e terrazzo, cucina, bagno; al secondo piano camera matrimoniale con cabina armadio, bagno e terrazzo coperto, camera doppia con bagno, camera singola; finiture di pregio - Ape D 114,99 - Rif. HH156 € 650.000,00

SAN BIAGIO/SAN VITTORE

ZONA DARSENA

Bell'appartamento completamente arredato, posto al 3° P., in contesto condominiale di recente costruzione, composto da: ampio soggiorno con angolo cottura e terrazzino abitabile, disimpegno notte, 2 camere da letto, 2 bagni; al PT garage, aria condiz., zanazariere - Ape D ep 128,48 - Rif. CHH12 € 170,000,00

Appartamento da rimodernare, in buono stato d'uso, posto al secondo ed ultimo piano in piccolo contesto condominiale, composto da: ingresso, soggiorno, cucinotto con balcone, 2 camere da letto, balcone, bagno; al piano terra cantina e garage; riscaldamento autonomo - Ape G 243,12 - Rif. HH151 € 89,000,00

CLASSE (RA) endesi ampio attico composto da: soggiorno, cucina abitabile, 3 camere da letto, 2 bagni, 2 ampi balconi, sottotetto di circa 50 metri, 2 cantine e 2 garage. Riscaldamento autonomo. Possibilità di suddividerlo in 2 appartamenti. Classe energetica E, kWh/m2/anno 107,15. Rif. L854 € 350.000,00

RAVENNA Zona molto tranquilla e ben abitata, a poca distanza dal centro storico, appartamento completamente ristrutturato in palazzina di poche unità con parti comuni in ordine e ristrutturate; è al piano secondo e composta da ingresso, soggiorno ampio con terrazzo, cucina abitabile con terrazzo, 3 camere da letto, rip/lavanderia, bagno oltre a garage ampio al piano terra. OTTIME RIFINITURE curate nei dettagli. RISC. AUT., CLIMA. Classe energetica E, kWh/m2/anno 121,34. Rif. N39 € 196.000,00

RAVENNA, BORGO SAN ROCCO ATTICO al 5° piano con ascensore, splendido panorama e bellissima vista sulla città, composto da: ingresso, ampia sala soggiorno-pranzo, cucina abitabile, tre camere da letto, 2 bagni, terrazzo di mq 45 ca, oltre ad ampio vano mansardato di mq 68 ca, collegato con scala dall'ingresso dell'appartamento e con proprio ingresso autonomo dal 6° piano. Nel piano ammezzato del condominio è ubicata la cantina e al piano terra un garage di mq 28 ca. Riscaldamento centralizzato con contacalorie. Ottime rifiniture, molto luminoso e curato nei dettagli. Classe energetica C, kWh/m2/anno 89,43. (Mq. Comm. 260 ca). Rif. N33 € 390.000,00 RAVENNA, VIA RUBICONE In condominio di poche unità immobiliari, vendesi appartamento in ottime condizioni, composto da: soggiorno, cucinotto, disimpegno notte, 2 camere da letto, bagno, ampio balcone, garage e n. 2 posti auto condominiali assegnati. Risc. aut. Classe energetica F, kWh/m2/anno 180,57. Rif. L857 € 156.000,00

RAVENNA, ZONA VIA VICOLI In recente complesso immobiliare, vendesi villetta terra cielo: giardino su 2 lati, ampio soggiorno (con predisp. per ulteriore bagno), cucina separata, terrazzo; 1°P.: 1 letto matrim., 1 singola, bagno, balcone; mansarda, posto auto scoperto e garage. Classe energ. F, kWh/m2/anno 131,91. Rif. L871 € 295.000,00


IDEA CASA CP 2017.qxp:Layout 1 23/05/17 16.24 Pagina 67

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Ravenna via IV Novembre 4B tel. 0544.36337-36372 www.ideacasaravenna.com casa_idea@libero.it PRIMO SAN BIAGIO In zona tranquilla e molto servita, a due passi dalla porta del centro storico, si vende luminoso appartamento al piano secondo con asc. composto da ingresso, ampia sala con affaccio su balcone abitabile, cucina abitabile con balconcino, tre ampie camere da letto e due bagni finestrati di cui uno con terrazzino. Garage. Classe en G. Da rimodernare. € 195.000,00

RAVENNA S. ROCCO Vendesi villa anni ’60, struttura solida in cemento armato, completamente indipendente, di ampia metratura su due piani con giardino sui quattro lati. Piano terra ampi e luminosi servizi (doppio ingresso e possibilità di ricavare appartamento indipendente). Primo piano ampio appartamento con grande sala , cucina abitabile, tre letto, bagno e balconi. € 290.000,00

RAVENNA ZONA COMET In palazzina di recente costruzione si vende luminoso appartamento sito al secondo piano con ascensore composto da ampia zona giorno con terrazzino abitabile, camera matrimoniale e bagno. Garage e cantina. Classe energetica in lavorazione. € 123.000,00

MARINA ROMEA Si vende villetta di qualità composta da giardino, portico, terrazzi, ampia zona giorno, bagni, due/tre camere da letto. € 250.000,00

RAVENNA CENTRO STORICO Vendesi ampio e luminoso appartamento, in condominio di grande qualità, composto da ingresso, ampia sala, cucina, tre camere da letto, tre bagni e balconi. Soffitta e posto auto condominiale. Classe energetica in lavorazione. € 230.000,00

CAMERLONA In zona residenziale molto tranquilla si vende villa indipendente di recente costruzione, ampia metratura, composta da piano terra ampia zona giorno, salone con camino, cucina abitabile, bagno e studio e al piano superiore tre grandi camere da letto, due bagni ripostiglio. Giardino sui quattro lati. Ottima costruzione. Classe energetica in lavorazione. € 360.000,00

RAVENNA PRIMO SAN BIAGIO In una traversa interna immersa nel verde e nella quiete, si vende appartamento in buone condizioni, in palazzina al terzo piano con ascensore composto da: ingresso, cucina abitabile con balconcino, sala con affaccio su balcone, due camere da letto, studio e bagno. Cantina e Garage. Classe energetica E € 178.000,00

ROCCA BRANCALEONE Si vende appartamento al piano terra con ingresso indipendente completamente ristrutturato, composto da ampia zona giorno, due letto, bagno, ripostiglio e lavanderia/cantina. € 165.000,00

RAVENNA S. ROCCO Si vende casetta abbinata a un lato, indipendente terra/cielo, composta al piano terra da zona giorno e bagno, al primo piano da due camere da letto, bagno e balconcino, oltre a sottotetto utilizzabile. Garage. € 190.000,00

CENTRO STORICO, ZONA VIA DE GASPERI Appartamento signorile sito al 2° e ultimo piano in piccolo contesto condominiale. Ampio salone con sala da pranzo, cucina abit. servita da terrazzo vivibile, dispensa, studio, disimp. notte, 3 camere da letto, 2 bagni, mansarda. Cantina di 50 mq circa oltre a posti auto. € 420.000,00

aprile-maggio 2017


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Vendesi casa in stile liberty, completamente indipendente, con splendido giardino che gira sui 4 lati. Composizione: al piano rialzato ingresso con portico, studio, sala con camino, zona pranzo, cucina separata. Al piano superiore tre camere da letto, bagno con finestra e dal disimpegno accesso al terrazzino. Piano terra, garage, lavanderia, più servizi. Classe energetica G; EP: 390,01. € 450.000,00

Vendesi bilocale molto luminoso e ben rifinito, al 2° piano con ascensore. Soggiorno di mq 28 con ang. cottura, balcone a loggia, disimpegno, bagno finestrato con vasca, camera matrimoniale. Si vende compreso l’arredo cucina. Risc. aut., aria condizionata, zanzariere, imp.allarme. Garage ampio al piano interrato. Classe energetica C; EP: 80 € 129.000,00

RAVENNA, ZONA COMET

In zona tranquilla, vendesi appartamento al terzo e ultimo piano, disposto su 2 livelli. Lo stabile è dotato di ascensore. Composizione: soggiorno con angolo cottura, disimpegno, camera matrimoniale, bagno finestrato, scala in arredo che porta nella parte mansardata dove è stata ricavata seconda letto + ampio sottotetto di mq 90 circa. Ottime rifiniture. Al piano interrato garage. Risc. aut. Classe energetica D; EP: 161,07 € 160.000,00

RAVENNA, BORGO S. ROCCO In piccolo contesto condominiale, vendesi appartamento di nuova costruzione al 1° e ultimo piano, composto da ingresso, soggiorno con ang. cottura, disimpegno, camera da letto, bagno, scala in arredo che porta nella parte superiore con soppalco, ripostiglio, 2° camera da letto ed ulteriore bagno + terrazzo di mq 50 circa. Risc. a pavimento. Posto auto scoperto. Classe energ. C; 118,60 € 250.000,00 tratt. RAVENNA, VIA CASTEL S. PIETRO Nel cuore del Borgo San Rocco, vendesi bilocale, ristrutturato negli anni '90, posto al primo piano senza ascensore. Composizione: piccolo balconcino di arrivo, ingresso, soggiorno con angolo cottura, 2 bagni di cui uno con anti-bagno, camera matrimoniale. Immobile valido anche come uso investimento. Classe energetica G; EP: 364,05 € 98.000,00 RAVENNA, ZONA VIA RUBICONE

Vendesi appartamento completamente ristrutturato nel 2012, posto al 3° ultimo piano senza ascensore. L’immobile è composto da ingresso, ampio soggiorno, cucina abitabile, ripostiglio, camera matrimoniale, camera singola, bagno finestrato, balcone. Cantina al piano superiore con terrazza condominiale. Basse le spese condominiali. Riscaldamento autonomo. Classe energetica G; EP: 285,09 € 128.000,00

RAVENNA, ZONA CASA DI CURA S. FRANCESCO In contesto condominiale completamente ristrutturato, vendesi appartamento parzialmente ammodernato, al 5° e ultimo piano con ascensore: ingresso, soggiorno con cucinotto in nicchia, balcone, bagno finestrato, spazioso ripostiglio, 2 camere da letto grandi. Garage al piano terra. Infissi in PVC e porta blindata. Risc. centralizzato con contacalorie. Classe energetica G; EP: 275,20 € 130.000,00

CAMERLONA, A 5 MIN DA RAVENNA

BAGNACAVALLO CENTRO STORICO

Villetta recentissima costr. 2010, piano terra con soggiorno, cucina abit. prospicente a corte pavimentata con barbeque x pranzi e cena all'aperto, bagno e garage; 1° piano con 3 stanze (di cui 2 con terrazzi) e bagno; mansarda completamente finita accedibile con scala normale, luce ed aria con 2 ampie velux e predisposizione bagno. Completano la proprietà posto auto + un'area verde di 60 mq. circa per orto/giardino oppure per posteggio auto. Riscaldamento ed utenze autonome, scuroni alluminio a persiana orientabili, zanzariere, videocitofono, predisposizione clima, da vedere, libera subito. Cl. energ. "C" Ep tot. 67,64 kwh/mq./anno - Rif. 0430 € 189.000,00

A 150 m. dalla piazza, prestigiosa casa recentemente ristrutturata con finiture veramente da rivista, con ampio ingresso, grande cucina di 22mq. con pred. camino affacciata su deliziosa e riservata corte interna, pavimentata con pietra in costa alla toscana, lavanderia-ripostiglio di 14 mq. e servizio; ampio soggiorno con caminetto, bagno, camera da letto o studio da 13,4 mq.; 2° piano padronale costituito da stanza matrimoniale di 23 mq. con tetto a vista in legno, guardaroba di 13,4 mq. e bagno di 11 mq., entrambi sempre con tetto mansardato, il 2° piano e illuminato ed aerato oltre che dalle finestre anche da 6 velux elettriche. Completa la proprietàa casetta di servizio sulla corte interna. Bellissima. Cl. energ. "F" Ep tot. 173 kwh/mq./anno - Rif. 0418 € 320.000,00 Ulteriori info in agenzia.

PONTENUOVO

BAGNACAVALLO

GODO (RA)

In quartiere residenziale, vendesi casa, abbinata ad un lato, con ampio giardino su 3 lati. P.T.: ampio ingresso, soggiorno, zona pranzo, cucina abitabile, studio, 2 ripostigli, bagno, lavanderia + spaziosa cantina utilizzabile anche come garage. Al piano superiore disimpegno, 4 camere da letto, studio, bagno, 2 balconi. Immobile da ammodernare. Classe energetica F; EP: 191,98 € 210.000,00 tratt.

MARINA ROMEA (RA) In posizione centrale e di grande passaggio pedonale e veicolare, vendesi negozio commerciale, strutturato su due livelli, dove nella parte superiore troviamo il magazzino ed il bagno. Attualmente l’immobile è locato ad attività redditizia. Maggiori informazioni in agenzia. Classe energetica D; EP: 219,06 € 180.000,00 tratt.

PUNTA MARINA (RA) In zona centrale e tranquilla, vendesi 3 trilocali, parzialmente ristrutturati nel 2000, posti in piccolo contesto condominiale e composti da soggiorno con angolo cottura, camera da letto, studio, bagno, balcone. Ciascun appartamento è dotato di garage al piano terra. Possibilità di parcheggio nella corte condominiale. Classe energetica G; EP: 268,49/242,07/265,25. € 135.000,00 tratt. (ciascun appartamento)

Casa indipendente su un lotto di ca. 469 mq., costruz. anni '60 su 2 piani + sottotetto, con piano terra altezza m. 2,43, 1° altezza m. 3,00 e piano sottotetto altezza max. ca. m. 2,80. La casa, posizionata su un lotto di buone dimensioni con possibilità di event. ampliamento nella zona retrostante, era abitata fino a poco tempo fa ma necessita di lavori di ammodernamento e rifacimento impianti. La strada è traffico prettamente residenti e quindi silenziosa. Può essere valutata interessante anche per sistemare il nucleo famigliare principale al 1° piano ed i genitori nel comodo piano terra. Cl. energ. "G" Ep tot. kwh/mq./anno - Rif. 0433 € 250.000,00

Bellissimo appart. con tetto a vista mansardato con vecchie travi e tavelle sabbiate, in ottimo stato d'uso, con soggiornopranzo ampio, cucina, disimp. con armadio, bagno, letto matrimoniale, studio in soppalco con accesso dal soggiorno, parquet in acero chiaro, clima, risc. autonomo, 2° e ultimo piano, cantina a PT, corte interna comune, possib. p. auto adiacente. Consegna veloce. Cl. energ. "F" Ep tot. 311 kwh/mq./anno - Ideale anche come investimento x affitto - Rif. 0362 € 140.000,00

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