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Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
n. 87 GENNAIO-FEBBRAIO 2014
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RAVENNA n. 87 gennaio febbraio
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contenuti
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Massimo comfort per la casa di stile di una coppia affiatata
casa bella casa
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Le persone sole troveranno in Villa Mimosa la possibilità di vivere in compagnia e di essere curati e serviti con cortesia e professionalità 24h su 24.
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fotografie GENNAIO-FEBBRAIO
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ERCOLANI FALEGN TC:Layout 1 17/02/14 13:05 Pagina 1
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Controcopertina Sotto il tetto confortevole di Ermanno e Federica, lui avvocato e presidente dell’Ordine, lei giornalista. Dopo una lunga ricerca la coppia decide per questa casa, reputandola la migliore soluzione per le loro esigenze attuali e future e un primo atto molto concreto di vita condivisa. La scelta quindi privilegia un'abitazione di fascia medio alta, in cui, oltre al progetto architettonico curato, si offrono materiali e soluzioni impiantistiche di qualità con cui coniugare estetica, tecnologia e prestazioni energetiche.
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Enrico Gaudenzi, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani, Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it
Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it
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Nelle pagine alcuni scorci nel rapporto esterni-interno dell’appartamento di Ermanno e Federica in via Borghi
di Paolo Bolzani
Se nell’ultimo numero del 2013 abbiamo illustrato un appartamento nel Corso Nord, oggi ne approfittiamo per inoltrarci oltre via Zalamella, fino a via Borghi, dove si trova un nuovo fabbricato, costruito nel 2012 da Matteo Raggi su progetto di Giuliana Guerrini. In realtà, già dall’immagine esterna ma soprattutto nella sua organizzazione immobiliare, ci accorgiamo di essere di fronte ad un piccolo complesso residenziale, costituito da due appartamenti al piano terra, entrambi dotati di un giardino interno, altri due al primo piano e un attico mansardato. A noi interessa in particolare uno dei due al piano terra, con il prato bordato a siepe perimetrale esterna sviluppata ad L e in angolo una composizione di erbe officinali. L’aspetto esteriore è giocato su una attenta alternanza tra rivestimenti in facciavista ad effetto spugnato – che si incaricano anche di introdurre l’edificio nel breve affaccio su strada – e in intonaco dai colori pastello, in una versione beige-verde, mentre le porte sono sottolineate da incorniciature bianche. Questo molteplice gioco basato sulla differenziazione di varie soluzioni
CASA BELLA CASA
ravvicinate ancor più si articola in una ricerca rivolta alla scomposizione in piccoli oggetti e volumi, segnalati dal susseguirsi di tetti sfalsati in tegole canadesi azzurre derivanti anche dalla necessità di risolvere il rispetto delle normative sui confini di proprietà. A ciò va sommata la scelta di collocare all’esterno i cavedi impiantistici, opzione che segue un principio di sicurezza rivolto alla privacy del futuro acquirente e che a noi ricorda quella tradizione veneta del portare camini e canne fumarie a sporgere dal filo esterno del muro. L’insieme di tutti questi accorgimenti sembra voler conferire al complesso un’immagine finale di «piccolo borghetto», come lo definisce la sua stessa autrice, che qui conferma la propria vena cromatica nei toni pastello, anticipata nella palazzina azzurra di via Cesari, dietro al Penny Market di via Faentina. Il posizionamento della discesa all’autorimessa interrata nel lato destro del fabbricato in definitiva contribuisce a conferire un senso di ulteriore protezione al piccolo passaggio pedonale che conduce agli ingressi degli appartamenti più interni del lotto. Al termine di
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Massimo comfort per una coppia affiatata L’appartamento, dotato delle più moderne funzionalità, svela mobili di design e oggetti d’arte e d’affezione, gioco di personalità e condivisione questo passaggio si trova l’ingresso alla casa scelta da Ermanno e Federica, lui avvocato e presidente dell’Ordine, lei giornalista. Dopo una lunga ricerca la coppia decide per questa casa, reputandola la migliore soluzione per le loro esigenze attuali e future e un primo atto molto concreto di vita condivisa. La scelta quindi privilegia un settore immobiliare di fascia medio alta, in cui, oltre al progetto architettonico curato, si offrono materiali e soluzioni impiantistiche di qualità con cui coniugare estetica, tecnologia e prestazioni energetiche: ne deriva un corollario con impianto di riscaldamento a pavimento alimentato da una caldaia a condensazione Viesmann con pannello solare termico, infissi in alluminio bianco della
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Il living dell’appartamento, che introduce con una porta finestra nel giardino. Una zona relax, arricchita con oggetti di design, etnici e opere d’arte
Schuco con vetrocamera a vetri basso emissivi e veneziana motorizzata incorporata, impianto di climatizzazione con unità a parete interna Daikin nuova serie Emura, cappotto termico in lana di roccia di 8 centimetri di spessore rivestito ad intonachino o in listelli in pietra d’arredo. Ed ancora: aspirapolvere ad impianto centralizzato e allarme volumetrico perimetrale con combinatore GSM, «anche solo per segnalare telefonicamente una banale mancanza di corrente», come precisa Raggi. Varchiamo il portone in legno chiaro, non prima di una fugace occhiata alla fioriera che separa una delle finestre del soggiorno dal “fossato” della discesa all’autorimessa interrata. Entriamo in un ambiente a destinazione tripla: pranzo, soggiorno e accesso al giardino, annunciato da una grande vetrata. È uno spazio raccolto, complice il tetto a vista in travi e assito di legno verniciato bianco, cui fa eco una pavimentazione in rovere sbiancato spazzolato e posato 45°. Ben presto vedremo come il pavimento e i toni bianco e grigio caldo, incline al passare al tortora fino al grigio scuro marrone, costituiscono le scelte cromatiche di fondo degli interni. Qui comincia il racconto di Ermanno e Federica e a sentirli mentre descrivono il processo decisionale sugli arredi pare di tornare indie-
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Immagini della zona pranzo, con la cucina hi-tech separata. In basso, lo studio “a due” riunito però da un’unica libreria e da un amgolo dominato dal divano Frau per le videoproiezioni.
tro nel tempo, fino agli antichi Greci, popolo particolarmente attento al valore delle parole, basti pensare alla straordinaria fortuna del termine «logos». Nella culla della civiltà occidentale i sostantivi, aggettivi e pronomi non erano declinati soltanto al «singolare» e al «plurale» come tutti, bensì ad essi si affiancava il «duale», che, come recita la Grammatica Greca di Sivieri e Vivian «serve per designare persone o cose che vanno appaiate (…), oppure persone o cose distinte, ma in relazione più o meno stretta fra di loro». Poiché questa casa è il risultato di una scelta di vita insieme nel momento in cui ha già iniziato a farsi storia di una coppia, per la descrizione che seguirà evochiamo il duale, declinazione purtroppo scomparsa fin dal latino, ad eccezione di duo e ambo. L’evocazione serve a chiarire e significare il perseguimento di un’in-
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tenzionale reciproca volontà di condivisione delle decisioni, pur partendo da ambiti personali cresciuti separati e a volte mantenuti riservati. È questo il caso della parete in stucco alla veneziana grigio nuvolato, che separa la zona pranzo dalla cucina, fortemente voluta da Federica, che viene segnalata da una significativa immagine serigrafata tratta da Signed by Andy Warhol serie Ladies & Gentlemen, in asse con il lampadario a campana centrale di Raffaello Biagetti, a sua volta in rapporto con la grande finestra a lato, mentre una serie di sedie imbottite in pelle di colore grigio scuro dagli alti schienali incurvati si radunano attorno al tavolo da pranzo scuro quadrato, per l’occasione omaggiato da bicchieri colorati di Murano. Spetta invece ad entrambi la scelta della parete attrezzata scura nella parte opposta, in fondo al soggiorno, che ha inizio con una mensola porta “foto storiche” viaggi a Capri, Marrakech, Spagna, Miami; ne troveremo un altro piccolo raggruppamento in alto a destra e monitor TV bordato da un mobiletto appeso, in cui si cela una ricercata selezione di rhum. Questo spazio, improntato ad un living elegante, viene introdotto da un divano in pelle grigio scuro e trova un proprio centro nel tavolino basso mostrillo di Raffaello Biagetti posato su un tappeto arancione. Viene omaggiato da un pouf marocchino e da due quadri appoggiati ai margini del tappeto stesso, quasi ancora in cerca di una definitiva collocazione: una testa femminile di Nicola Samorì e una composizione di Ivo Prancic, acquistata da Ermanno in una nota galleria d’arte di Lubiana. Altra sorte sembra essere stata riservata per un’espressiva Civetta di Paul Housley, al centro nella parete a fianco della porta della cucina.
In alto, alcuni quadri di casa fra stile maudit e fumetto, con Corto Maltese di Pratt, passione di Ermanno, in profilo gigante. A fianco, il bagno giocato su tonalità azzurre e beige, sia vetrose che a mosaico nel box doccia.
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Se ritroviamo il tono grigio tortora nelle ante in legno laccato della base della cucina, e nella versione bianco guscio d’uovo nel top in kerlite, ecco nella camera della figlia giustamente irrompere una parete in un gaio rosa confetto, su cui campeggia una Zebra di Mattia Battistini, mentre il bagno è declinato con un piastrellato a mosaico azzurro nel box doccia, con pendant nel lavello in vetro opalino. Il grigio chiaro si declina in una piccola cornice di Sarah Casadio allungata lungo gli spigoli della camera da letto dei padroni di casa, mentre il talamo è vegliato da due comodini dal gusto provenzale in legno sbiancato e da opere pittoriche di Piero Dosi e di Prancic. Se in questo ambiente le due personalità si fondono in una serie di scelte condivise e in un’altra stanza, ora sgombra-robe, l’armadio in futuro potrebbe lasciare posto all’allargamento della famiglia, un altro ambiente invece mostra i due regni, con i reciproci corredi di oggetti ben accostati. Si tratta del grande studio posto nel piano interrato, laddove era prevista una classica taverna, cui si perviene per una scala a chiocciola. L’ambiente è illuminato naturalmente in maniera indiretta da due pozzi luce e si trova bipolarizzato in due scrivanie, attorno alle quali si collocano vari scaffali i cui libri si dispongono tendenzialmente in base all’originaria provenienza, pronti però a nuove contaminazioni. Tra le due scrivanie, imponente e irenico, campeggia il grande divano Vanity Fair della Frau che fronteggia un monitor Tv e una grande videoteca, costruita nel tempo da Ermanno. Qui riemerge l’amore giovanile del padrone di casa; oltre alla sequenza di cassette in formato VHS, ecco irrompere il principe del fumetto, Corto Maltese di Hugo Pratt, raffigurato in varie fogge, collocate dal sottoscala fino a fianco di uno scaffale dove viene controllato e ammonito dalla sezione “femminista” di Federica. Alle pareti, oltre i Corto, una pittura africana proveniente dal negozio bolognese di Roche Bobois e tre quadri di Fabrizio Pavolucci con scene di musicisti jazz.
Scorci della zona notte, con le camere da letto, della coppia e della figlia, con quadri di Piero Dosi e Mattia Battistini.
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La torre che non c’è di Pietro Barberini
La nuova piazzetta “Unità d’Italia” è stata occupata per secoli dalle carceri nel centro di Ravenna. “Recintata” da palazzi storici, ha impedito la fuga ai detenuti ma non è riuscita ad aprirsi per tutto il Novecento.
TOPOGRAFIA E STORIA
La riqualificazione urbanistica della “Corte delle Antiche Carceri” ha permesso di “aprire” un nuovo “passaggio” fra Piazza del Popolo e via Gordini, ma anche di allargare la memoria urbanistica della città. L’abbandono del luogo non aveva di certo spinto ad approfondimenti, né restavano ricordi inglobati nel tessuto edilizio capaci di suscitare curiosità ed emozioni. Nei pressi del nuovo Palazzo Comunale, costruito sulla sponda orientale del Padenna, si trovava la chiesa di Sant’Agata del mercato. La torre, simbolo del potere politico viene innalzata alla fine del XIII secolo, poiché quella di piazza Arcivescovado era inutilizzabile (vedi Trova Casa Premium n. 85, ottobre 2013, “ L’età comunale a Ravenna”). Così ne parla Silvio Bernicoli nel suo prezioso scritto Le torri della città e del territorio di Ravenna, alla voce: Torre di S. Agata del mercato o del carcere o del comune. «È citata dallo Zirardini ma non precisata, e dallo Zoli è trasportata nella via di S. Michele in Africisco. Nel breve scritto sul Palazzo del Comune asserii già su prove indiscutibili che una torre si trovava sulla piazza maggiore della città vicino alla chiesa di S.Agata del mercato e alle case della famiglia Da Polenta, e che sulla fine del Secolo XIII vi fu trasferita accanto la residenza dell’amministrazione comunale. L’atto più antico che si riferisca a questa torre è quello del 1 dicembre 1289, edito dal Fe-
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derici unam domum cum accessu fluminis Padenne et androna qua itur retro TURRIM ecclesie S.Agathe de mercato positam Ravenne regione S.Michaelis in africisco a primo latere strata etc. a secundo ecclesia S.Agathe de mercato, a tertio ecclesia S. Stephani de mercato. Detta di S. Agata del mercato nel secolo XIII, è poi qualificata nel secolo XIV, e dopo, come torre del Comune presso le carceri, siccome ci assicurano questi documenti». Il documento del 1289 fornisce precise indicazioni sul palazzo municipale con accesso dal fiume Padenna e attraverso un androne si raggiunge la torre (retrostante la chiesa di Sant’Agata del mercato?), nella
Alcuni scorci della rinnovata piazzetta delle ex carceri, ora dell’Unità d’Italia, aperta al pubblico il 20 dicembre scorso, dopo un cantiere durato diversi anni. D’altra parte, del collegamento della piazzetta alla centrale piazza del Popolo tramite una galleria, si è parlato a Ravenna per quasi un secolo ma solo ora è diventato una realtà.
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Caffé Nazionale, luogo di ritrovo dei giovani universitari Nuova vita in centro storico grazie alla piazzetta dell’Unità d’Italia. Sono iniziati infatti gli aperitivi universitari che portano a renderla viva, al momento, ogni venerdì sera. «L’ultima volta saranno stati trecento – commenta Marco Ravaioli, titolare del Caffè Nazionale, il bar che si affaccia, oltre che su piazza del Popolo, anche sulla nuova piazzetta – e, lo voglio sottolineare, non hanno creato alcun problema, tutti bravi ragazzi». L’obiettivo è quello di far diventare questo, di fatto, nuovo luogo del centro storico, un ritrovo quasi esclusivamente per i giovani. «Così intima, la piazzetta si presta bene per questo obiettivo», commenta Ravaioli, che ha in serbo (anche in collaborazione con l’Osteria dei Battibecchi) una serie di eventi, con musica dal vivo almeno per due giorni la settimana e una postazione fissa del bar che con la primavera verrà realizzata all’esterno. «Dividerò praticamente il locale in due: la pasticceria e gelateria che si affaccia su piazza del Popolo, e un locale più da aperitivo e per la sera, per i giovani, dalla parte della piazzetta». Entusiasti gli universitari, che hanno finalmente trovato un luogo adatto alle loro esigenze in centro storico.
TOPOGRAFIA E STORIA
“regione” di San Michele in Africisco. L’androne si apriva sulla corte, accessibile attraverso passaggi a volta, dall’attuale piazza Garibaldi a via Cairoli. Il Bernicoli prosegue nella sua identificazione, come un comandante in navigazione fra isole di un arcipelago sconosciuto, facendo riferimento alle carte, capaci di annotare e segnare rotte sicure, con un linguaggio che per rispetto e completezza, riporto fedelmente. «Il Carrari, esploratore indefesso dei nostri documenti, lasciò scritto a margine del suo citato atto del 6 febbraio 1377: Demolita fuit haec turris meo tempore. Dalla qual frase parrebbe che per esser egli allora molto giovine, era nato nel 1539, non ricordasse precisamente l’anno; si accorderebbe quindi la supposizione che la torre fosse abbattuta insieme alle chiese e alla palazzetto di donna Leta Da Polenta nel 1556-1559 quando il Cardinal Cesi legato fece dipingere e squadrare la piazza. Nel secolo XIII era obbligo di questa torre di chiamare a raccolta i consiglieri del comune coi rintocchi della campana detta Tromiera, e quello del tertium sonum campane del coprifuoco e della campana ab igne per l’ignis sero ferendus secondo gli ordini dello Statuto, uso ripristinato dallo Statuto veneto e molto più tardi dal famoso editto 19 maggio 1824 del Cardinal legato Rivarola. Crediamo poi che tali attribuzioni nel secolo XIV passassero alla torre dei macellai o dei Guiccioli più alta e più dominante di quella del carcere, citata nel 1326 come torre del Comune, quando Guido Novello Da Polenta vi fece porre una campana col proprio nome e con la data del 1317; e crediamo che anche i Veneziani mantenessero alla stessa il privilegio di essere l’unica torre ufficiale del Comune, benché l’altra, fosse malconcia, stesse in piedi per ancora un secolo e più. Da un ordine poi del 25 novembre 1511 con cui il Consiglio di Giustizia doveva radunarsi al suono di sette rintocchi in tre riprese
Due inquadrature della piazzetta dell’Unità d’Italia che evidenziano la galleria di collegamento con la piazza del Popolo
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della campana mezzana della torre, o della campana ab igne, deduco che qui si tratti di questa torre del carcere, nella quale fossero non meno di tre campane, mentre nell’attuale del comune sono state sempre due». I condannati ricevevano i conforti religiosi dalla Compagnia della Buona Morte (sic) nella Cappella di San Giovanni decollato: di lì a poco avrebbero tagliato loro la testa! Nel 1900 vengono inaugurate le nuove carceri, quelle attuali situate in via Port’Aurea. A Ravenna nasce subito un nuovo modo di dire: “ va in tal novi”, come a dire “va in galera”! Risalgono ai primi anni del Trecento le notizie riguardanti il carcere che affianca la torre, occupando buona parte della corte: fu ricostruito nel 1694 il nuovo edificio delle carceri, si può ipotizzare avesse una planimetria non troppo dissimile dalla precedente. Il luogo di pena venne dotato di una cappella religiosa. La Compagnia della Buona Morte portava conforto ai condannati nella chiesetta dedicata a San Giovanni decollato; nome profeticamente infausto, poiché di lì a poco la mannaia del boia avrebbe staccato la testa a quei poveretti. Le esecuzioni avvenivano fuori Porta Adriana davanti ad una gran folla che si radunava nell’ampio spazio di via Maggiore. Sul “palco” c’era la “zoca” (i met la zoca in piaza) e successivamente la “più umana” ghigliottina (la gagliota), che rimase in uso fino al 1859. Il carcere, di cui si ricorda la cella numero 2, malsana, semibuia e infestata da scarafaggi, fu demolito definitivamente nel 1908. Da quella data la corte si presenta come ampio spazio cortilizio, con stalle e rimesse che, con poche modifiche, la consegnano ai miei ricordi di studente alla fine degli anni Sessanta. Eppure tanti progetti avevano interessato la “corte”: gallerie, dehor e giardini d’inverno… Dietro alle sfilate del primo dopoguerra, nascosta agli occhi dei liberatori il 4 dicembre 1944, la piazzetta è andata via via degradando, trasformandosi in un “cortilaccio”: così (forse) si è salvata. La toponomastica la consegna al tricolore “dell’Unità d’Italia”, a me piace associarla alla Torre… che non c’è.
TOPOGRAFIA E STORIA
Il progetto e i lavori del nuovo spazio urbano Inaugurato e aperto al pubblico il 20 dicembre 2013, l’intervento di riqualificazione dellla piazzetta delle ex carceri – rinominata dell’Unità d’Italia – ha comportato un investimento complessivo di 560 mila euro, sostenuto da Comune e Cassa di Risparmio di Ravenna. I lavori hanno interessato progressivamente via della Tesoreria Vecchia, con la realizzazione dei sottoservizi e della pavimentazione in conci di pesarese, e la piazza con la realizzazione dell’impianto di teleriscaldamento, dei sottoservizi e delle relative opere di finitura e di arredo. Tra queste la pavimentazione costituita di lastre di pietra di Luserna, in pezzature e pose differenziate, come ad esempio, quelle davanti alla facciata del bar Nazionale che ripropongono il tracciato delle mura delle antiche carceri risalenti al 1400. Nuovi punti luce illuminano in modo uniforme tutto il comparto con via della Tesoreria Vecchia, la nuova piazza e il portico che la collega con piazza del Popolo. Una attenzione particolare è stata posta anche al ripristino e nel riposizionamento di tre delle cinque colonne che anticamente sorgevano in una porzione della corte; due invece sono state rifatte ex novo, in acciaio. Sono stati eseguiti anche tutti gli interventi necessari per i collegamenti alle reti fognarie e di captazione delle acque meteoriche, così come gli allacci alle utenze private degli edifici, che si affacciano sulla piazza e su via della Tesoreria Vecchia, e le canalizzazioni Enel e Telecom.
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La demolizione delle vecchie carceri e il progetto di Corrado Ricci per una sede dell’archivio di stato
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Testo di Alberto Giorgio Cassani, dalla rivista Ravenna Studi e Ricerche (XIII 1 /2 - 2006) « 24 mag. 1900. All’alba di questo giorno si fece il trasporto dei carcerati dalle vecchie carceri che si trovavano nel cortile del palazzo prefettizio, al nuovo carcere costruito in via Port’Aurea: e contemporaneamente fu fatta l’inaugurazione di esso. Le vecchie carceri riconosciute inadeguate alle esigenze della civiltà moderna e sconvenienti, per la loro ubicazione nel centro della città, furono sostituite da un edificio costruito a sistema cellulare nella località dei prati di S. Andrea prescelta per la salubrità dell’aria, per la separazione dai centri popolati e per la prossimità dei Tribunali e delle Assise. I lavori di costruzione dell’edificio, eseguito con schema mandato dal Governo, erano stati iniziati il 22 febbraio 1894 e diretti dall’architetto Domenico Maioli». Così scrive, con evidente soddisfazione per le migliorate condizioni di vita dei carcerati e per i sonni tranquilli dei ravennati, Lorenzo Miserocchi nel suo volume di ricordi della Ravenna ottocentesca pubblicato nel 1927. Nel coro di silenzioso consenso, l’unica voce che si levò contro la demolizione delle vecchie caceri di Ravenna non fu quella di Gaetano Savini, bensì quella di Corrado Ricci. Il grande storico dell’arte, che tenta ripetutamente di evitare la vendita dell’edificio carcerario, è autore di diversi tentativi presso autorevoli esponenti del Governo, ma il suo generoso progetto di trasformare l’edificio di pena nella sede dell’Archivio di Stato resta soltanto nelle sue nobili intenzioni e nella esplicita e diretta esposizione contenuta nelle sue missive. I fatti legati alla costruzione delle nuove carceri sono noti. Dopo secoli in cui le prigioni situate all’interno del palazzo del Legato avevano funzionato ininterrottamente, per motivi d’igiene e di convenienza, come visto, viene deciso lo spostamento del luogo di detenzione dal cuore della città in periferia, lontano dallo sguardo dei ravennati, nei pressi di via Port’Aurea. Savini ci riferisce di un progetto comunale che prevedeva di collocare al posto delle vecchie carceri «una fabbrica per l’uso di “Borsa Commerciale” la quale doveva essere in comunicazione col portico dlla Piazza». Ma «tale progetto poi non è stato effettuato». Si tornerà a parlare di un progetto di risistemazione dell’area delle ex carceri nel 1926 col progetto di una galleria “Dante” – ricordo della natural burella infernale o di più luminosi empirei? – da parte dell’architetto Tobia Gordini, che mettesse in comunicazione Piazza del Popolo con via Mariani. Ma anche quest’idea, come si sa, rimase solo sulla carta.
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E nella piazza s’affaccia l’Osteria dei Battibecchi Nicoletta Molducci dal 2006 aspettava l’apertura della piazzetta ai fornelli della sua osteria, un angolo di tradizione nel cuore della città. «La piazzetta è ancora un po’ nuda», dice Nicoletta Molducci, proprietaria e chef dell’Osteria dei Battibecchi, aperta dal 2006 in via della Tesoreria Vecchia. «Sono in attesa di sapere dove mettere i tavolini all’aperto, in vista della buona stagione. Penso che un po’ di arredo possa trasformare l’importante spazio in un luogo piacevole… A me servirebbe una bella copertura: si potrebbero organizzare eventi musicali, presentazioni letterarie ed iniziative per il mondo giovanile». Nicoletta è un’operatrice entusiasta del centro storico di Ravenna, dove in via Cavour aprì una gelateria nell’85, per spostarsi vicino alla piazza del Popolo con la sorbetteria degli Esarchi. Ora ha un altro progetto: ristrutturare e ampliare il Bar Roma, qualificandolo con un servizio di ristorazione. L’apertura del passaggio che mette in comunicazione la piazzetta con la “piazza” permetterà, non soltanto a Nicoletta, di accedere facilmente al “cuore” della vita cittadina sfiorando colonne e muri dietro ai quali pulsa la storia. «Quando ho aperto l’osteria qui, dove c’era la storica pizzeria “al tegamino” di Alfio, pensai ai battibecchi con mio padre: sempre stimolanti e costruttivi. Da allora ripropongo la cucina della mia terra, Santo Stefano, e le ricette delle mie nonne Teresa e Maria, chiamata in famiglia “Mariona”. Di quella campagna, nel centro di Ravenna, non si sentono soltanto i profumi nel piatto, ma se ne coglie l’atmosfera negli arredi e nei particolari: il lunario appeso all’entrata e la lavagna con il menù del giorno!
Nicoletta Molducci nella sua Osteria dei Battibecchi, dedicata alla cucina tradizionale Romagnola. Fra la piazzetta e la galleria si affacciano anche il retro del Caffé Nazionale con uno spazio adibito ad american bar e l’emporio enogastronomico d’eccellenza Miccoli.
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Orologi per ogni esigenza e per ogni “tasca” di Mario Arnaldi
Se parliamo di orologi solari, la prima immagine che ci viene in mente è quella che da sempre siamo abituati a vedere sulle pareti delle case: una figura raggiata dipinta o incisa (più o meno artisticamente) su un piano verticale. In realtà, essendo essi il risultato della proiezione dell’ombra o della luce, si possono costruire su ogni tipo di superficie (piana o curva) e in ogni posizione (verticale, orizzontale, inclinata, ecc.). Possono essere di ogni forma (piana, sferica, cilindrica, conica, poliedrica, ecc.) ed esposti a qualsiasi punto cardinale – compreso il Nord – guadagnando qualità gnomoniche e geometriche proprie. Gli orologi solari possono funzionare in modi differenti: per proiezione dell’ombra, per filtraggio, rifrazione o riflessione della luce, per trasparenza, ecc. Il primo modo (per proiezione d’ombra) è quello più noto:
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l’orologio solare mostra le ore (o altri dati) grazie all’ombra di un corpo opaco che intercetta la luce solare (normalmente uno stilo metallico). Il secondo (filtraggio della luce solare) è più comune nelle meridiane, soprattutto quelle dette “a camera oscura” (come quella costruita nel 1655 da Gian Domenico Cassini nella chiesa di San Petronio a Bologna). In questo caso l’ora (ricordo che nelle meridiane è solo la XXII, cioè il mezzogiorno) non è mostrata dall’ombra di uno stilo, ma dal disco luminoso prodotto dalla luce passante attraverso un piccolo foro stenopeico praticato nel tetto o nella parete di un edificio oppure in un grande disco metallico che spesso è sagomato a forma di Sole. Il funzionamento per trasparenza, invece, consiste nel tracciare l’orologio solare su una superficie sufficientemente opaca da non lasciare vedere ciò che c’è all’esterno, ma abbastanza trasparente che, quando sia illuminata dal sole, si possa vedere l’ombra dello stilo ferreo dalla parte opposta. Questa tipologia, abbinata alle vetrate dipinte (come le tipiche vetrate delle cattedrali), è assai comune nei paesi nordici, dove il clima più freddo tende a trattenere le persone in casa. Con il medesimo proponimento, in Italia si è fatto ricorso alle proprietà della riflessione della luce. Per non essere costretti ad uscire di casa per leggere l’ora, si incastrava uno specchietto sulla
In alto: orologio solare cilindrico nell’Orto botanico di Padova (l’orologio è stato privato dello stilo) In basso a sinistra: orologio solare esposto a Nord-Ovest in località Casale, presso Faenza. Con il suo caratteristico stilo che punta verso l’alto, mostra le ore serali solo per un breve periodo dell’anno. Opera di M. Arnaldi, 2010. In basso a destra: orologio solare equinoziale a concavità sferica nell’Orto botanico di Padova (l’orologio è stato privato dello stilo).
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mensola di una finestrella rivolta a Sud, facendo rimbalzare il raggio di luce solare sul soffitto della stanza dove erano dipinte le linee dell’orologio solare. La luce, infatti, rimbalza su una superficie riflettente con lo stesso angolo con cui si colpisce il piano: esattamente come fa una palla da biliardo sulle sponde del tavolo da gioco. Uno degli esempi più belli del passato è l’orologio solare costruito dal padre Emanuele Maignan (1601-1676) sul soffitto nella Galleria di Palazzo Spada a Roma nel 1644. Oggigiorno, invece, si deve ricordare quello costruito nel 2004 nella torretta dell’abitazione italiana di Sir Mark Lennox-Boyd in località Oliveto nel comune di Torricella Sabina. Anche il principio della rifrazione entrò a far parte delle varie sfide che interessarono i matematici che si cimentavano con la gnomonica. Secondo questo principio, la luce passante attraverso un corpo trasparente devia la sua traiettoria rettilinea di una certa quantità di gradi secondo la densità del corpo filtrante. Questi orologi solari, come quelli a riflessione, si costruivano già nel Cinquecento all’interno di vasche per fontane o dentro a delle coppe da tavolo. Uno degli esempi più eleganti che io conosca si trova a Urbino, inciso nella fontana situata in un cortile (purtroppo inaccessibile) del famoso Palazzo Ducale. Quelle che ho finora descritto sono solo alcune delle caratteristiche degli orologi solari. Una minima parte dei numerosi modi di mostrare le ore del giorno che furono adottati in passato e che si usano oggi. Infatti, buona parte di queste erano già note ai Greci e ai Romani, ma gli gnomonisti, dal Rinascimento a oggi, continuano a studiare sempre nuove possibilità che la tecnologia contemporanea e lo sviluppo matematico offrono. Oggi, grazie anche all’invenzione dei calcolatori elettronici, si possono costruire orologi solari veramente particolari su superfici geometriche nuove o con principi gnomonici sempre più complicati e affascinanti. Assieme agli orologi solari fissi, cioè inamovibili, come ad esempio quelli incisi nel marmo o dipinti sulle pareti dei palazzi, esistono quelli portatili. Un tempo, questi, erano utili per chi viaggiava o si trovava spesso lontano da un orologio pubblico. Oggi, ovviamente, non hanno la stessa utilità di un tempo e si costruiscono solo per soddisfare un mercato per turisti o per curiosi di cose dal sapore antico (spesso non sono neppure corretti o sono costruiti per latitudini medie che quasi mai corrispondono a quelle degli acquirenti). Essendo costruiti per motivi esclusivamente pratici, lo scopo dei primi orologi solari portatili «da viaggio», come li chiama per la prima volta Marco Vitruvio Pollione, un famoso architetto Romano del I secolo a. C., era semplicemente quello
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LAVORI EDILI (Guaine, Tetti, Opere murarie) In alto: La finestrella della Galleria di Palazzo Spada a Roma. Sul soffitto sono dipinte le linee orarie e calendariali (qui solo un piccolo particolare) dell’orologio solare a riflessione, opera di Emanuele Maignan, 1644. In basso: Il soffitto della torretta nell’abitazione italiana di Sir Mark Lennox-Boyd, in località Oliveto, presso Torricella in Sabina. La luce passa attraverso una finestrella e lo specchietto la riflette sull’orologio solare che è dipinto sia sul soffitto sia sulle pareti.
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di segnare le ore. Alla gente comune serviva solo questo, e la produzione di semplici strumenti adatti per questo unico scopo era assai abbondante in passato. Gli orologi solari portatili avevano varie forme, secondo il metodo gnomonico usato per mostrare le ore. Le strutture erano dettate dalla pura praticità o dallo sfoggio che il proprietario ne doveva fare. Si costruivano orologi solari portatili cilindrici, a libro (detti anche “dittici” perché erano formati da due tavolette incernierate su un lato), ad anello o ad anelli, a tavoletta, poliedrici oppure secondo la più sfrenata fantasia artistica. Essi potevano essere “da tasca” o “da tavolo”, di conseguenza i materiali usati nella loro costruzione variavano secondo la necessità o il rango della committenza: potevano essere di semplice legno di bosso o di prezioso avorio, di ottone o di argento con inserimenti d’oro e gemme rare. I più antichi orologi solari portatili sono di origine Egizia e risalgono, almeno secondo i geroglifici
In alto a sinistra: orologio solare orizzontale con gnomone conico doppio, presso il parco della torre dell’orologio a Mondovì. Al centro a sinistra: orologi solari portatili moderni a cilindro, equinoziali e dittici a forma di libro. Opere di M. Arnaldi. Sotto: orologi solari portatili antichi: Orologio a disco, orologio solare cilindrico di Este, prosciutto di Ercolano, orologio ad armille trovato a Filippi. In alto a destra: le parti dell’Astrolabio. In basso a destra: astrolabio di Egnazio Danti, 1570. Museo della Scienza di Oxford (numero di inventario 52209).
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del Cenotafio di Seti I, al secolo XIII o XIV a. C. Questi si svilupparono in quei luoghi fino al periodo ellenistico alessandrino che definì esattamente la divisione oraria che per secoli determinò la misura del tempo in area Greco-Romana. Dalla Grecia, però, non proviene nessun orologio solare portatile (fra quelli scoperti fino ad oggi) anteriore al secolo IV della nostra era. Il più antico orologio solare portatile con scritte greche è stato trovato in Bitinia (una zona dell’odierna Turchia) e risale al II secolo. Mentre molti altri sono gli orologi solari latini, provenienti dalle varie provincie dell’impero, che risalgono almeno ad un secolo prima. Gli orologi solari portatili potevano essere costruiti per una o più latitudini. Le forme più comuni erano il cilindro e i dischi che, per più latitudini, potevano essere anche imperniati al centro e ruotanti su un perno. Non mancano esempi di forme artistiche e bizzarre, il più noto è il cosiddetto “Prosciutto di Ercolano” trovato nel 1755 ed oggi custodito nel Museo Archeologico di Napoli. La sua forma è quella di una coscia di maiale su cui è disegnato il reticolo delle ore: il codino, con la sua ombra, mostrava il tempo. Nel Medio Evo si continuarono a costruire orologi solari portatili, ma fra i viandanti il metodo più usato per conoscere l’orario era quello di misurare la lunghezza della propria ombra e confrontarla, poi, con particolari tabelle numeriche. Questo metodo, usato già dai Greci, sopravvisse forse grazie ad antichi e semplici manuali di pratica agricola ancora fruibili in epoca carolingia (i più famosi sono quelli sopravissuti di Palladio e di Columella). I matematici e gli astronomi, però, utilizzavano volentieri congegni più articolati dei semplici orologi e in grado di fornire un maggiore numero di dati: matematici, astronomici e gnomonici. Il re di questi strumenti era l’astrolabio. Il dispositivo era già noto nell’antichità, almeno dal II secolo a.C., al tempo di Ipparco, e certamente usato da Tolomeo (ca. II secolo d. C.) che lo descrisse. Fu sviluppato ulteriormente nei secoli successivi da Teone di Alessandria (IV secolo), da Giovanni Filopono (VI secolo) e da Severo Sebokht (VII secolo) della scuola cristiana di Antiochia. Gli arabi lo perfezionarono e lo svilupparono in innumerevoli varianti soprattutto fra i secoli VIII e IX, ma in Occidente iniziò a diffondersi solo dal secolo XI. L’astrolabio era uno strumento composito e solitamente di metallo. Si componeva di diverse parti: la madre, cioè la struttura portante, circolare, con un anello di sospensione ed uno scavo al centro che serviva per alloggiare i dischi detti timpani dove erano incise le linee orarie, le linee raggiate degli azimut (e i cerchi di altitudine solare detti almucantarat. Un altro elemento, che di solito era artisticamente traforato, era la rete. Essa permetteva di leggere la posizione delle stelle nel cielo in un dato momento. Diretti discendenti degli astrolabi furono i Quadranti. Questo nome (probabilmente un francesismo: Cadran solaire) è oggi usato impropriamente per indicare il piano dell’orologio solare dove sono tracciate le linee orarie o addirittura come sinonimo dell’orologio solare stesso. In realtà il termine indica genericamente la quarta parte di qualcosa, e nel nostro caso si tratta della quarta parte del cerchio. Quindi il quadrante astronomico o “orario” era uno strumento dalla tipica forma a spicchio di cerchio con angolo retto al centro. Con i
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quadranti non solo si potevano leggere le ore del giorno, ma potevano essere veri e propri calcolatori matematici con tavole dei seni e dei coseni, con i quali si poteva misurare le altezze degli edifici o le profondità dei pozzi o dei fossati o per scopi balistici (i gradi di alzata dei cannoni si calcolavano proprio con i quadranti). Nel Rinascimento furono introdotti nuovi tipi di orologi solari da viaggio. Fra questi spicca fra tutti la famiglia degli orologi solari rettilinei, con le linee orarie parallele le une alle altre. Se fra gli orologi solari appena descritti, volessimo mettere anche la vasta gamma di quelli inventati dagli astronomi islamici e poi da quelli studiati in epoca moderna, veramente non finiremmo mai di descriverli. Parlare convenientemente degli orologi solari portatili, dai più semplici ai più complessi, richiederebbe un intero volume composto da qualche centinaio di pagine. Spero solo che in queste poche righe e dalle immagini poste ad illustrazione il lettore possa immaginare quanta scienza, quanta storia e quanta arte ci sia dietro a questi piccoli e curiosi oggetti. marnaldi@libero.it Sopra: quadrante orario di Giovanni Sacrobosco (ca. 1195-1256) Sotto: orologio solare rivolto a Nord a Lucignano (AR). L’orologio funziona a riflessione. Un piccolo specchio posto in cima ad uno stilo cattura la luce oltre il tetto e la riflette sulla parete. Opera di Giovanni Paltrinieri (2001) restauro e arricchimento decorativo di M. Arnaldi (2011). (Foto di M. Goretti)
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Fornace Zarattini profilo di una località in divenire di Chiara Bissi
Negli strumenti urbanistici viene da tempo indicata come zona di frangia rispetto al centro urbano così come Porto Fuori e Ponte Nuovo, ma Fornace Zarattini deve la propria fortuna alla presenza di importanti assi viari, ovvero la via Faentina, la diramazione dell’A14, la via Classicana e ancor di più a una forte vocazione artigianale. Sorta lungo la via Faentina, negli ultimi decenni del Novecento, ha visto crescere insediamenti direzionali, produttivi e commerciali, si pensi solo alle numerose concessionarie auto, concentrate in poche centinaia di metri, le officine meccaniche e gli show room o lo spazio Freewheeling dedicato al mondo della bicicletta o la sede della Confederazione dell'industria manifatturiera italiana e dell'impresa privata Confimi o la sede della Camst. Poco distante dall’abitato un albergo di recente costruzione, dalle linee contemporanee, il Cube, e alcuni ristoranti testimoniano un flusso costante di operatori economici e di turisti attratti dalla città d’arte e dalla riviera. Più che il passato, della località parla il presente con un’op-
CITTÀ E QUARTIERI
Nato come borgo operaio oggi ospita le tante espressioni dell’economia locale. E nuove opportunità residenziali zione forte sul futuro. L’esile impianto originario si è consolidato nel tempo dopo una serie di lottizzazioni residenziali e una rete di servizi primari, ed ora il servizio statistica del Comune riporta a fine 2012 un numero di abitati per Fornace Zarattini che supera il migliaio, 1276, in crescita rispetto al 2011 (1254). Un risultato che ha portato in dote nel settembre 2013 la farmacia, posta in via Giannello 3. Dopo la chiusura della sede di piazzale Farini, la Comunale 6 ora serve una zona in forte espansione. Dal rapporto del mercato immobiliare, promosso dal sindacato provinciale Fimaa e da Confcommercio, risulta che le quotazioni del residenziale nuovo a Fornace Zarattini oscillano da un minimo di 1.670 euro al metro
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quadrato a un massimo di 2 mila euro; il residenziale usato in buono stato, massimo di 30 anni fa, va da 1.250 a 1.650 euro. Ma la vera novità che ha investito Fornace Zarattini è il progetto avanzato dalla Cna nei mesi scorsi per lo spostamento della stazione ferroviaria proprio alle porte della località. L’idea già apparsa alla fine degli anni Otttanta oggi viene riproposta dall’associazione di categoria degli artigiani a firma dell’architetto Daniele Vistoli. Secondo la proposta il traffico passeggeri e merci verrebbe convogliato a ovest in un’area che si adatta a espansioni future. A corredo dello spostamento della stazione, viene indicata una serie di opere viarie: rotonde sulla via Faentina per il riordino degli accessi attuali e due collegamenti da via Faentina alla zona del centro iperbarico (zona Comet e zona Iper). In città invece è prevista l'eliminazione del passaggio a livello di via Alberoni sostituito con un sottopassaggio viario da via Candiano a Piazza Farini, e di quello di via Canale Molinetto. Nella sede attuale rimarrebbero solo alcuni binari con una stazione secondaria di raccordo fra il centro storico e il canale Candiano. Una metropolitana di superficie collegherà la nuova stazione di Fornace e la città metropolitana con la possibilità di raggiungere Classe. Quanto alle merci il progetto punta a spostare il transito su una nuova viabilità che porti direttamente allo scalo merci esistente alle Bassette e all'insediamento industriale della Baiona. Per Cna il nuovo sistema viario e le aree urbanizzate progettate sono già previste nel piano urbanistico comunale e così non ci sarà ulteriore consumo di territorio. Fra i punti di forza elencati nel progetto spicca la scomparsa della congestione viaria e della pericolosità degli attraversamenti della via Faentina; la riduzione della mobilità su gomma grazie a parcheggi scambiatori, il car sharing e le navette elettriche. Nella previsione pensata dall’associazione di categoria cambia l’immagine di una degli accessi della città, si aprono prospettive per spazi ludico – sportivi e fieristici, per un terminal intermodale ferro - gomma e per la realizzazione di grandi eventi. Lasciati i progetti che in tempi di crisi economica possono avere tempi di gestazione lunghi, rimangono le previsione del piano operativo comunale (Poc) che negli elaborati prescrittivi, consultabili online indica la riqualificazione, integrazione, consolidamento e ampliamento degli insediamenti produttivi esistenti. Obiettivo sottoposto all’individuazione del tracciato definitivo della E55 e quindi alla cessione gra-
Nelle foto, le insegne e alcune immagini della frazione lungo la via Faentina, attorno alla quale si è aggregata nel tempo la località che, tramite un tessuto di attività commerciali e artigianali, praticamente non ha soluzioni di continuità con la periferia ovest di Ravenna. Dall’alto, tre scorci del borghetto storico, con il casone sulla statale che ospita il centro sociale e culturale polivalente Valtorto.
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tuita delle aree necessarie. Solo in caso di esproprio, la potenzialità edificatoria derivante dalle aree cedute potrà essere utilizzata all’interno del comparto medesimo. Segue poi l’adeguamento della via Canala fino alla connessione con il sistema rotatorio, lavori di potenziamento delle rete gas, acqua e delle fognature nere. Per gli insediamenti produttivi terziari esistenti a nord dell’asse di via Faentina il Poc parla di riqualificazione, integrazione, consolidamento e completamento. Se il futuro promette dinamismo e trasformazioni degli assetti noti, il passato parla sommessamente di cultura del lavoro. Di quella attività definita da Primo Uccellini nel dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi di Romagna nel 1855 alla voce: “fornaciari”. «L’articolo 276 dell’antico statuto ravennate concedeva facoltà a chiunque fosse del paese o forestiero, di tenere fornaci per coppi e pietre, con obbligo di cuocer bene siffatti materiali e di farli di giusta misura». In questo solco, come in altre zone della città, è sorta una fornace, così almeno racconta Guido Laghi nel volume firmato con Rossana Marangoni nel 1979, Toponimi di Ravenna. «Il toponimo è di formazione recente e propone il cognome di un ingegner Zarattini che verso la fine dell’Ottocento, in una zona del tutto anantropizzata, tra Ravenna e Godo, fece costruire una fornace per laterizi ed edificare alcune case per gli operai, addetti alla fornace stessa. Le mappe del governo pontificio della legazione di Ravenna e del primo Regno d’Italia ignorano nel più totale dei modi la località stessa». Del presente de e bòrg zaratén vale la pena ricordare la Polisportiva principalmente attiva nel calcio giovanile con un centinaio di ragazzi e dieci tecnici, ma anche nel ciclismo
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Da 30 ANNI Oltre ad un articolato sistema di aree commerciali e produttive la localitàdi Fornace ha sviluppato nell’ultimo decennio diverse zone residenziali con palazzine e villette. Recentemente Cna ha presentato un progetto per lo spostamento nella frazione della stazione ferroviaria di Ravenna giovanile (Pedale azzurro), nel football americano (Ravenna Chiefs), nel pattinaggio artistico (A.s. Rinascita pattinaggio), senza dimenticare sezione gastronomica addetta alle attività conviviali e alle cene di autofinanziamento. Gli impianti vennero completati nel 1986 grazie al lavoro di tanti volontari. Dopo anni di abbandono non c’è più traccia invece della piscina che per poco tempo integrò la forte domanda legata agli sport acquatici, oggi sostenuta dalla sola piscina comunale. Si occupano delle sorti di Fornace Zarattini il consiglio territoriale Centro urbano, con la presidente Fiorenza Campidelli e il comitato cittadino con la presidente Saula Donatini. Fra i servizi per i più piccoli appare il nido e la scuola per l’infanzia privati Madonna della Fiducia di via Faentina, legati all’omonima chiesa parrocchiale, mentre i collegamenti garantiti dal trasporto pubblico locale sono con le linee urbane 70 che raggiunge Punta Marina e Marina di Ravenna e quelle extra urbane a corse ridotte 150, 154, 155, 2/14. Da annoverare fra i servizi essenziali infine anche il presidio culturale rappresentato dal centro polivalente Valtorto di via Faentina 216. Da dicembre 2013 grazie a un accordo con l’assessorato alle politiche giovanili le associazioni Onnivoro, Norma, Panda Project e Valtorto sono responsabili del centro nato più di venti anni fa. Concerti di giovani band, performance, mostre, istallazioni, teatro con ospitalità a compagnie e seminari fanno vivere il centro permettono a tanti giovani volontari di imparare il mestiere dell’organizzazione di eventi e spettacoli. Senza dimenticare il teatro dell’Aglio che pensa ai più piccoli organizzando in estate nel cortile del Valtorto la rassegna di teatro di figura "Burattini alla riscossa".
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La città si mette in gioco e cambia le regole Semplificazione in arrivo in materia urbanistica e in edilizia di Chiara Bissi
Dopo anni di severe prescrizioni, di vincoli sempre più stringenti, la lentezza degli strumenti di governo del territorio si è scontrata con la più grande crisi economica vista dal dopoguerra ad oggi. L’estrema rigidità delle norme non ha avuto nessun effetto pedagogico sugli speculatori e sulle logiche commerciali che hanno inondato di invenduto il territorio urbano ma ha lasciato i piccoli committenti e i tecnici, sensibili alla sostenibilità degli interventi e alla funzionalità degli spazi abitativi, in balia di estenuanti iter autorizzativi. Di fronte al crollo della domanda, della liquidità, del credito e quindi della fiducia, la politica, sotto attacco da parte del mondo economico tutto, ha assunto come parola d’ordine la semplificazione delle procedure amministrative e dei percorsi autorizzativi. Dal governo centrale, alle assemblee regionali fino agli enti locali è un fiorire di decreti, di leggi, di piani per svegliare il Paese intero dal torpore, dopo anni di ritardi e lentezze intollerabili. Ravenna non è immune dal contagio, e mentre è alle prese con il piano operativo comunale (Poc) per la riqualificazione della darsena, mette mano al regolamento urbanistico edilizio (Rue). Una scelta obbligata imposta anche dalla legge regionale 15 del 2013 e dalla successiva legge 28 nelle quali è previsto l’adeguamento dei Rue alle nuove definizioni e parametri stabiliti. In poche parole un’occa-
NORMATIVA CITTÀ E TEMPO EDILIZIA
Gruppi di lavoro operativi per l’aggiornamento del Rue. Stop alla burocrazia e nuovo regolamento entro il 2014 sione per avere definizioni tecniche uniformi in materia urbanistica e in edilizia in tutto il territorio regionale e per ottenere omogeneità nella documentazione necessaria per i titoli abilitativi. L’uscita dall’incubo per le imprese e per i cittadini si avvicina, la deriva medievale dei territori confinanti che non dialogano fra loro per cui se un’attività produttiva gravita su due amministrazioni perde tempo con iter diversi, sembra destinata a scomparire. Il trattamento dei cittadini in maniera uguale viene garantito dalla Regione, attraverso atti di coordinamento tecnico, che stabiliscono nozioni e definizioni delle grandezze urbanistiche ed edilizie univoche su scala regionale. I Comuni si devono adeguare, per definire un lessico condiviso, ferma restando l’autonomia delle scelte di pianificazione. Procedure e documentazione uguali, certezze su definizioni e parametri diventano essenziali per gli operatori e per la Regione stessa, che potrà così effettuare un lavoro di monitoraggio sull’attuazione degli strumenti e potrà avere una banca dati costantemente aggiornata sul costruito e sullo stato dei titoli abilitativi. Nella grande campagna di semplificazione delle norme non si trova traccia purtroppo della volontà di abbandonare gli acronimi per definire strumenti e piani urbanistici, modalità respingente per i cittadini comuni, di fatto impossibilitati a comprendere il sistema che regola ciascun atto e le fasi di attuazione, ma che tanto piace a chi legifera, prova ne sia in ambito fiscale la recente girandola di sigle per individuare la tassa sulla casa e sui servizi indivisibili. Il consiglio comunale ha approvato con il voto della maggioranza e l’astensione dell’opposizione a fine gennaio l’adeguamento del Rue alle nuove leggi regionali e le varianti alle norme tecnico-urbanistiche del Poc 5 e Poc 12. Un passo giudicato dall’assessore
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all’urbanistica Libero Asioli «necessario per far ripartire il mercato in un contesto economico imprenditoriale penalizzato dalla crisi, come indicato anche nel patto per uno sviluppo intelligente inclusivo e sostenibile, sottoscritto dalle istituzioni e dalle forze economiche e sociali del territorio». Le modifiche introdotte alle norme urbanistiche, applicando la legge regionale, assegnano alla giunta e non al consiglio comunale i piani urbanistici attuativi (Pua) che non richiedono varianti urbanistiche; si concedono 60 giorni anziché 30 per la presentazione di pareri richiesti alle conferenze di servizio. Gli obiettivi da raggiungere nella variazione delle norme tecniche di attuazione sono la chiarezza delle norme, l’eliminazione di previsioni normative che comportano inutili duplicazioni di passaggi in più organi o commissioni; l’accoglimento delle indicazioni delle legge regionali in tema di commerciale, di impianti per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili e di norme antisismica del patrimonio edilizio esistente. Segue il miglioramento delle prestazioni energetiche promuovendo costruzioni realizzate con tecnologie alternative e la diffusione della bio-architettura sia nel patrimonio edilizio esistente che nei nuovi interventi. Sugli usi viene invocata una flessibilità e un omogeneizzazione degli standard di parcheggio, mentre gli elementi prescrittivi e quelli incentivanti devono avere una definizione inequivocabile. La revisione del Rue, non ha l’aspetto di una rivoluzione, ma per la prima volta avviene con il pieno coinvolgimento degli ordini e collegi professionali e con le associazioni di categoria del territorio, chiamati a formare dei gruppi di lavoro impegnati in ambiti specifici. A marzo presenteranno gli elaborati realizzati sulla disciplina del ricettivo; sui requisiti cogenti e volontari e sulle premialità legati a interventi di sostenibilità; sul centro storico; sull’omogeneizzazione degli usi e degli standard; sulla disciplina del commercio e su quella delle aree agricole e rurali. La precisa volontà politica espressa dal sindaco Fabrizio Matteucci è quella di arrivare all’adozione prima dell’estate ed entro l’anno avere il Rue approvato, una condizione questa per giungere al verdetto sulla candidatura della capitale europea 2019 con le carte in regola e sperare così di attirare investimenti internazionali. Quello sul Rue si presenta quindi come un lavoro di sottrazione che, come vuole la legge regionale 15 del 2013, colpisce anche la composizione della commissione per la qualità architettonica del paesaggio (Cquap) con l’esclusione dei tecnici comunali. Scomparirà anche il nucleo di valutazione interna Nuvi. Rimanendo nell’intricato mondo degli acronimi modifiche arrivano anche per la Dimensione media delle unità abitative di un’unità edilizia
(Dmuie) che non potrà essere inferiore a 60 mq per il litorale e la città a conservazione morfologica, e a 75 mq per il capoluogo, la frangia e per il forese. Tra i desiderata del sindaco anche un Rue che preveda le zone vietate al gioco d'azzardo, in particolare zona stazione e centro storico. Senza modificare l’impostazione ormai consolidata di non consumare altro territorio, l’attenzione ora va alla promozione di interventi per la messa in sicurezza e per una maggiore riqualificazione del patrimonio edilizio. Il messaggio lanciato dal sindaco è molto diretto: «Quanto e dove si costruisce è responsabilità del Comune. Il come, il bello e il brutto dipende dai progettisti e dagli immobiliaristi, che devono mettersi in discussione almeno quanto farà l’amministrazione comunale. Discuteremo con tutti: le associazioni, gli ordini professionali, il consiglio comunale, la giunta, i consigli territoriali, i partiti. Le novità le voglio nel 2014. L’ 85 per cento delle transazioni interessa il mercato dell’ usato, solo il 15 per cento è rappresentato dalle nuove costruzioni. La parte più sana del mercato è quella dell’ usato dove sono protagoniste le famiglie. Complessivamente in sette anni le compravendite si sono dimezzate, siamo ai livelli ai livelli degli anni Ottanta». Di fronte a uno scenario così preoccupante l’intero sistema che governa lo sviluppo urbanistico va verificato, a cominciare dal piano strutturale comunale (Psc) approvato nel 2007. Si tratta della grande cornice che definisce l’assetto strutturale del territorio con il limite di crescita del capoluogo (cintura verde),e riconosce vocazioni ma non rende attuabili direttamente quelle previsioni, che devono essere recepite dal Piano operativo comunale (Poc). Si attendono cambiamenti anche nei rapporti con i privati chiamati a ridistribuire al pubblico una parte della rendita (attraverso gli accordi ai sensi dell’ art. 18 i privati si impegnavano a “restituire” 84 milioni tra opere e extraoneri da versare). Previsioni oggi irreali. L’amministrazione mette in gioco così la riapertura delle procedure concertative/negoziali degli articoli 18 con l’aggiornamento degli obiettivi e la diminuzione delle quantità. Ovvero meno extraoneri a fronte di interventi privati molto più limitati ma, fattibili. Il Poc 2010-2015, governa tutte le previsioni del Psc ma dei 24 ambiti attivati ai sensi dell’ art. 18, non saranno più di 3 o 4 quelli in grado di avere degli esiti concreti nell’immediato. Fin qui lo stato dell’arte, nei prossimi mesi sembra che anche i cittadini potranno toccare con mano il valore delle trasformazioni in atto avvicinandosi al tema del governo del territorio e delle norme edilizie con qualche possibilità in più di capire e scegliere.
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Il ruolo dell'architettura contemporanea. Idee e progetti a confronto Nuovo ciclo di incontri alle Cantine di Palazzo Rava: otto conferenze con sedici protagonisti di diversa generazione di Emilio Rambelli
Come per lo scorso anno, lo scopo del nuovo ciclo 2014 delle conferenze di architettura ospitate, nelle Cantine di Palazzo Rava a Ravenna, è quello di sensibilizzare e avvicinare il pubblico, soprattutto di non addetti ai lavori, alla progettazione architettonica contemporanea, attraverso il lavoro di alcuni professionisti che nel nostro territorio si sono distinti per merito ed impegno. In particolare quest’anno, come curatore dell’iniziativa insieme al Gruppo Ravimm e alla redazione della rivista dell'abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), abbiamo deciso di imbastire una serie di 8 incontri (da febbraio a dicembre) sempre alle ore 21, sulla falsariga di quelli organizzati nel corso del 2013, i quali avranno la caratteristica di ospitare nella stessa serata un architetto, diciamo più “esperto” e un giovane architetto che illustreranno il loro lavoro, in una sorta di confronto generazionale. Fra gli architetti, per così dire senior, saranno ospiti professionisti che operano nel privato e altri che lavorano in ambito pubblico. Gli appuntamenti saranno cadenzati durante l’anno con l’uscita della rivista TrovaCasa Premium che per l’occasione dedicherà ampi servizi di presentazione e, in seguito, di documentazione sui protagonisti delle conferenze. Al termine del ciclo di incontri, gli otto giovani architetti avranno la possibilità di con-
frontarsi in un concorso di idee su un edificio del gruppo Ravimm, che sarà giudicato e premiato dalla giuria che per l’occasione sarà composta dagli 8 architetti più “esperti”. Tutto il lavoro sarà oggetto di una mostra finale che si terrà sempre negli spazi delle Cantine di Palazzo Rava . Ci tengo a evidenziare come i giovani architetti invitati fanno parte della migliore risposta generazionale architettonica degli ultimi anni e il livello di ognuno di loro, mi preme dirlo, è altissimo. Tra loro vorrei sottolineare gli studi “Montini & Zoli” di Faenza che saranno premiati al Maxxi di Roma per la menzione d’onore ricevuta all’interno del premio “Giovani Talenti dell’Architettura Italiana 2013”, lo studio “Ellevuelle” pubblicato su uno degli ultimi numeri della rivista Casabella, lo studio “Pambianco & Pretolani” di Forlì, secondo classificato nel concorso "Europan Svizzera" e lo studio “InOut architettura” di Ferrara, già pubblicati sulla rivista Domus, vincitori recentemente del primo premio nel concorso "Europan Svezia" e selezionati tra i 5 finalisti del premio “Young Architects Program” al Maxxi di Roma. Il concorso "Europan" è, da anni, il più prestigioso concorso europeo per giovani architetti e non accadeva da anni di avere in regione due tra gli studi vincitori. Siamo perciò particolarmente orgogliosi di dare avvio al ciclo di conferenze sul "Ruolo dell’Architettura contemporanea 2014" dal titolo “I sedici”, come sedici sono appunto gli ospiti di tale evento. Di seguito il calendario degli incontri.
27.02
Montini e Zoli - Faenza
20.03
Angeli e Brucoli – Faenza
17.04
Burroni e Dapporto – Ravenna
Claudio Piersanti – Faenza
15.05
Pambianco e Pretolani – Forli
Paolo Rava - Comune di Forli
19.06
Lazzarini e Pinoni - Faenza
18.09
Studio Ellevuelle – Forli
06.11
Inout architettura – Ferrara
04.12
Piraccini e Balducci - Cesena
IDEE CITTÀ E PROGETTI E TEMPO
Casavecchia – Muratoria – Ravenna Gabriele Montanari - Unione Comuni B. Romagna
Davide Cristofani – Faenza Francesca. Proni - Comune di Ravenna Teprin Associati – Ravenna Emilio Agostinelli Soprintendenza Ravenna.
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Al centro della prima conferenza, il 27 febbraio, l'esperienza di Massimiliano Casavecchia dello studio Muratoria di Ravenna e i progetti dei giovani Montini e Zoli di Faenza. “Del Metodo“ è il tema della conferenza proposto dall’architetto Massimiliano Casavecchia che a proposito sintetizza: « Il progetto di architettura non è mai invenzione ma piuttosto una scoperta. Le nostre città sono un grandissimo catalogo in cui si ritrova tutto, o quasi: è sufficiente saper leggere e aver voglia di imparare per riconoscere indicazioni e riferimenti tra le molte soluzioni proposte. Tra queste una delle più ricorrenti e suggestive è quella che porta a costruire nella storia la forma di un determinato manufatto, il cui risultato al presente è frutto quindi non di un disegno unitario ma di aggiunzioni, sovrapposizioni, soprelevazioni avvenute nel tempo. Del resto questo fatto ha sempre caratterizzato la trasformazione della città antica che è per lo più cresciuta su se stessa sostituendo o modificando parti del proprio tessuto. Così noi troviamo compresenti o sovrapposte la città romana, quella medioevale, quella rinascimentale, quella ottocentesca ecc., dove l’architettura nella sua forma originale o, spesso modificata, continua il suo confronto con il tempo e la storia e costituisce il luogo d’incontro tra passato e presente». Massimiliano Casavecchia è direttore della Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio, della Università di Bologna. Qui si occupa dell’organizzazione e del coordinamento delle attività promosse dalla Scuola nei campi culturale, della didattica post laurea e della ricerca applicata. Ha curato diverse mostre, eventi e comunicazioni su temi disciplinari. È autore e curatore di numerose pubblicazioni, tra le quali: Giovanni Muzio Opere e Scritti (Franco Angeli), Ravenna Città di Progetto (Cluva), Ernesto B. La Padula Opere e Scritti (Cluva), L'architettura di Cappai e Mainardis (Parametro), Costruire un territorio (Longo). Manfred Wehdorn Architect (con L. Cipriani, Clueb). Dirige la collana dei Quaderni sulla città e il territorio (Clueb). All'attività didattica affianca l'impegno professionale nei diversi settori disciplinari. È consulente di numerosi enti pubblici e società private. È socio fondatore di Muratoria.
Muratoria è una società cooperativa di architettura e ingegneria, con sede a Ravenna e unità operative a Bergamo e Roma. La società nasce nel 2004 attorno ad un gruppo di docenti e ricer-
Alcune opere firmate dallo studio Muratoria. Dall’alto, da sinistra verso destra: edificio per edilizia sociale a Bergamo. Palazzina residenziale a Ravenna. cinema Mariani a Ravenna. Villa unifamiliare a Ravenna. Centro servizi artigianali a Fornace Zarattini. Centro diagnosi e riabilitazione a Ravenna.
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CASA MONTINI M., 2007-2008 • Nelle prime colline di Faenza, sul crinale opposto a quello occupato dalla torre medioevale della frazione di Oriolo dei mille Fichi, viene restaurata una villa padronale di inizio secolo. Terza di un complesso costituito da casa padronale, edificio rurale e fienile (questi ultimi già recuperati in un precedente intervento), la villa presenta l’interno allo stato di grezzo e l’esterno da restaurare. Il progetto architettonico si limita alla definizione degli spazi attraverso alcuni interventi minimi: la creazione di un bagno in più e di un soppalco-zona studio rappresentano gli interventi più significativi. Una ditta di restauratori lavora direttamente sulla facciata: fregi e balconcino in cemento vengono recuperati e risanati. Il pavimento del piano terra, un getto monolitico in cocciopesto rosso, rimanda alla tradizione locale dei pavimenti in battuto e alle graniglie degli anni ‘50. A piano primo un unico pavimento a spina pesce in legno di rovere posato a correre evita l’eccessiva compartimentazione, a dispetto degli infissi interni necessari a preservare l’intimità delle numerose camere da letto. Il progetto si completa con il recupero dei diversi tipi di solaio presenti e con il disegno di mobili e degli infissi in ferro verniciato realizzati su misura da artigiani locali.
CASA NADIANI, 2009-2011 • ll progetto riguarda la drastica ristrutturazione di un complesso di fabbricati di cui il principale occupato da un forno rimasto attivo, per decenni, per opera della famiglia del proprietario e committente. Le opere comprendono la demolizione senza ricostruzione di buona parte degli edifici ma il mantenimento e restauro del forno a legna che diviene il centro distributivo della casa su due livelli di nuova configurazione. La casa riconquista una centralità tipica delle ville coloniche del territorio, sottolineata dalla copertura a quattro falde; tradizionali anche gli infissi a filo intonaco del piano primo ad interasse costante e così pure il motivo dei mattoni a gelosia del piano terra. Si conferma la vista attuale del fabbricato colonico specie nelle canne fumarie esterne in cotto che da sempre presentano il forno al paesaggio agreste. Il portico di ingresso a tutta altezza si allarga a piano superiore in una loggia che va ad inquadrare un noce adulto, protagonista dell’ampio giardino; un’altra loggia a nord definisce il prospetto di matrice classica che si rapporta con la profondità dei campi coltivati. L’ accesso carrabile e pedonale alla casa è previsto in asse rispetto al pino e alla quercia esistenti, mentre l’accesso al campo agricolo viene spostato quasi al limite del lotto in direzione ovest. L’impostazione tradizionale del progetto nasconde volontariamente la matrice contemporanea che si rivela nella cura di certi dettagli e soprattutto nell’interno governato da un’inaspettata complessità di leggeri dislivelli e compenetrazione di spazi.
CASA SABBATANI, 2008-2010 • L’intervento riguarda la nuova costruzione di un fabbricato unifamiliare su tre livelli. La committenza, rappresentata da una giovane coppia con due figli, ottiene la possibilità di costruire in aderenza e alla distanza di 3 mt. in virtù di vincoli familiari che li legano ai proprietari del fabbricato al quale si appoggiano. Il lotto a disposizione, di forma trapezoidale, permette un fronte sulla strada principale di soli 3,5 ml ma gode di una vista privilegiata su un parco pubblico. Il dislivello di circa tre metri tra fronte e retro strada viene risolto con muri di contenimento in cemento a vista e definiscono il piano interrato. Il rapporto tra fuori e contro terra diventa lo spunto progettuale primario. Un volume di cemento a vista lasciato volutamente grezzo fa da basamento a quello soprastante ad intonaco a calce cadenzato ritmicamente da ricorsi di ceramica posti di coltello. La fattezza dei listelli di rivestimento, identici a quelli del fabbricato a cui il nuovo volume si aggancia, unitamente all’intonaco ad andamento curvilineo risolve architettonicamente il mancato rapporto tra una serie di edifici degli anni ’70 lungo la strada carrabile, inspiegabilmente alti per Faenza, e la recente lottizzazione a due piani a fianco. Il volume intonacato si sviluppa attorno ad una piccola corte che preserva la distanza minima concessa tra i due fabbricati dando forma al vuoto presente tra nuovo e vecchio fabbricato. Un’unica interruzione del muro in cemento segna l’ingresso da una piccola strada comunale posta sul bordo del parco urbano e percorribile solo da cicli e pedoni.
IDEE E PROGETTI
catori formatosi attorno all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, con l'obiettivo di dare forma giuridica al comune impegno professionale che accompagnava l’insegnamento. La scelta della forma cooperativa corrisponde all’idea di un’organizzazione del lavoro orizzontale, fondata sulla solidarietà dei membri e sulla convinzione che le diversità di interessi e di esperienza interne al gruppo costituiscano una spinta propulsiva per la ricerca disciplinare e l’elaborazione di risposte adeguate alle necessità della città contemporanea. Muratoria ha attualmente un organico variabile tra le 15 e 20 persone sulle tre sedi. Neo laureati e tirocinanti provenienti dall’Italia e dall’estero lavorano accanto a professionisti di esperienza e ai soci: Valeria Balella, Giovanni Cataldo, Massimiliano Casavecchia, Silvano Casavecchia, Giorgio Della Longa, Giuseppe Gambirasio, Silvia Gambirasio, Stefania Gambirasio, Daniele Gulinelli e Patrizia Mengozzi. Muratoria negli anni ha operato in Italia e all'estero per enti pubblici e società private principalmente nel capo della pianificazione territoriale, dell’edilizia specialistica (scuole, cliniche, ospedali, municipi, edifici per lo sport e lo spettacolo) e in quello residenziale plurifamiliare. Gli architetti Nicola Montini e Gian Luca Zoli collaborano stabilmente dalla fine del 2005. Lo studio nasce conseguentemente alla vittoria di un concorso nazionale di progettazione urbana. L’interesse primario è la cura per la progettazione: dall’allestimento agli interni di residenze e attività, compreso il design di arredi e mobili su misura; dagli edifici residenziali a quelli commerciali, fino alla progettazione urbana a piccola scala come il recupero di corti rurali ed insediamenti residenziali; dagli interventi su spazi pubblici piuttosto che su edifici storici o vincolati. Non mancano le occasioni di cimentarsi in concorsi di progettazione sul territorio nazionale ed europeo e nell’attività didattica universitaria. Tra i risultati conseguiti si segnalano la menzione d’onore al "Premio Giovane Talento dell’Architettura Italiana 2013", il primo progetto premiato ad "Europan 11", "Agaf" e "IQU 2010". Diversi edifici realizzati sono stati inseriti nella Guida alle migliori pratiche di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente a cura di Aster/Cnr. In occasione dell'incontro esporranno al pubblico e descriveranno alcuni dei loro progetti più significativi.
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Comune di Ravenna
I Sedici Il ruolo dell’Architettura contemporanea Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava e dalla rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019 Coordinatore: Emilio Rambelli - Nuovostudio
Tutti gli incontri si terranno presso Le Cantine di Palazzo Rava - Via di Roma 117 - Ravenna Inizio alle ore 21
Calendario 2014
Intervengono
Espongono
27 febbraio
Giovedì Casavecchia e Muratoria
Montini e Zoli
Ravenna
Faenza
Giovedì
20 marzo
Gabriele Montanari
Angeli e Brucoli
Unione Comuni Bassa Romagna
Faenza
Giovedì
Claudio Piersanti
17 aprile
Burroni e Dapporto
Faenza
Ravenna
Giovedì
Paolo Rava
15 maggio
Panbianco e Pretolani
Comune di Forlì
Forlì
Giovedì
Davide Cristofani
19 giugno
Faenza
Francesca Proni
Lazzarini e Pinoni Faenza
Giovedì
18 settembre
Studio Ellevuelle
Comune di Ravenna
Teprin Associati
Forlì
Giovedì
6 novembre
Ravenna
Emilio Agostinelli Soprintendenza di Ravenna
Inout Architettura Ferrara
Giovedì
4 dicembre
Piraccini e Baldacci Cesena
Info Ilaria Siboni - siboni.ilaria@gmail.com - cell. 338 1584910
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Museo Nazionale di Ravenna, Sala delle Erme e Antichità. Antonella Ranaldi mostra la testa dell’erma di Milziade con iscrizione. A fianco Carlo Bertelli
Antonella Ranaldi dalle conferenze alle novità editoriali, al Museo Nazionale di Paolo Bolzani Cominciamo da giovedì 31 ottobre 2013, alle Cantine di Palazzo Rava, penultima serata del ciclo di conferenze coordinato da Emilio Rambelli con il supporto del Gruppo Ravimm–Le Cantine di Palazzo Rava, in collaborazione con la rivista dell’abitare Trova Casa Premium, il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019. Ospite d’eccezione è il Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Ferrara e Rimini. Introdotta da chi scrive l’architetto Antonella Ranaldi (Roma 1960) ha un solido curriculum scientifico. Ha conseguito la laurea con lode in architettura nel 1988, quindi il dottorato di ricerca in Storia dell’Architettura, il post dottorato e la Specializzazione in Restauro architettonico. Dal 2009 è Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici a Ravenna e dal 2012 è anche Soprintendente ad interim del Veneto orientale (province di Venezia, Padova, Treviso Belluno). Vanta nel proprio curriculum la pubblicazioni di circa cinquanta saggi e numerosi progetti e direzioni di lavori di restauro. Il Soprintendente ha illustrato la serie di restauri condotti nei
STATO DELLʼARTE
L’opera della Soprintendenza ravennate dalla memoria del restauro dei monumenti oggi Unesco alla nuova Sale delle Erme e Antichità, alla futura sistemazione delle sale nel monastero di San Vitale
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Dal libro Restauri dei monumenti paleocristiani. Dall’alto: Restauri e demolizioni della cappella del Santissimo Sacramento a San Vitale nella primavera del 1900. Tecniche di restauro del mosaico, particolari di integrazioni delle lacune con tasselli dipinti. Sant’Apollinare Nuovo, registro inferiore della parete settentrionale, consolidamento di profondità nella zona della teoria delle Vergini; inserimento nella muratura di barre di resina in poliestere e fibra di vetro Corrado Ricci. Studio degli ornati del Battistero Neoniano, acquerello su positivo fotografico al sale, inizio XX secolo
primi anni del XX secolo sui principali monumenti paleocristiani di Ravenna, dalla basilica di S. Vitale a quella di S. Apollinare in Classe, ad opera dell’ente da ella diretto, prima Soprintendenza ad essere istituita in Italia già negli ultimi anni del XIX secolo. Nel corso della serata ha evidenziato «la centralità nelle politiche di tutela del binomio ravennate di Luigi Rava e Corrado Ricci, che fruttò a Ravenna fino agli anni Trenta un’attenzione particolare rivolta al restauro dei suoi monumenti. Binomio che si ritrova a Roma protagonista degli interventi di sistemazione della via del Mare e della via dei Monti con lo snodo di piazza Venezia». Dalla sequenza di immagini che si sono susseguite si mostrano gli esiti dei restauri protonovecenteschi condotti sui monumenti ravennati, noti per il prestigioso riconoscimento Unesco, a seguito dei quali si è giunti alla loro immagine definitiva. Dalla loro osservazione si scopre come quello che si vede oggi non sia un esito “naturale” della vita del monumento giunto a noi, quanto piuttosto appaia il risultato degli interventi di conservazione e restauro compiuti nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Si tratta di scelte condotte in nome del ripristino dello stato del monumento nel suo momento più rappresentativo, con le sue straordinarie decorazioni musive. «Il restauro appartiene alla contemporaneità, in quanto risente della cultura del tempo e della visione storiografica che tende a privilegiare un periodo invece che un altro; a Ravenna l’interesse era orientato ai monumenti romano greci del periodo aureo della città del V e VI secolo» sottolinea il Soprintendente Ranaldi, allorché mostra i restauri di “liberazione” che interessarono San Vitale, per far risaltare l’involucro esterno con l’eliminazione di alcuni volumi che si erano aggiunti nel tempo e ne occludevano la percezione. «L’eliminazione di arredi, cancellate, altari, balaustre, parti aggiuntesi nel tempo - sottolinea con precisione si muoveva nella direzione della semplificazione». Con riferimento al Santo Sepolcro di Gerusalemme, Ranaldi spiega come la patina, le aggiunte, l’usura del tempo siano tracce che di per sé mostrino il segno di una vitale e pulsante continuità. Con una puntuale domanda di Fausto Piazza si torna a Ravenna e in particolare a S. Apollinare Nuovo in merito alla rimozione, operata nel corso dei lavori eseguiti in occasione del Grande Giubileo del 2000, dell’abside ricostruita a sua volta da Mons. Mesini nel 1951. L’architetto Ranaldi sottolinea «come anche in questo caso l’azione del restauratore sia subordinato al giudizio critico e storico del proprio tempo; laddove nel 19501951 si erano voluti nascondere gli ornamenti barocchi, successivamente si preferì invece restaurarli e riportarli in vista, segno evidente di un mutamento del giudizio critico che privilegia non tanto l’unità di stile, quanto la vita nel tempo, ridando dignità nel caso di S. Apollinare nuovo anche alla fase settecentesca». L’incontro è stato inoltre una buona occasione per avere informazioni su quanto la Soprintendenza stia facendo a favore della valorizzazione del proprio patrimonio museale. La prima data fornita è stata il 30 novembre, penultimo appuntamento di Una notte al Museo, evento precedentemente svoltosi il 27 luglio, 31 agosto, 28 settembre, 26 ottobre. Ideato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo esso ha previsto l'apertura serale di musei e aree archeologiche statali. La notte
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Nel corso della sua comunicazione Antonella Ranaldi si è giovata di una interessante sequenza di immagini che illustrano gli esiti dei restauri protonovecenteschi condotti sui monumenti ravennati, noti per il prestigioso riconoscimento Unesco, a seguito dei quali si è giunti alla loro immagine definitiva, così come tuttora essa ci appare. a Ravenna si è tenuta al Museo Nazionale, scelto tra i trentotto luoghi d'eccellenza per rappresentare la cultura e l'arte nella Regione Emilia Romagna, insieme alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, al Museo Nazionale Archeologico di Ferrara e alla Galleria Nazionale di Parma. Ai restauri dell’Ottocento e del Novecento dei monumenti Unesco e non solo di Ravenna, oggetto dell’excursus di Antonella Ranaldi, è dedicato il volume recentemente uscito e curato da Antonella Ranaldi e da Paola Novara, dal titolo Restauri dei monumenti paleocristiani e bizantini di Ravenna Patrimonio dell’Umanità, che vede la collaborazione tra Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Comune di Ravenna e Archidiocesi di Ravenna-Cervia, con saggi delle due curatrici e di Maria Carmela Maiuri, Emilio Roberto Agostinelli, Cetty Muscolino, Linda Kniffitz e la art direction grafica di Massimo Casamenti. Il Soprintendente è inoltre il curatore di un secondo volume, uscito per i tipi di Silvana editoriale, dal titolo Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna dedicato alle collezioni lapidarie del Museo e in particolare alla nuova Sala delle Erme e Antichità. Il volume è introdotto da un ricordo di Carlo Bertelli, che da par suo riannoda in poche righe la storia delle erme, gli evi antichi di Ravenna, il processo in itinere di riorganizzazione e risistemazione del Museo: «per prima cosa – spiega il professore milanese, già soprintendente a Brera – viene ora restituito il percorso di accesso e di visita che la stessa architettura del monastero benedettino che ospita il museo imponeva». Negli ultimi anni si è infatti proceduti allo spostamento dell’ingresso al Museo da via Fiandrini a via S. Vitale, a fianco dell’accesso agli uffici della Soprintendenza, operazione che consente una nuova sequenziale ricollocazione della reception e del bookshop. Il visitatore ora raggiunge il primo chiostro e la nuova Sala delle Erme e Antichità, quindi prosegue per il secondo chiostro, in cui si sviluppa il lapidario in maniera cronologica, così come l’aveva concepito Giuseppe Gerola, giovane Soprintendente a Ravenna dal 1910 al 1919 e autore dello spostamento del Museo dal complesso classense a quello benedettino di San Vitale. Il percorso al piano terra conduce fino al Refettorio, che ospita le leggiadre vele pittoriche di Pietro da Rimini provenienti dall’abside di quella che fu la chiesa di S. Chiara e ora è il Teatro Rasi. In un futuro non poi così lontano (2021?) il visitatore potrà invece accedere fino al terzo chiostro, sconosciuto alla maggior parte anche dei ravennati, dove il pro-
STATO DELLʼARTE
Museo Nazionale di Ravenna, Sala delle Erme e Antichità. A sinistra: Bambino con cane e gruppo di divinità A destra: Erma itifallica ed erme di Dioniso, Milziade (?) e Milziade con iscrizione
getto prevede un giardino lapidario e l’installazione di un servizio di ristorazione nell’ala che segue via Fiandrini. Ma entriamo nella nuova Sala delle Erme e Antichità in cui la Ranaldi sottolinea come si sia cercato di riprendere lo storico layout espositivo di Gerola, e in cui si sono felicemente aggiunte le nuove scelte illuminotecniche in grado di evidenziare le peculiarità delle pregevolissime opere esposte. La Sala ha assunto la propria denominazione dalla presenza di cinque erme marmoree, risalenti al II sec. d. C., che nella seconda metà del Cinquecento vennero acquisite dal cardinale Ippolito d’Este, noto a sua volta per la propria straordinaria Villa a Tivoli, uno dei primissimi esempi di giardino all’italiana. Intorno al 1570 avrebbero dovuto raggiungere Ferrara, dove mai fecero il loro arrivo, perché scomparvero in un naufragio davanti alla foce del fiume Reno. Trascorsero vari secoli e infine vennero rinvenute in mare da pescatori nel 1936. Negli anni successivi vennero trasferite al Museo Nazionale di Ravenna. Le erme ritraggono personaggi illustri del mondo greco: Milziade (l’eroe della battaglia di Maratona del 490 a.C.,), i filosofi Carneade ed Epicuro e Dioniso. Antonella Ranaldi studiando queste erme ne ha ripercorso la rocambolesca storia che si intreccia con i suoi studi sul geniale architetto e antiquario napoletano Pirro Ligorio, come sottolineato da Bertelli che prosegue nei propri ricordi. «Le erme non ancora restaurate, furono esposte pochi anni or sono nella mostra intitolata Otium, realizzata da RavennAntica», allestita da chi scrive. Nel marzo dell’anno scorso ecco un altro viaggio delle cinque erme, ora alla volta di Napoli, dove si tenne la XIII edizione di Restituzioni 2013. Tesori d'arte restaurati, curata da Carlo Bertelli e Giorgio Bonsanti, e promossa e realizzata da Intesa SanPaolo. L’esposizione napoletana ha avuto luogo a Capodimonte e a Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale di Intesa Sanpaolo. Tra le circa 250 opere restaurate spiccano le cinque erme classiche del Museo Nazionale di Ravenna e il mosaico del «Leopardo», proveniente da una domus di Faenza e ivi rimasto per decenni in deposito. Come sottolineava Bertelli nella sua presentazione e introduzione al catalogo della mostra napoletana, è evidente in quella mostra «la preoccupazione dominante di ricucire e restituire i contesti. Eloquente a questo proposito il caso delle cinque erme del Museo Nazionale di Ravenna. Esposte per anni accanto a trafori marmorei sublimi dell'età di Giustiniano, avevano destato un'attenzione distratta. Finché la nuova soprintendente Antonella Ranaldi, che aveva pubblicato studi su Pirro Ligorio e le ville tiburtine, riconosce nelle cinque erme, che un naufragio aveva condotto a Ravenna, proprio i ritratti che Alfonso II d'Este aveva destinato alla sua biblioteca di Ferrara». Da Napoli le erme ritornano a Ravenna, in particolare se ne parla il 28 settembre, in occasione di una apertura preliminare della Sala ad esse destinata, nella Sala Arcangelo Corelli del Teatro Alighieri, in cui si tiene un convegno, organizzato dalla
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Il 2014 si è aperto con due nuove pubblicazioni entrambe curate dal Soprintendente, il primo insieme con Paola Novara: Restauri dei monumenti paleocristiani e bizantini di Ravenna Patrimonio dell’Umanità, che vede la collaborazione tra Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Comune di Ravenna e Archidiocesi di Ravenna-Cervia. Il secondo volume, uscito per i tipi di Silvana editoriale, reca il titolo Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna ed è dedicato alle collezioni lapidarie del Museo e in particolare alla nuova Sala espositiva del primo chiostro. Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio, insieme alla Fondazione RavennAntica, il Comune di Ravenna, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e la Direzione Regionale per i Beni Culturali. Vi si celebra il restauro e la nuova collocazione delle Erme nella Sala omonima del Museo Nazionale di Ravenna, mentre contemporaneamente viene esposto a TAMO il mosaico con la raffigurazione del «Leopardo» della domus di Faenza. Attorno alla novità espositiva la Ranaldi ha ideato un ciclo di conferenze dal titolo Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna, che ci condurrà fino alla fine del 2014. In questo modo la Soprintendenza si pone come centro di promozione culturale; a latere di questo ciclo altri autori possono inoltre esporre gli esiti del proprio lavori di studiosi. È il caso del nuovo monumentale volume Ravenna eterna. Dagli etruschi ai veneziani di Massimiliano David, docente di Archeologia della Tarda Antichità e archeologia della Città Tardoantica, che si avvale di una veste grafica particolarmente curata, che molto deve alla bella campagna fotografica inedita di Bams Phoyo Rodella per i tipi di Jaka Book, che potremo trovare anche in lingua francese o inglese nel bookshop del Museé du Louvre.
A destra: dal libro Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna. Pirro Ligorio, Librariaanticharia nel Castello Estense di Ferrara, particolari dell’alzato In basso: dal libro Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna. Organigramma delle collezioni e dei capolavori del Museo e pianta orientativa delle collezioni.
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Il destino dei luoghi Vi siete mai chiesti come sarebbero potuti diventare alcuni dei luoghi che conoscete? La programmazione è il principio su cui si basa l'urbanistica moderna, ovvero progettare l'assetto del territorio in base alle aspettative di evoluzione della società che lo vive Ai tecnici che operano sul territorio e ai politici che lo governano, spetta la grande responsabilità di determinare il futuro della collettività di Enrico Gaudenzi
Sopra, due immagini emblematiche di “cementificazione“ che ha influito negativamente sul territorio provocando degrado sociale: Le “Vele” di Scampia a Napoli e il quartiere Zen di Palermo
PROGETTARE IL TERRITORIO
La vita, si sa, è fatta di scelte, che una volta compiute determinano il nostro futuro. La buona regola insegna che le decisioni andrebbero prese in modo ponderato, ma non sempre questo è possibile e dunque spesso ci si affida alla casualità del momento. Anche in campo urbanistico ed edilizio, le scelte effettuate spesso determinano il destino dei luoghi e delle persone che li vivono. Vi siete mai chiesti come sarebbero potuti diventare alcuni dei luoghi che conoscete? Il quartiere in cui vivete, la piazza che quotidianamente attraversate o il parco che frequentate come potrebbero essere oggi se le cose fossero andate in modo diverso? Purtroppo le sliding doors esistono solo nei film e le seconde occasioni tornano raramente, per non dire quasi mai. Pensiamo a due noti esempi di un passato recente, come il quartiere Zen di Palermo o Le Vele di Scampia a Napoli: come sarebbero oggi quei quartieri e ancor più le città di Palermo e Napoli, se non fosse stata realizzata quel tipo di edilizia? La programmazione è il principio su cui si basa l'urbanistica moderna, ovvero il programmare l'assetto del territorio in base alle aspettative di evoluzione della società che lo vive. Spesso i problemi sorgono quando questa programmazione viene svolta in modo accademico e asettico, applicando teorie che non sempre vanno di pari passo con l’evoluzione della società, altre volte invece i problemi si manifestano quando si rincorre l’emergenza del momento, agendo senza una visione. Ai tecnici che operano sul territorio e ai politici che lo governano, spetta la grande responsabilità di determinare il futuro della collettività. Dal dopoguerra in poi, le città, dopo secoli di contenimento all’interno delle cinte murarie, sembrano esplose, perdendo la regola generativa che aveva retto fin dalla loro nascita. La città, intesa come luogo vivo e pulsante, come prodotto culturale frutto di esperienze e relazioni, ė il risultato di lunghe sedimentazioni; la bellezza e la straordinarietà delle città storiche deriva da questo processo di stratificazione perpetrato nei secoli e che non può essere riprodotto in alcun modo.
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Il centro storico fa parte della cultura urbana europea e, mentre oggi viene percepito solo come una zona della città dalla forte identità, in passato coincideva con l’idea stessa di città. Gli odierni centri storici rappresentano i nuclei originari delle nostre città, sviluppatesi nel corso della storia secondo la necessità di concentrare in un luogo ben definito le attività di commercio e di governo legate ad un determinato territorio. In virtù di ciò e per la loro conformazione morfologica, i centri storici restano, ancor oggi, i luoghi fisici più vocati alla socializzazione e all’interazione. Il susseguirsi di piazze, vie commerciali e monumenti, offre una varietà di percorsi e situazioni aggreganti, riproducibili solo con un’attenta pianificazione. Questo è il motivo per cui i centri storici restano luoghi attraenti ed interessanti, mentre le urbanizzazioni massicce delle periferie hanno spesso generato fallimenti. Il territorio è un'entità viva e richiede lente evoluzioni, per consentire un naturale ed indolore riassetto. Ripercorrendo la storia dell'architettura contemporanea, si può affermare che nella stragrande maggioranza dei casi in cui sono stati realizzati interi quartieri di nuovo impianto, si sono determinate situazioni di degrado e di disagio sociale. Per gli interventi realizzati in passato, questi fenomeni trovavano in un certo modo giustificazione, in quanto di fronte all’urgenza della domanda abitativa, le città non riuscivano a rispondere con una politica urbana socialmente sensibile che affiancasse il programma edilizio di crescita. Dalla fine degli anni novanta fino ad arrivare ai giorni nostri, la crescita delle città è stata spinta più da logiche speculative che dall’emergenza abitativa, per cui ora non trova più giustificazione l’infelice risultato a cui spesso si è giunti. Gli ultimi quindici anni possono essere definiti l’età del cemento. Se si considera un lasso di tempo che va dal 1956 ai giorni nostri, si può vedere come la quantità di consumo del suolo sia stata in costante crescita, toccando il suo apice nel 2010, con un consumo medio passato dal 2,8% del 1956 all’8% del 2010 (fonte Ispra). L’Emilia-Romagna è al quinto posto nella classifica delle regioni con maggior consumo di suolo, a pari merito con il
Alcune immagini che mettono in luce la forma dei centri storici, luoghi che hanno sedimentato funzioni di servizio e aggregazione sociale, e l’edificazione delle periferie che, generando urbanizzazioni massiccie hanno spesso tradito il rispetto del paesaggio e degli abitanti. Dall’alto, la piazza centrale di Ravenna, la darsena di città che da anni attende una ponderata riqualificazione, e nuovi condomini nella periferia sud-est. Qui sopra, la città di Lucca che con la sua integra cinta muraria segna la divisione fra parte storica e nuove espansioni urbane.
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Lazio. Senza voler dare una visione da ragazzo della via Gluck, vorrei invitare a riflettere sui risultati raggiunti con le urbanizzazione realizzate negli ultimi quindici anni: in rari casi si può parlare di qualità dei luoghi. Nella stragrande maggioranza dei casi, la composizione dei nuovi insediamenti è avvenuta compilando pedissequamente una scheda fatta di cifre per rispondere alle richieste di standard urbanistici dettate dai regolamenti comunali, dimenticandosi del principio con cui questi standard sono stati introdotti nell’ambito disciplinare. Lo standard, inteso come unità minima da rispettare ai fini qualitativi di un’opera, ha un ruolo nobile e di assoluta rilevanza, perché ha il compito di garantire alla collettività la qualità del vivere. Perché dunque in epoche lontane, quando il concetto di standard urbanistico ancora non esisteva, si aveva un’elevata qualità nelle città? Nel passato la città rappresentava il luogo dell’agire storico dell’uomo, in cui le esigenze funzionali andavano di pari passo con quelle estetiche, in modo tale che il risultato fosse l’espressione della cultura e della società del tempo. Oggi sembra che tutto ciò non accada più; paradossalmente nonostante gli innumerevoli regolamenti e leggi che si sono succedute, le città sembrano diventate più il frutto del caso che il risultato di una “pianificazione scientifica”. L’inarrestabile frenesia burocratica che caratterizza in particolare il nostro paese, ha fatto sì che non fosse più l’uomo al centro delle scelte, ma i numeri, trascurando le esigenze reali dei cittadini e la valorizzazione del senso di appartenenza e di responsabilità civile. In virtù di ciò negli ultimi decenni è spesso accaduto che ambienti dalle connotazioni positive, diventassero luoghi mal percepiti e senza capacità di attrarre.
Pensiamo ad esempio ai tanti parchi, piazze e parcheggi sorti nelle nuove periferie, spesso collocati in zone marginali e poco funzionali a chi vi abita. L’avvento della crisi finanziaria e il conseguente rallentamento dello sviluppo edilizio, ci offrono un’occasione imperdibile per fermarci a riflettere su quello che è stato e per ripensare le logiche di sviluppo che hanno prevalso finora, dando, si spera, avvio ad un nuovo periodo, che dovrà essere sempre più caratterizzato da approcci di tipo partecipativo e da politiche votate al recupero e alla riqualificazione. L’approccio partecipativo è una pratica in uso da diverso tempo nei paesi nordeuropei e si può definire molto semplicemente come il coinvolgimento attivo dei potenziali beneficiari nelle diverse fasi di pianificazione. Questo approccio dal basso, se utilizzato fin dalle fasi di concepimento dei piano, diventa uno strumento molto efficacie per migliorare la qualità dei progetti; spesso però se ne fa un uso improprio, usandolo a fasi alterne con il solo scopo di raccogliere consenso. Come i Predatori dell’arca perduta, in questa rubrica proveremo a ricercare il genius loci in zone del nostro territorio in cui interventi edilizi ed infrastrutturali hanno comportato trasformazioni. Il termine genius loci indica l’identità di un luogo, ovvero l’insieme degli aspetti qualitativi, socio/culturali e di abitudini con cui l’uomo lo vive. Nel culto romano il genius loci rappresentava l’energia originaria che permea i luoghi. Anche oggi possiamo avvertire la presenza di questa energia e spetta all’uomo con il suo operato rispettarla e saperla interpretare.
Due raffigurazioni simboliche della complessità e dello spaesamento che caratterizzano – nel bene e nel male – la disciplina e l’etica della pianificazione urbanistica e territoriale.
PROGETTARE IL TERRITORIO
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Bonobolabo di Marco Miccoli. Spazio espositivo con l’allestimento della mostra di Stefano Babini, C.M., omaggio a Corto Maltese.
Spiriti ribelli a Bonobolabo SPAZI CITTÀ DELLA E TEMPO CULTURA
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Negozio e Spazio espositivo di Marco Miccoli per artisti, writer e patiti della tavola a rotelle GENNAIO-FEBBRAIO
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Sopra: IF YOU CAME SAY HI!, mostra di Ale Giorgini. Sotto: Skateboarding al Bonobolabo.
di Marina Mannucci Bonobolabo di Marco Miccoli in via Centofanti 79, a Ravenna, ha compiuto un anno. Nato come spazio dedicato alla vendita di skateboard e ad esposizioni artistiche è in breve tempo diventato importante punto di riferimento per la promozione di giovani artisti. Un luogo dove le nuove forme d’arte e di comunicazione, che rappresentano correnti di notevole interesse di arte urbana, e non solo, hanno la possibilità di essere esposte e raggiungere il pubblico. Bonobolabo si è caratterizzato da subito come spazio collettivo che permette agli artisti di raggiungere la collettività in modo più libero da vincoli, rispetto a quello di una tradizionale galleria d’arte. Un cambio di rotta, che promuove nuove soluzioni riguardo al ruolo dell’artista per garantirne professionalità, genialità ed anche forme di ribellione. Una forma democratica di accesso libero e con un controllo in tempo reale sui messaggi artistici di produzione sociale che permette di sperimentare nuove forme creative ed anche modi non convenzionali dello stare insieme. Mentre intervisto Marco Miccoli, seduta all’interno del suo negozio, rimango colpita dalle persone che entrano ed escono da questo luogo: bambini con la loro tavola sotto braccio si dirigono in completa autonomia verso lo spazio dedicato allo skateboarding, ragazzi comprano bombolette spray e chiedono informazioni riguardo ai tappi per modulare lo spruzzo. Imparo così che ne esistono quattro grandi categorie: gli skinny (spruzzo sottile), i soft (spruzzo medio), i fat (spruzzo largo) e i tappi vari (tipo i direzionali). Entra un giovane uomo con sua figlia, una bimba bellissima, vivace ed allegra che dialoga con il padre mentre prova a stare in equilibrio su una tavola. Un uomo adulto e sua figlia prenotano una tavola per il nipotino: il modello più richiesto è “quello di piccole dimensioni” che sta di misura dentro lo zaino e può mimetizzarsi con i libri. Un po’ fenomeno sociale ed un po’ sport alternativo, sono sempre più numerose le persone (giovanissimi ed adulti) che si esibiscono sulla tavola da skateboard. Come tutti i generi street, la break dance, l’hip hop o il più recente parkour, anche lo skateboarding è il risultato di azioni fatte lungo la strada. Per molti ragazzi è un
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Eventi realizzati nel 2013 Giorgio Zattoni XXth anniversary mostra dedicata ai 20 anni della carriera da skateboarder professionista Giorgio Zattoni Marco Lambertucci Pro Party/Contest/Screening Presentazione del Pro Model di Marco Lambertucci “Five years after” Mostra fotografica di Marcello Guardigli C.M. Omaggio a Corto Maltese Mostra personale di Stefano Babini “Pezzi unici” Mostra dedicata all’illustrazione con Rospo e alla serigrafia con Serimal IF YOU COME SAY HI! Mostra personale di Ale Giorgini dedicata all’illustrazione “Oniricotraslucido” Vernissage con spray con Keota + Fabrizio Romano SURFACE Mostra sulla Street Art, una tavola da skate accompagnata da una foto di un muro dipinto Domingo Zapata Feat. KOKO Koko Mosaico presenta le traduzioni musive realizzate per l’artista Domingo Zapata ArtDesia Un omaggio all’arte effimera sulla lavagna “mabino&ilino” La fumettista Mabel Morri presenta il numero 0 del suo nuovo fumetto STAR WARS Exhibition Mostra su guerre stellari con Davide Fabbri e Denis Medri, in collaborazione con EMPIRA
modo per sfogare l’energia e magari anche la rabbia e l’aggressività che hanno dentro. Un modo anche per uscire dalla violenza che a volte li circonda; per migliorarsi. Lo skateboarding nasce in California negli anni ’50. A quei tempi era molto popolare skateare nelle pool (piscine con pareti curve), mentre attualmente, nel nostro paese, questo genere di attività è normalmente praticata per strada (street-skating) o in apposite aree predisposte chiamate skatepark. Lo Skateboard rappresenta spesso il simbolo di uno stile di vita dove coesistono, senza alcun conflitto tra loro, realtà diverse quali: l’età, l’estrazione sociale, il bagaglio tecnico, le capacità fisiche, nonché fantasia e coraggio. Bonobolabo, ad un anno dalla sua inaugurazione, si è affermato come faro dei cambiamenti e delle sperimentazioni in campo artistico della nostra città, punto d’incontro di una generazione ribelle, luogo tra la fantascienza ed il cyberspazio. I problemi della città contemporanea trovano in questo ambiente risposte al di fuori degli strumenti tradizionali, grazie anche alle modalità con cui l’arte riesce ad esprimere il suo rapporto nei confronti degli spazi urbani. La città, in continuo cambiamento da un punto di vista sociale, fisico ed economico, con i suoi confini di dissolvenza, si manifesta nei locali di via Centofanti come humus del pensiero creativo. Anche l’arte sta mutando, ed in questo caso ha sentito la necessità di uscire dalle gallerie ed essere parte attiva del contemporaneo dibattito socio-economico e politico.
Alessandro Garavini + Riccardo Mognato La Darsena di Ravenna fotografata e illustrata #Rana13 Concorso Instagram in collaborazione con Instaravenna
Sopra: SURFACE, mostra dedicata alla Street Art. Sotto: Stampa serigrafica in diretta con SERIMAL. TUTTE LE FOTO SONO DI MARCO MICCOLI
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CITTÀ SOSTENIBILE
Una rivoluzionaria sostenibilità Il nostro impegno deve essere dare, soprattutto ai giovani, il coraggio e l'energia per credere in valori rivoluzionari.
Libertà e indipendenza sono necessarie per rivoluzionare i nostri comportamenti. Per avere un approccio olistico dell’abitare e del vivere. Per ragionare su natura ed esseri umani non solo in termini energetici. Oggi occorre pensare anche a sicurezza sismica, gestione dell'acqua, smaltimento dei rifiuti, riqualificazione delle aree urbane, inquinamento e acustica. Più della metà della gente vive in case costruite dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Sono immobili colabrodo, con spifferi, umidità, muffe, rumori che causano anche problemi di salute. Una questione che non è solo italiana, coinvolge tutta l'Europa. Bisogna accettare l'idea che gli edifici, considerati erroneamente immobili, abbiano, come tutto, una vita. Non c'è nulla di permanente e di immobile. È quindi necessario intervenire. E non solo per adeguarsi alle normative ma, soprattutto, per migliorare la nostra e altrui qualità di vita. La sfida che abbiamo oggi di fronte è talmente grande e il tempo a nostra disposizione talmente poco che dobbiamo cercare di concentrarci sull’essenziale; per questi motivi il primo obbiettivo è quello di coinvolgere tutti gli attori che devono essere presenti, ovvero l’intera filiera, che ha in ogni caso al suo centro l’utente finale. Soprattutto è necessario affrontare le sfide della sostenibilità con risposte che siano valide per i prossimi 20/30 anni e per la prossima generazione; pertanto non va semplicemente affrontata la questione energetica ma è necessario porsi di fronte alla sostenibilità edilizia con un approccio olistico cioè una visione complessiva dell’abitare che richiede di declinare questo obbiettivo iniziando dalla progettazione, e passando poi alla costruzione e alla gestione della vivibilità dei contesti abitativi. Quindi, nuovo approccio alla sostenibilità ambientale, non solo tecnologico ma soprattutto culturale, in questo senso la tecnica ci deve dare una mano. Negli ultimi decenni abbiamo appurato che la tecnica e le tecnologie se lasciate camminare da sole causano grandi disastri e a questo stato di cose dobbiamo rimediare perché questo tipo di approccio è fallito. Le grandi crisi che stiamo attraversando sono infatti il frutto di questo comportamento di sostanziale insostenibilità praticato da tutti noi. Dobbia-
ABITARE LʼHABITAT
mo invece cominciare a ridisegnare i grandi compartimenti della nostra società: l’edilizia, il trasporto e l’agricoltura industrializzata. L’inizio di questo processo di trasformazione avviene proprio a partire dall’edilizia, e in particolare sui due fronti principali. Sul fronte delle nuove costruzioni che richiedono quell’approccio qualitativamente molto elevato che ben sappiamo ma soprattutto sul fronte dell’esistente: in questo casi dobbiamo re-interpretare l’esistente e non solo i singoli edifici ma anche intere aree al fine di riqualificare rispettando le nuove istanze. Questa missione culturale richiede una nuova percezione dell’ambiente perché fondamentalmente ci manca la consapevolezza di cosa sta accadendo e del fatto che i problemi che abbiamo di fronte non sono semplicemente una moda. Il tempo che abbiamo a disposizione per intervenire è molto breve, questa urgenza è dettata dai drammatici segnali che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: l’energia che scarseggia, il degrado ambientale a cominciare dai cambiamenti climatici e dagli ecosistemi che ci circondano, il degrado sociale che incontriamo a causa dell’interpretazione dell’edilizia degli anni passati che ha creato dei “casermoni” dove le persone oggi devono affrontare non solo un problema energetico ma anche economico e sociale. Progettare, Costruire e Vivere l’Ambiente sono quindi le fasi fondamentali attraverso cui si sviluppa il concetto della sostenibilità ambientale, poiché i problemi che scontiamo oggi sono dovuti agli errori che arrivano dal passato. Abbiamo creato troppe specializzazioni; ovvero, il progettista non è in contatto con chi lavora in cantiere che a sua volta non tiene conto dei soggetti che subentreranno a vivere questi ambienti. Oggi, tutti, ci lamentiamo di questa forte e lunga crisi nell’edilizia ma per poterla superare dobbiamo agire in modo veloce e capire che è una grandissima opportunità; sono molti i posti di lavoro che possiamo creare nei prossimi anni ristrutturando l’esistente e in questo modo possiamo far sì che le famiglie spendano i propri soldi per il proprio benessere e non per pagare corrente elettrica e gas. La percezione attuale del mondo è cambiata: nel dopoguerra il petrolio non costava nulla, oggi tutto ciò non è più accettabile ed occorre cambiare; lo Stato deve incentivare questo processo di cambiamento e far capire al cittadino che questo è nel suo interesse perché l’indipendenza energetica, la protezione del clima risultano validi obbiettivi anche per le famiglie, visto il risparmio sulla bolletta. Grande importanza assumeranno quindi
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le tematiche riguardanti la formazione, la divulgazione e l’informazione dei vari aspetti della sostenibilità in edilizia e in architettura; non soltanto tra gli addetti ai lavori ma anche a livello generale, dobbiamo serrare le file non possiamo proseguire come in passato, ognuno per la propria strada, oggi la partita si vince solo se giochiamo bene in squadra; questo secolo è dedicato all’insieme e non all’ego e all’individualismo. La sostenibilità è una formula ancora sconosciuta, è soprattutto un tentativo di trovare un equilibrio tra esigenze risorse e ambiente; ciò significa studiare questo tipo di equilibrio e riflettere sulle risposte ai problemi che ci stanno davanti perché, ad oggi, ancora non conosciamo i particolari di questa strada. Ne conosciamo solo la direzione ma la strada dobbiamo ancora costruirla. È il momento di innescare un processo che aiuti a superare una serie di ostacoli e che consenta di reagire adeguatamente: il miglior modo per poter continuare è cambiare i nostri comportamenti e comprendere che il cambiamento è nel nostro interesse. È necessario un investimento culturale che implica un grandissimo sforzo in termini di divulgazione, di informazione e sensibilizzazione. Abbiamo purtroppo visto dove ci ha portato il vecchio sistema, le vecchie ricette non funzionano più, dobbiamo trovare nuove vie per poter mantenere una qualità di vita e di benessere e il punto cruciale è legato all’energia. Siamo di fronte a un traguardo epocale, stiamo entrando nella più grande rivoluzione dell’umanità e come sempre non si sa come finiranno le rivoluzioni. Dobbiamo almeno essere aperti ai cambiamenti e propositivi, smettere di lamentarci ma esserci, partecipare e costruire questo cambiamento che ci consentirà di lasciare ai nostri figli e alle prossime generazioni ,non soltanto una pesante eredità di problemi, ma anche gli strumenti per gestirli e risolverli. Cambiamenti indispensabili, di cui siamo ancora poco consapevoli. Causa crisi e relative insicurezze. Causa perplessità e timori, mancanza di coraggio e di motivazioni. Ci vuole coraggio, passione, determinazione per cambiare. Credo nei cambiamenti e nei sogni. Non sono l'unico, (spero)! Questa crisi ci sta offrendo eccezionali opportunità. E, che lo si voglia o no, siamo in una nuova era. In cui si sta affermando una nuova visione di costruire, abitare, vivere. Puntare sul rispetto di natura, esseri viventi, tradizioni. Un rispetto che sceglie i materiali naturali. Non sempre sono più costosi, anzi. Oggi tutto sembra fermo. Ognuno è occupato a trovare scuse. Nelle opportunità, quando ci sono, si vedono solo ostacoli. Questa è, la grande e grave difficoltà italiana. È necessaria un’apertura mentale per cominciare di nuovo a camminare. La voglia di cambiamento c'è, soprattutto tra i giovani. Giovani che chiedono di partecipare. Il nostro impegno deve essere dare, soprattutto a loro, il coraggio e l'energia per credere in valori rivoluzionari. Come la sostenibilità. Che può, deve, essere anche e soprattutto bella. Una rivoluzionaria sostenibilità appunto.
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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
Il rinnovato (ma sempre fondamentale) ruolo dell’agente immobiliare nell’epoca del web 2.0 Ce ne parla Pierluigi Fabbri, presidente di Fimaa Ravenna
Malgrado le poche certezze derivanti dalle scelte politiche, il settore immobiliare continua a essere trainante per l’economia. Non a caso dunque se questo rallenta, l’economica arranca. In un momento storico così ricco di cambiamenti, anche il ruolo dell’agente immobiliare non è più lo stesso. Per essere al passo coi tempi, è necessario avere una certa elasticità mentale e conoscenze adeguate per padroneggiare al meglio i nuovi strumenti tecnologici. «L’agente immobiliare ha oggi un prezioso ruolo di consulenza – spiega Pierluigi Fabbri, presidente di Fimaa Ravenna –. Il web offre nuove opportunità, impensabili solo fino a qualche anno fa. In più, a essere cambiata è la stessa clientela anche in virtù del fisiologico ricambio generazionale. Va da sé che bisogna adeguarsi a un modo nuovo di lavorare che è frutto anche di esigenze diverse di chi è alla ricerca di un immobile o di chi desidera vendere. Non c’è più spazio solo per i classici orari da ufficio, in cui il cliente andava accompagnato passo passo nella visita dell’immobile. Oggi il primo contatto è via mail e le persone si ritagliano un momento anche in orari serali, per poi passare alla classico appuntamento in agenzia». L’agente immobiliare diventa oggi 2.0, in quanto deve essere in grado di offrire alla potenziale clientela tutte le informazioni – che prima erano disponibili solo in formato cartaceo – sul web. Gli annunci immobiliari vanno inseriti nei siti web dell’agenzia ma anche nei più popolari portali immobiliari, su cui i clienti sono abituati a navigare nel tempo libero. Un annuncio è quanto più appetibile, quanto più è ricco di informazioni sullo stato dell’immobile (piantina, certificazioni, etc.) e di foto. «L’utilizzo di immagini è un’arma a doppio taglio – ricorda Fabbri -. Se da un lato, un annuncio senza foto rischia di essere scartato a priori, perché giudicato poco accattivante, dall’altro può capitare che brutte foto pubblicizzino male un bell’immobile. Diverso il discorso di immobili di minor pregio, in cui spesso
MERCATO IMMOBILIARE
l’elemento di maggiore attrazione è il prezzo basso. In ogni caso, pensare a ben corredare le schede delle abitazioni è molto importante perché ora la prima selezione non avviene in agenzia o durante una visita, ma davanti al computer. Compito dell’agente è guidare il cliente in una ricerca mirata in base alle reali esigenze, nella consapevolezza che – se internet è un grosso aiuto – la casa va comunque ammirata e vissuta in tutte le sue potenzialità dal vivo». In più, per chi cerca o compra casa non è facile districarsi da solo fra la miriade di cavilli e burocratici, tassazioni e adempimenti. L’ultima novità in materia riguarda l’obbligo del conto corrente dedicato aperto dal notaio che cambierebbe le regole per la compravendita immobiliare. In particolare sarà il notaio, che riceverà in deposito dall’acquirente il prezzo della compravendita di immobili, a trattenere il denaro fermo su un conto fino alla trascrizione dell’atto. Si dovrà comunque attendere l’emanazione del regolamento attuativo, entro 120 giorni dalla pubblicazione in GU della legge di stabilità 2014, avvenuta il 27 dicembre scorso.
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2014 GENNAIO-FEBBRAIO
TROVACASA PREMIUM.
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n. 87 GENNAIO-FEBBRAIO 2014
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RAVENNA n. 87 gennaio febbraio
2014
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