Marina Mannucci
Felicità e sicurezza Ordinamenti sociali e conflitti nella città contemporanea
i quaderni di
RECLAM EDIZIONI E COMUNICAZIONE - RAVENNA
ORDINE ARCHITETTI RAVENNA
COMUNE DI RAVENNA
Pianificatori, paesaggisti, conservatori della provincia di Ravenna
Venerdì 10 maggio, ore 17.30 Aula Magna del Dipartimento di Scienze giuridiche, Alma mater studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna Via Oberdan 1 - Ravenna
CONFERENZA SUL TEMA
Felicità e sicurezza Ordinamenti sociali e conflitti nella città contemporanea
Incontri a più voci sull’abitare Storia, estetica, società, esperienze
a cura di
in collaborazione con
Associazione Avvocato di Strada
Comitato Difesa della Costituzione
Associazione Femminile Maschile Plurale
Associazione Circolo di Ravenna
PROGRAMMA E RELATRICI/RELATORI DELLA CONFERENZA Saluti delle Autorità cittadine e della Prof.ssa Greta Tellarini, Responsabile dell’Unità organizzativa di sede del Dipartimento di Scienze giuridiche.
Partecipano al dialogo/confronto moderato da Marina Mannucci: Piera Nobili Architetta, Progettista, contitolare dello Studio “Othe” di Ravenna, Presidente C.E.R.P.A. Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità Italia Onlus, socia fondatrice dell’Associazione Femminile Maschile Plurale. Tomaso Francesco Giupponi Professore ordinario di Diritto costituzionale, Università di Bologna, Campus di Ravenna. Collabora con diverse riviste scientifiche, di rilievo nazionale e internazionale, ed è stato ed è componente o responsabile di diversi progetti di ricerca, in collaborazione con Università e Istituti di ricerca nazionali e internazionali. Gian Guido Nobili Criminologo, attualmente responsabile dell’Area Sicurezza urbana e Legalità della Regione Emilia-Romagna. Dal 2000 collabora per attività di ricerca e promozione delle politiche di prevenzione della criminalità con istituzioni e centri di ricerca internazionali, in particolare in America Latina. Francesca Curi Professoressa associata di Diritto Penale, Università Bologna, Campus di Ravenna, Direttrice del Corso di alta formazione “Pratiche sociali e giuridiche nell'accoglienza ed integrazione dei migranti”. È autrice di numerosi saggi sul tema della prevenzione e repressione della criminalità, anche nel contesto urbano. Ilaria Morigi Avvocata, volontaria Associazione Avvocato di Strada Onlus, sportello di Ravenna.
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La presente pubblicazione è frutto di una ricerca di documentazione autonoma ma anche a supporto tematico della conferenza a più voci dal titolo omonimo “Felicità e sicurezza”, svolta a Ravenna nell’Aula Magna del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna, il 10 maggio 2019 © Marina Mannucci/Casa Premium - i quaderni rivista dell’abitare (n. 119) maggio 2019 Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 ISSN 2499-2550 - direttore responsabile Fausto Piazza https://www.ravennaedintorni.it/casa-premium-magazine/ © Reclam edizioni e comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544 408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it La foto di copertina è di Alberto Giorgio Cassani, Londra, 2017 Grafica e impaginazione: Maria Cristina Giovannini Questo lavoro è dedicato all’amico e storico collaboratore della rivista Casa Premium PIETRO BARBERINI Stampa digitale Project Service - Ravenna
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Felicità e sicurezza Ordinamenti sociali e conflitti nella città contemporanea di Marina Mannucci
«La grande rivoluzione tecnologica dei trasporti e delle comunicazioni che sta interessando profondamente tutte le attività moderne e le pubbliche relazioni non ci aiuta a vivere con sicurezza e sprezzantemente nelle nostre torri d’avorio… Lavorare e vivere assieme a gente tanto diversa che ci sembra bizzarra è difficile. Imparare a dividere lo spazio ed i servizi con essa e a comunicare in modo reciprocamente soddisfacente è ancora più difficile. Ma il raggiungimento della nostra felicità dipende oggi dalla nostra capacità di raggiungere questa coesistenza e questa armonia» JEAN GOTTMANN, Per salvare la torre di Babele
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Ettore Sottsass, The Planet as Festival: Design of a Roof to Discuss Under, perspective, 1973, New York, The Museum of Modern Art
FELICITÀ E MITOLOGIA DELLA SICUREZZA La felicità, nella cultura occidentale, oltre ad essere un augurio è anche un’aspettativa, una speranza di qualcosa che in una certa misura si prevede e che si vorrebbe si realizzasse. È un concetto che nella storia riemerge a ritmi cadenzati e che coinvolge indifferentemente popoli con culture diverse tra loro, che, a seconda dei contesti sociali, economici, politici o religiosi, imprimono alla “felicità” significati diversi. La modernità si pone l’obiettivo di far sì che l’utopia della felicità possa trasformarsi in realtà sociale, avviando una serie di studi che tentano di distinguere il concetto di felicità soggettiva da quello di felicità oggettiva, facendo ricorso agli strumenti offerti dalla statistica, dalla demografia, dalle scienze matematiche, da quelle mediche, nonché dall’urbanistica. Non è un caso che il Premio Nobel per l’Economia Daniel Kahneman1 abbia proposto di aggiungere ai dati statistici indispensabili per gli studi economici e sociali di un paese, oltre al PIL (Prodotto interno lordo), anche il MAH, (l’indice cumulativo di
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felicità). Il “Mah”, Measure of aggregate happines, consente di compilare classifiche dei paesi più felici in base a parametri che vanno dal livello di benessere allo sviluppo della nazione, dal reddito all’indebitamento pubblico, dal prodotto interno lordo al tasso di disoccupazione; argomento d’indagine di questa ricerca vuol essere un ulteriore parametro, “la cura della qualità urbana per garantire la sicurezza dei cittadini”, un’eguaglianza fondamentale per la ricerca della felicità intesa come buon vivere. La necessità di affrontare ricerche in campo socio-economico o politico tenendo conto di parametri quali la felicità e la libertà è stata riconosciuta anche dal rettore del Trinity College a Cambridge, nonché Premio Nobel per l’Economia, Amartya Sen: La valutazione dello sviluppo non può essere separata da quella delle possibilità di vita e di libertà di cui effettivamente le persone godono. [...] Lo sviluppo non può essere identificato semplicemente con l’aumento del reddito pro capite o con il progresso tecnologico.2
Il tema del paradigma spazio urbano-sicurezza è ampiamente affrontato da Andrea Cavalletti,3 docente di Estetica e Letteratura italiana all’Università Iuav di Venezia nel libro La città biopolitica: Mitologie della sicurezza. Il termine biopolitica è stato utilizzato per la prima volta da Michel Foucault, nella seconda metà degli anni ’70, nei due corsi tenuti al Collège de France: Sécurité, Territoire et Population, 1977-1978; Naissance de la Biopolitique, 1978-1979, pubblicati entrambi da Gallimard nel 2004 e in quello che li aveva immediatamente preceduti nel ’76-’77, Il faut défendre la société. Attualmente, nel lessico socio-economico e politico, il termine biopolitica viene utilizzato a proposito delle trasformazioni e della nuova invasività degli apparati di sicurezza degli Stati, in relazione alla determinazione del rischio sociale. Prendendo spunto da autori importanti quali Thomas Hobbes, Carl Schmitt e Michel Foucault, Andrea Cavalletti avvia un’interessante ricostruzione delle “mitologie della sicurezza” ed approfondisce lo studio sul “biopotere” liberale realizzatosi negli Stati Moderni con la pratica materiale di governo dei cittadini nello spazio, con l’attuazione di strategie di sicurezza, di un disciplinamento permanente delle soggettività, delle
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loro attitudini e del loro sistema di relazioni. Nell’8oo, quando si parlava di Polizeiwissenschaft (Scienza di Polizia), si intendeva la scienza della Polis, la Scienza della città, perché questa si interessava alla vita dei cittadini in generale, della popolazione come unica vera ricchezza dello Stato. Le istituzioni che precedono la polizia sono queste. La città, la strada, il mercato e la rete stradale che alimenta il mercato. Di qui il fatto che la polizia del XVII e XVIII secolo sia stata pensata, credo, sulla base di quella che si potrebbe chiamare urbanizzazione del territorio. In fondo si è trattato di fare del regno, dell’insieme del territorio, una specie di grande città [...]. È proprio grazie alla presenza di una polizia che regolamentava la coabitazione, la circolazione e lo scambio che le città hanno potuto esistere.4
Il legame città-polizia è tanto forte che Foucault giunge ad affermare che «nonostante tutti gli spostamenti e le attenuazioni di senso che si sono verificati nel XVIII secolo, nel senso forte del termine, esercitare la polizia e urbanizzare sono la stessa cosa».5 Lo Stato più forte non era quello con il territorio più vasto, ma quello che riusciva ad organizzare nel modo migliore la vita della popolazione e, infatti, ogni grande trattato politico di quell’epoca ha almeno un capitolo dedicato alla città. Carl Schmitt in Il Nomos della Terra, 6 tratta della legge e della dimensione politica dello spazio partendo dalla terra, dalla misura che si dà a vedere attraverso «recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura, case e altri edifici»,7 e dalla quale emerge l’ordine delle proprietà e del vicinato, delle toponomastiche e delle forme di potere e di convivenza. L’importanza della “terra”, nella qualità di vita dell’uomo, è ulteriormente ribadita da Schmitt nel libro Terra e mare: L’uomo è un essere terrestre, un essere che calca la terra. Egli sta, cammina e si muove sulla solida terra. Questa è la sua collocazione e il suolo su cui poggia, e ciò determina il suo punto di vista, le sue impressioni e il suo modo di vedere il mondo. Dalla terra su cui nasce e si muove trae non solo il suo orizzonte, ma anche il modo di camminare e di muoversi e l’aspetto. Di conseguenza chiama «terra» l’astro su cui vive, sebbene, com’è noto, la sua superficie si componga per quasi tre quarti di acqua e solo per un quarto di terra, mentre anche i continenti più grandi non fanno che galleggiarvi come isole. Da quando sappiamo che la nostra terra ha la forma di una sfera parliamo con naturalezza di «globo terrestre» e di «sfera terrestre», e troveresti strano
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Moebius / Jodorowsky, L’Incal Noir, Los Angeles, Les Humanoïdes Associés, Tome 1, 1981, disegno di Moebius
doverti figurare un «globo marino» o una «sfera marina». La nostra esistenza nel mondo – felicità e infelicità, gioia e dolore – è per noi la vita «terrena» e, a seconda dei casi, un Paradiso terrestre o una terrena valle di lacrime. Si spiega così il fatto che in molti miti e in molte leggende, in cui i popoli hanno conservato le loro esperienze e i loro ricordi più remoti e profondi, la terra appaia come la Grande Madre degli uomini. Essa è designata come la più antica di tutte le divinità. I testi sacri ci narrano che l’uomo viene dalla terra e alla terra deve fare ritorno, la terra è il suo fondamento materno, ed egli è quindi figlio della terra. Nei suoi simili vede fratelli terreni e abitanti della terra. Fra i quattro elementi tradizionali – terra, acqua, fuoco e aria –, la terra è l’elemento destinato all’uomo e quello che più lo determina.8
Anche la definizione che Georg Simmel ha fornito dello spazio quale «attività dell’anima» suggerisce un attento esame riguardo ciò che una cerchia sociale considera e vive come spazio dotato di senso. Secondo il filosofo e sociologo tedesco, lo spazio dotato di senso è una costruzione sociale ed ha delle qualità che danno un confine agli immaginari che lo generano.9 Nel saggio Lo spazio e
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François Schuiten / Benoît Peeters, L’étrange cas du docteur Abraham (Les citées obscures), Paris, Casterman, 2001
gli ordinamenti spaziali della società,10 Simmel affronta il tema dello spazio in quanto elemento indispensabile per capire i processi di affollamento urbano e delle rispettive forme sociali di interazione che ne derivano. L’emergenza storica che porterà alla nascita del Restorative Justice paradigm11 prenderà le mosse dalla necessità di contenere la conflittualità sociale emersa a seguito dei nuovi processi del Welfare State biopolitico e delle conseguenti trasformazioni giuridiche. «La connessione tra Polizei e la categoria sociale del rischio risiede nel fatto che l’operazione di inglobamento sociale totale della Polizei, come stadio della governamentalizzazione biopolitica, per la realizzazione del benessere collettivo, è resa possibile, grazie alla
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tecnologia assicurativa dei rischi, quella stessa tecnologia che funge da supporto imprescindibile per il funzionamento del Welfare State, in specie della sua dimensione biopolitica».12 Polizei e Politik intendevano perseguire la pace sociale attraverso la gestione, nonché protezione, della popolazione interna al territorio, tenendo sempre conto delle relazioni internazionali. Ma lo spazio della città a cui si applicavano i regolamenti di Polizia, quali ad esempio il controllo dell’aria, dell’umidità, dei rapporti sociali, delle crescite demografiche, della gestione dei nuovi quartieri, col passare del tempo viene via via svuotato dei suoi significati oggettivi, una “perdita”, questa, che ha avviato e rilanciato l’infinita discussione tra sicurezza e insicurezza. A partire dal XVIII secolo – tenendo conto dell’evoluzione degli spazi urbani – ogni trattato che consideri la politica come arte di governare gli uomini dovrà contenere necessariamente uno o più capitoli sull’urbanismo (urbanisme), sulle attrezzature collettive, sull’igiene e sull’architettura privata.13 Urbanismo è un termine forgiato poco più di un secolo fa dall’urbanista spagnolo Ildefonso Cerdá, che, aprendo nel 1867 la sua Teoria generale dell’urbanizzazione, scriveva: per prima cosa mi si è presentata la necessità di dare un nome a questo mare magnum di persone, di cose, di interessi di ogni genere, di mille elementi diversi che sembrano a prima vista funzionare ognuno alla sua maniera e indipendentemente dagli altri, mentre osservandoli con attenzione e spirito critico si nota che essi, talvolta esercitando l’uno sull’altro un’azione molto diretta, sono in costante relazione, e formano di conseguenza un’unità.14
Si avverte quindi la necessità di dare un nome al mare magnum di mille elementi diversi che sono in costante relazione e formano quell’unità chiamata città; abbracciando questo pensiero lo Stato ideale è quello in cui le città sono “ben costruite” e di conseguenza sono sicure; è infatti indispensabile tenere costantemente presente la relazione dinamica della sicurezza con i fattori sociali, e quindi anche urbani, che la circondano. Il termine “urbanismo” esprime quindi un’unità intesa quale campo di relazioni, un organismo costituito non solo da case, strade, piazze ma anche dalla vita degli uomini che la animano e non tiene conto
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solo dell’ampliarsi dello spazio urbano ma anche dei processi che vedono coinvolta la città in un flusso continuo e unitario. In ogni tipo di società umana, dalla più semplice alla più complessa, tra uomo e spazio si stabilisce, di fatto, immediatamente e naturalmente, una relazione, alla quale l’uomo non può sottrarsi, sia per motivi di protezione, e quindi di sicurezza, sia per motivi di socialità. Foucault, nel libro Volontà di sapere, parla del nuovo concetto di potere che si sviluppa dal XVIII secolo, a seguito del declino del rapporto di soggezione che permetteva al sovrano di sottrarre beni e ricchezze ai sudditi. Gli individui divengono membri di una specie biologica in grado di produrre ricchezze e di riprodursi, e la nozione di “popolazione” corrisponde anche a un principio economico-politico. La governabilità della popolazione, da questo nuovo punto di vista, deve fare i conti con la gestione delle condizioni di vita delle persone che comprendono: il loro habitat, le condizioni igieniche, e la sicurezza. Ed è altrettanto necessario tenere conto dei mutamenti che ri-
guardano la popolazione: nascite, morti, flussi e migrazioni. Il concetto di popolazione non fa più riferimento a dei sudditi, ma è il cardine di una nuova economia di potere e il territorio di riferimento ne è parte integrante. Il rapporto delle discipline con lo spazio diventa complesso, fatto di separazione, classificazione, ripartizione funzionale, controllo; il rischio è che, attraverso questo tipo di controllo, i cittadini vengano via via privati delle loro libertà: Le discipline, organizzando le «celle», i «posti», i «ranghi» fabbricano spazi complessi: architettonici, funzionali e gerarchici nello stesso tempo. Sono spazi che assicurano la fissazione e permettono la circolazione; ritagliano segmenti individuali e stabiliscono legami operativi; segnano dei posti e indicano dei valori; garantiscono l’obbedienza degli individui, ma anche una migliore economia del tempo e dei gesti. Sono spazi misti: reali perché determinano la disposizione delle costruzioni, delle sale, dell’arredamento, ma ideali poiché su queste sistemazioni proiettano caratterizzazioni, stime, gerarchie. La prima tra le grandi operazioni della disciplina è dunque la costruzione di «quadri viventi» che trasformano le moltitudini confuse, inutili o pericolose in molteplicità ordinate.15
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DANIEL KAHNEMAN, AMOS TVERSKY, Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk, in «Econometrica», XLVII, n° 2, 1979, pp. 263291. AMARTHYA KUMAR SEN, Development as freedom, New York, A. Knopf, 1999, trad. it. di Giovanni Bono, Globalizzazione e libertà, Milano, Mondadori, 2002. ANDREA CAVALLETTI, La città biopolitica: Mitologie della sicurezza, Milano Bruno Mondadori, 2005. MICHEL FOUCAULT, Sicurezza, territorio, popolazione: Corso al Collège de France (1977-1978), edizione stabilita sotto la direzione di Francois Ewald e Alessandro Fontana da Michel Senellart, traduzione di Paolo Napoli, Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 242-243. Ibid., p. 243. CARL SCHMITT, Der Nomos der Erde: Im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum, Köln, Greven 1950, trad. it. di Emanuele Castrucci, Il nomos della terra: Nel diritto internazionale dello “Jus publicum europaeum”, postfazione di Emanuele Castrucci, cura editoriale di Franco Volpi, Milano, Adelphi, 1991. Ibid., pp. 19-20. CARL SCHMITT, Land und Meer: Eine weltgeshichtiche Betrachtung, Leipzig, Verlag von Philipp Reclam, 1942, trad. it. di Giovanni Gurisatti, Terra e mare: Una riflessione sulla storia del mondo, con un saggio di Franco Volpi, Milano, Adelphi, 2002, pp. 1114. MONICA MUSOLINO, Tra lo spazio e il luogo: come abitare gli immaginari moderni, sulla soglia dell’estraneità / Between space and place: how to live modern imaginaries, on the threshold of alterity, in http://cab.unime.it/journals/index.php/IMAGO/article/viewFile/1149/865 [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019]
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GEORGE SIMMEL, Sociologia, Milano, Edizioni di Comunità, 1989 [ed. orig.: Soziologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, Berlin, Dunker & Humblot, 1908]. 11 La giustizia riparativa o giustizia rigenerativa, in inglese restorative justice, nasce in Nord America verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso e si configura come una delle novità fondamentali nel panorama di regolazione di conflittualità sociale secolo scorso. Cfr. s.v. «Giustizia riparativa», in https://it.wikipedia.org [ultima visualizzazione: 1° febbraio 2019]. 12 GIUSEPPE MAGLIONE, La vita non vive: Welfare State biopolitico e regolazione dei conflitti, § 4.3 Fattore di crisi: Polizei/Rischio, 2008, in http://www.adir.unifi.it/rivista/2008/maglione/cap1.htm [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019]. 13 Cfr. MICHEL FOUCAULT, Espace, savoir et pouvoir, in Dits et écrits: 1954-1988, Paris, Gallimard, 1994, vol. II, p. 1090. Si veda anche, ibid., p. 192: «Il y aurait à écrire toute une histoire des espaces qui serait en même temps une histoire des pouvoirs – depuis les grandes stratégies de la géopolitique jusqu’aux petites tactiques de l’habitat, de l’architecture institutionnelle, de la salle de classe ou de l’organisation hospitalière, en passant par les implantations économico-politiques. Il est surprenant de voir combien le problème des espaces a mis longtemps à apparaître comme problème historico-politique». 14 ILDEFONSO CERDÁ, Teoría general de la urbanización, Madrid, Imprenta Española, 1867, tomo I, p. 29, trad. it. parziale Teoria generale dell’urbanizzazione, Milano, Jaca Book, 1985, citato in A. CAVALLETTI, La città biopolitica..., cit., p. 20. 15 MICHEL FOUCAULT, Surveiller et punir: Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975, trad. it. di Alcesti Tarchetti, Sorvegliare e punire: La nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1976.
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Street Photografhy, Bogotà, Colombia II
POLITICHE CONTEMPORANEE DI SICUREZZA In Italia, nel Decreto Ministeriale del 5 agosto 2004, la sicurezza urbana viene definita come «un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile e la coesione sociale»; è importante notare che il legislatore, oltre ad affiancare alle Forze di Polizia l’amministrazione diretta dei comuni, si sofferma sull’importanza delle «condizioni di vivibilità nei centri urbani, convivenza civile, e coesione sociale»; aspetti del vivere quotidiano considerati in precedenza meno rilevanti riguardo la sicurezza urbana. Il coinvolgimento delle comunità locali fa presupporre, quindi, la volontà del legislatore di cercare soluzioni concrete, da raggiungere tenendo conto della relazione tra la cura della città (e tutti i servizi a essa connessi) e la sicurezza urbana. Quest’interpretazione del Decreto Ministeriale significa porsi come obiettivo una politica integrale di protezione e soddisfacimento di tutti i diritti umani fondamentali e quindi il voler abbracciare anche il modello della “sicurezza dei diritti”. Da un punto di vista del diritto costituzionale e internazionale, in questo tipo di approccio alle problematiche relative alla sicurezza dei cittadini
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si può leggere la necessità di tenere conto di un campo d’interessi che va oltre la semplice lotta alla criminalità avendo come obiettivo prioritario la progettazione di “luoghi” consoni allo sviluppo di individui e popoli e la lotta contro l’esclusione sociale. Responsabili della sicurezza di un territorio, in questo caso, non sono più, solo, poliziotti e magistrati, ma tutti coloro che hanno competenze e responsabilità di gestione del territorio e possono migliorarne le condizioni di sicurezza. Per studiare i rapporti tra sicurezza e urbanistica è quindi fondamentale individuare una struttura di riferimento, un metodo di lavoro per introdurre criteri di sicurezza nella riqualificazione di aree esistenti, nella redazione di nuovi progetti e nella valutazione sistematica di nuovi interventi. L’Unione Europea nel 2007 ha adottato la norma del Comitato Europeo di Standardizzazione CEN/TR 14383-2,16 poi recepita in Italia come UNI nel 2010. Essa si rivolge ai professionisti (architetti, progettisti, ingegneri, ecc.), alle autorità locali, ai residenti e a tutti gli attori coinvolti nelle trasformazioni urbane, offrendo un ausilio pratico per prevenire il crimine. Comprende una sezione sulla pianificazione urbanistica, una sugli insediamenti residenziali, mentre l’ultima riguarda uffici e negozi. L’allegato D della norma è ritenuto lo strumento più utile come supporto pratico per i progettisti in quanto introduce una lista di principi generali e una lista di indicazioni che riguardano la pianificazione, il disegno urbano e la gestione degli spazi. Le strategie di intervento si qualificano come suggerimenti da tenere in considerazione in vista degli obiettivi indicati, tenendo sempre presente che ogni contesto ambientale è differente dall’altro. Essi propongono una riflessione sulle potenziali implicazioni della sicurezza nel sistema ordinario di pianificazione urbanistica e consentono di individuare i principi fondamentali che consentano di definire: • Il senso di appartenenza e l’identificazione con il luogo che aumentano sia la sicurezza sia la percezione di sicurezza. Le persone rispettano e proteggono i luoghi che sentono propri. • La vitalità delle strade e degli spazi pubblici che produce sorveglianza spontanea. Un buon utilizzo diversificato (commerciale, residen-
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ziale, ricreativo) delle attività differenziate produce una sorveglianza spontanea continua perché implica utenti diversi in tempi diversi. • Una maglia urbana continua e un chiaro disegno degli spazi pubblici che migliorano l’orientamento degli utenti e la loro percezione di sicurezza. Una buona visibilità degli spazi pubblici e dei percorsi favorisce la prevenzione della criminalità e del disordine e aumenta la percezione della sicurezza.
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Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, Padiglione Ceco-Slovacco “UNES-CO”. Disegno di Kateřina Šedá per UNES-CO - Národní Galerie v Praze
• Una chiara delimitazione tra spazi pubblici e spazi privati, che facilita la gestione e la sorveglianza del territorio. • La diffusione di modelli di sviluppo urbano che evitino la creazione di zone più sicure e protette, rispetto ad altre, in quanto questo genererebbe esclusione e produrrebbe complessi residenziali chiusi e spazi introversi. • Adeguate misure di manutenzione e controllo per prevenire il degrado delle aree e degli edifici. Qualora questo sia già presente, bisognerebbe monitorare attentamente i luoghi compromessi e intraprendere azioni di recupero. • L’organizzazione di spazi che siano concepiti in modo da facilitare la sorveglianza organizzata e gli interventi di emergenza. La sorveglianza tecnologica è utile solo quando è parte di un piano di sicurezza generale.17 Purtroppo le successive e affrettate leggi e politiche italiane sulla sicurezza urbana18 privilegeranno interventi incapaci di incidere su fenomeni complessi. Le norme di volta in volta introdotte, anziché delineare un sistema, hanno operato scelte di deterrenza simbolica per contrastare migrazioni illegali, prostituzione e tossicodipendenze. Nella contemporaneità si avverte quindi sempre più il rischio che il discorso sulla sicurezza non abbia più lo scopo di far interagire, per prevenirne i disordini, il mare magnum di elementi diversi che sono in costante relazione e formano quell’unità
chiamata città, ma che si ponga come unico obiettivo quello di un controllo a posteriori. In Italia si tende sempre più a giustificare misure di sicurezza che violano i più elementari principi giuridici; la percezione che se ne ricava è che l’attuale Governo non voglia l’ordine, quanto piuttosto gestire l’ordine (si vorrebbe forse istituire il reato d’intenzione, dimenticandosi che nella tradizione del diritto, l’intenzione può costituire un’aggravante, non un crimine di per sé?). Gli spazi pubblici sono costantemente monitorati da telecamere, «così la democrazia diventa sinonimo di una mera pratica di governo dell’economia e della sicurezza»19 e le nuove generazioni crescono e si abituano a questo tipo di controllo-formazione, rischiando di essere lentamente deprivate della consapevolezza della libertà, mentre c’è anche chi propone di installare dispositivi biometrici nelle scuole, nei luoghi sociali e d’incontro giovanili. Sempre più si afferma l’idea, equivalente a un vero e proprio suicidio del diritto, che sia possibile normare giuridicamente tutto, compreso ciò che riguarda l’etica, la religione e la sessualità. Una parte importante viene svolta dai media che, perdendo ogni funzione critica, sono sempre più a loro volta organo di governo.20 Ormai da anni, in modo dapprima occasionale e subliminare, e poi sempre più esplicito e insistente, si cerca di persuadere i cittadini ad accedere a dispositivi e pratiche di controllo che sono stati sempre considerati eccezionali e inumani. È noto che oggi il
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> controllo che gli Stati possono esercitare sugli individui grazie all’uso dei dispositivi elettronici come le carte di credito e i telefoni cellulari raggiunge limiti un tempo impensabili. Ma vi sono soglie del controllo e della manipolazione dei corpi, il cui oltrepassamento segna una nuova condizione biopolitica glo-
Cao Fei, La Town-Center Plaza, 2014
bale, un passo ulteriore in quella che Foucault definiva una sorta di progressiva animalizzazione dell’uomo attuata attraverso le tecniche più sofisticate. La schedatura elettronica delle impronte digitali e della retina, il tatuaggio sottocutaneo e altre pratiche del genere sono elementi di questa soglia.21
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Norma del Comitato Europeo di Standardizzazione CEN/TR 14383-2, Prevenzione del crimine attraverso la pianificazione urbana, 2007, in http://www.fisu.it/wp-content/uploads/2018/05/presentazioneClaraCardia2010.pdf [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019]. 17 Cfr. GABRIELLA MUSARRA, in Life safety and security, La città “si....cura”. Pianificare la sicurezza urbana, 2016, in http://www.iemest.eu/life-safety-and-security/images/Doc/ARTICOLI/2016/ musarra_22/Musarra01.pdf [ultima visualizzazione: 30 gennaio 2019]. 18 Il Pacchetto sicurezza del 2008 (Legge 24 luglio 2008, n. 125 di conversione del Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”) decreta i poteri dei sindaci in materia di: comportamenti di spaccio e consumo di droghe, prostituzione, accattonaggio, fenomeni di violenza, sfruttamento di minori e disabili, danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, incuria, degrado, occupazioni abusive, pubblica viabilità, decoro urbano. Nel 2011 la Corte costituzionale (sentenza 7 aprile 2011, n. 115, sollevata dal TAR del Veneto) dichiara che il sindaco quale ufficiale del governo non può emanare dei provvedimenti in maniera che non sia contingibile e urgente, cioè non possono essere norme permanenti, perché creerebbero diseguaglianza di trattamento tra cittadini sul territorio nazionale e potrebbero essere in contraddizione con le leggi dello Stato. Tuttavia, l’emergenza continua a legittimare ordinanze securitarie che vengono adottate e reiterate con continuità, soprattutto nei Comuni più grandi. Dopo il 2011, nel processo
di messa a regime delle politiche urbane securitarie, assumono crescente rilevanza i Regolamenti di polizia municipale. Il decreto legge n. 14/2017 interviene nuovamente in materia di sicurezza pubblica, attraverso tutta una serie di disposizioni di modifica del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, del Testo unico degli Enti locali, del Codice della strada, del Codice antimafia e delle misure di prevenzione, nonché del Codice penale. Il decreto in commento si inserisce a pieno titolo nella tendenza legislativa volta a rafforzare il ruolo del Sindaco nella gestione della sicurezza urbana, sia nella veste di Ufficiale del Governo, sia quale rappresentante della comunità locale, riproponendo ancora una volta (come già accaduto per le ordinanze “libere” e per le c.d. “ronde”) il problema del coordinamento dei suoi poteri con quelli delle altre amministrazioni coinvolte nella gestione della sicurezza sul territorio e, in particolare, con il Prefetto e il Questore, autorità provinciali di pubblica sicurezza. Il 27 novembre 2018 la camera approva il ddl 840/2018, una riforma che modifica norme su asilo, immigrazione, cittadinanza e sicurezza. 19
GIORGIO AGAMBEN, ANDREA CORTELLESSA, Siamo tutti sospettati: I governi ci considerano terroristi in potenza, in «La Stampa», 27 novembre 2007.
20
Ibid.
21
GIORGIO AGAMBEN, Se lo Stato sequestra il tuo corpo, in «La Repubblica», 8 gennaio 2004.
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LA SICUREZZA DELLE DONNE
L’ARCHITETTURA DELL’EDUCAZIONE
NEGLI SPAZI PUBBLICI Studi di urbanistica e di psicologia cognitiva dimostrano che il design architettonico e l’ambiente sono in grado di condizionare i nostri stati mentali ed emotivi e influire sulla salute delle persone e sulla qualità della vita. Altre ricerche mettono in relazione la maggiore incidenza di alcuni disturbi, come il deficit dell’attenzione, con luoghi poco attraenti e monotoni. La deformazione della città, avvenuta per rispondere alla domanda degli automobilisti, ha impoverito l’esperienza infantile rispetto a quella di qualunque generazione precedente di bambini e ragazzi. L’età dell’indipendenza e della mobilità nella città, l’età per il gioco nelle strade, per prendere gli autobus e camminare da soli o in bicicletta si è progressivamente alzata di generazione in generazione. Il bambino che preferisce uscire fuori di casa viene disincentivato rispetto a quello che decide di stare a casa ottenendo così i vantaggi dello stile di vita consumistico degli adulti: computer, televisione, home video, consolle ecc. La progettazione urbanistica della città deve tener conto che bambini e ragazzi devono poter usare la città, perché nessuna città è governabile se i cittadini non la sentono propria. Le nostre strade non sono affatto sicure, ma i rischi maggiori non vengono dai criminali o dai malintenzionati, ma dagli automobilisti. «Per trasformare la città e la campagna in città educante», sostiene Giuseppe Campagnoli, architetto illuminato, «occorre intervenire anzitutto nei luoghi su cui posare una nuova organizzazione di quella che una volta chiamavamo scuola perché non sia più distinta e separata dalla vita quotidiana e dai suoi personaggi e perché sia quel motore della conoscenza e della crescita che alla città manca da tempo».24
L’articolo “Gli occhi sulla strada. Donne e sicurezza negli spazi urbani” dal blog F Come femminismi in Italia e oltre pone delle riflessioni interessanti sul potenziale della progettazione urbana più funzionale alle donne. Nell’articolo, l’autrice Alexandra Ana, scrive che: Uno studio sulla violenza contro le donne promosso dalla Commissione Europea riporta che una donna su tre nei Paesi UE ha subito violenze fisiche e/o sessuali dall’età di 15 anni. Lo studio mostra anche che le donne temono potenziali aggressioni da parte di estranei e che più della metà di loro evita situazioni o luoghi per paura di essere aggredite fisicamente e sessualmente. Quattro donne su dieci evitano luoghi pubblici quando non sono frequentati e scelgono deliberatamente di evitare certe strade o di andare in certe zone per paura di aggressioni e violenze.22
Interessandosi del modo in cui le donne vivono le città in cui abitano, il fotografo Giulio Di Meo, specializzato in geografia sociale e culturale, parla di «mura invisibili» che delimitano i confini spaziali entro i quali le donne si sentono rinchiuse e che impediscono loro l’accesso a zone pericolose, o percepite come tali. L’utilizzo e la percezione dello spazio urbano e le preoccupazioni relative alla sicurezza dei suoi abitanti, soprattutto di quelli più a rischio (donne in contesti d’immigrazione, lavoratori precari e donne più anziane) sono fortemente radicati nelle norme patriarcali culturalmente dominanti e nelle dinamiche sociali. Questo si riflette inevitabilmente nella progettazione delle nostre città, così come nelle dinamiche relazionali, nella violenza degli uomini contro le donne, e infine nella paura di questa violenza, tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata. Il genere, il colore della pelle, l’orientamento sessuale e le disabilità hanno un impatto sulla mobilità urbana di uomini e donne, così come hanno un impatto le scelte spaziali delle attività quotidiane. Nonostante ciò, le conseguenze sono profondamente diverse per le persone che le subiscono. Lo sviluppo della pianificazione architettonica delle città è intrinsecamente maschile e solo recentemente si è iniziato in parte a mettere in discussione i pregiudizi andro-centrici e classisti. Sono in aumento le misure d’intervento come audizioni sulla mappatura e il miglioramento dell’illuminazione, apertura, visibilità e accessibilità ai servizi pubblici.23
NOTE 22 Http://www.fcome.org/portfolio-view/gli-occhi-sulla-strada-donne e-sicurezza-negli-spazi-urbani/ [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019]. 23
Riflessioni su donne e sicurezza negli spazi urbani, 21 ottobre 2017, in https://cittaamisuradidonna.wordpress.com [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019]. «Queste misure stanno miglioran-
do la sicurezza degli spazi pubblici e la mobilità in molte città. Purtroppo, questi occhi sulla strada e la tecnologia che li rende possibili sono stati a volte usati in modo improprio a scopo repressivo, più che per rendere le città più sicure», ibid. 24
Cfr. MICHELE TOMAI, L’architettura dell’educazione, 1° agosto 2018, in https://www.pedagogia.it/ [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019].
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Parco pubblico nel centro di Curtiba disegnato da Hitoshi Nakamura, ottenuto dalla trasformazione di un terreno lacustre
INCONTRI DI CONOSCENZE La criminologa Flaminia Bolzan Mariotti Posocco, in Architettura e urbanistica nel rapporto con il crimine, del 24 aprile 201325 individua nella progettazione urbana un’essenziale tecnica preventiva alla lotta alla criminalità; è dimostrato da molte teorie crimonologiche (environmental criminology) l’esistenza di una stretta connessione tra tessuto urbano e tassi di criminalità. Secondo la Bolzan Mariotti Posocco il degrado urbano, oltre a ridurre il livello d’integrazione sociale, concorre alla percezione d’insicurezza delle persone contribuendo così a una maggiore capacità recettiva di fenomeni devianti. Proprio per questa ragione, l’architetto Oscar Newman, negli anni Settanta, elaborò «un programma di prevenzione del crimine basato sulla nozione di “spazio difendibile”, ipotizzando la possibilità di prevenire la criminalità attuando una progettazione architettonica volta ad eliminare “le terre di nessuno” e creando spazi difendibili spontaneamente dalla comunità»26 (progettazione di edifici che permettano una facile osservazione delle aree circostanti e suddivisione
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delle superfici in modo tale che gli utenti ne condividano l’appartenenza). «Un altro filone di studi sugli aspetti ambientali della sicurezza urbana fa capo all’opera dell’antropologa americana Jane Jacobs» che, nel volume titolato Saggio sulle metropoli americane, analizza la natura specifica delle città – la funzione dei marciapiedi, dei parchi e dei quartieri, dei vicinati urbani, le condizioni della diversità urbana, i fatti di decadenza e di rigenerazione, tra cui la formazione e l’intasamento degli slum –, per indicare poi le possibili tattiche d’intervento. Fondamentali sono il sovvenzionamento dell’edilizia residenziale, il monitoraggio dell’erosione delle città, gli interventi per diminuire e abolire l’uso dell’automobile, la progettazione di un ordine visuale urbano, il recupero dei complessi edilizi, l’amministrazione e l’organizzazione dei distretti urbani, la natura dei problemi urbani. La Jacobs fonda le sue teorie su due ipotesi: - «la sicurezza di un territorio è legata alla vitalità dei quartieri: “l’occhio sulla strada” da parte degli abitanti è il primo elemento che garantisce sicurezza; - la sicurezza urbana dipende molto dal grado d’identificazione dei cittadini con il territorio: il sentimento
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di appartenenza all’ambiente di vita, infatti, incentiva comportamenti di protezione dello stesso».27 Per quanto riguarda i problemi di gestione e di sicurezza delle città – se pur questi affrontati partendo da opinioni e postulati diversi e contrastanti – è comunque indispensabile porsi come obiettivo la soluzione dei problemi più impellenti che sono: le nuove forme di miseria che si contrappongono alla ricchezza indotta dalla più avanzata tecnologia informatica; le questioni legate alle nuove società multietniche; l’ambiente ed il governo delle nuove aree urbanistiche e informatizzate.
ottimali per stabilire una relazione tra reti infrastrutturali e reti insediative. Crescono quindi come “luoghi della dispersione”, in cui la mancanza di misure di riferimento e di “gerarchie urbane” rende evidente la complessità dell’urbanizzazione contemporanea che del resto coinvolge sia le grandi città che quelle intermedie. La forza invasiva della città diffusa è di facile lettura soprattutto in quelle regioni caratterizzate da un forte e tradizionale policentrismo; attraversando gli spazi una volta agricoli, tra città e città, vediamo continuamente nascere le “nuove centralità”. La città diffusa, oltre ad essere la nuova “forma insediativa di Babele” la cui dispersione coinvolge sia lo spazio fisico che quello sociale, ci obbliga a riflettere sul senso dei nuovi paesaggi, ed anche sulle relazioni tra i contesti locali ed i nuovi tracciati definiti dalla globalizzazione. A differenza del linguaggio della città classica, in cui una grammatica universale permetteva di riconoscere e dialogare con le diverse componenti sintattiche dello spazio, la città diffusa si espande utilizzando forme urbane spesso provvisorie, un meticciato urbano sovraccarico di messaggi che può indurre a sviluppare un senso di provvisorietà. La gestione dello spazio, e tutto quello che ne deriva da un punto di vista sociale, economico, politico e della sicurezza, rende quindi indispensabile imparare i nuovi codici di lettura dello spazio contemporaneo. Per Roland Barthes questa nuova condizione urbana, se sapientemente letta, può però diventare anche il luogo felice della scoperta e del piacere e in questo caso la confusione delle “lingue” non sarebbe più una punizione,28 la mancanza di grammatica degli spazi contemporanei non impedisce infatti la nascita di nuovi principi di urbanizzazione, nuove sintassi architettoniche attraverso le quali si possono costruire inedite mappe cognitive e d’orientamento.
«La confusione è parola inventata per indicare un ordine che non si capisce» HENRY MILLER
Nella contemporaneità l’incremento e l’estensione delle megalopoli sono in stretto rapporto con il continuo aumento della popolazione; è perciò indispensabile prevedere l’evoluzione delle periferie sociali, cioè di quelle parti di città ubicate all’esterno o diffuse all’interno degli agglomerati urbani del passato e del presente che ospitano popolazioni in condizioni di minore reddito, disagio abitativo, consumi limitati, povertà e miseria. L’area in cui si sviluppa la periferia intesa in senso urbanistico, come costruzione esterna alla città, non coincide necessariamente con la periferia intesa in termini di marginalità sociale che può essere estesa all’esterno o diffusa nei centri. In Europa, i nuovi processi di decentramento produttivo e residenziale, l’accumulazione insediativa, lungo e in prossimità ai sistemi infrastrutturali, hanno realizzato una nuova forma urbana indicata come “città diffusa” che viene percepita come annullamento delle forme urbane tradizionali e che si realizza come presenza pervasiva, come sprawl senza qualità e direzione. In queste nuove forme insediative sembra spesso sia assente qualsiasi tipo di “narrazione”; questo è dovuto anche al fatto che non esistono più vincoli funzionali delle zone territoriali e studi di parametri
«La confusione, la mescolanza, l’intreccio visivo celano nuove strutture relazionali e nuovi modelli di apprendimento dello spazio» ed in questa «confusione si nasconde la domanda di un nuovo ordine».29
NOTE 25
Cfr. FLAMINIA BOLZAN MARIOTTI POSOCCO, in Architettura e urbanistica nel rapporto con il crimine, 24 aprile 2013, in http://www.leggeweb.it [ultima visualizzazione: 30 gennaio 2019].
26
Ibid.
27
Ibid.
28
Cfr. ROLAND BARTHES, Le plaisir du texte, Paris, Éditions du Seuil, 1973, p. 4, trad. it. di Lidia Lonzi, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975, citato in ROSARIO PAVIA, Babele: La città della dispersione, Roma, Meltemi Editore, 2002, p. 25.
29
Ibid., p. 26.
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“GOVERNARE IL TERRITORIO”
«Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate d’acque limpide...» MARGUERITE YOURCENAR, Memorie di Adriano
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Affinché l’intervento urbanistico su un territorio, su una “regione”, possa essere efficace, è indispensabile integrare allo studio dei sistemi urbani l’ingegneria del traffico, l’ecologia, l’energia, la geologia, le scienze naturali, la salute, la pedagogia, la sicurezza. È compito delle Amministrazioni comunali e regionali elaborare piani e programmi che tengano conto: della policentricità della città, della mobilità sostenibile e della possibilità di migliorare i nuovi spazi pubblici prodotti dalle tra-
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sformazioni sociali, dell’importanza della rigenerazione ecologica e di ridurre il consumo del suolo. Riconoscere le “patologie” del territorio è indispensabile per un’“anamnesi” preventiva alla progettualità delle città del futuro. La congestione e l’inquinamento prodotto dalle automobili (oltre a causare un numero sempre più elevato di incidenti) e l’insostenibilità ambientale frutto di un’espansione insediativa di attività commerciali ed industriali che non tengono conto dei processi
> Forest of Hope, 2011, Colombia. Questo progetto è situato nella provincia di Soacha, Altos de Cazucá. Si trova in un’area fortemente depressa nella quale mancano le infrastrutture pubbliche. Quest’area era nota per i suoi problemi di sicurezza ed è diventata il rifugio di migliaia di persone che sono state scacciate dalle loro città di residenza a causa della guerra
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naturali di rigenerazione della terra sono la causa per quanto riguarda la salute di molte patologie respiratorie, cardiovascolari, tumorali e naturalmente di stress. Sono invece causa del crescente senso diffuso d’insicurezza: l’incontrollata dispersione insediativa, lo spopolamento in atto di alcune zone centrali della città e l’eccessiva monofunzionalità di alcune sue parti a bassa densità di popolazione, l’abbandono di alcuni luoghi che diventano gli “spazi dell’esclusione e della segregazione” in cui trovano spesso rifugio le persone più vulnerabili. Se le aree industriali dismesse, le “brownfields” hanno un ruolo importante nello scenario urbano da un punto di vista del rischio, è necessario pensarle come luoghi dell’interpretazione dei rapporti inclusione/disgiunzione, ed avviare opere di bonifica e di riqualificazione di questi siti per poter così coglierne quell’importante relazione produttiva che si stende tra metropoli e moltitudine. Il governo dell’accessibilità urbana va concepito come il campo di forze sul quale poter regolare le relazioni spazio-temporali e la struttura della città, consentire e favorire la libera circolazione e il pieno accesso, il benessere fisico e psichico. Occorre pertanto non confondere accessibilità e mobilità, due termini che, al contrario, si pongono per definizione stessa come condizioni inversamente proporzionali. Nel processo di appropriazione
dello spazio da parte degli utenti l’accessibilità svolge un ruolo importante in quanto, riprendendo la definizione di Hertzberger,30 questa va intesa come il grado e la possibilità di poter entrare in uno spazio e poterne avere piena e totale fruizione, condizionando, di conseguenza, il legame di appartenenza al luogo. La sfida diventa allora quella di definire nuove forme del vivere quotidiano e nuove relazioni tra abitanti e territorio, sostenendo un profondo processo tanto di rigenerazione etica quanto di rigenerazione estetica. Gli interventi a favore dell’accessibilità urbana non contemplano solo l’esigenza di permettere il raggiungimento di un luogo di destinazione, ma debbono proporsi anche una rilettura dello spazio che ne valorizzi la fruibilità e la percezione al fine di ricomporre le diverse parti urbane in una sequenza narrativa unitaria e poterne garantire una forte riconoscibilità. Le nuove forme della città contemporanea sollecitano nuovi approcci concettuali anche nei confronti della cultura del movimento, in grado di originare un paesaggio urbano nel quale i segni della contemporaneità assumano il ruolo di protagonisti di una figuratività ambientale dinamica, mutevole e molteplice. Obiettivo deve essere differenziare i tracciati visivi, introducendo nuovi modi di percorrere e usare gli spazi, e quindi anche di apprezzare i paesaggi urbani.31
NOTE 30
HERMAN HERTZBERGER, Lezioni di architettura, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 9 [titolo orig.: Lesson for Students in Architecture, Rotterdam, Uitgeverij 010 Publishers, 1991].
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Cfr. IRENE DE SIMONE, Progettare l’accessibilità urbana, modelli e strategie per la trasformazione della città contemporanea, in http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/docenti201/Sardena-An/materiali-/2018-2019-/ESERCITAZI/Testo-accessibilit-_tesi-dottorato-DeSimone_la-Sapienza.pdf, pp. 5-7 [ultima visualizzazione: 13 gennaio 2019].
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DELLA PUBBLICA FELICITÀ «Esiste il comandamento della felicità nel senso che, quando uno sprazzo dI felicità appare all’orizzonte di una o più persone, come esperienza vissuta o semplicemente come una possibilità, la felicità comanda sulle persone. Spesso quello che comanda è di essere annunciata e condivisa con altri. E lo fa con una potenza che supera di gran lunga quella degli imperativi morali. Credo perfino che certe rivoluzioni siano scoppiate così, solo perché la felicità si è mostrata all’orizzonte» LUISA MURARO, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Roma, Carocci, 2011, p. 32
La definizione di felicità attraversa tutti i campi del sapere caratterizzando modi di vivere, condizionando stili di governo e pratiche di trasformazione delle città e dei territori. Felicità pubblica e benessere sono strettamente interconnessi alla qualità della vita nelle città e nei territori, alla bellezza dell’ambiente e del paesaggio, alla forma e limiti delle città, agli indicatori di sostenibilità dei territori, al riconoscimento dei valori di esistenza delle
Sequenza del film Caro Diario
persone e delle cose, al senso di comunità e convivialità, alla partecipazione e politiche sociali auto-organizzate, alla consapevolezza del rispetto dei beni comuni e delle regole condivise, alle concezioni della crescita e dello sviluppo, e a molti altri temi ancora. Per un approfondimento sul tema, si riporta di seguito la recensione (pubblicata sulla webzine DINAMOpress32 nel dicembre del 2018) della giornalista freelance Sarah Gainsforth al volume Miserie e splendori dell’urbanistica di Ilaria Agostin, ricercatrice di Urbanistica all’Università di Bologna e docente presso il dottorato di Ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica presso l’Università di Roma “Sapienza” ed Enzo Scandurra, professore ordinario di Urbanistica presso lo stesso Ateneo (Roma, DeriveApprodi, 2018) La città era una maniera di raggiungere la felicità, affermava Aristotele. A lungo, fino al Seicento, la città venne associata alla felicità della vita pubblica, secondo una concezione immateriale della convivenza. «Con l’avvento e poi l’affermazione storica della Modernità, quei luoghi simbolici e insieme fisici che avevano costituito l’ambiente artificiale dell’uomo, danno vita a un nuovo paesaggio dove le persone di colpo scompaiono». Con l’epoca moderna la città diventa l’insieme delle costruzioni materiali, delle case e degli edifici, la città di pietra, altra rispetto alla città in cui
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Locandina del film Canicola
si svolge la vita dei suoi abitanti. La riduzione della città a un insieme di elementi fisici corrisponde a un ritratto cartografico bidimensionale che esclude quella che per gli antichi era la civitas, la convivenza, per privilegiare l’urbs, la forma della sua dimora. Ecco che la nuova scienza dell’urbanistica moderna «ha a che fare, purtroppo, assai poco con gli ideali di convivenza umana». Miserie e splendori dell’urbanistica di Ilaria Agostini ed Enzo Scandurra (edito da DeriveApprodi) ci fornisce tutte le coordinate e gli strumenti per leggere oggi la città e la sua trasformazione, ripercorrendo le tappe, le passioni originarie e i fallimenti dell’urbanistica moderna, tracciando la genealogia dell’odierna visione, una delle tante possibili, della città come «macchina funzionale, tralasciando l’altra metà del problema: la città come oikos, accoglienza, luogo di convivenza tra diversi». Ecco perché l’urbanistica, diventata tecnica, ha rinunciato a saper «interpretare e prospettare nuovi orizzonti per la città contemporanea». La politica ha finito per affidare le decisioni alla tecnica, delegando all’architettura la soluzione di problemi sociali. Così mentre si stilano classifiche delle città dove
si vive meglio in base alla ricchezza privata posseduta, la città come spazio pubblico di felicità scompare dietro una visione urbanistica che vorrebbe fissare la forma delle cose a prescindere dalle pratiche e dalla vita che vi si svolge. Oggi l’urbanistica è diventata «un potente strumento nelle mani dei governanti, amministratori pubblici, immobiliaristi e perfino finanzieri, per manipolare e controllare lo sviluppo delle città e del governo del territorio». Allora bisogna innanzitutto svelare e demistificare le parole con cui si parla della città oggi: il libro traccia, scavando la superficie delle parole vuote, le coordinate per evitare le numerose trappole retoriche che costellano oggi il discorso urbanistico. Partecipazione, resilienza, rigenerazione urbana. Concetti e parole-grimaldello che celano ribaltamenti, insidie e ambiguità e, concretamente, nuove opportunità economiche offerte dallo smantellamento della città pubblica. «Sarebbe bene che questa disciplina smettesse di importare concetti da altri campi, per darsi una veste di apparente scientificità o per mostrarsi alla moda, e ne sviluppasse dei propri a partire dalla sua tradizione, con proprie parole e propri significati» – conclude, con un invito aperto, Enzo Scandurra. Parole nuove per ridefinire le finalità dell’urbanistica potrebbero venire solo dalle relazioni, dalla vita collettiva che abita lo spazio pubblico. L’urbanistica è comunque una disciplina che mette in relazione il contributo proveniente da altri saperi scientifici, ci dice Ilaria Agostini, che cala il lettore in quella città invisibile a una prospettiva puramente topografica raccontando l’habitat umano, il «campo di applicazione dell’urbanistica». Una visione alternativa a quella della città-macchina è possibile. «L’ecologia, “scienza delle relazioni”» – scrive Agostini – «chiama l’urbanista a progettare ambienti di vita atti a esaltare le capacità di autonomia e autorganizzazione delle popolazioni che vi risiedono, in equilibrio stabile con il contesto naturale». Una via d’uscita dall’impasse di un’urbanistica fallita, che rimette al centro la politica dal basso, e la relazione tra pratiche e progetti in difesa dell’ambiente di vita, esiste già: «L’“agire-insieme” contro le distorsioni neoliberiste e il mercantilismo che aggrediscono l’habitat collettivo e che sottraggono all’uso comune le risorse ambientali per farne occasione di rendita da spartire tra pochi». Questa è la resistenza (non la resilienza) «nelle città dei recinti, nelle città desertificate, nelle città in emergenza sociale gestite secondo principi privatistici», in cui Agostini ci guida ripercorrendone le tappe e gli strumenti recenti per emergere, infine, nei territori di una resistenza progettante. «Movimenti, associazioni, collettivi, laboratori, reti e coordinamenti» praticano ogni giorno una urbanistica resistente, generando la città autoprodotta che vede «proliferare una moltitudine di pratiche dedite alla riqualificazione urbana, alla questione abitativa, alle condizioni di vita nei quartieri, ma anche agli aspetti culturali e sociali». La gestione diretta degli spazi della città, anche con i dispositivi come quello degli usi civici per la cura dei beni comuni, cambiando la prospettiva, dal basso in alto, significa gli spazi fisici, non più forme vuote sulla mappa. Sono queste le riflessioni, le esperienze e le pratiche che «di fronte all’involuzione neo-capitalista e allo smantellamento in atto alle basi stesse della civiltà urbana danno linfa alla convinzione per la quale è ancora possibile ipotizzare una città felice».33
NOTE 32
DINAMOpress è un progetto editoriale metropolitano avviato nel 2012 a Roma capitale della rendita immobiliare e delle occupazioni e comincia la sua avventura con un sito versione Beta (versione di un software non definitiva, ma già testata dagli esperti) che crescerà lungo il percorso. Si interroga su cosa significa fare informazione di movimento e in movimento nell’epoca del citizen journalism, dei blog e dei social network. Nella transizione dal populismo televisivo a quello digitale. Nasce tra le periferie e le università, tra i centri sociali e le occupazioni, tra gli spazi di produzione culturale indipendente. 33 SARAH GAINSFORTH, La città felice, 19 dicembre 2018, in https://www.dinamopress.it [ultima visualizzazione: 29 gennaio 2019].
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ALCUNI CASI DI UTOPIE URBANE «La felicità individuale è l’obiettivo essenziale ed esclusivo dell’urbanistica» ROBERT AUZELLE
CURTIBA: UN PROGETTO URBANO Curtiba, fondata nel 1654 e situata a sud di Rio de Janeiro, con una popolazione che supera i 2.500.000 abitanti è la capitale dello stato brasiliano di Paranà e nel 2002 è stata eletta capitale americana della cultura per l’alto livello di benessere, sicurezza, protezione dell’ambiente, istruzione, salute e stabilità politica. Il merito del miglioramento della qualità della vita urbana di Curtiba si ritiene sia dovuto allo sforzo combinato del Sindaco Jamie Lerner, architettourbanista (alla guida della città per molte legislature), del governo municipale e di cittadini coinvolti ed informati di voler introdurre importanti innovazioni ambientali. Curtiba può essere studiata come un manuale di Buona Amministrazione Applicata, è infatti meta di Delegazioni Internazionali che ne studiano oltre il Sistema Amministrativo, l’urbanistica e lo sviluppo tecnologico. Nella città sono stati progettati nuovi spazi verdi, si è puntato sulla pratica del riciclaggio, si è sottoposto a un’oculata analisi l’ubicazione delle nuove industrie e la combinazione dei loro prodotti al fine di minimizzare l’inquinamento e si è infine privilegiato il trasporto pubblico che è attualmente utilizzato dalla maggior parte dei cittadini. I pendolari possono usufruire di una rete di oltre 1200 autobus, alimentati con biodiesel, ottenuto dalla lavorazione della soia e di sostanze organiche. Più di 70 km di corsie preferenziali sono adibite ai trasporti pubblici e sono previste linee esclusive per gli studenti, per i disabili, per i turisti. Le fermate sono tubi di vetro chiusi, dove si accede solo dopo aver acquistato il biglietto. Le piattaforme sono parallele al piano degli autobus, in modo da rendere più veloce la discesa e la salita dei passeggeri, e per agevolare i portatori di handicap e le persone dalla mobilità ridotta. Questo sistema di trasporto pubblico, integrato da oltre 200 km di piste ciclabili, oltre a essere costato centinaia di volte in meno rispetto ad una metropolitana, si è rivelato efficace e autofinan-
ziato interamente con le entrate dei biglietti. Oltre ad aver realizzato nel 1972 la prima isola pedonale del mondo in Rua das Flores, il sindaco Lerner è famoso per aver coniato il concetto di “agopuntura urbana”, che nella pratica si realizza agendo sul sistema urbano attraverso microinterventi realizzati sui luoghi nevralgici della città; le pressioni urbane esercitate in questi spazi hanno permesso di propagarne gli effetti positivi anche in altre zone della città. Hanno avuto ottimi risultati sia gli interventi per affrontare il degrado delle baraccopoli, che la costruzione di oltre 14.000 case popolari che hanno favorito l’integrazione sociale. Ai poveri dei quartieri degradati, attraversati da vicoli stretti in cui i camion della nettezza urbana non riescono ad addentrarsi, vengono consegnati quotidianamente dei ticket in cambio dei rifiuti, che gli stessi abitanti sono incentivati a raccogliere in mezzo alle baracche o ai margini dei canali di scolo e a consegnare in punti stabiliti ed accessibili. Ogni famiglia ottiene in cambio di 4 chili di rifiuti differenziati, 1 chilo di frutta o verdura che il comune acquista dai contadini locali per sostenere la produzione delle aziende agricole del territorio. Con i ticket è possibile ottenere anche generi di prima necessità derivanti dai surplus stagionali comprati a basso prezzo dall’amministrazione. Il programma è rivolto anche ai bambini che, consegnando materiale di riciclo, ottengono in cambio attrezzature scolastiche, giocattoli, dolci. Sono veramente molte le soluzioni ideate per risolvere i problemi di spreco ed inquinamento e che hanno permesso di sgombrare i rifiuti e quindi di migliorare l’igiene, l’alimentazione e la salute di questa città. L’iniziativa “Il telefono della solidarietà” favorisce ad esempio la raccolta di mobili ed elettrodomestici usati, che all’occorrenza vengono riparati a spese dell’amministrazione da artigiani, e rivenduti a basso prezzo o regalati a persone con difficoltà economiche. Le decisioni dell’amministrazione pubblica, oltre ad essere trasparenti, tengono costantemente conto delle proposte e dei suggerimenti dei cittadini; la particolare chiarezza dei piani regolatori e un “Sistema Geografico Informatizzato” hanno reso semplice la possibilità di avere informazioni precise su tutto il tessuto urbano, scoraggiando di conseguenza la speculazione edilizia. Sia la pulizia della città che la migliore alimenta-
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FelicitĂ e sicurezza Ordinamenti sociali e conflitti nella cittĂ contemporanea
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Locandina del film La zona
zione hanno permesso un miglioramento della salute dei cittadini che dispongono comunque di 36 ospedali e circa 4500 posti letto. Il tasso di mortalità infantile è di un terzo minore rispetto alla media nazionale, il grado di alfabetizzazione della popolazione è del 95%, sono inoltre organizzati corsi di formazione professionale per 10 mila persone l’anno e grazie al microcredito, una volta imparato un mestiere, i giovani hanno la possibilità di avviare una piccola azienda. Nelle periferie sono state costruite scuole, asili, centri culturali e circoli sportivi, biblioteche (denominate “Fari del sapere”) avviando una fruizione democratica di tutti i sevizi che prima erano disponibili solo nel centro della città.
BOGOTÀ: CULTURA E FORMAZIONE
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A Bogotà, capitale della Colombia, una metropoli sterminata e inquinata, piena di favelas, miseria e criminalità, i sindaci Antanas Mockus (1994-1997; 20002003) e Enrique Peñalosa (1997-2000), hanno impresso alla città un cambiamento decisivo, “investendo nella cittadinanza”, e mettendo in atto politiche urbane che hanno cambiato la qualità e il livello di benessere (pur partendo da una situazione di forte disagio).35 Peñalosa ha richiamato in modo esplicito il tema della felicità come orizzonte della sua azione di governo, disegnando un sistema complesso d’incremento della sostanza collettiva della città. Un ruolo centrale ha avuto la creazione di un sistema efficiente di trasporto collettivo (TransMilenio: una rete di collegamenti rapidi e sicuri di autobus che trasporta mezzo milione di passeggeri su percorsi dedicati), ma a essa si sono aggiunti interventi che hanno esteso l’uso comune della città: 52 nuove scuole e ri-
strutturazione di altre 150, con un incremento del 34% degli studenti; 1200 parchi e playground costruiti o migliorati; 13 nuove biblioteche centrali e periferiche; estensione delle reti idriche; 100 asili nido; 100 mila nuovi alberi; 270 chilometri di piste ciclabili, 15 di strade pedonali, 42 di vie verdi, e così via. La criminalità è diminuita, come effetto non di politiche di repressione, ma attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti e il contemporaneo miglioramento delle condizioni urbanistiche e sociali. Nel 2007 l’Unesco l’ha proclamata “Capitale mondiale del libro” e nel 2009 le è stato assegnato, dalla Biennale di Venezia, il Leone d’oro per l’Architettura, con la speciale menzione di aver affrontato i problemi legati all’integrazione sociale, all’istruzione, all’edilizia abitativa e allo spazio pubblico, specialmente attraverso innovazioni nel settore dei trasporti. Nel 2012 sempre l’Unesco la nomina “Capitale della Musica” per la dedizione profusa nella creazioni di luoghi sani di sviluppo della personalità del cittadino, quindi di tutela della socialità. Fin dal 1995 la città ha sperimentato i “Festivales al parque”, una serie di spettacoli e concerti a tema organizzati nei parchi urbani. La cultura della musica è stata determinante nell’affermazione del rispetto e del confronto; dal 2013 si è strutturato uno specifico programma di educazione musicale nelle scuole pubbliche che ha coinvolto più di 30.000 bambini e ragazzi. Bogotà è probabilmente ancora oggi una città piena di problemi, e i risultati di quelle iniziative amministrative andranno verificati nel tempo. Il racconto di questa città ci consegna tuttavia, come insegnamento, la consapevolezza che la felicità urbana e il benessere collettivo dipendono da molti fattori soggettivi, imprevedibili, non pianificabili, ma che le politiche urbanistiche e territoriali, quando assumano il contesto di vita degli abitanti come un articolato bene comune, possono creare le basi di una vita decente anche nei luoghi più poveri del mondo.
NOTE 34
Cfr. http://www.societadeiterritorialisti.it/wp-content/uploads/2011/10/111125_gpaba.felicit%20pubblica.pdf, p. 13 [ultima visualizzazione: 14 gennaio 2019].
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KATHERINE BECKETT, A Tale of Two Cities: A Comparative Analysis of Quality of Life Initiatives in New York and Bogotá, in «Urban Studies», XLVII, n. 2, February 2010, pp. 277-301; JAY WALIJASPER, Can We Design Cities for Happiness, http://shareable.net/blog/can-we-designcitiesfor-happiness; RICARDO MONTEZUMA, The Transformation of Bogotá, Columbia, 1995-2000: Investing in Citizenship and Urban Mobility, in «Global Urban Development Magazine», vol. 1, n. 1, may 2005, pp. 1-10.
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Immagine della locandina del film Demain
FERMO: INDIZI DI FELICITÀ PUBBLICA IN UNA PICCOLA CITTÀ
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Un’équipe di studiosi coordinata da Giorgio Piccinato ha indagato sui motivi alla base di una generale soddisfazione degli abitanti di una città, prendendo Fermo come campo di indagine, una piccola città delle Marche, collocata in una regione ricca, con una storia importante alle spalle e un presente tranquillo. L’ipotesi di partenza è che esistano “città felici”, dove il benessere collettivo si accompagna ad un’alta qualità della vita.
L’analisi svolta ha avuto come oggetto sia i caratteri materiali (fisici, demografici, economici, etc.) del territorio fermano sia quelli immateriali generati dal sistema delle relazioni sociali – registrati per mezzo di interviste e focus group. Piccinato ha trovato “indizi di felicità pubblica” in alcune caratteristiche morfologiche e di struttura sociale della città: a) il centro storico è abitato e usato dai residenti (e non svenduto all’industria turistica); b) il centro della città è usato come luogo simbolico di interazione sociale; c) la coesione sociale è abbastanza forte da includere gli immigrati e non c’è sensazione di insicurezza; d) la popolazione è stabile o in aumento; e) stili di vita metropolitani, pieno impiego e alti redditi sono garantiti; e) le espansioni moderne sono sostanzialmente corrette (pur se proprio non pregevoli). L’analisi sul campo, basata su questionari, gruppi di discussione e interviste in profondità, ha confermato gli indizi di felicità iniziali e ha restituito qualche insegnamento ulteriore sull’idea di felicità urbana. Un livello soddisfacente di felicità urbana è possibile solo all’incrocio tra identità sociale e identità spaziale, tra tutela del patrimonio storico e modernizzazione degli stili di vita, tra dimensione urbana e tenuta del sistema di relazioni umane, tra solidità economica e stabilità sociale, tra mantenimento dell’identità locale e accoglienza nei confronti degli stranieri.
NOTE 36
Cfr. http://www.societadeiterritorialisti.it/wp content/uploads/2011/10/111125_gpaba.felicit%20pubblica.pdf, p. 12 [ultima visualizzazione: 15 gennaio 2019].
37
VITO QUADRATO, Le periferie urbane raccontate da Moretti, De Sica e Seid, 11 dicembre 2015, in http://www.artwort.com/2015/12/11/architettura/periferie-urbane-questione-percezione/ [ultima visualizzazione: 15 gennaio 2019].
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Ibid
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ALCUNI FILM/CORTOMETRAGGI SUL TEMA
CARO DIARIO UN FILM DI NANNI MORETTI, 1993 UN INVITO ALL’ESPLORAZIONE DELLA PERIFERIA «Il regista romano concretizza, all’interno di “In vespa”, il primo capitolo del suo diario, l’aspirazione di realizzare un “film fatto solo di case”. Ma Caro Diario non è solo questo: è l’idea che lo spazio incerto, filamentoso della periferia romana vada innanzitutto percorso, attraversato e soprattutto verificato rispetto alle aprioristiche definizioni dei media e dell’opinione comune. In questo senso è emblematica la scena in cui il protagonista arriva a Spinaceto, “un quartiere inserito nei discorsi per parlarne male”; ma alla fine del suo percorso arriva a convenire con un passante che “il quartiere non è per niente male”, a dimostrare quanto la periferia soffra di un forte pregiudizio. L’autore percorre questi quartieri nel caldo torrido d’agosto a Roma, in vespa, quasi fosse questo il punto di vista ottimale per osservare e scoprire gli sterminati agglomerati di case, guardati dal centro del manto stradale. Da questa prospettiva il protagonista prova a immaginare, attraverso gli odori, la vita degli abitanti di quartiere, occlusa e nascosta dietro le facciate ossessivamente ripetitive. Questo capitolo del film è quindi un invito all’intima appropriazione dei luoghi della città, un tentativo di proiettare se stessi nelle mille sfaccettature della periferia e in qualche modo ritrovarcisi».37
propria perversa alienazione e schizofrenia, al riparo da ogni contatto con l’altro. Le case sono luoghi dotati di un ordine apparente, visibile nella cura del verde privato che si tramuta, all’interno, in uno spazio aggressivo e selvaggio nel kitsch nelle finiture interne. Il quadro complessivo che ne vien fuori è quello di una periferia cinica, votata all’individualismo più spinto. Il sistema che alimenta il conflitto non è tanto causa di uno squilibrio sociale, quanto una condizione esistenziale drammatica, generata da un profondo senso di solitudine».36
LA ZONA UN FILM DI RODRIGO PLÀ, 2007 OVVERO: DOVE CONDUCE LA POLITICA DEI MURI Il film si sviluppa intorno al violento prologo: tre ragazzi penetrano all’interno della zona, tentano un furto, che fallisce; le conseguenze sono drammatiche. La zona, un quartiere benestante nel centro di Città del Messico, è protetta in ogni angolo da guardie private (ronde?), da alte mura e da sistemi di sicurezza che la rendono una specie di fortino, il cui filo spinato separa quest’“isola felice”, inaccessibile anche alla polizia, dalla miseria delle favelas. La paura scatenata dall’insolito episodio incrina però il sistema di privilegi e di dorato isolamento in cui sono abituati a vivere gli abitanti della zona scatenando in loro un istinto bestiale che riemerge dal profondo a difesa del territorio. Il merito di Rodrigo Plà, in questo film, è di scoperchiare i pericolosi meccanismi di una società portata a implodere, e in cui un minimo “errore” può scatenare pestaggi e giustizia sommaria.
DOMANI DI CYRIL DION E MÉLANIE LAURENT 2015 CANICOLA UN FILM DI ULRICH SEIDL, 2001 LA PERIFERIA COME CONDIZIONE ESISTENZIALE «Il film Canicola ci proietta all’interno del sobborgo viennese, tanto generico da poter essere assimilato a quello di una città qualsiasi. In una rappresentazione, in chiave iper-reale, della condizione della periferia contemporanea nel modello americano: un proliferare di villette intervallate da un tessuto industriale polverizzato, grandi bretelle autostradali e shopping mall. Le riprese si focalizzano sulla vita dei tumefatti abitanti con una precisa dicotomia: un formicaio di auto che si accalcano attorno alla socialità scenica e apparente dei centri commerciali attraverso percorsi lineari che condannano al consumo sfrenato; le abitazioni, in cui ogni abitante si rintana nella
SOLUZIONI PER UN FUTURO MIGLIORE Il cortometraggio racconta i buoni esempi nella lotta al cambiamento climatico in cinque campi: agricoltura, energia, economia, democrazia e istruzione. Nel corso del loro viaggio tra l’Europa, l’India, gli Stati Uniti e Rèunion, i due registi raccontano cinque diversi modelli per “salvare il mondo”, tutti collegati tra di loro, che riguardano: l’agricoltura, le risorse energetiche, l’urbanistica, la scuola e la democrazia del futuro. «Presto il mondo sarà tutto una colonia di un parco tecnologico, controllato da una cricca di uomini impassibili che nel weekend fingono di impazzire» JAMES G. BALLARD, Super-Cannes
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Felicità pubblica e benessere
sono strettamente interconnessi alla qualità della vita nelle città e nei territori; alla bellezza dell’ambiente e del paesaggio; alla forma e limiti delle città; agli indicatori di sostenibilità dei territori; al riconoscimento dei valori di esistenza delle persone e delle cose; al senso di comunità e convivialità; alla partecipazione e alle politiche sociali auto-organizzate; alla consapevolezza del rispetto dei beni comuni e delle regole condivise; alle concezioni della crescita e dello sviluppo e a molti altri temi ancora. Storicamente la città è un perenne esperimento che genera conflitti. Riconoscere le “patologie” del territorio è indispensabile per un’“anamnesi” preventiva alla progettualità dei luoghi del futuro, tenendo conto che esse sono causa del crescente diffuso senso d’insicurezza che è strutturale e riguarda milioni di persone. Purtroppo, però, si avverte sempre più il rischio che il discorso sulla sicurezza non abbia più lo scopo di far interagire, per prevenirne i disordini, il mare magnum di elementi diversi che sono in costante relazione e formano quell’unità chiamata città, ma che si ponga come unico obiettivo quello di un controllo a posteriori. Sempre più si afferma l’idea, equivalente a un vero e proprio suicidio del diritto, che sia possibile normare giuridicamente tutto, compreso ciò che riguarda l’etica, la religione e la sessualità. La sfida diventa allora quella di definire nuove forme del vivere quotidiano e nuove relazioni tra abitanti e territorio, sostenendo un profondo processo tanto di rigenerazione etica quanto di rigenerazione estetica.
Marina Mannucci Negli anni ’70 ha svolto volontariato presso l’Istituto Cavazza per non vedenti e attività didattica per le comunità nomadi di Bologna, negli anni ’80 ha co-diretto per dieci anni la Scuola Materna e Doposcuola “il Girotondo. Ha coordinato il progetto dell’Asilo aziendale “Domus Bimbi” ed ha operato all’interno del Centro di Documentazione di Tuzla. È stata docente di Cittadinanza attiva presso Istituti secondari superiori. Si è occupata di temi riguardanti l’antropologia sociale e l’ambiente nella rivista mensile «Casa Premium» (Reclam edizioni, Ravenna). Ha pubblicato un saggio dal titolo Geografia dei femminismi tra Oriente e Occidente, all’interno del volume collettivo (di cui è curatrice assieme ad altre tre studiose), Femminismi musulmani. Un incontro sul Gender Jihad, Fernandel editore, Ravenna, 2014, ha scritto l’introduzione del libro (da lei curato) di Alberto Mannucci, Uno qualsiasi, SBC edizioni, Ravenna, 2016 e nel 2018 ha pubblicato per l’Editore Fernandel il romanzo Vite non conformi. È presidente dell’Associazione “Femminile Maschile Plurale”, fa parte del Comitato “Rompere il Silenzio”, del gruppo “Rottama Italia” ed è volontaria di “Avvocato di Strada”.
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