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RAVENNA& DINTORNI | giovedì 3 ottobre 2013

SPECIALE FUORI PORTA

SAGRE D’AUTUNNO Dalla polenta ai frutti dimenticati, i sapori della collina in festa Quale stagione è più incantevole dell’autunno per godersi la collina? Con i colori delle foglie che addolciscono i boschi, i frutti dai sapori antichi che riportano a tradizioni lontane, ma ancora vivissime. Terra ricca di memoria, in Romagna, e dunque anche nel Ravennate, è un fiorire di sagre a ottobre che rappresentano un’ottima scusa per scoprire borghi incantevoli, ritrovare sapori magici e dimenticati, immergersi in atmosfere di divertimento e socialità genuine e autentiche. Ecco allora una piccola guida ad alcuni degli appuntamenti clou. A Riolo Terme, nella cittadina che si sviluppa intorno alla sua Rocca, la festa è dedicata alla salvia e alla saba e si svolge domenica 20 ottobre con stand, bancarelle e anima-

zioni varie. Stesso weekend per la ormai celeberrima “Festa dei Frutti dimenticati” di Casola Valsenio: il 19-20 ottobre si potrà dunque gustare piatti cucinati utilizzando questi preziosi prodotti tipici, dai risotti di pere volpine, all'arrosto di arista con castagne e lamponi o al rotolo di vitello al melograno; dalla crostata di marmellata di sorbe, alle prugnole ripiene di noci e zabaione e al sorbetto alle corniole (informazioni Pro Loco Casola Valsenio: 0546 73033 oppure www.terredifaenza.it). Nella piccola frazione riolese di Borgo Rivola, invece, l’appuntamento è per il 12 ottobre, con la sagra del più classico dei prodotti autunnali: la zucca. Dal mattino, mostre, mercatini e anche il concorso di Marmellate e Liquori

d’erbe e di frutta, la mostra animali da cortile, ludoteca per i bambini e Romano e la sua fattoria ambulante. Nella zona di Brisighella, invece, si fa festa già dalla domenica del 6 ottobre, per replicare poi il 13 e il 20 ottobre con la quarantaduesima edizione della Sagra della Polenta. Si potrà gustare polenta con carne di manzo, cervo, cinghiale, squacquerone, funghi e persino il baccalà, senza dimenticare la mitica paciarela (polenta fritta con fagioli) e i dolci. In occasione del 120esimo anniversario della storica linea ferroviaria “Faentina” (Faenza-Firenze), chi giungerà a San Cassiano in treno, riceverà in omaggio una polenta con ragù.

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ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO

COMUNE DI RIOLO TERME

A RIOLO TERME

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RIOLO TERME/1

Antica e versatile: la salvia Storia e proprietà di una pianta essenziale in cucina LA PRELIBATEZZA

di Giorgia Lagosti

DOMENICA 20 OTTOBRE 2013 Ore 10:00 in Corso Matteotti: apertura mercatino dei prodotti della nostra terra; Ore 10:00 in Corso Matteotti: apertura di stand con ficattola; Ore 12:00 Parco Pertini: apertura dello stand gastronomico con piatti tipici (fino alle ore 15:00); Ore 14:30 Rocca Trecentesca: 24° Premio Valle Senio realizzato dall’associazione Culturale Romagna – Ars – Banca di Credito Cooperativo della Romagna occidentale; Ore 15:00 nel Parco Pertini: K & the Soul Squad

Per elencare tutte le ricette delle tradizioni regionali d’Italia in cui compare, insostituibile, la salvia, ci vorrebbe un libro. In Veneto troviamo il fegato che, insieme alla cipolla, vuole assolutamente la salvia, in Liguria la famosa focaccia, nel Lazio i saltimbocca alla romana, il tonno di coniglio in Piemonte, e poi i tortelli burro e salvia che, a dire il vero, una vera e propria patria non ce l’hanno. In Romagna sono buonissime le foglie di salvia fritte, il pollo arrosto la ricetta UNA TISANA CHE RESTITUISCE LA FORZA La salvia si può anche essere usata per preparare una bevanda utilissima per restituire forza a chi è convalescente: fare macerare per otto giorni 100 grammi di foglie e fiori essiccati in un litro di vino e bere un bicchierino dopo i pasti.

con le patate che, se non profuma di salvia, “un va bèn”, l’anguilla, che a Comacchio viene marinata con la salvia, che è poi utilizzata anche per aromatizzare molti formaggi alle erbe. Come dimenticarla negli arrosti, soprattutto quelli di cacciagione, nelle zuppe, quelle calde ed invernali con la zucca, i legumi o le patate? Insomma: la salvia è versatile, profumatissima e perfetta per tante ricette. E se usciamo dai confini del nostro Stivale o andiamo indietro nel tempo? La Salvia trova impiego in cucina fin dai tempi antichi e, nonostante la sua origine mediterranea, la sua presenza è consolidata da secoli in quasi tutte le cucine d’Europa. E non solo: in Medio Oriente viene usata per aromatizzare uno dei piatti identificativi di questa “cucina lontana”, l’arrosto di montone. Infine, non va dimenticato anche che abbiamo per le mani una pianta con proprietà non solo aromatiche

Cucina con specialità di polenta, spettacoli, mostre e mercato. info 338.3309387 www.sancassiano.ra.it

E le foglie diventano squisite frittelle Per realizzare ottime frittelle alla salvia, è sufficiente procurarsi una ventina di foglie di salvia grosse e ben pulite, 200 grammi di farina, acqua minerale fredda, sale e olio. Per la pastella amalgamare la farina con l’acqua e aggiungere un po’ di sale. Successivamente, quando l’olio è caldo, immergere le foglie nella pastella e friggerle. Sgocciolarle sulla carta assorbente e spolverare di sale. Servirle calde e fragranti accompagnate da vino bianco secco e fresco.

RIOLO TERME/2

La saba, quella “crema dei poveri” ottenuta dal mosto dell’uva buona La saba, cui Riolo Terme dedica parte della sagra del 20 ottobre pensata anche per celebrare la salvia, è un mangiare antico difficile da classificare. Si tratta di un “impreciso sciroppo” che veniva preparato nelle case contadine romagnole durante la vendemmia: quando si pigiava l’uva migliore, due donne filtravano con uno strofinaccio di lino una gran quantità di mosto e ne lasciavano cadere il succo direttamente dentro al caldaro di rame che veniva posto subito sul focolare, prima che partisse la fermentazione. Lì, il mosto, bolliva per ore ed ore, fino a ridursi di un terzo, diventando molto denso, scuro e profumato. Alla fine si toglieva il paiolo dal fuoco e si aspettava che raffreddasse. Sul fondo si depositavano le impurità e, il giorno dopo, la “donna del focolare” imbottigliava la Saba facendo molta attenzione perché andava lasciata più “limpida” possibile. Per la conservazione, la si riponeva in cantina o nella dispensa, in normali bottiglie da vino scure, e ne si avvolgeva l’imboccatura con un semplice foglio di carta gialla: il mosto avrebbe potuto sempre “bollire”, cioè fermentare, e il “farlo sfiatare” ne garantiva una durata più lunga e migliore. La saba, a questo punto, doveva riposare per almeno due mesi. Poi, arrivata la stagione fredda, questo dolcissimo succo avrebbe trovato mille usi in cucina. Era chiamato “la crema dei poveri” e si preparava solo per la domenica o per i giorni di festa.


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ma anche terapeutiche. Della famiglia delle labiate, alla quale appartengono anche il rosmarino, l’origano, la santoreggia, il timo e la melissa, il suo nome deriva dal latino Salus salute o Salvus sano e ciò testimonia senza alcun dubbio le virtù che gli antichi Romani le riconoscevano: il termine salvia ha la stessa radice del verbo salvare e della parola salus (salvezza, ma anche salute). A questo proposito, abbiamo testimonianze secondo le quali chi raccoglieva la salvia doveva rispettare un rituale particolare: non doveva usare oggetti di ferro, era tenuto a indossare una tunica bianca ed avere piedi scalzi e ben lavati. Prima e dopo gli Antichi Romani, dagli Egizi fino ad arrivare alla farmacopea medioevale, la salvia fu sempre apprezzatissima in erboristeria e non a caso Linneo le attribuì il nome di officinalis. Tra i principali effetti, la salvia ha efficacia antisettica ed è digestiva e calmante. Le sono attribuiti altre doti, ma non su tutte c’è concordia. Per concludere qualche curiosità: secondo un’antica tradizione la Salvia officinalis può essere utilizzata anche per curare un’eccessiva sudorazione. Se ne prepara un infuso e si praticano tamponamenti della zona

da trattare. Il fumo di salvia (ottenuto bruciando semplicemente le foglie) invece elimina odori di cucina e di animali. Mentre in mancanza di dentrificio, si possono strofinare i denti con una foglia fresca per ottenere un effetto sbiancante. Non c’è dunque da meravigliarsi se Riolo Terme le dedichi un’intera sagra.

il consiglio QUANDO RACCOGLIERLA E COME CONSERVARLA Come tutti sappiamo, il principio attivo della salvia risiede nelle foglie: queste vanno raccolte nei mesi primaverili ed estivi (la pianta predilige i climi caldi e va lasciata riposare in inverno). Le infiorescenze vanno messe ad essiccare in luoghi ombrosi e conservate in sacchetti di tela o di carta. Per conservare bene le foglie fresche invece, bisogna riporre i piccoli rametti raccolti in un vaso di vetro al riparo della luce e con quel tanto di acqua che basta perchè siano immersi per qualche centimetro. Un infuso di salvia consente di restituire ai capelli il colore scuro e le lozioni preparate con la salvia detergono la pelle.

BORGO RIVOLA

La zucca? Il maiale dei poveri di cui non si butta via niente Rotonda o allungata, grande, piccola, liscia o bitorzoluta, verde, rossa o gialla. Anche striata. La zucca ha forme, colori e impieghi assai vari. E alla zucca è dedicata la sagra di Borgo Rivola. Un modo per omaggiare un vegetale dalla storia lunghissima e assai importante. Chiamata “maiali dei poveri”, fu usata per sfamare il popolo contadino che col passare del tempo ne ricavò ricette sapienti e prelibate. Meno costosa della carne, la zucca è però indubbiamente ricca di nutrimenti come vitamine, sali minerali e svariate altre sostanze benefiche. E poi non va dimenticato che, come per il maiale, anche della zucca non si butta via niente: fiori, polpa e semi sono le parti commestibili, mentre la buccia, svuotata e essiccata, ancora oggi può diventare un leggero e naturalissimo contenitore. Eppure in Romagna la zucca è da sempre stata utilizzata meno di quanto si meriti: in collina nei tortelli alla lastra, al forno con il rosmarino, nelle terre di confine con il ferrarese, nei cappellacci di zucca, in pianura, ma raramente, fritta, nel minestrone o in graticola. C’è però un antico rituale contadino che vedeva la zucca, o meglio i suoi semi, protagonisti dei pochi momenti di svago nelle lunghe giornate di lavoro nei campi: la veglia nelle stalle. E i semi della zucca, assieme ai ceci essiccati, erano la “bustargheda” o i “brustolini”.

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Farmacia Bernardi OMEOPATIA - DERMOCOSMESI SANITARIA - VETERINARIA D.ssa ANNAMARIA BERNARDI

Riolo Terme (RA) Corso Matteotti 29 - Tel. 0546 74052


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CASOLA VALSENIO

IL FORMAGGIO

Quei robusti frutti dimenticati che scandivano le stagioni

Quando si parla di frutti dimenticati il pensiero corre a tutti quegli alberi antichi che un tempo si trovavano frequentemente, e apparentemente in ordine sparso, attorno alle vecchie case rurali, soprattutto sulle nostre colline e nelle zone di montagna: azzeruolo, cotogno, corniolo, melograno, giuggiolo, pero volpino, nespolo. Erano piante che fornivano sostentamento nei periodi di carestia, che venivano utilizzati per alleviare i malanni, che sfamavano o riparavano il bestiame e mitigavano gli eccessi del clima. Erano piante forti, il cui patrimonio genetico si era “plasmato” nei millenni per renderle resistenti alle malattie, per sopportare grandi freddi e lunghi periodi siccitosi. Pur non avendo una grande produttività, quasi a segnare lo scan-

dire del tempo, queste piante rappresentavano durante tutto l’arco dell’anno una continuità alimentare. Alla fine di maggio maturavano le antiche ciliegie e le more di gelso, poi a giugno il “fruttaio” si arricchiva delle prime varietà di pere, di mele e di albicocche, la Bella di Imola, la Mandorlona; a luglio le pesche, le Platicarpe e alla fine di agosto arrivavano le corniole. L’autunno infine portava cotogne, melograne, sorbe e nespole. Non “dimenticarle”, come si rischiava di fare nel dopoguerra, è quindi fondamentale per non disperdere un patrimonio naturale enorme. E in nessun luogo più che a Casola Valsenio si sono dedicati alla loro valorizzazione con un giardino, la riscoperta di molte ricette e una sagra unica nel suo genere.

La festa dei frutti dimenticati a Casola Valsenio si svolgerà il 19 e il 20 ottobre.

trekking QUATTRO ORE PER 400 METRI DI DISLIVELLO Domenica 20 ottobre , in occasione della festa dei Frutti Dimenticati di Casola Valsenio, il Trekking Nasturzio per conto della Pro Loco di Casola Valsenio organizza la “Terza escursione dei Frutti Dimenticati”. Il ritrovo per le iscrizioni è presso il campo di basket di fianco alla palestra comunale di Casola Valsenio dalle ore 8.30 alle 9. Il tragitto prevede la partenza lungo la pista ciclopedonale che attraversa il centro del paese e fiancheggia la strada provinciale per raggiungere la località “Il Cardello - Casa Oriani" museo dedicato allo scrittore Alfredo Oriani, dove ci si fermerà per una breve visita. Di qui parte la salita, attraverso filari di pini e cipressi secolari fino in cima alla collina. Si proseguirà quindi per la località Monte Battagliola dove si inizierà a scendere verso il castagneto di Campiuno. Prendendo il sentiero Cai che conduce a Monte Battaglia si toccheranno le località di Prugno e Monte Fortino. Da qui il rientro in paese. Durante le soste dell’escursione verranno raccontati aneddoti e fatti sui luoghi attraversati. La durata è di circa 4 ore comprensivo di sosta e visita al Cardello. Il dislivello da affrontare è di circa 400 metri di cui oltre 300 nel primo tratto per la durata di oltre un’ora di salita continua, il percorso non presenta difficoltà particolari se non la salita. Info: trekkingnasturzio@gmail.com, oppure francesco.rivola@alice.it.

Lo squacquerone, un vero sapore Dop della Romagna Per chi visita la Romagna, lo squacquerone – magari servito nel classico abbinamento con la piadina – è certamente uno dei sapori da conservare nella memoria. La spalmabilità è una caratteristica inconfondibile di questo formaggio fresco dalla consistenza cremosa, dall’aroma dolce, stuzzicante ed erbaceo. Gli intenditori lo abbinano a primi e secondi piatti classico o creativi, ma anche a merende, antipasti e spuntini. È perfetto anche servito su una fetta di pane con marmellate e confetture o accompagnato da fichi caramellati e mostarda. Ma nella cucina romagnola, lo squaquerone si sposa piacevolmente con tortini, risotti, gnocchi, cannelloni, lasagne o come semplice condimenti per la pasta. Il nome ha origine dal dialetto squaquaron, per indicare l’elevata “acquosità” di questo formaggio che, essendo molle, tende ad assumere la forma dell’oggetto in cui è contenuto. Si tratta di una variante, insieme con la cassatella, del più storico ravviggiolo. La materia prima è composta da latte vaccino intero crudo, che viene fatto cagliare. La differenza con il raviggiolo è nel metodo di maturazione e di salatura. Viene prodotto tutto l’anno ma va consumato fresco al massimo in tre giorni. Le sue origini sono piuttosto antiche, secondo al tradizione popolare risalenti persino al I° secolo d.C., molto legate all’ambiente rurale dove era consuetudine produrlo e consumarlo in inverno, periodo in cui era più facile conservarlo. Ma era apprezzato e consumato anche da palati più raffinati come dimostra la corrispondenza inviata il 15 febbraio 1800 dal cardinale Carlo Bellisomi, vescovo di Cesena, al vicario generale della diocesi cesenate Casali, che scriveva: “Fin’ora nulla so de Squacqueroni, ma in questa mattina se ne farà diligenza da Franciscone. Ed intanto Ella ringrazi il Bazzocchi da mia parte”. La zona di produzione dello Squacquerone coinvolge le province di Rimini, ForlìCesena, Ravenna, e si estende fino a Bologna e a parte della provincia di Ferrara. In queste zone si trovano i caseifici che fanno parte dell’Associazione Squacquerone di Romagna Dop e che possono vantare il marchio Denominazione di Origine Protetta sul loro prodotto: Comellini di Castel San Pietro Terme (Bologna), Pascoli di Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena), Campagnola di Crespellano (Bologna), Centrale del Latte di Martorano di Cesena, Mambelli di S.Maria Nuova di Bertinoro (Forlì-Cesena), Officine Gastronomiche Spadoni di Coccolia (Ravenna), Caseificio Sicla (Faenza), Enogastronomia San Patrignano. Occhio quindi al bollino rosso.


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