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Ravenna Festival Magazine
Concerti classici Muti e Pollini, Kavakos, Katia e Marielle Labèque, Krivine e Tamestit
EDIZIONI E COMUNICAZIONE
UN VIAGGIO LUNGO TRENT'ANNI …per l'alto mare aperto… a esplorare nuovi orizzonti della musica e dell'arte Riccardo Muti con il Concerto dell'Amicizia approda ad Atene
Musica sacra e antica The Tallis Scholars, Cremona Antiqua, Mauro Valli, Estonian Chamber Choir Spazio alla danza Martha Graham Dance Company, Gruppo Nanou, Hamburg Ballett, Les étoiles e l'omaggio ai Pink Floyd di Micha Van Hoecke Drammaturgie Teatro delle Albe, Lino Guanciale, Vetrano/Randisi, Cappuccio/Tuminas, Elena Bucci, Chiara Muti Fra jazz, canzoni e musica per il cinema Goran Bregović, Piovani, Marcoré, Avitabile e gli omaggi a Theodorakis, Modugno e De André Rockstar Ben Harper e Nick Mason
LE 100 PERCUSSIONI dalle sonorità etniche alla musica colta
Edizione 2019
ISSN 2499-0221
la rivista ufficiale del
Edizione 2019
Stewart Copeland un genio del ritmo dai Police alle colonne sonore
Including English abstracts of articles
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GIARDINO WU PAG DOPPIA RFM.qxd:RFM 21/05/19 18.35 Pagina 2
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Sommario Ravenna Festival Magazine 2019
...per l’alto mare aperto... Trenta anni di Festival • Le 100 percussioni Viaggio dell’Amicizia ad Atene • Vespri a San Vitale
Anniversario trentennale Un viaggio fra cultura e bellezza Gli auspici di Sindaco e Sovrintendente con un’antologia delle edizioni dal 1990 a oggi ..............................................................da pag. 9
Andar per mare Mediterraneo crocevia di popoli Poesia, arte, storia e politica, fra approdi e naufragi, millenari scambi e conflitti ............................................................da pag. 19
Concerti sinfonici Muti sul podio ritrova Pollini al piano Dirige l’orchestra Cherubini anche Kavakos, Krivine alla guida dell’Orchestre de France ............................................................da pag. 29
Le Vie dell’Amicizia La Nona di Beethoven ad Atene Il Maestro Muti approda con il concerto della fratellanza nella Grecia della classicità ..............................................................a pag. 38
Note spirituali Le ore sacre del giorno Dalla celebrazione dell’Ufficio monastico ai Vespri a San Vitale e le Liturgie domenicali ............................................................da pag. 46
Musica da camera Dal Barocco a Mozart fino al ‘900 I concerti di Quartetto Echos, Mauro Valli, Giardino Armonico e le sorelle Labèque ............................................................da pag. 49
Opera lirica Norma, Aida e Carmen in scena Per la Trilogia d’Autunno il nuovo progetto al femminile di Cristina Mazzavillani Muti ..............................................................a pag. 55
Pink Floyd saga Un mito della musica pop Sui testi della canzoni che hanno fatto epoca e l’inossidabile talento del batterista Nick Mason ............................................................da pag. 56
100 percussioni Tributo alla fonte del ritmo Una settimana di scoperte, concerti e incontri intorno agli strumenti più antichi del mondo ..............................................................a pag. 64
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RAVENNA INTERNI PAG RFM.qxd:Rafest mastro 23/05/19 23.04 Pagina 1
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Sommario Ravenna Festival Magazine 2019
Musica e cinema Copeland, Bregovic, Theodorakis Dal rock alla musica popolare, quando le note diventano colonna sonora ............................................................da pag. 70
Canzoni d’autore Piovani, Ben Harper e Enzo Avitabile Ma anche Peppe Servillo e Neri Marcorè con gli omaggi a Modugno e a De Andrè ............................................................da pag. 76
Coreografie Riti e spaesamenti della danza Pietre miliari di Martha Graham e Neumeier, Van Hoecke, Étoiles e la ricerca di gruppo nanou ............................................................da pag. 86
Trilogia dantesca Teatro delle Albe, ecco il Purgatorio Chiamata pubblica per la cantica della Commedia, a Matera e a Ravenna ..............................................................a pag. 99
Orizzonti teatrali Tragici e filosofici Dai melologhi di Elena Bucci e Chiara Muti alle drammaturgie di Dionigi e Cappuccio ..........................................................da pag. 104
Immaginario Psichedelia e nuova epica Arte e grafica, fra op e pop degli anni ’60 e ’70 e il progetto iDyssey del fotoreporter De Luigi ..........................................................da pag. 114
Genius Loci Pavaglione Darsena Pop Up La piazza porticata di Lugo e gli spazi rigenerati a Ravenna, nuovi palcoscenici del Festival ..........................................................da pag. 124
Ravenna Festival Magazine
RIVISTA UFFICIALE DEL RAVENNA FESTIVAL Autorizz. Tribunale di Ravenna n. 1426 del 9-2-2016
DIRETTORE RESPONSABILE: Fausto Piazza In redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Serena Garzanti, Luca Manservisi Maria Cristina Giovannini (grafica senior), Gianluca Achilli (grafica). Collaboratori: Erika Baldini, Roberta Bezzi, Alberto Giorgio Cassani, Anna De Lutiis, Bruno Dorella, Iacopo Gardelli, Sabina Ghinassi, Enrico Gramigna, Linda Landi, Marina Mannucci, Guido Sani, Serena Simoni, Elettra Stamboulis, Attilia Tartagni, Roberto Valentino. La rivista è realizzata in collaborazione con la Direzione del Ravenna Festival. Si ringrazia in particolare Fabio Ricci, Giovanni Trabalza, Stefano Bondi, Giorgia Orioli. Referenze fotografiche: Julien Becker, Daniele Casadio, Cosimo Filippini, Jill Furmanovsky, Christopher.Jones, Jeff Kravitz, Kaupo Kikkas, Silvia Lelli, Gabriele Lungarella, Hibbard Nash, Umberto Nicoletti, Angelo Palmieri, Francesco Prandoni, Roberto Scorta, Todd Rosemberg, Nick Rutter, Luigi Tazzari, Wikimedia Commons, Jan-Olav Wedin, Gianni Zampaglione, Fabrizio Zani, Martina Zanzani (e altri non rintracciati che si ringrazia). In copertina: ritratto di Stewart Copeland (foto di Shayne Gray) Editore:
Edizioni e Comunicazione srl - www.reclam.ra.it
Viale della Lirica 43 - 48121 Ravenna. Tel. 0544 408312. DIREZIONE GENERALE: Claudia Cuppi STAMPA: Grafiche Baroncini srl - Sede di Imola (BO)
Piazza del Popolo - Ravenna Telefono: 0544 873973
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anniversario
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Ravenna Festival Magazine 2019
Ravenna Festival, trent’anni di arte, bellezza e partecipazione per la città
Auguri e auspici del sindaco Michele De Pascale per l’importante traguardo della manifestazione Saluto con grande gioia e gratitudine questo importante traguardo raggiunto dal Ravenna Festival; trent’anni di arte, bellezza e partecipazione al centro della nostra magnifica città. Il Festival nasce nella Ravenna di fine anni '80, in un momento di grande trasformazione del mondo per come lo conosciamo oggi, e anche in un momento di profondo cambiamento per la nostra città. Era la Ravenna di Raul Gardini e del gruppo Ferruzzi, la Ravenna che da circa tre-quattro decenni aveva abbandonato l’agricoltura come unica forma di economia per sviluppare l’industria e la portualità, la Ravenna in cui si insediava il primo corso di laurea, ma che ancora non era fino in fondo consapevole delle potenzialità del proprio patrimonio artistico e archeologico e della creatività dei suoi cittadini. In questo senso va riconosciuto a Maria Cristina Mazzavillani Muti lo straordinario merito di aver saputo comprendere questa enorme potenzialità e di aver attivato le energie per cambiare la città, accendendo su di lei i riflettori e portando la fiamma della cultura, della musica, del teatro e della danza in tutti i luoghi del territorio, quelli più conosciuti, ma anche tra le tante meraviglie nascoste. Dalla presenza del Maestro Muti, simbolo di come Ravenna, dopo aver accolto Dante Alighieri, sia ancora capace di accogliere e ispirare grandissime personalità della cultura globale, a importanti e celebri artisti internazionali, fino a alla cura e al sostegno di tanti giovani artisti: l’impegno della Signora Muti ha reso il palcoscenico di Ravenna uno dei più prestigiosi al mondo. Non solo, la più che ventennale esperienza dei viaggi dell'amicizia, nati dall'accorato appello di Sarajevo, dove per ricostruire il ponte distrutto occorrevano persone e non solo pietre, ha portato il nome di Ravenna nel mondo, nel
segno del linguaggio universale della musica. In questa esperienza i giovani musicisti dell'orchestra Cherubini, hanno saputo essere credibili testimoni di uno stile di professionalità e passione. Il Ravenna Festival e il riconoscimento Unesco del nostro patrimonio paleocristiano e bizantino, ci hanno donato una Ravenna consapevole della sua ricchezza e grandezza e costituiscono nutrimento fecondo per la produzione artistica e culturale.
Il nostro tesoro di arte e saperi, il Festival e tanti altri eventi e manifestazioni che sono cresciuti in questi anni, ci regalano oggi una città in grado di attirare sempre di più l’attenzione di tutto il mondo del turismo colto e amante dell’arte; Ravenna oggi è una tappa importante anche per chi visita classiche mete culturali come Firenze e Venezia. Inoltre il Ravenna Festival, non solo porta numeri e presenze, ma anche preziosi contatti, relazioni, notorietà e reputazione.
Ravenna Festival: thirty years of Art, Beauty and Participation for our Town I celebrate with joy and gratitude this remarkable goal of Ravenna Festival: thirty years of art, beauty and participation at the centre of our wonderful town. We all have to acknowledge that Cristina Mazzavillani Muti has understood before many others the extraordinary potentialities of the town and has been able to lighten them up through the flame of culture, music, theatre and ballet she has brought everywhere: the better known places, but also places still to discover and appreciate in their full splendour. Moreover “Roads of Friendship” have been taken for twenty years the name of Ravenna all over the world. Today Ravenna Festival means tourists, but also precious relationships and fame. Over the years, the Festival has been able to grow and diversify. At the moment, Festival's creativity is taking the path that will bring us to celebrate Dante's death VII centenary in 2021. Ravenna Festival could not exist without our wonderful town, but after thirty years, Ravenna would not be the same without the Festival. Michele de Pascale, Mayor of Ravenna and President of Ravenna Manifestazioni
Una manifestazione che nel tempo ha saputo crescere e diversificarsi, ad esempio realizzando la Trilogia d’Autunno un appuntamento che ha cambiato radicalmente il volto dell’autunno ravennate tant’è che anche l’amministrazione ha deciso di collocare le grandi mostre in questo periodo. Attualmente la creatività del Festival si sta cimentando con il cammino che ci porterà alle celebrazioni per il VII centenario del sommo poeta nel 2021, una sfida che coinvolge l’intera città, e che, sono certo, saprà regalarci come sempre grandi emozioni. Il Ravenna Festival non potrebbe esistere senza la nostra meravigliosa città, ma va detto che dopo trent’anni, Ravenna non sarebbe più la stessa senza il suo Festival che ha saputo cambiarne il volto, renderla una città più aperta e internazionale. Ravenna prova a tenere il passo del suo Festival, a volte ci riesce, a volte resta un poco indietro, quello che è certo è che il Ravenna Festival ci porti tutti i giorni ad essere migliori. m Michele De Pascale, sindaco di Ravenna e presidente Fondazione Ravenna Manifestazioni
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anniversario Ravenna Festival Magazine 2019
Un viaggio lungo 30 anni Temi, eventi e protagonisti del Ravenna Festival dalla prima edizione del 1990 ad oggi l 1990
Salieri e la scuola di Vienna Nasce Ravenna Festival, nel segno della grande musica e di Dante. Ad inaugurare il primo cartellone è Riccardo Muti, poi sul podio salgono Pierre Boulez, Carlo Maria Giulini, Lorin Maazel, mentre le letture dantesche sono di Paolo Poli ed Enrico Maria Salerno. A dettare la linea artistica è Roman Vlad.
l 1991
Cherubini e la scuola francese
“Cherubini e la scuola francese”: il gesto registico di Luca Ronconi e l’interpretazione di Riccardo Muti, con l’Orchestra e il Coro della Scala, riportano in scena Lodoïska, la rivoluzione in musica di uno dei più grandi compositori europei. E per la prima volta sull’austero sfondo della Basilica di San Francesco risuona la sua Messa solenne – la bacchetta è sempre quella di Muti.
l 1993
Bellini e Wagner
Per il prologo, arriva a Ravenna la più prestigiosa delle orchestre tedesche, i Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado, mentre nel finale, sulle acque del porto della città, risuona l’irripetibile voce italiana di Luciano Pavarotti: tutto lungo il filo che lega “Bellini e Wagner”. E memorabile è il laboratorio poetico dantesco di Federico Tiezzi con Sandro Lombardi (I Magazzini): va in scena il Paradiso, la drammaturgia è di Giovanni Giudici, cui gli anni dopo seguiranno il Purgatorio e l’Inferno, l’uno di Mario Luzi, l’altro di Edoardo Sanguineti.
l 1994
Bellini e Wagner (anno secondo) La galleria di grandi direttori si arricchisce di nuovi nomi: Giuseppe Sinopoli, Wolfgang Sawallisch, Seiji Ozawa, Myung-Whun Chung… e naturalmente torna Riccardo Muti, il direttore “di casa”: con lui va in scena una nuova produzione di Norma, e con lui la potenza espressiva del Requiem di Verdi si irradia sugli antichi mosaici di Sant’Apollinare in Classe.
l 1992
Intorno a Rossini
Tutto si gioca “intorno a Rossini”: il caleidoscopico universo musicale rossiniano è trasfuso nell’ipnotico e avvincente gioco coreografico di Micha van Hoecke in Adieu à l’Italie. Ma affiora anche nei recital di nomi simbolo del pianismo italiano come Aldo Ciccolini e Maurizio Pollini. Fra gli ospiti del Festival anche il poeta Tonino Guerra.
l 1995
Ravenna mediterranea tra Oriente e Occidente
Si riscopre la vocazione mediterranea di Ravenna, crocevia di culture e civiltà millenarie, sospesa “tra Oriente e Occidente”: dalla voce di Suor Marie Keyrouz al flamenco di Cristina Hoyos. Ma suggestivi echi orientali attraversano anche i concerti degli interpreti più prestigiosi: Misha Maisky, Marta Argerich, Mstislav Rostropovic e Valery Gergiev. >>
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anniversario Ravenna Festival Magazine 2019
l 1996
Ravenna mediterranea tra Oriente e Occidente anno II
FORLÌ Via G. Regnoli 33 Tel. 0543 1771113 La Granadilla Forlì Aperto tutti i giorni dalle 7.30 alle 19 Venerdì aperto fino alle 22 - Sabato dalle 9 alle 15.30 Domenica riposo
I Wiener Philharmoniker per la prima volta scendono in buca fuori dal loro teatro: all’Alighieri li dirige Riccardo Muti per il Così fan tutte con la regia napoletanissima di Roberto de Simone. Prima tappa della trilogia Mozart-Da Ponte che, con Don Giovanni e Nozze di Figaro, sempre Muti e i viennesi completeranno qualche anno dopo. Ma il Festival non conosce confini di genere: con Keith Jarrett il grande jazz irrompe in cartellone.
l 1997
“La via dei Romei” I Pellegrinaggi della Fede Di notte, su un aereo militare, Riccardo Muti e l’Orchestra della Scala attraversano l’Adriatico: Sarajevo, la città bosniaca ferita dalla guerra, disseminata di macerie ancora fumanti ha chiesto aiuto, ha chiesto ascolto. Nascono così le Vie dell’Amicizia, “ponti di fratellanza” gettati ogni anno ad unire popoli e culture, attraverso la forza della musica. Quella forza che emana dal gesto unico e inconfondibile di Carlos Kleiber, in uno dei suoi rari e preziosi concerti.
www.lagranadilla.it
PROSSIMA APERTURA A LUGO logge del Pavaglione
FAENZA Via Marescalchi 13/15 Tel. 0546 680565 La Granadilla Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 19 Martedì aperto fino alle 22 - Giovedì dalle 9 alle 15 Domenica riposo
l 1998
I pellegrinaggi della Fede, anno II Donna Mater, voci erranti del mondo Con Pagliacci, Riccardo Muti completa il dittico verista iniziato un paio d’anni fa con Cavalleria Rusticana. A metterle in scena, lo stesso team creativo: regia di Liliana Cavani, costumi e scene dei premi Oscar Gabriella Pescucci e Dante Ferretti. Ma il Festival si muove anche sui percorsi di una ritrovata spiritualità, lungo una inedita “via dei canti”, dalla perfezione dell’Hilliard Ensemble al suono arcano della baganna, l’arpa etiope… alla ricerca del “genius vocis”.
l 1999
I pellegrinaggi della Fede anno III Verso Gerusalemme Le Vie dell’Amicizia arrivano a Gerusalemme, là, dove si intrecciano e convivono le grandi religioni del Libro, culminano i “pellegrinaggi della fede” intrapresi in questi anni. Mentre un altro grande teatro, con la sua orchestra, approda all’Alighieri: è il Mariinskij di San Pietroburgo, a dirigere è Valery Gergiev: va in scena Lohengrin.
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anniversario Ravenna Festival Magazine 2019
l 2000
Cantastorie, gitani e trovatori Il Festival del nuovo millennio si apre con una grande festa popolare: luminarie e stupefacenti fuochi d’artificio invadono la città, tradizioni e suoni di Romagna intrecciano quelli delle terre del sud, fino a notte alta. Aprendo la strada a un cartellone dai mille volti: dal capolavoro di Paisiello, Nina o sia la pazza per amore, che Muti dirige sul podio dei complessi scaligeri, al memorabile concerto di Lou Reed.
l 2001
Dalla via dell’ambra alla via della seta… in compagnia del grande bardo Le infinite risorse espressive dell’opera in musica vanno in scena con la trasgressiva lettura di Eimuntas Nekrosius (Otello) e la tecnologia virtuale delle prime sperimentazioni registiche di Cristina Mazzavillani Muti (Capuleti e Montecchi). Torna Pierre Boulez, mentre si affacciano per la prima volta sul palcoscenico ravennate James Levine e Jeffrey Tate.
l 2002
New York: 11 settembre Nel cuore ferito di New York, sul ciglio di Ground Zero, dove il cieco terrore ha colpito ogni certezza umana, risuona in un silenzio assoluto e innaturale il Va’ pensiero di Verdi: lo dirige Riccardo Muti, con lui il Coro della Scala, i Musicians of Europe United, professori delle maggiori orchestre europee, e molti componenti della New York Philharmonic. Le Vie dell’amicizia conducono negli States, ma una delle più emblematiche voci americane approda in città, Bob Dylan.
l 2003
Ravenna visionaria “pellegrina e straniera” Va in scena una vera e propria “Saison Russe”: all’Alighieri irrompe l’innovazione del russo Teatro Helikon, e del suo fondatore Dmitrij Bertman, con ben quattro opere: dall’immaginifica Dama di picche di Čajkovskij alla sensuale Lady Macbeth nel distretto di Mcensk di Šostakovič, dall’eclettismo buffo di Mavra di Stravinskij al virtuosismo timbrico di Kascej, l’immortale di Rimskij-Korsakov. E russo è anche il cuore danzato del Festival, con il Balletto Kirov del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. >>
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l 2004
Illuminazioni sulla via di Damasco Philip Glass, insieme a musicisti provenienti dai cinque continenti, si lascia ispirare dalle stelle di Orion, la costellazione visibile in ogni stagione da ogni punto del pianeta. E la vocazione del Festival ad abbracciare le culture e le forme artistiche più diverse prende corpo in I La Galigo di Robert Wilson: l’antico poema indonesiano narra la storia della creazione della terra e il mistero divino si traduce nella magia di colori e nel gesto ieratico di sessanta straordinari interpreti.
l 2005
Il deserto cresce… viaggio tra simbolismo e utopia La voce del muezzin risuona tra le pietre del maestoso anfiteatro romano di El Djem, in Tunisia, e Riccardo Muti abbassa la bacchetta, lascia morire il canto religioso prima di riprendere a dirigere il Mefistofele: «momenti così – dirà poi – travalicano le religioni e le culture diverse», e sottolineano il significato più vero delle Vie dell’Amicizia. Per la prima volta al Festival si esibisce l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, orchestra “residente”.
l 2006
l 2008
Erranti, erotiche, eretiche Erranti, erotiche, eretiche… la figura femminile è evocata in tutte le espressioni artistiche: da quella più amata del repertorio operistico, Traviata (regia di Cristina Mazzavillani Muti), alle più superbe étoiles del nostro tempo, Sylvie Guillaum e Svetlana Zacharova; dai “ritratti di donna” tra cui quelli tratteggiati da Elena Bucci (l’insana fame di sapere di Juana de la Cruz), e da Ermanna Montanari (la fiera Rosvita), all’incontro immaginifico tra Norma e Medea. Il musical più rappresentato al mondo, Cats, entusiasma ii pubblico del Palafiera di Forlì.
l 2009
…lâ ilahâ illâ… Quando ti sento arrivare il mio cuore danza, le mie braccia si aprono
Danza e teatro si fanno preghiera e rito nel nome dell’antico poeta mistico sufi, con il nuovo lavoro di Robert Wilson, Rumi. In The Blink of the Eye, e attraverso l’assoluto dominio del corpo dei monaci buddisti del Tempio Shaolin, guidati in Sutra dal coreografo Sidi Larbi Cherkaoui. E sullo sfondo della Basilica di San Vitale, le diverse religioni si intrecciano nella suggestione di “Voci nella preghiera”, suoni e canti tra i quali si insinuano il pensiero e le parole di Massimo Cacciari. Duo d’eccezione per un gran finale: il profeta del funk Herbie Hancock, e il più prodigioso talento pianistico dell’ultima generazione, Lang Lang.
Mozart? Mozart! L’edizione dedicata a Mozart si apre con una delle più prestigiose orchestre mondiali, la New York Philharmonic: due concerti, sul podio Lorin Maazel e Riccardo Muti. E tra i “solisti” che punteggiano il cartellone spiccano il più acuto e “intellettuale” dei pianisti, Alfred Brendel, e il puro energico talento del danzatore Roberto Bolle. Ma la dimensione “classica” come sempre non basta a raccontare il Festival: Eugenio Barba, pioniere transculturale, indaga gli archetipi del teatro di tutti i tempi: Don Giovanni e Amleto.
l 2007
La pietra di diaspro “quando il cielo si squarcerà” Prende il via la collaborazione con il Festival di Pentecoste di Salisburgo, su un progetto quinquennale di riscoperta della “Scuola napoletana”. Sotto la direzione di Muti tornano a risuonare capolavori dimenticati da secoli nella preziosa biblioteca del conservatorio di San Pietro a Majella: si comincia con Il ritorno di Don Calandrino di Domenico Cimarosa. E il coreografo Matthew Bourne, con Swan Lake, sceglie per la prima volta Ravenna come palcoscenico esclusivo delle sue emozionanti produzioni.
l 2010
Ex tenebris ad lucem Tenebrae, cantata video-scenica per voci registrate, ensemble e live electronics, segna una nuova commissione al compositore Adriano Guarnieri (la prima nel 2007 era stata con Pietra di diaspro) con la regia di Cristina Muti: ardita sperimentazione dello spazio visivo e sonoro. Ma la vena visionaria emerge anche nei Demoni, il capolavoro di Dostoevskij messo in scena da Peter Stein: undici indimenticabili ore di spettacolo. E attraverso pinete e radure, archeologia e natura, tra canto, musica e balli, si snoda il percorso del primo Concerto trekking.
l 2011
Fabula in Festival C’era una volta… il mondo delle fiabe prende corpo e vita nell’emozionante e cupa Cinderella di Matthew Bourne, eppoi nell’esplosivo e gioioso Impempe Yomlingo, il mozartiano Flauto magico trasformato in musical e intriso della ritmica fisicità di un’orchestra di marimbe africane. Nel cuore dell’Africa approdano anche le Vie dell’amicizia, all’Ururu Park di Nairobi. Mentre sul podio tornano Kent Nagano, Zubin Mehta e Claudio Abbado. >>
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l 2012
Nobilissima Visione Grande apertura con la Chicago Symphony Orchestra, sul podio della straordinaria compagine americana il suo direttore musicale: Riccardo Muti. Ma, ricordando Romualdo da Ravenna, il tema del festival percorre i più remoti sentieri spirituali del monachesimo, e per un’intera settimana la città è “invasa” da una piccola comunità di monaci tibetani dell’antico monastero di Drepung Loseling, e conquistata dal suggestivo rito del mandala. E le Vie dell’amicizia si trasformano in un toccante “Concerto delle fraternità”, in cui confluiscono le più diverse espressioni religiose. La prima delle Trilogie d’autunno è riservata a Verdi: vanno in scena, una sera dopo l’altra, con la regia di Cristina Muti, Traviata, Trovatore e Rigoletto.
l 2013
Alchimie popolari “Una balera ai giardini”
Ristorante Field Circonv. al Molino 128 Ravenna Tel. 0544.1672628 www.fieldravenna.it info@fieldravenna.it Field Chiuso il Martedi sera
L’illusionismo acrobatico dei Momix va in scena con la prima mondiale di Alchemy. Ma poi è il ballo popolare romagnolo a dominare il cartellone, i valzer, le polke e le mazurke nate sulle aie delle nostre campagne risuonano alla “balera ai giardini” nel vortice di un “polka day”, per poi incontrare i nobili ballabili viennesi degli Strauss, ma anche il jazz di Trovesi e Coscia, e la straniante fisarmonica di Simone Zanchini, tutti riuniti infine in un festoso omaggio a Secondo Casadei. La galleria di interpreti musicali si arricchisce del più grande violoncellista dei nostri tempi: Yo-yo Ma.
l 2014
1914: l’anno che ha cambiato il mondo
In scena L’elisir d’amore e Bohème, non in teatro ma… tra i tavoli di un ristorante, nell’irriverente e rivoluzionaria lettura della giovane compagnia inglese Opera Up Close. Il centenario dello scoppio della Grande Guerra punteggia tutto il cartellone fino a culminare nel concerto ai piedi di quel monumento al dolore e alla memoria che è il Sacrario di Redipuglia: riuniti, sotto la direzione di Riccardo Muti, i musicisti delle nazioni protagoniste del massacro.
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2015
L’Amor che move il sole e l’altre stelle Un vero e proprio “viaggio” dantesco si dipana lungo nuove creazioni, affidate a compositori come Adriano Guarnieri, con la video opera L’amor che move il sole e l’altre stelle, e Nicola Piovani, con La vita nuova, cantata per la voce recitante di Elio Germano, soprano e piccola orchestra. Ma il teatro musicale è declinato anche nella veste della grande tradizione operistica italiana, con Falstaff. È proprio all’ultimo capolavoro verdiano, che Riccardo Muti dedica la sua prima Accademia dell’Opera Italiana.
2016
Ho camminato sulla lunga strada per la libertà È la figura di Nelson Mandela il cuore del percorso dedicato alla conquista della libertà, bene prezioso e irrinunciabile. Così con Mandela Trilogy allestito dalla Cape Town Opera va in scena la tradizione musicale sudafricana. Ma l’anelito alla libertà trapela con forza anche nella travolgente passione con cui i 100 cellos, guidati da Giovanni Sollima, invadono la città trascinando il pubblico in una miriade di concerti e performance. E, inevitabilmente, intrecciandosi ai quotidiani appuntamenti dedicati ai Giovani artisti per Dante, a due passi dalla tomba del Poeta, e ai Vespri a San Vitale. Infine, dai più attivi teatri ungheresi, una trilogia danubiana all’insegna dell’operetta: la libertà della leggerezza.
2017
Il rumore del tempo A distanza di un secolo, ricordare la Rivoluzione d’ottobre significa indagarne le energie volte alla modernità come le cocenti disillusioni e gli orrori, raccogliendo ciò che resta oltre “il rumore del tempo” – titolo condiviso con il romanzo di Julian Barnes dedicato a Šostakovič, ma anche con le toccanti prose di Osip Mandel’stam. Tra rivoluzioni musicali e espressive, la dirompente carica dantesca appare amplificata nell’Inferno in cui il Teatro delle Albe chiama a raccolta l’intera città, mentra la Trilogia d’autunno si spinge fin “sull’orlo del Novecento”, gettando nuova luce sul verismo italiano: Cavalleria rusticana, Pagliacci e Tosca. Infine, l’avverarsi di un sogno: le Vie dell’amicizia conducono a Tehran, ancora Riccardo Muti, nel segno dell’infallibile lingua comune della musica.
2018
We Have a Dream A mezzo secolo dal suo assassinio, richiamare il titolo del celebre discorso tenuto da Martin Luther King il 28 agosto 1963 al Lincoln Memorial di Washington – divenuto in tutto il mondo simbolo della lotta contro il razzismo, inno alla libertà e all’uguaglianza – significa continuare l’esplorazione di eventi cruciali e icone del Novecento, nel tentativo di lenire lo smarrimento e le inquietudini che insidiano i nostri tempi. Così, si entra “nelle vene dell’America” con uno sguardo all’enorme contributo degli States alla cultura del Novecento: allora, ecco l’aspro ruggito delle cento chitarre elettriche ma anche Kiss me, Kate, il raffinato musical di Cole Porter. Senza mai perdere di vista il “nostro” e sempre sorprendente patrimonio verdiano: Macbeth per i cinquant’anni di Riccardo Muti Davis sul podio Maggio Fiorentino, anche una nuova Trilogia Angela in undel ritratto d’epoca (Getty ma Image) d’autunno: Nabucco, Rigoletto, Otello.
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Ravenna Festival Magazine 2019
Trent'anni dopo: ricordare il lungo percorso del Festival, per dire grazie
Il senso della memoria di un’impresa collettiva secondo il sovrintendente Antonio De Rosa Dante nel Convivio ricorda che «Lodare sè è da fuggire», dunque appare impervia qualsiasi menzione celebrativa, tuttavia lo stesso Dante apre a due possibili ragioni per parlare di sé: «L'una è quando senza ragionare di sè grande infamia o pericolo non si può cessare... L'altra è quando, per ragionare di sè, grandissima utilità de ne segue altrui...». Dunque la celebrazione dei trent’anni di Festival trova necessità nel fare memoria, rendere presente, condurre nei nostri giorni. Un patrimonio fatto del lavoro di donne e uomini che con i loro sguardi hanno osato vedere oltre, con le loro mani non hanno cessato di dar vita alla loro passione, fosse per tenere le proprie dita sullo strumento musicale o sulle corde del palcoscenico. Ma non solo, anche un tesoro di enti pubblici, fondazioni e aziende che nel rigore dei propri bilanci e documenti programmatici hanno saputo far spazio per la cultura. Non celebrare sarebbe così cadere nella trappola di coloro che, ignari del passato, tracollano sotto il peso dell'ossessione del cambiamento fine a se stesso. Molti non hanno vissuto in prima persona, o solo in parte, l’incipit del Festival, le sue trasformazioni, gli incontri virtuosi, gli eventi, le scelte di fondo che ci hanno resi ciò che siamo. Hanno bisogno di sentirselo raccontare spesso, con sempre nuove sfumature, fino a che quella storia diventi anche la loro. Hanno bisogno di ascoltare, fare domande, confrontare il passato con l’oggi. Anche il più giovane di noi, anche l’ultimo arrivato, deve avere 30 anni di storia, come se l’avesse vissuta tutta. Ma anche a chi ha vissuto gli inizi fa bene a fare memoria. Nel tempo i ricordi si depurano dalle emozioni e tra le pieghe di una storia umana fatta di disfatte, gioie, separazioni, incontri… si comincia a riconoscere quell'impresa straordinaria.
La seconda ragione è portare frutto a una storia così bella. Dunque anche fare memoria non è vivere di passato, ma prendere il buono del passato e renderlo presente, attraverso la vita e la passione di chi in questa impresa si mette in gioco. Facciamo memoria per imparare a ricono-
scere e a guardare la nostra storia come una storia bella e di tutti, per imparare a viverla e custodirla ammirandone la fine tessitura come gli straordinari rammendi. Facciamo memoria per non smarrirci nei momenti di difficoltà, per camminare anche quando attraversiamo un
Thirty Years After, Remembering the Story of the Festival to say Thank you In his Convivio Dante explains that there are only two reasons why we can talk about ourselves: the first one in case we must stop danger or infamy, the second one in case it can be useful to other people. This is why the celebration of thirty years of Festival is necessary to build memory. An heritage made of men and women who have been able to look forward, but also a treasure of public authorities, companies and foundations that have been able to find resources for culture. Today, even the youngest of us must have thirty years of history. Remembering does not mean living in the past, but taking the best of the past to make it present. Today we cannot but think of those who gave birth to the festival: Mario and Cristina. But there are also Angelo and Franco, and administrators, workers, technicians, trainees, and the artists who have played, sung, dance, lived for us, starting with the Maestro Riccardo Muti. And then there are the Friends of Ravenna Festival. In this theatre the audience is on the proscenium. That is why we have to thank "knights and ladies, of love and arms" who have been protagonists of this adventure, as nothing was expected, and nothing will be lost. Antonio De Rosa, Superintended of Ravenna Manifestazioni
momento di buio, guidati dai passi che abbiamo fatto nella luce perché nel teatro, come nella vita, non ci può essere splendore senza ombra. Come non portare in questa scena di festa chi il Festival l'ha fatto nascere, Mario e Cristina, che con la sapienza e la creatività hanno generato qualcosa di straordinario che sa aggiungere vita alla vita; Angelo e Franco, gli amministratori, i lavoratori, i tecnici, consulenti e stagisti, che ci hanno regalato le opere e i giorni, gli artisti che hanno suonato, cantato, ballato insomma vissuto per noi. Primo tra tutti il Maestro, Riccardo Muti, che ci ha donato il suo magistero, severo e vitale, profondo e incantevole allo stesso tempo. E gli Amici del Ravenna Festival, generosi e presenti compagni di viaggio! In questo teatro è il pubblico ad avere la ribalta, le migliaia e migliaia di persone coi loro sguardi luminosi che hanno acceso il nostro palco. Come in un opera d'arte non si può scindere un elemento dall'altro, il colore dalla tela o la forma dal marmo, così anche in questo nostro percorso si rivela una trama comune fatta di partecipazione degli spettatori, corresponsabilità di enti e fondazioni, investimenti generosi di aziende e la condivisione di tutti coloro che, con diversi ruoli, hanno preso parte alla costruzione e hanno reso possibile quel fare insieme che, in questa terra, sembra una magia, è sempre fare bene insieme. Dunque «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori» – come nel poema cavalleresco – sono i protagonisti di questa impresa, dire loro GRAZIE vuol essere un segno di rispetto, ma soprattutto il segno che nulla è scontato in questa storia e per questo nulla andrà perduto. m Antonio De Rosa, sovrintendente Fondazione Ravenna Manifestazioni
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approdi e naufragi Ravenna Festival Magazine 2019
“...per l’alto mare aperto...” fra vicende di popoli, eroi e vittime, natura e culture
DI ANNA DE LUTIIS
«Ma misi me per l’alto mare aperto» è il verso che racconta il desiderio di Ulisse di partire verso nuove avventure, alla scoperta di luoghi sconosciuti.
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Ecco come Dante ce lo presenta nel ventiseiesimo canto dell’Inferno:Ulisse che esorta i compagni a partire con lui, ricordando loro che non sono stati creati per vivere come bestie ma «per seguir virtute e
dal martedì al sabato PRANZO 12:00 - 15:00 CENA 19:00 - 23:00 (chiuso domenica e lunedì)
canoscenza». Dante stesso aveva sognato di intraprendere un viaggio con gli amici Guido e Lapo, in un «vasel ch’a ogni vento per mare andasse», «sì che fortuna od altro tempo rio» non gli «potesse dare impedimento». L’impedimento, il pericolo, l’ignoto erano sempre presenti quando si intraprendeva un viaggio, era sempre un’avventura. È stata un’avventura anche Ravenna Festival che, con questa edizione, compie trent’anni? «Un’avventura consapevole – risponde Cristina Mazzavillani Muti – di cui non mi sono mai pentita, neppure nei momenti di difficoltà. Volevo fare qualcosa di bello per la mia città per restituire un po’ dei bei momenti che la vita mi ha dato». E così parte anche l’edizione anno 2019, il mare come mezzo e come meta, il Mare Nostrum, un Mediterraneo che è da sempre luogo di percorsi e conquiste gloriose, ma anche testimone di vite distrutte. Alessandro Vanoli in Quando guidavano le stelle si pone la domanda: «Che cos’è il Mediterraneo? Un mare tra le terre. Un mare interno, come altri nel mondo. Eppure questo spazio, compreso tra lo stretto di Gibilterra e le coste del Medio Oriente, tra Venezia e Alessandria d’Egitto, ha qualcosa di speciale. Non soltanto perché è il “nostro” mare. Le acque del Mediterraneo sono una barriera tra i tre continenti che vi si affacciano, l’Europa, l’Asia e l’Africa, ma sono soprattutto un luogo di incontro e di passaggio». «Quante civiltà, – continua Vanoli
A sinistra: “Il mare”, Vincent Van Gogh A destra: “Il mare”, Claude Monet Nella pagina a fianco, un ritratto dello scrittore James Joyce
– quanta gente, religioni, vite, amori, terrori, passioni e paure si sono incontrati su questo mare. Per secoli. Per millenni». Una distesa d’acqua che chiama, che incita a partire, un richiamo al quale Ulisse non seppe mai resistere: per questo rappresenta un’immagine insuperata della grandezza dell’uomo, del suo irrefrenabile impeto a penetrare nell’ultima profondità delle cose. Il rimprovero a Ulisse che fu di Petrarca, (nel Trionfo della Fama): «Disiò di veder troppo», è oggi largamente superato dal momento che l’uomo naviga ben oltre il mare, verso Marte, e oltre, dopo aver conquistato la Luna. Anche Fernand Braudel si pone la stessa domanda e risponde «È mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre». Quanto deve aver affascinato e fatto sognare poeti e pittori, questo Ulisse che è, in fondo, in ognuno di noi, anche se noi spesso restiamo a guardare il mare dalla spiaggia. L’idea del mare come libertà, lontano orizzonte, ce lo suggerisce questa poesia di Charles Baudelaire
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approdi e naufragi Ravenna Festival Magazine 2019
Il mare, fonte di fascino e timore, ha ispirato poeti, scrittori, pittori. Incrocio di destinazioni, il Mare Nostrum è testimone del destino di un’umanità in viaggio, ieri come oggi L’uomo e il Mare Sempre il mare, uomo libero, amerai! perché il mare è il tuo specchio; tu contempli nell’infinito svolgersi dell’onda l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito non meno amaro. Godi nel tuffarti in seno alla tua immagine; l’abbracci con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore si distrae dal tuo suono al suon di questo selvaggio ed indomabile lamento. Discreti e tenebrosi ambedue siete: uomo, nessuno ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto, mare, le tue più intime ricchezze, tanto gelosi siete d’ogni vostro segreto. Ma da secoli infiniti senza rimorso né pietà lottate fra voi, talmente grande è il vostro amore per la strage e la morte, o lottatori eterni, o implacabili fratelli (Charles Baudelaire)
Un eroe, Ulisse, che ha ispirato Joyce nel libro che porta il suo nome, anche se l’eroe dello
scrittore irlandese vive il dramma di una giornata come tante, ma sottoposto a quel flusso di coscienza, stream of consciousness, che lo porta a riflettere sulla banalità della vita intesa come un lungo e continuo chiacchierare con se stesso. Le avventure di Ulisse affascinarono tanti pittori che proiettarono sulle loro tele i momenti vissuti dall’eroe di Itaca: quelli eroici ma anche quelli tragici. La poesia del mare è semplicemente il suo suono. Tantissimi autori celebri ne hanno trovato ispirazione, ascoltando lo scroscio delle onde o semplicemente ammirandolo, riuscendo a comporre bellissime poesie sul mare che sono divenute famose grazie alle profonde emozioni e sensazioni che questa potenza della natura fa scaturire nell’animo umano. Troviamo poesie bellissime con un argomento comune: il mare. Calmo, immenso, romantico… ma allo stesso tempo forte, impetuoso e, quando vuole, letale. Ognuno percepisce le emozioni in maniera assolutamente personale, così come ogni autore ha scritto versi sul mare talmente profondi che >>
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anche da soli, estrapolati dal contesto, valgono come frasi ad effetto con un significato finito: mare uguale poesia dell’animo.
Mare al mattino, cielo senza nubi d’un viola splendido, riva gialla; tutto grande e bello, fulgido nella luce. Mi fermerò qui. (Costantino Kavafis)
mentre un lampo vivido e sinistro fende il cielo di bistro d’un lungo zigzag luminoso, e che ogni onda in salti convulsi lungo tutta la scogliera va, si ritira, brilla e risuona. E nel firmamento, dove erra l’uragano, ruggisce il tuono formidabilmente. (Paul Verlaine)
S’ode ancora il Mare
Mare
Già da più notti s’ode ancora il mare, lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce. Eco d’una voce chiusa nella mente che risale dal tempo; ed anche questo lamento assiduo di gabbiani: forse d’uccelli delle torri, che l’aprile sospinge verso la pianura. Già m’eri vicina tu con quella voce; ed io vorrei che pure a te venisse, ora di me un’eco di memoria, come quel buio murmure di mare. (Salvatore Quasimodo)
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare: vanno le stelle, tremolano l’onde. Vedo stelle passare, onde passare: un guizzo chiama, un palpito risponde. Ecco sospira l’acqua, alita il vento: sul mare è apparso un bel ponte d’argento. Ponte gettato sui laghi sereni, per chi dunque sei fatto e dove meni? (Giovanni Pascoli)
L’oceano sonoro palpita sotto l’occhio della luna in lutto e palpita ancora,
Ci sono alcuni tra gli autori che hanno preferito questo tema per i loro romanzi che hanno avuto un successo indescrivibile, tra questi possiamo citare il celebre Alessandro Baricco con il suo Oceano Mare e le sue fantastiche >>
In alto da sinistra: “Odisseo e Nausicaa”, Salvator Rosa “Polifemo viene accecato” e “Testa di Ulisse”, Museo di Sperlonga Al centro, ritratto del poeta Costantino Kavafis e il dipinto “Il mare” di Paul Gauguin
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approdi e naufragi Ravenna Festival Magazine 2019
frasi che pagina dopo pagina fanno appassionare il lettore incuriosendolo a continuare. Poesie e mare, due semplici parole che insieme possono creare veri e propri capolavori. Anche i cantautori si sono lasciati affascinare dal mare e Ravenna Festival ha programmato per loro due spettacoli: Uomini in Frac, omaggio a Modugno, progetto di Peppe Servillo e omaggio a Fabrizio De André, progetti di Nicola Piovani e Neri Marcoré. Modugno descrisse nelle sue canzoni non solo il mare ma il tradizionale modo di pescare: ‘U pisci spada, la tragica separazione dei due protagonisti: Ti pigliarono la femmina,/dritta dritta in mezzo al cuore,/e piangeva di dolore:/‹ahi ahi, ahi ahi ahi›./E la barca la trascinava,/e il sangue scorreva,/e il maschio piangeva:/“ahi ahi, ahi ahi ahi”
E De André portò nelle sue canzoni non solo il mare di Liguria ma anche il dialetto ligure che parla di mare e di tradizioni ad esso legate. C’è un esempio molto particolare che dimostra come un’opera letteraria può essere narrata anche in una sola canzone, come avviene con Itaca di Lucio Dalla, dove l’Odissea di Omero viene raccontata e cantata ma, questa volta, da parte dei marinai. Dall’altra sponda arriveranno al Festival le musiche di Goran Bregovic, dai Balcani, e quellle di Mikis Theodorakis dalla Grecia, Atene, che sarà meta delle Vie dell’Amicizia. Il Mediterraneo, che per gli antichi era immenso e ignoto, oggi è facilmente percorribile, eppure, scrive Iosif Brodskij: «questo bacino ha prodotto per millenni alcune delle più sorprendenti vicende esotiche e culturali del pianeta». Gli storici ritengono che i Miceni e gli Achei furono popoli del mare, violenti e invasori, ma senza dubbio amanti dell’avventura, della scoperta di nuove terre. Scrive Roger Arnaldez nel libro Il Mediterraneo di Fernand Braudel: «Il Mediterraneo era popolato di divinità. Sui suoi flutti, da una sponda all’altra, arditi navigatori
partivano portando con sé gli dei della città d’origine, alla ricerca di nuove terre dove fondare colonie, nelle quali innalzavano templi. […] Dall’Iliade di Omero alle opere dei tragici, i greci hanno tramandato una letteratura che consente di ritrovare tale mentalità». Una dimostrazione chiarissima ce la da Ulisse nelle sue continue sfide e lotte per cercare di contrastare gli interventi degli dei, a suo scapito: i naufragi, la perdita dei suoi uomini. Se ieri il Mare Nostrum era solcato alla ricerca di conquiste, oggi migliaia di migranti si avventurano con mezzi di fortuna nella speranza di raggiungere l’altra sponda e con essa una vita diversa, ma spesso i sogni si scontrano con una realtà dura e deludente. Un esempio fra i tanti: Tesfalidet è il vero nome di Segen, il migrante eritreo morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo, dalla nave Proactiva della ong spagnola Open Arms, il 12 marzo 2018. Le sue braccia magre, il viso scavato e sofferente, gli occhi pieni di dolore resteranno indelebili per quanti tra soccorritori, medici, militari e volontari hanno fatto il possibile per salvare quel ragazzo che al momento del suo arrivo in Italia pesava appena trenta chili. Segen in tigrino è un nome di donna, un soprannome che si dà a chi ha il collo lungo come uno struzzo o un cammello, come quelli che popolano il villaggio di Mai Mine, devastato dall’ultima guerra con l’Etiopia tra il 1998 e il 2000, da dove Segen è partito. Segen riusciva a malapena a camminare quando il medico degli sbarchi, Vincenzo Morello, dell’Usmaf del Ministero della Salute lo ha preso in braccio come un figlio. «Gli ho chiesto perché era in quelle condizioni – racconta il medico – e lui ripeteva Libia, Libia». Dentro un portafoglio plastificato erano custodite le sue poesie siglate dalla lettera G e il numero 1, il codice che identifica il primo migrante sceso dalla nave in quello sbarco di 92 persone. >>
Dall’alto, inconfondibili, Lucio Dalla, Domenico Modugno e Fabrizio De Andrè
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Versi tratti dalle poesie di Segen Nessuno mi aiuta, e neanche mi consola, si può essere provati dalla difficoltà, ma dimenticarsi del proprio fratello non fa onore, il tempo vola con i suoi rimpianti, io non ti odio, è sempre meglio avere un fratello. ……………………………… Ora non ho nulla, perché in questa vita nulla ho trovato, se porto pazienza non significa che sono sazio perché chiunque avrà la sua ricompensa, io e te fratello ne usciremo vittoriosi affidandoci a Dio. ………………………. Tempo sei maestro per chi ti ama e per chi ti è nemico, sai distinguere il bene dal male, chi ti rispetta e chi non ti dà valore. Vorrei dirti ciò che non rende l’uomo un uomo finché si sta insieme tutto va bene,
ti dice di essere il tuo compagno d’infanzia ma nel momento del bisogno ti tradisce.
Rimangono nel mare molti sogni di migranti e il mare copre tutto e tace. Ieri accoglieva fra i flutti eroi intraprendenti, oggi molti di coloro che affidano al mare le proprie speranze. Calza a pennello, per descrivere situazioni come quelle di oggi, il brano tratto da Oceano Mare di Alessandro Baricco che si riferisce a una diversa situazione ma che descrive perfettamente le paure e le emozioni di chi è in balia del mare: C’è silenzio orrendo, sulla zattera e tutt’intorno. Nessuno più si lamenta. I morti sono morti, i vivi aspettano e basta. Niente preghiere, niente grida, niente. Il mare danza, ma piano, sembra un commiato, a bassa voce. Il mare danza, ma piano. Niente preghiere, niente lamenti, niente. Il mare danza, ma piano. m
“But I put forth on the high open sea”: peoples, heroes, victims, nature and cultures “But I put forth on the high open sea” is the way Dante describes Ulysses' desire to go for new adventures, to discover unknown places in the XXVI canto of the Inferno. Has also the Ravenna Festival been an adventure that has been going on for thirty years? «It has been an adventure full of awareness, and I have never regretted it» says Cristina Mazzavillani Muti. «My aim has always been doing something for my hometown and giving back some of the beautiful moments life has given me». Alessando Vanoli in his book Quando guidavano le stelle (When Stars Were Our Guide) wonders: «What is the Mediterranean? A sea among lands. An internal sea, like others in the world, but with something special. The waters of the Mediterranean are a barrier dividing three continents, but they mostly are a place where people travel and meet». It is the same question Fernand Braudel asks himself before answering: «It is many things together, countless landscapes. Not only one sea, but a succession of seas». Dante's Ulysses is in each of us, even if we often simply watch the sea from the shoreline. The metaphor of the sea as a symbol for freedom is also in Baudelaire's “Man and the Sea”. And Joyce was inspired by this character for his homonymous novel. Ulysses' adventures inspired many painters and poets such as Costantino Kavafis, Salvatore Quasimodo, Paul Verlaine, Giovanni Pascoli. More recently Alessandro Baricco has had an enormous success with his beautiful novel, Ocean Sea. Also songwriters have been fascinated by the sea and Ravenna Festival pays homage to two of them: Domenico Modugno (with Peppe Servillo’s project entitled Uomini in Frac) and Fabrizio De André (with Nicola Piovani’s project). But there has also been Lucio Dalla with his “Ithaca” where Odissey is told by Ulysses' mariners. From the other side of the sea there will be Goran Bregovič from Sarajevo and Mikis Theodorakis from Athens. If yesterday the “mare nostrum” was cut through by conquerors, for the last years thousand of migrants have been trying to reach the other side on improvised vessels hoping in a better life, but dreams often clash with a difficulties. And the sea covers up everything.
In alto a sinistra: “La Zattera della Medusa” Jean Louis Théodore Géricault, 1818-19, Museo del Louvre, Parigi In alto a destra: naufragio di una delle centinaia di zattere odierne In basso a sinistra: uno dei manoscritti intrisi di salsedine di Segen (a destra), custodito insieme ad altre sue poesie nell’hotspot di Pozzallo
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Filologia del Mare Nostrum A proposito del Breviario Mediterrano di Predrag Matvejevic «Accade che un giorno le circostanze risveglino questi stati torbidi e traumatizzanti e li attivino sotto forma di resistenza o di aggressione, di sacrificio o di crudeltà» Predrag Matvejević
DI MARINA MANNUCCI
Nella prefazione all’edizione del 2004 del Breviario Mediterrano di Predrag Matvejević (Milano, Garzanti), Claudio Magris scrive: «La scienza del mare è studio di rotte e correnti, analisi chimica
del tasso di salinità e rilievo stratigrafico, mappa del dominio bentonico e pelagico e suddivisione in zone eufotiche, oligofotiche e afotiche, misurazione di temperature e venti; essa è tuttavia anche storia di naufragi e mito di sirene,
“Mare nostrum”, about Matvejević’s book Mediterranean: a Cultural Landscape Predrag Matvejević was a Croatian scholar who left former Yugoslavia during the war and was then teacher at the Sorbonne Nouvelle in Paris and at the Sapienza University in Rome. He was also given the Italian citizenship. He is mostly known for being the author of the world famous book Mediteranski brvijar (Mediterranean: a Cultural Landscape) where he mixed narrative elements, non-fiction and historical documents. The book, which was originally published in 1987, is still read by a large number of people going from volunteers travelling to Sarajevo to tourists visiting the Crowned Islands, as it give a deep insight of history and culture of this place. But in Mediterranean: a Cultural Landscape Matvejević also describes the smells of the sea, the shape of clouds, the strength of winds and waves and rains and he also speaks of the lighthouses. In his book the Mediterranean becomes a real project. The etymological research for the word “Mediterranean” is devoloped through a physical journey during which the scholar has discovered destroyed libraries, idioms and dialects; he has flipped through maps, nautical charts and logbooks. From the information he has gathered, Matvejević concludes that time has changed the meaning of a lot of words, including those relating to this sea. Predrag's book still helps us to understand the historical roots of the conflicts taking place in the Mediterranean. In his words: «Nobody knows all the peoples living along the coastline, they do not know themselves enough. Sometimes we do not even know what the word people means: a city or a village, a nation, a state, one thing separated from another or both?» Almost everything has been said about this sea but we should never forget what the author wrote at the end of his book more than thirty years ago: «the Mediterranean set is composed of a lot of subsets which defy or refuse unifying ideas».
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galeoni affondati e Leviatani primordiali; amnios originario dell’umanità e culla di civiltà, la grande prova dell’anima di cui parla Musil, l’incontro col simbolo dell’eterno e della persuasione ossia della vita che riduce nel suo puro presente incorruttibile, nella sua pienezza di significato». Continuando, Magris si sofferma sull’originarietà dell’autore del libro, protagonista del dibattito intellettuale contemporaneo: «Una grande voce della Mitteleuropa – ossia di un mondo continentale, di grandi pianure croato-pannoniche – ha scritto sul Mediterraneo un libro geniale, imprevedibile e fulmineo che arricchisce sia la storiografia culturale sia la vera e propria letteratura del mare, con i suoi millenari tesori poetici che sfidano quelli affondati negli abissi». Predrag Matvejević, saggista croato docente di letteratura francese all’università di Zagabria, dopo aver lasciato la Jugoslavia dilaniata dalla guerra, dal 1991 al 1994 è stato docente
di letterature slave comparate alla Sorbonne Nouvelle di Parigi e dal 1994 al 2007 professore di slavistica all’Università Sapienza di Roma. Esponente del dissenso nei paesi socialisti dell’Est europeo, raggiunge una fama planetaria con il volume Mediteranski brevijar in cui condensa narrativa, saggistica e documentazione storicoculturale. Riceve numerosi riconoscimenti internazionali e, in Italia, dove gli viene concessa la cittadinanza, pubblica volumi incentrati sul tema dell’identità e sul minaccioso riaffacciarsi di ideologie da lui ritenute pericolose. Nell’articolo Predrag Matvejević. Un battitore libero attraversato dalle frontiere (“Doppiozero“, 6 febbraio 2017), Nicole Janigro scrive: «Oggi lo ricordano in pochi, ma Predrag si è battuto anche per chi la pensava diversamente, come Franjo Tudman, Stjepan Mesić, il poeta Vlado Gotovac e tutti quelli che erano finiti in prigione dopo la “primavera croata” del 1971. […] Il suo Breviario ha un pubblico
A sinistra, in alto: Predrag Matvejević (Ognjen Alujević) A sinistra, in basso, la copertina della prima edizione in lingua originale, Mediteranski Brevijar, Zagreb, Grafički zavod Hrvatske, 1987
vastissimo, se lo porta dietro il volontario che parte per Sarajevo, come, ancora oggi, chi decide di fare il giro delle isole Incoronate in barca. Nutrito dagli studi della longue durée di Braudel e della scuola delle Annales, Predrag trasforma il mare nostrum in una metafora
della civiltà». Si può definire un livre de chevet, si sente, infatti, il bisogno di averlo sempre sottomano per la sua capacità di raffinare lo sguardo sulla storia e il paesaggio del Mediterraneo, delle migrazioni, dei mercati e degli scambi commerciali,
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riposizionando il sud e l’est dell’Europa in un ruolo non più di aree in via di sviluppo da “europeizzare” ma di luoghi che sollecitano a guardare oltre la Mitteleuropa. Scavalcando i generi della forma letteraria, in questo poema in prosa che parla di luoghi, Predrag esprime la sua visione della Geografia sociale utilizzando glosse lessicali e filologiche che facilitano la lettura del testo. Parla degli odori del mare Mediterraneo, delle nuvole, dei venti e delle onde, della spuma marina e delle correnti, delle piogge, delle linee dei golfi e dei fari. Nel suo racconto le forme del Mediterraneo (fiumi, sorgenti, foci, rive, porti, moli, monti, deserti) si trasformano in un vero e proprio progetto e la geografia diventa, come, all’inizio dell’Ottocento scriveva Carl Ritter, Erdkunde, conoscenza storico-critica della Terra, una terra che così letta diventa «casa dell’educazione dell’umanità». L’indagine etimologica della parola Mediterraneo è condotta attraverso un viaggio fisico in cui l’autore viene a conoscenza di biblioteche distrutte, s’imbatte in
gerghi e idiomi, sfoglia mappe, carte nautiche, portolani e diari di bordo. Dalle informazioni raccolte arriva a concludere che «Il tempo ha cambiato il significato di molte parole, di quelle di mare come delle altre. Navigando sul Dodekanesos, chiamavo il pane, secondo la vecchia usanza ellenica, artos, i marinai lo chiamavano psomi, per acqua dicevo hydor; essi dicevano nero, io davo al vino il nome ecumenico di oinos, essi lo indicavano con krassi. Sia il pane sia il vino sia l’acqua avevano dunque cambiato nome. Ma il mare aveva mantenuto la stessa voce: thalassa. Il mare Mediterraneo è uno, direbbe in questo caso il glossatore, le sue forme >>
In alto: Predrag Matvejević (nacional.hr) A sinistra: la copertina della prima traduzione italiana di Silvio Ferrari, Breviario mediterraneo, Prefazione di Claudio Magris, Milano, Garzanti, 1991
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espressive si differenziano». «La gaia scienza», così Predrag definisce il suo Breviario, aiuta a comprendere le radici storiche dei conflitti che continuano a nascere e consumarsi nel Mediterraneo nella consapevolezza che «Nessuno conosce tutti i popoli che vivono lungo le coste, neppure essi si conoscono abbastanza. Qualche volta non sappiamo neppure bene cosa significhi in questo caso la parola popolo: una città o un paese, una nazione o uno stato, una cosa separata dall’altra o entrambe insieme. […] In ogni periodo, in ogni parte della costa, c’imbattiamo nelle contraddizioni del Mediterraneo: da un lato la chiarezza, la forma e l’ordine, la geometria e la logica, la legge e la giustizia, la scienza e la poetica, dall’altro lato tutto ciò che a questi riferimenti si contrapponeva ostinatamente. I libri sacri della pacificazione e dell’amore per il prossimo e le guerre dei crociati e le Jihad anticristiane. Lo spirito ecumenico e l’ostracismo. L’universalità e l’autarchia. L’agorà e il labirinto. L’entelechia e il letargo. Atene e Sparta. La gioia dionisiaca e il macigno di Sisifo».
Recente mappa delle migrazioni intorno al fulcro del Mar Mediterraneo e verso l’Occidente (fonte Giulio Piscitelli/Contrasto) Principali paesi di origine dei migranti in viaggio, quale che sia la ragione della loro partenza; questi paesi sono anche il luogo di provenienza della maggior parte dei profughi. Unione europea, dicembre 2016 Area Schengen. Accesso strettamente regolato (rigide norme sul diritto di asilo, dislocamenti in campi profughi e rimpatri). Principali paesi di "passaggio", dove i migranti sono ad alto rischio di violenze e maltrattamenti. Paesi o regioni che respingono i profughi, ma consentono la presenza di lavoratori migranti secondo norme estremamente rigide (dislocamenti in campi profughi e rimpatri). Flussi migratori intercontinentali. Flussi migratori interregionali. Principali zone di transitoo luoghi di raccolta.
Predrag riscostruisce in maniera narrativa la storia geopoetica del Mediterraneo, un mare che «ha affrontato la modernità in ritardo» e che «non ha conosciuto il laicismo lungo tutti i suoi bordi» e infatti «ciascuna delle coste ha le sue contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi». Quasi tutto è stato detto su questo «mare primario» ma è bene tenere a mente quanto il poeta di Mostar ci ricorda verso le ultime pagine del libro: «l’insieme mediterraneo è composto da molti sottoinsiemi che sfidano o rifiutano le idee unificatrici. Concezioni storiche o politiche che si sostituiscono facilmente alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o ad armonizzarsi. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e al Sud non si lasciano ridurre ai denominatori comuni […]. Lo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. Il pensiero meridiano stenta a rifiutare i suoi propri stereotipi. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva». m
conversazione
Lo storico Luciano Canfora intorno al tema delle origini dell’Occidente «Occidente è la porzione di mondo dove il sole muore, una terra – si dice spesso – destinata da sempre a tramontare affinché qualcosa d’altro nasca. L’identità dell’Occidente non è mai stata fissa e immobile come qualcuno oggi tende a far credere, alimentando paure e negando ogni apporto che venga da altrove. Incerti furono infatti fin dalle origini i suoi confini, a partire da quelli tracciati dall’arcipelago delle póleis greche dove primeggiò la cultura di Atene. Alle parole di questa città si intrecciarono, più tardi, quelle semitiche di Gerusalemme, santa per gli ebrei. Poi vennero le parole latine di Roma, prima repubblicana, in seguito imperiale e cristiana ed altro ancora fino a comporre una civiltà mai quieta, sempre esposta a conflitti ma anche, come vorremmo oggi, aperta all’accoglienza e alla pace». È questo il tema della conferenza “Atene, Gerusalemme, Roma. Alle origini dell’Occidente”, in programma al Ravenna Festival, il 20 giugno, ore 18, al chiostro della Biblioteca Classense. Protagonista dell’incontro lo storico, filologo e autorevole studioso della cultura classica, Luciano Canfora, docente all’Università di Bari. Canfora noto per i suoi approcci multidisciplinari sia alla storia dell’antichità che ai temi sociali e politici contemporanei, è autore di innumerevoli saggi e articoli, molti dei quali tradotti in diversi paesi stranieri. L’incontro moderato dalla giornalista Gabriella Caramore, è realizzato in collaborazione con l’associazione culturale Romagna-Camaldoli, nell’ambito del progetto “Via Sancti Romualdi 2019”.
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sinfonie
concerti
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note
Quando le riecheggiano la vitale fluidità dell' e l'idea del
acqua viaggio
Straordinario evento inaugurale del festival Il Maestro Muti sul podio dell’Orchestra Cherubini con Maurizio Pollini, solista d’eccezione al piano DI ENRICO GRAMIGNA
…per l’alto mare aperto… L’acqua è uno dei quattro elementi fondamentali citati fin dall’antichità come principi creatori. Si trovano moltissimi miti e leggende legate all’acqua proprio perché portatrice di vita, basti pensare alle inondazioni del Nilo nell’Egitto dei faraoni o al fiume origine del Tigri e dell’Eufrate che correva proprio all’interno del Paradiso Terrestre di biblica memoria. La XXX edizione del Ravenna Festival si appropria, quindi, del liquido elemento cui la città romagnola è ben avvezza e lo riveste di moto,
Leonidas Kavakos
Per il grande repertorio sinfonico sono attese anche altre prestigiose bacchette: da Leonidas Kavakos a Emmanuel Krivine alla guida dell’Orchestre National de France, solista Antoine Tamestit, alla viola
Riccardo Muti
come a riecheggiare l’idea del viaggio. Questa idea assurge a lezione nel primo concerto in cartellone quando, il 5 giugno, alla testa dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, il Maestro Riccardo Muti farà risuonare le note di Meeresstille und glüchliche Fahrt, ouverture da concerto in re maggiore per orchestra op.27 di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Questo brano è una delle tre ouverture da concerto scritte dal compositore tedesco e prende le mosse da due poesie (omonime) di Goethe: fin dalle prime note è evidente l’intento programmatico e l’aderenza con la quale >>
Emmanuel Krivine
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sinfonie
concerti
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il musicista amburghese affronta la pagina poetica è strabiliante. Una certa fluttuante sensazione la si può trovare anche nell’ostinato affidato al rullante nel Boléro di Maurice Ravel, pagina nella quale il ciclico ritorno tematico riporta alla mente il rollio della nave in balia delle onde. Racchiusi tra queste pagine saranno due concerti per pianoforte e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart eseguiti per l’occasione da Maurizio Pollini: il più snello (anche nell’organico orchestrale) Concerto in mi bemolle maggiore KV 449 appare come un acquerello in tre quadri, delicato e sensibile, mentre il Concerto in re minore KV 466 già dalla tonalità si dimostra più battagliero fin dall’esordio degli archi gravi sul pedale che apre il primo movimento.
Maurizio Pollini
Sarà, invece, il tema del viaggio quello che l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini si troverà ad affrontare il 12 giugno agli ordini di un Leonidas Kavakos in veste di solista e direttore.
In programma due pagine mozartiane assai note: la prima di esse sarà il Concerto per violino e orchestra n.3 in sol maggiore KV 216 con cui si partirà in direzione Strasburgo grazie al celeberrimo tema di danza di ascendenza alsaziana racchiuso in uno degli episodi più curiosi del Rondeau, mentre la seconda sarà la Sinfonia n.31 in re maggiore KV 297 nota come “Parigi” proprio per il luogo in cui venne composta. Come ideale conclusione di questo viaggio, la Sinfonia n.1 in do minore op.68 di Johannes Brahms riporta per genesi all’idea marittima: il compositore tedesco, infatti, approfittò del soggiorno estivo presso l’isola di Rügen, sulle sponde del mar Baltico, per concludere quest’opera, attesa da tutto il mondo musicale e celebrata quale paradigma della consacrazione del musicista quale redivivo Beethoven. Il celebre critico e teorizzatore dell’estetica musicale Eduard Hanslick salutò con profonda enfasi quella che
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concerti
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venne definita l’ideale prosecuzione dell’idea beethoveniana. Al di fuori delle tematiche fin qui proposte sarà l’appuntamento che vedrà, il 3 luglio, Emmanuel Krivine dirigere l’Orchestre National de France che, invece, vedrà l’omaggio a Louis-Hector Berlioz nel 150° anniversario della morte. Del compositore francese sarà eseguita la Sinfonia in quattro parti per viola concertante e orchestra “Harold en Italie” op.16, brano scritto per la nuova viola Stradivari di Niccolò Paganini il quale lo rifiutò per la poca preminenza della parte solistica rispetto all’orchestra pur stimando molto l’opera del musicista tanto da versargli comunque, qualche anno più tardi, ben 20 mila franchi. Per l’occasione sarà il sorprendente violista francese Antoine Tamestit a vestire i panni di Aroldo, giovane pellegrino nato dalla penna di George Gordon Byron. Non fu, invece, il poeta inglese ad ispirare Franz Liszt che nel 1851 compose Mazeppa poema sinfonico da Victor Hugo
S.100, ispirato alla vita dell’atamano ucraino che si oppose allo zar Pietro il Grande. La nutrita orchestra impiegata dal compositore ungherese ben si adatta a quel carattere di grande sensazionalità che l’eroe nazionale ucraino evocava. Le tre parti nelle quali si può idealmente dividere il poema sinfonico possono essere lette all’interno di un’ottica hegeliana di tesi-antitesi-sintesi: la prima sezione nella quale il personaggio compie un atto folle e sorprendente quale la corsa legato al cavallo, la seconda in cui i timpani lasciano presagire la dipartita dell’uomo e la terza nella quale vi è il trionfo e l’elevazione a eroe. A completare il programma di quest’ultimo appuntamento sinfonico si trovano le Variazioni su un tema in si bemolle maggiore per orchestra di Haydnop.56a di Johannes Brahms: questa composizione fu esperienza fondamentale per il compositore amburghese prima di approdare alla soffertissima composizione della prima tra le sue quattro
When Music Reflects the Vital Flow of Water and the idea of Journey “Forth on the high open sea...” is Dante’s verse and the title of this edition of Ravenna Festival. Water has always been considered one of the crucial elements for life and creation. The XXX edition of Ravenna Festival seizes the liquid element - with which the town has always been very familiar - and the idea becomes a lesson in the first concert: on June 5th, Maestro Riccardo Muti will conduct the Orchestra Luigi Cherubini playing Meeresstille und glüchliche Fahrt, Op. 27, an orchestral concert overture by Felix Mendelssohn inspired by two poems by Goethe. Maurizio Pollini will instead conduct two concerts by Wolfgang Amadeus Mozart: concerto no. 14 in E-flat major, K 449 and Concerto No. 20 in D minor, K. 466. The Orchestra Giovanile Cherubini will instead deal with the subject of journey in a concert conducted by Leonidas Kavakos. On June 12th they will begin with the Violin Concerto No. 3 In G Major KV 216 and Symphony no. 31 kv 297 Paris d major. The ideal end to this journey is Johannes Brahms' Symphony no. 1 in c minor op. 68. On July 3rd Emmanuel Krivine conducts the Orchestre National de France with an homage to Louis-Hector Berliotz in the 150° anniversary of his death. They will perform "Harold en Italie" op 16, a piece the French composer had writter for Paganini, but the musician refused it. They will also play Franz Liszt's “Mazeppa” and, in the end, “Variations on a Theme by Haydn”, Op. 56 by Johannes Brahms.
sinfonie. Il mare aperto non è solo un luogo fisico nel quale si possono fare esperienze meravigliose o orribili, ma assurge a vero topos che permette a chi vi si avventura
di poter esperire tutta la semisfera visibile dando la possibilità di intraprendere senza fatica qualunque direzione e lasciando, comunque, l’incertezza dell’approdo. m
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ponte culturale
concerti
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Riccardo Muti interpreta il Beethoven “corale” dell'inno alla fratellanza per le “Vie dell'amicizia” che portano in Grecia
Due concerti per unire Atene a Ravenna, all'insegna della musica pacificatrice, con musicisti e cori italiani ed ellenici
DI ENRICO GRAMIGNA
Alle Menschen werden Brüder wo dein sanfter Flügel weilt («Tutti gli uomini divengono fratelli dove la tua dolce ala si posa»). Quali parole migliori per definire il pensiero sotteso a quell’incredibile esperienza che è “Le vie dell’amicizia”, un ponte di fratellanza attraverso l’arte e la cultura. Non è un caso, che quest’anno siano proprio le parole della celebre ode di Friedrich Schiller An die Freude a
riassumere l’appuntamento musicale che, in seno al Ravenna Festival, da più di venti anni cinge in un abbraccio popoli culturalmente distanti, ma che ritrovano la loro unità nell’appartenenza a un’unica collettività, l’umanità. Perfetta sintesi musicale del motto dell’Unione Europea (In varietate concordia, reso in italiano come Unita nella diversità, ispirato alle parole di Ernesto Teodoro Moneta, unico vincitore italiano del premio Nobel per la pace),
Roads of Friendship, a bridge with Greece on Beethoven’s music Alle Menschen werden Brüder wo dein sanfter Flügel weilt (All people become brothers, where your gentle wing abides). Aren't these the best words to describe what underlies the incredible experience of the “Roads of friendship”, the bridge Ravenna Festival has been building with different peoples and places through music for more than twenty years? In 2019 this bridge will connect Greece and the Latin world through Beethoven's Symphony No. 9 in D minor, Op. 125 for choir and orchestra. It will be performed in Ravenna on July 11th and two days before at the Odeon of Herodes Atticus in Athens. The message of brotherhood will be spread by Maestro Riccardo Muti who will conduct the Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, the Athens State Orchestra, the Thessaloniki State Symphony Orchestra, the Ert National Symphony Orchestra, the Choir Costanzo Porta, the Ert National Choir e the Choir of the Municipality of Athens.
questo appuntamento sarà, nel 2019, teso a ritrovare quella continuità culturale tra Grecia e mondo latino: una ritrovata che si concretizza nell’arte, con la musica in veste di risolutrice determinante nel coacervo delle lingue. Protagonista di questa esperienza non poteva che essere la Sinfonia n.9 in re minore per soli, coro e orchestra op.125 composta da Ludwig van Beethoven nel 1824 che verrà eseguita a Ravenna l’11 luglio e due giorni prima nella straordinaria quanto antica opera di architettura classica che è l’Odeon di Erode Attico sull’acropoli di Atene. La meravigliosa sede del concerto greco è intimamente coerente con la magnificenza della composizione beethoveniana. Capolavoro della letteratura musicale, della Nona si danno per scontate troppe cose, probabilmente a causa della sua grande, e meritata, fama. La prima esecuzione fu un trionfo per la sua efficace innovazione: sin dalla nascita del genere, la sinfonia era regno esclusivo degli strumenti e l’impiego aggiuntivo di soli e coro non si era ancora ipotizzato. Il successo fu immediato e questa pagina
beethoveniana fu conosciuta anche come Corale quasi a sottolineare con questo titolo l’eccezionalità della presenza vocale in un genere precipuamente strumentale. Chi indosserà i talari per consegnare il messaggio di fratellanza ecumenica sarà uno tra i direttori più importanti del panorama mondiale, Riccardo Muti, le cui fine sensibilità e grande profondità di pensiero guideranno un complesso vocale e strumentale assai variegato che riunirà sul palcoscenico l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, l’Athens State Orchestra, la Thessaloniki State Symphony Orchestra, l’ERT National Symphony Orchestra, il Coro Costanzo Porta, l’ERT National Choir e il Choir of the Municipalità of Athens. Seid umschlungen, Milionen! (Abbracciatevi, moltitudini!) questa, in definitiva è l’esortazione che dalla Nona questo evento colossale mutua: l’amicizia, la gioia, queste sono, in definitiva, due facce di una stessa medaglia, due possibili vie che conducono alla completa e piena realizzazione della fratellanza universale. m
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albo d'oro
Tutti i “ponti dell’amicizia” da Sarajevo ad Atene 1997 SARAJEVO Centro Skenderija 1998 BEIRUT Forum di Beirut 1999 GERUSALEMME Piscina del Sultano
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Lo spazio delle
passioni
«Spectaculorum alia ad ocium alia ad negocium spectant. Coniuncta ocio quæ oblectent sunt, poetæ musici histriones» «Gli spettacoli possono essere di genere contemplativo o attivo. Gli uni, fatti per dilettare, sono la poesia, la musica, la rappresentazione scenica»
L’odeion di Erode Attico ad Atene
DI ALBERTO GIORGIO CASSANI
Parlando dell’odeion della città di Patrasso, in Acaia, Pausania, nella sua celeberrima Guida della Grecia (Ἑλλάδος περιήγησις), scrive: «L’Odeion è il più bello fra quelli della Grecia, fatta eccezione, ovviamente, per quello di Atene, che è superiore per le dimensioni e per gli arredi e che fu costruito da Erode, un ateniese, in memoria della moglie defunta.1 Nel mio scritto sull’Attica non ho fatto menzione di questo Odeion perché la mia storia degli Ateniesi è stata completata prima che venisse iniziata la costruzione di Erode».2 Fu distrutto, in parte, da un incendio nel 267. Erode attico3 (Maratona, 101-177), allievo del sofista Favorino, maestro di Marco Aurelio e di Lucio Vero, retore, maggior rappresentante della Seconda sofistica secondo Filostrato,4 console nel 143 sotto l’imperatore Antonino Pio, vissuto a Roma e ad Atene, di cui fu arconte, definito dal grande scrittore ed erudito latino Aulo Gellio, suo amico carissimo, nel suo capolavoro, le
Noctes Atticæ, «persona insigne sia per l’eloquenza greca sia per la dignità consolare»,5 perfetto conoscitore del greco, «lingua […] in cui non ebbe praticamente rivali tra i nostri contemporanei per l’autorità, la profusione, l’eleganza verbale»,6 viene ricordato dallo stesso Gellio per alcuni detti memorabili, proferiti nella villa di Cefisia presso Atene, in cui Erode zittisce un vanaglorioso parolaio sedicente stoico, leggendogli brani del padre dello stoicismo, Epitteto; o in cui risponde con ironiche battute a un altro improbabile filosofo, in realtà un semplice vagabondo – «Vedo la barba e il mantello […] ma il filosofo ancora non lo vedo»7 – liquidandolo, in ogni caso, con una somma di denaro, accompagnata da questo commento: «Sia quel che sia, diamogli un po’ di soldi: da uomini, non a un uomo».8 Ma è il terzo episodio, per noi, il più rilevante. Erode, come ricorda Aulo Gellio nel libro XIX, fu protagonista di una «dissertazione polemica nei confronti della “apatia” degli stoici».9 Il tono fu questo: «non c’è uomo al mondo, dotato di
sentimento e sapienza conformi a natura, che di quelle affezioni dello spirito (“passioni” nel suo linguaggio) che sono la tristezza, il desiderio, la paura, l’ira, il piacere possa andare del tutto carente e privo e possa perciò, letteralmente, non provar dolore; se anche riuscisse nello sforzo di andarne del tutto esente non sarebbe un vantaggio: perché lo spirito, privato del sostegno di certe affezioni come di un’indispensabile mescolanza di elementi, rimarrebbe nell’inerzia e nel torpore. Queste sensazioni ed emozioni dello spirito […] bisogna dunque […] moderarle, e usare prudenza e oculatezza nel farne piazza pulita: vanno rimosse solo quelle che sono estranee, che risultano contro natura, che hanno in sé, connaturato, il nocumento».10 Gli stoici, invece, «questi seguaci dell’apatia che vogliono passare per uomini tranquilli, intrepidi, irremovibili mentre in realtà non sentono né desiderio né dolore né ira né gioia, finiscono con l’invecchiare, mutilati come sono d’ogni prerogativa di emozione spirituale,
Leon Battista Alberti, De re ædificatoria, VIII
L’odeion di Erode Attico, 161-174 ca., Atene (https://aspassotralecomparazioni.it)
nel torpore d’una vita indolente e […] priva di nervi».11 Questo discorso diede spunto all’ironia di Luciano che, nella Vita di Demonatte, filosofo cinico, prese in giro, in due occasioni, l’eccessivo “sentimentalismo” di Erode. Una prima volta, per il troppo pianto in occasione della morte precoce dell’amato schiavo Polideuce. Essendosi finto Demonatte latore di una lettera indirizzatagli da costui, e avendo Erode chiesto conto del contenuto, questa fu la risposta: «Ti rimprovera […] perché non te ne vai sùbito da lui».12 Una seconda, infine, in cui viene tirata in ballo la teoria delle tre anime di Platone, confermata secondo il filosofo cinico dal fatto che non poteva essere «della stessa anima preparare la mensa»13 per Regilla – l’amata sposa – e per il già ricordato Polideuce, «come fossero vivi, e declamare nel modo
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in cui [sc. Erode] declamava».14 Non sarà dunque un caso che il sofista di Maratona sia stato il committente, appunto, oltre che dello stadion dell’Ilisso (oggi Panathinaiko), del sopraccitato celebre odeion, entrambi in Atene, realizzato quest’ultimo tra il 161 e il 174 d.C., all’estremità occidentale delle pendici meridionali dell’Acropoli, di fianco all’Asklepieion e non lontano dal teatro di Dioniso Eleutereo (i.e. Liberatore) del V-IV secolo a.C., di cui, come scrive Paolo Enrico Arias, costituisce il perfetto contraltare.15 In quanto l’odeion (ᾦδεῖον, da ᾄδειν, ᾠδή: “cantare, canto”) è lo spazio della musica e della poesia, le due arti che esprimono, forse più di tutte le altre, le emozioni.
Questa è la descrizione dell’edificio fatta da Hans Peter Isler: «È costruito in opera quadrata nel calcare locale, per la parte interna anche in opera cementizia. La cavea a semicerchio16 risulta in gran parte tagliata nella roccia dell’acropoli, le ali sono costruite. L’interno è suddiviso in due maeniana,17 quello inferiore con cinque cunei e diciannove gradini, quello superiore con dodici cunei e probabilmente quindici gradini; solo i primi tre gradini poggiavano sulla roccia, la parte superiore era sorretta da un riempimento di cementizio. Il muro perimetrale era decorato a nicchie e aveva finestre. Il pavimento dell’orchestra in marmo colorato è oggi rifatto. Del pulpito, pure esso ricostituito, era
conservata, al momento dello scavo, soltanto una scala. La scaenae frons diritta, con tre porte, era a un solo piano, con diciotto colonne, non conservate. Al disopra si trovavano grandi finestre ad arco, parzialmente ancora esistenti. Il postscaenium era una lunga sala coperta a volta. Nelle ali dell’edificio si trovano grandi scale che permettono di raggiungere la parte superiore della cavea».18 Secondo Filostrato era ricoperto da un soffitto di legno di cedro,19 ma «è probabile che fossero ricoperte dal tetto soltanto, la parte curva della cavea e la fronte della scena, mentre il centro dell’orchestra e i due bracci della cavea dovevano essere scoperti, come sembra dimostrare l’esistenza di due rose, per lo scolo delle acque, praticate nel pavimento dell’orchestra».20 La cavea dell’odeion, di 92 metri circa di diametro, fornita di «parodoi21 a volta»,22 poteva contenere, in epoca antica, 5.000-6.000 spettatori.23 Se non sopravvive quasi nulla delle decorazioni interne,24 l’edificio ci è pervenuto in un notevole stato di conservazione che però non ha evitato il completo – e sfacciato – rifacimento della
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cavea.25 Durante lo scavo ottocentesco furono ritrovati, inoltre, presso il diázoma26 centrale, anche i famosi vasi bronzei (e-cheîa), su cui si è soffermato a lungo Vitruvio nel libro V del suo trattato sull’architettura.27 Il già citato Filostrato, autore della biografia antica più estesa di Erode, oltre ai molti episodi ricordati – tra cui quello, rimasto misterioso, della morte della moglie Regilla, di cui Erode fu accusato e che gli costò un processo, intentatogli dal fratello di lei, Brauda28 –, dopo aver anch’egli magnificato, come Pausania, lo stadion e l’odeion, «due monumenti, dei quali non esiste in tutto il mondo romano nulla di somigliante»,29 si sofferma nell’incipit proprio sull’attività di munifico committente di Erode, sottolineandone il raro – allora come oggi – aspetto di gratuità (fenomeno conosciuto col termine di evergetismo). Pur facendo la tara su elogi più da agiografo che da biografo, le sue parole ci riempiono ancora di speranze nel genere umano: «Erode fece uso delle sue ricchezze meglio di qualsiasi altro;
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cosa che ritengo non solo facile a farsi, ma fra le più ardue e difficili. Infatti coloro che ne abbondano a dismisura sono soliti far pesare la loro arroganza sugli altri uomini, i quali per questo vituperano Plutone30 come cieco. Ma se in altre occasioni quel dio sembrò tale, per quanto riguarda Erode riacquistò perfettamente la vista. Infatti costui ebbe occhi per gli amici, per le città e per le genti tutte, come uomo che si dava cura di tutti e che riponeva il deposito delle sue ricchezze negli animi di coloro che ne partecipavano con lui. […] Il denaro non fatto circolare e quello conservato a risparmio lo definiva “ricchezza morta” e i forzieri nei quali alcuni ripongono il proprio denaro “carceri della ricchezza” […]».31 Stando così le cose, i fortunati che andranno ad ascoltare la Sinfonia n. 9 in re minore per soli coro e orchestra op. 125 “Corale” di Ludwig van Beethoven diretta dal maestro Muti si ricordino un po’ della generosità senza secondi fini del mecenate-filosofo Erode Attico, che donò ai Greci e a tutti noi quella meraviglia. m
Note 1. Annia Regilla, cui, dopo la morte, Erode fece erigere la tomba a lei attribuita nei pressi della via Appia. 2. VII, 20, 6, ed. cons. PAUSANIA, Guida della Grecia, Libro VII: L’Acaia, Testo e traduzione a cura di Mauro Moggi, Commento a cura di Mauro Moggi e Massimo Osanna, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori Editore, 2000, p. 125 (testo greco, p. 124). 3. Su Erode Attico si veda WALTER AMELING, Herodes Atticus. I. Biographie; II: Inschriftenkatalog, Hildesheim-Zürich-New York, Georg Olms, 1983. 4. Cfr. FILOSTRATO, Vitæ Sophistarum, ed. cons.: Vite dei sofisti, A cura di Guerrino F. Brussich, Palermo, Sellerio, 1987, pp. 96-97. 5. I, II, 1, in Le notti attiche di Aulo Gellio, A cura di Giorgio Bernardi-Perini, Volume primo, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1992, 1996, p. 135 (testo latino, p. 134). 6. XIX, XII, 1, ibid., Volume secondo, p. 1375 (testo latino, p. 1374). 7. IX, II, 4, ibid., Volume primo, cit., p. 681 (testo latino, p. 680). 8. IX, II, 6, ibid. (testo latino, p. 680). 9. XIX, XII, 2, ibid., Volume secondo, cit., p. 1375 (testo latino, p. 1374). 10. XIX, XII, 3-6, ibid. (testo latino, p. 1374). 11. XIX, XII, 10, ibid., p. 1377 (testo latino, p. 1376). 12. LUCIANO, Vita Demonattis, 24, ed. cons. Dialoghi di Luciano, A cura di Vincenzo Longo, Volume secondo, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1986, p. 473 (testo greco, p. 472). 13. Ibid., 33, ed. cit., pp. 475 e 477 (testo greco, pp. 474 e 476). 14. Ibid., p. 477 (testo greco, p. 476). 15. Arias parla di «logico contrapposto» nella voce Teatro e Odeon nell’Enciclopedia dell’arte antica
classica e orientale, Roma, Istitvto della Enciclopedia Italiana, 1966, vol. VII: Sar-Zurv, coll. 640-650: 649. 16. In realtà lo eccede, seppur di poco, come si legge in Commento, a cura di Mauro Moggi e Massimo Osanna, in PAUSANIA, Guida della Grecia, cit., pp. 179-348: 300 (testo greco, p. 299). 17. «Nel teatro romano classico, ognuno dei ripiani anulari che dividevano le varie parti della cavea, mettendo in comunicazione gli sbocchi delle scale di accesso con le gradinate», s.v. meniano, in Vocabolario on line Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/meniano/ [data di ultima visualizzazione: 24 aprile 2019]. 18. HANS PETER ISLER, Grecia, Atene, Athenae, Achaia [Odeon di Erode], in Teatri greci e romani. Alle origini del linguaggio rappresentato, ideazione Maurizio Scaparro, coordinamento Fiorella de Septis, a cura di Paola Ciancio Rossetto e Giuseppina Pisani Sartorio, testi di Jean Duvignaud et alii, Roma, Edizioni Seat, Vol. 2, pp. 140-142: 141. Sugli odeia, in generale, si veda PIERRE GROS, L’architecture romaine du début du IIIe siècle av. J.-C. à la fin du Haut-Empire, 1: Les monuments publics, Paris, Picard, 1996, trad. it. Maria Paola Guidobaldi, L’architettura romana. Dagli inizi del III secolo a.C. alla fine dell’Alto Impero. I monumenti pubblici, 531 illustrazioni, Milano, Longanesi & C., 2001, Cap. 9. Odeia, pp. 343-353. Rispetto a tutti gli altri autori, Gros rileva come sia evidente, nell’odeion di Atene, la «volontà di competere con l’odeion di Domiziano a Roma […]», ibid., p. 350. Sugli odeia e sull’odeion di Erode Attico si veda anche ALDO NEPPI MODONA, Gli edifici teatrali greci e romani. Teatri - odei - anfiteatri - circhi, Firenze, Leo S. Olschki Editore, MCMLXI, rispettivamente pp. 203-214 e pp. 206-207 e PAOLO MORACHIELLO, Odèia e anfiteatri romani. Apparato iconografico a cura di Alessandra Pedersoli, in «Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale», n. 77, gennaio-febbraio 2010, www.engramma.it
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viaggio dell’amicizia
concerti
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[data di ultima visualizzazione: 24 aprile 2019]. 19. Cfr. FILOSTRATO, Vite dei sofisti, ed. cit., p. 86. 20. P.E. ARIAS, s.v. Teatro e Odeon, cit., p. 650. 21. Accesso laterale al teatro e, dopo la costruzione della scena, l’entrata all’orchestra. Secondo Polluce (Ὀνομαστικὸν ἐν βιβλίοις ί, IV, 27), la párodos di destra indicava la provenienza dall’agorà o dalla polis; quella di sinistra, dall’agros. 22. Commento, cit., p. 300. 23. Cfr. H.P. ISLER, Grecia, Atene, Athenae, Achaia [Odeon di Erode], cit., p. 142. 24. Cfr. ibid., in cui si rimanda a JOHN TRAVLOS,
Sopra, a sinistra: Dettaglio della facciata dell’odeion di Erode Attico, Atene (commons.wikimedia.org) Sopra, a destra: l’odeion di Erode Attico prima del restauro, 1880, Atene, Brooklyn Museum Archives, Goodyear Archival Collection (S03_06_01_020 immagine n. 2457) (commons.wikimedia.org). In basso a sinistra: Giovanni Battista Piranesi, Veduta del Tempio delle Camene […] [Tomba di Annia Regilla], mm 470 × 702, incisione, in Vedute di Roma, Tomo I, tav. 62, Opere di Giovanni Battista Piranesi, Francesco Piranesi e d’altri, Paris, Firmin Didot Freres, 1835-1839, Tomo XVI (commons.wikimedia.org). In basso a destra: Il teatro di Dioniso Eleutereo, IV sec. a.C., Atene (commons.wikimedia.org).
Bildlexicon zur Topographie des Antiken Athen, Tübingen, Wasmuth, 1971, pp. 378-386, figg. 492-500, ma soprattutto a RÜDIGER MEINEL, Das Odeion. Untersuchungen an uberdachten antiken Theatergebauden, Frankfurt am Main, Peter Lang, 1980, pp. 80-113, figg. 20-31; si veda anche GEORGE C. IZENOUR, Roofed theaters of Classical Antiquity, New Haven and London, Yale University Press, 1992, pp. 132-139. 25. L’odeion fu scavato tra il 1848 e il 1858, mentre la zona antistante tra il 1955 e il 1959. Cfr. H.P. ISLER, Grecia, Atene, Athenae, Achaia [Odeon di Erode], cit., p. 141; «erano conservati, al momento dello scavo, il maenianum inferiore e gran parte dell’edificio scenico. L’interno risulta oggi rifatto, e la zona antistante è ricoperta da un lastricato moderno», ibid., p. 142. 26. Corridoio circolare che divide le gradinate della cavea del teatro greco in due o più settori (maeniana). 27. Cfr. VITRUVIO, De architectura, A cura di Pierre Gros, Traduzione e commento di Antonio Corso e Elisa Romano, Torino, Giulio Einaudi editore, 1997, Volume primo, p. 687, nota 184 a V 5 1 (commento di A. Corso), con rimando alla relazione degli scavi di KYRIAKOS S. PITTAKES, Perí theátrou Heródou toû Attikoû, in «Archaiologikè Ephemerís», XLVIII, 1858, coll. 1707-1714: 1711-1712 e 1714. Vitruvio, nel suo trattato (V 9 1), cita il solo odeion di Pericle, a est del teatro di Dioniso e a sinistra per chi usciva dalla párodos orientale del teatro. 28. Cfr. FILOSTRATO, Vite dei sofisti, ed. cit., p. 90. 29. Ibid., p. 86. 30. Il dio della ricchezza 31. FILOSTRATO, Vite dei sofisti, ed. cit., p.86.
The place of passions, the Odeon theatre of Herodes Atticus The ancient Odeon theatre of Herodes Atticus is one of the must see attractions in Athens and considered one of the best open air theatres in the world. The concert of the “Roads of Friendship” will be performed here on July 9th. Maestro Muti will conduct Beethoven's Symphony No. 9 in D minor, Op. 125 for choir and orchestra. Very much celebrated by ancient Greek and Latin authors, the theatre was also decribed by Hans Peter Isler: it is built with local limestone. The semicircular cavea is mostly carved in the rock of the acropolis, the wings are built. The interior is divided in tue maeniana, the one below has nineteen steps, the upper one fifteen. The floor of the orchestra is not original. The Scaenae frons, with three doors, had eighteen columns, which have gone lost. Above them there were big arched windows that partially still exist. In the wings of the building there are large ladders reaching the upper part of the cavea. According to Philostratus it was covered by a wooden roof, but the presence of a system to drain rainy waters may indicate that the roof only partially covered the building. It could contain up to six thousand people. This theatre is considered a sort of a gift the rich Herodes Atticus gave to his friends, the whole town and the whole world. In particular it will be a gift also for those lucky people who will be able to take part to Riccardo Muti’s concert, as it is going to be a unique experience of art and beauty.
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musica e spiritualità
concerti
Ravenna Festival Magazine 2019
Le ore sacre del giorno e altre note divine coniugano la bellezza della musica e lo splendore delle basiliche ravennati DI ENRICO GRAMIGNA
Il pensiero è ciò che permette all’essere umano di uscire dalla logica naturale della catena alimentare per divenirne attivo spettatore. Accade, quindi, che l’affrancamento da questo meccanismo spalanchi le porte del mondo delle idee. Secondo il pensiero platonico, la contemplazione delle idee nell’iperuranio che l’anima compie prima di “incarnarsi” spinge l’individuo alla Verità. Proprio questa è la ricerca suprema verso la quale l’Uomo tende e la parusica conseguenza di ciò si evidenza nell’arte: si può, inoltre dire che essa, nell’inconsistente realtà della musica, acquista una valenza demiurgica. Partendo da questi concetti è facilmente intuibile come la progettazione di una rassegna non sia solamente una mera operazione di logistica, ma debba essere la sintesi di un progetto che, oltre alle contingenze materiali, evidenzi il pensiero
generatore. Chi si occupa di queste (e altre) “inezie” è il direttore artistico: per questo delicato ruolo il Ravenna Festival si avvale da anni della perizia di Angelo Nicastro (insieme a Cristina Mazzavillani Muti e Franco Masotti). Che ci racconta di un inedito progetto e di un ampio cartellone di concerti. Maestro, quando si parla di Ravenna non si può non pensare alle incredibili chiese, magnifica eredità bizantina. Guardando a questi monumenti viene spontaneo pensare che l’attenzione al sacro sia particolare in questa terra. Ravenna Festival, da sempre molto attento, nella sua XXX edizione proporrà qualcosa di “folle e speciale” al suo pubblico: l’Ufficio, ossia Le ore sacre del giorno. Come mai questa pazzia? «Appena The Tallis Scholars ci hanno presentato questo progetto ne siamo rimasti affascinati, ma immediatamente lo abbiamo ripensato itinerante nelle meravigliose
basiliche ravennati. Questa nostra idea dapprima ha trovato qualche resistenza negli esecutori perché rende ancor più pesante per loro un programma di per sé assai impegnativo: oltre allo sforzo fisico di spostarsi di basilica in basilica si deve considerare il continuo cambio di acustica cui dovranno adattarsi. Alla fine, però, hanno compreso il valore aggiunto straordinario di poter ambientare questo percorso, che già di per sé ha un appeal notevole, negli spazi unici che offre la nostra città. Un viaggio nella bellezza da vivere a più dimensioni». La scelta dell’Ufficio, quindi va nella direzione di un riavvicinamento tra l’Uomo e il divino? «Il riferimento alla liturgia delle ore ripropone la scansione del tempo della giornata così come previsto dalla regola monastica e nella vita della chiesa, momenti fissi di quotidiana memoria della presenza di Dio, di contemplazione del mistero. Il contatto con noi stessi e con la nostra interiorità è una dimensione che, ahimè, è sempre più assente nel nostro quotidiano. La vita è talmente frenetica che spesso perdiamo la consapevolezza di esserne noi stessi il soggetto, gli attori protagonisti». Giusto, tuttavia proprio questa grande separazione tra questo modo di riflettere e la società odierna rende
la comprensione di questo evento un po’ ostica. Avete, però, pensato anche a questo, giusto? «Sì, abbiamo chiesto a Dom Gianni Giacomelli, Priore del Monastero di Fonte Avellana, di introdurci al significato dell’Ufficio divino nella tradizione della vita monastica e di darci delle chiavi di lettura per capirne le implicazioni nella vita di oggi, tanto bisognosa di un recupero di uno spazio per sé, per la riflessione personale. Spesso siamo trascinati dagli eventi, dal fluire delle cose e dalle necessità quotidiane; c’è in tutto questo un aspetto anche molto laico, umano, che va oltre o viene prima dell’essere credenti o meno». L’Ufficio si spiega nell’arco di una giornata intera, dal Mattutino al Compieta, tuttavia al suo interno ci sarà anche la celebrazione della Santa Messa. Sarà dunque anche un evento liturgico? «Certamente. Sarà l’occasione per poter ascoltare la Messa a 4 voci per la domenica della Santissima Trinità di Joseph Gabriel Rheinberger, un appuntamento naturalmente senza biglietto d’ingresso, che rientra nella sezione “In Templo Domini” del festival, che prevede l’animazione delle celebrazioni liturgiche domenicali. Vogliamo valorizzare il grande patrimonio artistico che la storia ci ha consegnato e ciò è
Sacred music and the Liturgy of hours in the beauty of Ravenna's Churches
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This year the Festival will propose something “crazy and special” to the audience: “The Liturgy of the Hours” in Ravenna's churches. «We have been immediately fascinated by The Tallis Scholars’ project» says Angelo Nicastro, one of the artistic directors of Ravenna Festival. «We have thought it should have to be an itinerant concert in the beautiful churches of Ravenna. This will imply a major effort for musicians, as they’ll have to adapt to continous changes of acoustic. We have chosen the Liturgy as it scans time according to the monastic order to favour the contemplation of mystery. Today life is so frenzied, we sometimes forget we are the centre, the main characters». In order to better understand this event, Ravenna Festival has also asked to Don Gianni Giacomelli, from the Monastery of Fonte Avellana, to make an introduction about the divine office monks’ tradition. The Office covers a whole day from morning prayers to Compieta, including a Holy Mess. «We will be able to listen to Jospeh Gabriel Rheinberger's Mess for four voices. In general, we are trying to bring back masterpieces to the context they were thought for». Sacred music will be protagonist also with The Messiah. «We have looked for specialists of this repertoire, in primis Maestro Antonio Greco together with Maria Grazia Schiavo and Christian Senn, the Korean tenor Mert Sungu and the English mezzosoprano Victoria Massey». As for Orthodox tradition, the Estonian Philharmonic Chamber Choir will play Kanon Pokajanen by Arvo Pärt and the Berliner Messe (on June 30th in the Basilica of San Francesco). In the end, there will also be the traditional Vespers in San Vitale: 19 different proposals and 38 appointments.
musica e spiritualità
concerti
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possibile programmando la musica sacra all’interno del contesto per cui è stata concepita, oltre al giusto rispetto che si deve ai luoghi di culto programmandovi eventi musicali adeguati». Spesso, infatti, la chiesa è utilizzata come teatro, nella migliore delle ipotesi. Non sarebbe interessante ritrovare davvero la dimensione sacra all’interno del luogo di culto? «Abbiamo sentito la necessità di recuperare all’interno della celebrazione liturgica quello che riteniamo essere un patrimonio ricchissimo, prezioso, che si sta perdendo. Il livello e la qualità musicale cui assistiamo nelle celebrazioni correnti è deprecabile, penoso. Papa Ratzinger ha ben chiarito nei suoi scritti quanto la musica sia essenziale all’interno della liturgia; non è un contorno, e come tale va vissuto e recuperato. Riproporre quei grandi capolavori all’interno del contesto per il quale sono stati pensati vuol dire metterli nella giusta luce. Ridurli solamente all’aspetto estetico, rappresentandoli soltanto nei concerti, non restituisce appieno il significato di grande apertura verso il mistero che portano in sé queste pagine di musica. L’estetica non va ridotta a mero prurito dei sensi, ma ha a che fare con l’ontologia delle cose. Il fatto che la Pontificia Commissione per la Cultura, presieduta da Mons. Ravasi, abbia concesso il patrocinio alle nostre
Tallis Scholars
iniziative, In Templo Domini e Vespri a San Vitale, è un segno di apprezzamento e una conferma di quanto ci sia bisogno oggi di recuperare il senso più autentico della grande tradizione musicale nata, per larghissima parte, in seno alla Chiesa Cattolica». La musica sacra sarà protagonista anche al di fuori delle liturgie. Il Messiah di nuovo a Ravenna è una bella sorpresa. «Un appuntamento che abbiamo fortemente voluto con specialisti di questo repertorio, in primis il direttore Antonio Greco insieme a Maria Grazia Schiavo e Christian Senn, al tenore coreano Mert Sungu e al mezzosoprano irlandese Victoria Massey che ha nel sangue quella che
è una consolidata tradizione della sua terra (come noto la prima esecuzione dell’oratorio di Händel avvenne a Dublino)». Il sacro non è, però, terreno solo per la musica cattolica, Bach ne è un esempio. Ravenna Festival ormai da qualche anno ha creato un legame particolare con la chiesa ortodossa. Ci sarà anche quest’anno qualche testimonianza di questa connessione divina? «Certamente, un altro grande appuntamento sarà con l’Estonian Philharmonic Chamber Choir che eseguirà il Kanon Pokajanen, pagina della liturgia ortodossa musicata da Arvo Pärt, uno dei grandi compositori contemporanei dotato di grande profondità spirituale e di grande
intensità. Sempre lo stesso coro, inoltre, ci regalerà la Berliner Messe, del medesimo compositore estone, all’interno della liturgia pervista il 30 giugno nella Basilica di San Francesco. Si tratta di un’opportunità che riteniamo importante: non c’è solo da recuperare la tradizione, ma occorre anche valorizzare quanto di nuovo e di bello sta nascendo, specie ad est, per quel che concerne la musica sacra». Ci saranno, infine, i “Vespri a San Vitale”, forse la preghiera più importante della giornata per un credente. Quali saranno le proposte che Ravenna Festival offrirà al pubblico? «Quest’anno il programma sarà ricchissimo perché avremo 19 diverse proposte per 38 appuntamenti; continuando nel solco degli anni passati abbiamo inserito nuove composizioni musicali e un’opera di teatro musicale. L’anno scorso fu Hermann di Paolo Baioni; quest’anno …e immediatamente diventai sapiente, testo di Guido Barbieri dedicato a Hildegard von Bingen, con musica di Francesco Maria Paradiso. Un calendario ricco e stimolante che spazierà dall’antico al contemporaneo, che vedrà alternarsi solisti a grandi complessi vocali e strumentali, uscendo dai confini del repertorio sacro più noto e frequentato». m
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armonie spirituali
concerti
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Da Gesualdo da Venosa al Messiah di Händel e da Mozart a Arvo Pärt Fra i protagonsti della musica sacra, antica e cameristica, Estonian Choir, Mauro Valli, Nektaria Karantzi, LiberaVox, Ecce Novum, Coro Costanzo Porta, Cremona Antiqua, Giardino Armonico e Katia e Marielle Labèque DI ENRICO GRAMIGNA
Così come il genitore educa il figlio non solo con i grandi discorsi, ma con i piccoli gesti, anche l’importanza di una rassegna non si determina solamente dall’imponenza dei concerti più di richiamo, ma anche (e, forse, soprattutto) dall’offerta meno universale che, però, rende il contesto nel quale i grandi eventi si inseriscono atto alla ricezione più completa. La possibilità di poter approfondire la vastità della letteratura musicale non solo aprendo una finestra su quasi mille anni di produzione, ma anche ampliando il pensiero (necessariamente) figlio di un retaggio eurocentrico, permette allo spettatore un significativo avvicinamento a una cultura altra che, assai difficilmente, sarebbe possibile avvicinare in contesti dissimili da un festival. È, perciò, preziosa, anche e soprattutto in quest’ottica, l’offerta che nella XXX edizione propone ai suoi
spettatori il Ravenna Festival: una programmazione di vastissimo respiro che comprende diversi filoni sonori, dalla sacra all’antica, alla cameristica. Il primo di questi è individuabile seguendo la scia della musica cameristica. Il Quintetto di Ottoni dell’Orchestra Luigi Cherubini affronterà, il 7 giugno, un repertorio pensato come un viaggio à rebours dalle nuove sonorità novecentesche degli Stati Uniti grazie a brani, tra gli altri, di Lee Pollack, Duke Ellington e David Short verso l’Inghilterra dei Fab Four e discendendo in Francia grazie all’interesse per l’esotico di Claude Debussy. Ultima tappa di questo viaggio sarà, infine, l’Italia che vedrà le pagine di Nino Rota e Ennio Morricone ultime tappe di questo ritorno con la Genova di Attilio Margutti. Saranno i vincitori del premio Abbinati “Piero Farulli” 2017, a proporre un’altra via l’1 luglio: Quartetto Echos percorrerà un
cammino tortuoso, composto da tre composizioni pensate come un tentativo di scostamento dalla tradizione, rimanendo, però, in seno ad essa. Il celebre Langsamer Satz Wo6 composto da Anton Webern appare come uno degli ultimi respiri di un romanticismo che di lì a poco sarebbe stato scacciato dall’interesse dodecafonico del compositore austriaco, mentre Leós Jana ek dimostra la sua propensione a piegare la tradizione alle proprie idee nel Quartetto n.2 “Lettres intimes”. Probabilmente è, però, l’Adagio iniziale del Quartetto K 465 “delle dissonanze” il più celebre tentativo di rivoluzione nella tradizione. Innovazione non è solo rompere tradizioni, ma anche considerare in maniera differente prassi consolidate. La dimostrazione di questo assunto appare nei Ricercari per violoncello solo composti da Domenico Gabriello quando Bologna era uno tra i più importanti centri musicali
mondiali. Non stupisce quindi la relazione di vicinanza, proposta da Mauro Valli il 4 luglio, che accomuna questi primi esempi di affrancamento della linea di basso dal mero compito di sostegno armonico alle Suites di Johann Sebastian Bach, vertice massimo di questa indagine. Proprio questo appuntamento conclude una nuova linea programmatica che cataloga come “musica antica”, ma che si dovrebbe invece solo considerare come esempio di esecuzione >>
Sopra: Hermann In basso a sinistra: Vespri Sacre consonanze In basso a destra: Estonian Philharmonic Choir
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concerti
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Echos
storicamente informata. In questo ambito, dunque, ecco comparire, il 19 giugno, un programma nato tra le braccia di due giganti del Classicismo. Di Franz Joseph Haydn l’ouverture dall’opera L’isola disabitata Hob 28/9 che aprirà il capitolo di approfondimento delle sonorità classiche affidato al Giardino Armonico diretto da Giovanni Antonini. A seguire ci sarà un raro appuntamento con i concerti per due tastiere. Protagoniste
Katia e Marielle Labeque
saranno le due sorelle Katia e Marielle Labèque che, al fortepiano, si cimenteranno in un repertorio antologico del genere, firmato Wolfgang Amadeus Mozart: il Concerto in fa maggiore KV 242, pensato per le tre pianiste della famiglia Lodron, e il Concerto in mi bemolle maggiore KV 365. A suggello di questa indagine nel Classicismo sarà posta una delle pagine orchestrali più note di Haydn, la Sinfonia n. 45 in fa diesis minore
“Abschiedssymphonie”, la celeberrima Sinfonia degli addii, Hob I:45 con la quale il compositore di Rohrau tentò di comunicare al principe Nikolaus Esterházy la voglia dei musicisti che lavoravano nella residenza estiva di Esterháza di tornare alle loro famiglie presso Eisenstadt. Spostandosi più indietro nel tempo ci si imbatte in un periodo storico molto vasto che comprende stili molto diversi tra di loro: il 23 giugno protagonista
sarà il Barocco che, nella sua declinazione sacra, si manifesterà al pubblico ravennate con l’esecuzione del Messiah composto da Georg Friedrich Händel e affidata al Coro Costanzo Porta e all’Ensemble Cremona Antiqua, diretti da Antonio Greco. L’oratorio era un’opportunità lavorativa per i musicisti dato che nel periodo quaresimale le rappresentazioni operistiche erano vietate (non a caso le stagioni teatrali avevano vita tra Santo Stefano e Carnevale): questo genere era eseguito senza alcuna messa in scena e il soggetto era molto spesso tratto da vicende bibliche. Questo concerto introduce un vasto ambito, da sempre molto indagato da Ravenna Festival, la musica sacra. Nella città romagnola, però, viene spontaneo ricercare una connessione col passato e proprio il concerto del 28 giugno vedrà la cantante Nektaria Karantzi avvicinare il canto sacro bizantino e greco alla musica europea grazie all’intercessione del pianoforte, suonato da Vassilis Tsabropoulos, che porterà quasi virgilianamente questo repertorio attraverso i vincoli del temperamento equabile. Il tentativo di creare un ponte tra due idee differenti sarà affrontato anche il 30 giugno quando l’Estonian Philharmonic Chamber Choir, diretto da Kaspars Putnis, avvicinerà la lingua slava ecclesiastica della Chiesa ortodossa russa alla rappresentazione del sacro di Arvo Pärt, racchiusa nell’idea sonora dello stile “tintinnabuli” del quale il Kanon Pokajanen è un fulgido esempio. Vi saranno inoltre, come ormai di consueto, due rassegne sacre interne a questo Ravenna Festival. La prima di esse è “In Templi Domini”, volta ad animare le sante messe domenicali all’interno delle basiliche ravennati. Il primo appuntamento sarà il 9 giugno con una grande composizione, la Messa Aeterna Christi Munera scritta da Giovanni Pierluigi da Palestrina, il più importante musicista della Controriforma, eseguita da LiberaVox Ensemble diretto da Luigi Taglioni. Protagonisti anche dell’appuntamento con la liturgia delle ore, The Tallis Scholars canteranno, il 16 giugno sotto la guida di Peter Phillips, la Messa a 4 voci per la domenica della Santissima Trinità, composta da Joseph Gabriel Rheinberger, probabilmente il più noto e >>
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armonie spirituali
concerti
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Mauro Valli
importante compositore liechtensteinese. Il 23 giugno sarà, invece un appuntamento tutto romagnolo con il Gruppo Vocale Ecce Novum, diretto da Silvia Biasini e sostenuto all’organo da Riccardo Tanesini, eseguirà la Messa a cinque di Giovanni Ceresini, recentemente recuperata dall’oblio del tempo. Si chiuderà il 30 giugno, con l’esecuzione della Berliner Messe di Arvo Pärt nell’interpretazione dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir diretti da Peter Phillips e coadiuvati all’organo da Andrea Berardi, questo approfondimento domenicale sul rapporto tra la musica e la funzione religiosa. I “Vespri a San Vitale” saranno, invece, la testimonianza del sacro nel quotidiano per la XXX edizione di Ravenna Festival: …e immediatamente diventai sapiente, musica di Francesco Maria Paradiso su testo di Guido Barbieri, sarà protagonista dei primi appuntamenti, dal 6 al 10 giugno. Quest’opera, dedicata a Hildegard von Bingen avvicinerà l’idea di sacro alla moderna concezione dell’elettronica e delle interazioni digitali. LiberaVox Ensemble sarà presente l’8 giugno con Domus supra petram, programma incentrato sullo stile compositivo in cui Giovanni Pierluigi da Palestrina eccelleva, la polifonia. Salmi del compositore – esecutore Maurizio Alfonsi sarà presente dall’11 al 13 giugno miscelando, grazie alla tecnologia, i più diversi canti delle varie tradizioni cattoliche italiane. Interessante sarà l’indagine sulla musica sacra mariana che effettuerà il 14 e 15 giugno il duo di flauti dolci Il Giardino delle Muse. Il 16 giugno saranno The Tallis Scholars all’interno del percorso intorno alla liturgia delle ore a occuparsi del vespro, mentre il 17 e 18 giugno la taiwanese Jo-
Tsabropoulos - Karantzi
Chan Lin eseguirà quattro delle sei Suites composte da Johann Sebastian Bach. Dopo il violoncello solo, sarà la volta del sassofono quando, il 19 e 20 giugno Dimitri Grechi Espinoza approfitterà del riverbero naturale degli spazi ampi della basilica di San Vitale per dialogare col Sacro. L’Ensemble Dolci Accenti ritornerà sulla questione mariana affrontando il repertorio seicentesco dal 21 al 23 giugno. Affascinante sarà il (dal 24 al 26 giugno) l’approfondimento che la Consorteria delle Tenebre offrirà con la lettura delle opere più interessanti della letteratura di uno dei più bizzarri e capaci compositori cinquecenteschi, Carlo Gesualdo da Venosa. Il 27 giugno Nektaria Karantzi proporrà al pubblico ravennate un incontro con Il canto greco-bizantino, mentre il 28 giugno sarà la bella realtà ravennate del Coro Ludus Vocalis diretto da Stefano Sintoni ad esplorare le sonorità sacre del secondo Novecento. La Missa dolorosa di Antonio Caldara troverà posto il 29 giugnonell’esecuzione del Coro Ecce Novum. Il 30 giugno e l’1 luglio si rivolgerà il pensiero a San Francesco d’Assisi grazie all’inusuale utilizzo del bandoneon di Daniele Di Bonaventura che interpreterà musiche nate nel XIII secolo. Il tema mariano sarà presente anche il 2 luglio quando il soprano Annalisa Ferrarini e l’arpista Carla They offriranno un compendio delle più note pagine musicali dedicate alla figura di Maria. I Musici del Gran Principe indagheranno, il 3 e 4 luglio, il repertorio barocco toscano legato alla famiglia de’ Medici. Sarà, invece, anche un’esperienza tridimensionale quella che vedrà il gruppo Gocce d’Armonia dislocarsi, dal 5 al 7 luglio, nella basilica per giocare con la
riflessione del suono. Le melodie ortodosse saranno nuovamente presenti, invece, dall’8 al 10 luglio quando l’Irmos Ensemble avvicinerà le tradizioni sacre dei due lembi dell’Adriatico. La sperimentazione ritornerà l’11 luglio quando il soprano Giulia Zaniboni eseguirà
composizioni sacre del Novecento per voce sola. Il RaRe Duo, il 12 luglio, celebrerà i 200 anni dall’arrivo di Lord Byron a Ravenna con brani di Brahms, Ravel, Satie, Schumann, Wolf. Infine, il 13 e 14 luglio l’Emblema Ensemble farà risuonare le note di Boccherini, Galuppi, Pergolesi e Vivaldi. m
From Gesualdo da Venosa to Händel's Messiah, from Mozart to Arvo Pärt The importance of a festival does not only lies in the most famous names, but also (maybe especially) in the capacity of offering the audience the possibility to discover the amplitude of musical literature. That is what Ravenna Festival will be doing once again in this edition. For what concerns chamber music, the brass quintet of the Orchestra Luigi Cherubini will perform a journey à rebours from Lee Pollack, Duke Ellington and David Short from Usa towards Fab Four’ England Claude Debussy’s France. The last stop will be in Italy with Nino Rota, Ennio Morricone and Attilio Margutti’ track. On June 7th. On July 1st, the Quartet Echos will perform three different compositions between innovation and tradition: the famous Langsamer Satz Wo6 by Anton Webern, Quartet n.2 “Lettres intimes” by Leós Janaček th Dissonance Quartet, byname of String Quartet No. 19 in C Major, K 465. On July 4th Mauro Valli will play the Ricercari per violoncello solo by Domenico Gabriello followed by Bach’s Suites. This will be the last appointement of the so called “antique music” that will also include on June 19th the concert by Giardino Armonico conducted by Giovanni Antonini performing Franz Joseph Haydn’s ouverture of The Desert Island Hob 28/9. There will then be a rare appointment with Katia and Marielle Labèque’ fortepiano who will perform an anthology from Mozart and Haydn playing. On June 23rd baroque music will be protagonist with the Coro Costanzo Porta and the Ensemble Cremona Antiqua, conducted by Antonio Greco: they’ll perform Händel’s Messiah. This concert opens a huge area of interest for Ravenna Festival: on June 28th, the singer Nektaria Karantzi and the piano player Vassilis Tsabropoulos will put in contact the Greek and Byzantine chant with European music; on June 30th, the Estonian Philharmonic Chambers Choir, conducted by Kaspars Putniņš,will put in contact the Slavic ecclesiastic language of the Russian Orthodox Church with Arvo Pärt’s Kanon Pokajane. Morevoler, two series of concerts will enrich Ravenna Festival: “In templo domini” and “Vespri a San Vitale”. The first one will as usual take place during Sunday messes in Ravenna’s churches with many different artists such as LiberaVox Ensemble conducted by Luigi Taglioni, The Tallis Scholars conducted by Peter Phillips, the Gruppo Vocale Ecce Novum conducted by Silvia Biasini with Riccardo Tanesini’s organ, and the Estonian Philharmonic Chambers Choir conducted by Peter Phillips and accompanied by Andrea Berardi’s organ. The Vespri a San Vitale will, instead, be an everyday witnessing of sacred music. Among the many artists there will be LiberaVox Ensemble, Maurizio Alfonsi , The Tallis Scholars, Jo-Chan Lin, Dimitri Grechi Espinoza, Ensemble Dolci Accenti, Nektaria Karantzi, Coro Ludus Vocalis conducted by Stefano Sintoni , Coro Ecce Novum, Daniele Di Bonaventura, Annalisa Ferrarini and Carla They, I Musici del Gran Principe, Gocce d’Armonia, Irmos Ensemble, Giulia Zaniboni, RaRe Duo and Emblema Ensemble.
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opera lirica
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Norma, Aida, Carmen Tre “rivoluzionarie” del melodramma, nella vita e nella voce, dal bel canto agli albori del verismo. Le racconta l'ideatrice del progetto e regista Cristina Mazzavillani Muti DI FAUSTO PIAZZA
È oramai un “format” collaudato, e sempre più apprezzato dal pubblico (anche di stranieri in visita a Ravenna) quello della Trilogia d’Autunno, nato quasi dieci anni fa da un’idea della presidente del Ravenna Festival Cristina Mazzavillani Muti che ne ha curato i progetti tematici, cimentadosi più volte nella regia degli spettacoli. Una rassegna dislocata fra una edizione e l’altra del Festival, in una densa serie di appuntamenti, prevalentemente dedicati al repertorio lirico. Anche quest’anno, tre opere diverse si susseguono a ritmi serrati, una sera dopo l’altra, sullo stesso palcoscenico del teatro Alighieri. Quest’anno Cristina ha pensato a tre donne celebri del melodramma: Norma, Aida e Carmen che andranno in scena dall’1 al 10 novembre. In buca l’Orchestra Cherubini, guidata da tre diversi direttori, cast selezionato di giovani cantanti e allestimenti “leggeri” che sfruttano le nuove tecnologie video e di spazializzazione del suono. Ormai una cifra tanto originale quanto consolidata di queste produzioni.
Il legame tra queste tre figure chiave nella storia del teatro d’opera ce le racconta Cristina Mazzavillani Muti «Questo progetto è nato essenzialmente da un punto di vista vocalistico. Sono tre donne che cantano in tre modi diversi, e questa evoluzione avviene nel corso di appena una cinquantina d’anni. La Norma di Bellini, che è del 1831, rappresenta l’assoluto purismo del canto neoclassico, L’Aida di Verdi, del 1872, è a metà strada fra il bel canto e i primi acceni di voci veriste, che peraltro nell’opera verdiana si avvertono appena con Amneris. Poi arriva la Carmen di Bizet che è del 1875. Pensiamoci bene, Verdi dopo Aida non scrive più niente per dieci anni. E penso che il Maestro tace perché si deve confrontare con un mondo, quello dell’opera e delle sue voci,
Autumn’s Trilogy dedicated to Norma, Aida and Carmen Since 2012 the Trilogia d’Autunno (Autumn’s Trilogy), has been an appreciated appointment with opera in between two editions of Ravenna Festival. Also in 2019 there will be three different operas that will be staged, one day after the other, at Teatro Alighieri with a mix of young singers, musicians and conductors and the use of modern technologies for the scenes. Three original productions will give voice to three legendary female protagonists created by three greats of melodrama: Bellini, Verdi and Bizet. Once again Cristina Mazzavillani Muti, who invented this formula, will also be director of two of the three works. «Norma, Aida and Carmen have marked the composers’ inspiration, just like you have in painting and literature – she says – Norma represents the highest expression of “bel canto”, Adia is the greater manifestation of XIX drama, and Carmen is the beginning of the important current called “Verismo”. They are three different stories ending with three suicides, one for faith, the second for love and the third for freedom. And it is bizarre that Verdi, after Aida, did not compose for 12 years».
che sta cambiando. Si mette in ascolto e studia. Dentro questo silenzio c’è Carmen quindi, che però non è ancora verismo, piuttosto Comédie-Française, con molti recitativi, ma è come se volesse suggerirlo il verismo musicale». Cosa accomuna allora queste tre donne? «Sono tutte donne giovanissime, bellissime, innamoratissime ma muoiono suicide. Aida per amore, Norma per fede, Carmen per la libertà propria». Ma rappresentano di più delle eroine o delle vittime? «Le definirei piuttosto tre donne “rivoluzionarie”, senza compromessi, per l’epoca in cui vivono, significa che indicano uno scopo. E sono figure femminile che hanno indubbiamente commosso e ispirato questi grandi compositori». Le loro sono storie che hanno ancora qualcosa da insegnarci oggi? «La fedeltà a se stesse e una grande dignità».
Qual è l’opera, fra le tante che ha diretto, che sul piano della creazione artistica l’ha più esaltata, da una parte, e intimorita o preoccupata, dall’altra? L’opera che ho più nel cuore è la mia prima regia, Capuleti e Montecchi, un lavoro che mi ha soddisfatto e incoraggiato a intraprendere il percorso che è arrivato fino a qui. La prima opera nella quale abbiamo sperimentato con un certo successo le nuove tecnologie sceniche e sonore. Quella che invece mi ha dato più ansie creative è proprio la Carmen, e proprio per questo l’ho affidata ad un altro regista (ride). No no, io la Carmen non la faccio, per prima cosa per il francese, che non conosco bene. Per essere registi fedeli al testo, come io ritengo debba essere, bisogna conoscere la lingua in tutte le sue sfumature. Il Falstaff l’ho diretto ma mi hanno tremato i polsi. È la mia croce e delizia. Mentre la Norma mi ha sempre appassionata ma anche preoccupata. La ritengo ardua da affrontare ma quest’anno ci provo!». m
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Another Brick In The Wall I muri sono dentro di noi. All’interno dei testi della cult
band dei Pink Floyd da Saurceful of secrets a Animals «Would you like to send our coloured cousins Home again my friend?» («Ti piacerebbe rimandare a casa I nostri cugini di colore?») Pink Floyd, Waiting For The Worms, da The Wall
DI ALBERTO GIORGIO CASSANI
In un’epoca in cui s’innalzano muri e crollano (o sono fatti crollare) ponti – da Mostar a Genova – è forse di qualche utilità rileggere alcuni testi delle canzoni del gruppo che ha fatto la storia del rock psichedelico, o Prog Rock, protagonista, quest’anno, del Festival ravennate. Parliamo naturalmente dei Pink Floyd. Premettendo che, trattandosi di testi appartenenti al genere della psichedelia, non è facile trovare in essi, a volte, una logica troppo ferrea, oltre al dubbio, giustificato, di poter separare i testi dalla musica, nonché la possibilità di fraintenderne il senso, che è sempre un pericolo di cui ogni ermeneuta deve essere consapevole. In ogni caso, in un numero notevole di tali testi, ritorna la metafora del volo, come fuga da questo mondo – desiderio fors’anche sollecitato, visto il
periodo storico in cui si è svolta la carriera del gruppo musicale inglese, dall’uso di droghe – e dunque come immagine precipua di (effimera?) libertà. Da non dimenticare, inoltre, che dietro questa figura traluce quella fonte fondamentale per i Pink Floyd che è la Lucy In The Sky With Diamonds dei Beatles, una delle tante perle del capolavoro dei quattro ragazzi di Liverpool, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, pubblicato nel 1967. Ecco alcuni rilevanti esempi di tale immagine: «Then she spread her wings to fly | For to fly | Soaring high above the breezes | Going always where she pleases | She will make it to the islands | In the sun» («Poi spiegò le ali per spiccare | Il volo | Levata alta sopra i venti | Sempre andando a suo piacere | Raggiungerà l’isola | Nel sole», The Nile Song, da More, Columbia Graphophone Company, 1969); e nuotare, in un caso, è come volare: «And crawl
I Pink Floyd nella loro formazione iniziale con Syd Barrett, influenzati dal look dei Beatles (e di John Lennon in particolare) (Marc Sharratt / REX USA). La copertina del doppio LP The Wall (Harvest Records-EMI / Columbia Records-Sony Music, 1979)
to you across the sky» («E nuoto fino a te, attraverso il cielo», Echoes, da Meddle, Harvest Records-EMI, 1971); «We climb and climb» («Saliamo e saliamo», Crying Song, da More, cit.); «On the high the eagle flies, that glitter all of gold | Then wheeling in a cloudy sky, he flies into the sun» («L’aquila vola alta, scintilla d’oro | Poi, roteando in un cielo scuro, vola verso il sole», Crumbling Land, dalla colonna sonora di Zabriskie Point, 1970); «And I’ll climb the hill in my own way | Just wait a while for the
right day | And as I rise above the tree-line and the clouds […] And as you rise above the fear-lines in his brow | You look down, hearing the sound | Of the faces in the crowd» («E salirò a mio modo | Aspetta solo il giorno giusto | E ascenderò sopra orizzonti e nubi […] E ascenderai sopra la sua fronte corrugata di paura | Guarderai in basso per sentire il suono | dei volti della folla», Fearless, da Meddle, cit.); «You’d like to fly with me and hide with me, baby […] Point me at the sky and let it fly […] And we fly, it’s
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goodbye | Point me at the sky and let it fly» («Ti piacerebbe volare, sparire con me […] Puntami verso il cielo e fallo volare […] E noi voliamo. È un addio | Puntami verso il cielo e fallo volare», Point me at the sky, Columbia Records, 1968; «Would you like to learn to fly?» («Vuoi imparare a volare?», One Of My Turns, da The Wall, Harvest Records-EMI / Columbia Records-Sony Music,1979), che si ricollega al titolo di una canzone di A Momentary Lapse Of Reason (EMI / Columbia Records-Sony Music, 1987), Learning To Fly, piena di riferimenti al volo: «A flight of fancy on a wind swept field» («Volo fantastico sul campo ventoso»), «A soul in tension that’s learning to fly» («Anima tesa che impara a volare»), «Across the clouds I see my shadow fly» («Tra le nubi vedo la mia ala in volo»); «She’s a little kite, the sort you think you might like to fly» («Piccola, un aquilone, da far volare», Birdie Hop, da Opel, Harvest RecordsEMI / Capitol Records, 1988). A volte, in Syd Barrett, che qui consideriamo in toto facente parte dell’universo Pink Floyd anche nei suoi album da solista, il volo è una chiara allusione
I Pink Floyd con David Gilmour nel 1973 (Michael Ochs Archives / Corbis / Getty Images). A destra la locandina (tedesca) del film Pink Floyd The Wall di Alan Parker (Gran Bretagna, MYMONETRO, 1982, 99 min.)
sessuale: «I fly above you, yes I do» («Volo sopra di te, oh sì», Terrapin, da The Madcap Laughs, Harvest Records, 1970), o è un volo indiscreto: «On a flying kind of trying in a meddlesome way» («Cercando come di volare da importuno», Birdie Hop, cit.). Ma il volare, qualche volta, è un’operazione difficile: «Why can’t we reach the sun» («Perché
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non sappiamo raggiungere il sole?», Remember A Day, da A Saucerful Of Secrets, Columbia Graphophone Company, 1968); «I’ve got wild staring eyes | I’ve got a strong urge to fly | But I’ve got nowhere to fly to» («Ho occhi selvaggi lucenti | E un gran bisogno di volare | Ma non so dove», Nobody Home, da The Wall, cit.); oppure è un volo
d’Icaro, con tutti i pericoli che ciò comporta: «No one flies around the sun» («Nessuno vola intorno al sole», Echoes, cit.). Ovvero è un finto volo, perché conduce alla disfatta: «For long you live and high you fly […] Is all your life will ever be […] For long you live and high you fly | But only if you ride the ride | And balanced on the biggest wave | You race towards an early grave» («Per quanto tu viva e in alto voli […] È tutto quel che la tua vita sarà […] Per quanto tu viva e in alto voli | Ma solo se cavalchi la corrente | Tenendoti saldo sull’onda più grossa | Vai dritto sparato verso un precoce sepolcro», Breathe, da The Dark Side Of The Moon, Capitol Records-Harvest Records, 1973); altre volte l’ambìto premio finale risulta fuori dalla nostra portata: «The pie in the sky turned out to be miles too high» («Alla fine la torta in cielo era troppo alta», Paranoid Eyes, da The Final Cut, Harvest Records-EMI / Columbia Records-Sony Music, 1983) o il volo stesso si rivela impossibile: «And far from flying high in clear blue skies» («E ben lontano dall’innalzarmi verso cieli azzurri e puri», The Final Cut, da The Final Cut, cit.); oppure, ancor più
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drasticamente, si legge in Barrett: «Rinchiudi le ali in una torre spettrale», Octopus, da The Madcap Laughs, cit.). O, ancora, la metafora del volo nasconde luoghi comuni tipici del mito capitalistico del successo (da cui non sono stati esenti, per loro stessa ammissione – vedi Wish You Were Here con conseguente ricaduta depressiva, vedi The Wall – i Pink Floyd): «Come in here, dear boy, have a cigar | You’re gonna go far, fly high | You’re never gonna die, you’re gonna make it if you try | They’re gonna love you» («Accomodati, ragazzo mio, prenditi un sigaro | Tu andrai lontano, volerai alto | Non morirai mai, ci riuscirai se ci provi | Tutti ti ameranno», Have A Cigar, da Wish You Were Here, Harvest Records-EMI / Columbia RecordsSony Music, 1975); fino ad arrivare alla castrazione materna del volo: «Under her wing | [sc. Mother] She won’t let you fly but she might let you sing» («Sotto le sue ali | [sc. Mamma] Non ti lascerà volare, forse ti farà cantare», Mother, da The Wall, cit.); o alla fine della speranza di poter volare di nuovo nel cielo azzurro: «Goodbye blue sky |
Goodbye blue sky | Goodbye» («Addio cielo azzurro | Addio cielo azzurro | Addio», Goodbye Blue Sky, da The Wall, cit.). E allora le ali sono quelle della notte: «On the wings of the night» («Sulle ali della notte», On The Turning Away, da A Momentary Lapse Of Reason, cit.) All’immagine del volo – che abbiamo visto caratterizzato da luci e ombre – si contrappone quella del muro, una delle più presenti nei testi dei Pink Floyd, tanto da contrassegnare, nel titolo stesso, uno dei loro album più di successo, The Wall, appunto.1 Prima di The Wall, l’immagine del muro è presente solo tre volte nei testi dei Pink Floyd: «On the wall hung a tall mirror | Distorted view, seethrough, baby-blue | He dug it» («Sul muro era appeso un alto specchio | vista distorta, in trasparenza, baby blue | E gli piaceva», Arnold Layne, Columbia Graphophone Company, 1967); «Witness the man who raves at the wall» («Testimonia l’uomo che ama il muro» (Set The Controls For The Heart Of The Sun, da A Saucerful Of Secrets, cit.); e «And through the window in the wall | Come streaming in on
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sunlight wings | A million bright ambassadors of morning» («E dal muro, attraverso la finestra | Arrivano ondeggiando su ali di raggi di sole | Un milione d’ambasciatori splendenti del mattino», Echoes, cit.) Il muro, dunque, fino al concept album del 1979, non costituisce un tema di particolare interesse. Con The Wall, invece, diviene centrale come figura del rinchiudersi in se stesso del protagonista, Pink, evidente alter ego di Roger Waters, prima che degli altri membri del gruppo, dopo la crisi seguita ai mega concerti e all’episodio dello sputo di Waters, a seguito del lancio di petardi mentre il gruppo stava suonando Pigs On the Wing (Part Two) (Animals, Harvest RecordsEMI / Columbia Records-Sony Music, 1977), su alcuni giovani del pubblico, durante il concerto del 6 luglio 1977 a Montreal.2 Il doppio album che ne è seguito è appunto incentrato sul difficile rapporto di un musicista con i suoi fans. Si comincia con la quasi naturalità dell’erezione del muro, un mattone dopo l’altro: «All in all it was just a brick in the wall | All in all it was all just bricks in the wall» («Dopo tutto era solo un mattone nel muro | Tutto quanto, in fondo era solo mattoni nel muro», Another Brick In The Wall (Part One), da The Wall, cit.); «All in all it’s just another brick in the wall | All in all you’re just another brick in the wall» («Dopo tutto, è solo un altro mattone nel muo | Dopo tutto, sei solo un altro mattone nel muro», Another Brick In The Wall (Part Two), da The Wall, cit.); «What shall we use to fill the empty | Spaces where we use to talk | How shall I fill the final places | How shall I complete the wall» («Che cosa useremo per riempire i vuoti | Spazi dove di solito stavamo a parlare? | Come riempirò gli ultimi punti | Come completerò il muro?», Empty Spaces, da The Wall, cit.); «I have seen the writings on the wall […] All in all it was all just bricks in the wall | All in all you were all just bricks in the wall» («Ho visto la scritta sul muro […] Dopo tutto erano solo mattoni nel muro | Dopo tutto eravate tutti solo mattoni nel muro», Another Brick In The Wall (Part Three), da The Wall, cit.). Quest’auto-reclusione in un carcere mentale non avviene solo a causa del cattivo rapporto con il pubblico. Fin da piccolo, infatti, Pink ha subìto una serie di traumi: la morte del padre nella Seconda guerra mondiale – tragedia che fa veramente parte
L’interno della copertina del LP The Wall, con la grafica di Gerald Scarfe
della biografia di Waters, come noto –; la stupida rigidità dell’educazione scolastica; la presenza di una madre iperprotettiva: «Mother should I build a wall» («Mamma devo costruire un muro?», Mother, cit.); «Of course Mama’ll help build the wall» («Naturalmente mamma t’aiuterà a costruire il muro» Mother, cit.); il fallimento del rapporto con la moglie. Tutto ciò induce il protagonista a rinchiudersi completamente in se stesso, dietro a un muro che lui stesso si è creato e, dopo un timido e fallimentare tentativo di uscire fuori dalla prigione – «Hey you! with your ear against the wall […] The wall was too high as you can see […] Hey you! our there beyond the wall […] Together we stand, divided we fall» («Ehi, tu! con l’orecchio contro il muro […] Il muro era troppo alto come vedi […] Ehi, tu! oltre il muro […] Insieme ce la faremo, divisi cadremo», Hey You, da The Wall, cit.); «Is there anybody out there?» («C’è qualcuno lì fuori?», Is There Anybody Out There?, da The Wall, cit.); «There must have been a door there in the wall | When I came in» («Ci doveva essere una porta3 là nel muro | Quando entrai», The Trial, da The Wall, cit.) – egli entra in uno stato di allucinazione, fantasticando di vestire i panni di un dittatore neonazista che faccia piazza pulita di chi è diverso da lui (negri, ebrei, omosessuali): «Are there any queers in the theater tonight | Get them up against the wall | There’s one in the spotlight
Another Brick in the Wall Walls are inside us While walls are built and bridges fall down - from Mostar to Genoa - it may be useful to read again the lyrics of the band who made the history of psychedelic rock: Pink Floyd. The band is among the protagonists of this year Ravenna Festival. In many of their lyrics we find the metaphor of the flight, which can be an escape from this world like in “The Nile Song”, “Echoes”, “Crying Song”, “Point at the Sky”, “Learning to Fly” and many others. Sometimes in Syd Barret the flight is an explicit sexual hint like in “Terrapin” (we consider Syd Barret as belonging to Pink Floyd universe also in his solo albums). Sometimes, however, flying is difficult (“Remember a Day”, “Nobody home”), or it is a dangerous Icarus' flight (“Echoes”) or it is a fake flight because it takes you to defeat (“Breathe”). The metaphor of flight can also hide clichés of the capitalistic myth of success (“Wish you were here”, “The wall”) and we also find in their lyrics the maternal castration of flight (“Mother”). The wings become the night's wings and fail to fly back in the blue sky. As opposed to the image of flight, there is the wall, a symbol you can often find in Pink Floyd's lyrics to the point that The Wall is the title of one of their most successful albums. In fact, before 1979, for the band the idea of the wall is not so interesting, but in that album it becomes crucial as it represents the way the protagonist (alter ego of Roger Waters who had spitted on the audience during a concert in Montreal) is retreating into himself. The Wall therefore deals with the difficult relationship between the artist and his fans, even if this was not the only reason for his self-enclosure. Since he was a boy, Pink has suffered many traumas: his father's death, the stupid rigidity of school education, the presence of an overprotective mother. Pink is hallucinated and dreams of becoming a nazi dictator who will brush away all those who are different from him. In that altered state, Pink thinks to punish himself, he imagines he is in a court where those who have locked him up inside a mental wall have to bear witness against him: his teacher, his mother and his wife. In the end, the judge will non condemn anyone, but declares that the defendant has revealed his deepest fears and so he is again admitted among his peers. An ambiguous end where we can see no possible salvation. But we know that this sort of nihilism is pretty common in Pink Floyd's lyrics.
A Saurceful of Secrets, the new Nick Mason’s “superband” The name of the new “superband” founded in 2018 by Nick Mason is Saurceful of Secret, like the second Pink Floyd's album. Mason was one of the founders of Pink Floyd, the drummer and one of the authors and the only one to be member of the band along the thirty years of their career. As it is clear from the name itself, the band focuses on the repertoire of the first two legendary albums, the ones with Syd Barrett. Mason will be on concert on July 14th at Pala De André with Gary Kemp from Spandau Ballet (guitar and voice), Lee Harris from Blockheads (guitar), Guy Pratt (guitar bass player in Pink Floyd since 1987) and the composer Dom Beken.
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| He don’t look right to me | Get him up against the wall» («Ci sono checche in teatro stasera? | Mettetele al muro | Ce n’è uno sotto un riflettore | Che non mi sembra a posto | Mettetelo al muro», In The Flesh, da The Wall, cit.); «Sitting in a bunker here behind my wall | Waiting for the worms to come | […] | In perfect isolation here behind my wall | […] | Waiting to weed out the weaklings | Waiting to smash in their windows | And kick in their doors» («Io seduto in un bunker qui dietro il muro | Aspetto che arrivino i vermi | In perfetto isolamento qui dietro al mio muro | […] | Aspetto di sterminare i deboli | Aspetto di sfasciargli finestre | E sfondargli porte», Waiting For The Worms, da The Wall, cit.). E, ancora in uno stato allucinogeno, Pink immagina di autopunirsi, immaginandosi alle sbarre in un processo in cui il giudice chiama a testimoniare contro di lui coloro che hanno contribuito a farlo rinchiudere all’interno di un muro mentale: il professore, la madre e la moglie. Alla fine, però, il giudice non emette una condanna, ma dichiara che l’imputato, attraverso una sorta di catarsi, ha confessato a se
stesso le sue paure e dunque, se di condanna si può parlare, questa consiste nell’essere di nuovo ammesso tra i suoi simili: «But my friend you have revealed your | Deepest fear | I sentence you to be exposed before | Your peers | Tear down the wall» («Ma, amico mio, tu hai rivelato | La tua paura più profonda | Io sentenzio che tu sia esposto | Ai tuoi simili | Che il muro sia abbattuto», The Trial, cit.). L’apparente happy end – «All alone or in twos | The ones who really love you | Walk up and down outside the wall | Some hand in hand | Some gathering together in bands | The bleeding hearts and the artists | Make their stand | And when they’ve given you them all | Some staggers and falls after all it’s not easy | Banging your heart against some mad buggers | Wall» («Da soli o a due a due | Quelli che davvero ti amano | Vanno e vengono al di là del muro | Alcuni mano nella mano | Alcuni in gruppo | Cuori teneri e artisti | Cercano di abbatterlo | E quando t’avran dato il meglio di loro | Qualcuno barcollerà e cadrà non è facile dopotutto | Picchiare il cuore contro il muro | D’un pazzoide», Outside The Wall, da The Wall,
cit.) – in realtà è contraddetto, come ha scritto Alberto Mario Banti, dalle parole finali che si ascoltano nell’ultima traccia: «“Non è da qui che4… […] parole che completano la frase che si sente all’inizio del disco, quando, avviando la riproduzione del primo brano si sente: “…siamo venuti?5».6 Un finale ambiguo, dunque, dovuto al «contenuto latente, sullo sfondo, che suggerisce che non c’è salvezza, che distrutto un muro mentale, ne verrà eretto un altro, ricominciando il percorso da capo in una specie di eterno ciclo che non lascia alcuna speranza».7 Ciò non deve stupire. Chi conosce i testi delle canzoni dei Pink Floyd, sa che questa sorta di nihilismo non è per nulla loro estraneo. Lo confermano, significativamente, tre finali di testo: «Who are you and who am I | To say we know the reason why | Some are born, some men die | Beneath one infinite sky | There’ll be war and there’ll be peace | But anything one day will cease | All the iron turn to rust | All the proud men turn to dust | So all things time will mend | So this song will end» («Chi sei tu e chi sono io | Per dire che sappiamo
perché | C’è chi nasce, c’è chi muore | Sotto l’infinità del cielo? | Ci sarà guerra e ci sarà pace | Ma tutto finirà un giorno | Tutto il ferro sarà arrugginito | Tutti i superbi finiranno in polvere | Così il tempo aggiusterà tutte le cose | Così terminerà questa canzone», Childhood’s End, da Obscured By Clouds, cit.); «The time is gone, the song is over, thought I’d something more» («Il tempo è andato, la canzone è finita anche se avrei altro da dire», Time, da The Dark Side Of The Moon, cit.); «Finally I understand | The feelings of the few | Ashes and diamonds | Foe and friend | We were all equal in the end» («Alla fine capisco | Quel che pochi sentono | Diamanti e ceneri | Amico e nemico | Tutti siamo uguali, alla fine», Two Suns In The Sunset, cit.). E in questo anche Barrett, per una volta, è d’accordo con gli amici-nemici: «As high is high | So low is low | And that’s the end of it» («Come l’alto è alto | Così il basso è basso | E questa è la fine di tutto», A Rooftop Song In A Thunderstorm Row Missing The Point, testo mai messo in musica da Syd Barrett). Sic transit gloria mundi. m
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il live
A Saurceful of Secrets, la nuova superband di Nick Mason Si chiama Saucerful of Secrets, come il secondo album dei Pink Floyd, e potrebbe sembrare solo un'altra cover band di uno dei più importanti gruppi della storia del rock e della musica tutta. In realtà è il nuovo supergruppo fondato nel 2018 da Nick Mason, che dei Pink Floyd è stato tra i fondatori, il batterista (nonché autore, in solo o insieme ad altri, di una trentina di canzoni) e soprattutto l'unico componente fisso nell'arco della loro trentennale carriera. Come intuibile dal nome, la band punta molto sul repertorio dei primi album dei Floyd, in particolare i primi due, mitologici, con Syd Barrett, quelli più psichedelici e oggetti di culto per tanti appassionati ma forse sottovalutati dalla maggior parte dei fan del gruppo. «Ci sono tante canzoni che il pubblico si perde – ha dichiarato infatti Mason qualche anno fa –. La gente pensa che siamo nati con “Dark Side of the Moon”, ed è un problema, perché noi esistevamo anche prima, eravamo una band underground». I concerti con il nuovo gruppo, quindi, per Mason «saranno una chance unica di sperimentare i primi anni dei Pink Floyd». Mason è così tornato a suonare dal vivo nel maggio del 2018, oltre dieci anni dopo un tentativo poi fallito (complice ovviamente nel frattempo anche la morte di Richard Wright) di reunion dei Pink Floyd quando, nel luglio 2005, si era unito a Gilmour, Wright e Waters su un palco per la prima volta dopo ventiquattro anni. Ad accompagnare Mason nella sua nuova band (con cui sarà in concerto in Italia questa estate e in particolare il 14 luglio al Pala De André nell’ambito del Ravenna Festival) Gary Kemp degli Spandau Ballet a chitarre e voce, il chitarrista Lee Harris dei Blockheads, Guy Pratt (collaboratore e bassista dei Pink Floyd dal 1987) e il compositore Dom Beken. Da sottolineare come nella sua carriera Mason abbia lavorato anche con altri artisti, come batterista e produttore discografico per Robert Wyatt e Steve Hillage, come batterista per Michael Mantler e come produttore per il gruppo punk rock The Damned.
Note * Tutti i testi delle canzoni qui citati, dei Pink Floyd e di Syd Barrett, in originale e nella traduzione italiana, sono tratti dal volume Pink Floyd. Testi con traduzione a fronte, a cura di Paolo Bertrando, Milano, Arcana Editrice, 1988, tranne A Rooftop Song In A Thunderstorm Row Missing The Point, Arnold Layne, Remember A Day, Set The Controls For The Heart Of The Sun (con nostra correzione di un errore nel testo), The Nile Song (con nostra correzione di due errori nel testo), Crumbling Land, Terrapin, Octopus, Long Gone, Feel e Birdie Hop. Per un approfondimento del significato dei testi si veda The Lunatics, Pink Floyd. Il fiume infinito. Le storie dietro le canzoni, Firenze, Giunti, 2014, 2018. 1 Detto per inciso, invece, l’ormai scontata contrapposizione tra muri e ponti non fa presa nelle lyric del gruppo londinese, dal momento che i secondi vi compaiono assai raramente (tre volte soltanto): «The crowd on her side | She struggled a bridge by the water» («La folla accanto a lei | Che lottava con un ponte presso l’acqua», Feel, da The Madcap Laughs, cit.); «Bridges burning gladly, melting with the shadow | Flickering between the lines» («Ponti ardono allegri, si fondono con l’ombra | Tremolano tra le rive», Burning Bridges, da Obscured By Clouds, EMI, 1972); e «In my rear view mirror the sun is going down | Sinking behind bridges in the road» («Nel mio retrovisore il sole tramonta | Annega dietro i ponti della strada» (Two Suns In The Sunset, da The Final Cut, cit.). 2 Su cui, oltre la versione ufficiale di Waters, si veda il ricordo di uno dei presenti: https://itit.facebook.com/notes/la-sincera-modestia-di-roger-waters/resoconto-dellepisodio-dello-sputo-diroger-waters-montreal-6-luglio-1977-di-mar/367994713280689/) [data di ultima visualizzazione: 14 aprile 2019]. 3 A proposito di porte, simbolicamente legate strettamente ai ponti, come ci ha insegnato Georg Simmel (Brücke und Tür, in «Der Tag», 15 settembre 1909, ora in ID., Brücke und Tür. Essays des Philosophen zur Geschichte, Religion, Kunst und Gesellschaft, im Verein mit Margarete Susman, herausgegeben von Michael Landmann, Stuttgart, Koehler, 1957, trad. it. Ponte e porta, in ID., Saggi di estetica, introduzione e note di Massimo Cacciari, Padova, Liviana, 1970, pp. 1-8), queste sono assai più presenti di questi ultimi nei testi dei Pink Floyd, forse perché possibili immagini della mente: «The squeaking door will always squeak» («La porta cigolante cigolerà per sempre», Octopus, da The Madcap Laughs, cit.); «The opening door on your face» («La porta che ti si apriva sul volto», Long Gone, da The Madcap Laughs, cit.); «When night comes down you lock the door» («Quando scende la notte tu spranghi la porta», A Pillow Of Winds, da Meddle, cit.); «The door it stands ajar | It was, it once was high beyond the guilded cage | Beyond the reach of time, the moment is at hand | She breaks the golden band» («La porta resta socchiusa | Era alta un tempo oltre la gabbia dorata | Oltre i limiti del tempo, è il momento e lei | Rompe la banda d’oro», Burning Bridges, cit.); «You lock the door | And throw away the key | There’s someone in my head but it’s not me» («Chiudi la porta | E butti via la chiave | C’è qualcuno nella mia mente ma non sono io», Brain Damage, The Dark Side Of The Moon, cit.); «You can knock at any door | But wherever you go you know they’ve been there before» («Puoi bussare a tutte le porte | Ma ovunque andrai saranno già passati», The Dogs Of War, da A Momentary Lapse Of Reason, cit.). 4 «Isn’t this where...». 5 «...we came in?». 6 ALBERTO MARIO BANTI, Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, Bari-Roma, Editori Laterza, 2017, p. 438. 7 Ibid.
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concerti
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100 percussioni la fonte del ritmo accende il cuore del festival Rulli di tamburi e altri battiti, fra musica colta, etnica e popolare, per celebrare gli strumenti chiave della musica del Novecento che incrociano tradizioni sonore di tutto il mondo. Dieci giorni di scoperte, concerti, incontri sorprendenti in vari luoghi della città e… lungo il fiume. Con un gran finale all'insegna di una festa dalle mille pulsazioni DI GUIDO SANI
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C’è un battito irresistibile che accende il cuore del Ravenna Festival 2019: tribale, misterico, iterativo, il suono delle percussioni ci trascina in un viaggio in dieci giornate - di concerti, di scoperte, di incontri - che dal 6 al 15 giugno celebra questi strumenti onnipresenti in tutte le culture musicali del pianeta, in ogni genere e stile. Legni, pelli, metalli disegnano la pulsazione dei nostri universi sonori sin dall’alba dei tempi e il progetto Le 100 percussioni rende loro omaggio con una serie di appuntamenti organizzati in collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana, fra le più antiche e importanti istituzioni musicali. Cornice degli eventi teatri e chiese, archeologie industriali e capanni sugli argini, fino al grande concerto finale al Pala De André per il quale salirà
sul palcoscenico una grande formazione costituita anche attraverso una chiamata aperta ai percussionisti del territorio - e oltre. Percorrendo le geografie della musica – ora negli agglomerati urbani dell’Uganda e poi nei quartieri coloniali di Buenos Aires, passando dall’ipnosi della techno africana alla forza avvolgente di maestri riconosciuti della musica contemporanea come Steve Reich e Karlheinz Stockhausen, tra tamburi a cornice e batterie elettroniche – il Festival fa di Ravenna il punto di incontro fra culture e artisti, tra esplosioni, sussulti, palpiti, con passione e creatività. Dopo i violoncelli e le chitarre, quest’anno la navigazione “per l’alto mare aperto” della XXX edizione si avventura nel vasto arcipelago delle percussioni. Dal primitivismo de Le Sacre du printemps di Stravinskij al
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Glen Velez
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gioiosamente rumoroso jazz, dalle esplosioni rock alla black music fino all’ossessività techno, la sterminata famiglia delle percussioni ha innervato dei propri battiti tutto il rivoluzionario Novecento. E ora anche la Ravenna che D’Annunzio cantava come “città del silenzio” risuonerà di tamburi, metallofoni e xilofoni, djembe, m’bire e kalimbe, dagli strumenti più classici a quelli più esotici. Il porto di partenza per questo viaggio è, fisicamente e idealmente, Ravenna, con una conversazione a cura di Francesco Martinelli dedicata al “ravennate a Parigi” Franco Manzecchi, pioniere della batteria jazz moderna (6 giugno nel Chiostro della Biblioteca Classense) seguita da Harmograph, trittico di omaggi firmati da Matteo Scaioli: Igor Stravinsky, Egisto Macchi e Giusto Pio saranno celebrati in tre concerti dal 7 al 9 giugno, tutti nella Sala del Refettorio del Museo Nazionale. Le 100 percussioni incontrano inoltre un appuntamento ormai tradizionale del Festival: il concerto trekking in collaborazione con Trail Romagna, che domenica 9 giugno
improvvisazione guidata
L’Officina del Ritmo di Marco Zanotti e la “Bomba de Tiempo” Marco Zanotti, faentino, classe 1976, una laurea in lingue e letterature straniere, il ritmo ce l’ha nel sangue. Polistrumentista, ha una predilezione per le percussioni, declinate in particolare nelle matrici sonore del sud del mondo, per cui ha viaggiato frequentemente in Africa e America Latina. È fondatore e direttore della Classica Orchestra Afrobeat con la quale ha inciso tre album che vedono la partecipazione, fra gli gli altri, di musicisti del calibro di Seun Kuti, Sekouba Bambino, Baba Sissoko e Njamy Sitson. Non a caso, Zanotti è anche traduttore e curatore dell’edizione italiana della biografia di Fela Kuti per le edizioni Arcana. Con questo ensemble trasversale, fra musica colta, etnica e popolare, ha partecipato a importanti festival internazionali come quello di Glastonbury in Inghilterra; memorabile l’esibizione del gruppo per il concerto trekking del Ravenna Festival nel parco delle Foreste Casentinesi. Quest’anno, sempre per il Festival, Marco Zanotti è stato chiamato a coordinare, nell’ambito della settimana delle 100 percussioni, il progetto “Officina del ritmo: conexion Buenos Aires”, con la direzione musicale dell’argentino Alejandro Oliva. «Si tratta di un ensemble di percussionisti professionisti di notevole duttilità e varia sensibilità musicale – racconta Zanotti – che riproduce l’esperienza di laboratorio e comunità “La Bomba de Tiempo” che fa capo allo spazio Konex di Buenos Aires. La caratteristica di questa esperienza è che per l’azione musicale viene utilizzato un codice gestuale che comprende più di cento “comandi” di direzione del gruppo, un po’ come la ”conduction” nella musica contemporanea, però in questo caso originale e riservata proprio ad un gruppo di percussioni». Il gruppo si esibirà in Piazza del Popolo e a Darsena Pop Up. «Non c’è nulla di scritto – precisa Zanotti – è una sorta di improvvisazione, per così dire, guidata. E a questo esperimento al Ravenna Festival abbiamo voluto dare, sia sul piano dell’espressione musicale che degli strumenti utilizzati, un sapore italiano, mediterraneo, anche se non mancheranno percussioni tipicamente africane o sudamericane». Intanto, il poliedrico Marco Zanotti, oltre alla sua Officina del Ritmo, in questo 2019 sta lavorando ad una nuova creatura originale, il Cucoma Combo che definisce «un sestetto da ballo afrotropicale» di cui è pronto un album e una serie di live in giro per l’Italia.
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concerti
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Bomba de Tiempo
accompagnerà il pubblico “Su la fiumana ove ‘l mar non ha vanto” con un percorso musicale e gastronomico (grazie alle stazioni curate dagli chef stellati di CheftoChef) tra argini, capanni e la foce dei Fiumi Uniti. Tra gli incontri del percorso - lungo sette km - le poesie dialettali di Nevio Spadoni, i racconti di pesca dello scrittore Fabio Fiori, la scanzonata opera dedicata alle avventure di Colombo del trio Al Caravèl, ma anche le percussioni sciamaniche di Vince Vallicelli con Don Antonio per Musica senza argini, i ritmi trascinanti di Alejandro Oliva e Marco Zanotti, i suoni ammalianti e delicatissimi della regina della
m’bira. Proprio Stella Chiweshe, dallo Zimbabwe, converserà con Zanotti sabato 8 giugno al CISIM di Lido Adriano. Vulcanico inizio di settimana con ben tre appuntamenti in programma per lunedì 10 giugno. Si comincia nel tardo pomeriggio da Piazza del Popolo con le prove aperte dell’Officina del Ritmo: conexión Buenos Aires con l’ensemble di percussioni diretto da Alejandro Oliva e coordinato da Marco Zanotti. A Palazzo dei Congressi il concerto serale è una performance di percussioni…e maratona: L’umiliazione delle stelle vedrà percussioni, strumenti a fiato ed elettronica
Antonio Caggiano
dell’ensemble Ars Ludi accompagnare il video-romanzo scritto e recitato da Mauro Covacich, autore finalista del premio Strega. Infine, Nihiloxica all’Almagià: la techno incontra le percussioni ugandesi, prima delle notti pulsanti di questa rassegna. Martedì 11 giugno è tempo di scoprire un tesoro nascosto quale Occam Ocean - Occam XXVI di Eliane Radigue, eseguito da Enrico Malatesta nel Refettorio del Museo Nazionale. Al Teatro Rasi invece doppio programma: mentre l’ensemble Ars Ludi (Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri) si esibisce in Ostinato di Giorgio Battistelli, il Chigiana
Percussion Ensemble, guidato da Antonio Caggiano (che è anche docente al Conservatorio di Santa Cecilia) e spalleggiato dal soprano Silvia Lee, dal contralto Chiara Tavolieri e dall’ottavino di Manuel Zurria, si misura con il capolavoro assoluto del minimalismo Drumming di Steve Reich. Mercoledì 12 giugno è tempo per l’incontenibile esplosione di Officina del Ritmo alla Darsena Pop Up, coordinata da Marco Zanotti. Un’esperienza guidata dai codici gestuali de “La Bomba de Tiempo”, creata nel 2006 da Santiago Vázquez con l’obiettivo di esplorare il ritmo per produrre una musica potente e ballabile in grado di rappresentare genuinamente, anche attraverso l’improvvisazione, tutte le influenze della sfaccettata e vivace cultura di Buenos Aires. Giovedì 13 giugno incursione a Forlì per l’esecuzione di un altro caposaldo della musica contemporanea: la Chiesa di S. Giacomo accoglie Kathinkas Gesang als Luzifers Requiem (Il canto di Kathinka ovvero il Requiem per Lucifero da Samstag aus Licht) di Karlheinz Stockhausen, con flauto di Manuel Zurria e live electronics di Alvise
Il Parkinson è una delle malattie neurodegenerative più frequenti nel mondo. Dati recenti indicano che il numero di pazienti è triplicato negli ultimi trent’anni specie in nazioni come l’Italia con un’aspettativa di vita molto lunga ed ora siamo vicini ad un caso su cento persone. La terapia attuale riesce a compensare bene i pazienti nei primi 5-10 anni, poi subentrano fenomeni di fluttuazione sui sintomi che abbassano di molto la qualità di vita dei pazienti. L’Associazione Italiana Parkinsoniani e la Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson rappresentano un esempio di eccellenza nella collaborazione pubblico e privato no-profit. Finalmente le grandi casistiche dei maggiori centri italiani sono valorizzate da risorse per la ricerca di qualità. Sono nate in questi anni banche genetiche e di tessuti, enormi banche dati che stanno producendo risultati di grande rilevanza e pongono le basi per arrivare presto a sconfiggere la malattia. Info: 0266713111 aip@fondazioneparkinson.com www.parkinson.it
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Vidolin, pioniere fra i più influenti del sound design, accompagnati dal Chigiana Percussion Ensemble. Il Festival si fa in quattro venerdì 14 giugno: si comincia dal Teatro Alighieri con Terra di Nicola Sani, affidato alle percussioni di Antonio Caggiano e al live electronics di Alvise Vidolin, e si continua nel centro storico con il Chigiana Percussion Ensemble mutato in Marching Band. Il ritmo sbarca ancora una volta in Darsena, prima con il concerto alle Artificerie Almagià del virtuoso statunitense e vincitore del Grammy Glen Velez, i cui tamburi a cornice si sposeranno al canto ritmico di Loire Cotler (con la partecipazione di Paolo Rossetti e Francesco Savoretti), e poi alla Darsena Pop Up con Percussion Voyager, altra notte di ritmi in salsa dance floor firmate da Matteo Scaioli e Maurizio Rizzuto. Le 100 percussioni si chiude con una festa di suoni: inseguendo i timbri di strumenti che arrivano da ogni latitudine, sommando battito su battito, groove su groove per un’unica, densa, vibrante pulsazione. Una grande orchestra di sole percussioni sarà la star di sabato 15 giugno al Pala
De André. Tamburi nella notte è infatti anche il titolo, di suggestione brechtiana, della nuovissima composizione commissionata dal Festival a Michele Tadini, già autore del brano che ha coronato l’avventura delle 100 chitarre elettriche nella passata edizione. Per formare questo vasto organismo sonoro, le cui dimensioni non hanno precedenti nella storia della musica, il Festival ha lanciato una chiamata rivolta ad avventurosi esecutori che vogliano mettersi in gioco per confrontarsi con tanti altri musicisti e con la prima mondiale della composizione di Tadini. SI riuniranno così percussionisti classici, percussionisti di tamburi a cornice, percussionisti di tamburi africani, cajon e metallofoni (gamelan) per “un lungo viaggio dentro e intorno allo strumento più antico del mondo”, nelle parole del compositore e maestro di cerimonia Tadini: «avremo da un lato l’ammirazione estatica per il timbro e del ciclo ritmico ripetitivo e dall’altra lo sfogo violento, deflagrante. Tempo circolare / Tempo lineare. Rito e rottura. Ipnosi e movimento. Stasi e danza. Buon viaggio». m
Le 100 percussioni: the beat of drums will light up the Festival for ten days An irresistible, tribal, mystery beat will light up the heart of Ravenna Festival: the sound of percussions will take us in a ten days long journey full of meetings, concerts, surprises from June 6th to 15th. These instruments are common to all the musical cultures on earth. Made of wood, leather or metal, they have been chanting the pulsation of our sound universes since the dawn of time. The project “Le 100 percussioni” has been realized together with Accademia Musicale Chigiana and concerts will be held in churches, theatres, industrial archeology sites. The port of departure for this journey is Ravenna with a conversation with Francesco Martinelli dedicated to Franco Manzecchi (June 6th at Classense). Mattia Scaioli’s triptych Harmograph will be performed in three concerts from June 7th to 9th at the Museo Nazionale. The percussions will also cross one traditional event of the festival: the “trekking concert” (on June 9th there will be a 7 kilometres walk along riverbanks with participants enjoying music, poetry and good food). On June 8th, at Cisim in Lido Adriano, Stella Chiweshe, from Zimbawe, will meet Zanotti. On June 10th there will be three appointments. In piazza del Popolo “Officina del ritmo” will rehearse, in the evening, at Palazzo dei Congressi, in “L’umiliazione delle stelle” Ars Ludi will accompany the Mauro Covacich’s videonovel. At Almagià, Nihiloxica is a crossover between techno music and percussions from Uganda. On June 11th Enrico Malatesta will perform Eliane Radigue’s Occam Ocean-Occam XXVI at the Museo Nazionale, while at Rasi theatre there will be Giorgio Battistelli’s Ostinato and Steve Reich’s Drumming. On June 12th the “Officina del ritmo” will be at Darsena Pop Up. On June 13th, in Forlì, the audience will listen to Stockhausen’s Kathinkas Gesang als Luzifers Requiem, with Manuel Zurria and Alvise Vidolin’s live electronics accompanied by Chigiana Percussion Ensemble. On June 14th at Teatro Alighieri Nicola Tani’s Terra be the beginning of a full day which includes a marching band in the town centre, American Glen Velez at Almangià and, at Darsena Pop Up, Matteo Scaioli and Massimo Rizzuto’s Percussion Voyager. The final party of “Le 100 percussioni” will be on June 15th at Palazzo De André with a new composition commissioned by Ravenna Festival: Tamburi nella notte (Drums in the night). On the stage there will be the largest drum band who has ever played in the history of music and it will include also artists who have answered the Festival’s open call for this special project.
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Matteo Scaioli inventore di strumenti inediti ed esploratore di
suoni imprevedibili DI ANNA DE LUTIIS
Matteo Scaioli può essere definito – e in fondo lo fa lui stesso – un musicista “controcorrente”; ravennate, è più noto all’estero dove si è esibito con musicisti come Eddy Powel, Krishna Bhatt, Debiprasa Gosh e Paolo Giaro con cui inciso per Amiata Records. Poi il fortunato incontro con Maurizio Rizzuto, Claudio Coccoluto e con uno dei suoi grandi estimatori, Giorgio Moroder che ne ha confermato il talento. Un personaggio speciale che incontreremo di nuovo a Ravenna Festival dove si è già esibito nel 2014 insieme a David Loom in Foley Mandala e dove torna con un
Il poliedrico musicista ravennate è ospite del Festival con il progetto Harmograph dove reinterpreta Stravinsky, Egisto Macchi e Giusto Pio importante programma da venerdì 7 a domenica 9 giugno, nella Sala del Refettorio del Museo Nazionale. È un momento molto positivo per Matteo: nel suo entusiasmo, però, non dimentica mai le difficoltà incontrate per affermarsi nella sua carriera e esclama soddisfatto: «Mi guardo indietro, e mi dico… ma quante cose ho fatto, ma come ho fatto, da solo. Certo, ho studiato sempre e molto, da autodidatta, ma sempre aperto a quanto i “grandi musicisti” che ho incontrato potessero suggerirmi. Ho provato a
confrontarmi con ogni tipo di musica, contemporanea, jazz, etnomusic per arrivare alla ricerche più attuali». Matteo cerca di spiegare come procede quando crea i suoi pezzi, non è facile seguirlo ma colpisce quando dice che la sua musica è astratta, è vero, ma che trascorre ore e ore fino a raggiungere il punto in cui questa musica si concretizza e diventa… pazzesca! Chiediamo a Matteo come ha scoperto di essere portato per la musica: «Un giorno suonavo la batteria a casa di un amico, a Ravenna, quando si avvicinò il dj
l’Ebreo, nome d’arte, ovvero Mauro Beretti. Si fermò ad ascoltare e poi mi disse… tu hai qualche cosa, non so esattamente, ma hai qualcosa di speciale. Dopo un po’ di tempo mi chiamò per accompagnarlo a suonare a Venezia. Lui era già importante ma ha creduto nelle mie capacità e mi ha convinto che davvero potevo farcela». Negli anni ’90 Matteo si dedica a un progetto che prevede l’uso dei taiko, tamburi giapponesi. È la svolta che lo porta a realizzare un importante progetto insieme al percussionista romano Maurizio Rizzuto. Lo troviamo
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intento a perfezionare il programma, che porterà a Ravenna Festival nel suo studio dove troneggia un grammofono in ottone lucente, davvero spettacolare, e dove ci si imbatte in tanti “oggetti” che producono musica. «In questo periodo sono impegnatissimo nel mio Posterstory Studio, immerso nelle nuove sonorità dell’ultima macchina elettromeccanica costruita da me e Gil.Pa. L’ho chiamata OZ/01 e la userò per la mia prima serata del Festival, il 7 giugno. Devo dire che il suo suono è magico, fiabesco, e per questo che l’ho chiamata Oz, come il mago del film e del racconto che ci insegna che se uno vuole raggiungere una meta deve sudarsela. Che è quanto ho dovuto fare per arrivare a questo traguardo». Cosa dobbiamo aspettarci per le tre serate del Festival? «Ogni sera dedicherò un omaggio ai miei musicisti preferiti, a quello che inizialmente mi ha ispirato: Igor Stravinsky, poi ai grandi maestri che sono stati un mio punto di riferimento, Egisto Macchi e Giusto Pio. L’omaggio che farò a Stravinsky sarà nella parte finale del concerto della prima serata e userò l’Oz/01 perché il suo suono è perfetto per l’arrangiamento sia ritmico che melodico della mia visione e del mio omaggio al grande compositore russo». Come renderai omaggio agli altri due
maestri? «Nella serata dedicata a Giusto Pio i suoni saranno più dilatati. Userò molto la mia voce e synt come il Korg Ms20 e il suo Sequecer SQ10. Poi utilizzerò anche un nastro magnetico dove creerò per tutti e tre i maestri Stravinsky, Pio e Macchi, una storia di suoni e voci che ho chiamato Matrix. Ho anche due vecchi grammofoni preparati con dischi in bachelite di compositori, per esempio Wagner; spaccando queste lacche e rincollandole insieme si creano ritmi e melodie imprevedibili». Porterai con te altri strumenti autocostruiti? «Sul palco sarà installata anche una struttura che io ho chiamato Totem di gong Balinesi, bambù e scatole di legno da me create. E porterò con me l’Harmograph, un gong meccanico sempre realizzato con Gil.Pa, che ha dato il nome al progetto per il Festival e al cd che uscirà proprio il 7 giugno, con l’etichetta Soave Records». Tu ami regalare al pubblico delle sorprese, quali saranno questa volta? «Nelle tre serate succederanno tante cose curiose, compresa una sezione video per la regia di Marco Morandi. E poi le sorprese nascono dall’uso di nuovi strumenti, nastri magnetici, dischi rotti, che hanno una loro anima. Io sono un costruttore di suoni e quelli più imprevedibili accendono la mia vita». m
APERTO TUTTE LE SERE PRENOTAZIONE CONSIGLIATA
Matteo Scaioli, a nonconformist musician who explores sounds and instruments Matteo Scaioli can be defined a nonconformist musician who explores sounds, using unusual instruments and special machines he designs. He will perform his project Harmograph during Ravenna Festival, from June 7th to June 9th in the Sala del Refettorio of the Museo Nazionale at 21. «I have tried contemporary music, jazz music and ethnic music before arriving at what I am doing today», says Scaioli trying to explain the way he composes his tracks. He says his music is abstract and he spends hours before reaching the point where this music materializes. During his career he has played with many musicians such as Eddy Powel, Krishna Bhatt, Depibrasa Gosh and Paolo Giara. What can we expect from Harmograph? «Each evening - he says - I will dedicate an homage to one my favourite musicians: Igor Stravinsky, Egisto Macchi and Giusto Pio. Many things will happen there will also be a video directed by Marco Morandi. I am working hard at the Posterstory Studio: I will use instruments and machines, Japanese drums, strings of magnetic tapes, broken records. I am a builder of sounds».
Via Gamba, 12 - Ravenna Centro Tel. 0544 215393
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rock
concerti
Ravenna Festival Magazine 2019
Non solo Police, un viaggio nella carriera di Copeland
DI BRUNO DORELLA
Avrei voluto vedere voi. Aver già scritto la storia del rock a 29 anni. Che si fa dopo? Che si fa dopo essersi trovati al posto giusto, nel momento giusto, ed essere stati così geniali da aver partorito i cinque, fondamentali, album dei Police? Che cosa avreste fatto voi, chiedo? Ecco alcune delle opzioni: A) ritirarsi a vita privata e godersi soldi e fama; B) ripetere i Police all'infinito, rischiando di diventare la macchietta di sé stessi; C) fondare una nuova band poprock dal successo planetario; D) dedicarsi alla ricerca e alla musica che più si ama, senza porsi limiti. Se oggi in questa sede parliamo del batterista del gruppo, Stewart Copeland, è perché lui ha scelto l'opzione D, con tutti i rischi che questa comporta, tra cui sparire
per alcuni periodi dai radar del grande show(-music) business. Ma Stewart, basta guardare la varietà di stili e approcci della sua lunga carriera, è uno troppo curioso, troppo eclettico per farsi ingabbiare da progetti-bancomat senza cuore, lontani anni luce dal concetto di Arte. D'altronde già la forza dei Police è stata, oltre che nel songwriting eccezionale e nella tecnica sopraffina del trio, anche quella di saper innovare profondamente lo stile del rock degli anni 80, imbastardendolo con il solido retroterra jazzy che i tre già avevano, e con una musica di origine caraibica che stava spopolando nelle zone periferiche “calde” delle grandi città inglesi: il reggae. Operazione che pochi anni prima avevano già tentato i Clash, col loro controverso album Sandinista (ma anche in pezzi dei primi album come “White Man In Hammersmith Palais”). E lo stile di Stewart Copeland, sin
da allora, si è sempre segnalato come uno dei più originali, denotando una ricerca continua, che è anche alla base del grande rispetto che lo circonda come musicista. Per la verità il primo gruppo postPolice, Animal Logic, sembra funzionare bene. Ma siamo già ampiamente oltre il rock e ci avviciniamo a una concezione pan-musicale troppo avanti per l'epoca (per qualunque epoca, a dire il vero..). Lo affiancano infatti la cantante Deborah Holland e il mastodontico bassista jazz Stanley Clarke. Già però durante l'epoca Police Copeland è attivo come solista sia a suo nome (con notevoli album come The Rhythmatist), sia con lo pseudonimo Klark Kent, con il quale pubblica soprattutto singoli (qualcuno anche di successo), sia come autore di colonne sonore, aspetto su cui ci soffermeremo più avanti. Da qui in poi, la sua lista di collaborazioni e progetti è molto fitta.
Lo troviamo a fianco di Les Claypool dei Primus e Trey Anastasio dei Phish negli Oysterhead. Lo avvistiamo spesso in Italia, sia per il trio Gizmo, insieme all'italiano Vittorio Cosma e al chitarrista David Fiuczynski, sia come eminenza grigia della Notte Della Taranta, festival che ha contribuito notevolmente a riportare in auge, anzi, proprio di moda, questa tradizione mediterranea. Ricordo in quegli anni certi assurdi corsi di taranta tra le nebbie padane... Ma anche questo testimonia del grande riscontro del progetto, come parte di quel movimento che ha fatto riscoprire la Puglia anche a livello turistico nell'ultimo ventennio. Mette lo zampino in dischi di grande rilevanza, come So di Peter Gabriel e Alice di Tom Waits, collabora con Mike Rutherford dei Genesis, Roger Daltrey degli Who, Brian James dei Damned... Più recentemente è coinvolto
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rock
concerti
Ravenna Festival Magazine 2019 Nella pagina a fianco Stewart Copeland in una foto recente di Jeff Kravitz, qui invece sulla copertina del primo album dei Police con Sting e Andy Summers
Stewart Copeland’s Career after and beyond Police At 29 he was already a protagonist of rock history: Stewart Copeland was the genius who had generated the first five albums by Police. What could he do next? He chose to investigate the music he most loved without limits. So his career has been too eclectic to be caged in heartless and artless cash-machine-projects. His first project after Police (who deeply renewed rock in the 80' mixing jazz and reggae) was a good experience: but Animal Logic was far beyond rock, they had a “pan-musical” vision that was too advanced. In his life he has played with many different artists such us Les Claypool from Primus and Trey Anastasio from Phish (in Oysterhead). He has often been in Italy for the Gizmo trio and he contributed to the Notte Della Taranta, thus rediscovering this Mediterranean tradition. He has had an hand in many important records: “So” by Peter Gabriel and “Alice” by Tom Waits, he has worked with Mike Rutherford from Genesis, Roger Daltrey from Who, Brian James from Damned... He has recently been involved by the Norwegian composer Alf Terje Hana in the orchestra project Athana. In the Nineties he wrote soundtracks for movies by Francis Ford Coppola, Oliver Stone and Ken Loach, he has also produce videogames and has written a book. He is a multifaceted artist, like they were in Renaissance. At the Ravenna Festival he will play "Lights Up The Orchestra" a forty year journey accompanied by the Orchestra Cherubini.
anche con il compositore norvegese Alf Terje Hana nel progetto orchestrale Athana e col contrabbassista Marlon Martinez. Ma è soprattutto la sua carriera parallela a interessarci. Passa infatti gran parte degli anni 90 a comporre colonne sonore per film di grande successo, vincendo numerosi premi. Rusty il Selvaggio di Francis Ford Coppola, Wall Street e Talk Radio per Oliver Stone, Riff Raff e Piovono Pietre con Ken Loach, e molti altri, rivelandosi abile orchestratore, oltre che compositore raffinato e duttile al tempo stesso. Se aggiungiamo una quantità di partiture per opera e balletto, e persino una fortunata serie di videogiochi (la saga di Spyro), abbiamo una visione d'insieme che ci parla di un artista vero, a 360 gradi, capace di confrontarsi con personalità in campi diversi, dalla tradizione della taranta
all'avanguardia, passando per i videogames. Giusto per chiudere la panoramica segnalo anche il suo interessante libro Strange Things Happen: A Life With The Police, Polo And Pygmies, che racconta, oltre alla vita musicale, anche altri aspetti della creatività multiforme di questo personaggio quasi rinascimentale, come i documentari sui Pigmei e la passione per i cavalli e il polo. A Ravenna Festival porterà “Lights Up The Orchestra”, una carrellata lungo tutta la sua quarantennale carriera in chiave orchestrale, col supporto dell’Orchestra Cherubini. Queste operazioni risultano talvolta un po’ kitsch e pompose, con quel sapore autocelebrativo che talvolta tocca anche i migliori. Ma noi ci aspettiamo una rivisitazione coraggiosa e ardita, come è lecito sperare da chi, a suo tempo e poi sempre con grande coerenza, ha scelto l'opzione D. m
via Agnello Istorico 6 - Ravenna centro cell. 370 3360807
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musica e cinema
concerti
Ravenna Festival Magazine 2019
Da Zorba il Greco alle musiche balcaniche di Goran Bregović
DI ERIKA BALDINI
C’è un sottile ma tenace phantom thread, un filo nascosto, che percorre la partecipazione di Jacopo Rivani – classe 1989, attuale direttore artistico e musicale del vanto locale, l’Orchestra Arcangelo Corelli – a questa nuova edizione del Ravenna Festival. Sono due gli spettacoli che lo vedono protagonista assieme ai suoi musicisti: l’omaggio a Mikis Theodorakis di Zorba il greco
(Zorbas), in scena il 7 giugno alla Chiesa di San Giacomo a Forlì, e la collaborazione con Goran Bregović e la sua Wedding & Funeral Orchestra nel concerto From Sarajevo, il 2 luglio al Palazzo De André di Ravenna. Eventi con richiami filmici importanti, più o meno immediati. Zorba il greco è per l’immaginario collettivo Anthony Quinn che balla il sirtaki nel film premio Oscar del 1964 di Michael Cacoyannis; Goran Bregović è per i più, prima che musicista rock e
Il cimento del giovane direttore , fra musica e cinema, chiamato a interpretare Mikis Theodorakis e orchestrare il celebre istrione “from Sarajevo”
Jacopo Rivani
folk, l’autore di alcune delle più indimenticabili colonne sonore del pluripremiato regista serbo Emir Kusturica. Abbiamo costretto (con le buone) il giovane talentuoso Direttore a dipanare questo filo, a parlare spassionatamente del rapporto tra musica e cinema, di banda sonora. Lui che in verità al cinema va solo con intenti “hobbistici”, per intrattenimento, ha le idee molto chiare. Domanda banale, Jacopo, le piace il cinema? «Paradossalmente non sono un amante del mondo cinematografico. Per me il cinema rimane una delle arti rappresentative che non mi coinvolge in prima persona. Vado al cinema con quel distacco con cui un perfetto profano va ad ascoltare un concerto. Trovo nel cinema qualcosa di “hobbistico” stasera vado a cena fuori poi al
Sopra: il Maestro Rivani e l’Orchestra Corelli A sinistra: un fotogramma del film Zorba il greco
cinema-. Se vado invece a teatro, a un concerto, automaticamente metto la giacca del musicista». Ha debuttato con alcuni dei principali titoli lirici, La Traviata, Il Barbiere di Siviglia, Cavalleria Rusticana... Storie e musiche che sono anche parte della memoria filmica popolare. Quale storia vede come più cinematografica? «Di primo acchito risponderei che sono tutte cinematografiche. A partire da Cavalleria Rusticana, girata con le tecnologie odierne sarebbe straordinaria. Però devo dire che sono storie già viste, a cavallo degli anni ‘70 c’è stato un gran proliferare di versioni cinematografiche di opere liriche. Dico questo: no, non le voglio vedere al cinema! Sono cose distinte. Secondo me la potenza del cinema e la potenza della lirica sono altissime potenze ma diametralmente opposte. La lirica è forte perché è dal vivo, il cinema è forte perché non è dal vivo, ma è ricco di effetti speciali. Gli effetti del cinema non potranno mai esserci nella lirica, allo stesso tempo se il cinema fosse come la lirica, priva di questi effetti, avrebbe poca attrativa. Una cosa registrata e lavorata in più settimane deve avere sicuramente qualcosa che >>
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musica e cinema
concerti
Ravenna Festival Magazine 2019
tecnicamente non è possibile rendere dal vivo. Ma hanno una grande cosa in comune, con tutte le arti rappresentative, e cioè la Verità. Quando noi parliamo di opera, cinema, balleto, noi da spettatori cerchiamo la Verità. La colonna sonora è musica applicata, non musica pura. La musica applicata serve per dare verità a qualcosa di rappresentativo che è finzione. Cercare di rendere vero qualcosa che è finzione è il compito del cinema e del teatro. Da musicista noto che il film che ha un senso di verità intrinseco altissimo è il film che ha una colonna poco invasiva. Ad esempio Profondo Rosso: tu ti ricordi solamente il pezzo sui titoli (lo canticchia efficacemente), però se guardi il film – Un capolavoro! Ansia solo a nominarlo! – le musiche dentro non le ricordi. Solo così la musica è realmente applicata al mondo cinematografico, così ha senso drammaturgico». Ha mai pensato di lavorare alla realizzazione di una banda sonora? «L’ho fatto, ho scritto delle banali musichette per un cortometraggio girato da un circolo di Ravenna, tipo 15 anni fa. Un documentario che doveva essere rappresentato nelle scuole. Quella è stata la mia unica esperienza, dove ho composto e diretto le musiche. Ma ero un ragazzino. Di fatto mi rendo conto che la composizione non fa per me. Subisco tantissimo la crisi del foglio vuoto». Zorba il greco è un romanzo di Nikos Kazantzakis ma è noto soprattutto come film, per le musiche di Theodorakis, poi per la versione del teatro musicale. Penso alla coreografia di Lorca Massine. La danza su tutto. Il celebre sirtaki ballato sulla spiaggia da Anthony Quinn nella scena finale del film ha
praticamente consegnato alla Grecia una danza nazionale. Come ci si rapporta a questo potente carico culturale ed iconico? Come è nata l’idea dello spettacolo? «Lo spettacolo nasce dal desiderio di riportare in auge qualcosa lasciato in secondo piano rispetto all’andamento regolare della produzione musicale; in Europa è una cosa che non viene eseguita da chissà quanto. Il tema è la Grecia, con Franco (Masotti, uno dei direttori artistici del Festival ndr) questo è stato il primo ragionamento, cerchiamo un autore greco, cosa c’è di caratteristico, e all’occhio è immediatamente saltato Zorba. Zorba il greco ha una versione sinfonica enorme, con una quantità di strumenti enorme. Ma è stata anche editata una versione per orchestra da camera che in Italia non è mai stata eseguita. Ci siamo subito fatti conquistare da questa primizia! Abbiamo quindi preso il film, guardato alcune scene, per capire dove e come la musica era utilizzata. Come musicista sento il dovere di rapportarmi alla musica di Theodorakis come tra direttore d’orchestra e compositore. Se Theodorakis ha scelto di trasformare una colonna sonora in una suite vuol dire che lui stesso ha trovato nel suo lavoro un’integratià musicale tale da permettere di sganciarsi dal film, utilizzando la musica in forma di suite, di balletto o semplicemente eseguirla per l ‘ascolto».
A destra, Goran Bregovic´ A sinistra, con la sua Wedding & Funeral Orchestra
Quanto ha influito il film? «Ho visto il film a pezzi per capire le musiche, quando stavamo ancora decidendo se fare Zorba o meno. Anche in quell’occasione mi ha stupito quello che ho tentato di spiegare: le musiche dentro al film non sono “degne di nota”, sono musiche che si integrano totalmente alle immagini, non c’è un momento (tolto il sirtaki) in cui ti viene da dire “mamma mia che musica! perdo il contatto col film e ascolto solo la musica!”. La musica non deve svettare, deve essere un qualcosa di corale alle immagini. Deve comunicare col film, non primeggiare». Accompagnerà Bregović in From Sarajevo... «Io Bregović l’ho sempre avuto ben presente come musicista folk. Per me lui è un riferimento della
musica folklorica, etnica. Riguardavo di recente una scena di un film di Kusturica, forse Il tempo dei gitani. Notavo che la forma canzone è ben evidente in una scena dove non c’è parlato/recitato, dove c’è solo immagine. Ma la canzone è musica pertinente qui. Noto invece che spesso e volentieri nel cinema si mettono canzoni note, magari del grande repertorio rock, magari si vuole richiamare l’autore stesso della musica... comunque sono un po’ una forzatura. Se non ha lo scopo di rappresentare la radio che il protagonista ascolta, quindi con un motivo di contesto, trovo che qualsiasi canzone o musica già sentita come colonna sonora non funziona, ha un rendimento minimo. La musica deve essere applicata alle immagini». m
From Zorba the Greek to Goran Bregovic and his Balkan music Born in 1989, Jacopo Rivani is the artistic director and the conductor of the Orchestra Arcangelo Corelli. He will be on stage, together with his musicians, for the homage to Mikis Theodorakis, author of Zorba the Greek, on June 7th at the Church of San Giacomo in Forlì and he will also play with Goran Bregovič on July 2nd at the Palazzo De André in Ravenna. Both Theodorakis and Bregovič are strictly connected with cinema, but Rivani tells us that «I know it may sound paradoxical but I am not fond of the cinematographic world. Going to cinema is nothing more than a hobby for me». When asked which opera among La Traviata, Barbiere di Siviglia, Cavalleria Rusticana is the most cinematographic, he answers: «I'd say all of the them. But I also say that no, I do not want to watch them at the cinema. They are different things. They both have a big power, but their powers are completely different. The strength of opera is in its being "live", the strength of cinema is more in its special effects. But they have something great in common with all performing arts: Truth. The soundtrack in a movie is “applied music”, it is not “pure music”». Rivani says he does not feel like a composer. And when we ask him about the concerts he will perform at the Festival, he explains: «Together with the artistic director Franco Masotti, we were looking for something Greek and we found out that Zorba the Greek had been also edited in a version for a Chamber Orchestra that had never been performed in Italy! Bregovič, I can say I have always considered his music a benchmark in folk music».
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rock
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concerti
Ravenna Festival Magazine 2019
Ben Harper e la storia di un successo universale DI LUCA
MANSERVISI
Il suo successo, in particolare in Italia, è la dimostrazione di quello che ha sempre dichiarato nelle interviste: lui non fa musica per neri o per bianchi, per americani o per europei, lui ha l'ambizione di fare musica universale, partendo dalla tradizione afroamericana. Così non c'è da stupirsi troppo se Ben Harper ha finito per piacere davvero un po' a tutti, nonostante non sia mai sceso a imbarazzanti compromessi e non abbia mai anteposto l'aspetto commerciale a quello artistico. Piace un po' a tutti, e riempie i palazzetti, grazie al suo essere “rock” in modo classico, portando nella sua musica in primis le influenze di due mostri sacri condivisi come Bob Dylan e Bob Marley, tanto per intenderci. E poi andando a toccare nel suo repertorio generi più disparati della forma canzone, dalla black music che scorre nelle sue vene di afroamericano, fino soprattutto al blues, trattato ancora come qualcosa di sacro e omaggiato in particolare nella recente collaborazione con una piccola leggenda come l'armonicista Charlie Musselwhite. Qui i brani di Harper hanno l’incedere dei “traditional”, raccontano storie antiche e fanno anche politica, ai tempi di Trump, infischiandosene di essere originali o di seguire tendenze contemporanee, così come delle vendite. Anche perché (va detto) arrivano in un momento tale della carriera in cui tutto gli è permesso, o quasi, e poco o nulla Harper ha da perdere. Così con i due album con Musselwhite e quello, toccante, registrato con la madre Ellen – pubblicati negli ultimi sei anni – Harper sembra quasi voler dire che no, la sua carriera non è davvero giunta a un punto morto, come ha scritto qualcuno recensendo l'ultimo disco (Call it what is del 2016) con la sua storica band, gli Innocent Criminals. Con cui sarà in tour questa estate anche in Italia, e in
particolare al Pala De André di Ravenna, il 9 luglio, nell'ambito della trentesima edizione del Ravenna Festival. E forse serviva proprio un tour per ritrovare l'antico ardore: dal vivo Ben Harper e The Innocent Criminals sono la classica macchina da guerra che ha mietuto nel corso degli anni tante gioiose vittime. Come da tradizione, sarà un concerto lungo che toccherà probabilmente tutta la carriera di Harper, lui che ormai suona una chitarra da quasi quarant'anni, da quando bambino (è nato nel 1969 a Claremont, California, 80 chilometri a est di Los Angeles, nei pressi del deserto) ha deciso di portare avanti le tradizioni di una famiglia (di origini indiane e lituane) che si occupava di musica da tre generazioni: nonno liutaio, nonna chitarrista, padre percussionista, madre cantante e chitarrista. Sono passati invece 25 anni dal suo primo album in studio, quel Welcome to the Cruel World che nel 1994 lo lanciò come sorta di versione maschile di Tracy Chapman, figura da cui poi si discosterà all'insegna di un suono più vario già nel successivo Fight for your mine, probabilmente ancora oggi il pezzo migliore della collezione (insieme forse al disco a tratti gospel con i Blind Boys of Alabama). Ad accompagnarlo anche a Ravenna sul palco i “criminali” Leon Mobley (percussioni), Juan Nelson (basso), Oliver Charles (batteria) e Jason Mozersky (chitarra). m
Ben Harper and his Universal Success His success is the proof of what he has always declared: he does not make music for black or white people, nor for Americans or Europeans, he wants to make a universal music taking inspiration from Afroamerican traditions. That is why everyone likes Ben Harper, because of his being a classic "rock" musician influenced by legends like Bob Dylan and Bob Marley. In his latest two records with Charlie Musselwhite he has showed that his career is far
from being over, thus disproving those who had said so after his last album with his band, the Innocent Criminals, who will accompany him in this summer tour. They will perform in Ravenna on July 12th and we expect a long concert covering his long career: his first record was released 25 years ago. The "criminals" on the stage with him will be Leon Mobley (percussion), Juan Nelson (bass guitar), Oliver Charles (drums) and Jason Mozersky (guitar).
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canzoni
concerti
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Ravenna Festival Magazine 2019
Marcorè fa De André con “una specie di sorriso” Il versatile attore accompagnato dallo GnuQuartet rende nuove le canzoni del Faber
DI ROBERTO VALENTINO
“Come una specie di sorriso” è il famosissimo verso tratto da “Il pescatore” che dà il titolo all’omaggio a Faber portato in scena da Neri Marcorè il 27 giugno al Pavaglione di Lugo. Non è la prima volta che il versatile attore, il cui volto è popolare sia in teatro che in televisione e al cinema, parla la lingua di De André: era già avvenuto qualche anno fa con un altro recital, di impronta più schiettamente teatrale, intitolato Quello che non ho, con la regia di
Giorgio Gallione. Ora, in Come una specie di sorriso a dominare è ancor più la musica, le canzoni di Fabrizio De André, da quelle più celebri a quelle più nascoste nella memoria: il nuovo progetto «è nato con un pizzico di ironia, senza prendermi troppo sul serio, senza pensare di fare lo chansonnier ma con la voglia di cantare insieme al pubblico i brani di De André che ho scelto seguendo il mio gusto e proprio quel frammento di testo», racconta lo stesso Marcorè. Così, lasciando i panni istrionici dell’attore per dar voce anche al De André meno conosciuto, Marcorè
Marcorè sings De André with a bit of irony “Come una specie di sorriso” (Like a sort of smile) is the best known verse taken from Fabrizio De André’s song “Il pescatore” and is the title of the show Neri Marcoré will perform to the Pavaglione in Lugo on June 27th. The famous actor has already payed homage to De Andrè in the past, but this show will concentrate in particular on the songwriter's songs. «I chose songs – he says – with a bit of irony, I don't want to play a chansonnier, but sing his words together with people who will come to the show». With Neri Marcorè there will be the eclectic Gnu Quartet and Simone Talone (percussions), Domenico Mariolorenzi (guitar), Flavia Barbacetto and Angelica Dettori (voice). Arrangement and orchestration are by Stefano Cabrera. It is a concert for those who have listened to De André’s concerts, but mostly for young people who have never had this chance.
traccia un percorso del tutto personale attraverso «musiche e testi che offrono un punto di vista molto particolare, perché Fabrizio era un uomo senza pregiudizi, sempre dalla parte dei più deboli, degli oppressi, delle minoranze e dei diversi, senza barriere mentali». Sul palcoscenico, insieme a Neri Marcorè ci sono i tipi del versatile GnuQuartet (Stefano Cabrera al violoncello, Roberto Izzo al violino, Raffaele Rebaudengo alla viola e Francesca Rapetti al flauto), più Simone Talone alle percussioni, Domenico Mariorenzi alla chitarra, Flavia Barbacetto e Angelica Dettori
alle voci. Arrangiamenti e orchestrazione sono di Stefano Cabrera. Come una specie di sorriso è quindi un omaggio musicale prima ancora che vocale a uno dei più grandi cantautori italiani. È un viaggio attraverso le emozioni di un poeta che ha saputo raccontare se stesso e gli altri in modo impareggiabile. È un concerto che si rivolge a chi De André ha avuto la possibilità di ascoltarlo anche dal vivo, ma soprattutto a chi, ovvero i più giovani, non possono avere questa fortuna. La firma di André è comunque inequivocabile anche quando a interpretare le sue canzoni sono altri. Neri Marcorè è, peraltro, uno dei più titolati a farlo: la sua naturale dote camaleontica gli consente di far propri un po’ tutti i personaggi, reali o immaginari, usciti dalla penna forbita del cantautore genovese. Due parole anche sul GnuQuartet, anomalo quartetto strumentale, con il flauto al posto del secondo violino che costituisce il comune organico del quartetto d’archi. Dai Subsonica agli Afterhours e alla PFM, da Gino Paoli a Niccolò Fabi e Daniele Silvestri: in tanti si sono avvalsi del particolare contributo sonoro che il Gnu Quartet assicura con i suoi originali impasti. Una garanzia anche per rendere “nuove” le canzoni di Fabrizio De André. m
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Ristrutturazione di interni con progettazione chiavi in mano
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canzoni
concerti
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Ravenna Festival Magazine 2019
L’omaggio a Modugno E il jazz veste il frac
DI ROBERTO VALENTINO
Jazz e canzone. O meglio, un mito della canzone italiana e il jazz. O ancora meglio, la voce che ha rivoluzionato la musica leggera italiana vista con gli occhi di alcuni dei migliori jazzisti (ma non solo) del panorama musicale nazionale di oggi. Comunque lo si interpreti, l’incontro a distanza fra Domenico Modugno e il jazz, proposto dal concerto-spettacolo Uomini in Frac in cartellone il 23 giugno al Teatro Diego Fabbri di Forlì, desta più che legittima curiosità. Ed evitando accuratamente il mero ripasso storico o la ripresa filologica, peraltro improbabile se non impossibile, la scelta del frontman è caduta su Peppe Servillo, carismatico e teatralissimo cantante degli Avion Travel. Al suo fianco e alle sue spalle, una band coi fiocchi che schiera il trombettista Fabrizio Bosso, il sassofonista di origine argentina Javier Girotto, la pianista Rita Macotulli, il contrabbassista Furio Di Castri – ideatore del progetto insieme allo stesso Servillo – e il batterista Mattia Barbieri. Una band che
garantisce rivestimenti sonori dalle sfumature inedite e sorprendenti a canzoni che hanno scandito un periodo cruciale della vita italiana, quello del boom economico. Su tutte, ovviamente, “Nel blu dipinto di blu”, meglio nota come “Volare”, che nel lontanissimo 1958 scosse le orecchie e gli animi degli italiani, ancora abbastanza freschi di ricordi bellici, proiettandoli come dei missili ultraveloci nella modernità. Di “Volare” si sarebbero poi impadroniti in tanti: Louis Armstrong, Frank Sinatra, Ray Charles, Pavarotti,
Paul McCartney, persino un guastatore sonoro come Frank Zappa. Insomma, è diventata la canzone italiana più famosa al mondo. Ma cos’è che ha reso così unico “Mister Volare” e la sua voce? «Le sue melodie erano assolutamente innovative rispetto a quelle di allora, ma comunque fortemente legate alla tradizione popolare e totalmente non condizionate dalle mode. Pensiamo al suo uso del dialetto, in tempi assolutamente non sospetti e in contesti inusuali. Inoltre il suo atteggiamento
“Uomini in frac” with Peppe Servillo: Modugno and jazz music The concert at the Teatro Diego Fabbri in Forlì will be a long-distance meeting between Domenico Modugno and jazz music. The show is “Uomini in frac” on June 23rd. The front man is Peppe Servillo, Avion Travel's theatrical singer and he will be accompanied by an extraordinary band including the trumpet player Fabrizio Bosso, the Argentinian saxophone player Javier Girotto, the piano player Rita Marcotulli, the double bass player Fabio Di Castri who has had the original idea for the show together with Servillo and Mattia Barbieri. What was Modugno's uniqueness? Peppe Servillo explains: «His melodies were incredibly new but at the same time they were connected to popular tradition and was not influenced by fashions».
Peppe Servillo e la “sua” band fanno rivivere “Mister Volare” al Fabbri di Forlì
estroverso sul palcoscenico – quello di un vero attore di scuola, quale in effetti era – lo trasformò nel primo vero “interprete” della canzone italiana», spiega Peppe Servillo. Ma come possono andare d’accordo Domenico Modugno e il jazz? A Furio Di Castri la risposta: «Si tratta di due mondi molto diversi. Il jazz di oggi è molto slegato dagli standard – intesi come materia prima. Però dipende molto dal carattere del musicista e dalla propria storia. Chi “sente” la canzone come un patrimonio personale è sicuramente portato a utilizzarla nel proprio linguaggio. A me risulta un po’ difficile. Ho quindi preferito andare a cercare il paradosso nei twist, nel tango, nelle atmosfere orientali, insomma in quei colori da cartolina che venivano suggeriti dagli arrangiamenti dell’epoca». In altre parole, il jazz, nelle sue migliori espressioni odierne, non ha paura dei classici, che si chiamino Duke Ellington o Domenico Modugno. m
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recital
concerti
Ravenna Festival Magazine 2019
Nicola Piovani e la sua “musica pericolosa”, il Concertato e l’autobiografia di un premio Oscar DI ERIKA BALDINI
Lo diceva Federico Fellini che la Musica è pericolosa. Lui, si dice, poteva piangere calde lacrime durante l’ascolto coinvolgente di qualche brano. Forse perché “indeterminata”, pur non dicendo niente, a suo dire, la musica lo commuoveva profondamente. Lo ricorda Nicola Piovani – pianista e arrangiatore, direttore d’orchestra, autore di canzoni e musica da camera, sinfonie e musical, notissimo compositore per il teatro ed il cinema, memorabile premio Oscar nel 1999 per le musiche del film di Roberto Benigni La vita è bella – , il quale aggiunge che la Musica è sacra, divina, proprio perché muove all’emozione; la Musica è pericolosa «come tutti gli incontri con la bellezza – artistica, scientifica, amorosa –, quella bellezza che ti cambia dentro». Piovani Fellini lo ha conosciuto bene, sono sue le colonne sonore degli ultimi tre film dell’indimenticato regista riminese. Il musicista ha scelto la frase felliniana come titolo della sua autobiografia uscita nel 2014. L’anno seguente il libro è stato
“tradotto”, trasformato in un concerto teatrale: un concertato. Una vera e propria narrazione in musica, affidata agli strumenti in scena e alla voce dell’autore, seduto al suo inseparabile pianoforte. Piovani racconta, con ironia e un pizzico di malinconia, il percorso che l’ha portato a collaborare con alcuni degli artisti più importanti della cinematografia mondiale, e non solo. Uno spazio particolare è dedicato a Fabrizio De André, con cui ha firmato due capolavori del calibro di Non al denaro non all’amore né al cielo e Storia di un impiegato. Un evento che alterna pagine mai eseguite in concerto a versioni nuove di brani conosciuti e riarrangiati per l’occasione. Un viaggio per parole e note (e perché no, anche per immagini: completano il quadro narrativo, frammenti di film e di spettacoli e quadri visivi di artisti amici come Luzzati e Manara) che Piovani porterà a questa nuova edizione del Ravenna Festival la sera del 28 giugno, nella suggestiva cornice del Pavaglione di Lugo di Romagna. Uno spettacolo che i fans del musicista – e del Festival – ricordano... La Musica è pericolosa, un ritorno. Maestro lei è gia stato al Ravenna Festival con questo Concertato nel 2015, nel magico scenario della Pineta di San Giovanni. Cosa ci sarà di nuovo e invece cosa rimane di importante da raccontare e ribadire? «Questo è uno spettacolo che, viaggiando viaggiando, si è rinnovato piazza dopo piazza, con pezzi in uscita e pezzi nuovi in entrata: uno spettacolo sperimentale che sperimenta il suo valore comunicativo sul pubblico, di replica in replica. Ha girato centinaia di teatri modificando la propria fisionomia ma, in sostanza, è molto simile nello spirito a quello che ha debuttato al Ravenna Festival quattro anni fa». Il Concertato nasce dal suo libro/autobiografia del 2014: lei lo ha trasformato in un concerto teatrale. Un dipanarsi di ricordi e storie da scegliere e da tramutare in parole e in note. Come ha
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lavorato? Perché ha sentito il bisogno di realizzare questo spettacolo? «La pubblicazione del mio libro La musica è pericolosa mi ha dato tante inaspettate soddisfazioni, fra le quali una emozionante telefonata di Francesco Rosi: si era fatto dare il mio numero di telefono perché voleva dirmi il suo entusiasmo verso il mio libro e mi spronava a farne una versione con cd allegati, “viene voglia di sentirle le musiche di cui scrivi!”. Naturalmente una versione con cd non era realizzabile, non foss’altro per il problema dei diversi copyright, ma quel suo entusiasmo mi ha indotto a pensarne una versione concertata, da palcoscenico. Ho sviluppato quell’idea e eccoci qua a ripresentarlo al Ravenna Festival – la sera prima lo presenteremo in un teatro di Bucarest – nella versione aggiornata, sottoponendolo al severo giudizio del pubblico ravennate». Sia nel libro che nel concerto per teatro c’è un sottile tono nostalgico. Ricorda esperienze del passato, i suoni e le musiche dell’infanzia, i primi ascolti. Ma anche gli incontri con i registi, gli
artisti con cui ha lavorato. C’è in particolare l’omaggio a Fabrizio De André... Cosa le manca più di tutto oggi? Un insegnamento da questi artisti che le è caro? «Le vorrei dire che mi mancano molte cose del passato, ma poi penso anche che non mi manca niente. Il cassetto della nostalgia lo apri, ti abbandoni ai commoventi profumi dei ricordi, li respiri a pieni polmoni; ma poi richiudi il cassetto e ti butti sul presente, sul lavoro a cui stai pensando, nella convinzione che sarà il più bello di tutti. La nostalgia è piacevole, ma a volte fa da alibi alla nostra pigrizia mentale. Guardando a prua si vive meglio. Lo spettacolo parla di episodi e personaggi ormai lontani nel tempo, a percorsi che, per un attimo, rivivono sul palco teatrale. Ci sarà, nella versione del 28 giugno a Lugo di Romagna, uno spazio importante dedicato alle musiche che ho scritto per Fabrizio De André, a cui la serata vuole rendere omaggio». Il titolo “La musica è pericolosa” viene da una frase di Federico Fellini. Siamo – soprattutto qui in Romagna – alla vigilia dei festeggiamenti per il centenario.
Un suo ricordo personale? «Chiunque può immaginare quanto possa essere stato entusiasmante lavorare per più di dieci anni con Federico Fellini. Tutti sanno la sua grandezza d’artista: nel pianeta l’Italia è considerata la terra di Dante, di Michelangelo, di Giuseppe Verdi; e di Federico Fellini. Quello che è più difficile immaginare è la grandezza della persona, la capacità che
aveva di rendere alto il quotidiano, di dare spessore poetico a qualche particolare dell’esistenza minuta, che ti sarebbe passato inosservato, se non l’avessi vissuto con gli occhi da poeta che aveva Federico Fellini. Un’altezza di spirito accanto a una grande capacità di essere scherzoso, spiritoso, “ricco di leggerezza infantile” gli dissi una volta io. E lui mi corresse: “Infantile? Semmai ginnasiale!”». m
Piovani and his “dangerous music”: a “concertato” and an autobiography Federico Fellini used to say that “Music is dangerous”. And “Music is dangerous” is the title of the concertato Nicola Piovani will play in Lugo on June 28th. Piovani is a piano player, arranger, orchestra conductor, composer of songs and chamber music, symphonies and musicals, mostly famous for his compositions for theatre and cinema (in 1999 he won the Oscar Prize with Benigni’s La Vita è bella). About music he adds: «Music is holy, divine because it moves emotions, and it is dangerous just like any encounter with beauty». The concertato was played at Ravenna Festival in 2015 but the one the audience will see at the Pavaglione is different. «This show has travelled renewing itself. In the version we will play in Lugo there will be the music I wrote for Fabrizio De Andrè». It is taken from his autobiography. Both in the book and in the concert there is some nostalgia. «I’d like to tell you I miss many past things, but then I think I do not miss anything. Nostalgia is pleasant, but sometimes it becomes an alibi for our mental laziness. You live better if you look forward».
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concerti
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Enzo Avitabile
tra Napoli,
Lampedusa e una «musica senza limiti» DI LUCA MANSERVISI
A 64 anni da poco compiuti, il sassofonista, compositore e cantautore napoletano Enzo Avitabile è tra nomi più autorevoli e noti, anche all’estero, della musica italiana. Da sempre abituato a mescolare stili e generi diversissimi tra loro – dalla world music alla canzone napoletana, dal jazz al soul – sarà al Ravenna Festival, il 21 giugno a Palazzo San Giacomo di Russi, con il suo progetto “Attraverso l’acqua”, come il titolo di una canzone del suo album del 2016, Lotto infinito, in cui ospita duetti con importanti artisti italiani e nordafricani, tra cui Francesco De Gregori, super ospite anche della serata ravennate. Da dove nasce l’idea del concerto? «Dall’omonimo brano che scrissi a Lampedusa (in occasione della presentazione di Enzo Avitabile Music Life, film del 2012 sulla sua vita diretto nientemeno che dal regista americano Jonathan Demme, ndr) che parla di accoglienza ma anche di migrazioni interiori e soprattutto del mare, non tanto per i barconi, ma di come ogni creatura sia un’isola davanti al mare, il mare della vita. Una canzone e un concerto che hanno una grande aspirazione, quella di esaltare il rispetto e l'amore per la diversità». Crede che gli artisti dovrebbero occuparsi di questioni come queste, che vanno oltre la musica? «Credo che queste cose uno debba sentirle e poi, in propria coscienza, fare una riflessione. Io per esempio mi sono sentito, tra i primi, di puntare l'attenzione su Lampedusa, presentando là il film di Demme in tempi non sospetti, ma già “sospettosi”…». Oggi in effetti i migranti sono spesso strumentalizzati a fini elettorali… «Sono a disagio, anzi, questo clima politico mi ha proprio sconvolto. Sono ovviamente per l’accoglienza, non lascerei mai nessuno in mare. Perché capisco le difficoltà, le inquietudini che porta la gestione di un fenomeno come
quello migratorio, però quando c'è il pericolo, quando la gente muore…». Tornando alla musica, il concerto di Ravenna sembra un viaggio nelle tradizioni popolare…
«Ci sono vari elementi che si incastrano, ci sono suoni antichi, processionali, e poi la “black tarantella” della mia band, i Bottari di Portico, i ritmi di Tony Esposito (celebre percussionista
Enzo Avitabile, Naples, Lampedusa and a music “without limits” Enzo Avitabile is one of the most renowned Italian artists in Italy and abroad. He is a saxophone player, a composer and a songwriter from Naples and he is known for his capacity of mixing styles and genres. He will be at Ravenna Festival on June 21st at Palazzo San Giacomo in Russi with his project “Attraverso l'acqua” (“Through the water”) where he plays in duet with some of the most important Italian artist, such as Francesco De Gregori (who will also be in Ravenna). «The concert – he says – is about welcoming immigrants, but also about interior migrations and, overall, about the sea. It has a great ambition: exalting respect and love for differences. This political climate has shocked me. I would never leave anyone on the high seas». As for what concerns the musical elements of his work, he adds: «There are many different elements, ancient rhythms and my band's “black tarantella”, Bottari from Portico, Tony Esposito's rhythms». Can dialect be a limit? «Naples has always been very fertile in artistic production and the language cannot be an obstacle. I also like new experiences, such as Liberato». About being in Ravenna he explains: «I have been following this festival for years, I think it is developing an original and unique proposal. And I have always loved this town». The best partnerships ever? «Playing with James Brown and Tina Turner was incredible. And also the experience with Khaled, Youssou n'dour, and all the great Italian authors till the last song with Pino Daniele». Avitabile's best quality? «Maybe the natural musicality. It's easy for me marrying other ways of playing music, as music has no limits and there is no limit to the music».
napoletano, ndr) a cui si aggiungerà tutto quello che mi ha portato la vita, le collaborazioni, gli incontri. Si tratta di un mix dove niente prevale, con una grande attenzione al suono ma anche alla parola, al gesto, alla danza. L’obiettivo è viaggiare con la musica, mantenendola indefinita: vogliamo essere il genere, non vogliamo rappresentare un genere». Lei è considerato un maestro della contaminazione tra generi e porta avanti tanti progetti in più campi, come si approccia alla musica? «In questi ultimi anni ho vinto il premio Ubu per la composizione per il Vangelo con Pippo Delbono, affrontato i percorsi strumentali delle grandi orchestre del jazz, la musica sacra. Vivo una sorta di inquietudine a non lasciare nessun progetto che sia musicale. Ma parlare di musica è pericoloso, si rischia di entrare nella retorica. Mentre con il linguaggio della musica possiamo riuscire proprio a sconfiggere questo storico nemico che è la retorica...». È riuscito a esportare la tradizione napoletana? Rappresenta un limite cantare in dialetto come nel suo caso? «Da quando abbiamo iniziato questo percorso, nei primi anni Duemila, abbiamo partecipato a grandi festival internazionali, cercando di portare la tradizione in una sorta di realtà urbana, di interpretare il passato con gli occhi del futuro. Napoli è sempre stata una città fertile per quanto riguarda la produzione artistica e la lingua non può essere un ostacolo. Non ascoltiamo forse Cesaria Evora (celebre per cantare in creolo capoverdiano, ndr)? La parola in certi casi diventa mantrica e va oltre al significato semantico, arriva al cuore». Cosa ne pensa di quello che sta facendo con lo stesso dialetto napoletano un personaggio molto amato soprattutto dai più giovani come Liberato? Lo conosce? «Certo, io ascolto tutto. A me piacciono queste cose, questa volontà di ricercare nuove strade.
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Questo fatto di osare: in musica bisogna osare, utilizzare sempre nuovi linguaggi. E poi anche la sua vicenda (Liberato è un rapper la cui identità è ancora sconosciuta, ndr) diciamo la verità , è simpatica. E delle nuove tecnologie applicate alla musica cosa ne pensa? Ascolta anche lei in streaming? Naturalmente se io ascolto un vinile su un impianto stratosferico, godo. Ma mi piace anche ascoltare sui dispositivi mobili, non dobbiamo essere troppo rigidi, ci dobbiamo rapportare alla musica naturalmente, altrimenti finisce che ci ritroviamo all’interno di un mausoleo.... Che rapporto ha con Ravenna e con il Festival? Mi è stata fatta questa richiesta e sono strafelice, seguo il festival da anni: piano piano, lentamente, sta riuscendo a portare avanti una proposta originale e praticamente unica. Di Ravenna poi sono innamorato da sempre, da quando in particolare negli anni settanta venni in concerto con Edoardo Bennato, fu una serata incredibile, mi è rimasta nel cuore, sono molto felice di tornarci. A proposito di collaborazioni, tra
le numerosissime, quali ricorda con maggiore affetto? Suonare con James Brown naturalmente è stato incredibile, cosÏ come incontrare Tina Turner, che mi avvicinò al buddismo. E poi la world music, ho suonato con Khaled, Youssou N'Dour, Bregovic. O ancora, le collaborazioni con i grandi cantautori italiani, fino all'ultimo pezzo con Pino Daniele, che già si muoveva verso il minimalismo come linguaggio. Su questo tema, proprio in questi giorni ho riletto un'affermazione straordinaria di Carmelo Bene, lui parlava del danno che il bel canto ha fatto al canto, nel senso che spesso cerchiamo di impreziosire qualcosa che in realtà avrebbe bisogno del contrario. Ecco, io ho lavorato tanto nella mia carriera per non perdere di vista la sostanza‌. E qual è secondo lei la sua piÚ grande qualità , quella che le ha permesso di collaborare con tanti grandi personaggi di generi e nazioni cosÏ diversi? Forse la musicalità naturale. Mi risulta facile sposarmi con gli altri modi di fare musica. D’altronde la musica non ha limiti, e non c'è limite alla musica. m
le notti di Russi
Da De Gregori all’Orchestrona, per ballare sul prato di San Giacomo
L’ormai tradizionale due giorni del Festival a Russi, nel grande giardino di Palazzo San Giacomo, vedrà il 21 giugno il grande concerto di Enzo Avitabile – di cui parliamo nell’intervista di queste due pagine, con tanto di super ospite Francesco De Gregori (nella foto) – e il 22 giugno una serata in cui sono tutti chiamati a ballare sotto le stelle. Protagonista l’Orchestrona della Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli, nata vent’anni fa su iniziativa di Davide Castiglia. In questa occasione, special guest sono la voce di Paola Sabbatani e i Bevano Est, esperti del piÚ arcaico repertorio da ballo della tradizione romagnola, quello di prima del liscio.
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coreografie siderali
danza
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Gli universi lunari creati da Micha danzano al suono dei
Pink Floyd
van Hoeke In scena, il corpo di ballo Daniele Cipriani e le musiche live dei PF Legend, acclamata tribute band del supergruppo inglese
DI ROBERTA BEZZI
In alto: Pink Floyd Legend in concerto Qui sopra il coreografo Micha van Hoecke
Dal felice connubio creativo fra il coreografo e regista russo-belga Micha van Hoecke, il corpo di ballo Compagnia Daniele Cipriani e l’acclamata band Pink Floyd Legend, nasce lo spettacolo Shine! Pink Floyd Moon, proposto all’edizione 2019 del Ravenna Festival in prima assoluta. Un ottimo avvio della sezione Danza, in programma sabato 8 giugno alle 21.30, nella cornice del Palazzo Mauro De André. Per van Hoecke è l’ennesima partecipazione alla manifestazione ravennate di cui è appassionato estimatore, oltre che fedele protagonista. «Cristina Mazzavillani e Riccardo Muti sono nel mio cuore e nella mia anima – tiene a ricordare –. Per loro, sarei disposto a “strappare” la luce della luna… Il Ravenna Festival è come una casa in cui ritorno sempre volentieri, provando un grande respiro artistico». Non è la prima
volta che l’artista si cimenta con i Pink Floyd, tant’è che l’anno scorso ha creato una pièce appositamente per i ballerini del Teatro Massimo di Palermo, oltre che Carmina Burana. Ma il progetto che lo vede insieme alla Compagnia Daniele Cipriani e alla Pink Floyd Legend, è qualcosa di diverso ancora: uno spettacolo vero e proprio, un viaggio nel mondo dei Pink Floyd e all’interno di ogni essere umano che ha subito incantato la direzione del Ravenna Festival. «La musica dei Pink Floyd è bellissima, perché abitata da un’anima che vibra e coinvolge – spiega Micha van Hoecke –. Personalmente, ho l’età dei protagonisti del noto gruppo rock britannico formatosi nella seconda metà degli anni Sessanta. E anche se loro ora non stanno più insieme, sono rimasti nel mio cuore. Quando ero giovane, passavo intere notti ad ascoltare quelle loro geniali canzoni. La loro musica ha
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danza
Ravenna Festival Magazine 2019
segnato i momenti più felici e a volte anche più tristi delle mie relazioni amorose». A ispirare il coreografo russobelga sono stati soprattutto i suoni psichedelici della leggendaria band, a partire dalla canzone “Shine On You Crazy Diamond”, in cui Roger Waters, Nick Mason, Richard Wright e David Gilmour rendevano omaggio al loro compagno e leader, Syd Barrett, che si era perso nelle regioni sconosciute della “luna”, intesa come malattia mentale. Ma qui la follia si trasfigura in incanto leggero, un percorso a ritroso negli anni giovanili di Micha, fatti di rock e danza. «È la mia autobiografia che racconta anche la vita di ogni uomo – conclude il coreografo e regista – la storia delle nostre vite che procedono a cicli, con un movimento circolare come quello della musica e della danza delle stelle, della rotazione della luna: un moto scandito da un continuo processo di nascita-morterinascita. La vita non è altro che la stoffa dei sogni di cui scriveva Shakespeare, una stoffa che viene continuamente ordita, tramata, disfatta e ritessuta. Shine! è un lavoro intriso di speranza, in cui la fantasia diventa l’arma per combattere il materialismo che imperversa, il potere e le brame». Ed è proprio questo a rendere lo spettacolo bello e godibile per tutti, anche per i ragazzi che sono molto attratti da questa musica
senza età. In scena, il pubblico potrà ammirare i solisti e il corpo di ballo Compagnia Daniele Cipriani, accompagnati dal sound psichedelico, ipnotico, in qualche maniera astrale dei Pink Floyd Legend, considerata attualmente da pubblico e critica la miglior cover band al mondo del Pink Floyd. Grazie alla realizzazione di show perfetti – frutto dello studio approfondito delle partiture e dei concerti live del gruppo inglese – i Legend, solo negli ultimi tre anni, si sono esibiti davanti a più di 50 mila spettatori. Dal 2012 a oggi, sono stati l’unica band a riproporre dal vivo la celebre suite di Atom Heart Mother con l’ausilio di orchestra e coro, realizzando il “tutto esaurito“ in ogni concerto. Dal mix di creatività, danza e musica, viene fuori Shine!, un viaggio nel mondo della luna, non solo (o forse non più) luogo di follia e senno smarrito, bensì simbolo della poesia, della fantasia, della vita stessa. Un sapiente gioco di luci, laser e videoproiezioni trasformano lo spazio scenico di Shine! Pink Floyd Moon in una surreale luna abitata da personaggi come Pierrot Lunaire e Petrushka, gli esseri “lunari” che catturarono la fantasia di Schönberg e Stravinsky, oppure da maschere uscite dai sipari della Commedia dell’arte. Visioni oniriche che s’incrociano per creare mondi siderali, eppure molto vicini… perché dentro di noi. m
Micha Van Hoecke’s Universes dance on Pink Floyd’s music “Shine! Pink Floyd Moon” is the outcome of a cooperation among the Russian-Belgian director Micha Van Hoecke, the dance company Daniele Cipriani and the band "Pink Floyd Legend": it has been especially realized for this edition of the Ravenna Festival and it will be on stage on June 8th (Palazzo De André). Micha von Hoecke has been a protagonist of Ravenna Festival for years: «The festival for me is like home and I always come back here with great pleasure. Pink Floyd's music is beautiful as it is inhabited by a vibrating and involving soul. When I was young I used to spend my nights listening to their unique songs». The show will primarily take inspiration from the song Roger Waters, Nick Mason, Richard Wright and David Gilmore wrote for Syd Barrett, who was part of the band for the first two albums: “Shine on you Crazy Diamond”. «The show is also a sort of my autobiography and at the same time it aimes at telling the story of the life of everyone, the story of our lives that move forward following a circular movement of birth-death-rebirth. It is full of hope». On the stage there will be the dancers from Compagnia Daniele Cipriani and the best Pink Floyd cover band in the world. Lights, lasers and videos will transform the stage in a surreal moon.
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parata di stelle
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Gran gala con Les Étoiles fra balletto classico e sofisticata modernità
Sergio Bernal Alonso
A “rain of dancing stars” with the gala at Palazzo Mauro De André Les Etoiles will be the perfect conclusion of Ravenna Festival ballet program. The international ballet gala organized by Daniele Cipriani Entertainment will bring a “rain of stars” on the stage of Palazzo Mauro De André on July 16th at 21.30. It will be a sort of “Ballet United Nations”, or better a “mosaic of ballets” as the artistic director defines it. Among the most famous choreographies we will see fragments from “Swan Lake”, “Don Quixote”, “Diana and Actaeon” together with contemporary pieces by Balanchine, Wheeldon and Millepied. Among the dancers there will be Jacopo Tissi and Alena Kovaleva (Bolshoi Theatre), Sergio Bernal from Spanish National Ballet, Ysyisn Melnik (Hungarian National Ballet), Bakhtiyar Adamzhan (Astana Opera Theatre in Kazakhstan), Costantine Allen and Anna Tsygankova (Dutch National Ballet), Dorothée Gilbert and Hugo Marchand (Paris Opera Ballet), Liudmilla Konvalova (Vienna Opera Ballet) and Vladimir Shklyarov (Mariinksy Theatre). Daniele Cipriani says: «The audience of the Etoiles will really see the harmony of celestial spheres or better of the dancing stars».
Sul palcoscenico del festival artisti di fama internazionale del Teatro Bolshoi e Marinsky, del Balletto Nazionale Spagnolo e Olandese, del Teatro d’Opera di Vienna e Parigi, Ungherese e del Kazakistan, veri e propri ambasciatori delle Nazioni Unite della Danza DI ROBERTA BEZZI
Degna conclusione del prestigioso cartellone della danza del Ravenna Festival sarà Les Étoiles, il gala internazionale di danza a cura di Daniele Cipriani Entertainment che vedrà una pioggia di stelle sul palcoscenico del Palazzo Mauro De André, martedì 16 luglio alle 21.30. Sarà un’occasione imperdibile di vedere riuniti alcuni dei migliori danzatori della scena contemporanea, provenienti dai teatri di tutto il mondo: una sorta di “Nazioni Unite della danza“. Il suo direttore artistico Cipriani preferisce parlare del suo gala cult come di ‘un mosaico di danza’, definizione che calza a pennello per Ravenna, città dei mosaici. Dopo i successi raccolti a Roma e in altre città italiane, ‘Les Étoiles’ promette uno spettacoli godibile non solo da tutti i ballettofili ma anche dai semplici appassionati e curiosi dell’arte coreutica, in quanto concentra – in un unico spettacolo – i brani più sensazionali del repertorio di tradizione. Qualche esempio? Passi a due tratti da Il lago dei cigni, Don Chisciotte, l Corsaro, Diana e Atteone, insieme a brani dei grandi coreografi del Novecento come Balanchine (Diamonds, Tschaikovsky pas de deux) o altri di sofisticata modernità firmati dai coreografi sulla cresta dell’onda oggi, come Wheeldon o Millepied. A interpretare questi pezzi saranno alcune tra le étoile più famose del momento, provenienti dai teatri più conosciuti. «Sono come tante tessere di squisita fattura – spiega Daniele Cipriani – che, tutte insieme, formano un magnifico mosaico in movimento. Come sempre, non mancheranno i virtuosismi sulle punte e in volo che manderanno in visibilio il pubblico». Chi sarà possibile ammirare al Ravenna Festival? Il giovane italiano Jacopo Tissi, rapidamente asceso sulla vetta del Bolshoi, teatro a cui appartiene anche
Alena Kovaleva, definita dalla critica americana «una nuova magica creatura». Continuando poi, con il madrileno Sergio Bernal del Balletto Nazionale Spagnolo, capace di infondere le alte temperature del flamenco in un corpo di perfetto danzatore classico. Sarà presente anche la rodata coppia formata da Tatiana Melnik, interprete di straordinaria bellezza e talento (Teatro dell’Opera Ungherese) e dal talentuoso e sorprendente Bakhtiyar Adamzhan (Teatro dell’Opera di Astana in Kazakistan), oltre a quella composta dagli affiatati Costantine Allen e Anna Tsygankova del Balletto Nazionale Olandese. Tutta da ammirare saranno anche gli eleganti e appassionati Dorothée Gilbert e Hugo Marchand dell’Opéra di Parigi. In arrivo, infine Liudmila Konovalova del Teatro dell’Opera di Vienna, danzatrice della tecnica cristallina e interprete dal fascino unico, e Vladimir Shklyarov del Teatro Mariinsky di Pietroburgo, già noto al pubblico italiano per il suo virtuosismo e carisma unici. Oltre all’internazionalità, la carta vincente di Les Étoiles è l’armonia, per trasmettere un messaggio importante in questo momento di profonde divisioni. «L’armonia di cui la grande danza si fa portatrice – conclude Cipriani – è una qualità che nasce nel movimento e nel gesto delle grandi étoile grazie al rigore dello studio e dell’addestramento quotidiani, ma anche all’amore che loro provano nei confronti della loro arte e alla generosità con cui trasmettono la sua bellezza al pubblico. E allo stesso modo in cui i visitatori restano incantati dall’armonia delle volte stellate dei meravigliosi mosaici ravennati, gli spettatori di Les Étoiles potranno realmente dire di assistere all’armonia delle sfere, o meglio delle stelle danzanti!». m
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Trittico romantico per l'Hamburg Ballett, firmato John Neumeier In “prima italiana” le coreografie dedicate a Beethoven, Mahler e Bernstein DI ROBERTA BEZZI
A triptych to celebrate John Neumeier and his Hamburg Ballet John Neumeier's Hamburg Ballet has chosen Ravenna for their unique Italian stage on July 5th and 6th at Teatro Alighieri. They will perform the triptych consisting in “Beethoven Fragments” (2018), “At Midnight” (2013) and “Birthday Dances” (1990). The first choreography is dedicated to Beethoven, the second to Mahler and the third to Bernstein. It will be a way to celebrate John Neumeier, who has just turned eighty and has been the artistic director of the company for more than 45 years. He is considered a “novelist of dancing”. The Hamburg Ballet is one of the most important cultural ambassadors of Germany. «It is for me a great pleasure to be back in Ravenna» he said. Neumeier was here already in 2010 invited by Ravenna Festival.
Tra le meraviglie del Ravenna Festival c’è sicuramente l’Hamburg Ballett di John Neumeier che ha scelto Ravenna, come sola tappa italiana, per una doppia data – il 5 e 6 luglio alle 21, al Teatro Alighieri – in cui presentare il trittico Beethoven Fragments (2018), At Midnight (2013) e Birthday Dances (1990), una dedica rispettivamente a Beethoven anticipandone il 250 esimo dalla nascita che si celebrerà l’anno prossimo, Gustav Mahler e Leonard Bernstein, di cui è appena trascorso il centesimo compleanno. Le tre coreografie, che abbracciano un arco temporale di quasi trent’anni, non sono mai state viste prima in Italia. Non ci sarà modo migliore, dunque, di celebrare gli ottant’anni di John Neumeier, direttore artistico e nome tutelare della compagnia tedesca da oltre 45 anni, da molti definito come “il romanziere della danza“, forse l’ultimo grande autore romantico in epoche di coreografi postmoderni e performer. Questa è la seconda volta di Neumeier al Ravenna: durante il primo tour nel 2010, aveva presentato un programma in tre parti incentrato sul leggendario ballerino e coreografo Vaslav Nijinsky e sulla sua creatività. «Per me è un grande piacere tornare a Ravenna con la mia compagnia – afferma –. Anche quest’anno, porteremo tre coreografie. Le prime due sono state ispirate da due anniversari. Birthday Dances, con musiche di Leonard Bernstein, è stata creata per il cinquantesimo compleanno della regina Margaret II di Danimarca, originariamente come passo a due che successivamente ho ampliato come balletto per otto danzatori. Beethoven
Fragments ha debuttato lo scorso anno, come parte del mio Beethoven Project, proponendo un approccio creativo alla musica di Ludwig van Beethoven e anticipando il 250esimo anniversario della nascita che sarà celebrato in tutto il mondo l’anno prossimo». «Il programma ravennate – aggiunge Neumeier – sarà completato da uno dei miei balletti più intimi, con musica di Gustav Mahler. Ho concepito Rückert Lieder nel 1976. Ma solo diversi decenni dopo, ho pensato che questa musica ispiratrice meritasse una seconda versione del balletto. Durante questa rivisitazione con Anna Laudere ed Edvin Revazov, ho scelto un nuovo titolo per questo balletto poetico: At Midnight ». Dal 1973, Neumeier dirige il Balletto di Amburgo che – grazie a tour internazionali – è diventato non solo un punto di riferimento di livello mondiale per la danza ma anche uno dei più importanti ambasciatori culturali della Germania. Il grande maestro di origine americana è il cuore della compagnia, noto per la capacità di combinare la tradizione classica del balletto con forme contemporanee nelle sue opere, sviluppando così un linguaggio coreografico unico. Dal 1975, il festival di danza “Hamburg Ballet Days” – che si apre tradizionalmente con una prima di una nuova opera – è diventato il punto cardine di ogni stagione. Da segnalare che, anche se la compagnia si esibisce all’Opera di Stato di Amburgo, la sua casa creativa, la sala prove e il centro formativo sono in un edificio separato: l’Hamburg Ballet Centre, inaugurato nel 1989. Il Ballet Centre è anche la sede del National Youth Ballet, fondato da Neumeier nel 2011. m
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Ravenna Festival Magazine 2019
L'eredità di Martha Graham rivoluzionaria fondatrice della “modern dance” In scena a Ravenna, con i fuoriclasse della Company che celebra il suo nome, cinque pezzi fra coreografie storiche e nuove produzioni DI LINDA LANDI
Chissà cos’è stato, per Martha Graham, fermare quel suo corpo minuto e potente per lasciare, a settantasei anni, il palcoscenico. A cosa sarà mai servito il sollievo temporaneo di una bottiglia e un bicchiere vuotati in fretta, dopo aver passato una vita in cui emozione, carne, respiro e pensiero erano fusi in un’unica entità, uno strumento totale che, da anima individuale, sapeva aprire lo sguardo e dare voce al sentire di un’epoca intera. Le sarà bastato immaginare nuove coreografie dopo aver ridisegnato coi suoi passi la storia della danza? Dopo gli anni ’30, la guerra, la fama e tutto il resto? Forse è stato l’unico compromesso accettabile contro il fluire di quel tempo che lei stessa aveva liberato con la sua arte onnicomprensiva, tant’è che ancora immaginava il mondo come un palcoscenico nel ‘91, scrivendo coreografie per le Olimpiadi di Barcellona, mentre si spegneva quasi centenaria. Lasciava in eredità più di centottanta coreografie e una delle prime compagnie di danza, la più longeva, monumento vivente al metodo contract and release che aveva affrancato definitivamente i linguaggi della coreutica dai codici già incrinati dalla generazione precedente di artisti sovversivi. Quella che di nome faceva Duncan, St. Denis e Shawn e aveva aperto la via alla fusione tra movimento e soffio vitale che, per raggiungere il suo primo culmine, aspettava paziente la danza di Martha. Proprio con la Martha Graham Dance Company (prima Group) fondata nel 1926 la danzatrice di Pittsburg presto divenuta californiana e poi newyorkese, ha dettato le regole della modern
stravolgendo “il balletto” sino ad allora conosciuto. Protagonista di un attesissimo tour italiano, ora la compagnia Graham ripropone capolavori storicizzati e produzioni affidate ad artisti che frequentano la destrutturazione di linguaggi del contemporaneo, perseguendo sempre altissimi standard qualitativi. In linea con l’amore per la contaminazione e lo sconfinamento tra generi professati dalla geniale fondatrice, che seppe coinvolgere artisti e musicisti, lasciare il segno su innumerevoli eredi – due tra molti, Merce Cunningham e
Twyla Tharp – e nondimeno insegnare l’uso del corpo a celebrità del cinema e della musica come Bette Davis, Liza Minnelli e Gregory Peck. A Ravenna in scena cinque lavori: lo storico Errand into the Maze (coreografia di Graham e musiche di Menotti) un’opera-monumento del 1947 derivata dal mito di Teseo che attraversa il labirinto per affrontare il Minotauro. La Graham qui era un’Arianna determinata alla conquista della bestia, vestale bianca alle prese con una “divinità” maschile che riportava all’aura dei racconti warburghiani sui rituali dei nativi americani descritti ne Il rituale del serpente: una “danza tribale” fatta di respiri, cadenze e movimenti angolari che ben rendeva la metafora dell’emersione dall’oscurità, come l’attesa del primo fulmine nel cielo
che avrebbe riportato la pioggia salvando raccolti e persone. Oggi viene riproposta senza gli elementi classici della produzione – le scenografie vennero danneggiate
dall’uragano Sandy – focalizzando lo sguardo sulla pura coreografia. Lamentation Variations sulle musiche di Mahler, Dowland e Chopin è un’altra rivisitazione: ideata da Janet Eilber e rappresentata per la prima volta a New York nel 2007
Ekstasis
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antologia
danza
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Deo
come riflessione sui drammatici eventi dell’11 settembre, nasce con il coinvolgimento di tre autori per creare una coreografia interpretabile dall’attuale compagnia, partendo dal solo degli anni ’30 – Lamentation della Graham, su musiche di Zoltàn Kobàly – che la danzatrice interpretava interamente seduta su una panca, unica scenografia un costume tubolare, esprimendo una commovente interiorizzazione del mondo. In Ekstasis invece è Virginie Mécène a riprendere la omonima coreografia del 1933, - erano questi anni creativamente molto prolifici per la coreografa - che prese il via dalla scoperta di un nuovo movimento del bacino. In un’intervista del 1980, la Graham spiegò che la genesi di questo lavoro derivava da una spinta pelvica che scoprì casualmente e che la portò a sondare un nuova gestualità con cui superò la qualità di movimento più statica e legata alla ritualità indagata sino ad allora.
Diversion of Angels traendo ispirazione da un’opera di Kandinski, attraverso tre coppie di danzatori, parla dei tre aspetti dell’amore - adolescenziale, erotico e infine maturo - e sviluppa l’azione nel giardino immaginario che l’amore crea per se stesso. Concepita in una piovosa estate, la coreografia affronta “the love of life, and the love of love”. Chiude lo spettacolo Deo – in debutto al Joyce Theatre di New York nell’aprile scorso – nuova produzione firmata da Maxine Doyle e Bobbi Jene Smith, che hanno accettato la non facile sfida di misurarsi con la memoria di un’icona della danza, coreografando per la compagnia che ne perpetua l’aura. E perseguendo la rappresentazione di quel “paesaggio dell’anima” che secondo la fondatrice - lo dirà nell’autobiografia Blood memory - può rivelare la danza: “qualcosa di noi stessi, la meraviglia degli esseri umani”. m
Between history and innovation: the Graham Company on stage Who knows what Martha Graham may have felt when she had to leave the stage, at the age of 76. What is sure is that she was still imagining the world as a big stage in 1991, when she wrote choreographies for the Olympic Games in Barcelona while she was passing away at almost 100 years old. She left an heritage of more than 180 choreographies and one of the first and most durable dance company, a living monument fo the “contract and release” method. Protagonist of an awaited Italian tour, the Graham Company proposes historicized masterpieces and new production by artists who experiment the deconstruction of the contemporary languages reaching very high quality standards. In Ravenna there will be on stage five works: the historic Errand into the Maze (by Graham, musics by Minotti), a monumental choreography dating back to 1947 and dealing with the myth of Theseus. Lamentations Variations with Mahler's, Dwoland's and Chopin's music is another reinterpretation which had its debut in 2007 in New York and is about September 11th. In Ekstasis, Virginie Mécène picks up the homonymous choreography dating back to 1933. Diversion of Angels takes inspiration from one of Kandinski's paintings and deals with the three aspects of love (teen-ager, erotic and mature). The last one is Deo, a new production by Maxine Doyle and Bobbi Jene Smith who have accepted the difficult challenge to compete with the memory of an icon.
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partiture coreutiche
danza
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tromba del divino Miles La
diventa l'improvvisazione di corpi nello spazio DI LINDA LANDI
L’ultima fatica del gruppo nanou, compagnia fondata a Ravenna nel 2004 composta da Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci e Roberto Rettura, trae ispirazione dal processo creativo del compositore jazz Miles Davis (1926 - 1991) senza però contemplarne le sonorità. we want miles, in a silent way, progetto firmato da Amico, Bracci e Marco Maretti, infatti elide il suono della tromba dalle musiche per focalizzarsi sulle partiture che, da musicali, diventano
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coreografiche. Marco Valerio Amico ci ha raccontato lo studio e la composizione dietro questo lavoro, il cui debutto si è tenuto lo scorso aprile a La MaMa di New York, mentre la prima italiana è in calendario per giugno 2019 al Ravenna Festival che ne rappresenta anche uno dei co-produttori. Marco, cosa accomuna le musiche di Miles Davis a questa ultima vostra produzione? «Intanto due suoi album, We Want Miles e In a silent way.
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partiture coreutiche
danza
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Il gruppo nanou ha trasmutato la musica del grande jazzista in coreografie che, dopo il debutto a New York, vanno in scena al festival Ascoltandoli in sala prove abbiamo notato che c’era uno schema compositivo traducibile in coreografia. Lo abbiamo analizzato a fondo e abbiamo individuato un metodo. Ăˆ un’operazione coreografica e non musicale: ci siamo accorti che Miles spesso tagliava e ricuciva le improvvisazioni. Abbiamo quindi cercato di tradurre tutto questo con il corpoÂť. PerchĂŠ proprio questa scelta? Non è facile lavorare su una musica senza utilizzarne una delle voci principali‌ ÂŤIn a silent way gioca a nostro favore come titolo: qui affrontiamo la forza e la capacitĂ creativa, ma non ci interessava
lavorare anche sulla musica jazz in senso tradizionale, perchÊ tanto è già stato fatto in questo senso. Per questo vi siete dotati di nuove forze all’interno della compagnia, per affrontare un inedito percorso di ricerca? La compagnia stabile resta sempre la stessa, ma oltre a Rhuena, in scena ci sono anche Marco Maretti, musicista laureato al Dams di Bologna che ha firmato il lavoro insieme a noi; Carolina Amoretti che ha studiato alla scuola Rudra di Bejart e Chiara Montalbani alla Trinity Laban di Londra. Marco, l’unico uomo è volutamente fuori dal coro; mentre le tre figure
femminili hanno identità diverse: Carolina ha anche una base di ginnastica e fa da ponte tra Rhuena e Chiara. Nell’ottica di Davis, che ad esempio coinvolse Keith Jarrett, sono tutte figure molto forti, strumenti che lavorano sulla propria identità e creano qualcosa di diverso, senza una orchestrazione coreografica a monte. Importante è infine il contributo visuale di Daniele Torcellini. Quanto e come avete lavorato per montare la coreografia? Le prime riflessioni risalgono a
un paio d’anni fa: siamo partiti dall’improvvisazione, dal pensiero all’analisi dei meccanismi compositivi. Lo staff al completo si è poi composto a febbraio e ha lavorato intensamente per un mese in vista del debutto al La MaMa, storico teatro di New York, particolarmente significativo per noi perchÊ, nato alla fine degli Anni ’60, è rimasto un luogo di riferimento per la ricerca e noi, dopo Teatro delle Albe e Motus, siamo la terza compagnia romagnola che ha calcato quel palcoscenico. m
The “silent milesâ€? according to gruppo nanou “gruppo nanouâ€? was founded in Ravenna in 2004 by Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci and Roberto Rettura and is today the third company from this region that has ever played at La MaMa theatre in New York. The dance company chose that stage for the debut of their “we want miles, in a silent wayâ€? a choreography that takes inspiration from the creative process of the jazz composer Miles Davis and that will be performed on June 26th at Teatro Alighieri for Ravenna Festival. ÂŤWe started thinking about it a couple of years ago – says Marco Valerio Amico –: we began from improvisation, from the analysis of the compositional schemesÂť. He also explains how they tried to translate it into choreography and how they were not interested in the role of the trumpet, which has been left out.
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trilogia dantesca
teatro
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Nei tornanti del Purgatorio l'ascesa purificatrice al paradiso terrestre Seconda tappa, con la «cantica del ricominciare» della Commedia, del percorso teatrale “partecipato” delle Albe, fra i meandri del capolavoro dantesco
DI IACOPO GARDELLI
C’è un passo del Purgatorio che, più di ogni altro di quella cantica, mi colpisce sempre per la sua verità. Siamo nel XXX canto: dopo la lunga salita sulla “montagna bruna”, Dante è finalmente arrivato in cima, nel Paradiso terrestre. Qui, proprio come nella sua prima apparizione, nella Vita Nuova, lo aspetta Beatrice, “vestita di color di fiamma viva”. Dante sente tremare il suo corpo “de l’antica fiamma”, l’amore lo travolge, cerca il conforto del maestro Virgilio, come già tante volte ha fatto durante il suo viaggio. Ma Virgilio non c’è più. Il poeta latino, “dolcissimo patre”, è uscito di scena così, silenziosamente, senza farsi vedere da nessuno, come all’inizio dell’Inferno era comparso all’improvviso per salvare il suo discepolo. Dante scoppia a piangere. È il dolore della purificazione. Anche attraverso questo abbandono, la sua salita verso la “visio” è completa. Ma il prezzo è alto. È quasi come una seconda morte, seguita a un secondo battesimo: dietro di sé il poeta deve lasciare il suo padre intellettuale; formatosi sulla poesia e sulla filosofia, Dante
deve ora abbandonarsi alla mistica della Rivelazione. La scomparsa di Virgilio, rappresentante del mondo antico, spalanca le porte del nuovo mondo cristiano, la cui “seconda bellezza” è adombrata da Beatrice. Forse sta tutto qui il significato profondo della cantica di mezzo, definita da Marco Martinelli, “la cantica del ricominciare”. Dopo l’Inferno – abbiamo ancora negli occhi le moltitudini urlanti all’ingresso del Rasi, tramutatosi in bocca infernale nell’estate del 2017 – le Albe affrontano quest’anno il passaggio dal tempo all’eternità, tutto racchiuso in quel XXX canto del Purgatorio di cui ho tentato una goffa parafrasi. E s’intuisce subito che questa volta la posta in gioco per Marco Martinelli ed Ermanna Montanari si alza considerevolmente. L’Inferno, oltre ad essere molto più conosciuto al largo pubblico rispetto alle altre due cantiche, parla al nostro Duemila con un logica antica, dunque contemporanea. Nella “fossa” i peccati rispondono ad una giustizia ferrea, regolata dal contrappasso, che soddisfano la nostra forma mentale. I dannati si ergono scultorei, in una perversa nobiltà che è già modernissima. Il male, insomma, è fotogenico, e attira i
Immagini dalla prima parte del progetto biennale della trilogia dantesca delle Albe, l’Inferno messo in scena nel 2017.
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trilogia dantesca
teatro
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Teatro delle Albe and Dante’s Purificatory Ascent in the Purgatory In the XXX chant of Purgatory, Dante in the end arrives at the top of the mountain he has climbed. In the Heaven on earth the Poet meets Beatrice, but Virgil is not next to him anymore. He has silently disappeared, and Dante bursts into tears. His pain is the pain of purification. It is the price he has to pay for ascent toward the "visio", it is almost like a second death following a second baptism. Maybe in this passage we can find the deep meaning of the middle "cantica", the one the author and director Marco Martinelli defines the "the cantica of the restarting". After the Inferno, put on stage two years ago, Teatro della Albe in 2019 will deal with the passage from time to eternity. And it is clear there is much more at stake for Marco Martinelli and Ermanna Montanari. The Inferno is better known by people and it follows an ancient and therefore contemporary logic. The Purgatory is different. This wonderful Dante's invention is a light and dark, watery, sweet place where you can hear chants instead of shouts. Its frames are not based on the principles of justice but on the idea of love following the order of the seven capital sins. It is a place of mutation and ordeals. After a first performance in Matera (which is 2019 European Capital of Culture), Teatro delle Albe’s Purgatory will make its debut at the Rasi theatre from June 25th to July 14th (mostly set in the garden). Poetics is the same as for Inferno. Teatro delle Albe wants to join Dante's poetry to the medieval theatre of the sacred representations filtered through the revolutionary experiences of XX century Russian masters. The aim is transforming the whole town in a stage and directly involving citizens in the creative process. More than five hundred people have already taken part to the meetings to develop the performance.
nostri occhi post-totalitari come una calamita. Ma il Purgatorio non è così. Questa magnifica invenzione, tutta dantesca, è un luogo chiaroscurale, acquatico, dolce (parola chiave del lessico della cantica), nel quale risuonano canti, e non grida. Un luogo le cui “cornici” sono ordinate non dalla giustizia, ma dall’amore, secondo l’ordine dei sette peccati capitali della teologia cristiana. Un luogo di mutazione e di ordalie, dei passaggi oltre il fuoco e dei battesimi sott’acqua. Qui la ragione capisce che deve abdicare alla sua superbia per giungere al suo superamento. Per citare un verso caro alle Albe, “dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva”: tanto più difficile si fa la rappresentazione, tanto più cresce il coraggio e l’inventiva del gruppo ravennate. Dopo una primissima presentazione del progetto a Matera (fra fine maggio e i primi di giugno), il Purgatorio debutterà al Rasi di Ravenna dal 25 giugno al 14 luglio. La poetica è rimasta immutata, e accompagnerà il progetto delle Albe fino al Paradiso del 2021: coniugare la poesia dantesca al teatro medievale delle sacre rappresentazioni, il tutto
filtrato dall’esperienza rivoluzionaria dei maestri russi del primo Novecento; trasformare la città in palcoscenico, e ogni cittadino in una parte di un grande processo creativo. Per mettere in moto questa immensa macchina organizzativa, le Albe si sono avvalse di maestranze interne (accanto agli “storici” Luigi Dadina, Roberto Magnani, Alessandro Argnani, Laura Redaelli, Alessandro Renda, le “nuove” leve Massimiliano Rassu, Matteo Gatta, Marco Montanari, Mirella Mastronardi e naturalmente Gianni Plazzi) e di tecnici esterni, come Luigi Ceccarelli e Simone Marzocchi per le musiche; Edoardo Sanchi e Paola Giorgi per scene e costumi; Fabio Sajiz e Marco Olivieri, rispettivamente per disegno luci e regìa del suono. Alla squadra, quasi la stessa di quella di due anni fa, si affianca una forma che ricalca quella dell’inizio dell’Inferno: a partire dalla tomba di Dante si snoderà una parata che porterà gli spettatori dentro il giardino del Rasi (gran parte dello spettacolo si svolgerà all’aperto), per una durata totale che si assesta attorno alle tre ore. m
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trilogia dantesca 101
teatro
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il libro
Martinelli racconta il suo poeta “ardente, innamorato, ridicolo” Si potrebbe dire, malignamente, che da “asino” Martinelli si sia fatto “pedante”; che da “eretico” si sia tramutato in un perfetto “ortodosso”. Forse, per qualche aspetto, le cose stanno così. Nel suo ultimo Nel nome di Dante, appena stampato per i tipi di Ponte alle Grazie, Martinelli ci racconta il suo poeta, “ardente, innamorato, ridicolo e malato”, con tanto di bibliografia e citazioni colte, da Meister Eckhart a Osip Mandel’ tam. Ma dire così, significa anche frettolosamente precludersi ciò che di bello c’è in questo libro. C’è innanzitutto un Dante che rapisce e incanta, che Martinelli osserva sempre nella sua fragilità e nelle sue debolezze per evitare qualsiasi tentativo di mitografia. Seguendo un leitmotiv della sua poetica, Dante deve tornare ad essere “vivo”, così come i classici devono tornare a bruciare sulla scena nella non-scuola. Un Dante lontanissimo dai manuali dunque, che consiglierei di leggere ad ogni studente delle superiori, almeno come introduzione. Martinelli, con grande maestria narrativa, ci racconta dell’incontro con Beatrice, della sua sfortunata parentesi politica, della fuga e dell’esilio ravennate (Simonini docet). Ci racconta l’esilarante vicenda delle sue ossa, trafugate dai suoi stessi protettori; ci descrive nel capitolo E cielo e terra l’accorato programma che sta alla base del suo mastodontico progetto teatrale. Certo, a volte le teorie personali di Martinelli sulla Commedia tendono a mischiarsi al racconto, senza soluzione di continuità, ma è un rischio che si corre volentieri, non essendo questo uno studio specialistico. E poi c’è la storia di Vincenzo, il padre di Martinelli. Fin dal titolo è
chiaro che, in questo libro, la questione della paternità sarà centrale. E dunque, così come Dante può davvero diventare un padre, almeno spirituale, un maestro che ci vuole prima di tutto “felici” (come scriveva il Sommo nella sua Epistola XIII a Cangrande), così Martinelli ci racconta della vita e dell’esempio di Vincenzo, padre e maestro, buffone e funzionario democristiano, guelfo in una Ravenna ghibellina, minoritario “puro” in un partito clientelare. Qui, a pagine davvero ispirate (penso al capitolo Il corpo nella Renault rossa) si intervalla qualche tentazione agiografica. L’intuizione di legare questi due fili, la storia di Dante a quella del padre, è senza dubbio profonda, all’altezza della visionarietà di Martinelli. Ma leggendo ho avuto l’impressione che ci sia stata una certa fretta in questa pubblicazione, che si sarebbe potuto approfondire di più questo dialogo, e saldare ancora meglio queste due anime. Chissà, potrebbe essere la direzione di un altro progetto.
Una presentazione del libro Nel nome di Dante è in programma l’8 luglio (ore 18) alla Sala Corelli del teatro Alighieri, alla presenza dell’autore Marco Martinelli
TEATRO SOCJALE DI PANGIPANE DOMENICA 7 LUGLIO 2019 ore 21
SAGGIO SPETTACOLO DI FINE ANNO ACCADEMICO
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commedia in scena Ravenna Festival Magazine 2019
Tornano i
giovani artisti per riscoprire Dante
DI ATTILIA TARTAGNI
Dante Alighieri visse gli ultimi anni a Ravenna trovandovi rifugio e ispirazione. La zona dantesca, frequentatissima area del centro storico, è cristallizzata al tempo in cui il Poeta vi passeggiava pensoso, la mente presa dalla Commedia. Giunti a noi straordinariamente vividi e potenti, i suoi versi continuano a parlarci, a sedurci, a ispirare interpretazioni e nuove creazioni. Così i Chiostri Francescani, a lato della tomba di Dante, sono per il 4° anno il palcoscenico dello spettacolo quotidiano di giovani artisti che si cimentano in varie discipline artistiche, da sole o in sinergia, nel nome del Poeta che ha saputo navigare “per l’alto mare aperto” della conoscenza conquistando l’eternità. Ogni anno la rassegna è come un mosaico di tessere che si compongono nella diversità, seminando interrogativi e curiosità. È la multidisciplinarietà la matrice di L’amore degli angeli,
dal 6 al 8 giugno progettato dal Liceo Artistico “Nervi-Severini” di Ravenna, fucina di creativi per eccellenza, partendo dall’omonimo gesso dello scultore Giulio Bergonzoli. Niente come la danza qualifica lo spazio facendo spettacolo. Who Cares?, dal 9 al 15 giugno, rinnova la collaborazione con Cantieri Danza per cui il Festival è fra i partner di Sedimenti, sezione del progetto Petrolio di Matera 2019. Gli italiani Olimpia Fortuni e Leonardo Maietto, il libanese Bassam Abou Diab, il nicaraguense Yeinner Chicas, coreografi e danzatori, anticipano il debutto a Matera sul tema Mediterraneo, mare di dialogo e di relazione nella “peculiarità e individualità artistica e culturale”, progetto curato da Massimo Carosi di Network Danza XL. La fantascienza innerva due spettacoli: Dante 2k21, dal 16 al 20 giugno, con il Collettivo Lunedidante (regista Fiammetta Perugi, attori Ludovico D’Agostino,
Eventi multidisciplinari interpretano il Poeta in chiave contemporanea Appuntamenti giornalieri ai Chiostri Francescani per tutta la durata del Festival
Francesca Fatichenti, Ivo Randaccio) che prefigura, in un 2121 dominato da traduttori automatici e macchine avveniristiche, la sfida fra la lingua di Dante e quella del futuro, un melting pot di svariati linguaggi; Le stelle di Dante, dal 21 al 27 giugno, in cui gli alieni Moka e Hertz, cercando reperti del pianeta Terra, scoprono che in Dante scienza e poesia sono complementari letture del mondo, con le marionette di Gianluca Palma e Mariasole Brusa, creatori nel 2011 di All’inCirco, progetto di ricerca sul teatro di figura e arte di strada. Il teatro di parola e musica è di scena ne Il canto dei diavoli, dal 28 giugno al 4 luglio, evocando il più teatrale dei canti dell’Inferno, il XXI, con politici corrotti alle prese con i Malebranche, diavoli goffi e burloni configurati da stereotipati bambini di oggi per riflettere su chi siano i veri cattivi,
a cura di Malebolge Club con gli attori Franco Costantini, Giovanna Vigilanti e Cesare Flamigni e studenti e genitori dell’Istituto A. Baccarini di Russi. In chiave diversa si afferma la musica contemporanea negli ultimi due appuntamenti: Teleion (Τέλειον), dal 5 all’11 luglio, apre sperimentali e inediti panorami sonori con le percussioni e il pianoforte preparato del pianista Matteo Ramon Arevalos e il canto dell’attrice-cantante Camilla Lopez ispirati a frammenti di antiche melodie della Grecia; in Bob Dylan in Hell, dal 12 al 14 luglio, le canzoni di Bob Dylan evocano l’Inferno di Dante sulle tracce del libro omonimo di Luca Grossi, a cura di Malafesta Theatre Company (chitarra, voce e piano). Dante - Dylan, accostamento impossibile? Bob Dylan, Nobel 2016, scrive in un testo che ogni parola di Dante «suona vera e risplende come carboni ardenti». È l’assioma che innerva ogni spettacolo. m
Young Artists interpret Dante’s Commedia Once again, in the cloister next do Dante's tomb, during Ravenna Festival every day young artists will perform in the name of the Poet who died in Ravenna. From June 6th to 8th, the students from Liceo Artistico “Nervi-Severini” will propose a multidisciplinary show taking inspiration from Giulio Bergonzoli's plaster statue. From June 9th to 15th Cantieri danza will performe Who Cares? From June 16th to 20th the collective Lunedidante will imagine a future where Dante's language will defy automatic translating machines. From June 21st to 27th, Gianluca Palma and Marisola Brusa's marionettes will be protagonist of a show where two aliens discover the importance of Dante. From June 28th to July 4th the Malebolge Club will perform Inferno's XXI canto using theatrical languages. From July 5th to 11th, the piano player Matteo Ramon Arevalos and the singer Camilla Lopez will play experimental sound landscapes in Teleion. From July 12th to 14th Bob Dylan’s songs will evoke Dante’s Inferno taking ispiration from Luca Grossi’s book Bob Dylan in Hell thanks to Malafesta Theatre Company.
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melologo
teatro
Ravenna Festival Magazine 2019
Elena Bucci porta in scena il melologo Nella lingua e nella spada sulla tragica assenza/presenza del poeta tirannicida
Alekos Panagulis che diede voce allo sdegno contro la dittatura dei Colonnelli in Grecia DI ELETTRA STAMBOULIS
Morire di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio cantava un poeta e anarchico italiano. E proprio il 1 maggio del 1976 muore in un incidente che cela ancora molti risvolti dubbi Alekos Panagulis, il poeta, a suo modo anarchico, che aveva dato la voce allo sdegno per la dittatura dei Colonnelli in Grecia che durò ben sette anni, dal 1967 al 1974. Anche il suo ultimo messaggio scritto, su un tovagliolo alle 2 di mattina di quel sabato di maggio, risulta incompleto, di difficile decifrazione: Ricevetela come un’espressione di angoscia che nasce dalla … e le ultime parole non si leggono. Si vede solo la sua firma, scritta di fretta. Doveva andare, aveva un appuntamento pesante, che aveva evitato già diverse volte. Condannato alla pena capitale per l’attentato fallito a Papadopoulos, aveva già dato forfait all’appuntamento fatale: si erano mossi per chiedere clemenza studenti, partiti, ma anche leader politici delle diverse parti, persino il Papa. Le sue parole avevano risuonato nei teatri e nei concerti di tutta Europa, portati in giro dalla musica di Theodorakis: erano
state cantate anche a Ravenna, al Teatro Alighieri. Era diventato la voce di tutti, il tirannicida: una figura che sta alla base della tradizione democratica dell’antica Grecia. Eppure, con il (lungo) processo di democratizzazione, Alekos aveva fatto un po’ a pugni. Intanto, era considerato dai partiti di sinistra storici un eroe solitario, incomprensibile a tratti. Molti pensavano ad una vendetta personale. Il fallito tentativo di uccidere il collonnelo era stato letto come atto individuale. Sì, perché prima di Alekos nella conservatrice famiglia di ufficiali di carriera c’era stata un’altra vittima, il fratello maggiore Giorgio. Una vittima che non ha mai avuto né un funerale, né una tomba. Rimane un mistero la storia della sua sparizione. Quello che si sa, è che cercò asilo politico, disertando dall’esercito all’avvento della giunta militare. Aveva viaggiato cercando aiuto attraverso la Turchia, la Siria, il Libano … in tutti questi luoghi aveva cercato rifugio nelle ambasciate italiane, ma gli era stato rifiutato, non aveva i documenti. Finì in Israele, lo credettero una spia araba, alla fine lo imbarcarono su una nave per la Grecia. Lo intercettarono
gli agenti governativi. Fine della storia. Il suo corpo non fu mai ritrovato. La madre, Athina Panagoulis – una donna che mi ha sempre ricordato la madre di Impastato - non ha mai creduto alla sua morte. La vicenda intrecciata di questi due fratelli (ce n’è anche un terzo, ma vi dirò tra poco) ha incontrato l’occhio empatico di un altro poeta che ha vissuto una vicenda simile, di cui in parte ha sempre taciuto, Pier Paolo Pasolini. Anche lui aveva avuto il fratello, più giovane, ucciso durante quella sanguinosa e inspiegabile guerra civile di fine Guerra Mondiale. Guidalberto, nome di battaglia “Ermes”, fu infatti ucciso come partigiano della Osoppo da partigiani comunisti. Una vicenda su cui lo stesso Pier Paolo, per non parlare della madre Susanna che non a caso fu immortalata come Madonna nel “Vangelo secondo Matteo, stenderà un silenzio doloroso, perché proprio lui non trovava le parole. Così Pasolini quando Panagulis è in prigione scrive di lui, e quando Pier Paolo viene ucciso a sua volta l’amico greco paga pegno: Voce umana, vestita di bellezza, è quella che ci devi. E termina Tu non dovevi andare via... Non sapeva che il
suo destino era di nuovo simile. Così comincia la poesia che Panagulis dedica all’amico fratello italiano. Chi rimane a tessere la tela? Questa è una vicenda di donne che sopravvivono, che portano come mantello una memoria incandescente. La madre di Pasolini e Panagulis, Oriana Fallaci, la voce giornalistica della storia per antonomasia, lei che la Storia la intervistava. E una donna attrice, Elena Bucci, interprete legata al sacro e al teatro di Leo de Bernardinis, fuori dal coro nel suo essere fisicamente e drammaturgicamente legata ad un teatro fisico e mistico allo stesso tempo, ne raccoglie come i fili dismessi. Con Nella lingua e nella spada (debutto al Festival il 12 luglio) tocca un mistero che richiama il senso del tragico connaturato alla messa in scena classica, dove il tirannicida si trova a suo agio. E di che cosa si alimenta un melologo su un poeta che porta iscritto nel suo Dna poetico e biografico l’etichetta del martire? Delle parole di una donna, compagna per un pezzo di vita del poeta. Oriana Fallaci è difatti la testimone, colei che lo racconta, che trova le parole per dirlo. Che la poesia non basta, non
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melologo 105
teatro
Ravenna Festival Magazine 2019
attraversa i muri spessi di un mondo grondante di altro, di discorsi ricorsivi e di chiacchiera di intrattimento. Oriana è la testimone, diventa l’essenza del racconto di Panagulis, quasi lo sostituisce. Provate a cercare oggi le tracce di Alekos nelle librerie, nelle bibliografie anche più colte. Persino nella musica greca, conservatrice in senso alto di una tradizione aedica e fieramente orientale, che fa da ponte tra un imperscrutabile Oriente e un Occidente che non riconosce i confini geografici, ma quelli del potere, ecco persino nella musica ellenica le canzoni con i testi di Panagulis non vengono più trasmesse alla radio, cantate e ballate come altri pezzi della memoria collettiva e popolare ellenica. Rimangono una reliquia di un’epoca di eroi a cui tutti (molti) attingono per giustificare la loro ipotetica rivoluzionarietà, o comunque difformità, ma che viene venerata come reliquia in occasioni memoriali. Panagulis è una reliquia, portata come ostia nel confuso mondo politico greco, che grida continuamente alla memoria salvifica, per poi dargli fuoco fisicamente in occasioni politicamente discutibili come l’annullamento degli archivi di polizia, perpetrata da un governo del partito di destra Nuova Democrazia e del KKE. Quest’ostia continua a dispensarla il fratello minore dei
due Panagulis morti o uccisi (su entrambi l’ambiguità è comune). Stathis, che giovanissimo diventa anche lui un detenuto politico, da esiliato politico conosce e incontra leader politici, intellettuali europei, e porta come bandiera da innalzare il nome del fratello, attraversa partiti, le cangianti configurazioni politiche, gli umori collettivi. Spesso tacciato di essere un beone, famoso per la sua caparbia arroganza verbale, per le sue uscite fuori dal bon ton politico, per il suo essere “dobros” (parola slava e quindi balcanica per dire schietto, diretto). Aspetti che lo hanno portato ad essere anche lui un solitario, una specie di meteora politica che anche ultimamente lo ha riportato al destino di espulso dal partito. Meteora. Il ritorno di Elena Bucci e di Luigi Ceccarelli, che indaga la sonorità di questa assenza / presenza di un poeta nello spettacolo Nella lingua e nella spada ma anche indirettamente di coloro che hanno fatto parte di questo atto tragico, è un nostos doloroso verso un’isola che sicuramente non c’è. O meglio, esiste nelle memorie d’infanzia, non solo biografica ma anche politica, di molti adulti di oggi. Chi ha conosciuto Alekos attraverso il romanzo Un uomo, spesso ha conosciuto molto di più. Chi avrebbe voluto essere, e non ha avuto l’opportunità di diventare. Di lui rimane niente, e così sia. m
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Alekos Panagulis, the voice against the Colonels' dictatorship in Greece On May 1st 1976, Alekos Panagulis died in a car accident in unexplained circumstances. He was the anarchist poet who had expressed his indignation for the colonels' dictatorship in Greece that lasted seven long years, from 1967 to 1974. He had been sentenced to death after his failed assassination attempt against Papadopoulos, but students, political parties, political leaders and even the Pope had pleaded for his life. His words have resounded in theatres and concerts all over Europe thanks to Theodorakis' music, they have been sung also in Ravenna. He had become everybody's voice, he was the tyrannicide. Left wing parties considered him a solitary hero, though. Before the mystery around his death, also his older brother Giorgio had disappeared, he never had neither a funeral nor a tomb. The story of these two brothers fascinated the empathetic look of another poet who had lived something similar: Pier Paolo Pasolini. Pasolini writes about Panagulis while he is in prison, the Greek poet writes about his friend's terrible death. His memory today is due to women: his mother and Oriana Fallaci, the journalist who interviewed history. And today there is an actress, Elena Bucci, who interprets a melologue inspired to the words of the poet's partner. Oriana is the witness, she becomes the essence of Panagulis' tale, he almost replaces him as his poems are not read anymore and his songs are not played, sung or danced any longer. Panagulis has become a relique. Elena Bucci and Luigi Ceccarelli will investigate this absence / presence of a poet, and of all those people who have been part of this tragic act, it is a painful nostos towards Neverland.
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teatro
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La tragedia di Medea rivive in un intenso
dialogo
fra voce e musica
Ne parla Chiara Muti, voce recitante accompagnata dal Trio Hager, nell'opera di Georg Benda in versione da camera DI GUIDO SANI
L’attrice e regista Chiara Muti – interprete versatile e sensibile al rapporto in campo teatrale fra voce e musica – torna al Ravenna Festival con la Medea di Georg Benda. Si tratta di un melologo già andato in scena a Bologna nel 2010, per la rassegna “Voix humaine”, e viene ripreso (il 18 giugno nello spazio raccolto del chiostro della Biblioteca Classense) in sintonia col tema del Festival 2019 che evoca in molte parti del programma la Grecia classica dei filosofi e della tragedia. La dimensione dello spettacolo è racchiusa nella forma di un quartetto, con Chiara Muti voce recitante del testo di Friedrich Wilhelm Gotter (tradotto e liberamente adattato da Giuseppe Di Leva) e l’accompagnamento del Trio Hager – violino, violoncello e pianoforte – interpreti della versione da camera del melologo, ricavata dall’originale concepita invece per orchestra. È il dibattito Settecentesco sul rapporto fra musica e linguaggio, e (inoltre) su un possibile teatro musicale in lingua tedesca, che nutre la creatività di Georg Benda. Il compositore céco, in una sua visione musicale del mito e della tragedia classica di Medea, elabora nel 1775 il dramma di una voce declamata in continuo dialogo con l’orchestra. Quando Mozart ebbe modo di scoltare l’opera nel 1778 rimase impressionato dall’originale stile vocale giudicandolo «un dramma eccellente… La musica è un recitativo, e la parola che si recita sullo sfondo musicale è di splendido effetto». La Medea di Benda risulta quindi uno dei primi e più elevati esempi di melologo nell’ambito della
storia della musica, un genere di teatro musicale affascinante per la fusione di melodia e parola, per quanto raro e poco frequentato sia come repertorio che esecuzioni. Abbiamo chiesto a Chiara Muti come si è avvicinata a quest’opera... «Non conoscevo la Medea di Benda e per me è stata una felice opportunità artistica interpretare questo melologo, non solo perchè è una delle prime opere di questo genere ma un vero e proprio capolavoro. Anche Mozart, come è noto ne rimase folgorato, per la sua forma moderna all’epoca, dove il recitativo si fonde mirabilmente con la musica. E ne terrà conto per alcune delle sue future composizioni. Certo l’opera di Benda risente di un certo accademismo, ma ha diversi spunti innovativi che già preludono a Beethoven nel porgere attraverso l’insieme di recitazione e musica i sentimenti, e per così dire, i risvolti psicologici della vicenda e del personaggio». A proposito di personaggio, con Medea abbiamo a che fare con un archetipo della cultura classica, dal mito alla rappresentazione teatrale. «Il testo è rielaborato dalla matrice tragica di Euripide e ci riporta all’origine mitica della nostra cultura, quella della Grecia classica. Medea ha uno spessore profondo che ha implicazioni filosofiche e psichiche. Peraltro questa figura di maga, donna estranea alla comunità, considerata barbara e invadente, di cui diffidare, non è poi cosi lontana dall’attualità. Esprime sentimenti contrastanti e in qualche modo universali. Medea subisce un tale isolamento, umiliazione e abbandono che la portano per
vendetta all’uccisione dei figli, contro Giasone che l’ha tradita. Perduta ogni dignità compie un gesto terribile ed estremo...». Lei che ha una certa esperienza come attrice teatrale cosa cambia il recitare in uno spettacolo di prosa rispetto a un melologo? «Mi piace molto cimentarmi in questo genere, che ho frequentato anche interpretando melologhi di Honegger e Debussy. Qui la musica
è il veicolo portante e la voce si deve sintonizzare sulla partitura e dialogare con gli strumenti, mentre nella prosa c’è una notevole libertà espressiva, nel ritmo e nelle pause. Nel melologo c’è invece un cantante che recita ovvero un attore che canta. La voce è inserita in battute musicali, e quindi viene utilizzata come strumento musicale. Per un attore è una parte meravigliosa, dove ritmica e intonazione si devono armonizzare con gli altri strumenti». m
Chiara Muti is Medea in Georg Benda’s melologue The actress and director Chiara Muti is back at Ravenna Festival with Georg Benda’s Medea. On June 18th she will be the voice of this melologue based on Friedrich Wilhelm Gotter’s text (translated and adapted by Giuseppe Di Leva) and she will be accompanied by Trio Hagar (violin, cello and piano). In the midst of the XVIII century debate about the relationship between music and language and about the possibility to write musical theatre in German, in 1775 the Czech composer Georg Benda wrote a drama for a voice that had to be in a continuous dialogue with the instruments on stage, offering his interpretation of the myth and the classic tragedy Medea. In 1778 Mozart was impressed and said “an excellent drama, music is a recitative”. So Benda’s Medea is one of the most refined example of melologues, a fascinated though rarely performed genre of musical theatre.
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Lucrezio e Seneca in un dialogo tra passato, presente e futuro DI IACOPO GARDELLI
Non potrebbe esserci spettacolo più in linea con il tema del Ravenna Festival di quest'anno. Quando la vita ti viene a trovare torna alle origini classiche dell'identità occidentale mettendo in scena un dialogo immaginario fra Lucrezio, il poeta dell'epicureismo, e Seneca, moralista principe dello stoicismo romano. A scrivere questo dialogo è Ivano
Stefano Randisi (a sinistra) con Enzo Vetrano
Dionigi, tra i più fini latinisti italiani ed ex rettore dell'Università di Bologna; a metterlo in scena una delle più affermate coppie teatrali di questo paese, i palermitani Enzo Vetrano e Stefano Randisi, ormai naturalizzati romagnoli. Il 20 giugno, all'Alighieri, i due proporranno in anteprima nazionale gli esiti di questa nuova produzione targata ERT. Stefano Randisi mi ha parlato di questa scommessa.
Questo lavoro è prodotto da ERT: il testo vi è stato proposto o avete deciso voi di metterlo in scena? «Ci era stata proposta una lettura scenica. Dopo questa esperienza, insieme a Dionigi e a Claudio Longhi, direttore di ERT, ci siamo resi conto che c'era materia, e molto interessante, per farne uno spettacolo. Quindi è intervenuto Ravenna Festival: da qui l'inclusione della musica dal vivo». Dal punto di vista registico come
avete immaginato questo dialogo? «La difficoltà principale è stata quella di trovare un luogo credibile e riconoscibile dal pubblico di oggi nel quale abitare. I personaggi parlano con le parole di duemila anni fa, ma i loro argomenti sono ancora vivi: l'esistenza, la natura, l'universo, la morte, il potere, la moralità. Perciò il luogo della scena doveva tenere assieme passato, presente e futuro. Abbiamo pensato al mare, un paesaggio che attraversa i secoli. Sarà proiettato su uno sfondo di tulle che ci abbraccerà. Davanti a noi, nello spazio vuoto, ci sarà un grande parallelepipedo, una citazione del famoso monolite di Kubrick». Qualcosa che alluda a un rudere? «A un rudere perfetto. C’è in questo oggetto un'allusione all'antichità, ma allo stesso tempo alla futuribilità. Questa è l'idea, ma ancora non abbiamo costruito la scena. Dietro o dentro allo schermo ci piacerebbe far apparire delle visioni: i musicisti, tra i quali il compositore Alessandro Cipriano; ma anche i cori lucreziani e senechiani». Di che si tratta? «Sono tre momenti in cui Dionigi ha inserito delle citazioni pure dei testi dei due filosofi. Nello spettacolo abbiamo deciso, su suggerimento di Dionigi, di coinvolgere gli studenti della scuola Iolanda Gazzerro di ERT, a Modena. Questi giovani diplomandi hanno registrato le loro voci come se fossero non semplici declamazioni, ma conversazioni accese fra gruppi di giovani dalle idee diverse. Vorremmo mantenere nello spettacolo la vitalità di questi dialoghi». Una scelta che rispecchia perfettamente la concezione didattica di Dionigi. «Infatti è stato il primo desiderio che Dionigi ci ha espresso. Voleva che questo spettacolo nascesse dai giovani. È molto fiducioso verso le nuove generazioni: ci ha lavorato una vita e ne conosce la ricchezza».
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Ravenna Festival Magazine 2019
Stefano Randisi (in scena con Enzo Vetrano) parla della nuova produzione Ert sui due filosofi, scritta da Ivano Dionigi: «I personaggi usano le parole di duemila anni fa, ma i loro argomenti sono ancora vivi: l’esistenza, la natura, l’universo, la morte, il potere, la moralità» Dionigi ha definito il ruolo degli studi umanistici “imparare ad imparare”. C'è qualcosa in comune anche con la pratica teatrale? «Sicuramente. È il mestiere del teatrante: ogni volta è una scommessa nuova, si impara, si cerca di capire che cosa di nuovo possiamo trovare in quelle parole». Che cosa avete imparato dal libro di Dionigi? «C'è prima di tutto la comprensibilità e la lucidità delle parole di questi filosofi. I dialoghi tra Lucrezio e Seneca sono trasparenti, c'è un confronto vivo tra le due personalità, che si rinfacciano scelte di vita e mettono a bilancio le loro esistenze. Anche dal titolo, il confronto è fra quello che si è pensato e la vita che si è vissuta». La questione della coerenza. «Ma anche della difficoltà di sintesi fra l'idea e la prassi. Un discorso per noi davvero appassionante. Non pensavamo di provare un tale trasporto». Domanda sciocca: dei due filosofi quale preferisce? E come vi siete spartiti i ruoli lei e Vetrano? «Enzo ha detto subito “non ci sono dubbi, io sono Lucrezio”. A me è dispiaciuto un po': Lucrezio è un esempio del rapporto puro e laico con la natura, che sento molto vicino. Però, lavorando forzatamente
su Seneca, mi sono reso conto di quanto in realtà gli assomigli. Io ed Enzo lavoriamo insieme da 40 anni. Abbiamo un rapporto con testi, regìa e recitazione molto diverso: c'è chi ha una maggiore genialità creativa, che è lui, Lucrezio; e c'è una necessità razionalizzante, la mia, Seneca. Enzo dice sempre che, se facesse uno spettacolo da solo sarebbe bellissimo, ma non ci si capirebbe niente; se lo facessi da solo io, sarebbe troppo arido. Insieme si trova un accordo. Questi stessi ruoli appartengono a Lucrezio e a Seneca». Due figure complementari. «Sì. E mi sto convincendo sempre di più che Lucrezio dice sì delle cose bellissime, ma dice anche delle cazzate enormi; e Seneca, pur nelle sue contraddizioni, aveva molte ragioni. E soprattutto ci sono tratti comuni in entrambi, ad esempio la rigidità. Si può pensare che Seneca sia il più moralista, il più razionale dei due; ma anche Lucrezio non è esente da un certo dogmatismo, per questo suo grande bisogno di coerenza». m Mercoledì 19 giugno, alle 18, alla Biblioteca Classense l’autore del testo da cui è tratto lo spettacolo, Ivan Dionigi, ne parlerà con Matteo Cavezzali.
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A dialogue between Lucretius and Seneca “Quando la vita ti viene a trovare” (When life comes to visit you) goes back to Western classic identity with an imagery dialogue between the Epicurean Lucretius and the Roman Stoic Seneca. The text is written by one the most famous Italian Latinist and former Head of the Università di Bologna, Ivano Dionigi. On June 20th, at the Teatro Alighieri, Enzo Vetrano and Stefano Randisi will perform it. «We had to find a credible and recognizable place - says Randisi -, the protagonists use 2000 years old words, but their themes are still alive: life, nature, universe, death, power, morality. We have chosen the sea, a landscape that runs through centuries. And there will be a big parallelepiped form, an homage to Kubrick, a perfect ruin connecting ancient to future times». According to Dionigi, the role of humanist culture is “learning how to learn”, very similar to what is theatre? «Yes, every time it is a new challenge». What about the two philosophers? «I think they are complementary, like Enzo and I are on stage. And I have understood that Lucretius says a lot of beautiful things, but also many bullshits and Seneca was often right, even if he often was so contradictory».
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teatro
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Edipo a Colono, l’importanza delle parole Lo scrittore napoletano Ruggero Cappuccio parla della nuova versione del suo testo, che andrà in scena in luglio all’Alighieri: «La lingua borghese non può raccontare la tragedia classica, io ho scelto di scrivere in endecasillabi e settenari, in un italiano eroso da sicilianismi forti» DI IACOPO GARDELLI
La voce di Ruggero Cappuccio suona aristocratica dalla cornetta. Anche dalla distanza si percepisce il suo gusto per il lessico ricercato e il suo amore per i classici greci. Come l'Edipo a Colono, che Ruggero, scrittore napoletano classe '64 nonché direttore di Napoli Teatro Festival dal 2017, reinterpretò in versi per i tipi di Einaudi nell'ormai lontano 2001. Proprio una nuova versione di quello stesso testo andrà in scena all'Alighieri il prossimo 8 luglio, per la regìa del lituano Rimas Tuminas, che firma così la sua prima produzione italiana. La data di Ravenna sarà in un qualche modo un'anteprima speciale, dopo il debutto all'aperto nel magnifico Teatro Grande di Pompei: si tratta di adattare l'opera per gli spazi chiusi dei teatri all'italiana, e lo storico palco ravennate sarà il primo cimento per la produzione partenopea. Partiamo da qui. Come verrà affrontato l'adattamento di questo nuovo Edipo a Colono, dopo il debutto ufficiale a Pompei di fine giugno? «Questa domanda è meglio farla al regista. Quando consegno un testo mi astengo da qualsiasi apparizione in teatro. Non seguo le prove perché non voglio creare nessun condizionamento. So che si inizierà il 20 giugno e che gli attori provengono tutti da assidue frequentazioni con la lingua
siciliana: Claudio Di Palma, Marina Sorrenti, Fulvio Cauteruccio, per citarne solo tre. Attori che vengono da un mondo antropologico selvatico». Cosa intende? «Il vero problema della tragedia greca è che tu puoi trovare anche degli attori bravissimi, ma se recitano in giacca e cravatta – spiritualmente, intendo – non ne veniamo fuori». La tragedia ha bisogno di violenza.
«Esattamente. Per lo stesso motivo le traduzioni dei classici, in Italia, si avvicinano solo pallidamente agli originali. I drammaturghi antichi partivano da un'altissima sapienza della musicalità del verso, ma la grande parte delle nostre traduzioni sono prosastiche. Quando spegni la musica di una lingua, tutta la bellezza ritmica si spegne. La lingua italiana che parliamo non è dotata di quella ferinità, dei barbarismi interiori che connotano la lingua
Ruggero Cappuccio’s Oedipus in Colonus, the importance of words Ruggero Cappuccio published his version of Oedipus in Colonus in 2001. A new version of that text will be staged at the Teatro Alighieri, directed by Rimas Tuminas, from Lithuania. It will be a sort of special preview. Cappuccio explains how the tragedy needs violence and how the bourgeois language cannot tell Greek tragedies. That's why most Italian translations are pale versions of the original texts. And that is why he has chosen to use eleven and seven syllables lines in an Italian consumed by Sicilian dialect. Sicily, he says, is the most Hellenic place we have in Italy. He also explains how he has never modified the text since 2001 as «words in theatre are like musical notes. The word has to be listened to, not read. My Oedipus in Colonus is a score that takes new forms according to the orchestra conductor». The reason why this Oedipus is set in XIX century is because the Sophocles’ tragedy is the highest paradigm of pain. «Inside, we are all Oedipus. Men wandering in the XIX century is looking for peace, embodied by Colonus. Oedipus is ready to die to find it».
greca antica. Insomma, la lingua borghese non può raccontare la tragedia classica». Che lingua usare, dunque? «Io ho scelto di scrivere in endecasillabi e settenari, in un italiano eroso al suo interno da sicilianismi forti. La Sicilia è il luogo più ellenico che abbiamo in Italia. Ti faccio un esempio: in Sicilia si usa il passato remoto per connotare un'azione che si è svolta pochi secondi prima: “un minuto fa comprai le sigarette”. Questa è una lettura epica della realtà. Se dico “ho comprato le sigarette” è cronaca. Al remoto è già una lapide». Il suo testo è stato pubblicato per Einaudi nel 2001, e ha avuto molte riprese prima di approdare a questa versione. «Il testo è andato in scena alla fine degli anni Novanta con Roberto Herlitzka nel ruolo di Edipo e Piera Degli Esposti come Antigone. Ha attraversato i maggiori palcoscenici italiani». Durante questo lungo apprendistato è cambiato il suo rapporto con le parole? Ci sono state ristrutturazioni?
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“Edipo a Colono” in un dipinto di Fulchran-Jean Harriet; nella pagina a fianco Ruggero Cappuccio
«Non l'ho mai più toccato per un motivo molto semplice: le parole a teatro sono note musicali. La parola a teatro si ascolta, non si legge, e il pubblico ha un rapporto con i suoni, non con i segni. Il mio Edipo a Colono è una partitura, che prende nuove forme a seconda del suo direttore d'orchestra». La ripresa di questo spettacolo doveva essere originariamente realizzata da Eimuntas Nekrošius. «Sì. Nekrošius e Tuminas, i più grandi registi russi viventi, erano amici. Quando Nekrošius è morto improvvisamente, lo scorso novembre, Tuminas ha deciso di completare il suo lavoro e dedicare alla sua memoria questo Edipo a Colono. È un vero atto d'amore». Qual è il senso della sua versione di Edipo a Colono? «Questo Edipo è ambientato nel Novecento, non per un desiderio di attualizzazione, che rifuggo, ma perché la tragedia di Sofocle è il paradigma più alto del dolore. Il dolore umano viene esplorato con una profondità e una ferocia che non ha precedenti né prosieguo nella storia della letteratura mondiale. Ci troviamo di fronte agli
abissi dell'animo umano e ciò continua a riguardarci perché siamo tutti Edipo, interiormente. La psicanalisi ci ha svelato come questa tragedia che veniva raccontata molti secoli prima di Cristo è una tragedia interiore. L'uomo che vaga nel Novecento è alla ricerca della pace, simboleggiata da Colono. Edipo è disposto a morire per trovarla». Rimas Tuminas ha definito il suo testo “una rinascita di Edipo”. Cosa ne pensa? «La morte è letta come rinascita. Io ritengo che non siamo mai nati e mai morti. Quando mangiamo una mela, stiamo mangiando l'acqua e il sole. Senza questi elementi, la mela non esisterebbe; noi stessi siamo parte di questi elementi, e a livello materico apparteniamo al tutto. Veniamo dall'eternità. La riconversione col tutto è la cosa più importante nella storia di Edipo. Vuole ricongiungersi: passa attraverso la vita che vive, ma ha bisogno di liberarsi. E questo processo di liberazione può avvenire solo attraverso la morte». m
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Le parole e il mare sulla mescolanza che generano le correnti del Mediterraneo DI IACOPO GARDELLI
Alessandro Vanoli, bolognese classe ‘69, è uno storico atipico. In lui l’urgenza di parlare a un pubblico più vasto, mettendosi in gioco in prima persona, convive con la rigida disciplina propria della sua materia. Da qui nascono i suoi libri, che mischiano autobiografia e storia del Mediterraneo; da qui nasce questo spettacolo, dal titolo foucaultiano Le parole e il mare. Assieme a Lino Guanciale e al musicista Marco Morandi, Vanoli ha tessuto un racconto che vuole varcare la soglia dell’accademia per parlare a tutti, mettendo il pubblico davanti a un fatto incontrovertibile: siamo figli della mescolanza mediterranea. Il 24 giugno, Vanoli sarà in scena al museo Classis, a pochi metri da un antico luogo di quella stessa mescolanza: il porto di Classe. Come si è avvicinato al teatro, e cosa significa per uno storico scrivere per la scena? «Ho un passato accademico, durante il quale mi sono occupato per anni dei rapporti fra culture nel Mediterraneo. C’è stato poi un momento di passaggio importantissimo: rimanendo sempre uno storico, ho deciso di lasciare l’accademia. Ero all’estero, il mio maestro era morto – e in accademia, se non hai buoni sponsor, sei fuori. Perciò ho pensato di cambiare mestiere e di scrivere per un pubblico più largo, non per i soliti quattro gatti che ti leggono solo per vedere se li hai citati». Non ha avuto un buon rapporto con l’accademia italiana. «Sono stato molto fortunato, in realtà. Non ho mai avuto recriminazioni e ho seguito maestri meravigliosi: Paolo Prodi, Giorgio Vercellin, Valerio Marchetti, Carlo Ginzburg. Ho amato moltissimo il mio mestiere. Poi ho cominciato a credere di meno alla capacità della storia fatta dai tecnici di riuscire a parlare alle persone. Io avevo bisogno di questo». Il teatro come mezzo per raggiungere un pubblico più vasto. Questo spettacolo, ad esempio, è
un sunto di due libri divulgativi che aveva già scritto. «Esatto. Il teatro è un’estensione naturale del mio scrivere. Quando sono tornato ho scritto Quando guidavano le stelle, un racconto di viaggio dove mescolo storia personale e storia del Mediterraneo. Quindi ho incrociato Lino Guanciale, che ha lavorato su alcune parti del mio libro. Da lì è nata un’amicizia». Si è trovato a suo agio sul palco? «A mio agio sì, ma cosciente che ognuno deve rispettare il suo ruolo, sopratutto di fianco a un attore del calibro di Lino. Posso giocare quanto voglio, ma gioco come uno storico che si sforza di fare l’attore; a sua volta, Lino gioca a fare lo storico. Questo è un po’ il sotto testo dello spettacolo». Sul palco assieme a voi ci sarà Marco Morandi, che ha curato le musiche. Che tipo di relazione avete creato fra parole e spartito? «Questo è uno spettacolo di tre persone. Marco non fa solo le musiche, Marco racconta con noi attraverso la musica. Quando con Lino scrivemmo lo spettacolo, lo pensammo originariamente per tre. Marco venne a sentirci in Abruzzo, si disse interessato all’idea ed entrò nel progetto. Grazie a lui, in modo abbastanza divertente, si arriva quasi al teatro-canzone. Il repertorio spazia da Modugno a Gaber, nostri amori fortissimi, a testi più popolari o evocativi». A scuola ci insegnano che, nel mondo antico, il Mediterraneo era la vena pulsante del commercio e dalla cultura. Poi, con l’avvento dell’Islam, il Mediterraneo si richiude. Questa vulgata è vera? «Questa è l’opinione di Henri Pirenne, già ampiamente smentita negli anni Ottanta quando si cominciava a recuperare il discorso di Fernand Braudel in senso più largo. Purtroppo però ritorna, spesso strumentalmente, per sostenere che siamo sempre in lotta con qualcuno». Perché uno spettatore di oggi, pienamente globalizzato, si dovrebbe interessare a un racconto che parla dei porti del
Lino Guanciale
Mediterraneo? «C’è un motivo banale: si scopre che siamo fatti di parole mescolate. Siano esse latine, greche, arabe o ebraiche, in esse è estremamente visibile la mescolanza, che si traduce inevitabilmente in una biologia. Siamo dizionari complessi, al di là della questione incidentale del conflitto fra cristiani e mussulmani. Non è un racconto dove si parla per forza di quanto ci siamo voluti bene. Il problema è capire a cosa apparteniamo». È la storia di un’appartenenza? «Sì, di un’appartenenza inventata. Come quella alla nostra nazione, che è un’invenzione dell’Ottocento, come sappiamo. Ma noi non apparteniamo alla nazione per natura; per natura apparteniamo a spazi diversi. Dunque: perché non appartenere anche al
Intreccio fra storia, teatro e musica con Alessandro Vanoli, Lino Guanciale e Marco Morandi
Alessandro Vanoli
Mediterraneo? Ci sono buone ragioni per dire che ci apparteniamo molto più di quanto sospettiamo. Lo sguardo deve essere più ampio, ma anche più realistico: dobbiamo vederci come cittadini del Mediterraneo». Il Mediterraneo diventa il veicolo per raccontare un’appartenenza allargata. Un verace padano salviniano è anche un po’ arabo? «Basterebbe fargli il test del DNA. Non esiste nessuno di noi (forse in qualche valle del bergamasco?) che non sia per una buona percentuale anche libanese, turco, eccetera. Dopo secoli di schiavitù, matrimoni, stupri, scambi e rapporti, il finale siamo noi. Non è l’uso di parole arabe come “limone” o “arancia” che fa di un salviniano un potenziale arabizzato: è che proprio lo è!» m
The Words and the Sea: Between History and Theatre Alessandro Vanoli is an atypical historian as he unites the rigid discipline of his research with the need to speak to an audience as large as possible. You can see it in his books that have given origin to the theatre piece entitle “The words and the Sea”. Together with the musician Marco Morandi and the actor Lino Guanciale, he will be on stage on June 24th at Classis Museum. «I have studied the relationships between cultures in the Mediterranean sea for years. When I decided to leave University, I have thought I could write for a larger audience. Theatre is a natural extension of my books. How do I feel on stage? I am at ease, but I am aware that everyone must play his role: I am an historian who tries to be an actor, while Lino Guanciale is an actor who tries to be an historian. Marco Morandi is telling his story too, using music». Why should a globalized audience be interested in a piece about ports in the Mediterranean sea? «For a very simple reason: you find out we are all made of mixed words. They can be Latin, Greek, Arabian or Jewish, but you can see in them a mixing that becomes biology. We are complex dictionaries. We are the final outcome of centuries of slavery, marriages, rapes, exchanges and relationships».
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immaginario
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da
Alice alle
Orizzonti di un'altra dimensione: nel paese delle meraviglie
visioni psichedeliche Oltre all'onirico romanzo di Carrol, le poetiche moderniste, dada, surrealiste di inizio '900 e le nuove tendenze dell'op e pop art, si intrecciano negli anni Sessanta a prefigurare spaesanti stati alterati di coscienza e simbologie perturbanti DI SERENA SIMONI
«Ma io non voglio andare tra i matti – disse Alice al Gatto, che subito le rispose: – Beh, non hai altra scelta. Qui siamo tutti matti». Passano 100 anni esatti fra queste laconiche ma significative battute tratte dal romanzo più famoso di Lewis Carrol, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, e la nascita dei Pink Floyd, il gruppo musicale inglese considerato il primo riferimento per l’arte e la musica psichedelica in Europa. Alice in Wonderland pubblicato nel 1865 entra a pieno titolo nella rosa dei motivi cult della generazione psichedelica alla metà dei Sixties che vedeva nella storia surreale della protagonista alcune delle proprie ossessioni: la distorsione della realtà, la strada alternativa data da stati mentali irrazionali e onirici, la nostalgia della infanzia e del suo potenziale bagaglio immaginifico. L’avvertimento del Gatto – Qui siamo tutti matti – corrisponde ad un’interpretazione positiva alla follia che sdogana l’idea dell’importanza di liberarsi dagli schemi. Si attiva così un formidabile raccordo fra questa generazione e alcune formazioni
delle Avanguardie – Dada e Surrealisti – che non a caso avevano avuto la stessa predilezione per il romanzo di Carroll. La follia rappresenta lo stato creativo per eccellenza e se la natura rischia di essere avara, l’uscita dalla realtà può essere procurata dall’uso di droghe come l’LSD. La sostanza ipnotica risulta essere utilizzata in modo abbondante dalla stragrande maggioranza di giovani, artisti e musicisti, fra cui Syd Barrett, uno dei fondatori dei Pink Floyd. Alice e i personaggi del racconto diventano quindi la fonte di ispirazione per numerosi graphic designer a cominciare da Joe W. McHugh che nel 1967 realizza un poster in cui la figura del Bianconiglio campeggia in uno spazio prospettico ristretto, tutto giocato su colori flash – dal blu e rosso al nero – e su linee ondulate stilizzate. Oltre ai riferimenti psichedelici non manca una citazione della Op(tical) Art, una delle correnti principali dell’epoca, i cui effetti visivi caratterizzano lo spazio tridimensionale ristretto e profondo del manifesto, in cui la percezione dello spettatore diventa parte attiva dell’esperienza. La Op Art infatti >>
In alto: Joe W. McHugh, White Rabbit "Keep Your Head", 1967 In basso: Peter Blake e Jann Haworth, copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, The Beatles, 1967
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predilige il bianco e nero – qui trasformato in una banda bicolore blu-nera – e i giochi ottici che causano effetti vertiginosi come l’illusione del movimento dell’immagine. La Op Art – che al tempo modula anche la produzione di abiti, accessori e arredamento di tendenza – corrisponde in modo preciso al desiderio di spiritualità di questi tempi e soddisfa il bisogno contemporaneo di protagonismo individuale nell’esperienza del mondo, enfatizzando l’immersione in una metamorfosi percettiva continua. Nel lavoro di McHugh – oggi battuto all’asta come un pezzo vintage di grande valore – sono visibili anche influssi Art Nouveau: le decorazioni stilizzate laterali sono una rielaborazione in stile psichedelico delle decorazioni floreali e lineari del Modernismo, tornato in auge proprio in questo decennio grazie al grande successo della mostra, aperta nel 1966, dedicata a Aubrey Beardsley, l’illustratore Modern Style preferito da Oscar
Wilde. Nella sede espositiva del Victoria and Albert Museum accorsero numerosi artisti e grafici che rimasero abbagliati dalla sensualità e dal linearismo delle immagini di Beardsley, dando respiro ad un recupero di questo linguaggio utilizzato in poster, illustrazioni, copertine di dischi e nella grafica degli anni ‘60. Tornando al personaggio di Alice occorre ricordare le tavole realizzate nel 1970 dall’artista Peter Blake, considerato uno dei padri della Pop Art britannica che va ad aggiungersi alle preferenze accordate all’Op Art e all’arte psichedelica. Blake è più famoso al grande pubblico per aver realizzato nel 1967, insieme a Jann Haworth, la copertina dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, dove troviamo al centro i quattro componenti della band circondati da una folla di attori, scrittori, musicisti contemporanei e del passato, da Edgar Allan Poe a Bob Dylan, da Mae West e Marlon Brando a Frued e Jung, da Fred Astaire ad Aubrey Beardsley. >>
In alto a sinistra: Peter Black, “But isn't it old! Tweedledee cried”, Through the Looking Glass series, 1970 (acquerelli) In alto, in mezzo: Hapshash, Jimi Hendrix Experience, manifesto per il concerto di San Francisco, 1967 In alto a destra: Hapshash, CIA v UFO, manifesto per il concerto dei Pink Floyd all’Ufo Club di Londra, 1967 A sinistra, in mezzo: Richard Hamilton, Swingeing London, 1967 (pittura acrilica, serigrafia, carta, acetato di alluminio su tela) A sinistra, in basso: Andy Warhol, copertina per Stick Fingers, The Rolling Stones, 1971
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In alto a sinistra: Hipgnosis, copertina dell’Lp A Saucerful of Secrets, Pink Floyd, 1968 In alto a destra: Hipgnosis, copertina dell’Lp Atom Hearth Mother, Pink Floyd, 1970 Qui sopra: Hipgnosis, copertina dell’Lp Wish You Were Here, Pink Floyd, 1975 Nella pagina a fianco: John Pasche, logo Tongue and Lips per The Rolling Stones, 1970
In mezzo a tutti non poteva mancare la figura di Lewis Carroll, il cui immaginario detta le atmosfere surreali e il testo psichedelico di Lucy in the Sky with Diamonds a firma di John Lennon e Paul McCartney: si tratta di uno dei brani più discussi contenuti nell’album, proibito da numerose emittenti radiofoniche per il fatto di possedere le stesse iniziali dell’LSD. Lennon dichiarò che l’ispirazione proveniva da un disegno di suo figlio di John e dalle atmosfere surreali contenute nei romanzi di Carrol, icona spirituale di tutta una generazione, come conferma un secondo lavoro di Blake pubblicato nel 1970: assieme all’artista Graham Ovenden, l’artista inglese esegue una serie di acquerelli per illustrare Through the Looking Glass, utilizzando un registro iconico ispirato alla realtà. Scomparsi gli influssi psichedelici, il lavoro presenta contrasti fra parti tridimensionali e grandi campiture piatte, allineandosi al linguaggio Pop per l’attenzione accordata alla letteratura popolare e la scelta di immagini sintetiche, debitrici del fumetto e della fotografia. Ancora Pop è l’ambito a cui attinge un’altra figura centrale nelle realizzazioni delle cover dei maggiori gruppi della scena londinese: si tratta di Richard Hamilton che a metà degli anni ‘50 segna il suo approdo alla scena artistica britannica con la
mostra This is Tomorrow realizzata alla Whitechapel Gallery. Il successo della esposizione e l’influsso successivo sulla Pop, porta Hamilton al centro della scena londinese rappresentata dalla Invicta Gallery di Robert Fraser, detto “Groovy Bob”, dove passano i più importanti artisti Pop inglesi e americani fra cui Gilbert and George, Andy Warhol e Jim Dine. Le mostre sono frequentate dal jet-set e diventano il punto di incontro di personalità come Mick Jagger, Keith Richards, Marianne Faithfull, il fotografo Michael Cooper e lo scrittore William Burroughs. Abituato al fatto che le sue mostre venissero chiuse dalla polizia per motivi legati alla morale, nel 1967 il gallerista ha il coraggio di ospitare una serie di opere ad acrilico e serigrafia su tela firmate da Hamilton in cui i protagonisti sono Fraser stesso e Mick Jagger ripresi da una foto scattata durante un arresto per detenzione di sostanze stupefacenti. La galleria diventa il centro di contatti e amicizie che sviluppano amicizie e lavori grafici. Hamilton entra in contatto con McCartney e realizza la cover del White Album dei Beatles uscito nel ‘68: la risposta concettuale e minimalista della copertina – di un bianco immacolato – non è solo una sfida al precedente album realizzato da Peter Blake ma è anche la dimostrazione degli interessi eclettici dell’artista che prende atto della contemporanea
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ricerca minimalista, nata nel 1965 a Londra ma esplosa negli States con gli artisti della costa est. Attorno alla figura di Fraser si muovono anche i Rolling Stones che diventati intimi di Andy Warhol gli affidano nel 1971 la realizzazione di un’altra cover planetaria, quella dell’album Sticky Fingers. La copertina – raffigurante un paio di jeans con un evidente gonfiore sui genitali – viene proibita in Russia e nella Spagna ancora franchista. Scandalose vengono considerate anche il logo di John Pasche per il gruppo musicale – la Tongue & Lip, bocca e lingua in evidenza – e le fotografie di Billy Name in cui i componenti della band apparivano seminudi. La grafica dell’album viene affidata allo statunitense Craig Braun, suggerito da Warhol, che nel 1967 aveva firmato insieme a lui anche la copertina della famosa banana fallica impressa sul primo album dei Velvet Underground. Fra i graphic designers più famosi dell’epoca spiccano numerosi nomi di rilievo – Nigel Waymouth e Michael English, Michael McInnerney e Martin Sharp – a più riprese attivi per i Pink Floyd, Bob Dylan, Jimi Hendrix e numerose altre star della musica. Waymouth e English – uniti dal ‘67 nello studio grafico Hapshash & The Coloured Coat – sono anche musicisti oltre che prolifici autori di poster psichedelici e coloratissimi. Le loro serigrafie che dalla metà degli anni ‘60 pubblicizzano concerti, fanzine, negozi e club – come il locale di tendenza UFO – invadono Londra divenendo così famose da costringere per la prima volta il mercato dell’arte ad interessarsi ai manifesti pubblicitari. Uno dei poster più famosi di Hapshash viene realizzato nel 1967 per il concerto di Jimi Hendrix a San Francisco, in cui il chitarrista appare travestito da capo indiano, attorniato da oggetti della cultura nativo americana, sotto la scritta Jimi Hendrix Experience. Il linguaggio psichedelico utilizzato ingaggia pochi colori – rosso, rosa shocking e bluette su fondo oro – per un disegno al tratto e stilizzato in cui le movenze lineari e la bidimensionalità sono di nuovo debitrici dell’Art Nouveau. Mucha, Ernst, Magritte, Bosch sono gli artisti che favoriscono la creatività dello studio grafico, che crea addirittura una nuova tendenza a cui dà il nome di “Nouveau Art Nouveau”. In questo mélange fra modernismo, surrealismo e recuperi di artisti visionari dai
secoli passati, nasce anche il manifesto per i Pink Floyd, gruppo “residente” al club UFO di Tottenham Court Road, un locale nato nel 1966 a seguito del successo di una serata organizzata dalla rivista “IT”. Per il concerto del gruppo – tenuto il 28 luglio 1967 – Hapshash riconferma la scelta di uno stile lineare e dinamico unito ai colori flash, questa volta su fondo argento: il soggetto è un castello volante, portato da una figura femminile alata in un cielo frequentato da uccelli meccanici, dischi volanti e aereoplani, che sovrasta la scritta CIA v(ersus) UFO. Se la grafica britannica e statunitense degli anni ‘60 avrebbe diritto ad uno spazio maggiore grazie alla produzione eccellente di numerosi studi e graphic designer – come Ivan Ripley, John Hurford, Dudley Edwards e i già citati Sharp e McInnerney – occorre concludere nominando almeno il lavoro di Hipgnosis, uno studio composto inizialmente da Storm Thorgerson e Aubrey Powell che alla metà del decennio dividono l’appartamento con Syd Barrett. Ipnosi e Hip (trendy) sono le parole che danno vita al gruppo che deve la sua fama alla realizzazione di copertine di dischi fra cui quelle degli album dei Pink Floyd, da A Saucerful of Secrets (1968) e Ummagumma (1969), da Atom Hearth Mother (1970) e The Dark Side of the Moon (1973) fino a quella di Wish You Were Here (1975). Se nella prima della serie è ancora visibile l’influsso psichedelico pur nel superamento della bidimensionalità tipica della grafica contemporanea in sintonia con le scelte musicali psichedeliche dei Pink Floyd, già a cominciare da Ummagumma la fotografia diventa il mezzo più utilizzato per le immagini – sempre spiazzanti e dislocate come la celebre mucca di Atom Hearth Mother – che segnano il nuovo corso del progressive rock del gruppo. Con la piramide sulla copertina di The Dark Side of The Moon può dirsi conclusa l’epoca più hippie e psichedelica dell’immaginario dei ruggenti anni Sessanta. Il riferimento a Magritte e la critica sottintesa all’industria discografica su cui si concentra la foto di un salesman col vestito in fiamme sulla cover Wish You Were Here dichiarano il senso del vuoto – di morale, di integrità, di volto – ma regalano all’umanità uno delle versioni musicali più poetiche sul tema dell’assenza. m
From Alice in Wonderland to psychedelic visions Lewis Carrol’s Alice in Wonderland was published in 1865, one hundred years before Pink Floyd, the first English psychedelic band in Europe, was founded. Lewis' novel soon became a cult book for the psychedelic generation of the midSixties who saw some of their own obessions in the protagonist’s surreal story: the distortion of reality, an alternative way to approach things due to irrational and dreamlike mental conditions, the nostalgia for childhood and its imaginative potential. There was also a special connection between this generation and some expressions of the avant-garde mouvements such as Dadaism and Surrealism. Craziness was their favourite creative condition and if nature was not generous enough, they would reach it taking drugs like Lsd. Alice and her characters have inspired many graphic designers such as Jow Mcugh who made a poster in 1967 with the image of the White Rabbit. In McHugh's work you can also see hints of Optical art and Art Nouveau's influences. Also Peter Blake worked on Alice, even if he is more famous for his cover (made together with Jann Haworth) of Beatles' album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band. The members of the band are surrounded by a crowd of actors, writers, musicians including Edgar Allan Poe, Bob Dylan, Mae West, Marlond Brando, Freud and Jung. In the midst of them, there is also, of course, Lewis Carroll. Lennon explained that the famous song “Lucy in the Sky with Diamonds would” was inspired to Alice in Wonderland. Blake also published in 1970 another work dedicated to Lewis: Through the Looking Glass. In the mid-Fifties Hamilton’s exposition “This is Tomorrow” had a huge success and he soon started to work with Robert Fraser's Invicta Gallery, whose exhibitions were attended by Mick Jagger, Keith Richards, Marianne Faithfull, Michael Cooper and William Borroughs. Hamilton met McCartney and in 1968 he designed the cover of the so-called White Album. Also The Rolling Stones attended Fraser's gallery and asked Andy Warhol to make another world-famous cover: the one for Sticky Fingers. Many of the most famous graphic designers of the time - Nigel Waymouth and Michael English, Michael McInnery and Martin Sharp - worked for Pink Floyd, Bob Dylan, Jimi Hendrix and many other musicians. Waymouth and English's screen printings advertised concerts, fanzine, shops, clubs and became so famous to force the art market to take interest in advertising posters. British and Us graphics from the Sixties deserve a more important place also thanks to the studio Hipgnosis originally founded by Storm Thorgerson and Aubrey Powell who, in mid-Sixties, shared the flat with Syd Barrett and realized many different covers for the band such as A Saucerful of Secrets (1968), Ummagumma (1969), Atom Hearth Mother (1970), The Dark Side of the Moon (1973), Wish you were here (1975).
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Odissea nel contemporaneo
Sulle tracce dell'
Negli scatti di Stefano De Luigi, l’indagine visiva fra ciò che resta dell'epica del viaggio, di avventura e conoscenza, e un nuovo sguardo “digitale”
«Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto». Jorge Luis Borges DI SABINA GHINASSI
Stefano De Luigi è un fotoreporter, visionario e insieme concreto, aggrappato a un codice etico e estetico di grande rigore e poesia. Ha vinto moltissimi premi, è curioso e amante della sperimentazione, un vero fotografo- esploratore tanto da scegliere, per il progetto iDyssey, dal quale sono tratte le immagini scelte da Ravenna Festival per accompagnare il tema di quest’anno, due iphone come strumenti per ripercorrere il viaggio di Ulisse verso Itaca, usando il libro Dans le sillage d’Ulysse dell’ellenista francese Victor Berard come cahier de vie. «Lo scopo del progetto è descrivere ciò che rimane di un mondo epico e come il Mediterraneo, culla della cultura occidentale, si è evoluto, modificandone aspetto e sostanza. Ho provato, attraverso
storie di persone che ho incontrato sul mio percorso, a descrivere luoghi e culture di tre lati di un mare che rappresenta ancora un ponte ideale di tradizione e religione tra Asia, Africa ed Europa» – ha spiegato. Il suo obiettivo era quindi quello di mettere insieme il nostro passato, cioè l’Odissea e la radice classica dell’Occidente, e il futuro, attraverso l’uso di dispositivi digitali come due semplici iphone. Il risultato è iDissey, un progetto artistico multimedia, del quale fanno parte anche cortometraggi e registrazioni di suoni; un’opera rizomatica e multi faccia, tanto da rientrare, come in questo caso, nella narrazione di un grande festival o in azioni diverse, come mostre, conferenze, incontri, pubblicazioni (iDissey, commissionato da Geo
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France, è stato pubblicato dal “New Yorker”). In iDyssey tutto emerge dal mare magnum dell’archivio in cui De Luigi ha raccolto il materiale delle dodici tappe del suo viaggio, durante il quale l’artista ha registrato immagini, video e suoni, facendo anche leggere nella lingua locale di ogni luogo, l’estratto dell’Odissea sul luogo stesso. Ha raccolto frammenti della nostra identità. Non chiudendoli in un recinto inviolabile, ma lasciando parlare le differenze, le declinazioni di un luogo, il Mediterraneo,
che continua a essere il grande riflesso, meraviglioso e crudele, della nostra contemporaneità lacerata e complessa. iDyssey è quindi sì un reportage fotografico, ma anche, e soprattutto, un lungo racconto che, simbolicamente, apre tante finestre sull’alto mare aperto della nostra memoria collettiva e non si conclude, ma continua, accogliendo altre ipotesi di percorso nel nostro immaginario, negli archetipi che ci portiamo dentro, anche inconsapevolmente, illuminando quello che rifiutiamo o che abbiamo perso per strada.
In questo si comporta quasi seguendo i codici del transmedia storytelling: si offre a mille interpretazioni possibili, restando “intellettualmente onesto” e segnato da una poesia incandescente, profondamente sensoriale e sempre antiretorica. De Luigi nella sua Odissea parla in fondo al cuore e ci porta dentro il senso della nostra Storia, prendendoci per mano con gentilezza struggente e rispetto. Ci lascia la libertà di seguire ciò che evoca oppure no. Rapisce gli occhi dentro l’orizzonte marino; suscita nostalgia, la nostra
nostalgia di viaggiatori, di quel «essere a casa nostra ovunque», di cui scriveva Novalis, traccia genetica del nostro passato remoto di nomadi. Lui, il nostro image maker, per il suo progetto ha viaggiato due mesi con ogni mezzo di trasporto, libero e leggero, diventando “trasparente” tra la gente che incontrava. Nel viaggio, sconosciuto tra gente sconosciuta, ha imparato a farsi Nessuno come Ulisse, concretamente, e ha iniziato il suo lavoro di Raccoglitore di senso. >>
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«Qui erano la Storia, gli uomini, i luoghi, il passato e il presente a giocare continuamente davanti ai miei occhi» ha raccontato in un’intervista di qualche anno fa. Così, durante il viaggio, il suo diario di bordo si è riempito di immagini
che hanno ridisegnato il pellegrinare di Ulisse verso Itaca, lo hanno tradotto ai giorni nostri, attraverso uno sguardo terso e incantato, oppure indistinto, svaporato, quasi a voler trattenere il pulviscolo della memoria, prima
Piadina, Crescioni e tante altre
o proposte anche senza lievito e strutt Ravenna, via Sant’Alberto, 105 piadina.ravenna per prenotazioni tel. 0544.455709 ORARIO CONTINUATO dalle 11.30 alle 21.00
di perdersi. Perdersi, appunto, accogliendo l’incerto, l’indefinito, il residuale. Cercandolo. L’imprevisto in ogni tappa del suo cammino è accolto sempre come un’epifania: scogli nei quali si infrange la spuma del mare della quale puoi quasi avvertire la salsedine, accensioni di lava nella notte, spiagge sterminate e silenziose, tracce di archeologie evanescenti non domate dall’efficienza museale, imperfette antropologie contemporanee che si sovrappongono all’antico. L’occhio del fotografo qui diventa medium poetico e indicatore di senso, di bellezza incandescente e imperfetta
raccolta nel suo dissolversi nella luce della sera, alle volte nitida e netta, alle volte sfocata, come catturata nel fragile momento tra il sogno e il risveglio. In questi luoghi il nostro mondo si offre senza mercificazioni; non segue le rotte dei mercanti; si fa esplorare, si offre, lasciandosi accarezzare dal pulviscolo luminoso. Con voce limpida De Luigi racconta culture sovrapposte come un groviglio di radici, senza enfasi e, rapito dai loro mille volti, si accende, raccoglie i mutamenti dell’imprevisto. iDyssey assomiglia in questo a una sorta di romanzo di
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A contemporary Odyssey: Stefano De Luigi on the trail of Ulysses
formazione, un viaggio che, nonostante arrivi a Itaca, è importante per le tappe, per le sospensioni, per gli accadimenti casuali, gli incontri, le derive. Anche qui l’Itaca ritrovata non è la stessa di quando Ulisse è partito.
Ha dovuto lasciarla e recidere i legami per potere ritornare, cambiare quindi, attraversare frontiere, accorgendosi che sono flessibili e mortali come noi. m
Stefano De Luigi is a visionary but also concrete photoreporter who follows a rigorous and poetical ethic and aesthetic code. The images chosen for the catalogue of this edition of Ravenna Festival are taken from his project “IDyssey” where he has chosen to follow Ulysses's journey towards Ithaca equipped with two Iphones. He has used as cahier de vie the book Dans le sillage d'Ulysse by French Hellentic Victor Berard. About IDyssey De Luigi has explained: «The aim of the project is describing what is left of an epic world and the way Mediterranean sea has evolved, changing shape and substance of Western culture. Through the people I have met I have tried to describe places and cultures of the three sides of a sea that still represents an ideal bridge of tradition and religion among Asia, Africa and Europe». The project is rhizomatic and multimedial and includes not only photos, but also short films and sound recordings collected during the twelve stops of his journey. He has collected fragments of our identity. Therefore IDyssey is a photo reportage but it is also a long tale that, metaphorically speaking, opens a lot of windows on the “high seas” of our memory. The unexpected along his journey has always been accepted as an epiphany: cliffs, nightly bursting of lava, silent and endless beaches, ephemeral archeological ruins, flawed contemporary anthologies overlapping with antiquity. With a clear voice Luigi speaks of overlapping cultures like they were a tangle of roots. Just like in the Odyssey, the Ithaca he finds in the end is not the same Ulysses found at the end of his journey. He has had to leave from it and chop off ties to be able to go back there, he has had to change and cross frontiers discovering they are as mortal and flexible as we are. http://www.stefanodeluigi.com
http://www.stefanodeluigi.com
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Dal secolare Pavaglione piazza porticata di Lugo a Darsena Pop Up spazio ex industriale “rigenerato” nella darsena di città di Ravenna
DI DOMENICO MOLLURA
Colazioni, pranzi, aperitivi Due luoghi diversissimi per contesto urbano e scala architettonica ma che nel ruolo di elemento identitario all’interno con contesto urbano, che sia centro storico o periferia. Il Pavaglione, ormai consolidato simbolo (e testimonianza, insieme alla vicina Rocca) del cuore della città di Lugo che per la prima volta ospita il Ravenna Festival – e Darsena PopUp, nuovo polo attrattivo nel percorso di rigenerazione della Darsena di Città di Ravenna. Anch’esso uno luogo indedito per il Festival, che affianca l’adiacente spazio teatrale delle Artificerie Almagià Prato della Rocca, Padiglione de’ follicelli da seta, Fabbrica della Fiera, Paviglione: queste sono le principali denominazioni con le
Piazza Mazzini, 35 LUGO - LOGGE DEL PAVAGLIONE
quali è stato indicato l’ampio spazio posto ai piedi della Rocca di Lugo, e che dimostrano lo strettissimo legame del Pavaglione con la città, oltre a raccontare i mutamenti che le mura del primo hanno registrato nel tempo, in virtù dei mutamenti della seconda. L’ampio quadrilatero, oggi sede di botteghe storiche, piazza porticata, spazio del mercato cittadino e della Fiera Biennale del commercio, agricoltura, industria e artigianato, trae origine dal primo loggiato, edificato sotto Alfonso II d’Este a partire dal XV secolo, come riparo per le milizie e occasionalmente per i mercanti, nell’area lasciata libera dopo la demolizione della cinta muraria della Cittadella. Per successive espansioni, il Pavaglione (una corte di 6000 mq con 14 accessi) è diventato un riconosciuto archetipo dell’architettura commerciale storica, quasi unico nel panorama urbano italiano tanto da indentificarsi con Lugo “città mercato” e costituire un centro nevralgico, economico e sociale, dell’intera bassa Romagna, già in epoca preunitaria. L’area destinata ai mercati, nel frattempo dotata di altri due loggiati verso est e ovest, cresceva di importanza nel commercio della seta richiedendo idonee coperture a protezione dei bachi, merce preziosa quanto delicata. Tuttavia tendaggi e precarie strutture lignee mal si adattavano all’importanza commerciale di Lugo. È per tale motivo che a partire
Vari scorci del Pavaglione di Lugo, vasta piazza porticata nel cuore della città fin dalla fine del Settecento
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dal 1781 l’area viene formalizzata da un progetto organico, firmato dall’architetto ferrarese Giuseppe Campana che reinterpreta la tipologia edilizia del portico della città padana portandola a confrontarsi con la morfologia urbana. Lo spazio porticato, invece di essere lineare, si avvolge attorno ad una “piazza” (l’odierna Piazza Mazzini), chiudendosi su se stesso e amplificando – nella solidità della pietra e del mattone – l’orizzontalità della grande
pianura, messa in discussione solo nel 1936 con la realizzazione, in continuità ad uno dei vertici del Pavaglione, del monumento celebrativo a Francesco Baracca e della sua altissima ala di marmo. Campana, in aderenza al gusto architettonico dell’epoca, dona al quadriportico una veste neorinascimentale impostata su un doppio ordine dorico, sia dei loggiati che dei quattro fronti urbani, mentre archi trionfali con timpano rendono
permeabile alla città la corte interna chiusa dai nuovi loggiati, tamponati per far spazio a botteghe “stabili” e dotate di un locale di servizio al piano superiore; infine, progressive demolizioni di alcuni edifici addossati all’esterno della struttura, hanno portato al completo isolamento del Pavaglione con conseguente amplificazione del suo aspetto monumentale. L’importanza del Pavaglione è dimostrata anche dalla lunga
serie di interventi di manutenzioni, ricostruzioni e restauri che hanno conservato i caratteri di questa simbolica costruzione a partire dalla paventata demolizione a causa degli ingenti danni conseguenti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Le ultime opere di riqualificazione in ordine temporale – concentrate sui loggiati interni e completate tra il 2015 e il 2017 – hanno restituito il disegno >> delle strade di Lugo
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illuminazione a LED della corte, progettato appositamente per valorizzare l’immagine mutevole del quadriportico in tutte le condizioni climatiche, quasi a riprodurre i paesaggi urbani raccontati dalla fotografia di Luigi Ghirri e aggiungere magia a questo luogo sospeso tra passato e futuro. m
Recentemente la piazza di Lugo è stata al centro di importanti opere di restauro e riqualificazione
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Cucina etica, vegana e biologica
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prima del Pavaglione, incise nella nuova pavimentazione in ghiaietto della corte. Rinnovata anche la pavimentazione perimetrale in acciottolato utilizzando ciottoli di recupero; sul lato ovest è stato previsto un sistema di nuove sedute, raggruppare come piccole cavee teatrali. Approfondite le analisi sulla struttura e sui materiali, grazie alle quali è stato elaborato l’intervento di miglioramento sismico con il rinforzo delle voltine, l’installazione di tiranti ai pilastri e sui frontoni oltre al coerente ripristino delle superfici e al restauro di statue, fregi e lapidi commemorative. La caratterizzazione acustica della corte e del suo immediato intorno ha fatto emergere, inoltre, come il Pavaglione sia nelle condizioni ideali per poter ospitare manifestazioni con impatto ampliando, pertanto, la sua già ricca versatilità d’uso. Nuovo anche il sistema di
La Darsena di Città di Ravenna, dopo anni di piani rimasti sulla carta, proclami e presentazioni di progetti fuori scala, ha intrapreso la strada di una rigenerazione – ormai sempre più polifonica – basata sul misurato recupero del patrimonio di edifici ed aree dismesse. Ne è un chiaro esempio Darsena Pop Up, un deposito di inerti abbandonato che tra il marzo e il giugno del 2016 si è trasformato in un centro di aggregazione di grande richiamo. Si tratta di un progetto pilota, elaborato dallo studio Officina Meme Architetti di Ravenna, che mette in pratica il concetto di uso temporaneo, introdotto nella pianificazione di questa parte di città dal Piano Operativo Comunale Darsena e che prevede una destinazione – prevalentemente sociale, o ricreativa destinata all’uso pubblico – insediabile in attesa che i tempi (lunghi) dell’urbanistica portino alla completa riqualificazione del comparto. L’applicazione dei riusi in Darsena – che ha valso ad Officina Meme Architetti la menzione al Compasso d’Oro 2018 dell’ADI – ha mutato radicalmente la percezione dei luoghi ribaltandola dal degrado all’aggregazione. Sono stati individuati come poli aggreganti (e trasversali) lo sport e il cibo, quest’ultimo con la scuola di cucina, è declinato non nel suo mero aspetto formativo ma nel solco della condivisione di culture diverse o per una alimentazione di qualità anche in presenza di intolleranze alimentari. Ma anche eventi musicali e animazioni spettacolari. L’area, vero e proprio elemento di permeabilità tra la città e la banchina, è stata strutturata in spazi all’aperto dove praticare attività fisica (skate area, parkour,
genius loci 127 Ravenna Festival Magazine 2019
The unique Pavaglione in Lugo and the Re-Generated Darsena in Ravenna Among the places where Ravenna Festival will bring shows and performances there are in particular two novelties with a strong identity.
beach volley e tennis) e aree coperte per ospitare tutti i servizi collaterali, riutilizzando prevalentemente container commerciali, affiancati o sovrapposti. I principi sviluppati nel primo progetto e i primi positivi risultati, hanno spinto a rilanciare l’idea di rigenerazione urbana realizzata con Darsena Pop Up. Per questo motivo, nell’ambito del Bando Periferie a cui il Comune di Ravenna ha partecipato di concerto con i proprietari di alcune della aree poste in destra del vecchio porto canale e dal titolo Ravenna in Darsena, il mare in piazza, è stato immaginato il “raddoppio” di Darsena Pop Up all’insegna dell’innovazione, della ricerca, della sostenibilità globale, sociale e della resilienza territoriale. Il progetto, al momento in fase di stallo a causa del blocco dei finanziamenti ministeriali di cui la città di Ravenna è stata assegnataria, prevede una piattaforma, intesa come piccola unità di paesaggio e di ricerca, galleggiante sull’acqua. Su di essa troverà spazio un Open Lab per divulgazione scientifica e un giardino flottante capace di essere campo sperimentale,
area espositiva, punto di aggregazione. Non mancheranno i servizi ricreativi e di ristorazione, elementi strategici già nel primo progetto. La piattaforma sarà collegata alla banchina tramite un pontile che potrà funzionare anche come ormeggio in vista di un incremento dei collegamenti centro-mare lungo il Candiano. Il segmento della ricerca si arricchisce anche di un ulteriore progetto che sarà presto sviluppato in collaborazione con l’Istituto Agrario “L. Perdisa” di Ravenna che, all’interno di uno dei container di Darsena Pop Up, realizzerà una serra idroponica per la coltivazione di piante fuori suolo impiegando tecniche a basso consumo energetico. m
Sopra un’immagine di Darsena Pop Up, dall’ingresso che si affaccia sulla Darsena di Città In basso, un rendering dell’espansione dell’area funzionale denominata Darsena Pop Up 2, già progettata, in attesa di realizzazione nell’ambito dei piani di recupero e rigenerazione urbana del quartiere ex portuale e industriale a est di Ravenna
One is the “Pavaglione”, symbol of Lugo. The wide quadrilateral space is a porticoed square with historical shops and had its origins in the first “loggiato” commissioned by Alfonso d'Este in the XV century to offer a shelter to soldiers and, sometimes, to merchants. The Pavaglione (a 6,000 square metres court with 14 entrances) has become a renowned archetype of historical commercial architecture and it is almost unique in Italy. In 1781 the architect Giuseppe Campana developed the first overall project for the area reinterpreting the typology of the porch of cities in the Po valley. The porticoed space is not linear, though, but it encircles a square. According to the taste of those times, Campana chose a new-renaissance style with a double Doric order. The Pavaglione has been restored many times over the centuries, the last intervention (2015-2017) has involved the central and the perimeter paving. On the west side there are new sets of seats similar to small theatrical caveas. Also the new Led lighting system is new. The acoustic quality of Pavaglione allows to host there concerts and shows. The second one is the Darsena, in Ravenna. After long years of ambitious planning that have never been put into practice, the Darsena is now being renewed through a re-generation project involving the recovery of abandoned buildings and areas. “Darsena Pop up” is a clear example of this process: in 2016 a storage for inert materials was transformed in a successful gathering. It is a pilot project elaborated by Officina Meme Architetti where the gathering elements are sport and food. There are open spaces where you can practice skate, parkour, beach volley and tennis, together with restaurants, bars and a cooking school.
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Il cartellone 129 Ravenna Festival Magazine 2019
mercoledì 5 giugno
Mauro Covacich voce recitante
Palazzo Mauro de André, ore 21
con Ars Ludi Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri percussioni Gianni Trovalusci flauto Giuseppe Silvi live electronics
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI RICCARDO MUTI direttore MAURIZIO POLLINI pianoforte musiche di Felix Mendelssohn-Bartholdy, Wolfgang Amadeus Mozart, Maurice Ravel concerti
> da pag. 34
lunedì 10 giugno Artificerie Almagià, ore 23 NIHILOXICA Quando la techno incontra le percussioni ugandesi
martedì 11 giugno Sala del Refettorio del Museo Nazionale, ore 18
da giovedì 6 a sabato 15 giugno
OCCAM OCEAN - OCCAM XXVI di Éliane Radigue Enrico Malatesta percussioni
LE 100 PERCUSSIONI
martedì 11 giugno
in collaborazione con Accademia Musicale Chigiana
giovedì 6 giugno
Teatro Rasi, ore 21 OSTINATO di Giorgio Battistelli con Ars Ludi Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri percussioni
Chiostro della Biblioteca Classense, ore 18 UN RAVENNATE A PARIGI. FRANCO MANZECCHI PIONIERE DELLA BATTERIA JAZZ MODERNA conversazione a cura di Francesco Martinelli
DRUMMING di Steve Reich con Chigiana Percussion Ensemble direttore Antonio Caggiano Silvia Lee soprano, Chiara Tavolieri contralto, Manuel Zurria ottavino
mercoledì 12 giugno
da venerdì 7 a domenica 9 giugno
Darsena Pop Up, ore 21
Sala del Refettorio del Museo Nazionale, ore 21 HARMOGRAPH un progetto di e con Matteo Scaioli
venerdì 7 giugno
OFFICINA DEL RITMO: CONEXIÓN BUENOS AIRES Ensemble di percussioni diretto da Alejandro Oliva e coordinato da Marco Zanotti, attraverso i codici gestuali de “La Bomba de Tiempo”
Omaggio a Igor Stravinsky
sabato 8 giugno Omaggio a Egisto Macchi
domenica 9 giugno Omaggio a Giusto Pio
MILANO MARITTIMA
sabato 8 giugno Lido Adriano, Cisim, ore 18.30 STELLA CHIWESHE, LA REGINA DELLA M'BIRA
12
e
13 luglio 2019 ore 20.30
Circolo Tennis, Milano Marittima
conversazione con Marco Zanotti
domenica 9 giugno Lido di Dante, Fiumi Uniti, dalle 16 al tramonto
PROGRAMMA VENERDÌ 12 LUGLIO
Concerto Trekking (Tra argini e capanni)
20.30 Inizio Torneo
“SU LA FIUMANA OVE ’L MAR NON HA VANTO” (Inf. II.108)
23.30 Grand Buffet
Un percorso musicale e gastronomico tra gli argini e la foce dei Fiumi Uniti, in collaborazione con Trail Romagna, Chef to Chef - Emilia Romagna Cuochi, Comitato Cittadino Lido di Dante e Co.FU.Se.
lunedì 10 giugno Piazza del Popolo, ore 18 OFFICINA DEL RITMO: CONEXIÓN BUENOS AIRES Prove aperte
lunedì 10 giugno
(Invitati Vip, Autorità, Sponsor)
SABATO 13 LUGLIO 13.00 Buffet
“Bagno Paparazzi 242” (Invitati Vip, Autorità, Sponsor) 20.30 Inizio Torneo 23.00 Premiazioni 24.00 Cena (Invitati Vip, Autorità, Sponsor)
Palazzo dei Congressi, ore 21
In caso di pioggia si gioca al coperto
Drumming/Marathon Performance L’UMILIAZIONE DELLE STELLE
Info: 0544 973015 - 335 6252032 info@vipmaster.com
Concerto per percussioni, strumenti a fiato ed elettronica
INGRE GRATUSSO ITO
Organizzazione Mario e Patrick Baldassarri
www.vipmaster.com
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Il cartellone Ravenna Festival Magazine 2019
giovedì 13 giugno
coreografia e regia di Micha van Hoecke musica dal vivo eseguita dai Pink Floyd Legend solisti e corpo di ballo Compagnia Daniele Cipriani
Forlì, Chiesa di San Giacomo, ore 21 Karlheinz Stockhausen KATHINKAS GESANG ALS LUZIFERS REQUIEM
danza
> da pag. 86
con Chigiana Percussion Ensemble maestro concertatore Antonio Caggiano
domenica 9 giugno
venerdì 14 giugno
MISSA AETERNA CHRISTI MUNERA di Giovanni Pierluigi da Palestrina
Teatro Alighieri, ore 18
LiberaVox Ensemble direttore Luigi Taglioni
Basilica di San Vitale, ore 10.30
Nicola Sani TERRA. Per percussioni e elettronica.
in templo domini
> da pag. 46
Antonio Caggiano percussioni Alvise Vidolin live electronics
venerdì 14 giugno Centro storico, ore 19 MARCHING BAND con il Chigiana Percussion Ensemble
venerdì 14 giugno Artificerie Almagià, ore 21
mercoledì 12 giugno Palazzo Mauro de André, ore 21
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI LEōNIDAS KAVAKOS direttore e violino musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e Johannes Brahms concerti
> da pag. 36
GLEN VELEZ tamburi a cornice, special guest Loire Cotler
venerdì 14 giugno
sabato 15 giugno
Darsena Pop Up, ore 22.30
Chiostro della Biblioteca Classense, ore 18
PERCUSSION VOYAGER con Matteo Scaioli & Maurizio Rizzuto
sabato 15 giugno
ORIGINE E SIGNIFICATO DELLA LITURGIA DELLE ORE incontro col Priore del Monastero di Fonte Avellana Dom Gianni Giacomelli incontri, letture
> da pag. 46
Palazzo Mauro De André, ore 21 Le 100 percussioni: concerto finale TAMBURI NELLA NOTTE di Michele Tadini Per orchestra di percussioni direttore e solista Antonio Caggiano concerti
> da pag. 64
domenica 16 giugno Basilica di Sant’Agata Maggiore, ore 9.30 MESSA A 4 VOCI PER LA DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ di Joseph Gabriel Rheinberger (1839-1901) The Tallis Scholars direttore Peter Phillips
venerdì 7 giugno
in templo domini
> da pag. 46
Corte interna Centro Direzionale SAPIR, ore 19
QUINTETTO DI OTTONI DELL’ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI
domenica 16 giugno
musiche di Lew Pollack, David Short, Nino Rota, Claude Debussy, Ennio Morricone, Duke Ellington, Attilio Margutti, John Lennon & Paul McCartney, Frank Sinatra
LE ORE SACRE DEL GIORNO
concerti
> da pag. 46
Basiliche della città
LE ORE DELL’UFFICIO DIVINO NELLE BASILICHE RAVENNATI
THE TALLIS SCHOLARS direttore Peter Phillips
venerdì 7 giugno Forlì, Chiesa di San Giacomo, ore 21 OMAGGIO A MIKīS THEODōRAKīS
ZORBA IL GRECO (ZORBAS) Orchestra Arcangelo Corelli direttore Jacopo Rivani Coro Euridice direttore Pier Paolo Scattolin concerti
> da pag. 72
canto piano Coro da camera 1685, direttore Antonio Greco Ufficio delle letture (Mattutino) 00.00 Santa Maria Maggiore Ufficio delle Laudi e Ora Prima 07.00 San Francesco Ufficio dell’ora Terza con Messa 09.30 Sant’Agata Maggiore Messa a 4 voci per la domenica della Santissima Trinità di Joseph Rheinberger Ufficio dell’ora Sesta 12.00 San Giovanni Evangelista Ufficio dell’ora Nona 15.30 Battistero Neoniano Ufficio dei Vespri 19.00 Sant’Apollinare Nuovo Compieta 21.30 Basilica di San Vitale concerti
> da pag. 46
venerdì 8 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21.30
lunedì 17 giugno
SHINE!
Palazzo Mauro De André, ore 21.30
PINK FLOYD MOON
MARTHA GRAHAM DANCE COMPANY
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Il cartellone 131 Ravenna Festival Magazine 2019
ERRAND INTO THE MAZE coreografia Martha Graham musica Gian Carlo Menotti DEO coreografia Maxine Doyle e Bobbi Jene Smith musica Lesley Flanigan
bar - pasticceria
LAMENTATION VARIATIONS coreografia Bulareyaung Pagarlava, Nicolas Paul e Larry Keigwin
®
musica Gustav Mahler, John Dowland e Fryderyk Chopin EKSTASIS coreografia Martha Graham ripresa da Virginie Mécène musiche originali di Lehman Engel DIVERSION OF ANGELS coreografia e costumi Martha Graham musica Norman Dello Joio danza
> pag. 93
martedì 18 giugno Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30
MEDEA Trio Hager violino Marco Mandolini violoncello Elke Hager pianoforte Enrico Pompili elaborazione drammaturgica, regia e interpretazione Chiara Muti teatro
> pag. 107
oltre 50 anni di esperienza
mercoledì 19 giugno Chiostro della Biblioteca Classense, ore 18 QUANDO LA VITA TI VIENE A TROVARE di Ivano Dionigi l'autore in conversazione con Matteo Cavezzali incontri, letture
> da pag. 108
mercoledì 19 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21
IL GIARDINO ARMONICO GIOVANNI ANTONINI direttore KATIA E MARIELLE LABÈQUE fortepiano musiche di Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart concerti
> da pag. 36
giovedì 20 giugno Chiostro della Biblioteca Classense, ore 18 ATENE, GERUSALEMME, ROMA. ALLE ORIGINI DELL'OCCIDENTE. conversazione con Luciano Canfora incontri, letture
fra tradizione e innovazione da 3 generazioni la nostra ricerca al vostro servizio per offrire la migliore pasticceria con ingredienti naturali
> pag. 33
giovedì 20 giugno Teatro Alighieri, ore 21
QUANDO LA VITA TI VIENE A TROVARE DIALOGO TRA LUCREZIO E SENECA di Ivano Dionigi interpretazione e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi teatro
> pag. 108
sonori@pasticceriababini.it Russi Corso Farini 26 - Tel. 0544 580463 Ravenna Via Cesarea 5 - Tel. 0544 67009
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Il cartellone Ravenna Festival Magazine 2019
venerdì 21 giugno Russi, Palazzo San Giacomo, ore 21.30
ENZO AVITABILE “ATTRAVERSO L’ACQUA” con FRANCESCO
DE GREGORI, TONY ESPOSITO e i BOTTARI DI PORTICO
concerti
> da pag. 84
sabato 22 giugno Russi, Palazzo San Giacomo, ore 21.30
LA GRANDE NOTTE DEL BALLO POPOLARE ORCHESTRONA DI FORLIMPOPOLI ospiti Bevano Est Paola Sabbatani voce concerti
> da pag. 84
domenica 23 giugno Basilica di San Vitale, ore 10.30 MESSA A CINQUE di Giovanni Ceresini Gruppo Vocale Ecce Novum direttore Silvia Biasini
INSTALLAZIONE E ASSISTENZA
in templo domini
> da pag. 46
domenica 23 giugno Basilica di Sant’Apollinare in Classe, ore 21 GEORG FRIEDRICH HÄNDEL
MESSIAH
AUTOMAZIONE CANCELLI PORTE, GARAGE, SERRANDE SBARRE AUTOMATICHE
direttore Antonio Greco Ensemble Cremona Antiqua Coro Costanzo Porta concerti
MESSA IN SICUREZZA CANCELLI AUTOMATICI
> da pag. 46
domenica 23 giugno Forlì, Teatro Diego Fabbri, ore 21
DUPLICAZIONE RADIOCOMANDI
OMAGGIO A DOMENICO MODUGNO
UOMINI IN FRAC direzione musicale Furio Di Castri voce Peppe Servillo Javier Girotto sax Fabrizio Bosso tromba Rita Marcotulli pianoforte Furio Di Castri contrabbasso Mattia Barbieri batteria concerti
> pag. 81
lunedì 24 giugno CLASSIS - Museo della Città e del Territorio, ore 21
di Nicolucci Andrea & C. snc Via della Merenda 38/38A Fornace Zarattini (RA) Tel. 0544.463719
www.siatautomazioni.it
LINO GUANCIALE - MARCO MORANDI ALESSANDRO VANOLI LE PAROLE E IL MARE Il racconto di un viaggio nel Mediterraneo testi di Alessandro Vanoli musiche di Marco Morandi eseguite dal vivo, regia di Lino Guanciale teatro
> pag. 113
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Il cartellone 133 Ravenna Festival Magazine 2019
mercoledì 26 giugno Teatro Alighieri, ore 21 GRUPPO NANOU
WE WANT MILES, IN A SILENT WAY progetto Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci, Marco Maretti coreografie Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci danza
> da pag. 96
giovedì 27 giugno Lugo, Pavaglione, ore 21 OMAGGIO A FABRIZIO DE ANDRÉ
NERI MARCORÈ E GNUQUARTET “COME UNA SPECIE DI SORRISO” concerti
> pag. 79
venerdì 28 giugno Lugo, Pavaglione, ore 21
NICOLA PIOVANI LA MUSICA È PERICOLOSA - CONCERTATO con un omaggio a Fabrizio De André concerti
> da pag. 82
venerdì 28 giugno Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30
FRA ORIENTE E OCCIDENTE Il libero canto greco-bizantino dialoga coi suoni ben temperati della tastiera voce Nektaria Karantzi pianoforte Vassilis Tsabropoulos concerti
> da pag. 46
sabato 29 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21
STEWART COPELAND LIGHTS UP THE ORCHESTRA UN GIGANTE DELLE PERCUSSIONI: DAI POLICE A OGGI Orchestra Giovanile Luigi Cherubini direttore Troy Miller concerti
> da pag. 70
domenica 30 giugno Basilica di San Francesco, ore 11.15 BERLINER MESSE di Arvo Pärt Estonian Philharmonic Chamber Choir direttore Kaspars Putniņš in templo domini
> da pag. 46
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Il cartellone Ravenna Festival Magazine 2019
domenica 30 giugno
AT MIDNIGHT (2013)
Basilica di Sant’Apollinare in Classe, ore 21
musica Gustav Mahler, Rückert-Lieder coreografia, costumi e scene John Neumeier
KANON POKAJANEN DI ARVO PÄRT Estonian Philharmonic Chamber Choir direttore Kaspars Putniņš concerti
BIRTHDAY DANCES (1990) musica Leonard Bernstein, Divertimento for Orchestra coreografia John Neumeier danza
> pag. 91
> da pag. 46
lunedì 8 luglio
lunedì 1 luglio
Sala Corelli del Teatro Alighieri, ore 18
Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30
NEL NOME DI DANTE
QUARTETTO ECHOS
di Marco Martinelli, incontro con l’autore
PREMIO ABBIATI “PIERO FARULLI” 2017
incontri, letture
> pag. 99
Andrea Maffolini violino Ida Di Vita violino Giorgia Lenzo viola Martino Maina violoncello
lunedì 8 luglio
musiche di Anton Webern, Leóš Janaček, Wolfgang Amadeus Mozart
Teatro Alighieri, ore 21
concerti
EDIPO A COLONO
> da pag. 46
di Ruggero Cappuccio
martedì 2 luglio
liberamente ispirato all’opera di Sofocle
Palazzo Mauro De André, ore 21
regia Rimas Tuminas
GORAN BREGOVIć
teatro
> da pag. 110
“FROM SARAJEVO”
martedì 9 luglio
Concerto per tre violini solisti, orchestra sinfonica e due voix bulgares concerti
Palazzo Mauro De André, ore 21
> da pag. 72
BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS mercoledì 3 luglio
concerti
> pag. 76
Palazzo Mauro De André, ore 21
martedì 9 luglio
OMAGGIO A LOUIS-HECTOR BERLIOZ NEL 150° DELLA MORTE
ORCHESTRE NATIONAL DE FRANCE EMMANUEL KRIVINE direttore ANTOINE TAMESTIT violino
Atene, Odeon di Erode Attico, ore 21
giovedì 11 luglio Ravenna, Palazzo Mauro De André, ore 21
musiche di Johannes Brahms, Franz Liszt, Louis-Hector Berlioz UN PONTE DI FRATELLANZA ATTRAVERSO L’ARTE E LA CULTURA concerti
> da pag. 36
giovedì 4 luglio Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30
BACH IL GRANDE, GABRIELLI IL PRIMO
LE VIE DELL’AMICIZIA: RAVENNA-ATENE RICCARDO MUTI direttore Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, Athens State Orchestra Thessaloniki State Symphony Orchestra, ERT National Symphony Orchestra, Coro Costanzo Porta ERT National Choir Choir of the Municipality of Athens
DUE UNIVERSI PARALLELI Mauro Valli violoncello musiche di Domenico Gabrielli, Johann Sebastian Bach concerti
> da pag. 46
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 9 in re minore per soli coro e orchestra op. 125 concerti
> da pag. 38
venerdì 12 luglio
venerdì 5 e sabato 6 luglio
Teatro Alighieri, ore 21 Teatro Alighieri, ore 21
HAMBURG BALLETT JOHN NEUMEIER BEETHOVEN FRAGMENTS (2018) estratto da Beethoven Project - balletto di John Neumeier musiche Ludwig van Beethoven coreografia, ideazione luci e costumi John Neumeier
NELLA LINGUA E NELLA SPADA Un progetto di musica e teatro ispirato alle vite e alle opere di Oriana Fallaci e di Alexandros Panagulis elaborazione drammaturgica, regia e interpretazione Elena Bucci teatro
> da pag. 104
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Il cartellone 135 Ravenna Festival Magazine 2019
domenica 14 luglio Palazzo Mauro De André, ore 21.30
NICK MASON’S SAUCERFUL OF SECRETS THE HEARTBEAT OF PINK FLOYD concerti
> da pag. 56
martedì 16 luglio Palazzo Mauro De André, ore 21.30
LES ÉTOILES GALA INTERNAZIONALE DI DANZA a cura di Daniele Cipriani con Bakhtiyar Adamzhan (Teatro dell’Opera di Astana), Constantine Allen (Balletto Nazionale Olandese), Sergio Bernal (Balletto Nazionale di Spagna), Dorothée Gilbert (Opéra di Parigi), Liudmila Konovalova (Teatro dell'Opera di Vienna), Alena Kovaleva (Teatro Bolshoi di Mosca), Hugo Marchand (Opéra di Parigi), Tatiana Melnik (Teatro dell’Opera Ungherese), Vladimir Shklyarov (Teatro Mariinskij di San Pietroburgo), Jacopo Tissi (Teatro Bolshoi di Mosca), Anna Tsygankova (Balletto Nazionale Olandese) danza
> pag. 89
L’omaggio al Poeta
Giovani artisti per Dante da giovedì 6 giugno a domenica 14 luglio Antichi Chiostri Francescani, ore 11
Suoni e mistiche voci
Vespri a San Vitale da giovedì 6 giugno a domenica 14 luglio Basilica di San Vitale, ore 19
Chiamata Pubblica per la Divina Commedia Teatro delle Albe
Purgatorio da martedì 25 giugno a domenica 14 luglio dalla Tomba di Dante al Teatro Rasi, ore 20 (tutti i giorni escluso lunedì)
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Il cartellone Ravenna Festival Magazine 2019
Trilogia d’autunno
Bellini, Verdi, Bizet venerdì 1, martedì 5 e venerdì 8 novembre Teatro Alighieri, ore 20.30
NORMA tragedia lirica in due atti musica di Vincenzo Bellini direttore Alessandro Benigni regia Cristina Mazzavillani Muti
sabato 2, mercoledì 6 e sabato 9 novembre
Biglietteria Modalità e orari Prevendite Il servizio di prevendita comporta la maggiorazione del 10% sul prezzo del biglietto (maggiorazione che non sarà applicata ai biglietti acquistati al botteghino nel giorno di spettacolo). • www.ravennafestival.org • La Cassa di Ravenna Spa • Circuito Vivaticket • Info Point Bologna Welcome piazza Maggiore 1/e, tel. +39 051 231454 • IAT Cervia via Evangelisti 4, tel. +39 0544 974400 • IAT Marina di Ravenna piazzale Marinai d’Italia 17, tel. +39 0544 531108 • IAT Milano Marittima piazzale Napoli 30, tel. +39 0544 993435 • IAT Punta Marina Terme via della Fontana 2, tel. +39 0544 437312 • IAT Ravenna Piazza San Francesco 7, tel. +39 0544 482838
Teatro Alighieri, ore 20.30
AIDA opera in quattro atti musica di Giuseppe Verdi
Disclaimer La Fondazione Ravenna Manifestazioni declina qualsiasi responsabilità che possa derivare dalle caratteristiche, dalla qualità e dai prezzi dei biglietti che non siano stati regolarmente acquistati attraverso i canali distributivi autorizzati (www.ravennafestival.org e Circuito Vivaticket).
direttore Nicola Paszkowski regia Cristina Mazzavillani Muti
domenica 3, giovedì 7 e domenica 10 novembre Teatro Alighieri, domenica 3 novembre ore 15.30, giovedì 7 novembre ore 20.30, domenica 10 novembre ore 16.30
CARMEN opéra-comique in quattro atti
Associazioni, agenzie e gruppi Alle agenzie e ai gruppi (minimo 15 persone) sono riservati specifici contingenti di biglietti e condizioni agevolate. Ufficio Gruppi: tel. +39 0544 249251 - gruppi@ravennafestival.org Informazioni generali Gli abbonamenti, i carnet e i singoli biglietti acquistati non possono essere rimborsati, non sono nominativi e possono essere ceduti ad altre persone. Tariffe ridotte riservate a: Associazioni liriche, Cral, insegnanti, under 26, over 65, convenzioni.
musica di Georges Bizet direttore Vladimir Ovodok regia Luca Micheletti BIGLIETTERIA / BOX OFFICE
progetto ideato e a cura di Cristina Mazzavillani Muti
Teatro Alighieri via Mariani 2, Ravenna Tel. +39 0544 249244 Orari dal 3 giugno: dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 18. Domenica dalle 10 alle 13.
Info & Servizi Punto d’incontro All’interno degli uffici di Ravenna Festival è stato creato un accogliente punto di incontro dove è possibile entrare liberamente e ricevere informazioni su tutte le attività del Festival ma non solo. Un modo per essere vicino alla cultura della città. Qui sarà possibile leggere i quotidiani, avere a disposizione la rassegna stampa, acquistare i programmi di sala, prepararsi agli spettacoli con ascolti e visioni. Dal 3 giugno: tutti i giorni dalle 9.30 alle 13 e dalle 16 alle 19. Il pullmann del Festival Per gli spettacoli al Pala De André, sarà attivo un servizio di trasporto gratuito (andata e ritorno) dalla Stazione Ferroviaria: Stazione - Pala De André - Stazione / 2 corse - ore 20.15 e 20.30 per gli spettacoli con inizio alle 21; ore 20.30 e 20.45 per gli spettacoli con inizio alle 21.30. Servizio taxi Tel. +39 0544 33888 Stazioni di sosta: Stazione Ferroviaria - Piazza Farini | Piazza Garibaldi. Uffici festival Gli uffici di Ravenna Festival si trovano in via Dante Alighieri 1, a pochi passi dal Teatro Alighieri.
Nelle sedi di spettacolo Pala de André: da due ore prima dell’evento, altri luoghi: da un’ora prima dell’evento.
Il festival aggiornato in tempo reale sui social network Il Ravenna Festival è presente anche sui social network, con aggiornamenti e approfondimenti sugli spettacoli della XXIX edizione. La pagina Facebook conta più di 33mila follower, mentre il profilo Twitter, aggiornato in tempo reale dagli utenti, fornisce notizie ancora prima dei siti di informazione. Su Youtube e Instagram invece sono presenti rispettivamente i video e le foto di estratti degli spettacoli.
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Ravenna Festival Magazine
Concerti classici Muti e Pollini, Kavakos, Katia e Marielle Labèque, Krivine e Tamestit
EDIZIONI E COMUNICAZIONE
UN VIAGGIO LUNGO TRENT'ANNI …per l'alto mare aperto… a esplorare nuovi orizzonti della musica e dell'arte Riccardo Muti con il Concerto dell'Amicizia approda ad Atene
Musica sacra e antica The Tallis Scholars, Cremona Antiqua, Mauro Valli, Estonian Chamber Choir Spazio alla danza Martha Graham Dance Company, Gruppo Nanou, Hamburg Ballett, Les étoiles e l'omaggio ai Pink Floyd di Micha Van Hoecke Drammaturgie Teatro delle Albe, Lino Guanciale, Vetrano/Randisi, Cappuccio/Tuminas, Elena Bucci, Chiara Muti Fra jazz, canzoni e musica per il cinema Goran Bregović, Piovani, Marcoré, Avitabile e gli omaggi a Theodorakis, Modugno e De André Rockstar Ben Harper e Nick Mason
LE 100 PERCUSSIONI dalle sonorità etniche alla musica colta
Edizione 2019
ISSN 2499-0221
la rivista ufficiale del
Edizione 2019
Stewart Copeland un genio del ritmo dai Police alle colonne sonore
Including English abstracts of articles