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Ravenna Festival Magazine
Ravenna Festival Magazine Edizione 2014 Supplemento gratuito a “Ravenna & Dintorni” nr. 584 del 29 maggio 2014
Redazione: 0544.271068 redazione@ravennaedintorni.it Pubblicità: 0544.408312 info@reclam.ra.it
Editore: Reclam srl - Ravenna www.reclam.ra.it
In collaborazione con
Novecento il secolo breve
Arte, amore e tragedia
tempo guerra
Danza
al della
Con Chéri, Alessandra Ferri di nuovo in scena Balletti russi: dalla Zakharova ai classici del teatro Mariinskij Moderno e contemporaneo: Ballet du Grand Théâtre de Genève, Micha Van Hoecke, Trisha Brown, Olivier Dubois, progetto Ric.ci, gruppo Nanou
Classica Riccardo Muti: l'omaggio a Claudio Abbado e il Requiem per le vittime di tutte le guerre e alle vittime di tutte le guerre Grandi direttori sul podio: Gergiev, Nagano e Temirkanov
Teatro
Edizione 2014
Testori secondo Martinelli e Montanari, l’Oratorio di Ovadia e Galeazzi, i Colloqui di Bucci e Zanchini
Un festival “aperto”
OperaUpClose
La divina Ute Lemper, l’istrionico Vinicio Capossela, il poetico Ambrogio Sparagna, la magnetica Anna Calvi
A cena con l’opera Donizetti’s L’elisir d’amore Puccini’s La Bohème
All’interno A S. Giacomo la Notte della Taranta di Sollima / Father & Son: Bisio racconta Serra / Concerti trekking, dal fronte del porto ai sentieri di Dino Campana / L’Africa di Opera Lamb e Night Commuters / Colonne sonore per Charlot e Buñuel
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MARIANI PAG RFM:Rafest mastro 29/05/14 13:37 Pagina 2
MOLO 30 PAG RFM:Rafest mastro 30/05/14 20:32 Pagina 1
Lo stabilimento balneare Molo Trezero, tra la pineta secolare e il mare a Marina di Ravenna, si integra con l’ambiente creando un naturale incontro tra paesaggio e uomo. Un luogo dove l’atmosfera è rilassante e il calore di uno staff sempre sorridente è pronto ad accogliervi. Il Molo Trezero con i suoi 10 mila metri quadrati di spiaggia, bar e ristorante offre ampio spazio per sole, sport e musica volendo rendere unico e perfetto ogni attimo della vostra giornata.
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MOLO 30 PAG RFM:Rafest mastro 04/06/14 01:29 Pagina 2
sommario 3 Ravenna Festival Magazine 2014
Nella città del Festival, candidata a diventare Capitale della cultura europea nel 2019, il Molo Trezero propone gli incontri letterari del giovedì.
Arte, amore e tragedia al tempo della guerra I 25 anni del Festival Un’anniversario che celebra centinaia di eventi culturali straordinari, un’organizzazione di alto livello, bilanci in ordine... ma un controverso rapporto con la città _pag_7
Il tema della Grande Guerra I diari del giornalista-viaggiatore Paolo Rumiz sul fronte europeo; il ruolo delle donne fra ausilio e antagonismo umanitario nel primo conflitto mondiale; la poesia che evoca sofferenze e pietà ma anche denuncia della follia bellica e speranze di pace. _da pag_12 _a pag _28
Muti e la musica fraterna
KAFKA SULLA SPIAGGIA Incontri, parole e sapori
Rassegne letterarie
Il maestro, protagonista di tanti “Viaggi dell’Amicizia” con il festival intorno al mondo, quest’anno rende omaggio a Claudio Abbado e, a Redipuglia, alle vittime di tutte le guerre. _pag_30
Concerti classica, sacra e antica Per la sinfonica tre grandi direttori sul podio: Temirkanov, Nagano e Gergiev; e tre solisti d’eccezione: Repin, Fellner e Yeol Eum Son. Fra medioevo e Novecento ecco Grand Chapelle, Ottoni Romantici, La Venexiana, Arciuli e Rabaudengo, Stagione Armonica, La Pifarescha, Cafebaum, Mauro Valli e Giovanni Sollima. _da pag_34 _a pag_37
Teatro e canzoni popolari
Ristorante aperto tutti i giorni a pranzo e cena Beach Bar Ampia area relax Campi da Gioco
Il “Doppio Fronte” di Moni Ovadia e Lucilla Galeazzi; “La cattiva Dea” di Elena Bucci e Massimo Zanchini, , i burattini con Sganapino e Cecco Beppo; il coro dolente delle Alpi Occidentali; La voce di Ute Lemper, da “Lili Marleene” a “Imagine”; “Le trincee del cuore” di Ambrogio Sparagna e Peppe Servillo; il genocidio degli Armeni nel canto di Liana Ghazaryan; il giornalismo civile di Giovanni Testori secondo Ermanna Montanari e Marco Martinelli. _da pag_38 _a pag_52
Cartellone Tutti gli appuntamenti del festival giorno per giorno e le informazioni di servizio _da pag_54 _a pag_69
2014
DENTAL UNIT VITAL DENT PAG RFM:Rafest mastro 30/05/14 20:31 Pagina 1
DENTAL UNIT VITAL DENT PAG RFM:Rafest mastro 04/06/14 01:32 Pagina 4
sommario 5 Ravenna Festival Magazine 2014
Una città che danza Svetlana Zakharova e i Balleti Russi; con “Chéri” ritorna in scena Alessandra Ferri; Trisha Brown e post-modern dance; Micha Van Hoecke, memorie di un maestro di danza; il progetto Ric.ci fa rivivere “Pupilla” e “Terramara”; le ammalianti coreografie del Ballet du Grand Théâtre di Ginevra; Olivier Duboise e l’anima dei talenti africani; gruppo nanou, un’installazione “strettamente confidenziale”; per la “Trilogia d’Autunno”, il teatro Mariinskij in tre pezzi mitici del balletto classico _da pag_70 _a pag_85
L’opera lirica in osteria Inedito per l’Italia, “OperaUpClose”, cena fra i tavoli del Mariani, con “L’elisir d’amore” di Donizetti e “La bohéme” di Puccini _a pag_86
Fra pop e popolare Vinicio Capossela, la Banda e le armonie bestiali; Il violoncello di Sollima per la “Notte della Taranta”; rock d’autore con Anna Calvi _da pag_88 _a pag_93
Tragicomico “Father & Son”, dal best seller gli “Sdraiati” di Michele Serra una piece affettuosa e ironica con il mattatore Claudio Bisio _a pag_94
Arte e guerra L’avanguardia bellica del Futurismo e le performance di Marina Abramovic _da pag_99 _a pag_104
Colonne sonore Musica dal vivo per cento anni di Charlot e le visioni surreali di Buñuel _a pag_106
Cultura e natura Concerti trekking tra “Fronti del porto” e Appennin0; la nuova arena nella pinetina Micoperi _a pag_108
Ravenna Festival Magazine Un supplemento di R&D - Ravenna & Dintorni, autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1172 del 17 Dicembre 2001 DIRETTORE RESPONSABILE: Fausto Piazza In redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Serena Garzanti, Luca Manservisi - Maria Cristina Giovannini (grafica senior), Gianluca Achilli (grafica), Collaboratori: Tarcisio Balbo, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Paolo Bolzani, Matteo Cavezzali, Anna De Lutiis, Francesco Della Torre, Matteo Fabbri, Linda Landi, Marina Mannucci, Serena Simoni, Attilia Tartagni, Roberto Valentino. Si ringrazia per la collaborazione la Direzione del Ravenna Festival (in particolare Fabio Ricci, Giovanni Trabalza, Stefano Bondi dell’Ufficio Stampa). Referenze fotografiche: Lidia Bagnara, Felix Broede, Luca Carlino, Ottavio Celestino, Julieta Cervantes, Roger Deckker, Luigi De Frenza, De Sanctis, Sasha Gusov, Alexander Ivanov, Simon Kane, Karen Koehler, Mikk Kunttu, Adam Levy, Laura Luostarinen, Joan Marcus, A. Neff, Olycom, Viola Pantano, Claire Pasquier, N.Razina, Todd Rosemberg, Mary Slepkova, Massimo Serena Monghini, Antoine Tempe, Mikhail Vaneev, Deen Van Meer, Julia Wesely, Fabrizio Zani (e altri non rintracciati che si ringrazia) NELLA FOTO DI COPERTINA DI JOAN MARKUS, UNA SCENA DALLO SPETTACOLO “CHÉRI” CON ALESSANDRA FERRI E HERMAN CORNEJO Editore: Edizioni e Comunicazione srl - www.reclam.ra.it Viale della Lirica 43 - 48121 Ravenna. Tel. 0544 408312. DIREZIONE GENERALE: Claudia Cuppi STAMPA: Grafiche Baroncini - Imola (BO)
ENI PAG RFM:Rafest mastro 27/05/14 16:33 Pagina 1
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l’anniversario 7 Ravenna Festival Magazine 2014
Ravenna Festival, storia e vicende dei primi 25 anni Ravenna Festival compie 25 anni, e li dimostra ben tutti. Da una parte è una manifestazione ancora relativamente giovane e quindi indirizzata a ulteriore evoluzione e longevità. Dall'altra però ha accumulato notevole esperienza e incidenza sul piano della qualità artistica degli eventi, della poliedricità dei cartelloni, della capacità organizzativa, della notorietà e dell'adesione di un pubblico sempre più vario, per età e provenienza. Come tutte le organizzazioni culturali complesse ha vissuto momenti esaltanti eppure difficili, in taluni casi critici, controversi e perfino drammatici, compresa qualche disavventura, che ne hanno attraversato le origini e la lunga storia. A proposito di origini: il festival così come lo conosciamo oggi nasce dalle “ceneri” di alcune edizioni (nella seconda metà degli anni '80) di una manifestazione – il Ravenna in Festival – che a sua volta voleva ampliare la varietà degli eventi e dei luoghi di una storica rassegna estiva di opere e concerti alla Rocca Brancaleone. A governare e sviluppare le iniziative culturali a Ravenna, a partire dagli anni
Riccardo Muti
Cristina Mazzavillani Muti e Mario Salvagiani
'70, c'è l'intraprendenza istituzionale di Mario Salvagiani. Avvocato, colto, abile e amabile mediatore, capace (in tempi ancora fortemente ideologizzati) di tessere relazioni fra il potere politico della sinistra al governo della città con quello economico della borghesia fondiaria e imprenditoriale ravennate – dopo aver rivitalizzato il Teatro Alighieri, il Rasi e il palcoscenico estivo della Rocca – mette mano all'idea di un festival musicale che muove i primi passi sotto la direzione artistica del musicologo Lorenzo Arruga. Ma il progetto ha il “fiato corto”, mancano risorse, relazioni extraprovinciali, personalità e idee "forti". A proposito di relazioni: ecco che Salvagiani, forte dei legami professionali e di amicizia con Riccardo Muti cerca di coinvolgere il Maestro (che è già un mito internazionale della direzione d’orchestra) e la consorte Cristina Mazzavillani, nella creazione di un “vero” festival, più prestigioso, dall’ampio respiro culturale e dalle ambizioni internazionali. L’architettura
istituzionale per gestire il nuovo festival e altre istituzioni culturali è pronta. È la Fondazione Ravenna Manifestazioni che intreccia e garantisce ruolo pubblico e privato. Nel cda, presieduto dal Sindaco di Ravenna, siederanno i rappresentanti della società civile e produttiva ravennate, che contribuiranno anche a finanziare la manifestazione. Ravenna Festival muove i primi passi nell’estate del 1990, con la consulenza artistica di un musicista-musicologo di rango come Roman Vlad. Nel giro di poche edizioni, sempre segnate dalle eccezionali performance direttoriali del Maestro Muti (e qualificati cartelloni ricchi di opere, concerti sinfonici e cameristici) Cristina Mazzavillani diverrà presidente del festival, esprimendo in progressione un’aura di anima e animatrice della manifestazione. Ai vertici della direzione artistica del festival sarà capace di “catturare” artisti inarrivabili, di promuovere giovani misconosciuti ed emergenti, di selezionare eventi e
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8 l’anniversario Ravenna Festival Magazine 2014
Claudio Abbado
stimolare innumerevoli produzioni originali, anche come regista. E inoltre, di raccogliere intorno alla sua “creatura culturale” quel sodalizio di estimatori (e finanziatori) che prende il nome di “Amici del Festival”. Alla sua energica attività creativa si affiancheranno quasi subito altri codirettori artistici: dal regista e drammaturgo Marco Martinelli (poi “fuoriuscito” per dedicarsi solo alla ricerca teatrale) agli attuali Franco Masotti e Angelo Nicastro, che contribuiranno in modo determinante a caratterizzare la cifra stilistica innovativa, eclettica e di qualità del festival. Parallelamente, dalla fine degli anni ‘90, si amplia e qualifica anche un
Georg Solti
team organizzativo (sui versati della produzione e degli allestimenti, dell’ufficio stampa, edizioni e pubbliche relazioni e della gestione amministrativa) sempre più in grado di reggere il peso crescente della manifestazione. Una squadra – va sottolineato – tutta di professionisti “indigeni” che ha la prerogativa di essersi “fatta le ossa” sul campo. Insomma il festival si evolve e ingrandisce ma davanti e dietro le quinte, trovano spazio (e lavoro) tante energie creative e competenze ravennati. Elemento non trascurabile se si vuole compiere un rendiconto dell’incidenza territoriale creata dal festival in venticinque anni.
vazzeni Gianandrea Ga
Mario Salvagiani, intanto, continuerà a dirigere, con discrezione e autorevolezza, la Fondazione nei suoi rapporti istituzionali e sul versante delle risorse umane e finanziarie, consapevole che il suo progetto di un grande festival ravennate è definitivamente decollato e quindi bisogna tenere la rotta. Almeno fino a metà degli anni Duemila, quando passa il timone, oneri e onori del sovrintendere, al più giovane ma già esperto Antonio De Rosa, mantenendo incarichi onorari. Al De Rosa nuovo dirigente della Fondazione (che vanta esperienza organizzative e manageriali in campo culturale e dello spettacolo,
Carlos Kleiber
dall’Europe Jazz Network, all’assessorato alla cultura dell’Emilia Romagna alla Fondazione Toscanini...), il compito di tenere alto il livello di risorse, prestigio ed efficienza del festival. Oltre che i bilanci in ordine... A proposito di risorse: è lo stesso De Rosa a esporre recentemente una serie di cifre che rendono conto del bilancio economico complessivo del quarto di secolo del festival, evidenziando che non si tratta solo di soldi pubblci che, sommariamente, hanno quasi sempre rappresentato un terzo delle risorse a disposizione. E che negli ultini tempi stanno progressivamnte scarseggiando. Ecco i dati nudi e crudi: 830mila i biglietti venduti, per un
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l’anniversario 9 Ravenna Festival Magazine 2014
Lorin Maazel
incasso di 18,3 mln di euro; 5 mln di euro le “liberalità” donate dagli “Amici del Festival”; 32 mln di euro i contributi versati dagli sponsor; 80 mln di euro le risorse “restituite” al territorio ravennate (si valuta pari a circa il 50% dei costi del festival). Cifre importanti e significative che hanno diviso e tuttora dividono i ravennati in termini di percezione e di apprezzamento del Ravenna Festival. A proposito di rapporto con la città: sia Mario Salvagiani, ma qualche volta anche Cristina Muti, hanno rilevato con rammarico rapporti difficili e di diffidenza con certa parte dei ravennati. Fin dalle origini c’è chi accusa il festival di drenare e
Chung Myung-Whun
accentrare “troppi” soldi pubblici a scapito di altre iniziative. C’è chi lamenta gli alti costi dei biglietti e la difficoltà di accesso agli eventi. E in altre circostanze emerge pure un atteggiamento bizzarro che attribuisce valore e originalità solo ad iniziative culturali “fuori piazza”. Una sorta di spocchia al quadrato che snobba gli spettacoli accusandoli di essere ...troppo snob. Retaggi di una città di provincia. Forse. Ma a ben guardare, seppur legittime, certe critiche paiono più “pregiudizi”. Che in gran parte andrebbero sfatati: dagli esordi, e ancor più in anni recenti, il Comune (e altri enti pubblici) hanno relativamente e progressivamente
Pierre Boulez
“decurtato” i loro contributi al festival. Se il festival non ci fosse, per la sua storia e il suo prestigio è probabile che gran parte delle risorse pubbliche e private oggi a disposizione verrebbero comunque a mancare. Sono molteplici gli artisti, i gruppi e le associazioni culturali che hanno lavorato e prodotto opere d’ingegno con e grazie al festival. Solo per fare qualche esempio: Teatro delle Albe, Fanny&Alexander, Elena Bucci, Drammatico Vegetale, Accademia Bizantina, Cantieri, Bronson Produzioni, Ivano Marescotti, Maurizio Lupinelli, Luciano Titi... solo per citarne pochi e sorvolare su tanti altri, fra musicisti e cantanti, scenografi, illustratori, fotografi, tecnici dello
ropovich Mstislav Rost
spettacolo e maestranze varie, tutti originari delle nostre parti. E in tempi recenti una nuova e folta schiera di gruppi ed eventi culturali è germinata in città, in autonomia, senza che il festival facesse ombra. Mai come di recente, anche attraverso internet e i social media, il festival è divenuto “accessibile” e alla portata di molte tasche. Vedere per credere, il prezzo dei ticket e le regole di prenotazione di altre rassegne in Italia e all’estero. Per non parlare dell’offerta articolata e qualificata di concerti, spettacoli e incontri, che negli anni il festival ha cercato di articolare intorno a un tema, in forma sempre più multi (e) interdisciplinare...
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10 l’anniversario Ravenna Festival Magazine 2014
Sarajevo 1997
Il Cairo 2003
El Djem 2005
Trieste 2010
Mirandola 2013
A proposito di bilanci artistici: tracciare un regesto artistico-culturale del festival è impresa titanica che solo l'organizzazione della manifestazione potrà compiutamente delineare, esplorando gli archivi, con eventi e pubblicazioni, fra la fine di quest'anno e il 2015. Facendo una generica considerazione, derivata dalla media degli appuntamenti in cartellone nei 25 anni, si può parlare di quasi un migliaio di eventi: grandiosi concerti sinfonici, cameristici e opere liriche con orchestre, direttori e solisti fra i più celebri al mondo (in queste pagine una galleria di alcuni famosi maestri ospitati dal festival, ndr); piccoli ma deliziosi sipari musicali sullo sterminato e poco fequentato repertorio della musica antica, sacra e contemporanea, con interpreti d’eccezione; allestimenti teatrali e coreografie, fra il balletto classico e la danza contemporanea di rilievo mondiale; star del rock e del jazz quali di Bob Dylan, Lou Reed, Yossou N’Dour, Jethro Tull, Beach Boys, Franco Battiato, Keith Jarret... Straordinari esponenti della musica etnica provenienti dai cinque continenti, scovati fino in capo al mondo. Le popolarissime feste musicali e danzanti nella corte del meraviglioso Palazzo San Giacomo, la Versailles dei Rasponi a Russi. E poi una miriade di produzioni originali fra opere liriche e performance teatrali; gli intrecci fra natura e cultura dei “concerti trekking”; incontri filosofici e religiosi; installazioni e, non da ultimo, la stampa di materiali di approfondimento saggistico e iconografico di notevole spessore editoriale. E forse manca qualcosa. Ad esempio i luoghi della città e dintorni dove il festival ha incorniciato e fatto vivere i suoi appuntamenti. A proposito di luoghi: si contano in oltre un centinaio gli spazi utilizzati, scoperti o riscoperti negli anni dal festival per allestire spettacoli e concerti, sparsi da Ravenna a Russi, da Cervia a Bagnacavallo. Eccone alcuni: le artificerie Almagià, l’ex chiesa di San Nicolò, quella di San Domenico, i chiostri Francescani, la Biblioteca Classense, le chiese bizantine patrimonio mondiale dell’Unesco, il vecchio Tiro a Segno, e ora il Palazzo Rasponi delle Teste e il nuovo Mariani; San Giacomo a Russi e Piazza Nuova a Bagnacavallo, addirittura le Saline di Cervia. Ma il festival ha frequentato anche luoghi lontani, per portare un messaggio pacificatore attraverso l’arte e la cultura. A proposito di Viaggi dell’Amicizia: il primo viaggio di solidarietà, in aiuto alla martoriata orchestra di Sarajevo, partì con un aereo militare nel 1997,
poco tempo dopo la fine dell’assedio della capitale bosniaca e l’avvio della pacificazione fra le nuove nazioni dell’ex Jugoslavia uscite dalla guerra civile. A questo primo messaggio di fratellanza attraverso la musica, intrapreso da Riccardo Muti, ne sono seguiti diversi altri (vedi galleria fotografica a fianco ndr), in città e paesi minacciati da terrorismo, carenze di libertà e democrazia, lotte civili e religiose, oppure com’è accaduto di recente in Emilia Romagna, per sostenere e confortare la popolazione colpita dal sisma. Negli ultimi anni, per porgere queste note dedicate alla pace e alla fraternità Riccardo Muti si è fatto sempre accompagnare dalla “sua” Orchestra Cherubini, una compagine stabile fondata dal Maestro nel 2004, fucina di talenti musicali, formata da giovani e valenti strumentisti. Proprio per i 25 anni del festival, e rievocando i 100 anni della Grande Guerra, saranno a Redipuglia per ricordare le vittime di tutti i conflitti. ❍
Concerti dell’Amicizia
L’albo d’oro 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
2009 2010 2011 2012
2013 2014
Sarajevo (Bosnia) Beirut (Libano) Gerusalemme (Israele) Mosca (Russia) Erevan e Istanbul (Armenia e Turchia) New York (Usa) Il Cairo (Egitto) Damasco (Siria) Tunisi e El Jem (Tunisia) Meknes (Marocco) Roma – Quirinale (Italia, per il Libano) Mazara del Vallo e Atene (Italia, per il Nord Africa, e Grecia) Sarajevo (Bosnia) Trieste (Italia, per Slovenia e Croazia) Nairobi (Kenia) Ravenna (Concerto delle Fraternità, dedicato a tutte le religioni) Mirandola (Italia, per le popolazioni terremotate emiliane) Redipuglia (Italia, in memoria delle vittime di tutte le guerre)
BANCA POPOLARE PAG RFM:Rafest mastro 27/05/14 16:45 Pagina 1
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12 testimonianze Ravenna Festival Magazine 2014
Paolo Rumiz, reportage dal fronte europeo
Il diario del giornalista viaggiatore: «Cent’anni dopo La Grande Guerra non sembra cambiato niente» DI ANDREA ALBERIZIA
Ha parlato con i morti. Assicura di averne sentito le voci tornando sui teatri delle battaglie cent’anni dopo. E percorrendo i fronti che hanno insaguinato il Vecchio Continente un secolo fa, sono aumentate allo stesso tempo la convinzione nell’Europa e la preoccupazione per il suo destino. Paolo Rumiz, giornalista e scrittore, è entrato nella Grande Guerra – il tema cui è dedicata la venticinquesima edizione del Ravenna Festival – senza trattenersi: «Capire l’Europa del 1914 è indispensabile per intendere quella del 2014. Non è possibile capire se cammini eretto là dove loro sono andati strisciando come vermi. Non puoi, se porti scarpe asciutte e
vestiti puliti». Quattro mesi di lavoro da cui è nata una collana di dieci film documentario in uscita con La Repubblica per dieci settimane dal 21 maggio. Il 29 maggio un incontro al Pala Congressi condotto da Massimo Bernardini ha visto protagonista Paolo Rumiz e e i suoi diari sulle tracce deprimo conflitto mondiale. Un vero prologo al Festival e al suo tema, il 1914, l’anno che ha cambiato il mondo. Prima dell’appuntamento ravennate abbiamo raggiunto lo scrittore triestino.
bel mezzo delle rivolte. È stata una sorpresa scoprire che il fronte interno di oggi è sullo stesso punto del fronte di cent’anni fa. Poi la gente sfilava in silenzio per omaggiare i morti di Kiev di oggi portando gli stessi lumini che io avevo appena deposto per i morti di un secolo prima. Nella neve dell'Ucraina si ripetevano scene che facevano venire i brividi: sembrava che non fosse cambiato niente, sembrava che con la Grande Guerra si fosse aperto uno stato di instabilità che non si è ancora sanato».
Sono passati cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e troviamo un’Europa che a Est è alle prese con scontri e violenze. «Eravamo in Ucraina proprio nel
Come è nato questo lavoro dedicato alla Grande Guerra? «Il desiderio di dare un quadro europeo alla guerra è nato quasi naturalmente dalla ricognizione fatta l'anno scorso sul fronte
italiano. Non solo per un discorso di completezza, non solo perchè il 1914 è un anno importante per l'Europa ma soprattutto perché è molto difficile capire le guerre degli italiani se non le collochiamo in un quadro europeo. È difficile capire fronte italiano se non si sono visti i fronti europei: una cannonata sul fronte francese non ha eco e smuove terra, una granata sul fronte italiano di montagna, il più impressionate che possa esistere, ha un eco che si ripete molte volte con effetto intimidatorio sulla gente e solleva pietre quindi un effetto mortifero incredibile». Quanto tempo è servito per raccogliere il materiale necessario a produrre una
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14 testimonianze Ravenna Festival Magazine 2014
raccolta di questo tipo? «È stata una sfida pazzesca. Abbiamo avuto l’incarico lo scorso gennaio quando le cose si sono definite: dieci film in meno di quattro mesi, chiunque del mestiere riteneva fosse impossibile. In due abbiamo lavorato come bestie viaggiando sui treni più scomodi possibili per metterci nelle scarpe dei coscritti. Ma abbiamo trasformato l’alta intensità forzata in senso positivo entrando con più forza emotiva nella storia di quanto avremmo potuto fare se fossimo stati rilassati». Reportage di questa portata, così approfonditi e così impegnativi, continueranno a trovare spazio nel giornalismo del futuro? «Viviamo un momento che è nemico della qualità, in cui ahimè si tende a sbarazzarsi della qualità perché chi vale poi costa. E si rischia l’impoverimento. Io posso ancora fare queste cose perché ho avuto la fortuna di costruirmi un corredo di lettori che non mi mollano, una base di mercato sicura per l'azienza che
vuole investire. E poi posso dire di avere un giornale e un direttore che ci hanno creduto. Ha contribuito anche il successo del dvd sul fronte italo-austriaco uscito l’anno scorso: ci aspettavamo di vendere 30mila copie e invece siamo arrivati a 60mila. Ma non è così automatico». C’è un personaggio incontrato in questi quattro mesi che le è rimasto impresso più di altri? «Uno dei più affascinanti è Jacky Bonnemains, il guru di un'associazione francese che si occupa di indivudare i veleni nei territori. Mi ha portato su una radura del fronte occidentale dove l'erba non cresce da un secolo, da quando sono stati sparsi i veleni della Grande Guerra. Mi ha descritto quel ruolo con una efficacia mostruosa». Quali momenti sono stati più emozionanti? La cosa più interessante di questo è viaggio è che ci sono stati dei momenti in cui abbiamo parlato con i morti. Li abbiamo proprio sentiti. Li ho sentiti molto sul fronte belga. Soprattutto la
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testimonianze 15 Ravenna Festival Magazine 2014
notte: quando viene buio, nelle ore del trapasso, è molto più facile. Forse per autosuggestione. Soprattutto a Ypres dove ogni sera alle otto le trombe suonano il silenzio davanti a centinaia di persone che vengono da lontano per sentire quel richiamo». La memoria collettiva perderà il racconto diretto dei testimoni di quel periodo storico. «Già ora sono morti tutti. Dieci anni fa, in occasione dei 90 anni dal 1914, ho incontrato l'ultimo sopravvissuto di Caporetto e poi un romano che abitava nel rione Garbatella: mi ha raccontato perfettamente la partenza della prima tradotta del 24 maggio 1915 (il giorno dell’entrata in guerra dell’Italia, ndr). Questa gente che sa di essere al capolinea ha una memoria lucidissima per le cose avvenute quando erano ragazzi. E ascoltando i loro racconti viene fuori molto bene l'incredulità di quel tempo: tutti partono allegri, convinti che sia una cosa veloce che durerà poco, che si tornerà a casa già a settembre-ottobre. Un’allegria sconsiderata. E invece il primo anno per questa
incosciente impreparazione succedono le cose peggiori. Ti trovi accanto a uno che un istante dopo è decapitato da una bomba e di cui restano solo i piedi. L'elemento chiave della Grande Guerra, a differenza della Seconda quando tutti sapevano a cosa sarebbero andati incontro, è che neanche gli ufficiali avevano la più pallida idea della potenza delle armi della modernità. Hanno mandato i fanti all'attacco di fronte alle mitragliatrici. Siamo partiti con divise luccicanti fatte apposta per essere prese di mira e solo dopo ci siamo adeguati con mimetiche e trincee».
Cucina aperta a pranzo e a cena. Chiuso il giovedì
Un viaggio come questo cosa lascia al viaggiatore? «Sono tornato completamente diverso da come ero partito. Soprattutto oggi credo nell'Europa infinitamente più di prima ma sono anche infinitamente più preoccupato di prima rispetto al suo destino. La gente ha perso il senso del pericolo, non capisce che tutto quello che noi abbiamo non è scritto nel cielo, la pace non è nel nostro Dna, sono secoli che ci ammazziamo».❍
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16 la storia Ravenna Festival Magazine 2014
La lotta delle donne per la pace, nel secolo breve DI
MARINA MANNUCCI
«Noi, le donne del mondo, vediamo con apprensione ed angoscia la situazione presente in Europa che rischia di coinvolgere l’intero continente, se non l’intero mondo, nei disastri e negli orrori della guerra. In questa terribile ora, quando il destino dell’Europa dipende da decisioni che noi donne non abbiamo il potere di formare, noi, assumendo le responsabilità che ci vengono dall’essere madri delle generazioni future, non possiamo rimanere passive. Benché siamo sul piano politico prive di potere, richiamiamo con forza i governi e coloro che questo potere detengono nei nostri differenti paesi ad allontanare il pericolo di una catastrofe che non avrà paragone. In nessuno dei paesi immediatamente coinvolti nella minaccia della guerra le donne hanno il potere diretto di controllare i destini del loro paese. Esse si trovano sul margine di una posizione pressoché insostenibile, vedere le case, le famiglie, i figli soggetti non soltanto al rischio ma alla certezza di un immane disastro che esse non possono in nessun modo allontanare o impedire. Qualunque ne sarà il risultato, il conflitto lascerà l’umanità più povera, segnerà un passo indietro nel progresso della civiltà e costituirà un grande scacco nel graduale miglioramento delle condizioni delle grandi masse e delle persone da cui dipende il reale benessere delle nazioni. Noi donne di ventisei paesi, che ci siamo unite nell’International Women’s Suffrage Alliance con l’obiettivo di ottenere strumenti politici per condividere con gli uomini il potere che determina il destino delle nazioni, ci appelliamo a voi perché non lasciate intentato nessun metodo di conciliazione o di arbitraggio per risolvere le controversie internazionali, nessun metodo che possa aiutarci a prevenire l’annegamento nel sangue di metà del mondo civilizzato». Jus Suffragii. Monthly organ of the International Woman Suffrage Alliance, vol. 8, n. 13, settembre 1914
Il 24 maggio 1915, la dichiarazione di guerra all’Austria sancisce l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale che dovrà rifornire l’esercito di equipaggiamento e di armi. La produzione di guerra è disciplinata direttamente dal Governo attraverso l’azione dell’Istituto della Mobilitazione Industriale. Nato nell’estate del 1915, l’Ente, che affianca all’attività della sede centrale di Roma quella dei Comitati di Mobilitazione creati nelle varie regioni del paese, ha il compito di determinare gli stabilimenti ausiliari, coordinarne le attività, distribuire le commesse e stipulare i contratti. La Mobilitazione Industriale, a partire dal 1916, impone l’obbligo di una graduale sostituzione, nelle lavorazioni di meccanica leggera,
della manodopera maschile con donne e ragazzi, estendendo il provvedimento, l’anno seguente, a gran parte delle produzioni metallurgiche. Le donne non erano del tutto nuove a questo tipo di esperienza; molte di loro erano già abituate a contribuire al lavoro nei campi e nel settore tessile dell’industria. Con la guerra, le donne iniziano anche a guidare autobus e tram, a consegnare la posta e spazzare le strade, a lavorare negli uffici e nei magazzini. Un processo non indolore, non essendo state previste delle divisioni del lavoro. Le donne erano costrette, infatti, a compiere lavori molto pesanti: nei campi era necessario spostare i covoni di fieno o i sacchi di grano, accudire il bestiame e utilizzare tutte le macchine agricole; all’interno delle fabbriche
Una lavoratrice britannica in una fabbrica che produce componenti per aeroplani nelle Midlands (Inghilterra).
dovevano essere sollevati pesi non indifferenti e compiuti gesti ripetitivi e meccanici. «La manodopera femminile impiegata negli stabilimenti aumenta vertiginosamente: dalle poche migliaia censite all’inizio della guerra, le lavoratrici diventano 23.000 alla fine del 1915, 89.000 alla fine del 1916, 175.000 alla fine del 1917 e circa 200.000 al termine del conflitto» (http://www.ismel.it/component/ content/article/75.html). Nel frattempo, il sistema produttivo diventa più specializzato e cambiano le capacità professionali. Nelle città c’è penuria di approvigionamenti e le famiglie ricorrono ai tagliandi alimentari per i generi di prima necessità. La situazione di disagio esplode a Torino il 22 agosto 1917: le donne alla testa di cortei
improvvisati, al grido di pane e pace, assaltano forni, negozi e caserme. Parole come antimilitarismo e pacifismo non era la prima volta che entravano nel vocabolario delle donne. Già dalle guerre di fine secolo, e ancor più allo scoppio del conflitto russo-giapponese, le donne avevano espresso il loro dissenso attraverso la stampa e anche mediante manifestazioni in piazza. Il conflitto modifica la quotidianità dell’intera nazione e cambia il ruolo delle donne nella vita politica e civile del paese. Non tutte le donne vissero il tempo di guerra allo stesso modo; per alcune fu un periodo di liberazione da un mondo chiuso nell’ambito privato e domestico, nel ruolo di madri e spose. È comprensibile, quindi, come l’improvvisa rimozione di limiti e
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Jane Addams
controlli fu vissuta da molte donne come una conquista di nuove libertà: vivere sole, uscire da sole, assumersi da sole certe responsabilità erano cose che ora divenivano per molte finalmente possibili, anche se non sempre accettate senza riserve dagli altri. Non sempre, per le donne, l’emancipazione lavorativa corrispose ad una maggiore libertà a livello personale: nelle case, infatti, rimanevano gli anziani, i quali continuavano ad esercitare il loro ruolo autoritario all’interno della famiglia. Ci furono anche atteggiamenti di rifiuto da parte dei moralisti e tradizionalisti: «Nelle fabbriche metalmeccaniche la presenza femminile era talvolta avvertita, specialmente dai vecchi operai, come un sovvertimento dell’ordine naturale e un attentato alla moralità» (Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Milano, BUR, 2009, p. 193). Se il trauma bellico causò una frattura dell’ordine familiare e sociale, non si può analizzare questa sezione di storia senza tenere conto delle diversità regionali e sociali. Le donne appartenenti alle classi
popolari erano infatti costrette a subire ristrettezze economiche e alimentari, il peso di nuove responsabilità e il superlavoro derivante dall’accumulo di compiti; le giovani operaie che entravano in fabbrica, se pur esposte a lavori pesanti e pericolosi, potevano approfittare di qualche spazio di libertà dalla tutela maschile e in particolare paterna. Le donne appartenenti alla classe media ebbero il modo di uscire dall’ambito familiare e si sentirono valorizzate in compiti socialmente utili e pubblicamente riconosciuti. Vi furono anche donne che dovettero subire le violenze sessuali degli eserciti occupanti. «Madri proletarie! Voi che di questa immane sciagura sarete le vittime più doloranti, perché il piombo che può straziare il corpo del figlio, già strazia prima l’anima vostra e vi trascina in una vita che è peggiore della morte, giurate sul capo delle vostre creature che sarete in prima fila per la difesa della loro vita!». “Ore di trepidazione”, in La difesa delle lavoratrici, III, n. 15, 2 agosto 1914
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Molte donne sentirono il dovere di intervenire in prima persona e non negarono il loro impegno manifestando contro una guerra “nefanda”, una guerra che strappava gli uomini alle proprie case e ai propri affetti, una guerra che significava fame e lutti, una “sanguinosa follia” che attraversava l’Europa e rompeva quella società solidale e affratellata che si era cercato di organizzare (Donne contro la guerra. Donne per la pace, a cura di Elda Guerra, Elena Musiani, Fiorenza Tarozzi, in «Bollettino del Museo del Risorgimento», numero monografico: Archiviare la guerra: La Prima Guerra Mondiale attraverso i documenti del Museo del Risorgimento, a cura di Mirtide Gavelli, L, 2005, pp. 17-39, con l’inserimento della riproduzione di fonti di stampa coeve, oggi in parte rintracciabili presso la Biblioteca Italiana delle donne. Il lavoro presenta i primi risultati di una ricerca su tradizioni politiche, scientifiche, artistiche e sapienziali delle donne sostenuta dall’associazione Orlando e dall’assessorato alla cultura della
Regione Emilia Romagna. Elsa Guerra si è in particolare occupata dei congressi suffragisti internazionali, Elena Musiani dell’area tedesca e francese e Fiorenza Tarozzi di quella italiana). «Alla voce di opposizione alla guerra, che farà breccia soprattutto tra le operaie, farà da controaltare quella delle interventiste che, animate da una propaganda sempre più fitta, saranno intente ad esporre bandiere sui balconi delle case, ad applaudire le truppe in marcia verso il fronte, a distribuire coccarde tricolori per le strade di paesi e città, a organizzare balli di beneficenza e lotterie in sostegno alla guerra, a donare baci patriottici e a diventare madrine di guerra adottando un giovane soldato al quale scrivere lettere di conforto e fiere parole di incoraggiamento» (http://www.ismel.it/ component/ content/article/ 75.html). L’ISMEL è un Centro archivisticobibliotecario, di documentazione «Papa sera an héro», cartolina di guerra francese della serie “Patrie”
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e ricerca, in cooperazione fra tre istituti culturali promotori: Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci, Fondazione culturale Vera Nocentini, Istituto di studi storici Gaetano Salvemini). C’è anche chi sostiene che la guerra, specialmente all’inizio, frenò l’emancipazione delle donne, restituendo preminenza al ruolo maschile del combattente. La guerra proponeva da un lato il mito dell’uomo difensore della patria e della casa, dall’altro l’immagine della donna “angelo custode” del focolare domestico. Anche da un punto di vista politico l’atteggiamento delle donne italiane di fronte alla guerra non fu dunque unitario. Quelle che si
Giovani vivandiere al fronte, cartolina di guerra italiana
riconoscevano nell’area socialista e che si muovevano dal 1912 per dare vita ad un’Unione italiana delle donne socialiste, associazione con l’obiettivo specifico di far crescere il proletariato femminile attraverso una politica del lavoro ma anche della definizione di diritti fino ad allora negati come quello del voto e della rappresentanza, non esitarono a porsi contro la guerra. L’Unione femminile italiana, nata a Milano nel 1899, nel 1905 aveva assunto una dimensione nazionale e raccoglieva attorno a sé donne dell’area democratica, liberale e socialista. Si muoveva principalmente nel campo dell’assistenza e dell’impegno sociale, pur non trascurando le battaglie politiche per il suffragio, contro la prostituzione e per i diritti delle donne. Con lo scoppio della guerra, l’Unione scelse di sostenere lo “sforzo bellico” del Paese nella forma di opera di assistenza ai combattenti, alle famiglie dei richiamati, agli orfani, alle donne e agli uomini rimasti disoccupati a causa del conflitto. L’impegno dell’Unione femminile italiana si rivolse poi alla
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produzione di maschere antigas, lavoro che svolse come commessa assunta dal Comando militare e impegnandovi quasi tutte le socie, cosĂŹ come negli anni successivi si operò nella confezione di maglie di lana, di indumenti militari e di biancheria per i soldati (cfr. Annarita Buttafuoco, SolidarietĂ , emancipazionismo, cooperazione. Dall’Associazione generale delle donne all’Unione femminile nazionale, in L’audacia insolente. La cooperazione femminile 18861986, Venezia, Marsilio 1986, pp. 79-110). Nel panorama dell’associazionismo femminile italiano apparve, all’inizio del secolo, il Consiglio nazionale delle donne italiane, collegato all’International Council of Women. Fondatrici furono donne dell’alta borghesia romana che affiancavano a deboli ideali emancipazionisti un forte spirito filantropico-assistenziale (Fiorenza Tarricone, “L’associazionismo femminile italiano: il Consiglio nazionale delle Donne Italianeâ€?, in Bollettino della Domus Mazziniana, n. 2, 1971, pp. 195-215).
Il 3 novembre 1918, l’Italia firma il trattato di Pace con l’Austria, che decreta la fine delle ostilità sul fronte italiano. L’economia del paese ha i flussi commerciali sconvolti, un pesante debito pubblico e un’inflazione incalzante. I reduci si reinseriscono nel sistema produttivo e della riconversione industriale. Migliaia di donne e ragazzi addetti alle lavorazioni di munizionamento escono forzatamente dalle fabbriche, un passaggio che segna una drastica diminuzione della manodopera femminile, la cui presenza negli stabilimenti industriali si stabilizzerà su livelli occupazionali decisamente inferiori rispetto a quelli relativi al periodo bellico. Al termine del conflitto, le donne si resero conto che la loro condizione civile e politica non era mutata e avvertirono sempre piÚ pressante la necessità di partecipare ai processi decisionali della nazione di appartenenza. In ogni paese le donne hanno svolto la loro parte nel sostenere la politica nazionale e nel provvedere alla loro esistenza sul piano economico. Nel fare questo
hanno ottenuto accesso a lavori riservati agli uomini. Ciò ha rappresentato un grande guadagno in termini di esperienza e di possibilitĂ , ma ciò è avvenuto in una posizione politica subordinata. [...] Ci è stato detto che gli affari esteri non riguardano le donne, ma in effetti essi erano trattati non solo come se non appartenessero alle donne, ma come se non appartenessero generalmente agli uomini e fossero affare solo delle corti e delle diplomazie. Tutto questo sta rapidamente cambiando. La democrazia, la massa delle genti, ha sofferto ed è morta obbedendo ai governi che hanno costruito politiche che [...] hanno prodotto la piĂš devastante guerra della storia; ma avendo pagato questo prezzo, la democrazia ora richiede il controllo sui propri destiniÂť (Mary Sheepshanks, “Peaceâ€?, in The International Woman Suffrage News, vol. 13, n. 3, dicembre 1918, p. 25). Nel periodo tra le due guerre, la tendenza pacifista si delineò in modo sempre piĂš netto, attraverso l’elaborazione di uno specifico discorso rispetto al sistema delle relazioni
internazionali e ai metodi per la soluzione non violenta delle controversie tra paesi e nazionalitĂ . Nel 1919 venne formalizzata la nascita della “Women’s International League for Peace and Freedomâ€? esito dell’“International Committee for Permanent Peaceâ€?. Le finalitĂ della WILPF vennero espresse in modo semplice e sintetico nell’atto costitutivo: ÂŤorganizzare il sostegno per le risoluzioni approvate al Congresso internazionale delle donne di Le Hague e di Zurigo, nonchĂŠ ai movimenti per lo sviluppo della pace, dell’internazionalismo e della libertĂ delle donneÂť. Suoi membri potevano essere tutte le associazioni nazionali nate in paesi liberi o oppressi od anche promosse da minoranze presenti nei diversi Stati nazionali, che aspiravano al loro pieno riconoscimento. Successivamente, queste finalitĂ vennero meglio articolate con l’individuazione di tre obiettivi: ÂŤ1. la creazione di mutua cooperazione e benevolenza reciproca in cui tutte le guerre saranno impossibili; 2. la
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realizzazione dell’uguaglianza politica, sociale e morale tra uomini e donne; 3. l’introduzione di questi principi in tutti i sistemi educativi» (Women’s International League for Peace and Freedom, Report of Third International Congress of Women, Vienna, 10-17 luglio 1921, p. 254). «In contrasto con gli insegnamenti pseudoscientifici e del fatto che siamo così vicini alla Grande Guerra con i suoi milioni di morti, noi osiamo affermare che la guerra non è un’attività naturale per l’umanità; che anzi è abnorme, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista biologico, che larghe masse di uomini debbano combattere contro altre masse [...]. Noi dichiariamo che la tendenza naturale dell’umanità è di stabilire relazioni amichevoli con gruppi sempre più larghi e di vivere una vita sempre più elevata e più lunga», affermerà sempre Jane Addams nel discorso di apertura del congresso di Vienna. Le considerazioni della Addams vanno oltre l’orizzonte del rapporto “naturale” delle donne con la pace, legato al loro essere madri, per porsi su un piano più preciso di
discorso e azione politica. Viene, in primo luogo, affermato il dato di principio secondo il quale la guerra è contraria non solo alle donne ma all’intera umanità, dato di principio da cui conseguiva una visione tesa a costruire per uomini e donne una “cittadinanza mondiale”. Si collocava, in questa prospettiva, il rifiuto di ogni forma di razzismo e del concetto di superiorità di un individuo, di un gruppo o di un’etnia su un altro individuo, un altro gruppo, un’altra etnia. La richiesta di uguali diritti per le donne veniva così ad intrecciarsi a quella dell’abolizione di tutte le discriminazioni legate al colore o all’etnia: «Noi crediamo che nessun essere umano debba essere privato dell’accesso all’educazione, impedito dal guadagnarsi la vita, escluso rispetto a qualunque attività in cui desideri impegnarsi, o sottoposto a qualsivoglia umiliazione sulla base della razza o del colore» (Women’s International League for Peace and Freedom, Report of the International Congress of Women, Zurigo, 12-17 maggio 1919, pp. 260-261). In secondo luogo, veniva data grande importanza ai
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progetti educativi. Si trattava, per questo gruppo di donne, di andare verso forme più alte di civiltà e di creare per usare le loro parole «uno spirito internazionale attraverso l’educazione», vale a dire verso quell’essere cittadini del mondo che percorre tutto il pensiero e il programma della Wilpf. La costruzione degli StatiNazione aveva portato con sé la storia nazionale come base della formazione del cittadino: a questo erano improntati i libri di testo, le letture, gli exempla. La richiesta delle pacifiste era di uscire da questi confini, di eliminare dai manuali scolastici le affermazioni lesive della dignità di altri popoli, di proporre lo studio delle civiltà, di leggere accanto alle letterature nazionali altre letterature, di promuovere scambi internazionali tra insegnanti e studenti di diversi paesi, assieme alla studio delle lingue e, per quanto possibile, alla creazione di una lingua comune. Per tutti gli anni Venti rimase la
speranza della pace e le organizzazioni internazionali delle donne si mossero per renderla operante: l’assegnazione, nel 1931, a Jane Addams del premio Nobel per la pace assunse il valore simbolico del riconoscimento di un impegno individuale e collettivo (cfr. Donne contro la guerra. Donne per la pace, cit.). «Per Pace non si intende semplicemente assenza di guerra, ma il dispiegamento di tutta una serie di processi costruttivi e vitali che si rivolgono alla realizzazione di uno sviluppo comune. La Pace non è semplicemente qualcosa su cui tenere congressi e su cui discutere come se fosse un dogma astratto. Essa assomiglia piuttosto ad una marea portatrice di sentimenti morali che sta emergendo sempre di più e che piano piano inghiottirà tutta la superbia della conquista e renderà la guerra impossibile». Jane Addams. ❍
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La Guerra distrugge popoli e luoghi Ma sa anche ispirare ai poeti del passato e ai contemporanei, versi di sofferenza, pietà, speranza e nostalgia di pace DI
ANNA DE LUTIIS
«Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco generose travolse alme d'eroi, e di cani e d'augelli orrido pasto lor salme abbandonò...».
Così invocava Omero perché potesse esprimere in versi il terrore della guerra, un fenomeno funesto che sembra nato con l'uomo, che ha attraversato epoche e continenti, argomento che mai ha perduto la sua triste attualità. Lo conferma uno dei più importanti poeti del '900, Giuseppe Ungaretti, e la sua riflessione scaturisce direttamente dalla guerra che sta vivendo, da soldato e da poeta:la Grande Guerra che ha cambiato il mondo. «Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta».
Istantanea di soldati in trincea nella Prima Guerra Mondiale
(Ungaretti. Uomo del mio tempo)
La guerra che ci giunge attraverso le parole dei poeti è filtrata dai versi e ce la rendono più sopportabile, ma mai comprensibile nelle sue motivazioni. Per questo quando leggiamo l'Iliade, l'Odissea, l'Eneide, solo per far degli esempi, troviamo divertenti gli episodi, anche quelli che narrano violenza, momenti attutiti dalla lontananza degli eventi nel tempo e nello spazio e descritti come scene di film, come momenti di arte pura di cui possiamo assaporare la bellezza. I personaggi, poi, hanno perduto le loro caratteristiche umane e
Resti di strutture difensive sulle montagne della Croda Rossa
spesso sono miti, dei semidei. Non poteva restare insensibile un poeta come Tonino Guerra alla storia e alle vicissitudini di Ulisse, delle sfide davanti alle mura di Troia, della sua caduta, ed ecco escogitare un modo tutto suo di reinterpretare le gesta note con un linguaggio narrativo che sa di racconto intorno al camino, come fosse in compagnia dello stesso Ulisse. «Dopo dieci anni di una guerra che non finiva mai, una bella mattina i troiani che stavano sempre con la testa penzoloni dalle mura, vedono che le barche greche hanno le vele gonfie per tornare a casa e sulla spiaggia è rimasto un cavallone di legno grande come un palazzo, con delle placche d'oro sulla schiena che parevano fatte di lucciole. 'Portiamolo dentro che è un regalo che ci hanno lasciato', dicevano quasi tutti senza sapere che nella pancia del cavallo c'erano Ulisse con dei soldati che stavano zitti come le montagne sotto la neve».
Il racconto continua con l'uscita
dei soldati e la distruzione di Troia, sempre in doppia versione dialetto e italiano, con pennellate di colore, come quando si racconta una fiaba, fino al quadro finale, di un realismo drammatico: «Quando il sole si è fatto vedere su quei morti e quelle case bruciate, sono capitati anche tre-quattro uccelli che sono scappati dalla paura».
Diverse sono le emozioni, anche se attraverso la poesia, quando gli eventi bellici hanno coinvolto persone a noi vicine o quando l'eco delle sofferenze è ancora vivo e risuona attraverso opere d'arte, film, monumenti. Cento anni fa si combatteva e si moriva in trincee sperdute sui monti, luoghi di incontro di giovani provenienti da diverse regioni italiane che neppure sapevano comunicare perché parlavano dialetti diversi ma che provarono a superare le barriere linguistiche unendosi spesso in canti di speranza e nostalgia. Un avvenimento come la guerra del 1915-1918, la Grande Guerra che ha cambiato il mondo, non poteva essere posto sotto silenzio dai poeti che l’hanno vissuto
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Alessandro Magno nella battaglia di Issos. In basso: il sacrario di Redipuglia dedicato ai caduti italiani della Grande Guerra
direttamente o indirettamente: perciò molti sono quelli che hanno espresso in versi i momenti di angoscia, di speranza, di solidarietà davanti alla morte. "Nella mia poesia-scrive Ungaretti- non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno; c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte". «Un’intera nottata Buttato vicino A un compagno Massacrato Con la bocca Digrignata Volta al plenilunio Con la congestione Delle sue mani Penetrata Nel mio silenzio Ho scritto Lettere piene d’amore Non sono mai stato Tanto Attaccato alla vita». (Ungaretti - Cima Quattro -23 dicembre1915)
La guerra distrugge vite e luoghi e lascia dietro di sé solo macerie. Le montagne del Carso, le splendide cime diventano cimiteri solitari. «Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro
Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca È il mio cuore Il paese più straziato" (Ungaretti,27 agosto 1916)
Anche Diego Valeri, poeta che ha raccolto l’eredità pascoliana e crepuscolare esprime nel finale della breve poesia che segue una pena infinita per coloro che nel conflitto hanno perso la vita: "Croci di legno, nude su la nuda terra che copre i morti nella gloria; croci che la battaglia e la vittoria pianta con le bandiere ovunque va; siepe di croci a guardia d'una gente, trincee di tombe a guardia d'un amore; croci di legno confitte nel cuore , di tutta la straziata umanità». (Valeri - Croci di legno)
Alla voce dei poeti spesso si aggiungono canti e versi di anonimi che, comunque esprimono rabbia, dolore, impotenza per una situazione non voluta e profonda nostalgia: «Monte Nero, dove tu sei, o traditor della vita mia? Ho lasciato la mamma mia per venirti a conquistar. Per venirti a conquistare abbiam perduto molti compagni, e sull'età dei venti anni, la loro vita non torna mai più». (Anonimo 1915)
Se possiamo definire Ungaretti il poeta della Grande Guerra, colui che ci ha trasmesso immagini lucide come foto della situazione,
Gabriele D'Annunzio ne riassume anche l'aspetto eroico, il poeta e l'uomo che la guerra l'ha amata, che in essa ha riversato il suo entusiasmo fino a diventare vero grande protagonista nell'impresa di Fiume. D’Annunzio scrive estesamente del primo conflitto mondiale nel quinto libro delle Laudi ossia Canti della guerra latina composti tra il 1915 e il 1918. Tuttavia, malgrado il poeta abbia partecipato attivamente a tale conflitto, le liriche dedicate ad esso non ebbero molta presa, forse perché troppo auliche e ridondanti e, quindi, di non grande immediatezza in quanto la peculiarità della raccolta consiste nella lettura allegorica, in chiave religiosa, degli eventi bellici: «In marcia! la semenza è fervida. Gli uomini nuovi bàlzano in armi dai tuoi solchi fulvi e dalle tue bianche strade. Recando nel pugno il tuo gruppo di stelle, cacciano in fuga la pace ignobile da tutte le tue contrade. In marcia! Come nella valle dello Shenandoah, c’è il ferro e c’è il fuoco, c’è il sangue e c’è il sudore, c’è il fiele e c’è il pianto, l’urlo e il lagno, la sete e la fame, la falange spedita e il branco immondo. In marcia! Come allora, nella selva,
nell’alpe, nel piano, sul fiume, sul lago, sul mare, l’uomo inventi la sua vita e la sua morte ogni giorno. Non v’è più sonno. Non v’è più tregua. Non v’è più respiro. In marcia verso la battaglia del mondo!».
Due diversi modi di vivere la guerra, due punti di vista:rifiuto e desiderio. Ma perché le guerre non hanno mai termine? Cosa ha portato in passato e porta oggi a combattere, distruggere, uccidere? Ci sono le cause politico-militari che comprendono tutti i fattori che dipendono dalla necessità di un'affermazione assoluta: la guerra ha quindi uno scopo di dimostrare la superiorità di chi la compie nei confronti degli altri potenti. Ci sono poi le cause territoriali, quelle legate alla necessità di un'espansione territoriale: nell'antichità questa espansione era spesso necessaria poiché le popolazioni in crescita andavano, volenti o nolenti, a “ invadere ” i territori vicini, popolati da altre genti. Ciò avveniva perché le civiltà sorgevano tutte in prossimità degli stessi luoghi, spesso mari o fiumi, per sfruttare al meglio le condizioni climatiche favorevoli. Andando avanti negli
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Ecco cosa rimane dopo la guerra.....
anni, con la scoperta di nuovi continenti, non sono più giustificabili guerre con scopo di necessaria espansione, tuttavia, ci sono ancora realtà che non riescono a condividere il proprio suolo, che non accettano
compromessi. I secoli passati hanno visto grandi conquistatori espandere il proprio regno. Alessandro il Macedone detto poi Magno per l'esito delle sue conquiste fu una delle maggiori figure della storia, dominò la
Grecia, culla della civiltà occidentale, e fu abile stratega e conquistatore; fu l'incarnazione dell'eroe temerario, morto al culmine della sua gloria poco più che trentenne ed entrato subito nella leggenda. L'immenso impero da lui edificato, partendo dalla Macedonia e dalla Grecia, giunse ad abbracciare l'Egitto in Africa e in Asia fino al fiume Indo: in tal modo si crearono nuovi legami tra i popoli soggetti e si intensificarono i contatti tra culture e civiltà diverse, estendendo enormemente l'influenza della civiltà greca. Cosa lascia dietro di sé una guerra, una battaglia? Senza dubbio il desiderio di pace come ci dice Adonis, il cui vero nome e' Ali' Esber, nato in un villaggio siriano, vissuto in Libano e poi a Parigi, mentre il suo cuore di poeta e di libero cittadino batte per il suo paese d'origine straziato da una guerra che sta distruggendo non solo il popolo ma anche una terra che ha una civiltà antichissima. "Fu la Siria a inventare il nostro alfabeto-dice Adonis-e fu la Siria a creare la parola Europa. La guerra è un non senso; bisogna dare spazio al dialogo; l'uomo deve parlare e non uccidere". «Pace ai volti che, soli, vanno nella solitudine del deserto all'oriente vestito d'erba e fuoco Pace alla terra lavata dal mare al tuo amore, pace». (Adonis)
Più legato all'attualità è il gionalista Naman Tarcha, siriano di Aleppo, laureato in Comunicazione a Roma, dove vive e lavora da anni. «Sull’onda della cosiddetta “primavera araba”-dice-che ha portato dei forti cambiamenti nella regione, anch’io come tanti siriani all’inizio ero entusiasta e speravo in un cambiamento: chi non lo sarebbe? Conoscevo i limiti del mio Paese, sfregiato da corruzione e parassiti del potere. Sognavo un paese più giusto, più democratico, multipartitico, più libero, una Siria più bella. Ma questo sogno si è trasformato nell’incubo di una maledetta primavera».
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Sono le voci del risentimento per una patria al momento vietata. Quando si lascia il proprio paese e le radici rimangono aggrappate alla propria terra la nostalgia si fa profonda e diventa dolore. Giuseppe Ungaretti dà voce ad un suo amico d'infanzia, esule arabo, che la seconda patria, pur bella,
non è riuscita a risarcirlo del desiderio della sua terra d'origine: «Si chiamava Moammed Sceab Discendente di emiri di nomadi suicida perché non aveva più Patria Amò la Francia e mutò nome Fu Marcel ma non era Francese e non sapeva più vivere nella tenda dei suoi dove si ascolta la cantilena del Corano gustando un caffè E non sapeva sciogliere il canto del suo abbandono L’ho accompagnato insieme alla padrona dell’albergo dove abitavamo a Parigi dal numero 5 della rue des Carmes appassito vicolo in discesa. Riposa nel camposanto d’Ivry sobborgo che pare sempre in una giornata di una decomposta fiera E forse io solo so ancora che visse».
La nostalgia dei popoli che lasciano la propria terra è un sentimento che da sempre accompagna i popoli migranti, ieri i nostri antenati, oggi un flusso continuo dall'Africa, dall'Est dell'Europa, tutti nella speranza di fuggire dalla guerra o da condizioni inumane, di trovare una vita migliore. Nel cuore rimangono le radici dure da estirpare ed emerge poderosa e drammatica la voce di chi desidera solo restare sul proprio suolo, conservare la propria lingua e i propri costumi. Questo è il desiderio di Fadwa Tuqan, una delle più note poetesse arabe; la sua voce è l'eco di un grido di speranza che risuona fino a raggiungere i paesi più lontani, attraversando deserti, savane e foreste. «Desidero solo morire nella mia terra, esservi seppellita, fondermi e svanire nella sua fertilità per resuscitare erba nella mia terra, resuscitare fiore al quale toglie i petali un ragazzo cresciuto nel mio paese. Desidero solo restare nel seno della mia patria, terra erba o fiore». ❍
LINEABLU PAG RFM:Rafest mastro 29/05/14 15:06 Pagina 1
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30 sinfonica Ravenna Festival Magazine 2014
Muti, l’omaggio ad Abbado
e alle vittime di tutte guerre
DI TARCISIO BALBO
«Musica e poesia son due sorelle / ristoratrici del’afflitte genti, / de’ rei pensier le torbide procelle /con liete rime a serenar possenti. / Non ha di queste il mondo arti più belle / o più salubri al’affannate menti, / né cor la Scizia ha barbaro cotanto, / se non è tigre, a cui non piaccia il canto». Lo scriveva nel 1623 Giovan Battista Marino nel settimo canto del proprio Adone, e se non si bada troppo ai barocchismi magari un po’ troppo leziosi per i lettori contemporanei, la citazione è perfetta per rappresentare lo spirito delle “Vie dell’Amicizia” che dal 1997 sono un simbolo imprescindibile dell’attività musicale di Riccardo Muti e Ravenna Festival. Perché la vicinanza spirituale e materiale a chi nel mondo prova l’‘afflizione’, in tutte le disgraziate forme a cui il mondo contemporaneo ci ha abituati, il voler portare conforto attraverso quei mezzi universali che sono la musica e la parola, è la cifra caratterizzante delle tante trasferte del Festival che da Ravenna hanno toccato i quattro angoli del mondo. Si è partiti il 14 luglio 1997 alla volta di Sarajevo martoriata dalla guerra, e al Centro Skenderija Riccardo Muti fece risuonare le note dell’Eroica di Beethoven e del Canto degli spiriti sulle acque di Goethe (l’incipit è di quelli che lasciano il segno: «L’anima dell’uomo | è simile all’acqua: / viene dal cielo, / risale al cielo, / a terra di nuovo | ridiscende / in eterna vicenda»), nell’intonazione fattane da Franz Schubert: il concerto di Muti contribuì a riaccendere l’orgoglio e la vitalità della città bosniaca, come volle testimoniare in una lettera al Maestro lo scrittore Zlatko Dizdarevic, ex ambasciatore della Bosnia ed Erzegovina in Croazia, premio Sacharov del Parlamento europeo. A Sarajevo Riccardo Muti e Ravenna Festival sono tornati di nuovo nel 2009, per far coincidere i vent’anni del Festival col ricordo
Due memorabili appuntamenti per il Maestro che celebra i 25 anni di sodalizio con il Ravenna Festival, sul podio della Cherubini e altri gruppi orchestrali, con un tributo al direttore recentemente scomparso e – al sacrario di Redipuglia – un nuovo “Viaggio dell’Amicizia”, all’insegna della musica come solidarietà e fratellanza
CASSA RISPARMIO RA PAG RFM:Rafest mastro 27/05/14 16:56 Pagina 1
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32 sinfonica Ravenna Festival Magazine 2014
Nelle immagini alcuni scorci del sacrario militare di Redipuglia
di quella prima memorabile trasferta, e nei dodici anni intercorsi tra il 1997 e il 2009 ai luoghi di dolore toccati dal Festival si sono aggiunti Beirut nel 1998 e New York nel 2002, a meno di un anno dall’attentato alle torri gemelle. Solo nel 2007 l’escalation di violenza in Medio Oriente non ha permesso la trasferta del Festival in Libano (ma il concerto si è tenuto lo stesso, a Roma). A questi luoghi-simbolo si sono aggiunti nel 2011 gli slums di Nairobi, dove il Maestro ha diretto alcuni estratti dal Nabucco di Verdi quasi realizzando un presagio dello stesso compositore, che in una celebre lettera del maggio 1862 scriveva all’amico Opprandino Arrivabene: «Quando tu andrai nelle Indie e nell’interno dell’Africa sentirai Il trovatore». La musica, nelle parole del Marino, ha anche la capacità di ristorare le menti «affannate», e grazie alla musica di Muti, Ravenna Festival ha potuto ricordare ai popoli del Mediterraneo che il mare nostrum, per secoli, ha unito anziché dividere le sponde dei paesi che vi si affacciano. Per questo, tra le tante tappe delle “Vie dell’Amicizia” hanno trovato posto i luoghi che da sempre sono stati crocevia di culture differenti, e in cui attraverso la musica si è voluto rinnovare il monito alla fratellanza fra i popoli: dalla Gerusalemme che il Festival ha toccato nel 1999, a Istanbul nel 2001, al Cairo nel 2003 (dove Muti ha diretto la monumentale Grande symphonie funèbre et triomphale di Hector Berlioz), a Damasco nel 2004, per citare solo alcuni tra le città più importanti. E poi, nel 2008, Mazara del Vallo, dove marinai tunisini e siciliani lavorano da sempre fianco a fianco, da fratelli; e ancora nel 2010 la Trieste della Mitteleuropa. Lo scorso anno Riccardo Muti si è voluto recare a Mirandola, nel cuore dell’Emilia che ancora mostrava (e in parte mostra ancora) le ferite del terremoto, e in un unico memorabile concerto ha riunito l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, gli studenti dei conservatori e delle scuole di musica, le tante corali attive nella Bassa modenese. Quest’anno, l’immancabile appuntamento con le “Vie dell’Amicizia” è in Friuli: Il giorno dopo il concerto al Palazzo Mauro De Andrè di Ravenna (5 luglio), il Maestro sarà al Sacrario Militare di Redipuglia (la locuzione
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sinfonica 33 Ravenna Festival Magazine 2014
slovena sredij polije significa, alla lettera, «terra di mezzo»): ultimo riposo di oltre 100.000 soldati italiani più una donna, la crocerossina ventunenne Margherita Orlando, e luogo di commemorazione per tutti i caduti del primo conflitto mondiale di cui quest’anno ricorre il centenario. Per ricordare le vittime di tutte le guerre, Riccardo Muti dirigerà la Messa da requiem di Giuseppe Verdi, nata in memoria di un solo grande individuo come Alessandro Manzoni, e dedicata stavolta a tutti gli uomini “piccoli” che a causa della guerra hanno perso la vita. Accanto al Maestro, all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e a un gruppo di solisti d’eccezione (Tatiana Serjan, Daniela Barcellona, Saimir Pirgu, Riccardo Zanellato), ci sarà la European Spirit of Youth Orchestra, costola europea del progetto World Youth Orchestra, assieme al Coro del Friuli Venezia Giulia e a strumentisti e coristi di tutte le nazioni che presero parte alla Grande guerra. Inutile dire, infine, che il Festival e Riccardo Muti sono legati a filo doppio fin dalle origini della manifestazione ravennate: fu proprio il Mestro, in una sera d’estate del 1990 alla Rocca Brancaleone, a inaugurare la prima edizione di Ravenna “in” Festival assieme all’Orchestra Filarmonica della Scala e del Coro della Radio Svedese, sulle note della Sinfonia Linzer di Mozart. Inutile dilungarsi sulle tante e tante presenze di Muti al Festival: basta citare, accanto ai concerti sinfonici e alle opere, progetti
come quello quinquennale legato alla cosiddetta “scuola napoletana”, e soprattutto quell’invenzione straordinaria che è l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Per i venticinque anni di Ravenna Festival era necessario un concerto speciale: il 30 giugno Riccardo Muti dirigerà la Cherubini e l’Orchestra Giovanile Italiana in memoria di Claudio Abbado, che alla Scuola di Musica di Fiesole, sede dell’Ogi, destinò il proprio stipendio da senatore a vita. Ad aprire la serata sarà la quinta Sinfonia di Pëtr Il’ič Čajkovskij: un’opera che nelle parole del compositore voleva simboleggiare «l’imperscrutabile disegno della Provvidenza», e che si traduce nella rappresentazione di una lotta impari in cui a soccombere è l’essere umano. A seguire, il terzo Concerto per pianoforte in Do minore op. 37 di Ludwig van Beethoven: un’opera la cui tonalità, per gli esegeti beethoveniani, simboleggia la lotta prometeica tra l’Uomo e il Fato, in cui la ragione umana finisce per trionfare sulla cecità e l’inesorabilità del destino; tonalità che nel Concerto op. 37 si coagula in un tema iniziale quasi michelangiolesco per vigore e incisività, agli antipodi del clima evocato dalla Sinfonia di Čajkovskij. Solista, David Fray, già «Newcomer of the Year» nel 2008 per il BBC Magazine (all’epoca il pianista aveva 27 anni), e oggi tra i più autorevoli interpreti nel panorama concertistico internazionale. ❍
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David Fray
chiuso il martedì
34-35RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 17:10 Pagina 34
34 sinfonica Ravenna Festival Magazine 2014
Termirkanov Nagano Gergiev Tre fuoriclasse sul podio DI TARCISIO
BALBO
È a marchio slavo la serie dei concerti sinfonici per i venticinque anni di Ravenna Festival, tutti affidati a vecchi amici della manifestazione romagnola, ormai affezionati e sempre entusiasti habitué sui palcoscenici del Festival. Jurij Temirkanov, ad esempio, è ospite regolare a Ravenna ormai dal 2006, quasi sempre con la Filarmonica di San Pietroburgo (la più antica e gloriosa formazione sinfonica russa, che il maestro guida dal 1988, successore di un immortale della bacchetta come il grande Evgenij Mravinskij). Con l’orchestra pietroburghese, il 7 giugno, Temirkanov si cimenterà in un programma interamente russo con qualche tinta romagnola, visto che il concerto si aprirà con la fantasia sinfonica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Francesca da Rimini, composta nel 1876 da un autore men che quarantenne e ispirata alle vicende narrate da Dante nel quinto canto dell’Inferno, descritte ora con violente impennate orchestrali ora con lo struggente Valerij Gergiev
lirismo più tipico del grande compositore. A seguire il secondo Concerto per violino op. 63 di Sergej Prokof’ev, opera tarda del compositore, celebre per il tema iniziale dal tipico sapore russo: quasi un canto popolare affidato alla maestria di Vadim Repin, nato a Novosibirsk, in Siberia, naturalizzato belga, ex ragazzo prodigio (a soli 17 anni vinse il Concorso «Regina Elisabetta» di Bruxelles, tra le più importanti composizioni violinistiche al mondo), tra i massimi interpreti attuali Kent Nagano del repertorio patrio. In chiusura, un monumento musicale come Petruška: il balletto che Igor’ Stravinskij compone nel 1911 per i Ballets Russes di Sergej Djagilev, e che ha come protagonista il celebre personaggio del teatro russo dei
Jurij Temirkanov
burattini, a metà strada tra Pinocchio e Pierrot. Kent Nagano è nato in California nel 1951, a Berkeley. Musicista eclettico (con la London Symphony Orchestra ha diretto e inciso non poche composizioni di Frank Zappa), per il suo esordio a Ravenna Festival nel 1998, alla testa dell’Orchestra e del Coro dell’Opéra National de Lyon, si è presentato al pubblico romagnolo dirigendo un’opera “di peso” come L’amour des trois oranges di Prokof’ev. Quest’anno, l’11 giugno, Nagano guiderà l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in un programma tutto brahmsiano, “classico” nel senso più bello e ampio della parola, che comprende la celeberrima Quarta sinfonia in Mi minore op. 98, ultimo e massimo capolavoro sinfonico del musicista amburghese. Il côté solistico è invece rappresentato dal Primo concerto in Re minore op. 15 per pianoforte e orchestra: opera giovanile di un Brahms non ancora
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sinfonica 35 Ravenna Festival Magazine 2014
Nei concerti in programma – assieme ai grandi maestri e orchestre d’eccezione – anche ottimi solisti come Vadim Repin, Till Fellner e Yeol Eum Son
Vadim Repin
venticinquenne, che dimostrava con maestria superba di aver assimilato e rielaborato il magistero beethoveniano, e che già apriva Vie nuove (è il titolo dell’articolo che Robert Schumann aveva dedicato al giovane Brahms giusto un anno prima del Concerto) alla musica del tardo Ottocento. Solista sarà il pianista austriaco Till Fellner, già allievo del grande Alfred Brendel, tornato ai concerti da poco piÚ di un anno dopo un intenso periodo di studio e di riflessione intellettuale. Se si volesse assegnare, infine, un immaginario premio fedeltà a uno tra i direttori ospiti di Ravenna
Festival, di certo Valerij Gergiev sarebbe tra i candidati migliori: dieci sono le sue presenze a Ravenna – la prima data al 1992, con l’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo – e non c’è genere in cui, al Festival, il grande direttore moscovita non si sia cimentato, dall’opera (Boris Godunov di Musorgskij nel 1997, Lohengrin di Wagner nel 1999, sempre con gli artisti del Mariinskij) ai concerti sinfonici, al balletto assieme al grande corpo di ballo del Kirov. Quest’anno, il 14 giugno, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Ceca, Gergiev segnerà la propria undicesima presenza a
Ravenna Festival con un altro russo, che in questo capolavoro omaggio ai grandi russi, assieme ha riversato alcuni tra i migliori alla pianista sudcoreana Yeol Eum frutti del proprio animus di artista Son, classe 1986, seconda postromantico. â?? classificata al Concorso Van Cliburn (tra le massime Till Fellner competizioni pianistiche internazionali) nel 2009. In programma, i Quadri di un’esposizione di Musorgskij composti nel 1874 per onorare la memoria di Viktor Hartmann, amico del compositore morto prematuremente, nella magistrale orchestrazione fattane nel 1922 da Maurice Ravel (chi non si è mai emozionato almeno una volta davanti allo splendore sinfonico della ÂŤGrande porta di Kiev?Âť). A seguire, il secondo Concerto per pianoforte di Sergej Rachmaninov, composto nel 1901, e subito additato come una delle composizioni piĂš riuscite del grande musicista
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36-37RFM2014:Rafest mastro 03/06/14 13:51 Pagina 36
36 antica e sacra Ravenna Festival Magazine 2014
Dal combattimento di Tancredi e Clorinda alle Tenebrae di Gesualdo da Venosa Straordinari concerti dai repertori del ‘500 fino ad oggi, dedicati al tema guerresco Cafebaum
In concerto gruppi e solisti quali Grand Chapelle, Ottoni Romantici, La Venexiana, Arciuli e Rabaudengo, Stagione Armonica, La Pifarescha, Cafebaum, Mauro Valli, Giovanni Sollima DI TARCISIO BALBO
Attorno alla Grande guerra e alle battaglie reali e poetiche di tutte le epoche si snoda gran parte del programma di Ravenna Festival 2014, a cominciare dal Concerto della Grande Chapelle, ensemble di punta nel panorama della musica antica, dedita al recupero del grande repertorio iberico del Cinque e Seicento, che il 21 giugno nella Basilica di San Vitale prenderà
spunto dal mottetto Jubilate Deo di Cristóbal de Morales, commissionato nel 1538 dal papa Paolo III per solennizzare la pace tra il re di Francia Francesco I e Carlo V d’Asburgo, e presenterà numerosi capolavori della grande tradizione polifonica nata tra la Spagna e l’Italia del secolo XVI. Il 24 giugno sarà la volta della prima coppia di concerti in successione a Palazzo Rasponi dalle Teste, fresco di restauro. Alle 19, l’ensemble Ottoni
Romantici proporrà un suggestivo programma che dalle fanfare composte sui più celebrati inni risorgimentali arriverà ai canti tradizionali della Resistenza italiana. Alle 22 l’ensemble La Venexiana si cimenterà in una delle più famose composizioni “guerresche” nella storia della musica: il Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624) in cui Claudio Monteverdi sperimenta il proprio nuovo “stile concitato”
Mauro Valli
Arciuli Emanuele
creando la più suggestiva versione rappresentativa dei celebri versi di Torquato Tasso. Il 26 giugno, al Teatro Rasi, a essere rappresentata sarà una guerra ben più reale e meno cavalleresca: il duo pianistico formato da Emanuele Arciuli e Andrea Rebaudengo proporrà, assieme ai percussionisti Andrea Dulbecco e Luca Gusella, pagine celebri della letteratura musicale novecentesca in cui accanto alle note di Debussy troveranno posto
Giovanni Sollima
Quartetto
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antica e sacra 37 Ravenna Festival Magazine 2014
La Pifarescha
le Pagine di guerra di Alfredo Casella (che l’autore intitola «film musicali» per averle concepite dopo la visione di alcuni cinegiornali) e la Sonata per due pianoforti e percussioni di Béla Bartók, composta in quel 1937 in cui infuria la guerra civile spagnola, e che vede i fratelli Carlo e Nello Rosselli assassinati da sgherri del fascismo. Sempre il 26 giugno, nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, La Stagione Armonica diretta da Sergio Balestracci presenterà il proprio percorso di riflessione musicale sul dolore della guerra e della perdita, che da
formazione, poi diplomata alla celeberrima Schola Cantorum Basiliensis) si uniranno ai siciliani Giacomo e Antonio Cuticchio – ultima generazione di una gloriosa stirpe di “pupari” – per raccontare le storie bellico-amorose di Ruggero e Bradamante, di Alcina e Rinaldo, in un mix che alle musiche di Händel unirà la spettacolarità suggestiva dell’‘opera dei pupi’. Dai tormenti della guerra al tormento di un’anima. Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 Carlo Gesualdo, principe di Venosa, sorprende la moglie Maria d’Avalos in flagrante adulterio col duca d’Andria Fabrizio Pignatelli Carafa, e fa trucidare gli amanti dai propri servi. Subito dopo il delitto, senza neppure aspettare un processo che sarà tici n subito archiviato, a m o R Ottoni Gesualdo si ritira nel castello avito di Venosa ove coltiverà la sua maniacale e Friede auf Erden (Pace ossessiva passione per la musica. sulla terra) di Arnold Schönberg A Gesualdo, di cui si sono arriverà alla Legende vom totem commemorati nel 2013 i Soldaten (La leggenda del soldato quattrocento anni dalla morte, morto) di Kurt Weill e Bertolt Giovanni Sollima ha dedicato il Brecht, passando per il Requiem progetto Tenebrae. Il principe dei dell’italiano Ildebrando Pizzetti. Il musici (8 giugno, Basilica di San secondo dittico di concerti a Vitale). Palazzo Rasponi dalle Teste, il 27 I violoncelli dello stesso Sollima e di giugno, vedrà infine esibirsi Monika Leskovar, Hannah l’ensemble La Pifarescha, erede nel Suhyoung Eichberg, Amedeo XXI secolo delle “cappelle alte” Cicchese e Paolo Bonomini faranno delle corti rinascimentali, che al risuonare gli arditissimi madrigali di proprio repertorio, tra il bellico e il Gesualdo accanto a composizioni danzereccio, di pavane e gagliarde dei secenteschi Michelangelo Rossi unirà le malinconiche polifonie di e Gioan Pietro del Buono, ma anche due capolavori di Josquin Desprez: di Domenico Scarlatti e di autori Adieu mes amours e Mille regretz. A contemporanei come Arvo Pärt e seguire, l’elvetica “banda barocca” Francesco d’Avalos (n. 1930), che Cafebaum e il soprano Alice della sventurata Maria è Borciani (reggiana di nascita e discendente. ❍
Bella Venezia e un ristorante caratterizzato da un’atmosfera classica, quasi d’altri tempi, come non se ne vedono più in giro. Era il 1969 quando Carlo Bazzani prendeva in gestione il locale portando da Bologna la sua abilità e le sue conoscenze nella nostra città. Ora i figli Amos, Nada e la signora Irma, propongono portate della tradizione non solo romagnola bensì emiliano-romagnola di ampio respiro.
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38-40RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 16:49 Pagina 38
38 teatro canzone Ravenna Festival Magazine 2014
La doppia guerra dei friulani Dolente oratorio di Moni Ovadia e Lucilla Galeazzi DI
ROBERTO VALENTINO
La storia della Grande Guerra è fatta di tante storie, accomunate fra loro dalla drammaticità di un conflitto voluto da pochi e subito da tanti. Tragedia nella tragedia è la storia dei friulani: arruolati allo scoppio della Prima Guerra Mondiale dall’esercito austriaco, furono mandati sul fronte orientale, trovandosi nel 1915 a combattere contro l’esercito italiano. Un’assurdità alla quale un artista di grande sensibilità come Moni Ovadia dedica Doppio Fronte, pensato e presentato in palcoscenico (una produzione di Ravenna Festival e Mittelfest) insieme alla cantante Lucilla Galeazzi. In scena anche quattro musicisti: Massimo Macer (tromba), Paolo Rocca (clarinetto), Albert Florian Mihai (fisarmonica), Luca Garlaschelli (contrabbasso). Quella di Doppio Fronte è dunque una storia doppiamente tragica: Moni Ovadia e Lucilla Galeazzi la raccontano attraverso diari di uomini (ma anche di donne) che la vissero in presa diretta, memorie di
grandi poeti (Gadda, Ungaretti), canti patriottici e canti contro la guerra, canti d’autore (Trilussa, E. A. Mario) e anonimi come il celebre O Gorizia tu sei maledetta. Nell’insieme, un coro di voci diverse unito in un unico grido di dolore. Nato in Bulgaria, da una famiglia ebraico-sefardita, Moni
Ovadia è versatile uomo di musica e teatro. La ricerca sulla musica tradizionale di varie aree geografiche lo ha portato a costituire nei primi anni Settanta il Gruppo Folk Internazionale, la cui esperienza confluirà sul finire dello stesso decennio nell’Ensemble Havadià. Nel 1984 ha quindi avviato una serie di collaborazioni con numerose personalità del mondo del teatro, tra cui Pier’Alli, Bolek
Polivka, Tadeusz Kantor, Giorgio Marini, Franco Parenti. E proprio per il Teatro Franco Parenti ha creato nel 1987, in collaborazione con Mara Cantoni, il suo primo spettacolo dedicato alla cultura ebraica, Dalla sabbia dal tempo. Fondata successivamente la Theater Orchestra, ha dato vita a Golem, seguito da Progetto Ritsos: Delfi Cantata, ispirato all’opera del poeta greco Ghiannis Ritsos con musiche di Piero Milesi, e da Oylem Goylem, una creazione di teatro-musica che rimane uno dei più grandi successi di Moni Ovadia. La collaborazione con Mara Cantoni proseguirà nel 1995 con Dybbuk, spettacolo sull’Olocausto accolto come uno degli eventi più importanti della stagione teatrale di quell’anno. L’attività di Moni Ovadia è quindi proseguita nel solco della consapevolezza delle tragedie
FONDAZ GRIGIONI PAG RFM:Rafest mastro 28/05/14 16:44 Pagina 1
GIANNI PEZZOLI, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE GRIGIONI PER IL MORBO DI PARKINSON.
VUOI SAPERNE DI PIÙ SULLA MALATTIA DI PARKINSON? Per informazioni telefona o scrivi a: Associazione Italiana Parkinsoniani Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson Via Zuretti 35- 20125 Milano tel. 02/66713111 oppure 02/66710423 aip@fondazioneparkinson.com - www.parkinson.it
38-40RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 16:50 Pagina 40
40 teatro canzone Ravenna Festival Magazine 2014
Oltre all’attore e alla cantante popolare, in scena in “Doppio Fronte” anche una piccola orchestra di quattro musicisti. Nell’insieme, un coro di voci diverse unito in un unico grido di dolore passate e di quella pungente ironia che è parte integrante della cultura yiddish, alla cui riscoperta e diffusione ha ampiamente contribuito, grazie a naturali, eccellenti doti di narratore. Una delle più belle voci della musica tradizionale italiana, Lucilla Galeazzi ha iniziato a cantare accanto a Giovanni Marini, figura di assoluto riferimento per la canzone di impronta sociale. In seguito si è aperta alla musica improvvisata collaborando con i francesi Claude Barthelemy, Vincent Courtois e Michel Godard e con numerosi jazzisti italiani, tra cui Gianluigi Trovesi, Eugenio Colombo, Giancarlo Schiaffini, Pino Minafra, Bruno
Tommaso e Antonello Salis. Significativo è anche il suo sodalizio con Roberto De Simone, che ha coinvolto la cantante in numerosi suoi progetti. Lucilla Galeazzi ha poi collaborato con altri musicisti impegnati nell’ambito delle musiche popolari, come Carlo Rizzo, Ambrogio Sparagna e Riccardo Tesi, distinguendosi anche come interprete di pagine di musica contemporanea, tra cui le Folk Songs di Luciano Berio. Il principale terreno d’azione dci Lucilla Galeazzi resta tuttavia la musica più autenticamente popolare della sua terra, l'Umbria: stornelli a saltarello, a malloppu, a recchia, canti epico-lirici, canti a mete, strambotti. ❍
PAGURO PAG RFM:Rafest mastro 28/05/14 19:25 Pagina 1
42RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 16:47 Pagina 40
42 teatro Ravenna Festival Magazine 2014
Cattiva Dea, e il Nuovo si trasformò in
Distruzione
Elena Bucci e Simone Zanchini, in un intarsio di voce e fisarmonica, raccontano la follia di un’epoca
DI MATTEO CAVEZZALI
Due grandi artisti romagnoli si incontrano per una creazione scenica su commissione del Ravenna Festival: una è l’attrice Elena Bucci, che il pubblico della manifestazione ha apprezzato in molti spettacoli tra cui Teresa Guiccioli – George Byron e Francesca da Rimini accanto a Chiara Muti; l’altro è il fisarmonicista Simone Zanchini, che l’anno scorso rielaborò le musiche di Secondo Casadei nel concerto ai giardini pubblici Casadei Secondo me. I due lavoreranno per lo spettacolo Colloqui con la cattiva dea su storie del conflitto mondiale del 1914-‘18 combattuto al fronte, ma soprattutto a casa, dalle donne nelle fabbriche, nei postriboli o sul palcoscenico. Un intarsio di voce e fisarmonica che costruirà una serie di affreschi della vita quotidiana nel tempo crudele e aspro dell’Italia in guerra. Elena, come è nato il progetto di questo spettacolo? «L’idea è giunta dalla richiesta di Franco Masotti e la direzione artistica del festival di lavorare su questa tematica, che mi ha subito aperto moltissimi elementi di riflessione. Credo che in quegli anni ci fosse una grandissima energia che a un certo punto poteva trasformarsi in una fortissima evoluzione o in distruzione. Purtroppo si avverò la seconda, vinse la paura, la menzogna, il sospetto reciproco e la fame di potere. E dire che erano anni di grande
innovazione, basti pensare al Dadaismo, o a Eleonora Duse, che proprio nel 1914 aprì la prima biblioteca per donne, esperienza che fu troncata dalla guerra dopo appena qualche mese». Che fonti ha utilizzato per rielaborare artisticamente questo periodo di grandi cambiamenti? «Ho prediletto gli sguardi marginali. Non sono una storica, c’è gente che dedica la vita a studiare questo periodo, io ho preso spunto da alcuni dei loro lavori, ma sono voluta partire da sguardi che capisco, quelli di gente comune. Sono carteggi dal fronte che utilizzano un italiano che non era ancora italiano. Sono persone strappate alla propria terra e finite in un luogo che non capiscono. In Plotoni di esecuzione di Monticone e Forcella sono pubblicate lettere di condannati a morte, in Animali al fronte di Eugenio Bucciol racconta il conflitto dal punto di vista degli animali. Sono particolari che capisco, in un mondo che non capisco. Poi un’altra casualità, un giovane molto intraprendente ha preso in mano i documenti della torre
dell’orologio di Russi. Lì ho trovato cose interessantissime. Lavorando a questo spettacolo ho scoperto come la storia sia in realtà una storia di oblio. Crediamo di sapere, ma non sappiamo. Dimentichiamo proprio perché crediamo di ricordare». Da diversi anni collabora con il Ravenna Festival, sono nati molti lavori da questo connubio, quali sono stati i momenti che ricorda con più emozione? «Il festival porta fortuna. È nato tutto casualmente, da una piccola lettura di qualche pagina, quando incontrai Cristina Mazzavillani. Conobbi anche il compositore Luigi Ceccarelli a San Vitale, e fu come trovare quello che stavo cercando, di lì molti altri bellissimi incontri come con Nevio Spadoni, Chiara Muti e Massimo Cacciari. Una cosa che mi rimane dentro di quegli spettacoli sono gli spazi: i chiostri della Classense, la Rocca
Brancaleone, che quando ci lavorai con Cacciari era come recitare su una palafitta, ma che poi fu recuperata. Sono innamoramenti di luoghi che conoscevo, ma che il Ravenna Festival mi ha fatto vedere con un nuovo sguardo. È importante questo: perdere l’abitudine e riscoprire la bellezza dei luoghi. Poi ho interpretato ruoli che non avrei mai intrapreso da sola, come quello maschile di Lord Byron, che mi hanno lasciato moltissimo». In questo spettacolo lavora con il fisarmonicista Simone Zanchini, da sempre la musica è molto presente nei suoi spettacoli. Che ruolo ha nel suo modo di recitare? «Con Zanchini sarà un dialogo e una consolazione. Dai musicisti ho imparato moltissimo. I teatranti rischiano di fissarsi su certe cose, sono intellettuali e superstiziosi. I musicisti jazz con cui ho avuto il piacere e l’onore di lavorare mi hanno insegnato a non prendermi troppo sul serio, ma ho compreso anche il grande rigore e la forma che ha la musica». ❍
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44RFM2014:Rafest mastro 03/06/14 14:36 Pagina 44
44 effetti collaterali Ravenna Festival Magazine 2014
Botte da orbi ma sono solo burattini Protagonisti del teatrino di “Arrivano dal mare!” l’eroe Sganapino, il teutonico Kasperl e Cecco Beppo imperatore Anche le “teste di legno”, seppur nelle retrovie, hanno partecipato alla Grande Guerra e il festival ne darà una testimonianza con il teatrino dei burattini che andrà in scena (il 24 giugno, replica il 27, sempre alle 19) nella cornice del restaurato Palazzo Rasponi delle Teste, dove si terranno anche diversi eventi musicali in tema guerresco. L’idea di questo allestimento nasce dalla compagnia “Arrivano dal mare!” che per oltre trent’anni ha relizzato l’omonimo festival internazionale del teatro di figura a Cervia, e da qualche tempo ha trasferito baracche e burattini a Gambettola. Lo spettacolo, imbastito da Stefano Giunchi e Sergio Diotti, che sono i principali
fondatori e animatori della compagnia, prende spunto da ricerche fatte sui teatrini bolognesi dei primi del ‘900, a partire da un burattino d’epoca che ha le sembianze dell’imperatore Francesco Giuseppe. Da lì, Giunchi e Diotti hanno scoperto che a Bologna, durante il conflitto mondiale del ‘14-18, nella “Casa del Soldato”, dove i militari feriti trascorrevano un periodo di convalescenza si tenevano diversi intrattenimenti per “tirare su il morale” delle truppe, fra cui anche spettacoli di burattini. Dopo avere stralciato battute e riferimenti, frizzi e lazzi, anche dai copioni di quel periodo,
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su un canovaccio intitolato Sganapino in trincea, eroe suo malgrado, andrà in scena questa originale produzione “in baracca”, con i burattini di A”rrivano dal mare!”, fra cui, naturalmente, la maschera di Sganapino, quella della tradizione austro-tedesca Kasperl e, naturalmente, la
singolare testa di legno di Cecco Beppo imperatore, che probabilmente sarà bastonata a dovere. Ad accompagnare il teatrino, le musiche dal vivo del trio la Piccola Banda del Soldato ❍
concerto corale
Echi di guerra occidentali con il Corou de Berra Si intitola La guerra di Piero – con evidenti riferimenti alla celebre canzone di Fabrizio De André – il concerto del quartetto corale Corou de Berra, (15 giugno, ore 21.30, alla Classense) originario del paese ai confini fra Italia e Francia e caratterizzato da un particolare stile vocale orientato al multilinguismo deile zone di confine delle Alpi Meridionali. Al centro del loro concerto per il Ravenna Festival gli echi guerreschi di brani che vanno, per l’appunto, dalla Guerra di Piero di De Andrè ad una Bella Ciao in occitano con parole del poeta Alain Pelhon, dall’adattamento che i partigiani della Val Roya fecero di Addio Lugano bella di Pietro Gori a Non non plus de combats, canzone dei poilu, come venivano chiamati i soldati francesi della Prima guerra mondiale. La lingua nizzarda risuonerà insieme al provenzale di Frédéric Mistral, la cui poesia fu un punto di riferimento anche per il romagnolo Aldo Spallicci.
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46RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 09:46 Pagina 74
46 recital Ravenna Festival Magazine 2014
Tutto un secolo in una sola voce La fascinosa Ute Lemper interpreta indimenticabili canzoni del Novecento da Lili Marleene a Imagine DI ROBERTO VALENTINO
Un secolo raccontato da una delle voci più espressive che ci possano essere. Il secolo è il Novecento, che lo storico e studioso Eric J. Hobsbawn ha analizzato con acume nel suo celebre libro Il Secolo Breve. La voce quella di Ute Lemper, personalità magnetica, cantante, attrice di teatro e di cinema, ballerina. Storia e musica che si intrecciano in una produzione del Ravenna Festival che vede la partecipazione dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da Tonino Battista. La narrazione di Hobsbawn – grande appassionato di musica dalla cui penna è uscita anche una interessante Storia sociale del Jazz – inizia nel 1914, l’anno dello scoppio del primo, terribile conflitto mondiale, e si conclude nel 1991, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica e del suo modello ideologico. Anche il racconto musicale di Ute Lemper prende avvio con un simbolo: Lili Marleen, resa famosa da Marlene Dietrich e diventata la canzone più amata e cantata dai soldati tedeschi della Seconda Guerra Mondiale. Ma forse non tutti sanno che l’ispirazione per questa triste, malinconica melodia venne al suo autore (Norbert Schulze) da un poemetto scritto dal poeta Hans Leip prima di partire per il fronte russo nel 1915. Altre battaglie, ma squisitamente ideali, avrebbe affrontato parecchi anni dopo uno dei componenti del gruppo che, musicalmente parlando, ha cambiato il mondo: è il settembre del 1971 quando l’ex Beatles John Lennon dà alle stampe l’album
che prende il titolo da quella che in molti considerano la più bella canzone di tutti i tempi, Imagine. Il viaggio musicale di Ute Lemper nel “secolo breve” si conclude con questo inno contro tutte le guerre, con questo invito alla fratellanza fra genti diverse. Nel mezzo fra Lili Marleen e Imagine la cantante tedesca riprende i suoi grandi amori: Kurt Weill (e con lui Bertold Brecht), George Gershwin, Edith Piaf, Jacques Brel. Nel recital di Ute Lemper si respirano dunque atmosfere diverse, legate le une alle altre dalla forza interpretativa dell’artista di Munster. E c’è un abbraccio ideale fra due capitali della
cultura europea, Berlino e Parigi, così distanti e nel contempo così vicine. Ute Lemper canta la Berlino della Repubblica di Weimar, dei cabaret,
immortalata da Kurt Weill nelle sue composizioni e in canzoni come La ballata di Mackie Messer e Sourabay Johnny. E canta la Parigi di Edith Piaf: Milord, Padam, La vie en rose, il gioiello di Jacques Brel Ne me quitte pas. Ma anche la New York di George Gershwin e dello stesso Kurt Weill che, in quanto ebreo, dovette lasciare la Germania all’avvento del nazismo per dirigersi prima a Parigi e poi a Londra e approdare infine negli States, dove visse la sua ultima stagione artistica. Ute Lemper imprime a queste (e altre) pagine la propria inconfondibile cifra interpretativa, fatta di versatilità ma anche di profonda adesione, di passionalità, di gusto spiccatamente teatrale. Grazie a queste sue doti naturali ha potuto sviluppare una carriera che l’ha portata a confrontarsi con materiali diversi, anche con la danza di Bejart (per lei il coreografo francese creò il balletto La mort subite) e di Pina Bausch, con il melodismo postminimalista di Michael Nyman, con il nuevo tango di Astor Piazzolla, con la poesia stralunata di Charles Bukowski e quella d’amore di Pablo Neruda. Un’artista a tutto campo dunque, applaudita nei teatri più prestigiosi, come La Scala e il Piccolo di Milano, il Barbican Centre, la Royal Festival Hall, la Queen Elizabeth Hall e l’Almeida Theatre di Londra, il Lincoln Center di New York. l’Opéra Comique di Parigi. Ute Lemper è ospite del Ravenna Festival per la terza volta. ❍
MARABOU PAG RFM:Rafest mastro 28/05/14 16.26 Pagina 1
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48-49RFM2014:Rafest mastro 29/05/14 18:14 Pagina 32
48 canzoni popolari Ravenna Festival Magazine 2014
Canti di guerra della tradizione popolare italiana, reinterpretati con la voce di Peppe Servillo, l’Orchestra dell’Auditorium della Musica di Roma e i cori Amarcanto e Compagnia dell'Alba di Ortona Concerto, l’1 luglio, nello scenario naturale della pineta di San Giovanni
Ambrogio Sparagna DI
ROBERTO VALENTINO
Un progetto speciale del Ravenna Festival per riascoltare le tante voci dell’Italia della Grande Guerra. Ambrogio Sparagna, figura di primissimo piano nell’attività di recupero delle più autentiche tradizioni popolari italiane, propone nello spettacolo Le Trincee del cuore i canti risuonati tra le pietre e il fango delle trincee e nel cuore di uomini provenienti da ogni angolo d’Italia. Lo spettacolo vede il coinvolgimento dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, fondata e diretta dallo stesso Sparagna, del Coro Amarcanto e della Compagnia dell’Alba di Ortona. Significativa la partecipazione di Peppe Servillo, front man degli Avion Travel e di recenti omaggi a Domenico Modugno e Adriano Celentano, nonché attore di teatro a fianco del fratello Toni. Le Trincee del cuore racconta le tante Italie che si trovarono insieme per la prima volta durante la Prima Guerra Mondiale, in una inedita
Ambrogio Sparagna, fra i più grandi interpreti della musica popolare italiana
mescolanza di dialetti, storie e anche musiche. Dai dispacci e dai canti, i soldati, provenienti dalle terre più remote della penisola, impararono ad esprimersi in una lingua fino ad allora conosciuta e praticata solo da una ristretta parte della popolazione del Regno. Dal volto del vicino, forse dalla sua voce spezzata o cantilenata, impararono la disumanità della guerra e la forza della pietà e di una fraternità vera. A 100 anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, riecheggiano le voci di uomini semplici che cercarono conforto alla disumanità della guerra anche attraverso la forza della poesia cantata, dando vita, giorno dopo giorno, ad un nuovo genere musicale. Genere costituito da un corpus di canti che narrano le atrocità della guerra e che lamentano la
48-49RFM2014:Rafest mastro 29/05/14 18:14 Pagina 33
canzoni popolari 49 Ravenna Festival Magazine 2014
lontananza dei soldati dalle proprie famiglie, dai propri amori. In queste canzoni la malinconia e la nostalgia si mischia con l’ironia e la goliardia, unico modo per esorcizzare la paura della morte. I soldati le cantavano in italiano ma senza dimenticarsi delle lingue di origine, veneto, friulano, napoletano e siciliano. Lo spettacolo Le trincee del cuore associa a questi canti letture poetiche di importanti autori dell’epoca e viene integrato e arricchito anche da una serie di canti ungheresi, sloveni, austriaci e serbo-croati che, come quelli italiani, raccontano quel tragico momento della storia europea in modo originalissimo. Per ricordare, con il cuore, i giorni della trincea. Musicista ed etnomusicologo, Ambrogio Sparagna ha studiato Etnomusicologia all'Università di Roma con Diego Carpitella, con il quale ha realizzato importanti ricerche sulla musica popolare italiana. Nel 1976 ha dato vita alla prima scuola di musica popolare contadina in Italia presso il Circolo Gianni Bosio di Roma, dove nel 1984 ha poi fondato la
Bosio Big Band, un'originale orchestra d'organetti con cui nel 1988 metterà in scena l’opera folk Trillillì, Storie di magici organetti ed altre meraviglie. Tra gli altri lavori più significativi di Ambrogio Sparagna ci sono l'opera Giofà il servo del Re, la cantata Voci all'aria, La via dei Romei (con Francesco De Gregori), una Messa Popolare composta per il Giubileo e presentata proprio nel Duomo di Ravenna. Maestro concertatore del festival La Notte della Taranta dal 2004 al 2006, Sparagna ha costituito nel 2007 l'Orchestra Popolare Italiana dell'Auditorium Parco della Musica di Roma. Nell’ambito del Ravenna Festival Sparagna ha realizzato altre produzioni originali, fra cui lo spettacolo Dante Cantato, basato su alcuni canti della Divina Commedia proposti secondo lo stile musicale dei pastori, e Sale un canto mentre cala il sole, ambientato nelle saline di Cervia. ❍
Peppe Servillo, front man degli Avion Travel e anche attore con il fratelloToni
50RFM2014:Rafest mastro 03/06/14 00:04 Pagina 44
50 recital lirico Ravenna Festival Magazine 2014
Liana Ghazaryan In memoria del
genocidio armeno Liana Ghazaryan, originaria di Yerevan, appartiene alla schiera di giovani cantanti lirici armeni dalle voci straordinarie che non hanno dimenticato le proprie origini. E le indicibili sofferenza del popolo dell’Armenia che, spesso dimenticate, ebbero origine durante la Grande Guerra nell’ambito di un disumano progetto di sterminio che gli storici considerano il primo genocidio della storia. All’epoca, negli anni 191516, l’Impero Ottomano, alleato della Germania, pianificò una sistematica epurazione etnica nei confronti della popolazione armena che prelude nella ferocia e nei metodi a una sorta di prova generale delle azioni di sterminio, e in particolare dell’olocausto degli ebrei, operato dai nazisti nella Seconda guerra mondiale. Le stime ufficiali del genocidio armeno parlano di oltre un milione e duecentomila vittime. La diaspora che
ne seguì ha portato molti artisti armeni dispersi nel mondo a testimoniare il patrimonio di una cultura millenaria fertile di talento: da Charles Aznavour a Cathy Berberian, fino alla metal band statunitense dei System of a Down, che al genocidio armeno ha dedicato alcuni suoi celebri brani. Liana Ghazaryan, voce lirica emergente nel panorama artistico del suo paese ma anche a livello internazionale – già interprete in diversi teatri europei e premiata recentemente al Concorso Lirico Internazionale “Magda Olivero” di Milano – terrà un recital in memoria delle vittime del genocidio armeno intitolato “Figli del Monte Ararat”, cantando brani di compositori armeni e di grandi autori fra cui: Komitas, Makar Yekmalyan, Gregorio di Narek, Francesco Cilea, Cajkovskij e Verdi. Sarà accompagnata al piano da Ettore Papadia.
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52-53RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 12:25 Pagina 58
52 drammaturgie Ravenna Festival Magazine 2014
Con la voce di Ermanna Montanari rivive la scrittura di denuncia di Giovanni Testori
L’attrice del teatro delle Albe premiata con il “Duse 2013”
Da un’idea di Gabriele Allevi e Luca Doninelli una “lettura scenica” per la regia di Marco Martinelli
DI
GUIDO SANI
Il ricordo è una vita dopo la morte. Non tutti gli autori hanno le qualità artistiche per giungere a questo prolungamento della vita. Alcuni autori però sono privati di questa seconda esistenza per motivi diversi dal valore. Ci sono parole che lasciano un segno difficile da accettare, molto più semplice è tentare di rimuoverli dalla memoria per soffocare il grido che lanciavano quando erano in vita. Molti hanno cercato di dimenticare di Giovanni Testori, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento. Scrittore, drammaturgo, pittore, critico d’arte, poeta, regista, attore è stata una personalità una personalità difficile da definire. Non a caso fu lui a prendere il posto di Pier Paolo Pasolini sulla prima pagina del “Corriere della Sera” quando questo fu brutalmente assassinato per quello che scriveva, e per quello che rappresentava. Testori hanno tentato di ucciderlo in un modo meno rumoroso, hanno tentato di ucciderlo quando era già morto: rimuovendolo. A vent’anni dalla morte e novanta dalla nascita, Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, vincitrice del Premio Duse 2013 come miglior attrice di prosa, lavorando come sempre fianco a fianco con Marco Martinelli, ha infranto con questo spettacolo un tabù, portando in scena il Testori giornalista con una scelta di suoi memorabili interventi sull’attualità. A te come te racchiude storie drammatiche, vicende spesso disperate che l’occhio pietoso e insieme lucidissimo dello scrittore illumina, cogliendo, in fondo alla tragedia, i segni di una speranza che
Ermanna Montanari
nemmeno l’ingiustizia più atroce riesce a spegnere del tutto. «Tutto è nato da un’idea degli amici Allevi e Doninelli, – spiegano Ermanna Montanari e Marco Martinelli – quella di portare in scena la scrittura “giornalistica” di Giovanni Testori. In quell’idea risiede il senso primo di questa “lettura scenica”. Che è uno sguardo al Testori che alla fine degli anni ’70 prende il posto che era stato di Pasolini sulla terza pagina del “Corriere della Sera”. Si sente dire in giro: intellettuali come quelli non ce ne sono più, capaci di dare scandalo con un articolo. Coloro che sentenziano così sono gli ignavi del nostro tempo, il loro modo pigro e colpevole di rifugiarsi nella zuccherosa nostalgia impedisce di vedere che in questi trent’anni sono cambiati radicalmente i termini della questione: le parole “intellettuale”, “scandalo”, “terza pagina” non hanno più lo stesso senso. Impedisce a loro di vedere come si possa continuare (con le armi e nel contesto radicalmente trasformato dell’oggi) a non rassegnarsi al moloch dell’orribile indifferenza e dell’abitudine, all’ingiustizia e alla violenza che regnano sovrane nel mondo. Come si possa continuare a cantare “la maestà della vita”. Giovanni Testori era questo, quello che noi dobbiamo continuare a essere, senza alibi di comodo e senza lamentele da salotto: un combattente deciso a testimoniare la speranza, la speranza-bambina: che un altro mondo è possibile. Con furia e con pazienza, la quale, diceva Testori, “è virtù primariamente attiva”, che sa porre la coscienza “in uno stato di perpetua allerta”. Siamo capaci di
52-53RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 12:25 Pagina 59
drammaturgie 53 Ravenna Festival Magazine 2014
Giovanni Testori
tenere ben saldo in pugno il testimone che ci consegnano queste pagine dolenti, profetiche, scritte da Testori per l’Italia di quegli anni? Abbiamo scelto tre articoli legati da un filo preciso: la violenza sulle donne. Scritti tra il 1979 e l’80, i pezzi provano a far luce sull’oscura malìa che incantena il “maschio” alla sua lingua prevaricatrice: l’omicidio
di una bambina, un matricidio, e infine la richiesta che Testori fa allo Stato italiano di una legge che difenda le donne dalle violenze. L’analogia con i nostri tempi oscuri fa rabbrividire: segno di quanto sia “immobile” il nostro Paese, in questo come in altri settori della vita sociale. E qui cediamo il passo a Giovanni Testori, che ha scritto queste
parole allora perché risuonassero ancora oggi nelle nostre orecchie: “Non vorremmo che, come va succedendo per altre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse per diminuirne la gravità, l’irreligiosa e disumana vergogna; si finisse, insomma,
per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; ad esso sta inducendolo la spinta negativa che vuol ridurlo a “cosa”. Ora il punto d’arrivo di questo rischio non potrà essere una nuova coscienza, ma il buio e la notte che s’aprono sulla coscienza eliminata o distrutta”». ❍
54-69 RFM CARTELLONE OK:Rafest mastro 29/05/14 16:42 Pagina 54
54 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014
giovedì 29 maggio Palazzo dei Congressi, ore 21
venerdì 6 e sabato 7 giugno Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, ore 21
TENEBRÆ, IL PRINCIPE martedì 10 giugno DEI MUSICI Teatro Rasi, ore 21 un progetto musicale di Giovanni Sollima violoncelli Giovanni Sollima, Monika Leskovar, Hannah Eichberg, Amedeo Cicchese, Paolo Bonomini musiche di Carlo Gesualdo, Giovanni Sollima, Domenico Scarlatti, Arvo Pärt e altri
LUCIO VILLARI
da lunedì 9
PROLOGO
a mercoledì 11 giugno
1914: L’ANNO CHE HA CAMBIATO IL MONDO
Teatro Alighieri, ore 21
incontro con Lucio Villari e Paolo Rumiz condotto da Massimo Bernardini
PUPILLA
ingresso libero VALERIA MAGLI
giovedì 5 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21.30
ERMANNA MONTANARI
PUPILLA (1983/2014) con DANCEHAUS COMPANY
A TE COME TE
interpreti Chiara Monteverde, Armida Pieretti, Susan Vettori
di Giovanni Testori
collaborazione testi Letizia Paolozzi maschere e manichino Guerrino Lovato bambola Brigitte Starczewski Deval
“Lettura scenica” da un’idea di Gabriele Allevi e Luca Doninelli regia Marco Martinelli voce Ermanna Montanari canto Michela Marangoni e Laura Redaelli luci e fonica Fagio co-produzione Teatro delle Albe / Ravenna Teatro, deSidera Festival
sabato 7 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21
SVETLANA ZAKHAROVA
SVETLANA ZAKHAROVA & VADIM REPIN Svetlana Zakharova ed étoiles del Teatro Bolshoi di Mosca Orchestra Giovanile Luigi Cherubini direttore e solista Vadim Repin musiche di Camille Saint-Saëns, Niccolò Paganini, Arvo Pärt, Fritz Kreisler, John Williams, Tomaso Albinoni, Franz Waxman coreografie Michail Fokin, Vladimir Varnava, Motoko Hirayama, Edwaard Liang In esclusiva per l’Italia
ORCHESTRA FILARMONICA DI SAN PIETROBURGO direttore YURI TEMIRKANOV Vadim Repin violino Pëtr Il’ič Čajkovskij “Francesca da Rimini” Fantasia sinfonica in mi minore op. 32 Sergej Prokof’ev Concerto per violino e orchestra in sol minore n. 2 op. 63 Igor’ Stravinskij “Petruška”
domenica 8 giugno Basilica di San Vitale, ore 21
ALESSANDRA FERRI
CHÉRI liberamente tratto dai romanzi “Chéri” e “La fine di Chéri” di Colette con Alessandra Ferri, Herman Cornejo, Amy Irving concepito, diretto e coreografato da Martha Clarke
riallestimento nell’ambito del Progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography) ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini assistente alla direzione Myriam Dolce
mercoledì 11 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21
testo di Tina Howe pianoforte e supervisione musicale Sarah Rothenberg scene e costumi David Zinn luci Christopher Akerlind suono Arthur Solari e Samuel Crawford musiche di Maurice Ravel, Claude Debussy, Federico Mompou, Francis Poulenc, Richard Wagner, Morton Feldman prima assoluta dicembre 2013, The Signature Theatre, New York City prima europea, in esclusiva per l’Italia una produzione The Signature Theatre
KENT NAGANO
MANDRIOLE PAG RFM:Rafest mastro 28/05/14 13:54 Pagina 1
Storia, Cucina e Tradizione Via Mandriole 280 - Mandriole (RA) tel. 0544.528928 (è gradita la prenotazione) osteriadellemandriole@tenutaugusta.it
Nella storica Fattoria Guiccioli un locale che offre cucina della tradizione romagnola e un ricco menu a base di pesce. Veramente piacevoli d’estate le grandi tavolate sull'aia circondati dallo splendido scenario verde del Parco del Delta del Po e dalle straordinarie memorie della trafila Garibaldina. La fattoria Guiccioli, dove si rifugiò e si spense Anita Garibaldi è infatti un affascinate museo che rappresenta una tappa fondamentale nelle eroiche imprese che portarono all'unità d'Italia.
Aperti tutte le sere. Chiuso il lunedì. OGNI GIOVEDÌ SERATE A TEMA Ambiente accogliente e riservato, per una cena intima e speciale
54-69 RFM CARTELLONE OK:Rafest mastro 29/05/14 16:42 Pagina 56
56 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI direttore KENT NAGANO Till Fellner pianoforte Johannes Brahms Concerto in re minore per pianoforte e orchestra n. 1 op. 15 Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
giovedì 12 giugno Teatro Rasi, ore 21
GRUPPO NANOU
1914. STRETTAMENTE CONFIDENZIALE creazione site specific nelle stanze del Palazzo
TERRAMARA
COMPAGNIA ABBONDANZA/BERTONI
TERRAMARA (1991/2013) coreografia Michele Abbondanza cura del riallestimento Antonella Bertoni interpreti Eleonora Chiocchini e Francesco Pacelli musiche di Johann Sebastian Bach, Gabriel Yared, Sergio Borè e musiche della tradizione popolare scene (1991) Lucio Diana luci Carlo Meloni realizzazione costumi Marta Griso
di Marco Valerio Amico con Sissj Barsani, Alessia Berardi, Rhuena Bracci, Marco Maretti, Stefano Questorio, Anna Marocco suoni Roberto Rettura scene Giovanni Marocco, Paola Villani coproduzione E / gruppo nanou e Ravenna Festival in collaborazione con Cantieri
sabato 14 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21
CZECH PHILHARMONIC ORCHESTRA direttore VALERY GERGIEV
produzione 1991 Drodesera, Centro Servizi Culturali Santa Chiara riallestimento nell’ambito del Progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography) ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini assistente alla direzione Myriam Dolce
venerdì 13 e sabato 14 giugno Palazzo Rasponi dalle Teste, dalle 19 alle 23 GRUPPO NANOU
VALERY GERGIEV
54-69 RFM CARTELLONE OK:Rafest mastro 29/05/14 16:42 Pagina 57
il cartellone 57 Ravenna Festival Magazine 2014 Yeol Eum Son pianoforte Pëtr Il’ič Čajkovskij Sweet da “Il lago dei cigni” Sergej Rachmaninov Concerto per pianoforte e orchestra in do minore n. 2 op. 18 Modest Petrovič Musorgskij “Quadri di un’esposizione” (orchestrazione di Maurice Ravel)
da domenica 15 a martedì 17 giugno L’Osteria del Mariani, ore 20.30
Piazza Paul Harris, 21 - Ravenna Tel. 0544 590701 www.projectservicesnc.com
LA GUERRA DI PIERO ECHI DI GUERRA NELLE CANZONI DELLE ALPI OCCIDENTALI FRA PROVENZA, PIEMONTE, LIGURIA E NIZZA COROU DE BERRA Michel Bianco, Massimo Rosadi, Françoise Marchetti, Claudia Musso, Joris Barcaroli direttore Michel Bianco
lunedì 16 giugno L’ELISIR D’AMORE
Teatro Alighieri, ore 21
A CENA CON L’OPERA OPERAUPCLOSE
DONIZETTI’S L’ELISIR D’AMORE SOMETHING FUNNY IS HAPPENING IN THE HOLLYWOOD HILLS musica di Gaetano Donizetti libretto di Felice Romani nuova versione in lingua inglese di Thomas Eccleshare regia Valentina Ceschi scene Kate Lane costumi Kate Lane luci Ben Polya Nemorino Alex Vearey Roberts Adina Prudence Sanders Dulcamara Dickon Gough Gianetta Caroline Kennedy Belcore Richard Immergluck direttore musicale e pianoforte David Gostick viola Frances Higgs sassofono Racheal Moorhead prima italiana in esclusiva
domenica 15 giugno Chiostri Biblioteca Classense, ore 21.30
MONI OVADIA
DOPPIO FRONTE ORATORIO PER LA GRANDE GUERRA di e con Lucilla Galeazzi e Moni Ovadia Luca Garlaschelli contrabbasso Massimo Marcer tromba Albert Florian Mihai fisarmonica Paolo Rocca clarinetto suono Mauro Pagiaro Coro giovanile Freevoices maestro del Coro Manuela Marussi
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58 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014 produzione Ravenna Festival e Mittelfest prima assoluta
lunedì 16 giugno Sala Nullo Baldini, ore 18 “LA GUERRE COMME CAMOUFLAGE, LE CAMOUFLAGE COMME GUERRE” INCONTRO CON
ANNETTE BECKER Université Paris Ouest Nanterre e Institut universitaire de France in collaborazione con la Fondazione Casa di Oriani ingresso libero
martedì 17 giugno
da settembre tutti i giovedì
COLLOQUI CON LA CATTIVA DEA PICCOLE STORIE DALLA GRANDE GUERRA
VIA SANCTI ROMUALDI
di e con Elena Bucci musiche e fisarmonica Simone Zanchini suono Raffaele Bassetti luci Loredana Oddone
INCONTRO CON
prendi e lascia un libro
Chiostri Biblioteca Classense, ore 21.30
Sala Muratori Biblioteca Classense, ore 18
“IMPARARE IL VANGELO DELLA PACE” IL PERCORSO DELLA CHIESA CATTOLICA DALLA GRANDE GUERRA AI GIORNI NOSTRI
tutti i giorni
martedì 17 giugno
ALBERTO MELLONI Università di Modena-Reggio Emilia
produzione Ravenna Festival prima assoluta
mercoledì 18 giugno Pineta di San Giovanni (presso Micoperi), ore 21
in collaborazione con Comitato Ravenna-Camaldoli e Istituzione Biblioteca Classense ingresso libero
presentazione libri e blogger tutti i venerdì
musica live da settembre tutti i sabati
dj set VINICIO CAPOSSELA
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IL CARNEVALE DEGLI ANIMALI E ALTRE BESTIE D’AMORE musiche di Camille Saint-Saëns e canzoni di Vinicio Capossela ELENA BUCCI
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60 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014 chitarra Alessandro Stefana chitarra Vincenzo Vasi theremin, marimba, campionatori Zeno De Rossi batteria Peppe Frana flauto, strumenti medievali a plettro TRIO AMADEI Liliana Amadei violino Antonio Amadei violoncello Marco Amadei pianoforte SOLISTI VIANINER PHILHARMONIKER Mattia Petrilli flauto Helga Plankensteiner clarinetto, sassofono Laura Lanzetti pianoforte Sebastiano Airoldi violino Lucia Colonna viola Amerigo Bertani contrabbasso
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UTE LEMPER
da giovedĂŹ 19 a sabato 21 giugno
UTE LEMPER CANZONI DAL SECOLO BREVE (1914-1991)
L’Osteria del Mariani, ore 20.30 Orchestra Giovanile Luigi Cherubini direttore Tonino Battista
www.centroodontoiatricolecolonne.com
produzione Ravenna Festival
venerdĂŹ 20 giugno Palazzo Rasponi dalle Teste, ore 21
LA BOHĂˆME
A CENA CON L’OPERA OPERAUPCLOSE
PUCCINI’S LA BOHĂˆME musica di Giacomo Puccini libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica regia e nuova versione in lingua inglese Robin Norton-Hale Mimi Susan Jiwey Rodolfo Lawrence Olsworth-Peter Colline Dickon Gough Alcindoro/Benoit Martin Nelson Marcello Thomas Colwell Musetta Emily-Jane Thomas Schaunard Richard Immergluck Barmaid Rebecca Shanks direttore musicale e pianoforte Elspeth Wilkes scene Kate Guinness & Lucy Read costumi Designer Lucy Read luci Christopher Nairne regia in tour Valentina Ceschi prima italiana in esclusiva
giovedĂŹ 19 giugno Palazzo Mauro De AndrĂŠ, ore 21
MAURO VALLI
VIOLONCELLO BAROCCO E MISTERIOSI CARTEGGI DAI RICERCARE DI DOMENICO GABRIELLI DETTO “MINGHEIN DAL VIULUNZEL� ALLE SUITES DI BACH violoncello Mauro Valli testi di Piero Mioli voce recitante Franco Costantini Domenico Gabrielli Ricercar primo in sol minore e Ricercar sesto in sol maggiore Johann Sebastian Bach Prima Suite in sol maggiore
54-69 RFM CARTELLONE OK:Rafest mastro 29/05/14 16:45 Pagina 61
il cartellone 61 Ravenna Festival Magazine 2014 BWV 1007 Domenico Gabrielli Ricercar terzo in re maggiore Johann Sebastian Bach Sesta Suite in re maggiore BWV 1012 produzione Ravenna Festival
e Philippe Rogier
sabato 21 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21.30
venerdì 20 giugno Rocca Brancaleone, ore 21.30
pira
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www.pirarredi.it TOTALHOMEDESIGN
BALLET DE GENÈVE
ANNA CALVI
BALLET DU GRAND THÉÂTRE DE GENÈVE SOIRÉE LUX/GLORY
ANNA CALVI ONE BREATH
sabato 21 giugno Basilica di San Vitale, ore 21
direttore generale Tobias Richter direttore del Ballet Philippe Cohen LUX coreografia Ken Ossola musica Requiem di Gabriel Fauré luci Kees Tjebbes scene e costumi Jean Marc Puissant GLORY coreografia e scene Andonis Foniadakis musica Georg Friedrich Händel arrangiamenti musicali ed assistente alle scene Julien Tarride costumi Tassos Sofroniou luci Mikki Kunttu in esclusiva per l’Italia
domenica 22 giugno ALBERT RECASENS
PAX DE CAELO DESCENDIT LA GRANDE CHAPELLE direttore Albert Recasens musiche di Cristóbal de Morales, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Francisco Guerrero, Tomás Luis de Victoria
Teatro Alighieri, ore 21
50 anni di esperienza
LE MAÎTRE ET LA VILLE
progettiamo e arrediamo la tua casa e il tuo ufficio
dall’incontro con gli allievi delle scuole di danza della città, la nuova creazione di Micha Van Hoecke nei 25 anni del Ravenna Festival con Miki Matsuse, Brancy Osadare, Rimi Cerloj, Timofej Andrijašenko, DanzActori e la partecipazione di Denys Ganio, Gaia Straccamore videomaker Giacomo Banchelli
Piangipane - Ravenna via Piangipane 59 - tel 0544 416280 info@pirarredi.it
54-69 RFM CARTELLONE OK:Rafest mastro 29/05/14 16:45 Pagina 62
62 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014 produzione Ravenna Festival
lunedì 23 giugno Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, ore 21
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ZONE DI OPERATIVITÀ: > COMUNI DI RAVENNA, LUGO, FAENZA, CERVIA
Piccola Banda del Soldato Francesco Ulivi tromba e flicorno Milena Crociani viola e violino Paride Canu corno francese e un organetto di barberia ingresso libero
LA GRANDE TRADIZIONE CORALE EUROPEA INCONTRA L’AMERICA
ore 20.30
PENNSYLVANIA GIRLCHOIR
VIAGGIO MUSICALE DAL RISORGIMENTO ALLA RESISTENZA
DA KODALY AGLI SPIRITUALS
Artificerie Almagià, ore 21
Ensemble Ottoni Romantici Jonathan Pia tromba naturale, cornetta, tromba a macchina, flicorno a chiavi Michele Santi tromba naturale e a macchina, cornetta Mauro Morini tromba e trombone a coulisse, tromba bassa, trombone a macchina Corrado Colliard tromba e trombone a coulisse, trombone a macchina, oficleide
TAKKU LIGEY THÉÂTRE
ore 22
direttore Vincent Metallo pianoforte Abigail La Vecchia in collaborazione con “I luoghi dello Spirito e del Tempo”
lunedì 23 giugno > AMICO GAS FORNISCE ASSISTENZA TECNICA
con i Burattini di Arrivano dal mare!
OPERA LAMB ideazione Mandiaye Ndiaye e Modou Gueye drammaturgia e regia dell’Opera Mandiaye Ndiaye e Laity Fall coordinamento generale Margherita Tassi con Laity Fall comunicatore tradizionale Modou Gueye comunicatore moderno Pape Ibou Diagne, Moussa Ndiaye lottatori Adama Gueye, Khadim Ndiaye allenatori, danzatori, marabou e animatori Déguéne Samb cantante Malick Sow il politico Aliou Diankha il promotore Tidiane Diop, Moussé Ndiaye, MBaye MBengue, Balla Nar Ndiaye musicisti Awa Diallo, Astou Ndiaye danzatrici e animatrici Ndeye Dibor Seck danzatrice e cantante
Claudio Monteverdi IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA Monica Piccinini soprano Alessio Tosi tenore Mauro Borgioni baritono La Venexiana direttore Claudio Cavina
da mercoledì 25 a venerdì 27 giugno Teatro Alighieri, ore 21
produzione Ravenna Festival, Takku Ligey Théâtre (Senegal) prima assoluta nell’ambito del progetto N.A.T. Network for African Talents Programme ACP-UE d’appui au secteur culturel ACP
martedì 24 giugno Palazzo Rasponi dalle Teste
0544.270358 RAVENNA Viale Berlinguer, 54 (Palazzo degli Affari) Fax 0544.280112 - info@amicogas.it
MUSICA E GUERRA: PER AMORE E LIBERTÀ ore 19 SGANAPINO IN TRINCEA, EROE SUO MALGRADO di Sergio Diotti e Stefano Giunchi
CLAUDIO BISIO
FATHER AND SON ispirato a “Gli sdraiati” e “Breviario comico” di Michele Serra con Claudio Bisio regia Giorgio Gallione con i musicisti
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il cartellone 63 Ravenna Festival Magazine 2014 Laura Masotto violino Marco Bianchi chitarra scene e costumi Guido Fiorato
venerdĂŹ 27 giugno Palazzo Rasponi dalle Teste
produzione Teatro dell’Archivolto prima assoluta
giovedÏ 26 giugno Piazza del Popolo, Teatro Rasi, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
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ESPRESSA DEL TERRITORIO Dal lunedĂŹ al venerdĂŹ PRANZO A BUFFET.
ALICE BORCIANI
EMANUELE ARCIULI
ore 19
MUSICA E GUERRA: NOVECENTO FERITO ore 19 Piazza del Popolo CONCERTO DELLA FANFARA DEI CARABINIERI della Scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze direttore Ennio Robbio in collaborazione con l’Associazione Nazionale Carabinieri (Sezione di Ravenna) nel bicentenario dell’Arma ore 20.30 Teatro Rasi PAGINE DI GUERRA duo pianistico Emanuele Arciuli, Andrea Rebaudengo percussioni Andrea Dulbecco e Luca Gusella musiche di Alfredo Casella, Claude Debussy, BÊla Bartók e Igor’ Stravinskij ore 22.30 Basilica di Sant’Apollinare Nuovo PACE SULLA TERRA Anelito alla pace nella musica corale del ’900 La Stagione Armonica direttore Sergio Balestracci musiche di Arnold SchÜnberg, Ildebrando Pizzetti, Kurt Weill, Sergio Balestracci
Aperitivo romagnolo con AFFETTATI E GNOCCO FRITTO.
MUSICA E GUERRA: ECHI DI BATTAGLIE
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SGANAPINO IN TRINCEA, EROE SUO MALGRADO di Sergio Diotti e Stefano Giunchi con i Burattini di Arrivano dal mare! Piccola Banda del Soldato Francesco Ulivi tromba e flicorno Milena Crociani viola e violino Paride Canu corno francese e un organetto di barberia ingresso libero ore 20.30 MUSICHE RINASCIMENTALI D’AMORE E DI BATTAGLIA Ensemble La Pifarescha Stefano Vezzani flauti, flauto e tamburo, cornamuse, bombarde Marco Ferrari flauti, cornamuse, bombarde, kaval Mauro Morini, David Yacus tromboni, tromba diritta, tromba da tirarsi Fabio Tricomi viella, flauto da tamburo, tombak, tamburello, tamburino ore 22 CAVALLERESCHE GESTA FRA HÄNDEL E TEATRO DEI PUPI soprano Alice Borciani pupari Giacomo e Antonino Cuticchio Cafebaum Thomas Meraner oboe Philipp Wagner oboe Anna Flumiani fagotto Federica Bianchi clavicembalo Ludovico Minasi violoncello
7 giorni su 7, dalle 7 alle 24
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64 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014 recital del soprano Liana Ghazaryan
venerdì 27 giugno Palazzo Mauro de André, ore 21.30
pianoforte Ettore Papadia musiche di Komitas, Makar Yekmalyan, Gregorio di Narek, Francesco Cilea, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Giuseppe Verdi
sabato 28 giugno Palazzo San Giacomo (Russi),
SOULS
GIOVANNI SOLLIMA
ore 21.30 BALLET DU NORD - OLIVIER DUBOIS
SOULS creazione e coreografia Olivier Dubois assistente alla creazione Cyril Accorsi musiche di François Caffenne luci Patrick Riou costruzione scene Robert Pereira con Tshireletso Molambo (Sudafrica) Youness Aboulakoul (Marocco) Jean-Paul Mehensio (Costa d’Avorio) Hardo Papa Salif Ka (Senegal) Ahmed El Gendy (Egitto) Djino Alolo Sabin (Rep. Democratica del Congo) produzione Compagnie Olivier Dubois prima italiana nell’ambito del progetto N.A.T. Network for African Talents Programme ACP-UE d’appui au secteur culturel ACP Programme mis en oeuvre par le Secrétariat du Groupe des Etats ACP et financé par l’Union européenne
sabato 28 giugno Sala Arcangelo Corelli, Teatro Alighieri, ore 21
FIGLI DEL MONTE ARARAT IN MEMORIA DELLE VITTIME DEL GENOCIDIO ARMENO
ORCHESTRA POPOLARE LA NOTTE DELLA TARANTA Giovanni Sollima maestro concertatore Alessandra Caiulo, Enza Pagliara, Stefania Morciano, Alessia Tondo voce Piero Balsamo voce, tamburello, cupa cupa Antonio Castrignanò voce, tamburello Vito De Lorenzi tamburello, tabla Riccardo Laganà tamburello Gianluca Longo mandola Massimiliano De Marco chitarra, mandolino, bouzuki Claudio Prima organetto Roberto Gemma fisarmonica Giancarlo Parisi fiati Silvio Maria Cantoro basso Alessandro Monteduro percussioni Antonio Marra batteria Monika Leskovar, Amedeo Cicchese, Paolo Bonomini, Enrico Melozzi violoncelli danzatori
domenica 29 giugno Palazzo San Giacomo (Russi), ore 21.30
VINICIO CAPOSSELA E LA BANDA DELLA POSTA Banda della Posta
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il cartellone 65 Ravenna Festival Magazine 2014 Giuseppe Caputo “Matalena” violino Franco Maffucci “Parrucca” chitarra e voce Giuseppe Galgano “Tottacreta” fisarmonica Giovanni Briuolo chitarra e mandolino Vincenzo Briuolo mandolino e fisarmonica Giovanni Buldo “Bubù” basso Antonio Daniele batteria Crescenzo Martiniello “Papp’lon” organo Gaetano Tavarone “Nino” chitarre assistiti sul palco da Vito “Tuttomusica” e con Alessandro “Asso” Stefana chitarra Taketo Gohara suono in collaborazione con Strade Blu
DEL CUORE I CANTI POPOLARI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE un progetto di Ambrogio Sparagna con l’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma con Peppe Servillo Ambrogio Sparagna voce, organetti Gabriella Gabrielli voce Eleonora Bordonaro voce Francesca Ciampa voce Raffaello Simeoni voce, fiati popolari, mandola Alessia Salvucci tamburelli Clara Graziano organetto Cristiano Califano chitarra Erasmo Treglia ciaramella, ghironda, violino Diego Micheli contrabbasso Ottavio Saviano batteria e percussioni Anna Rita Colaianni voce e direzione coro ospiti Coro Amarcanto, Compagnia dell’Alba di Ortona
mercoledì 2 luglio Giardini Pubblici, ore 18 Darsena di Città, ore 21 RAVENNA CITTÀ D’ACQUE
IL FRONTE DEI PORTI BIKE TREKKING CON DANCE PERFORMANCES EARLY WORKS DI TRISHA BROWN DANCE COMPANY VINICIO CAPOSSELA
lunedì 30 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21 CONCERTO IN MEMORIA DI CLAUDIO ABBADO
con la partecipazione dell’Associazione Nazionale Bersaglieri sezione: Capitano Giuseppe Galli, Ravenna in collaborazione con Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio Università di Bologna, Pedale Bizantino, Classe Archeologia e Cultura
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI ORCHESTRA GIOVANILE giovedì 3 luglio ITALIANA Palazzo Mauro De André, direttore RICCARDO MUTI
ore 21.30
David Fray pianoforte Ludwig van Beethoven Concerto per pianoforte e orchestra in do minore n. 3 op. 37 Pëtr Il’ič Čajkovskij Sinfonia in mi minore n. 5 op. 64
martedì 1 luglio Pineta di San Giovanni (presso Micoperi), ore 21
LE TRINCEE
TRISHA BROWN DANCE COMPANY
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66 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014
TRISHA BROWN DANCE COMPANY
venerdì 4 luglio Rocca Brancaleone, ore 21.30
FAREWELL TOUR SON OF GONE FISHIN’ (1981) coreografia Trisha Brown scenografia Donald Judd musica originale “Atalanta” di Robert AshleyRobert costumi Judith Shea luci Beverly Emmons ROGUES (2011) coreografia Trisha Brown musica originale “Toss and Find” (estratti) di Alvin Curran costumi Kaye Voyce luci John Torres LES YEUX ET L’ÂME (2011) coreografia e scenografia Trisha Brown musica “Pygmalion” (estratti) di Jean Philippe Rameau costumi Elizabeth Cannon luci Jennifer Tipton FOR M.G.: THE MOVIE (1991) scenografia e costumi Trisha Brown musica “For M.G. (One Step Too)” di Alvin Curran luci Spencer Brown, Trisha Brown in esclusiva per l’Italia
FOLEYMANDALA Claudio Coccoluto DJing analogico Matteo Scaioli sintetizzatori analogici, system suna-trig, percussioni David Loom live visual design, lumodesk segue DJ set di Claudio Coccoluto produzione Ravenna Festival
sabato 5 luglio
European Spirit of Youth Orchestra musicisti dei Berliner Philharmoniker, Chicago Symphony Orchestra, Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestre National de France, Orchestre Symphonique du Théatre Royal de La Monnaie, Philharmonia Orchestra, Wiener Philharmoniker e allievi del Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste e “Jacopo Tomadini” di Udine Coro del Friuli Venezia Giulia maestro del coro Cristiano Dell’Oste Coro del Teatro Verdi di Trieste maestro del coro Paolo Vero
Palazzo Mauro De André, ore 21 LE VIE DELL’AMICIZIA
GIUSEPPE VERDI
Esibizione del Coro dei Cori della Associazione Nazionale Alpini Sezione di Udine e della Fanfara Congedati Brigata Alpina Cadore
MESSA DA REQUIEM direttore RICCARDO MUTI Tatiana Serjan soprano Daniela Barcellona mezzosoprano Saimir Pirgu tenore Riccardo Zanellato basso Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
in collaborazione con RaiUno, Mittelfest e Regione Friuli Venezia Giulia RICCARDO MUTI
domenica 6 luglio
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Orchestra Giovanile Luigi Cherubini European Spirit of Youth Orchestra musicisti dei Berliner Philharmoniker, Chicago Symphony Orchestra, Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestre National de France, Orchestre Symphonique du Théatre Royal de La Monnaie, Philharmonia Orchestra, Wiener Philharmoniker e allievi del Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste e “Jacopo Tomadini” di Udine Coro del Friuli Venezia Giulia, Coro del Teatro Verdi di Trieste, Nuovo Coro da Camera Franz Liszt di Budapest, Coro dell’Accademia Musicale di Lubiana, Coro dell’Accademia Musicale di Zagabria coordinatore cori Cristiano Dell’Oste
lunedì 7 luglio Rocca Brancaleone, ore 21.30
Fogliano di Redipuglia, Sacrario Militare, ore 21
UNO SPAZIO A MISURA DI BAMBINO
SERVIZIO EDUCATIVO (tipo MICRONIDO)
piccolo gruppo di bimbi dai 12 ai 36 mesi personale qualificato, ambiente sereno e familiare dalle 8 alle 14, orari e frequenza flessibili
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IL SACRARIO DI REDIPUGLIA
LE VIE DELL’AMICIZIA
REQUIEM PER LE VITTIME DI TUTTE LE GUERRE 1914-2014 CENT’ANNI DALLA GRANDE GUERRA GIUSEPPE VERDI MESSA DA REQUIEM
maramaoravenna@libero.it
direttore RICCARDO MUTI
OMAGGIO A CHARLOT
MUSICA & CINEMA: OMAGGIO A CHARLIE CHAPLIN
CHARLOT HA CENTO ANNI! Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
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il cartellone 67 Ravenna Festival Magazine 2014 con “Association Chaplin”, Paris e Cineteca Nazionale di Bologna
giovedì 10 luglio Rocca Brancaleone, ore 21.30
video di Andrea Pedna produzione Ravenna Festival in collaborazione con Strade Blu
venerdì 11 luglio Teatro Rasi, ore 21
MUSICA & CINEMA: OMAGGIO A LUIS BUÑUEL
CONCERTO PER FILM E ORCHESTRA
direttore Timothy Brock SHOULDER ARMS musiche originali di Charles Chaplin restaurate da Timothy Brock THE IMMIGRANT musiche di Timothy Brock commissione del festival Il Cinema Ritrovato, Cineteca di Bologna KID AUTO RACES musiche di Timothy Brock commissione del festival Il Cinema Ritrovato, Cineteca di Bologna in collaborazione
SACRI CUORI Antonio Gramentieri chitarre Diego Sapignoli batteria e percussioni Francesco Giampaoli basso e contrabbasso Denis Valentini percussioni Francesco Valtieri sassofoni Enrico Farnedi tromba con Evan Lurie pianoforte Andrea Pedna video Sacri Cuori & Evan Lurie Concert for film and musicians musiche di Evan Lurie film di Luis Buñuel Sacri Cuori & Andrea Pedna Lido - Una giornata al mare musiche di Sacri Cuori
NIGHT COMMUTERS BAMBINI CHE NON DORMONO MAI un progetto di Guido Barbieri testi, drammaturgia e video Guido Barbieri e Oscar Pizzo regia Manfredi Rutelli con Yolande Mukagasana voce narrante Gabin Dabirè griot Moustapha Dembele voce, kora e balaphon Ismaile Mbaye percussioni attori del Centre de Formation et de Recherche en Arts Vivantes (CFRAV) di Ouagadougou Burkina Faso supervisione Luca Fusi produzione Ravenna Festival, Fondazione Musica per RomaFestival di Villa Adriana, Cantieri dell’Immaginario L’Aquila con la collaborazione di Shalom Italia, Shalom Africa e Oncologia
per l’Africa Onlus prima italiana nell’ambito del progetto N.A.T. Network for African Talents Programme ACP-UE d’appui au secteur culturel ACP Programme mis en oeuvre par le Secrétariat du Groupe des Etats ACP et financé par l’Union européenne
sabato 6 e domenica 7 settembre Castagno d’Andrea, ore 9.30 IN CAMMINO PER DANTE 2021
I SENTIERI DI DINO CAMPANA CONCERTO TREKKING NEL CENTENARIO DEI CANTI ORFICI monologo teatrale di Iacopo Gardelli e Elia Tazzari interpretato da Gianfranco Tondini interventi musicali Orphic Duo Fabio Mina flauti Marco Zanotti percussioni in collaborazione con Centro Studi Campaniani - Marradi
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68 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2014
Trilogia d’autunno
da martedì 2 a mercoledì 8 ottobre Teatro Alighieri, ore 20.30 domenica ore 15.30 e 20.30 TRILOGIA D’AUTUNNO
BALLETTO E ORCHESTRA DEL TEATRO MARIINSKIJ DI S. PIETROBURGO 2, 3, 7 ottobre
IL LAGO DEI CIGNI balletto in tre atti (quattro scene) libretto di Vladimir Begičev e Vasilij Gel’cer musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij coreografie Marius Petipa e Lev Ivanov adattamento della coreografia e messa in scena Konstantin Sergeev 4, 8 ottobre
TRITTICO ’900
Festival e dintorni
CHOPINIANA “LES SYLPHIDES” musica di Frédéric Chopin orchestrazione di Aleksandr Glazunov coreografia Michail Fokin (1908) ripresa da Agrippina Vaganova (1931) scene dai bozzetti originali di Orest Allegri
da mercoledì 4 giugno
APOLLO balletto in due scene musica di Igor’ Stravinskij coreografia George Balanchine (1928) ripresa da Francia Russell
DALLE SETTE ALLE NOVE
a giovedì 3 luglio Teatro Rasi, in sala, nel foyer, in giardino, ore 19 DRAMMATICO VEGETALE QUATTRO VOLTE ANDERSEN
TEATRO, GIOCHI E PIC NIC SUL PRATO
UNO, DUE, TRE... opera teatrale (2-6 anni)
4, 19 giugno, 2 luglio
RUBIES da “Jewels” musica di Igor’ Stravinskij coreografia George Balanchine (1967)
CAPPUCCETTO, IL LUPO E ALTRE STORIE
5, 6 ottobre
teatro di figura con attori e pupazzi (3-8 anni)
GISELLE
5, 21 giugno, 3 luglio
balletto in due atti musica di Adolphe Charles Adam libretto di Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges, Théophile Gautier e Jean Coralli coreografie Jean Coralli, Jules Perrot e Marius Petipa
QUATTRO VOLTE ANDERSEN
giovedì 12 giugno Ospedale Santa Maria delle Croci, ore 18.30
LE FONTANE DI RAVENNA LA FONTANA DELL’OSPEDALE CIVILE
teatro di figura e narrazione (3-8 anni)
Duo Alarc’h Marta Celli arpa Simona Gatto flauto, percussioni
20 giugno, 1 luglio
ingresso libero
Cucina tipica e specialità di mare Tutti i lunedì sera d'inverno
Brodetto di pesce acqua e vino compresi 15 € I lunedì d'estate
Cruditá di pesce a 20€ Ogni prima domenica del mese da ottobre a maggio
<DrinKave> l'aperitivo della grotta con musica live
Tel. 0546.81488
BRISIGHELLA Via Metelli 1
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54-69 RFM CARTELLONE OK:Rafest mastro 29/05/14 16:47 Pagina 69
il cartellone 69 Ravenna Festival Magazine 2014
venerdì 13 giugno L’Osteria del Mariani, ore 20.30
MUSICA E CUCINA GOURMET A SUON DI MUSICA
Musica sacra e liturgie nelle Basiliche
Il festival aggiornato in tempo reale sui social network
chef Gianni D’Amato accompagnamento musicale Faden Piano Trio Pier Marco Turchetti pianoforte Adriano Rugiadi basso elettrico “fretless” Stefano Calvano batteria e percussioni
giovedì 3, venerdì 4
Il Ravenna Festival è presente anche sui social network, con aggiornamenti e approfondimenti sugli spettacoli della XXV edizione. La pagina Facebook conta più di 9mila follower, mentre il profilo Twitter, aggiornato in tempo reale dagli utenti, fornisce notizie ancora prima dei siti di informazione. Su Youtube invece sono presenti i video di estratti degli spettacoli.
domenica 8 giugno Basilica di Sant’Agata Maggiore, ore 11.30 In Templo Domini
MESSA DEGLI ALPINI CANTI DELLA TRADIZIONE TRENTINA GLI ARMONICI CANTORI SOLANDRI
domenica 15 giugno Basilica di San Francesco, ore 11.15
MESSA NELLA SIVIGLIA DEL XVI SEC. LA GRANDE CHAPELLE musiche di Cristóbal de Morales, Francisco Guerrero e Tomás Luis de Victoria
domenica 29 giugno Basilica di San Vitale, ore 10.30 In Templo Domini
In Templo Domini
MESSA A SAN MARCO NEL XVII SEC.
Sala Multimediale Chiostri Francescani, ore 10
MESSA DELLE ALPI MARITTIME
IN VIAGGIO CON DANTE
MARATONA INFERNALE
CANTI DELLA TRADIZIONE PIEMONTESE E DELLA CONTEA DI NIZZA
musiche di Claudio Monteverdi, Giovanni Rovetta LA VENEXIANA direttore Claudio Cavina
7 ORE, 34 CANTI DELL’INFERNO E MIGLIAIA DI CHILOMETRI
COROU DE BERRA
e sabato 5 luglio
un progetto video di Lamberto Lambertini e Paolo Peluffo
domenica 22 giugno Basilica di San Vitale, ore 10.30
ingresso libero
In Templo Domini
CLAUDIO CAVINA
Biglietteria: modalità e orari Prevendite • www.ravennafestival.org • Cassa di Risparmio di Ravenna • IAT Cervia via Evangelisti 4, tel. 0544 974400 • IAT Marina di Ravenna piazzale Marinai dʼItalia 17, tel. 0544 531108 • IAT Milano Marittima piazzale Napoli 30, tel. 0544 993435 • IAT Punta Marina Terme via della Fontana 2, tel. 0544 437312 • IAT Ravenna via Salara 8/12, tel. 0544 482838 • IAT Ravenna Teodorico via delle Industrie 14, tel. 0544 451539 • Vivaticket Circuit www.vivaticket.it Informazioni generali Gli abbonamenti, i carnet e i singoli biglietti acquistati non possono essere
rimborsati, non sono nominativi e possono essere ceduti ad altre persone. Tariffe ridotte riservate a: Associazioni liriche, Cral, insegnanti, under 26, over 65, enti convenzionati, possessori di carta bianca. Servizio di prevendita: il servizio di prevendita comporta la maggiorazione del 10% sui prezzi dei carnet e dei biglietti (maggiorazione che non sarà applicata ai biglietti acquistati al botteghino nel giorno di spettacolo). Gruppi e associazioni Alle agenzie e ai gruppi (minimo 15 persone) sono riservati specifici contingenti di biglietti e condizioni agevolate. Ufficio Gruppi: tel. 0544 249251 gruppi@ravennafestival.org
BIGLIETTERIA / BOX OFFICE Teatro Alighieri via Mariani 2, Ravenna Tel. +39 0544 249244 - Fax +39 0544 215840 tickets@ravennafestival.org
Orari: dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 18. Domenica dalle 10 alle 13. Nelle sedi di spettacolo da unʼora prima dellʼevento.
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70 balletto Ravenna Festival Magazine 2014
Sipario aperto sul festival con Svetlana
di una
Zakharova una delle regine dei balletti russi Eccelsa nella danza classica, è affiancata dal marito violinista e direttore d’orchestra
sulle punte
Vadim Repin DI
ROBERTA BEZZI
Non ci poteva essere migliore apertura del cartellone della danza del Ravenna Festival, se non quella con la regina indiscussa delle punte, l’ucraina Svetlana Zakharova, considerata unanimemente tra le più eccelse ballerine di danza classica a livello mondiale. Per chi non ha ancora avuto modo di ammirarla, giovedì 5 giugno (alle 21.30) al Palazzo Mauro De André, è una soirée speciale, se si considera che – per l’occasione – sarà affiancata dal marito violinista, nel duplice ruolo di solista e direttore dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Per questo il titolo della serata è semplicemente “Svetlana Zakharova & Vadim Repin”. Anche se al loro fianco sul palcoscenico, non mancheranno diverse étoile del Teatro Bolshoi di Mosca. Gli amanti della danza e della musica attendevano da tempo uno spettacolo che unisse in scena l’étoile del balletto e il
virtuoso del violino. Un vero e proprio Gala-Concerto à la russe, in esclusiva per l’Italia, ideato e interpretato dalla coppia di vita, con quell’amorevolezza reciproca che mette il partner della luce migliore. Incrociati i rispettivi repertori, i due hanno composto un programma di miniature coreografiche e musicali che sono pièce de résistance per ognuno. Come “La morte del cigno”, in cui i languori di Fokin, estenuati dall’interpretazione della Zakharova, acquistano nuovi bagliori grazie
all’esecuzione rapinosa di Repin dei Capricci di Santi-Saëns. La serata è un continuo alternarsi di coreografie musicate dal vivo e pezzi musicali. Si inizia con il Divertimento in Re maggiore Kv 136 di Mozart, per poi passare al celebre Adagio di Tomaso Albinoni, suonato al violino da Repin, mentre in scena
Zakharova e Andrei Merkuriev danzano la coreografia di Edward Liang Distan Cries. Resta in scena Repin impegnato con il Concerto per violino e orchestra d’archi N. 1 in re minore di Felix Mendelssohn, laddove poco dopo ritorna Zakharova – affiancata questa volta da Vladimir Varnava – per danzare Plus Minus Zero, un pezzo dello stesso Varnava sulla musica Fratres di Arvo Part. Spazio poi al Tambourin Chinois op.3 di Fritz Kreisler, a un assolo di Zakharova sulla coreografia di Motoko Hirayama Revelation, su musica registrata di John Williams. Si prosegue con Csardas di Vittorio Monti ed Estrellita di Manuel Maria Ponce al violino, per concludere con La Ridda dei folletti di Johan Kobborg, danzata da Zakharova, insieme a Vyacheslav Lopatin e Dimitri Zagrebin, mentre Repin suona Scherzo Fantastico, op. 25 di Antonio Bazzini. Ma non ci sono solo la musica e la danza nella vita di Zakharova e Repin che, nel 2011, hanno avuto la figlia Anja. «La danza è la mia vita, essere madre uno stato di grazia», ama ripetere l’étoile che – cosa non frequentissima nel settore – è riuscita a conciliare il lavoro con la famiglia, riprendendo in tempi da record a danzare. A un anno di distanza dal parto, il 18 febbraio 2012 è infatti tornata sul palco del
Teatro alla Scala di Milano, interpretando da protagonista Giselle accanto al partner Roberto Bolle. Il suo percorso è iniziato a dieci anni, in quanto quello della ballerina era il sogno non realizzato di sua madre. È stata lei infatti a volere che la figlia affrontasse l’audizione per entrare nella scuola di Kiev. Viene subito accolta fra le allieve ed è costretta a trasferirsi a Kiev da sola per seguire le lezioni. In quel duro periodo, lontana dagli affetti e costretta a seguire una rigida disciplina, si forgia il suo carattere e tutta la forza di volontà di cui oggi dispone. In seguito è ammessa all’Accademia di Ballo Vaganova di San Pietroburgo dove si diploma. Come danzatrice entra subito a far parte del Balletto del Teatro Mariinskij, dove l’anno dopo viene promossa prima ballerina. In breve diventa étoile ospite della maggiori compagnie di danza del mondo – tra cui l’American Ballet Theatre, il Ballet de l’Opéra di Parigi, il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano – ammirata per la sua bellezza, eleganza e perfezione tecnica che trovano espressione in un corpo inconsueto per una danzatrice (è alta infatti un metro e 70 centimetri). Dall’ottobre 2003 è prima ballerina del Balletto del teatro Bolshoi di Mosca. ❍
EGO DESIGN PAG RFM:Rafest mastro 29/05/14 22:23 Pagina 1
72RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 09:00 Pagina 58
72 teatro danza Ravenna Festival Magazine 2014
Chéri e la cortigiana
Il ritorno sulle scene di Alessandra Ferri
DI
ROBERTA BEZZI
Quando la danza entra nel sangue, la propria vita non è più come prima. E diventa ballo. Alessandra Ferri ci aveva provato ad appendere le scarpette, lasciando a 43 anni e in piena forma fisica, ma non ce l’ha fatta. L’étoile italiana, dopo aver dato l’addio alle scene nel 2007 interpretando una straordinaria Giulietta affiancata da Roberto Bolle nei pas de deux, ci ha ripensato. «La verità è che non ho mai smesso sul serio – ama ripetere –. Il mio fisico si ribellava al riposo, per cui facevo due ore di ballo, più pilates, yoga e gyrotnic tutti i giorni. Non è la scena, non è il pubblico, è proprio il ballare, il bisogno di vibrare che mi mancava». Il suo più che un ritorno indietro, è l’inizio di qualcosa di nuovo, la necessità di esprimersi artisticamente con i propri strumenti. Per questo, dopo aver incantato New York, arriva al Ravenna Festival – il 9, 10 e 11 giugno al teatro Alighieri -, con Chéri, lo spettacolo di teatro-danza che poi sarà in tour a Buenos Aires, Sidney, Londra, Amburgo e di nuovo negli Stati Uniti. Si tratta della prima europea della produzione newyorchese del Signature Theatre, con regia e coreografia di Martha Graham, ispirato agli omonimi romanzi di Colette ambientati nella Parigi della Grande Guerra. Forte dunque il legame con il tema dell’edizione 2014 del Ravenna Festival che è appunto “1914: l’anno che ha cambiato il mondo”. È la storia della scandalosa relazione tra la cortigiana 49 enne Léonie Vallon, detta Léa de Lonval, e il 25 enne Fred Peloux, il bellissimo, vanitoso e viziato figlio di Madame Charlotte Peloux,
anch’essa una ricca cortigiana dell’alta società e amica da oltre vent’anni di Léa. Una vicenda che ha echi autobiografici in quanto Colette ebbe nella realtà una
relazione con un ragazzo molto più giovane di lei. Sul palco, grandi protagonisti sono la Ferri nei panni di Léa e il danzatore argentino Herman Cornejo, primo ballerino dell’American Ballet Theatre, nel ruolo di Chéri. Insieme riescono a catturare l’estasi amorosa e la malinconia del dolore. Uno spettacolo pervaso di quella «bellezza ipnotica» – come ha scritto il “New York Times” – che scaturisce dalla poesia dei corpi. In scena anche Amy Irving, attrice prediletta da grandi registi come Brian De Palma, che ha esordito proprio in Carrie. Lo sguardo di Satana, e Steve Soderbergh, di cui si ricorda l’indimenticabile apparizione in Yentl, a fianco di Barbra Streisand. L’idea di questo teatro-danza è piaciuto subito alla Ferri che si è rispecchiata nel personaggio di Léa, una donna matura. «A 51 anni – dichiara – è affascinante per una ballerina poter interpretare la propria età. Il balletto ci abitua a storie di ragazze. Per me affrontare l’età che avanza è molto bello. Nei panni di Léa posso esplorare l’erotismo di una mia coetanea in modo realistico». D’altra parte i critici di settore, dal “New York
Times” al “Wall Strett Journal”, che hanno già avuto modo di ammirarla oltre oceano, sono unanimi: la Ferri è sublime come sempre, quasi che non avesse mai smesso di ballare neppure per poche settimane. E così è stato infatti. La sua carriera continua e ci sono tutti i presupposti che possa seguire l’esempio di Baryshnikov che danza ancora meravigliosamente a più di sessant’anni. E se il panico da palcoscenico è stato uno dei motivi per cui diede l’addio, ora quell’angoscia non c’è più, è guarita. Forse perché ora danza principalmente per se stessa. Non ha più nulla da dimostrare, se non la sua meravigliosa arte, lei che a vent’anni era già principal dancer dell’American Ballet Theatre a New York. Nella sua corsa irrefrenabile, è poi diventata étoile all’Opéra di Parigi e prima ballerina assoluta del teatro alla Scala. Nel 2008 si occupa della programmazione della danza per il Festival dei Due Mondi di Spoleto, mentre nel 2013 torna a ballare in The Piano Upstairs al festival di Spoleto e a New York con Chéri, ora in tournée. Il resto della storia è tutto da scrivere. ❍
AL BOSCHETTO RFM PAG:Rafest mastro 30/05/14 10:14 Pagina 1
74RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 09:02 Pagina 74
74 danza contemporanea Ravenna Festival Magazine 2014
Visioni anima mito corpi-sculture in movimento In quattro “pezzi” della coreografa Trisha Brown la purezza e fluidità della post modern dance DI LINDA LANDI
Dagli occhi all’anima attraverso il mito, la visione di corpi-sculture in movimento, l’illusione cinematografica come gioco di prestigio sulla scena, per uno spettacolo rivelatore dell’artista che ha suggellato col prefisso post la parola modern: Trisha Brown, a Ravenna in esclusiva per l’Italia con il suo “Farewell tour” (giovedì 3 luglio, Palazzo de André). Ardita e ardente sperimentatrice, una carriera punteggiata da collaborazioni di rango con personalità variegate come Mikhail Baryshnikov, Robert Rauschenberg, e Laurie Anderson, la coreografa di Aberdeen arriva nella Grande Mela nel 1961, dopo gli studi, e si butta nel focolaio del nascente fenomeno postmodern del Judson Dance Theater, portando nella danza, in perfetto pendant con quel che stava succedendo in arte, quella ribalta del quotidiano che costituirà un punto di non ritorno nelle arti performative. Nove anni dopo l’adozione newyorkese, nasce la sua compagnia
e, sui tetti, tra le pareti di Soho, cominciano a comparire corpi attentatori della forza di gravità, come in Man Walking Down the Side of a Building (1970) e Roof Piece (1971). Arrivano poi Rauschenberg e la Anderson di Set and Reset (1983), in cui la cifra della Brown prende corpo nella sua personale calligrafia fluente e geometrica. Sono questi gli anni anche di Son of Gone Fishin’ (1981), il primo dei brani riproposti a Ravenna, con scene di Donald Judd e musica originale di Robert Ashley, una coreografia a detta della stessa autrice, con cui raggiunge “l’apogeo di complessità” del suo lavoro: «La struttura della pièce era legata ad una sezione regolare ABC – centro – CBA. Gruppi complessi di sei danzatori si muovevano prima in una direzione e poi al contrario. Bob Ashley ci diede una piccola lista di brani da portare con noi in tour. I danzatori sceglievano a random la musica sulla quale avremmo dovuto danzare in ogni performance. Come se avessimo la band
sempre accanto a noi». Dopo alcune sperimentazioni sull’esplorazione dei limiti fisici tra la fine degli Anni ’80 e l’inizio della decade successiva, arriva anche il secondo brano riproposto al Palazzo de André, For M.G.: The Movie (1991) con musiche di Alvin Curran, in cui la Brown si focalizza sulle pulsioni motorie che nascono dall’inconscio e manda una dedica alla memoria dell’amico Michel Guy, politico e manager della cultura francese scomparso nel 1990. Fondamentali in questo lavoro, i temi dell’enigma, dell’emozione e dell’astrazione, che portano i danzatori a trasformarsi in attori “cinematografici” in grado di scomparire e riapparire misteriosamente sulla scena, come in un “gioco di prestigio del corpo”. Dopo trent’anni di rivoluzione nella danza moderna, esordisce anche nel mondo dell’opera con
L’Orfeo di Monteverdi (1998), seguita da altre quattro: Luci Mie Traditrici (2001), Winterreise (2002) e Da Gelo a Gelo (2006), per arrivare poi al 2010, con l’ultima delle opere, Pygmalion (2010), con due coreografie firmate Brown: L’Amour au théâtre (2009) e Les Yeux et l’âme (2011), un’interpretazione dell’Opera di Rameau che rievoca il mito narrato ne Le Metaformosi di Ovidio, acclamata dalla stampa internazionale. Il titolo cita proprio le parole pronunciate dalla scultura, divenuta creatura palpitante, che si rivolge al suo creatore innamorato, Pigmalione: «Vedo nei tuoi occhi ciò che sento nella mia anima» . Sempre del 2011 è anche Rogues, ultimo dei lavori in calendario per il prossimo 3 luglio, un estratto da I'm going to toss my arms - if you catch them they're yours, su musiche di Alvin Curran, che nasce partendo dall’improvvisazione ispirata alla scultura, alla calligrafia e ai nodi, lasciando poi agli interpreti la costruzione di frasi coreografiche inserite in spazi immaginari. Una pagina indelebile nella storia della danza moderna assolutamente da non perdere, scritta da una mente creativa che, negli anni, ha anche disseminato i suoi disegni nei santuari dell’arte visiva contemporanea, come la Biennale di Venezia, il White Cube o il Centre Georges Pompidou. ❍
COOP RFM PAGINA:Rafest mastro 27/05/14 15:48 Pagina 1
SABBIONI RFM PAGINA:Rafest mastro 20/05/14 16:53 Pagina 1
77RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 10:23 Pagina 33
la città che danza 77 Ravenna Festival Magazine 2014
Decine di allievi e un grande coreografo per raccontare ed esaltare l'incanto di una città per la magia della danza
Micha Van Hoecke maestria e passione DI
ROBERTA BEZZI
Sancisce un rapporto affettivo e artistico lungo venticinque anni, tra il maestro russo-fiammingo Micha van Hoecke e la città di Ravenna, lo spettacolo Le maïtre et la ville, una produzione del Ravenna Festival che andrà in scena domenica 22 giugno (alle 21), nella cornice del Teatro Alighieri. Sul palcoscenico, alcuni dei migliori allievi delle scuole di danza della città e della regione, oltre ad affermati artisti come Gaia Straccamore, nominata di recente étoile del Teatro dell’Opera di Roma dallo stesso van Hoecke che ne è il direttore artistico. Ma anche il maestro Denys Ganio e i ballerini Miki Matsuse, Brancy Osadare, Rimi Cerloj, Timofej Andrijasenko, per una creazione gioiosamente “corale”. Dopo successi come Adieu à l’Italie, Pélérinage, A la memoire, e tanti altri, come nasce l’idea di questo omaggio al suo lavoro e alla città? «È una proposta che mi è stata fatta dal Festival e che ho subito accolto con entusiasmo. Non c’è miglior cosa per celebrare un quarto di secolo che aprirsi alle nuove generazioni, affidando loro quel patrimonio di saperi e stili ed emozioni che in qualità di maïtre ho fatto miei in tutti questi anni. Un ponte tra passato e futuro, nel segno della memoria, ma anche di una indomabile freschezza che è propria
dei giovanissimi». Conosce i ragazzi con cui condivide questa originale esperienza? «Molti di loro ho avuto modo di conoscerli a Roma, quando sono venuti ad assistere a degli spettacoli, altri li sto conoscendo. Hanno un’età compresa fra i 12 e i vent’anni e sfrutteranno al meglio l’opportunità di esibirsi in un palcoscenico così prestigioso. Fra di loro c’è la danza del futuro, ne sono convinto, perché ho già notato diversi talenti di cui sono rimasto affascinato. Ravenna ha saputo e sa invitare le persone alla bellezza dell’arte in generale e, quindi, anche della danza». Che tipo di spettacolo sarà Le maïtre et la ville? «Inizialmente l’idea era di far cimentare i giovani con alcuni dei lavori realizzati in questi 25 anni di festival, ma preferisco sempre “spostarmi” in più direzioni e lasciarmi ispirare da chi ho davanti. Quello con i ragazzi è un incontro creativo, e mi diverto a immaginare un mondo insieme a loro, una specie di scatola musicale, al cui interno si trovano i miei ricordi e il mio vissuto. Non c’è una storia vera e propria, né un filo conduttore, perché è un gioco teatrale danzante, con musiche di Bach, Mozart e altri. Sarà un evento, l’incontro di un mondo – il mio – con dei giovani, una serata particolare che mi fa toccare delle corde sensibili, mettendo insieme
persone e vissuti diversi, passando da uno stile all’altro». Di questi 25 anni di festival conserverà certamente mille ricordi speciali. Ne vuole svelare almeno uno? «È una domanda difficile, perché ne ho vissuti tanti. Mi emoziono ancora quando penso allo spettacolo su Maria Callas, un momento molto intimo e particolare. Ma in realtà ogni lavoro ha una sua storia dietro e a essere speciali sono più che altro le persone che si incontrano nel proprio cammino. Ecco perché, in verità, metterei per prima cosa il grande incontro speciale che reso possibile questo mio lungo percorso». Lo può raccontare? «Certo, è quello con Cristina Mazzavillani Muti, avvenuto molti anni fa, prim’ancora che vedesse la luce il festival. Ci siamo incontrati al teatro alla Scala di Milano dove ero impegnato nelle coreografie di Orfeo ed Euridice di Gluck, con la regia di Riccardo Muti. Lei mi ha voluto conoscere e mi ha subito
chiesto di collaborare con lei, dicendomi: “Ho bisogno di persone come lei!”. Mai affermazione fu più profetica se si considera che lavoriamo ancora insieme dopo così tanto tempo. In questo senso, Le maître et la ville è una grande prova di stima, in quanto consente di far seguire al pubblico l’evoluzione di un artista. Spero che trascorsi 25 anni questo rapporto non veda la fine, ma anzi sia una porta aperta per un ulteriore voyage». ❍ Sopra, l’Ensemble di Micha Van Hoecke (il coreografo è il secondo da destra). Sotto, piccole allieve delle scuole di danza ravennati
78RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 13:39 Pagina 74
78 ricostruzioni coreografiche Ravenna Festival Magazine 2014
La poesia del corpo di Pupilla e i fertili frutti della Terramara Con il progetto Ric.ci, di nuovo in scena le opere di danza sperimentali firmate Valeria Magli e Abbondanza/Bertoni DI LINDA LANDI
Tempo di tornare a Ravenna per la “danza dei ritorni” del progetto Ric.ci/Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ‘80/ '90, curato da Marinella Guatterini e giunto alla sua quarta primavera. Dopo Duetto (1989) di Virgilio Sieni e Alessandro Certini, Calore (1982) di Enzo Cosimi e La boule de neige (1985) di Fabrizio Monteverde, quest’oggi si rientra nel 1983 con Pupilla (1983/2014) (martedì 16 giugno, Teatro Rasi) di Valeria Magli, musa senza epigoni della “poesia ballerina” (ricerca basata sulla messa in scena di poesie contemporanee), per sconfinare poi nei più giovani Anni ’90 con Terramara (1991/ 2013), la coreografia del duo Abbondanza-Bertoni (giovedì 12 giugno, sempre al Rasi). La suggestione rotonda del titolo Pupilla riflette l’ardito sperimentalismo della bellissima bolognese d’adozione milanese, una laurea in estetica con Anceschi e la capacità di unire parole, musica, oggetti e movimenti secondo una fantasiosa grammatica senza regole predefinite. Forte di collaborazioni con geniali personalità artistiche del Novecento, come John Cage e Merce Cunningham, due dei padri della performance, in Pupilla dà origine all’antica poesia del corpo
Pupilla
umano in dialogo con un doppio meccanico e perturbante, imitazione dell’esistenza, ma privo dell’elemento fondamentale: il soffio vitale. «Un unicum nella nostra tradizione del nuovo [...] un lontano spettacolo allegro e torbido, infantile e inquietante», scrive Guatterini, che riaffiora nella completezza dei cinque quadri non integralmente rappresentati nella versione originale, e che ora vengono riproposti interpretati da tre giovani danzatrici della DanceHaus Company di Susanna Beltrami. Evocazioni autobiografiche riaffiorano offrendo stralci di visioni dell’infanzia, le musiche ascoltate dai nonni su cui danzava, e quelle della Parigi Anni ’20 ai tempi di Edith Piaf bambina e di Jean Cocteau, che sanno di Midnight in Paris. E, curiosità di costume, l’aristocratico taglio delle immagini offerte dalla Magli ha ispirato oggi anche una linea di moda ucraina (il brand Bevza). Di tutt’altro registro è la più recente tra le coreografie prescelte, Terramara (1991/2013), nata dalla freschezza progettuale di una
coppia – Michele Abbondanza e Antonella Bertoni –, nonchè compagnia di neonata costituzione, concepita sotto l’egida della scuderia Carolyn Carlson e, per Abbondanza, sul fertile humus dei Sosta Palmizi. Una composita etnia di sonorità ungheresi, indiane, rumene e siciliane per un’ora di virtuosismo mediterraneo che reclama ad alta voce il proprio ruolo dinanzi a un panorama critico – quello degli Anni ’80 – spiccatamente esterofilo. Una rimeditazione sulle antiche vestigia del tempo e sulla generazione fruttifera del maschile e del femminile, con un titolo denso di significati. La “terramara” infatti era un tipo di insediamento umano risalente all'Età del Bronzo, situato nella zona della Pianura Padana e formato come un villaggio di capanne attorniato da strutture difensive o protettive dalle acque. Deriva da terramarna, un fertile terreno ricco di sostanze organiche, conseguenza dello stanziamento umano e animale, ma richiama anche il concetto di “amaro” che late e riaffiora. Una storia d'amore danzata a tinte arancio, sul tempo
Terramara
del lavoro, di cui trasporta sul palcoscenico gerle piene di frutti e la paglia dei campi, per rappresentare un’essenzialità frugale al ritmo scandito dalle stagioni, che affonda le radici nell’infanzia. Con le parole di Abbondanza: «Ricordo da piccolo, quando mio padre mi offriva certe arance arrivate dal sud e con orgoglio ostentava il fatto che avessero "i figli": spicchi più piccoli gonfi di succo, attaccati ai grandi spicchi che formavano il frutto. Ricordo ancora quanto erano per me “speciali” quelle piccole parti, più preziose del tutto, tanto da apparire e quindi essere, più buone. Il piccolo si identificava col piccolo, cannibalizzandolo per acquisire quell'essenza speciale». ❍
DUOMO PASTICCERIA PAG RFM:Rafest mastro 28/05/14 18.17 Pagina 1
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80-81RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 11:03 Pagina 72
80 danza moderna Ravenna Festival Magazine 2014
Fra luce Le ammalianti coreografie del Ballet du Grand Théaâtre de Genève
DI
ROBERTA BEZZI
Quello con il Ballet du Grand Théâtre di Ginevra è il terzo appuntamento con la danza al Ravenna Festival 2014. Sabato 21 giugno (ore 21.30), al Palazzo Mauro De André sarà possibile ammirare due importanti coreografie in esclusiva per l’Italia:
Lux firmata dallo svizzero Ken Ossola e Glory dal greco Adonis Foniadakis. La prima parte del dittico è un dialogo fra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre, in cui alla fine a vincere sono la vita e la luce, conducendo a un orizzonte di serenità e chiarezza, grazie anche alle musiche di Gabriel Fauré che non lasciano
dal 1989
indifferenti. Così il compositore francese descriveva il suo Requiem: «Hanno detto che non esprime il terrore della morte, altri invece lo hanno definito come una ninnananna della morte. Ma è proprio così che io percepisco la morte: una fortunata liberazione, un’aspirazione alla felicità dell’aldilà, piuttosto che
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80-81RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 11:03 Pagina 73
danza moderna 81 Ravenna Festival Magazine 2014 un passaggio doloroso». Il risultato è una composizione felicemente corale, ritmata da impeti speranzosi, quasi un ritorno alla condizione di un’umanità ancora innocente. In gruppi da tre o quattro o in ensemble che coinvolgono tutta la compagnia, i danzatori interpretano alla perfezione «un divertissement profano su una partitura intensamente religiosa», come ha scritto Benjamin Chaix su “La Tribune de Genève”. Dopo l’intervallo, è la volta di Glory di Foniadakis che sceglie le rutilanti architetture sonore di un maestro incontestato del barocco: Georg Friedrich Haendel. Sul palcoscenico i danzatori sono abili a muoversi come figure di un bassorilievo classico, dimostrando una fisicità flessuosamente plastica. Grazie alla presenza di una nuova generazioni di coreografi, abili nel sovvertire i generi, il Ballet du Grand Théâtre de
Genève è ora uno dei più brillanti sulla scena europea. L’ensemble nasce nel 1962 quando il principale teatro d’opera ginevrino decide di arricchire la sua attività artistica dotandosi di una compagnia stabile. Fino al quel momento aveva ospitato artisti provenienti da altre compagnie, in particolare Isadora Duncan e Vaslav Nijinsky con i Ballets Russes all’inizio del secolo. Da allora si sono succeduti diversi direttori: Janine Charrat, Serge Golovine, Patricia Neary – che ha avuto il merito di avvalersi di George Balanchine come consulente dal 1970 al ’78 –, Peter Van Dyck, Oscar Araiz, Gradimir Pankov, François Passard e Giorgio Mancini. Il complesso, oggi guidato da Philippe Cohen e formato da una ventina di danzatori di formazione classica, ha esplorato sin dagli esordi la pluralità stilistica e l’eclettismo tecnico del teatro di danza del ventesimo secolo. ❍
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82RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 17:52 Pagina 58
82 talenti africani Ravenna Festival Magazine 2014
Rituale di corpi che rivelano Souls di Olivier Dubois, tellurica coreografia con sei danzatori del continente africano DI LINDA LANDI
«Immaginate se noi, sei miliardi di persone, decidessimo contemporaneamente di fare un passo nel senso inverso alla rotazione della terra... metteremmo l'ordine del mondo e il destino in discussione e quindi giocheremmo a fare gli dèi». La direzione del moto come contraddizione delle leggi fisiche, il peso specifico dell’uomo in tutte le sue più recondite instrospezioni, la fascinazione per il primitivismo, quasi nella direzione filosofica che si rifa al mito del “buon selvaggio”: è un Olivier Dubois promettente ed ambizioso quello che sussurra al nostro orecchio i temi di Souls in programma venerdì 27 giugno al
un’
anima
Palazzo De Andrè. E forse non mancherà nemmeno la follia sul palcoscenico calcato dai sei danzatori africani, ognuno proveniente da un Paese differente, ma posseduti in primo luogo da un quasi religioso richiamo allo scabroso genio di Nijinski, già ispiratore del coreografo francese nel 2008 in
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Faune(s) presentato al Festival di Avignone. E nuovamente la danza si fa rituale, una danza delle radici, con quell’approccio diretto e un po’ animista che le genti d’Africa sembrano aver serbato senza subire l’entropia delle nevrosi occidentali. Movimenti lenti e trascinati su una distesa di sabbia, un po’ culla e un po’ sepoltura, dove la rappresentazione della vita e della sua incessante ricerca circolare che unisce l’individuo all’universalità degli umani, porta sempre con sè l’ombra macabra e necessaria della morte, come lato nascosto della stessa medaglia. E Dubois sembra proprio non temere la morte, mentre indaga i solchi tracciati dai danzatori con pazienza certosina: non è questo un tempo che si teme di lasciare fuggire, come non lo è il riverbero dei movimenti e la sua eco incrementale che giganteggia oltre l’uomo. D’altronde, dai lavori per il Balletto Nazionale di Marsiglia nell’ambito di Marsiglia 2013 – Capitale Europea della Cultura, alla direzione del Centre Chorégraphique National de Roubaix Nord - Pas De Calais ereditata da Carolyn Carlson, fino ai workshop in numerosi Paesi esteri, la carriera del coreografo francese classe ’72 , dal 1999 è punteggiata dalle collaborazioni con
tanti autori e compagnie celebri nel mondo (Sasha Waltz e Cirque du Soleil - Dragone, per citarne solo due) e vanta una versatilità che lo ha consacrato nel firmamento delle voci più interessanti dell’arte coreutica contemporanea, tanto che, nel 2011, la rivista “Dance Europe” lo annovera nella classifica dei 25 migliori danzatori del mondo. ❍
83RFM2014:Rafest mastro 03/06/14 22:00 Pagina 28
performance 83 Ravenna Festival Magazine 2014
gruppo nanou: 1914
DI LINDA LANDI
“Un luogo fresco di restauro”, una performance “Strettamente confidenziale” nata per quelle pareti, quei pavimenti, quelle atmosfere: venerdì 13 e sabato 14 giugno il ravennate gruppo nanou ci aspetta a Palazzo Rasponi per 1914. Marco Valerio Amico, mente del gruppo insieme a Rhuena Bracci e Roberto Rettura, racconta la nuova produzione 2014 per il Ravenna Festival, con il sostegno di E e di Cantieri. Il nome di questo lavoro lascia intendere un coinvolgimento intimo dello spettatore all’interno dell’opera: come si è innescata la gestazione del progetto e in cosa consiste questo particolare rapporto? «Nasce in concertazione con Franco Masotti: 1914 è il capitolo di un percorso, un lavoro di relazione che si concepisce nello spazio in modo irripetibile. Nasce dalla deflagrazione delle immagini, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, seguendo un filo che, passa per le Avanguardie storiche, fino a Francis Bacon e arriva agli Anni ’70. La parte “confidente” sta nel coinvolgere il pubblico nella fase creativa dell’opera, intesa come insieme di indizi, e non prove: come se fosse una scena del crimine che lo spettatore indaga da solo, o come un cassetto pieno di fotografie in cui guardare
cercando una propria relazione con gli oggetti». È il ruolo importante del frammento che vi porta a definire 1914 “un’installazione con atti performativi”, come a voler rimarcare una componente legata alle arti visive, oltre a quella performativa? «L’arte visiva c’entra come una sorta di architettura, come costruzione dell’habitat. La parte performativa – quella di Rhuena – è poi quella che dà il ritmo,la direzionalità in un labirinto attrattivo che invita a perdersi, più che a trovare un percorso». Memoria, sedimento, intimismo, perdere il percorso: oltre a Carroll ricorda anche Proust? «La tana del Bianconiglio, la Recherche riecheggiano, ma il richiamo più forte va nella direzione di Pessoa, in un disegno dentro la copertina delle Lettere alla fidanzata pubbicato da Adelphi, in cui l’autore disegna il percorso più lungo possibile per riportare a casa l’amata». A proposito di percorsi: se dovessi tracciare quello dei Nanou, da Namoro del 2005 a oggi? «È stato un approfondimento di quello che già conteneva Namoro. Non a caso, anche qui si partiva da Pessoa: “namoro” è il termine portoghese utilizzato per definire la scintilla dell’innamoramento, la
tensione erotica che avvia tutti gli altri meccanismi. Così noi perseguiamo l’organicità di un film, con movimento, musica e luce,
cercando di attrarre lo sguardo nel nostro mondo un po’ come nel capolavoro La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock». ❍
84-85RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 21:30 Pagina 84
84 trilogia d’autunno Ravenna Festival Magazine 2014
Teatro Mariinskij un mito del DI
balletto classico in scena
ROBERTA BEZZI
Dopo il successo dello scorso anno, con l’allestimento di tre opere verdiane, ritorna l’inedita pagina fuori stagione del Ravenna Festival che prenderà forma in un ambizioso progetto: la messa in scena, sul palco del Teatro Alighieri e nel giro di una manciata di giorni, della “Trilogia d’autunno”, consacrata al Balletto e all’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, una delle più leggendarie compagnie di danza esistenti. Una sorta di maratona del balletto, dal 2 all’8 ottobre, con tre capolavori indiscussi: Il Lago dei cigni, Trittico ‘900 e Giselle. L’apertura il 2 – e con replica il 3 e il 7 ottobre alle 20.30 – è affidata al titolo emblema del repertorio russo: Il Lago dei cigni, presentato nell’edizione sovietica con adattamento e messa in scena di Konstantin Sergeev, struggente e adamantina, più di ogni altra erede dell’originale di Petipa-Ivanov, su musica di Tchaikovsky. Un successo di fama planetaria che incarna tutti gli ideali del tardo Romanticismo: un principe combattuto tra l’ideale di un amore puro e la passione carnale, con due personaggi femminili agli antipodi, ossia la pura
Odette e la perfida Odille. Mentre la prima porta sul palcoscenico una danza eterea e raffinata, la seconda stupisce con i virtuosismi più estremi. Si prosegue il 4 e 8 ottobre con Giselle, capolavoro del balletto romantico francese proprio dal Mariinskij preservato grazie alle redazioni di Petipa, che rivela il volto lirico della splendida troupe. Autore del libretto è Théophile Gautier, un romanziere francese che ebbe l’idea sfogliando le pagine del romanzo De l’Allemagne di Heinrich Heine, attratto dalla leggenda dei villi, spiriti della tradizione slava, molto simili agli elfi. Scritto nel 1841, ispirandosi alla ballerina Carlotta Grisi, di cui era un fervente ammiratore. Una storia d’amore, tradimento e
redenzione in cui i protagonisti, nello sviluppo coreografico, devono variare il registro tecnico-espressivo dall’allegria alla disperazione, dalla scanzonata padronanza di sé alla consapevolezza che la vita non ha scopo senza amore. Nel corso degli anni, i ruoli principali di Giselle e di Albrecht sono stati interpretati dai nomi della danza più famosi: Alicia Alonso, Carla Fracci, Alessandra Ferri e Svetlana Zakharova, Rudolf Nureyev, Roberto Bolle, solo per citarne alcuni. Rispetto ad altri balletti, Giselle non ha subito significative modifiche per quanto riguarda le coreografie nel corso del tempo, a differenza di altri reinscenati completamente. L’ultima rappresentazione originale all’Opéra
National de Paris risale al 1868 ed è solo in seguito, con l’arrivo di Marius Petipa, fratello di Lucien Petipa e primo interprete del balletto, che Giselle viene adattata alla tradizione della Scuola Russa. Petipa apporta dei tagli soprattutto nelle scene mimate e nella variazione che la protagonista esegue nel primo atto. Si conclude domenica 5 (con due repliche, alle 15.30 e 20.30) e lunedì 6 ottobre, con Trittico ‘900 che recupera una storia interrotta: con Chopiniana di Fokin preludio della modernità che al Mariinskij vide la luce, l’abbacinante Apollo manifesto del neoclassicismo e lo scintillante Rubies, gioiello della parure Jewels, ideati entrambi da George Balanchine, il fondatore del balletto americano cresciuto alla Scuola imperiale di San Pietroburgo. La Mariinskij Ballet Company è strettamente correlata all’intera storia dell’arte coreografica russa nata circa 250 anni fa. Dal 1783 la compagnia si esibisce sul palcoscenico del St. Petersburg Bolshov Theatre, mentre dal 1885 in poi le produzioni di balletto si tengono al Mariinskij Theatre che, in passato durante l’epoca sovietica, si chiamava Teatro Kirov (in onore di Sergej Kirov, rivoluzionario
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trilogia d’autunno 85 Ravenna Festival Magazine 2014
Quest’anno, per la “Trilogia d’Autunno” il festival ospita il corpo di ballo e l’orchestra del teatro di San Pietroburgo con l’allestimento di tre capolavori: Il Lago dei cigni, Giselle e l’antologia Trittico ‘900 e politico sovietico), e in epoca zarista teatro imperiale di San Pietroburgo. Il nome attuale lo si deve a un omaggio alla principessa Maria Aleksandrovna, imperatrice di Russia e moglie dello zar Alessandro II. Negli anni prima del Novecento la compagnia era conosciuta come Balletto Imperiale. In seguito all’assassinio di Kirov nel 1934, la compagnia è stata ribattezzata Kirov Ballet, poi riconvertita al nome originale nel 1991 dopo la caduta del
comunismo. Oltre a un corpo di ballo, il Mariinskij Theatre dispone di una propria orchestra, di cantanti lirici e di una accademia di formazione per giovani artisti, oltre a tutti reparti interni e servizi inerenti alle necessitò di un grande teatro (scenografie, sartorie, tecnici, etc.). Un importante ruolo nell’evoluzione del balletto russo è stato esercitato da diversi maestri stranieri. Si deve soprattutto a Marius Petipa, che nel 1869 ricopriva la posizione di maître
de ballet, il livello altamente professionale raggiunto dalla compagnia, grazie anche alla collaborazione con i compositori Peter Tchaikovsky e Alexander Glazunov. All’inizio del Novecento la compagnia è all’apice mondiale con grandi ballerini del calibro di Anna Pavlova e Vaslav Nijinsky, durante le leggendarie Stagioni Russe a Parigi con i lavori pionieristici di Michele Fokine. Un altro storico periodo è, alla fine
degli anni Settanta, grazie alla collaborazione con Roland Petit e Maurice Béjart. Nel 1989 poi, il Mariinskij Theatre manda per la prima volta in scena i balletti dell’eccezionale George Balanchine, mentre nella successiva decade di Kenneth MacMillan e John Neumeier. E anche in anni recenti, è aumentato il numero delle prime mondiali che rendono questa compagnia una delle più fertili al mondo. ❍
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86 melodramma a cena Ravenna Festival Magazine 2014
E l’opera va in osteria per essere vista davvero da vicino
DI FEDERICA ANGELINI
Hanno portato l’opera lirica fuori dai grandi teatri per rappresentarla nei cosiddetti Pub Theatre, una realtà molto inglese fatta di sale che nascono accanto a famosi pub per spettacoli in genere più “popular”, in alcuni casi addirittura in disuso. E così, grazie al loro lavoro, peraltro pluripremiato, della crew OperaUpClose, ossia “l’opera da vicino”, ha allestito classici come La bohème o L’elisir d’amore, i due spettacoli che proporranno anche a Ravenna, all’osteria del Mariani di via Ponte Marino per una prima assoluta in Italia (dal 15 al 17 giugno con Donizetti’s L’elisir d’amore e dal 19 al 21 giugno con Puccini’s La bohème). Abbiamo colto l’occasione per conoscere meglio l’originale lavoro di questa compagnia unica al mondo intervistando la regista e direttrice artistica trentaquattrenne Robin NortonHale. Perché proprio l’opera? Non sarebbe stato più semplice
Dai Theatre Pub al Mariani, per la prima volta in Italia OperaUpClose. Intervista alla regista Robin Norton-Hale portare davanti a platee così informali un altro tipo di teatro? «Beh, l’opera è una forma di teatro che comprende musica, sia strumentale che vocale, recitazione, o almeno dovrebbe, un elemento visivo molto forte dato dai costumi e dalle scenografie. La combinazione di questi elementi può avere, credo, un impatto emotivo sul pubblico che può riguardare anche il livello inconscio. Uno spettatore è certo consapevole del perché ama ciò che sta vedendo, ma credo che l’elemento della musica combinato a quello della narrazione eserciti un effetto molto potente: le persone si innamorano dell’opera e talvolta possono emozionarsi senza sapere bene perché, proprio per le diverse angolazioni di questa
Due immagini di Puccini’s La bohème di OperaUpClose, ambientata ai giorni nostri con protagonisti un gruppo di studenti
forma teatrale. E siccome io amo moltissimo la lirica, vorrei che quante più persone possibile la conoscessero e andassero all’opera». Quindi lo scopo è rendere l’opera più accessibile? «Produrre un’opera con l’intera orchestra, le scene, gli attori è molto costoso e così, nonostante i finanziamenti pubblici, i grandi teatri stabili non possono nemmeno volendo ridurre troppo il costo del biglietto. Questo per molte persone è un problema. Quando magari ci sono i biglietti scontati, a dieci o venti sterline, sono per posti molto lontani, o in loggione, e questo può non facilitare un pubblico che già non conosce questo genere. Per esempio, magari non ci si accorge di quanti cantanti lirici siano anche ottimi attori. Non critico i teatri stabili per questo, perché so quanto può costare mettere in scena un’opera. Noi cerchiamo di portare l’opera più vicina al pubblico, con produzioni ridotte ed economicamente più accessibili. La nostra proposta non vuole essere alternativa, ma aggiuntiva. Il nostro tipo di spettacolo è un “anche” non un “invece”». A quale pubblico vi rivolgete? «Ci sono persone che non hanno mai visto l’opera prima, che con noi imparano a conoscerla, e che poi magari scelgono di andare anche all’Opera House per le grandi produzioni. Ma direi che almeno una metà del nostro pubblico è fatto di persone che già conoscono l’opera e che semplicemente apprezzano anche il nostro tipo di allestimento. Il nostro lavoro non è solo per beginners e non c’è nessun approccio paternalistico o didattico. Noi cerchiamo di allestire l’opera meglio che possiamo e il più fedelmente possibile». Fedelmente? Eppure spostate ambientazioni e addirittura avete tradotto i testi in inglese… «Cambiare epoca o
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melodramma a cena 87 Ravenna Festival Magazine 2014
ambientazione non è certo una novità. La fedeltà che cerchiamo di mantenere è quella al modo in cui l’essere umano si comporta nella storia. Poi ci sono produzioni come La bohème che sono molto realistiche e altre come L’elisir che è più fantastica, quasi in uno stile technicolor anni 50, con soli cinque cantanti. Ma la fedeltà allo spirito resta, come quando traduciamo i testi che devono
rispettare anche il ritmo della musica e non possono restare alla lettera. E facciamo tutto sempre con il massimo rispetto». Questa è la vostra prima volta in Italia. Cosa vi aspettate dal pubblico italiano? «In effetti sono un po’ tesa rispetto a questa cosa. Eravamo stati invitati in passato ma abbiamo sempre declinato
perché ci veniva chiesto di ritradurre il testo in italiano e questo non è possibile. Una parte importante del nostro lavoro è proprio quella, in Inghilterra, di cantare nella lingua del pubblico, elemento che qui mancherà, anche se magari ci potrebbe essere una platea in parte internazionale. Spero che la gente, come accade in Inghilterra, capisca il rispetto e l’amore che proviamo verso l’originale. Con le grandi opere si possono fare tantissime cose. Sono un po’ come Shakespeare. Sopravvivono a qualsiasi rilettura, riscrittura o allestimento. E credo anzi che il pubblico chieda nuove e diverse interpretazioni, in questo modo si può tornare a vedere un lavoro di
Shakespeare o un’opera lirica infinite volte, perché non è mai la stessa opera, è sempre un’esperienza nuova». A Ravenna vi esibierete durante una cena in un ex teatro che ora è un’osteria. Una situazione in realtà piuttosto diversa dai theatre pub dove siete nati… “Sì, il theatre pub è una realtà molto inglese. In genere si tratta di due ambienti separati, dove un piccolo teatro è accanto o sopra un pub. Ci è capitato per alcune opere anche di fare parte degli spettacoli nell’ambiente del pub, ma non siamo una compagnia site specific. Abbiamo fatto un sopralluogo e credo che dovremo fare qualche intervento per far tornare il Mariani un po’ più teatro, ma dovremmo anche noi adattarci, e questo per noi è una nuova sfida e credo possa benissimo servire a veicolare il giusto messaggio: l’opera non va trattata con riverenza, ma con rispetto». ❍ Una foto di L’elisir d’amore ambientata nella Hollywood degli anni Cinquanta nella produzione di OperaUpClose.
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88 musica popolare Ravenna Festival Magazine 2014
Capossela, la Banda e armonie bestiali DI MATTEO CAVEZZALI
Beve solo quando lavora, perché «la vita va corretta, eccome, è troppo dura da buttare giù liscia» e quando sente per strada una banda sbilenca di vecchi musicisti di suonatori del piccolo paesino di Calitri, in alta Irpinia si innamora di loro e decide di portarli con sé a suonare in giro per il mondo. Se lo devi incontrare e prendi un appuntamento scompare nel nulla, per poi riapparire dove meno te lo aspetti. Il poeta maledetto della musica italiana, Vinicio Capossela, è tipo imprevedibile, come lo sono gli artisti di razza. Sarà ospite con due spettacoli al Ravenna Festival: uno è il concerto con la Banda della Posta di Calitri, l’altro è un concerto “teatrale” (sarà con lui
anche l’attrice Ermanna Montanari) intitolato Il carnevale degli animali e altre bestie d’amore. Il primo concerto ripercorre i classici balli da matrimonio anni ’50 rivisitati in salsa caposseliana «Lo sposalizio – spiega Vinicio – è stato il corpo e il pane della comunità. Il mattone fondante della comunità, veniva consumato con il cibo e con la musica. Questa musica che accompagnava il rito era musica umile, da ballo, adatta ad alleggerire le cannazze di maccheroni e a “sponzare” le camicie bianche, che finivano madide e inzuppate, come i cristiani che le indossavano. Un repertorio di mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantella, quadriglia e fox trot, che era in fondo comune nell'Italia degli anni ‘50 e ‘60 e che si è codificato
come una specie di classico del genere in un periodo nel quale lo “sposalizio” è stata la principale occasione di musica, incontro e ballo. A Calitri, in alta Irpinia, qualche anno fa, un gruppo di anziani suonatori di quell'epoca aurea non priva di miseria, ha preso l'abitudine di ritrovarsi davanti alla posta nel pomeriggio assolato. Montavano la guardia alla posta, per controllare l'arrivo della pensione. Quando l'assegno arrivava, sollevati tiravano fuori gli strumenti dalle custodie e si facevano una suonata. Il loro repertorio fa alzare i piedi e la polvere e fa mettere ad ammollo le camicie sui pantaloni. Ci ricorda cose semplici e
durature. Lo eseguono impassibili e solenni, dall'alto del migliaio di sposalizi in cui hanno sgranato i colpi. Per questo si sono guadagnati il nome di Banda della Posta». Nel concerto compaiono omaggi a cantanti da emigrazione ferroviaria come Salvatore Adamo, Rocco Granata e Adriano Celentano, brani provenienti
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musica popolare 89 Ravenna Festival Magazine 2014
dalla tradizione rurale locale e di Matteo Salvatore, esotismi western mariachi, per un concerto che unisce senso della frontiera e musica da ballo, i trilli di mandolini dei fratelli Briuolo e la chitarra surf di Asso Stefana, l'aia e il dancing da veglione. Capossela, vestito a festa, è a volte cerimoniere, istigatore di ballo, cantante in piedi all'asta del microfono, e soprattutto sodale garante e "caporeparto" della Banda della Posta. Nel “carnevale degli animali” invece Capossela parte dal componimento di Camille Saint-Saens nel 1886 e una serie di canzoni dello stesso Vinicio , cucite insieme in un racconto che ci porta a spasso tra le storie di animali celebri, simbolismi e bestiari. Bestie cantate per farci un giro da “bestie incantate”, come venivano chiamate le creature che si esibivano con i saltimbanchi. Assieme a Capossela e il suo ensemble, sarà in scena il Trio Amadei e i Solisti della Vianiner Philharmoniker. Vinicio spiega così l’idea che ha dato vita al progetto: «I bestiari medievali studiavano gli animali, seppur non in senso zoologico o scientifico, ma per
uscire dal reale ed entrare nel vero. Le nature degli animali rappresentano le tante nature dell'uomo, dell'amore, del peccato. La signoria dell'uomo, trasformata man mano in indifferenza, cecità, non conoscenza. Gli animali sono usciti dalle nostre vite e sono entrati nei cartoni animati e nei documentari, oppure sulla tavola, dove si consuma il nostro principale rapporto con loro: mangiarli. Stanno lì... grandi sfingi di pietra... come non si siano organizzati per scacciare l'uomo, resta un mistero... custodi di templi, accompagnatori di deità, o
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forse Dei essi stessi, come l'orso che per i siberiani era un Dio in persona. Rinunciare agli animali è amputarsi dell'accesso alla natura che, come dice Psarantonis, è il Dio. Dunque l'animale è la manifestazione del divino... di un’altra lingua che si parla sulla terra... quella che fa dire a Céline, ammirato, in morte del suo cane: “Se ne è andata dopo tre piccoli rantoli, senza lamentarsi... in posizione davvero bellissima, come in pieno slancio, in fuga... il naso puntato verso il nord, verso le sue foreste, là in alto, da dove veniva...
senza trallalà, la messa in scena che nuoce sempre agli uomini”. Nell'amore siamo governati dalla nostra parte più istintuale. Possiamo studiare, come ha fatto Richard de Fournival, i comportamenti, le nature che si rivelano nel sentimento amoroso, paragonandole a quelle degli animali, come erano conosciuti nel Medioevo. Il bestiario d'amore è lo zoo che conteniamo in noi stessi, quando la passione apre le gabbie. Bestie cantate e incantate, come venivano chiamate le bestie che si esibivano con i saltimbanchi. Solo che le bestie sotto incantesimo siamo noi, come ben scrive James Hillman in Animali del sogno: “... Chi sono, gli animali che compaiono nei nostri sogni, e perché vengono proprio a noi che abbiamo trascorso gli ultimi due secoli a sterminarli regolarmente, a un ritmo sempre più rapido, senza pietà, specie per specie, in ogni parte del mondo? Eppure con quanta incrollabile fiducia continuano a entrare nella nostra anima del sogno, nelle nostre fantasie infantili, nel nostro immaginario artistico...”. Addentrarci in questo sogno è lo scopo del nostro concerto». ❍
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festa popolare 91 Ravenna Festival Magazine 2014
Giovanni Sollima sarà il maestro concertatore di un atteso appunatmento di musica e balli a Palazzo San Giacomo di Russi per una scatenata Notte della Taranta
Un violoncello ben tarantolato DI
ROBERTO VALENTINO
L’irresistibile ritmo della pizzica salentina, meglio nota come taranta, contagerà presto anche il pubblico del Ravenna Festival: sabato 28 giugno si esibirà a Russi l’Orchestra Popolare La Notte della Taranta sotto la guida del violoncellista Giovanni Sollima, che dal 2013 ne è Maestro Concertatore. Sicuramente un evento da non perdere per chi ama lasciarsi andare a ritmi che, per usare le parole dello stesso musicista siciliano, «scatenano il corpo e generano danza, come il respiro genera canto e viceversa». La taranta è una delle più antiche espressioni delle tradizioni popolari del Sud Itala e di tutto il bacino del Mediterraneo. Le vorticose danze che scatena vengono fatte risalire al morso dei ragni, che provoca convulsioni e uno stato mentale prossimo alla trance. Un fenomeno che al tempo stesso è leggenda e cultura e che dal 1998 viene fatto rivivere musicalmente da un festival itinerante che si svolge in tutto il Salento e che reca il nome de “La notte della Taranta”. Il finale del festival è un “concertone”, sempre affollatissimo, che si svolge a Melpignano e che ha come protagonista l’Orchestra Popolare (fondata ufficialmente nel 2004 e costituita dai migliori musicisti tradizionali del Salento) e ospiti vari, nazionali e internazionali, coordinati dal Maestro Concertatore. In questo ruolo si sono alternati sino ad oggi Daniele
Sepe, Piero Milesi, Joe Zawinul, Vittorio Cosma, l’ex Police Stewart Copeland, Ambrogio Sparagna, Mauro Pagani, Ludovico Einaudi, Goran Bregovic e, appunto, Giovanni Sollima. Non solo più esclusivamente tradizione locale, la taranta travalica oggi confini geografici e musicali, si fa portatrice di un messaggio trasversale, universale. Compositore e strumentista di formazione classica ma aperto a molteplici influssi (anche provenienti dal mondo del rock) ed esperienze, Giovanni Sollima è compositore e musicista fuori dal comune, eclettico e persino un po’ spregiudicato. Cresciuto in una famiglia di musicisti, ha studiato nella sua città, Palermo, e poi avviato una carriera internazionale che, sin da giovanissimo, lo ha via via portato a collaborare con personalità diversissime fra loro come Claudio Abbado, Giuseppe Sinopoli, Jörg Demus, Martha Argerich, Riccardo Muti, Yuri Bashmet, Katia e Marielle Labèque, Ruggero Raimondi, Bruno Canino, DJ Scanner, Victoria Mullova, Patti Smith, Philip Glass e Yo-Yo Ma. Come solista, leader della Giovanni Sollima Band e componente di altri ensemble si è esibito in luoghi istituzionali della musica (incluso il Teatro alla Scala) ma anche in spazi alternativi. Insieme al collega Enrico Melozzi, ha dato vita al progetto dei “100 Cellos”, autentico laboratorio orchestrale nato nel 2012 all’interno del Teatro Valle Occupato di Roma, con lo scopo di dimostrare che si possono
abbattere anche barriere di carattere pratico, coinvolgendo musicisti di età e formazione diversa. E poi ci sono le collaborazioni nel campo della danza (Karole Armitage e Carolyn Carlson) del teatro (Bob Wilson, Alessandro Baricco e Peter Stein) e del cinema (Marco Tullio Giordana,
Peter Greenaway, John Turturro e Lasse Gjertsen). Di recente, la prestigiosa Chicago Symphony Orchestra gli ha commissionato un concerto per due violoncelli, eseguito insieme a Yo-Yo Ma. Insomma, mancava solo un tuffo nel Mare Nostrum: la taranta vi ha posto rimedio. ❍
92-93RFM2014:Rafest mastro 30/05/14 09:08 Pagina 72
92 pop Ravenna Festival Magazine 2014
La chitarra, la voce Basta con i paragoni: lei è solo Anna Calvi DI MATTEO FABBRI
Quanti possono fregiarsi, nell'anno 2014, di aver ricevuto i complimenti (e i servigi) del maestro Brian Eno in carne e ossa? Se, come in questo caso, è stato addirittura il produttorecompositore britannico in persona a cercare l'artista in questione, quantomeno un occhio di riguardo bisogna averlo. Qui però si sta parlando di musica e, sebbene anche l'occhio voglia la sua parte (e qui verranno soddisfatti anche coloro che, in maniera del tutto lecita, in un musicista apprezzano anche il lato estetico), sono le orecchie quelle che devono drizzarsi. Ed è davvero
difficile che rimangano indifferenti alla formula proposta da tale Anna Calvi. Le chiare origini italiane del nome non tradiscano la sua provenienza: questa è inglese vera, nata e cresciuta nella periferia londinese dove ha imbracciato fin da piccola la chitarra. Ecco: la chitarra, appunto. Il primo marchio di fabbrica, riconoscibile in una produzione che attualmente si limita a un paio di dischi ufficiali: l'omonimo, uscito nel 2011, acclamato da critica e, in misura minore, pubblico (quello di settore soprattutto); e One Breath, lavoro pubblicato lo scorso anno ma accolto tiepidamente (in effetti il livello medio delle canzoni è calato). Il suo è un pop rock sanguigno e
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pop 93 Ravenna Festival Magazine 2014
passionale, fuori dai soliti schemi, con forti venature blues e quell'eleganza, in bilico tra il glaciale e il sofisticato, ben rappresentata dalla sua figura: bassina, occhi chiarissimi, sguardo e atteggiamento distante ma allo stesso tempo molto presente (soprattutto sul palco), lineamenti duri, abbigliamento minimale con l'immancabile camicia bianca, rossa o nera, e una posa decisa e convinta. Dicevamo della chitarra... Anna Calvi, prima ancora di colpire con la sua voce tenebrosa, nasce come chitarrista, caratteristica evidente nelle sue composizioni in cui lo strumento la fa da padrone sia nei momenti più tumultuosi e agitati (la riuscitissima e apprezzata “Suzanne And I” ne è un chiaro esempio in tal senso), che in quelli più drammatici e sofferenti (ad esempio all'interno di “No More Words”, in cui viene relegata a pacato contorno). Ma a volte è essa stessa, la chitarra, protagonista come in “Rider To The Sea”: una cavalcata teatrale in cui le sei corde prendono il sopravvento rendendo il brano così ricco e corposo da non accorgersi che potrebbe mancare tutto il resto. Pezzi come questi (ed altri) potrete ascoltarli alla Rocca Brancaleone, in
Anna Calvi dal vivo in una foto di Massimo Serena Monghini
occasione del Ravenna Festival, il prossimo 20 giugno (curiosamente, a tre anni esatti dal concerto che tenne a pochi chilometri di distanza, all'Hanabi di Marina di Ravenna, in una circostanza completamente diversa ma allo stesso modo suggestiva). E sul palco della prestigiosa location, noterete anche il secondo marchio di fabbrica di questa artista: la voce. Il suo pop teso, greve e cupo si fonde
alla perfezione con quella vocalità un poco noir, seriosa, a tratti mascolina e in un certo senso anche umile. Non ha bisogno, per esempio, di mostrare a tutti i costi il vocione come invece ostentano molte sue colleghe. Al contrario sa dosare magistralmente il cantato senza essere pesante o esagerata, risultando sempre in sintonia all'estetica del brano interpretato. I paragoni, per un'artista del genere,
si sprecano e a dire il vero sono molto ingombranti: dall'enigmatica PJ Harvey alla lugubre Siouxsie, fino alla furente Patti Smith. Ma la realtà è un'altra: col suo bagaglio di talento, intelligenza e innata sensualità è riuscita a ritagliarsi uno spazio facilmente riconoscibile nel panorama musicale. Ora non è più “quella che somiglia a...”, ma è semplicemente lei, Anna Calvi. ❍
94RFM2014:Rafest mastro 02/06/14 17:00 Pagina 94
94 tragicomico Ravenna Festival Magazine 2014
L’attore comico Claudio Bisio va in scena con
Father & Son dal best seller di Michele Serra sul rapporto fra padri e figli adolescenti DI
MATTEO CAVEZZALI
Prendete il libro italiano che ha venduto più copie quest anno, scritto dalla firma più nota del più venduto quotidiano nazionale. Prendete
il comico più famoso della televisione. Scuoteteli insieme per 90 minuti e avrete uno spettacolo dal successo garantito. Father and Son è il titolo dello spettacolo di Claudio Bisio ispirato al best seller Gli sdraiati. Michele Serra, firma storica di Repubblica, ha saputo negli anni, fin dai primi articoli su “Cuore”, creare uno stile giornalistico che mescola approfondimento su tematiche strettamente legate all’attualità e una sagace ironia. Questo stile è stato poi trasposto nei suoi romanzi. Claudio Bisio è un volto amatissimo della commedia all’italiana, da grandi film di Gabriele Salvatores come il premio Oscar Mediterraneo, fino alle commedie più leggere come Benvenuti al Sud passando per la comicità (non sempre di alto
Conflitto generazionale:
affetto e ironia livello) di Zelig, in televisione. Father and Son, come si desume facilmente dal titolo parla di un padre e un figlio, un ragazzo adolescente. L’adolescenza è quella parte della vita in cui i bambini più belli e adorabili, che sono stati per dodici o tredi anni al massimo, la gioia dei loro genitori, diventano degli estranei brufolosi sempre di pessimo umore che si lamentano continuamente di tutto. La giornata
Il giornalista e scrittore Michele Serra. Sotto, l’attore Claudio Bisio
perfetta di questo Son, è quella pas-
sata sdraiato sul divano a guardare la TV (magari proprio Zelig!), giocare a Play Station e sfottere i genitori su Facebook. «Sei sdraiato sul divano, immerso in un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole – scrive Serra nel testo – il computer acceso appoggiato sulla pancia. Con la mano destra digiti qualcosa sull’iPhone. La sinistra regge con due dita un lacero testo di chimica. Tra lo schienale e i cuscini vedo l’avanzo di uno dei tuoi alimenti preferiti: un wurstel crudo. La televisione è accesa, a volume altissimo, su una serie americana nella quale due fratelli obesi, con un lessico rudimentale, spiegano come si bonifica una villetta dai ratti. Alle orec-
chie hai le cuffiette collegate all’iPod: è possibile, dunque, che tu stia anche ascoltando musica. Non essendo quadrumane, purtroppo non sei ancora in grado di utilizzare i piedi per altre connessioni; ma si capisce che le tue enormi estremità, abbandonate sul bracciolo, sono un evidente banco di prova per un tuo coetaneo californiano che troverà il modo di trasformare i tuoi alluci in antenne, diventando lui miliardario, e tu uno dei suoi milioni di cavie solventi… Ti guardo, stupefatto. Tu mi guardi, stupefatto della mia stupefazione, e commenti: “È l’evoluzione della specie”. Penso che tu abbia ragione. Ma di quale specie, al momento, non ci è dato sapere». Nello spettacolo ancora inedito, che debutterà proprio al teatro Alighieri, Bisio perderà le staffe seguendo il copione ispirato da Serra, o meglio dal figlio adolescente di Serra, in una sequela di piccole disavventure familiari. Insomma la risata è garantita, soprattutto per chi ha figli che frequentano le superiori, in tre repliche che segneranno sicuramente il tutto esaurito. ❍
PESCHERIA PAG RFM:Rafest mastro 30/05/14 10:17 Pagina 1
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96 talenti africani Ravenna Festival Magazine 2014
DI MATTEO CAVEZZALI
Mandiaye Ndiaye ha una storia unica nel suo genere. Partito dal Senegal tra i molti migranti che fuggono alla fame e alla miseria con un sogno che brontola dentro allo stomaco è riuscito anni dopo a tornare a casa e costruire una realtà teatrale di respiro internazionale. Dopo aver lavorato con Marco Martinelli, che lo aveva “scoperto” in spiaggia mentre vendeva occhiali da sole e braccialettini, l’attore del villaggio Diol Kadd nei pressi di Dakar torna nuovamente al Ravenna Festival con il suo nuovo spettacolo da regista. Dopo aver affrontato le fiabe tradizionali ora Mandiaye si addentra con Opera Lamb nella lotta tradizionale senegalese. Una lotta a metà tra la danza e il rito sociale e religioso composta da movimenti ritmici e ripetuti. Una lotta che i bambini imparano piccolissimi nelle polverose strade di Dakar, ma una lotta non finalizzata a farsi male, ma a temprare lo spirito, con un significato etico ed estetico che può ricordare per certi versi la capoeira brasiliana. Il protagonista dell’opera incontra la disciplina Lamb e sarà per lui occasione di crescita: imparerà un metodo fatto di costanza, rigore fisico e
Bambini
che lottano
Opera Lamb La sfida tempra lo spirito
Nightcommuters Una resistenza collettiva
L’attore Mandiayie NDiaye
spirituale, che lo preparerà al combattimento quotidiano con la vita. Essere Mbeur (lottatore) infatti non
significa soltanto essere atleti, ma diventare saggi, interpretare la lotta come stile di vita. Opera Lamb si basa
sull’incontro fra la grande e ricca tradizione della Lamb come gioco e divertimento delle antiche comunità e
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talenti africani 97 Ravenna Festival Magazine 2014
la grande tradizione artistica della musica, della danza, del racconto, dell’arte senegalese. Opera Lamb mette in scena il diritto alla vita e al futuro delle nuove generazioni senegalesi. In Senagal il Lamb si pratica a tutti i livelli. Nei villaggi, fin da piccoli, i bambini iniziano a combattere imitando i campioni. Nasce come disciplina dilettantistica e sono i francesi che dagli anni Venti organizzano i primi combattimenti con lottatori pagati. Più della lotta in sé è la lunga preparazione che conta e comincia nel momento esatto in cui il match viene fissato. I lottatori si recano immediatamente dal marabout, una personalità che incarna ciò che ha a che fare con la magia e i poteri sovrannaturali. È lui che consiglia gli atleti, che elabora formule magiche per contrastare quelle degli avversari, che allestisce riti propiziatori. Ma è lui, soprattutto, che fornisce ai combattenti gli amuleti, i grigri, creati ad arte, sulla base della forza fisica e spirituale dell'avversario. Una ritualità complessa e profonda che diventa componente essenziale dell'incontro, una festa popolare nella
quale si mescolano vari elementi: sport, religione, magia, spettacolo. Il cast dello spettacolo è formato da quattordici giovani artisti provenienti dalla banlieue di Dakar che hanno partecipato al workshop di teatro e danza nel 2012 in Senegal organizzato dall’associazione Takku Ligey Theatre con il sostegno del progetto Nat (Network for African Talents). Nelle rappresentazioni italiane il gruppo si sarà integrato da artisti senegalesi residenti in Italia, riportando così nuovamente alla luce quel legame sotterraneo tra Senegal e
Romagna che ha dato vita a questa fortunata esperienza artistica. Sempre nell’ambito del Nat, il festival presenta una produzione originale, in prima italiana, intitolata Nightcommuters, bambini che non dormono mai, basata su testi, drammaturgia e video di Guido Barbieri e Oscar Pizzo, per la regia Manfredi Rutelli, con la voce narrante di Yolande Mukagasana, il griot Gabin Dabirè griot, Moustapha Dembele (voce, kora e balaphon), Ismaile Mbaye alle percussioni e gli attori del Centre de Formation et de Recherche en Arts
Vivantes di Ouagadougou, in Burkina Faso. Lo spettacolo – si legge nelle note degli autori – racconta che il «gesto più doloroso che una madre possa compiere per salvare la vita dei propri figli è quello di separarsi da loro. È accaduto, nella storia, milioni di volte: durante la Shoah, nella tragedia dei desaparecidos argentini, nel corso del genocidio in Ruanda. Il dramma della separazione tra madri e figli si è ripetuto, tra il 2002 e il 2005, anche nelle strade dell’Uganda. Per più di tre anni migliaia di bambini e di ragazzi tra i 5 e i 17 anni hanno abbandonato ogni notte le loro case per fuggire ai rapimenti della Lord Resistance Army di Joseph Kony. E ogni notte hanno camminato per dieci, quindici chilometri alla ricerca di un posto sicuro dove riposare. Night Commuters. Bambini che non dormono mai è il racconto di questa straordinaria forma di resistenza, collettiva, spontanea e popolare, ad un destino di morte che sembrava segnato. E che invece è stato sconfitto». ❍
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arte e guerra 99 Ravenna Festival Magazine 2014
Foto di gruppo dei Futuristi (da sinistra): Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini
Futurismo
prima avanguardia del DI
Novecento
ATTILIA TARTAGNI
Il 1914 è un anno cruciale, sta per accadere qualcosa che cambierà l’economia, la politica, il destino di molti paesi europei. Per l’Italia prelude all’entrata in guerra e scatena il conflitto fra neutralisti e interventisti. È l’anno in cui arte e società si intrecciano più strettamente come auspicavano i Futuristi capitanati dal poeta, letterato e drammaturgo bilingue Marinetti, redattore e firmatario dei manifesti usciti nel 1909 e nel 1911. Nell’Europa delle avanguardie artistiche, l’Italia espresse un movimento fra i più interessanti e complessi destinato
a traghettarla fuori dalle secche del provincialismo, della tradizione e dagli esiti del simbolismo-decadentismo di cui pure si erano nutriti i suoi protagonisti. Il Futurismo voleva realmente rivoluzionare l’arte in tutti i suoi aspetti e le sue derivazioni, dalla pittura alla scultura, dalla scenografia alla drammaturgia e occupare il teatro con opere come Mafarka le futuriste dove, dalla machina teatrale intonarumori di Russolo alle musiche e alle pitture futuriste, tutto avrebbe contribuito a restituire all’artista una centralità cancellata dal nuovo secolo e dal progresso. Il
Futurismo non Umbert rigetta o Boccio ni, Rissa bensì in galle ria (1910 ) cavalca la modernità, il progresso, l’industrializzazione, lo sviluppo della macchina, il della conquista di cinema. Il mutamento ambientale Fiume, così come altri futuristi e sociale non può che riverberarsi indossarono convinti la divisa. nella poetica futurista che Per comprendere Nietzsche, scrive filosoficamente si rifa Mussolini nel 1908 «verrà una all’anarchismo, al sorelismo e al nuova specie di liberi spiriti socialismo, elementi che fortificati nella guerra, nella sarebbero in seguito degenerati in solitudine, nel grande pericolo, nazionalismo, volontà di potenza spiriti che conosceranno il vento, i e nella teoria del superuomo. Il ghiacci, le nevi delle montagne…». poeta D’Annunzio, che chiamava La guerra era nell’aria, presagita e la guerra “l’evento lirico” , non si talora invocata, ma quell’euforia limitò alla teoria e fu protagonista fuori luogo si sarebbe spenta
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100 arte e guerra Ravenna Festival Magazine 2014
Fortunato Depero, arazzo Guerra e festa
presto per i più a contatto con la realtà di una guerra lunga, estenuante, combattuta soprattutto sul fronte alpino sotto il fuoco nemico. Dunque arte e guerra si incrociano ben prima che Picasso scrivesse all’amico Apollinaire che «i cannoni… si vedono ancora troppo distintamente e che, per nasconderli, occorre “giocare con le forme, usando colori vivaci disposti come le pezze sul costume d’Arlecchino». (da Sergio Romano, L’arte in guerra). Gli intellettuali italiani dei primi del secolo, da Ardengo Soffici a Gaetano Salvemini, da Antonio Gramsci a Giuseppe Prezzolini, furono per lo più interventisti. Filippo Tommaso Marinetti che aveva stilato la celebre frase «la guerra è l’igiene dei popoli» si sarebbe arruolato nel Battaglione Volontari Ciclisti, per poi trasformarsi in alpino con Boccioni, Sant’Elia, Russolo, Erba, Funi, Sironi. La guerra si sarebbe trasformata per Mussolini, per Marinetti e per D’Annunzio in una sorta di palcoscenico dove recitare una parte roboante, mentre nella realtà essa fu un flagello per le classi più povere da cui pretese un inaudito tributo di dolore e di sangue. Ma qualcosa di positivo portò, nella nazione da poco unita geograficamente e politicamente, quel condividere la guerra fianco a fianco, italiani di scarsa cultura, spesso padroni solo del proprio dialetto e per la
maggior parte provenienti dall’agricoltura crebbero nel reciproco confronto, una lezione, questa, fatta propria poi da Gobetti e Gramsci. Boccioni, che in guerra trovò la morte come l’architetto Sant’Elia, Serra, Slataper, Carlo Stuparich, fu forse il primo a realizzare l’assurdità di quell’enfasi: «Da questa eperienza io uscirò con un disprezzo per tutto ciò che non è arte….Esiste solo l’arte». Boccioni nel 1911 aveva dipinto un quadro di grandi dimensioni, la Città che sale, turbine di cavalli al galoppo, di uomini al lavoro, di case in costruzione uniti dal vortice del progresso, un quadro che per importanza sociale qualcuno accosta al Quarto stato di Pelizza da Volpedo e stilisticamente compete con I funerali dell’anarchico Galli di Carrà. Marinetti lo aveva proclamato nel Manifesto del 1909: «…La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità». La vecchia cultura, le accademie, i musei, le biblioteche: tutto da buttare perché : «Un’automobile ruggente è più bella della Nike di Samotracia». E ancora: «Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, gli arsenali, le stazioni, le officine… le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani…». La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il
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arte guerra101 Ravenna Festival Magazine 2014
Tommaso Marinetti, Parole in libertà, libro fatto a mano dall’autore (1914)
sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno». E a schiaffi e a pugni finivano molte delle serate futuriste, mentre la pittura e la scultura sembravano rigenerarsi nel dinamismo delle forme e dei colori, nelle vedute aeree, nelle macchine in movimento, uno stile i cui esiti sono talvolta ravvisabili nella pittura più recente e che quest’anno è stata oggetto di una formidabile mostra al Moma di New York che chiaramente ha inquadrato il futurismo come uno delle avanguardie più complete e incisive del secolo, quella che a tutt’oggi non ha ancora esaurito i suoi effetti, mentre tutte le altre «sono morte di realtà». Con radici più o meno teoriche e letterarie, infatti, erano nate ai primi del 900 in Europa: Fauvismo, Cubismo ed Espressionismo con qualche legame al Decadentismo e al Simbolismo, quasi una reazione a catena alle grandi rivoluzioni epistemologiche come la relatività, la psicoanalisi, la teoria quantistica e alla crisi del ruolo dell’intellettuale e dell’artista, isolato, respinto o mercificato dalla società contemporanea. Oltre ai movimenti, ci sono anche battitori liberi come Ensor, Munch, Permeke, fino a Kandiskij, che esplora frontiere pittorichemusicali e Paul Klee che dalla spontaneità infantile approda
all’astrattismo, senza dimenticare il quadro Le demoiselle d’Avignon di Picasso del 1906, autentico spartiacque nella pittura moderna. Se Milano e Parigi sono le città chiave per Marinetti, il futurismo si diffonde anche nelle città di provincia dando luogo ad alcuni rilevanti fenomeni fra cui il più rilevante è certamente rappresentato da Francesco Balilla Pratella (1880-1955), teorico musicale del movimento e firmatario del manifesto dei musicisti futuristi del 1910. Il maestro, profondo conoscitore della tradizione folclorica locale, riteneva che il rinnovamento della musica potesse partire dal recupero delle radici popolari, calcando quanto stava accadendo in ambito europeo con Bèla Barttòk, Zoltàn Kodaly, Manuel De Falla e Igor Strawinskij. Se nelle prime opere Pratella aveva esaltato il sentimento panico della natura e utilizzato la poesia e le ninne nanne dell’infan, più tardi con La Sina d’Varoun eseguito per la prima volta il nel dicembre del 1909 scandalizzò i tradizionalisti con il realismo della messa in scena che prevedeva strumenti di lavoro rurale e perfino un carro trainato da buoi, tanto da richiamare Marinetti al Teatro di Imola dove avvenne una replica. Il rapporto fra Marinetti e Pratella è documentato da più di 200 lettere e dai tre manifesti: Manifesto dei musicisti futuristi del 1910, Musica futurista.
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102 arte e guerra Ravenna Festival Magazine 2014
Ginna, Nevrastenia (1908)
Manifesto Tecnico del 1911 e La distruzione della quadratura del 1912. Il debutto del maestro come compositore futurista avviene nel 1913 al Costanzi di Roma con la partitura per pianoforte Musica Futurista op.30, nello stesso anno inizia la collaborazione con la rivista “Lacerba” e su invito di Marinetti compone il trittico per orchestra La guerra op. 32 l’opera L’aviatore Dro dove vengono fissati alcuni intonarumori di Russolo. Due anni dopo, nel 1915, scriverà 5 pièces per il Teatro sintetico futurista e incontrerà a Milano, in casa Marinetti, Strawinskij, Djagilev e Massine dei Ballets
muove verso l’«automatismo psichico» con cui l’artista «veggente» libera la forza primigenia subconscia conquistando una coscienza superiore imprevista non soltanto in pittura, ma anche nel cinematografia. Purtroppo è andato distrutto il film Vita futurista girato da Corra e Ginna a Firenze che metteva Marinetti e altri a confronto con la realtà quotidiana. ❍
Ginna, Forme astratte (1915)
russes intraprendendo varie collaborazioni teatrali. Ma abbiamo sforato il nostro confine temporale, l’anno cruciale 1914. A Ravenna si distinguono i fratelli Arnaldo e Bruno Corradini, meglio noti come Ginna e Corra, fra i primi ad aderire al Futurismo e a svolgervi un’intensa attività teorica, mantenendo tuttavia una posizione originale più vicina alla personalità di Balla più che al gruppo milanese capitanato da Boccioni. Il loro obiettivo era collegare fra loro i livelli sensoriali delle varie arti – musica, pittura, scultura, teatro, danza – facendosi promotori della “musica
cromatica”. Ginna nel 1908 aveva dipinto Nevrastenia, opera in cui trasformava in musica sensazioni e suggestioni consapevole dello scritto Lo spirituale nell’arte di Kandiskij, nel 1909 aveva dipinto Accordo cromatico, opere esposte nel 1914 alla “Mostra libera futurista Internazionale” tenuta alla Galleria Sprovieri di Roma. La ricerca di Ginna si
Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità dello spazio (1913
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104 arte e guerra Ravenna Festival Magazine 2014
Icone
del
Le sconvolgenti opere delle artiste Marina Abramovic, Jenny Holzer, Šejla Kameric La performance di Marina Abramovic Balkan Baroque DI SERENA SIMONI
1914-1994: è il destino delle cifre ricordare la prima guerra mondiale e il penultimo dei quattro lunghi anni della guerra dei Balcani, partendo da Sarajevo – dove il primo conflitto cominciò – e giungendo ancora alla stessa città sulla Miljacka, sotto assedio, sfinita, affamata, violentata. Alcuni artisti internazionali decisero di prendere parola su quanto stava avvenendo, durante e subito dopo il conflitto che vide il dissolvimento della Jugoslavia di Tito in un gioco al massacro. Chi ha avuto la fortuna di assistere alla performance di Marina Abramovic eseguita nel 1997 alla Biennale di Venezia, comprende perfettamente per quale motivo l'artista vinse allora il Leone d'oro. Balkan Baroque, l'azione che eseguì da sola per quattro giorni consecutivamente, metteva in scena una riflessione politica sulla guerra dei Balcani – quella che costò il sangue della popolazione civile di Sarajevo, la pulizia etnica e la strage di Srebrenica – a distanza di due anni dall'accordo di Dayton. Non sostenuta né dalla Serbia che le ha dato i natali nel 1946, né dal vicino Montenegro, Marina si presentò come artista apolide, trovando ospitalità nel seminterrato del Padiglione Italia. Chi scendeva agli inferi, doveva tapparsi il naso per la puzza di putrefazione: nel buio, solo un faretto ad illuminare la performer coperta di sangue, mentre accovacciata al centro della sala puliva
ossessivamente mucchi di ossi di bue con una spazzola di ferro. L'azione ossessiva di nettarli e ammucchiarli, quasi in trance, diventava la metafora della carneficina avvenuta e del tentativo di pulirsi la coscienza che accomunava vinti e vincitori, paesi coinvolti o intervenuti (Europa e Nato) per scongiurare – malamente – le violenze contro la popolazione civile. Un video presentava la stessa artista in camice bianco mentre descriveva scientificamente le abitudini dei topi: animali intelligenti che vivono nella totale mutualità, ma che modificano completamente il loro comportamento, diventando fortemente aggressivi, quando vengono rinchiusi o c'è penuria di viveri. Mutando gli abiti, l'artista improvvisava una danza folkloristica, sventolando un fazzoletto rosso al ritmo di una ballata locale, mentre la madre e il padre dell'artista, anziani immobili, presenziavano in due video negli atteggiamenti tradizionali della Pietà. Unico e sconvolgente movimento era quello del padre, che improvvisamente esponeva una pistola, evidenziando nel gesto il pensiero patriarcale che da sempre sostiene la guerra, “sola igiene del mondo”. Anche l'artista statunitense Jenny Holzer ha lavorato sul tema nel 1993 – durante la guerra – realizzando una serie di fotografie che inquadrano scritte fatte col sangue di donne bosniache, impresse su lembi di pelle. In Lustmord (Crimine sessuale), le brevi frasi – del tipo «Lei mi sorride perchè pensa che
possa aiutarla» – ricalcano le espressioni, violente o supplici, pronunciate realmente dai colpevoli e dalle vittime degli stupri di massa. È invece bosniaca la giovane Šejla Kamerić che nel 2003 ha realizzaro l'allestimento di Bosnian Girl, un'immagine fotografica di se stessa a figura intera, sulla quale sono impresse le frasi «No teeth ...? A mustache ...? Smel like shit ...? Bosnian girl!» (Niente denti? Baffi? Puzza come la merda? … è una ragazza bosniaca!). Si tratta dei graffiti sgrammaticati che un anonimo soldato olandese lasciò realmente sul muro di una baracca militare vicino a Srebrenica (1994/95), dove erano di stanza le truppe olandesi del contingente Nato che avrebbe dovuto proteggere la popolazione civile della cittadina. Prima della guerra, Sarajevo soprannominata la “seconda Gerusalemme” da 500 anni vedeva la convivenza pacifica di cattolici, musulmani, ortodossi ed ebrei, che spesso si sposavano fra loro, crescevano figli, lasciando loro la libertà di scegliere da adulti a quale religione appartenere. Superato a fatica il ponte dove morirono l'arciduca Francesco Ferdinando e Sofia, la pace non ha resistito 80 anni e si è arresa
su un altro ponte di Sarajevo, quello dove è caduta la prima vittima della guerra della ex Jugoslavia. Dedicato a Suada Diliberovic, la studentessa croata che marciava per la pace e venne uccisa da un cecchino, questo ponte anonimo e supertrafficato accoglie un'altra memoria, quasi invisibile: è dedicata a Moreno, un ragazzo italiano dei Beati costruttori di pace, morto sullo stesso ponte con una bandiera bianca in mano. La sua morte più bella e più inutile di quella di milioni di altri non finisce sui libri di storia, ma qui va ricordata. ❍
BARONCINI PAG RFM:Rafest mastro 28/05/14 17:53 Pagina 1
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106 colonne sonore Ravenna Festival Magazine 2014
Così risuona e si rivede
Charlot e Buñuel
DI FRANCESCO DELLA TORRE
Ci sono pochi artisti come Charlie Chaplin. C'è un'intera generazione di quarantenni che pensa che sia esclusivamente un comico, grazie alle gag del suo personaggio muto Charlot, che meravigliosamente ed educatamente invadevano la televisione che aveva ancora un senso. C'è una generazione di cinquantenni, e oltre, che hanno visto la sua opera drammatica, a partire dallo strepitoso Grande Dittatore, ancora un capolavoro di divertimento e fantasia, dentro un film corposo e storico. Hanno visto anche un Chaplin che non faceva ridere, crepuscolare, quasi incredibile e incredulo nell'essere perfettamente in gioco dall'altra parte dell'ottica del cinema. Hanno visto un Chaplin quasi senza Chaplin, come nell'ultimo film, non un successo, La contessa di Hong Kong. Ma ogni generazione dovrà notare la presenza di un filo logico che lega tutti i suoi lavori, rappresentato dalle musiche dei suoi film, che ci consegnano un Chaplin non certo inedito, ma nel suo aspetto, forse, meno conosciuto anche se non meno
importante e incisivo: Chaplin musicista. E in realtà nasce proprio musicista, prende in mano pianoforte e violino fin da bambino, e inizia a comporre. Non tutte le colonne sonore sono state composte “in diretta”, visto che spesso i suoi film sono stati musicati successivamente: soprattutto a cavallo tra gli anni sessanta e settanta Chaplin riesce a dare una voce musicale a tante sue storie per troppo tempo rimaste mute. Un compositore però atipico, perchè creava le musiche, ma non riusciva a scriverne le partiture, affidate quindi a un'altra persona: il tempo di realizzazione stringeva sempre. La sua colonna sonora più famosa resta Luci della ribalta, film del 1952 che restò inedito per vent'anni a causa del maccartismo e delle simpatie fin troppo progressiste di Chaplin che lo portarono a emigrare; il film uscì nel 1972, esattamente vent'anni dopo la
realizzazione e l'anno successivo ricevette il Premio Oscar per la miglior colonna sonora. Appare quindi chiara la completa armonia tra i suoi film e le sue musiche, appare anche chiara la completezza di un artista che giustamente viene posto sullo stesso piedistallo di Picasso e Stravinskij. Timothy Brock, americano, non è un direttore d'orchestra qualsiasi, è “laureato in Chaplin”, visto che risulta essere uno dei maggiori esperti dell'artista: ha ricostruito in maniera perfettamente filologica i suoi lavori e ne dirige l'esecuzione lunedì 7 luglio alla Rocca Brancaleone. In principio fu Giorgio Moroder. L'artista italiano, autore di colonne sonore di successo, “impresse” il suo lavoro dentro a un capolavoro restaurato del cinema muto, Metropolis di Fritz Lang, girato nel 1927 e sonorizzato nel 1984. Lasciando da parte il giudizio sulle musiche, l'effetto fu devastante, perchè stravolse di fatto il film, o meglio diede un'impronta autoriale e Charlie Chaplin/Charlot in Shoulder Arm così marcata da farlo
Sacri Cuori
apparire come una nuova versione, a più di cinquant'anni dall'uscita della pellicola originale, tanto da valergli l'appellativo di “versione di Moroder”. Metropolis, per la cronaca, ricevette musica anche da un altro compositore storico, Philip Glass, famoso per le colonne sonore ma che ha dato la sua maggiore impronta autoriale ai film grazie alla trilogia documentaristica di Godfrey Reggio (impronunciabile foneticamente): Koyaanisqatsi, Powaqqatsi e Naqoyqatsi. Torniamo all'Italia: pionieri con Re Giorgio, a fine anni '80 spunta un insospettabile follower. Il gruppo punk emiliano Cccp realizza le musiche del film muto Maciste all'inferno, del 1926. La composizione segna in realtà il passaggio della band da Cccp a Csi, con sonorità più vicine a questi ultimi, ma questa è un'altra storia, e dobbiamo avvicinarci a Ravenna. Perché è proprio nella nostra adorata città bizantina che durante il Nightmare Festival del 2012 avviene un altro episodio di sonorizzazione, non certo su un film qualsiasi, perchè parliamo del Nosferatu di Murnau (1922), mito dell'espressionismo tedesco. Musica a cura degli OvO, ravennati soprattutto di adozione, che hanno raccolto le esperienze passate descritte e hanno dato ritmo e rock a un film che sembrava
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colonne sonore 107 Ravenna Festival Magazine 2014
sound & vision
Foleymandala, sinestesie fra musiche e immaginario
La scena dell’occhio tagliato nel celebre film surrealista Un chien andalou (1929) firmato da Luis Buñuel e Salvador Dalì
intoccabile. Ravenna nel 2014 concede il bis, e il Festival affida la musica a una band romagnola di nascita e internazionale di adozione. I Sacri Cuori presentano (il 10 luglio alla Rocca Brancaleone) uno spettacolo in due parti: col pianista Evan Lurie presentano una performance, Concert for film and musicians, in cui il gruppo non dà voce a un solo film, ma “gioca” con le immagini del grande Luis Buñuel. Nella seconda parte, Lido, ideata
Foleymandala (in scena il 4 luglio alla Rocca Brancaleone) è una performance visivo-musicale che intreccia l’arte pionieristica di Jack Donovan Foley di musicare negli anni ‘30 del 1900 le immagini cinematografiche, con il concetto di mandala, ovvero una circolare fluidità, simbolica e spirituale, dell’esperienza. Autori del progetto, il noto dj e produttore musicale internazionale Claudio Coccoluto, il percussionista Matteo Scaioli e l’artista visuale e sonoro David Loom. Sul tessuto musicale elettroacustico creato da Coccoluto e Scaioli, saranno innestate sinteticamente le proiezioni cinematiche e grafiche, in forma ellittica, di Loom. In un processo sinestetico di immagini e suoni fra progetto e sintonia, elaborato in tempo reale.
insieme al videomaker Andrea Pedna, la musica di Sacri Cuori incontra una installazione video realizzata specificamente come riflessione sull’identità del lido ravennate, a cavallo fra natura e cultura, ai margini di una Romagna in costante trasformazione/trasfigurazione. Dopo 30 anni di musiche di film, si cerca di andare oltre, si va oltre. Proprio, è il caso di dire, su questi lidi. ❍
Il nostro impegno è far sentire le persone a casa propria, da ovunque arrivino. Offriamo semplice e confortevole accoglienza ed una cucina romagnola trattata nel rispetto della tradizione
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108 cultura e natura Ravenna Festival Magazine 2014
Alla scoperta di antichi tesori e grotte sante In bicicletta un itinerario di terra cercando gli antichi porti della città; a piedi concerto trekking a Marradi inseguendo Dino Campana fra versi e musica; a Parenzo “Passi nel silenzio, sulle tracce di San Romualdo” DI
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Il tema del festival si svolge ancora una volta, anche attraverso il cammino e l’amore per il paesaggio naturale e urbano. Grazie alla passione di Trail Romagna, associazione di volontari che propone passeggiate, corse competitive nei boschi, percorsi in bici, spettacoli e laboratori itineranti. Il 1914, “l’anno che ha cambiato il mondo”, non sarà solo l’occasione per celebrare il centenario della Grande Guerra, ma anche un momento per ricordare con un’escursione sull’Appennino di Marradi, la pubblicazione nello stesso anno, dei Canti Orfici di Dino Campana. Torna inoltre il progetto Città d’acque, con un evento in bicicletta che svela la presenza in città dei porti antichi, militari e commerciali, dei tracciati dei porti canali, e cuce le relazioni
fra nuove e vecchie darsene, fra idrografie del passato e memorie belliche, come il bombardamento aereo di Porto Corsini, nel primo conflitto mondiale. La poesia, la musica e la danza sono i linguaggi scelti per dipanare i racconti narrati in movimento. E per onorare l’avventura intellettuale e umana di Dino Campana non è possibile ignorare il profondo legame del poeta con Dante, entrambi chiamati dal destino a vivere e attraversare la porzione di Appennino che divide la Toscana dalla Romagna. Allora, l’ormai tradizionale concerto trekking non avverrà all’interno della programmazione del festival, ma si congiungerà con le annuali celebrazioni dantesche. Sabato 6 e domenica 7 settembre, prenderà corpo l’evento I sentieri di Dino Campana, in collaborazione con il centro studi Campaniani di Marradi, seguendo un itinerario di
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cultura e natura109 Ravenna Festival Magazine 2014
A sinistra la Torraccia, rudere di una torre difensiva e di avvistamento marittimo una volta in riva al mare, “arenata” da secoli nella campagna, fra Classe e la spiaggia di Lido di Dante. A destra, i resti dell’eremo di Gamogna, lungo i sentieri dell’Appennino fra Marradi e la Toscana
oltre 3 ore, che parte da Castagno d’Andrea e arriva al rifugio Burraia e che in futuro farà parte del percorso dantesco Firenze – Ravenna. Durante il cammino (pullman per trasferimento al punto di partenza, guide, cena, pernottamento e prima colazione) sarà possibile ascoltare il monologo teatrale dei giovani Iacopo Gardelli ed Elia Tazzari, interpretato da Gianfranco Tondini, con interventi musicali dell’Orphic Duo, ovvero Fabio Mima ai flauti e Marco Zanotti alle percussioni. Nel fluire della narrazione in prima persona, il poeta racconterà il proprio rapporto con la natura, ritenuto soverchiante rispetto all’espressione poetica, le testimonianze di vita vissuta dagli abitanti della collina, i primi segnali dell’abbandono dell’Appennino da parte della popolazione sempre più impoverita, la passione per il cammino e il sentimento di odio e amore nei confronti dei luoghi natii, contrapposto all’impulso dell’erranza. Il secondo appuntamento, primo in termini cronologici rispetto al programma del festival, propone invece un bike trekking in città, con azioni di danza proposti da Trisha Brown. Mercoledì 2 luglio, l’evento Il fronte dei porti rappresenta una preziosa opportunità per partecipare a una delle molteplici letture di Ravenna, nel rapporto con il mare: la storia dei porti dell’antica capitale bizantina, il progressivo spostamento della costa nei secoli, l’affannosa
ricerca di un collegamento con l’Adriatico attraverso i canali. Una storia che dal porto militare di Classe e da quello commerciale di epoca romana, arriva al Porto Panfilio, collegato al canale che sfociava in sul lito Adriano nei pressi della Torraccia, poi al porto Coriandro al Badareno, fino al Candiano per un totale di circa 27 chilometri su due ruote. Un viaggio nella storia, pedalando, arricchito da performance di danza e da degustazioni di prodotti tipici romagnoli che approderà all’odierna Darsena di Città. Il percorso partirà dai Giardini pubblici per raggiungere la ciclabile di Classe, la Torraccia, Porto Fuori, via dei Poggi con rientro in darsena dal ponte mobile. Oltre alla partecipazione della Trisha Brown Dance Company, è attesa la fanfara dei Bersaglieri in bicicletta. Domenica 29 giugno per gli appassionati torna l’Urban trail alla scoperta delle scomparse vie d’acqua cittadine con un percorso lungo e uno breve, di corsa o passeggiata, a partire dalle 6 del mattino, curato sempre da Romagna Trail. Il progetto Ravenna città d’acque avrà come logo l’immagine del genio delle acque, ovvero il frammento musivo, che ritrae un’erma di una divinità barbuta, emerso con la scoperta nel 2011 di una domus romana davanti al liceo Classico, e ora musealizzato all’interno di Tamo. Infine all’interno del programma Via Sancti Romualdi promosso dal comitato Romagna – Camaldoli appare un
appuntamento inserito anche nel progetto In cammino per Ravenna Capitale 2019 sempre curato da Trail Romagna. Sulle tracce di San Romualdo dal 21 al 23 luglio si svolgerà Passi nel silenzio, viaggio a Parenzo alla scoperta della grotta del santo eremita. La città istriano croata era compresa
nell’esarcato ravennate e come tutti i luoghi camaldolesi conserva intatta un’ampia area boschiva, tutelata nei secoli. Un elemento ricorrente, quello della tutela e della cura del paesaggio naturale e del patrimonio boschivo che si trova negli eremi fondati dal santo e nelle pinete ravennati. ❍
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Arena Spettacoli nella Pinetina San Giovanni Un’
Il nuovo luogo del Festival è immerso nella natura dell’azienda Micoperi, con una tribuna e un parterre di quasi mille posti, e un palcoscenico che sarà inaugurato dai concerti di Vinicio Capossela e Ambrogio Sparagna DI PAOLO BOLZANI
Nel corso delle sue numerose edizioni, Ravenna Festival è spesso riuscita a sorprenderci con la sua capacità di pre-vedere nuove locations in quelli che apparentemente sembravano contesti lontani dal canonico svolgimento di un “pubblico spettacolo”. Sia per iniziativa dello staff del Festival, sia per quella di imprenditori, associazioni o altri enti, si è spesso giunti alla felice segnalazione di
Nella sede Micoperi oltre ai pini anche alberi da frutto e ulivi
una serie di luoghi di vera suggestione e valore testimoniale, in grado di dimostrare una grande disponibilità funzionale, seppur temporanea, nell’ospitare un palco per artisti e musicisti e uno spazio per il pubblico. È questo il caso della nuova “arena per concerti e spettacoli” in fase di ultimazione nella Pinetina San Giovanni della Micoperi, azienda salita giustamente agli onori internazionali per il magistrale recupero della Costa Concordia al largo dell’Isola del Giglio. In seguito all’invito di
Silvio Bartolotti, Managing Director di Micoperi, Cristina Muti si è recata in visita alla pineta esistente a sud di via Trieste, poco dopo i fabbricati della sede ravennate. L’ “anima del Festival” ha particolarmente apprezzato l’amenità del sito; ed ecco trovate le locations per Il Carnevale degli Animali dell’ensemble di Vinicio Capossela, in
L’arena spettacoli nella pinetina San Giovanni in fase di costruzione
programma la sera del 18 giugno e Le trincee del cuore di Ambrogio Sparagna con Peppe Servillo, che si tiene il 1 luglio. In questo modo il destino della “pineta Micoperi” si è trasformato in Pinetina di San Giovanni, così chiamata dal Ravenna Festival in omaggio alla antica proprietà di una delle quattro grandi abbazie di Ravenna. Bartolotti è uomo
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genius loci111 Ravenna Festival Magazine 2014
Il managing director di Micoperi, Silvio Bartolotti, con Ambrogio Sparagna
di grandi visioni: circa una quindicina d’anni fa compra la pineta che la famiglia Rosetti di Ravenna aveva già rinfoltita nel 1925 e in cui celebrava l’annuale arrivo della primavera in un’aia della pineta stessa con una festa di canti e balli. All’atto dell’acquisto la pineta si trovava «in condizioni disastrose, piena di rovi alti fino a tre metri; enormi edere risalivano lungo i tronchi dei pini domestici, creando in inverno condizioni favorevoli alla caduta di varie piante, per l’eccessivo peso della neve accumulatasi sui rami». Bartolotti decide di intervenire, pulendo la Pineta e ripiantando pini, lecci – una coppia dei quali si stringe in un inedito abbraccio roverelle, aceri e molte altre essenze arboree e arbustive: «da allora l’abbiamo mantenuta sempre rinfoltita, proprio in nome della salvaguardia del territorio, e l’idea finale consiste nel conservare l’arena e di passare alla creazione di un campus scolastico per studenti dall’asilo all’università nei 10 ettari che si trovano oltre la pineta stessa». «Mi piaceva l’idea – prosegue Bartolotti, ideatore peraltro di un progetto di recupero dell’ex sede Enel di via Serafino Ferruzzi in un albergo di lusso con grande piazza retrostante a coprire un maxiparcheggio interrato - di far conoscere la Pinetina S. Giovanni attraverso il Festival come luogo in cui la natura incontra la musica. Un luogo intatto: per questo abbiamo deciso di mantenere
anche le due grandi buche create dalle bombe nel corso dei bombardamenti del 1944, che divengono due pozze d’acqua in movimento». Ovviamente «Ravenna Festival è stata un acceleratore – ammette Bartolotti, che nella sede di Ortona ha realizzato un capannone “argenteo”, già simbolo della città - sia in dimensioni sia come capacità di comunicazione del nostro progetto iniziale, che era sorto per far venire Roberto Benigni a declamare i versi della Divina Commedia in un luogo ideale». Il pensiero vola alla corte di Guido Novello Da Polenta, Signore di Ravenna, ospite illuminato dell’esule Alighieri, che qui comporrà la parte finale della Commedia e qui morirà la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Perciò il prossimo appuntamento ravennate, non poi così lontano, è il settecentesimo anniversario della dipartita del “ghibellin fuggiasco” e del suo inoltrarsi nella «divina foresta spessa e viva», che riappare altre volte nell’opera dantesca, per esempio come «tal qual di ramo in ramo si raccoglie / per la Pineta in su ‘l lito di Chiassi / quand’Eolo Scirocco fuor discioglie» (Purgatorio XXVIII, 1-21). Foresta in cui si possono fare incontri del tutto particolari, come narrerà poco dopo Giovanni Boccaccio, ambientando nella Pineta di Classe la Novella di Nastagio degli Onesti (Decameron, Giornata Quinta, Novella Ottava) che così
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narra: «Nastagio degli Onesti, amando una de’ Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato. Vassene, pregato da’ suoi, a Chiassi: quivi vede cacciare ad un cavaliere una giovane, et ucciderla e divorarla da due cani. Invita i parenti suoi e quella donna amata da lui ad un desinare la qual vede questa medesima giovane sbranare; e temendo di simile avvertimento, prende per marito Nastagio». La Novella è stata magistralmente raffigurata nel celebre dipinto attribuibile alla cerchia di Sandro Botticelli, attualmente conservato al Museo del Prado di Madrid. Nella Pinetina di San Giovanni non ci sono cervi, però c’è una famiglia di daini; è inoltre possibile ammirare le bianche garzette atterrare con eleganza in uno dei grandi prati che separano la pineta dalla Micoperi, oppure un fagiano librarsi dal fitto degli arbusti. Questo immemorial wood, questa evergreen pine forest (George Gordon Byron, Don Juan), già citata, almeno nella veste di foresta, nella Chronica Theodericiana dell’Anonimo Valesiano – se,
come già hanno scritto Paolo Fabbri e Anna Missiroli nel 1998, «le silve del X-XI secolo divengono col XII pinetae» - è nel codice genetico della Città di Galla Placidia e di Teodorico: il gonfalone del Comune di Ravenna mette infatti in scena due leoni affrontati al pino domestico, con la sua tipica chioma ad ombrello. Peraltro è possibile rintracciare la presenza di pigne in città, a partire da quella in rosso Verona dello scalone d’onore della Residenza Municipale, a quelle sulla cima del Mausoleo di Galla Placidia o della Tomba di Dante, o sulla Colonna della piazzetta antistante la basilica di Sant’Apollinare Nuovo, fino alla nuova copertura del Salone del Pubblico della Banca Popolare di Ravenna. Sul limitare occidentale della Pinetina, verso la città, si trova una radura, che è stata scelta come sede dell’arena, vale a dire «un teatro all’aperto immerso nella natura, costituito da un palco quadrato 9x9 metri, da un parterre da circa 500 posti e una tribuna da 480. Perciò si arriverà alla capienza del Teatro
MILANO MARITTIMA
18 e 19 luglio 2014 ore 20.30 Circolo Tennis, Milano Marittima
INGRE GRATUSSO ITO
P R O G R A M M A VENERDÌ 18 20.30: Inizio Torneo 22.00: Premio Ambiente “Vip Amici del Mare” 23.30: Gran Buffet “Discoteca Pineta” (Invitati Vip, Autorità, Sponsor) SABATO 19 13.00: Buffet Bagno Paparazzi 242 (Invitati Vip, Autorità, Sponsor) 20.30: Inizio torneo 23.00: Premiazioni 24.00: Cena al “Pacifico” (Invitati Vip, Autorità, Sponsor) Organizzazione Mario e Patrick Baldassarri
Alighieri», conclude Teresa Bellonzi, progettista dell’arena, vegliata da Antonio De Rosa, sovrintendente del Ravenna Festival, che annuisce soddisfatto insieme al responsabile dell’ufficio stampa Fabio Ricci. «Si entra in un luogo – prosegue l’architetto ravennate - che suggerisce alcune riflessioni sul concetto di bellezza, naturale e artistica. Esci da via Trieste, entri in Micoperi e trovi la pineta dei ravennati, quella della nostra infanzia. Un pezzo di pineta così vicina alla città e nello stesso tempo in grado di proteggere dai rumori stessi della città, soprattutto dal traffico della statale vicina. In questo luogo perciò ritrovi il silenzio della natura». Il palco è collocato, «con il suo “ring” di americane» davanti a un gruppo di pini
domestici, «ciascuno dei quali sarà illuminato dal basso per creare una quinta naturale ad effetto». Il pubblico potrà lasciare l’auto al parcheggio della Multisala Astoria e quindi da lì proseguire per una pista ciclopedonale a piedi con «una passeggiata immersiva nella natura», oppure giovarsi di un sistema di navette. ❍
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Ravenna Festival Magazine
Ravenna Festival Magazine Edizione 2014 Supplemento gratuito a “Ravenna & Dintorni” nr. 584 del 29 maggio 2014
Redazione: 0544.271068 redazione@ravennaedintorni.it Pubblicità: 0544.408312 info@reclam.ra.it
Editore: Reclam srl - Ravenna www.reclam.ra.it
In collaborazione con
Novecento il secolo breve
Arte, amore e tragedia
tempo guerra
Danza
al della
Con Chéri, Alessandra Ferri di nuovo in scena Balletti russi: dalla Zakharova ai classici del teatro Mariinskij Moderno e contemporaneo: Ballet du Grand Théâtre de Genève, Micha Van Hoecke, Trisha Brown, Olivier Dubois, progetto Ric.ci, gruppo Nanou
Classica Riccardo Muti: l'omaggio a Claudio Abbado e il Requiem per le vittime di tutte le guerre e alle vittime di tutte le guerre Grandi direttori sul podio: Gergiev, Nagano e Temirkanov
Teatro
Edizione 2014
Testori secondo Martinelli e Montanari, l’Oratorio di Ovadia e Galeazzi, i Colloqui di Bucci e Zanchini
Un festival “aperto”
OperaUpClose
La divina Ute Lemper, l’istrionico Vinicio Capossela, il poetico Ambrogio Sparagna, la magnetica Anna Calvi
A cena con l’opera Donizetti’s L’elisir d’amore Puccini’s La Bohème
All’interno A S. Giacomo la Notte della Taranta di Sollima / Father & Son: Bisio racconta Serra / Concerti trekking, dal fronte del porto ai sentieri di Dino Campana / L’Africa di Opera Lamb e Night Commuters / Colonne sonore per Charlot e Buñuel