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n. 84 SETTEMBRE 2013

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RAVENNA n. 84 settembre

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contenuti

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casa bella casa

topografia e storia

città e tempo

teorie urbanistiche

arte e architettura

pentole e provette

città e società

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Come trasformo l’iimagine del centro storico: la villa BB di Nuovostudio di Paolo Bolzani

Il fiume Lamone dalle acque navigabili, storica vena di commerci di Pietro Barberini

Il matematico Teodoro Bonati e la meridiana della colonna di Piazza del Popolo di Mario Arnaldi

Ennio Nonni a Faenza. Pianificare è immaginare la città fra vent’anni di Domenico Mollura

Tito Chini e l’immaginario del Padiglione delle Feste delle Terme di Castrocaro di Alberto Giorgio Cassani

Tempo d’autunno: trionfano le verdure e i sapori dell’orto

«L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita» di Marina Mannucci

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Controcopertina Ecco un chiaro esempio di rivitalizzazione o, forse ancora meglio, trasfigurazione, non certo convenzionale, nel tema del recupero di un vecchio fabbricato del centro storico di Ravenna, sostanzialmente privo di elementi di fascino o almeno tali da renderlo caratteristico.

Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Linda Landi, Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Maurizio Montanari, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it

Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi

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Come trasformo l’immagine del centro storico

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La Casa BB, esito della cifra espressiva di Nuovostudio messa in opera per una importante ristrutturazione a Ravenna SETTEMBRE

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Sopra, uno scorcio dello spazio living, dominato da un grande totem domestico, in cui sono collocati sia il camino che il grande schermo del televisore. Nelle altro foto, il patio vista da diverse angolazioni con le ampie vetrate e intorno un’area cortilizia in listoni di tek

di Paolo Bolzani

Come trasformare un edificio esistente in qualcosa di nuovo che recupera i volumi originari mentre ne riconfigura completamente l’immagine? Questo intervento ne rappresenta una soluzione, decisa e “critica”, soprattutto se si pensa che è stata realizzata in centro storico. Si tratta della Casa “BB”, esito del progetto di Nuovostudio di Ravenna. Se lo sforzo di questa rubrica è sempre stato quello di mostrare i diversi linguaggi dell’abitare e le soluzioni ai problemi della modernità, mentre si accosta all’architettura contemporanea o a quello storica, oggi sembra l’occasione per illustrare un caso di trasformazione il cui esito, soprattutto se si osserva la situazione prima dell’intervento, appare del tutto originale. Chiamiamolo recupero critico o rivitalizzazione o, forse ancora meglio, trasfigurazione, questa risposta non appare certo convenzionale – e si spera che non lo divenga – nel tema del recupero di un vecchio fabbricato sostanzialmente privo di elementi di fascino o almeno tali da renderlo caratteristico. Ora dunque cercheremo di mostrare le scelte operate per giungere a questa nuova immagine. Prima di tutto mettiamo sulla bilancia la cifra espressiva dei progettisti, vale a dire Nuovostudio, che esce programmaticamente da logiche consuetudinarie per dichiarare la propria modernità attraverso quello che Alessandro Anselmi nell’Almanacco di dieci anni fa segnalava come «un uso ormai stabile e acquisito delle categorie dell’astrazione figurativa, così come appare chiara la consapevolezza dell’autonomia del segno ormai libero da ogni

CASA BELLA CASA


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Se lo sforzo di questa rubrica è sempre stato quello di mostrare i diversi linguaggi dell’abitare e le soluzioni ai problemi della modernità, mentre si accosta all’architettura contemporanea o a quella storica, oggi sembra l’occasione per illustrare un caso di trasformazione il cui esito, soprattutto se si osserva la situazione prima dell’intervento, appare del tutto originale.

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Spiega Nuovostudio: «con la proprietà inizialmente c’è stata una fase interlocutoria, poi ci hanno dato fiducia. A questo punto siamo proseguiti perseguendo una serie di obiettivi. Primo: il monocromatismo. Secondo: la grande vetrata verso il giardino, con il fabbricato sostenuto da una serie di pilastri metallici scuri tratti dall’adozione di semplici profilati di produzione comune. Terzo: adozione del teak a listoni lungo la grande vetrata che si affaccia sul giardino interno e anche in tutto il primo piano. Quarto: ricerca di performance termiche avanzate, ottenute mediante l’adozione del sistema di riscaldamento a pavimento, il cappotto termico esterno, vetri termici ad alto rendimento specialmente nelle grandi vetrate».

Alcune fotografie scattate all’edificio in centro a Ravenna prima della radicale ristrutturazione messa in opera da Nuovostudio

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dovere di “rappresentazione”». In quel caso si stava parlando della Villa AG, progettata da Nuovostudio in Darsena di Città nel 1999 (Bolzani 2012, pp. 188-189). Anche qui ritroviamo la lunga vetrata aperta sul patio interno – anche se ad altezza singola – mentre a maggior ragione la casa accentua la chiusura verso il lato strada per incentivare quello rivolto al giardino interno per ottimizzarne la rivalorizzazione, sfruttando peraltro una quinta di pregio in faccia vista di un altro fabbricato parzialmente affacciato sullo spazio verde, sontuosamente ripensato e modellato da un prezioso parquet. Un ulteriore scarto rispetto agli esiti di quella Villa è qui l’adozione nel monocromatismo, con abbandono del bianco a favore del grigio seta (RAL 7044), cui si sono uniformati intonaci, infissi e il pavimento in resina del piano terra. Questa scelta cromatica rappresenta una immagine già sperimentata da Nuovostudio e che qui si consolida, peraltro mostrata qualche tempo fa in un recupero di un fabbricato industriale in via Agro Pontino (Dieci loft in veste grigio seta, in Bolzani 2012, pp. 326-327). Anche l’atteggiamento dichiaratamente moderno in centro storico non è sostanzialemente una nuovità: già era apparso con evidenza pubblica nel fronte di Casa Ruggini su via Baccarini (Bolzani 2012, pp. 321-322). Quindi siamo di fronte a prassi ormai consolidate di Nuovostudio, che qui si vale dell’esperienza di cantiere dell’architetto Andrea Matteucci, responsabile operativo per conto dell’impresa costruttrice. Come racconta Nuovostudio: «con la proprietà inizialmente c’è stata una fase interlocutoria, poi ci hanno dato fiducia. A questo punto siamo proseguiti perseguendo una serie di obiettivi. Primo: il monocromatismo. Secondo: la grande vetrata verso il giardino, con il fabbricato sostenuto da una serie di pilastri metallici scuri


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Al centro del living un’altra coppia, costituita dalla Chaise Longue LC4 di Le Corbusier a campeggiare e dalla lampada da tavolo Taccia di Castiglioni ad illuminare ci racconta, la prima rieccheggiante di tutte le proprie sottintese memorie culturali che dalla cislonga risalgono al canapè e poi fino alla greppina, la seconda con la sua forma e la sua morbida luce, la trasformazione di questa osmotica zona centrale dedicata alla lettura in un luogo in cui una trattenuta joie de vivre di patrizio retaggio aleggia di palpiti di voluttuoso e più o meno prolungato riposo individuale.

tratti dall’adozione di semplici profilati di produzione comune. Terzo: adozione del teak a listoni lungo la grande vetrata che si affaccia sul giardino interno e anche in tutto il primo piano. Quarto: ricerca di performance termiche avanzate, ottenute mediante l’adozione del sistema di riscaldamento a pavimento, il cappotto termico esterno, vetri termici ad alto rendimento specialmente nelle grandi vetrate». Dunque la casa si annuncia fuori con il suo lungo e basso muro grigio omogeneo in cui si staglia un unico segno orizzontale, una micropensilina che ha la funzione compositiva di legare le due parti della facciata della casa e di centralizzare l’attenzione sull’ingresso, di cui diviene cornice e veletta. All’interno lo spazio si articola secondo una pianta a L, con la zona-pranzo in angolo e la cucina ad isola in vista dal lato corto, mentre in quello lungo si dispone uno spazio living, dominato da un grande totem domestico, in cui sono collocati sia il camino che il grande schermo del televisore. Per proteggere la vetrata dalla pioggia e dalla neve, per accogliere le macchine di condizionamento e i pluviali e per ottenere un forte segno orizzontale a sviluppo continuo, la vetrata è bordata sopra e ai lati da un lunga pensilina che a sua volta, girando nel lato corto della L, si orna di un parapetto in cristallo extrachiaro, da cui si affaccia la camera da letto dei padroni di casa. Al primo piano si giunge per mezzo di una scala posta in posizione centrale, che disimpegna la camera dei genitori e quelle dei due figli e un’ultima di servizio, ognuna delle quali dotata di un bagno autonomo. Aggiunge una nota di elegante comfort interno lo studio di tutti gli arredi – seguito da Nuovostudio – con l’inserimento di una serie di classici del design d’autore, come la coppia costituita dall’accostamento tra la lampada Arco Lamp (1960) di Achille Castiglioni e le poltrone in pelle nera e struttura in acciao cromato LC2 (1928) di Le Corbusier, dove si cimenta l’arte delle conversazione. Al centro del living un’altra coppia, costituita dalla Chaise Longue LC4 (1928) di Le Corbusier a campeggiare e dalla lampada da tavolo Taccia (1962) di Castiglioni ad illuminare ci racconta, la prima rieccheggiante di tutte le proprie sottintese memorie culturali che dalla cislonga risalgono al canapè e poi fino alla greppina, la seconda con la sua forma e la sua morbida luce, la trasformazione di questa osmotica zona centrale dedicata alla lettura in un luogo in cui una trattenuta joie de vivre di patrizio retaggio aleggia di palpiti di voluttuoso e più o meno prolungato riposo individuale.

Immagini degli esterni (il giardino interno, e la facciata esterno, sulla strada) della Casa BB, dove spicca l’uso della tinteggiatura monocromatica

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Vicende secolari

dalle acque navigabili, storica vena di commerci di Pietro Barberini

Il fiume Lamone in alcune carte è indicato con il nome Anemo, che in greco significa vento. È curioso notare come questo corso d’acqua sia volubile come una corrente d’aria e, nel tempo, muti i suoi percorsi, indirizzando le acque da una parte o dall’altra. Anemo, Alamone, Amnis, Tegurio e Teguriense, Tauro, Amonis, Raffanara e Lamone: tanti sono i nomi del fiume riportati su documenti e atti notarili. Nasce sul versante romagnolo dell’Appennino, al Piano degli Allocchi, sotto la Colla di Casaglia e corre incassato nella vallata fino a Marradi non prima di aver ricevuto un affluente, in località Biforco. Quando è prossimo a Faenza nelle sue acque confluiscono quelle del il torrente Marzeno. Raggiunta la pianura e con essa la “maturità”, il fiume si dirigeva verso Ravenna passando da Pezzolo, Russi, via Vecchia Godo e San Michele. Nell’odierno abitato di Ravenna, via Faentina, via Maggiore e via Cavour ricalcano la parte terminale del fiume, che vi giungeva anticamente già in epoca repubblicana. Poi con la costruzione del grande porto imperiale per il Lamone iniziano… i lavori. Il corso d’acqua viene regimato, “tagliato”, forse portato temporaneamente in cassa di colmata e successivamente rettificato. Alcuni rettifili della vecchia San Vitale, fra Godo e San Michele,

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di un fiume dai nomi e dai corsi molteplici, deviato e arginato dagli uomini nella sua discesa di 90 chilometri dall’Appenino all’Adriatico.

come osserva Lucio Gambi, sono “drizzagni” effettuati per facilitare la navigazione. I ritrovamenti di una grande villa romana della prima metà del I sec. a Russi, permettono di ipotizzare un flusso di prodotti agricoli dall’entroterra, da Faventia e dal suo agro produttivo – non soltanto dalla villa romana – al porto di Ravenna. Certamente la “Domus rustica” fu importante centro di produzione e trasformazione dei prodotti agricoli nel II sec. , quando il vicino porto imperiale aveva permesso una significativa ricaduta economica sul territorio. I traffici e i commerci avvenivano mediante il Lamone che, da Faenza alle porte di Russi, attraversava campagne già bonificate e ben drenate. Con il trasferimento della flotta e l’abbandono di Classe, i traffici si spostano al porto teodoriciano di Santa Maria al Faro o alla Rotonda, dove si trova la “catena”. Il nuovo porto di Ravenna è alla foce del Lamone, che aggira la città a settentrione. Documenti dell’epoca successiva attestano la presenza del fiume chiamato Tegurio o Teguriense: ne è testimonianza la stessa pieve di Godo, Santo Stefano in Tegurio. All’inizio del secondo millennio, viene menzionato in Ravenna un Borgo “Tauro”, fra la via Vallona e la Sabbionara. Lo stesso toponimo


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di via Dorese potrebbe derivare da “Taurese” (antica cassa di colmata del fiume, poi “bassura” paludosa?). I dubbi sono leciti, eppure lo scenario è del tutto plausibile e rispondente alla configurazione geomorfologica di Ravenna antica. All’inizio del XIII sec. si verifica una serie di eventi che portano il Lamone ad abbandonare il suo corso, da Russi al mare. Nell’estate del 1240 Federico II, marciando con le sue truppe verso Ravenna, fa resecare (fra Russi e Cortina?) il fiume che alimenta la città. Prima ancora di essere assediati, i ravennati si arrendono. Forse la storia è più complessa, anche perché una cronaca del tempo dice: «…deviatis fluminibus et siccatis paludibus…». Deviare un fiume era compatibile con il poco tempo che passa, colmare (siccatis…) delle paludi è opera lunga, complessa e piuttosto improbabile da realizzare pur nel periodo estivo. Si può ipotizzare che il fiume proprio a nord est del sito archeologico della Villa Romana sia stato “cavedonato” per portare le acque, lungo la via Piangipane, verso Forcolo e le valli circostanti. Federico di Svevia ha lasciato importanti segni del suo passaggio ovunque: non soltanto strutture di conquista militare, come fortificazioni e castelli, ma anche lavori di bonifica ed altre opere d’ingegneria civile. Il toponimo via delle Acque, strada che spicca sulla sinistra del nuovo corso fluviale, proprio davanti alla pieve di Santa Maria in Ferculis, potrebbe fornire una spiegazione plausibile. Certamente dal XIII sec. all’inizio del XV sec. le “strade” del Lamone diventano difficili da seguire: si dividono, spostandosi verso nord ovest; infine, il fiume viene immesso definitivamente nel corso ormai abbandonato del Senio - Santerno, presso Boncellino. Per tutto il XIII sec. si può ipotizzare resti attivo il Lamone di Albereto e Pezzolo che attraverso la “diversione” Federiciana può alimentare anche il Raffanara. La via Fiumazzo che corre dalla Villa Romana al Palazzo San Giacomo, ricorda la perdita di funzione di questo “fiume”? La domanda può sembrare retorica, poichè guardando la carta del Coronelli (1692) si può leggere “via del Fiumazzo”. Per tutta la durata del secolo i percorsi paralleli del Lamone “sventagliano” fra la via Piangipane e via Santerno Ammonite, dove forse scorre il fiume Raffanara, proveniente da Cortina. Era qui il castello di Raffanara? Chissà. Viene chiamato anche fiume di Savarna poiché, dopo esser passato per Traversara, Santerno, Torri e Conventello, raggiungeva Savarna per poi spagliare nella valle Fenaria. Con l’arrivo dei veneziani, nel 1441, il fiume ritrova le sue vocazioni passate: assolve ad esigenze di bonifica del territorio e diventa asse fondamentale per i traffici. La navigazione riceve ulteriore, nuovo impulso quando, nel 1504, il Lamone viene condotto al Primaro, presso Sant’Alberto. Si aprono interessanti commerci fra il Primaro e l’area faentina, così Venezia può contrastare i traffici di Ferrara con l’area lughese, dopo che il nuovo corso del Santerno, da Sant’Agata a Fabriago, era stato immesso in Primaro nei pressi del “feudo” Estense di Lavezzola (1540).

Immagini del corso del fiume Lamone nel suo sinuoso cammino dai monti al mare (foto di Paolo Grilli e Giorgio Lavezzi). Da sinistra (e dall’alto verso il basso): le sorgenti a Colla di Casaglia nell’Appennino; nei pressi Faenza appena raggiunta la pianura; ansa del Lamone a monte di Boncellino, probabile punto di immissione nel cavo abbandonato del fiume Senio-Santerno; Il “Muraglione”, strutture in rovina dell’opera di derivazione costruita dai Rasponi per alimentare i loro molini (500 metri a monte del Palazzo San Giacomo a Russi); sbocco a delta vallivo sull’Adriatico fra Marina Romea a Casal Borsetti.

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Bonifica e regolazione delle acque per produrre lino e canapa. La nuova “riviera” del Lamone si popola di agricoltori Il segno di Venezia nella campagna ravennate è lasciato dalla toponomastica più che dai mattoni: gli edifici rurali costruiti verso la fine del XV sec. sono andati perduti, ricostruiti o rimaneggiati, ma hanno lasciato un ricordo ancor vivo lungo il corso del fiume Lamone. Gli interessi di Venezia nei confronti della pianura ravennate, risalgono al XIII secolo, allorquando, forti di accordi commerciali, traggono benefici dai traffici. Dopo aver costruito un presidio militare alla foce del Po di Primaro, il “castello” di Marcabò, rivolgono “interessate” attenzioni verso la campagna ravennate e le saline di Cervia. In questa espansione, mascherata da trattati di natura economica, sono aiutati dalla non irresistibile personalità di Ostasio da Polenta che spiana la strada ai veneziani sul finire del XIV secolo. Non va taciuto, però, il controvalore offerto dalla Serenissima, misurabile in capacità d'intervento per regimare le acque (sempre “anarchiche” e minacciose) inalveando e migliorando il corso dei fiumi attorno a Ravenna. I “conquistatori” concentrano i loro interessi sulla conversione delle valli, dove spaglia il Lamone, in terreni da appoderare e ren-

dere produttivi. Nobili e ricchi per ottenere dal Doge terreni da mettere a coltura, devono farsi carico degli interventi necessari (una sorta di “project financing” ante litteram) Nel 1456 il Doge Francesco Foscari, scrive al podestà e capitano di Ravenna, Lorenzo Soranzo, sollecitandolo ad intervenire per regolare il Lamone: «Ad opus faciendi in flumine Amonis...». Una volta ultimati i lavori, saranno popolate quelle plaghe un tempo «diserte». Godendo di vantaggi fiscali, la nobiltà e i funzionari della Serenissima diventano proprietari di grandi tenute a Santerno, Mezzano, Conventello e Savarna. I “nuovi” terreni danno produzioni di lino e canapa, quelli “vecchi”, di Russi e Bagnacavallo, forniscono abbondanti quantità di grano che arriverà al Primaro attraverso il fiume Lamone. Le opere di bonifica di Venezia trovarono prosecuzione con un grande progetto di risanamento del territorio a destra del Lamone, avviato da papa Clemente VII. Le torbide del fiume vennero condotte nella Bartina e nelle valli di Palazzolo al fine di colmarle. La bonificazione “Clementina” iniziò nel 1531 per terminare dopo cinquant’anni quando fu avviata, da papa Gregorio Magno nel 1578, una granTre edifici storici della pianura ravennate, sorti in varie epoche sulle sponde del Lamone (foto di Paolo Grilli e Guido Barbi). In alto a sinistra: mosaico pavimentale della Villa Romana di Russi; a destra, Palazzo San Giacomo, la cosiddetta Versailles dei Rasponi, sempre a Russi; in basso: la casa-torre dei Traversari. I possedimenti della famiglia ravennate diedero il nome all’abitato di Traversara, frazione del comune di Bagnacavallo.

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Pianta della bonificazione gregoriana. Il disegno di Antonio Farini (A.S.Ra Classe 344), databile 1792, riprende, parzialmente aggiornandola, una pianta di Tomaso Spinola dell’8 aprile 1614 (A.S.C.Ra 449). Si notino, al nord geografico, le diversioni seicentesche del Primaro e del Lamone. Qui sotto: la bella mappa disegnata da Vincenzo Coronelli nel 1692 permette di osservare l’intero corso del Lamone da Russi alla foce. Si notino le chiaviche che consentivano alle alluvie di raggiungere le valli in destra Lamone, oltre agli altri elementi ben evidenziati e riconducibili al testo.

diosa opera di bonificazione per colmata. Da “chiaviconi” in destra al fiume Lamone, fra Conventello e Sant’Alberto, si derivarono le torbide per alzare la quota di un vasto comprensorio: dal mare alla strada Reale e alla Faentina. Ne avrebbero beneficiato i monaci di San Vitale, i Guiccioli, i Lovatelli e i Rasponi. L’opera proseguì nel 1598 per il rinnovato impulso dato da papa Clemente VIII (chiamata Bonificazione Maggiore). All’inizio del XVII sec. il Lamone viene tolto dal Primaro e torna a sfociare in mare a mezzogiorno del Primaro, ma l’iniziale andamento tortuoso (i meandri del “Gattolo”, fra Sant’Alberto e Mandriole), la mancanza di cadente abbinata alla lunghezza, favoriscono numerosi eventi di rotta. Le alluvioni furono agevolate anche dalla grande piovosità che caratterizzò tutto il XVII sec. Da villa San Giacomo di Russi al “perduto” palazzone di Mandriole, antica dimora dei monaci di San Vitale, il Lamone congiunge proprietà terriere nobiliari e abbaziali, quasi fossero “caselli autostradali”, sono riferimenti statici: ristrutturati, in rovina o nella memoria testimoniano l’importanza del fiume per quella parte del suo corso che ha continuato ad allungarsi ed accorciarsi, giocando con il tempo.

Torri vecchie e nuove: l’affermazione dei Rasponi alla destra del fiume Già nella prima metà del Cinquecento le terre alla destra del Lamone vengono “controllate” da una nobile famiglia ravennate che, fra Mezzano e Savarna, ha costruito due residenze fortificate: le “torri dei Rasponi”. L’ascesa al potere politico di questi proprietari terrieri è impetuosa: rudi e ca-

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RAVENNA Ricerca Aic: alla scoperta del “selvatico di pregio” lungo il corso del Lamone Si intitola “Selvatico di pregio. Erbe spontanee in cucina: il Lamone fiume romagnolo il documentario” (un medio-metraggio di circa 45 minuti) ideato e prodotto dall’Accademia Italiana della Cucina. L’opera è stata curata da Franco Chiarini che è anche co-autore dei testi, assieme a Riccardo Vecchi. Il filmato scorre idealmente lungo il corso del Lamone, fiume simbolo della Romagna, alla scoperta del mutare territorio – dalle montagne alle valli – e della vegetazione spontanea commestibili che vi cresce. Così si incontrano in alto il cerro sughero, corbezzoli, agrifogli, in pianura ampia varietà di erbe edule, infine, nelle pinete e valli salmastre, asparagina, stridoli, rucola, raperonzoli, salicornia e alghe. Ma la ricerca, oltre che botanica, coinvolge la cultura dei grandi cuochi romagnoli: “professionisti del gusto” e quindi i migliori interpreti per un’analisi sensoriale ottenuta applicando moderne tecniche di elaborazione e di cottura a questi straordinari prodotti. Oltre alle erbe anche fiori, radici, piccoli frutti, funghi. Si passa da Pier Giorgio Parini a Vincenzo Cammerucci da Maria Franca Cupiolia Giuliana Saragoni da Remo Camurani a Silverio Cineri. Oltre ai cuochi il documentario da voce ad altri importanti esponenti di questa originale “filiera”: “allevatori” di erbe e fiori eduli, ricercatori, raccoglitori e aziende agricole del territorio romagnolo.

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DOMOTICA IN OMAGGIO paci di imporsi con la forza delle armi, i conti Rasponi trovano favori e protezioni anche dalla Chiesa, tanto da acquisire meriti e appoggi. Lungo il fiume Lamone, dove cinquant’anni prima severe regole economiche “guidavano” bonifiche e patti rustici, sono i “mascalzoni” dei Rasponi a vigilare su traffici, benefici e servitù di passaggio: un’armata che protegge l’ascesa di questa casata. Non sono rari conflitti interni e vendette: le torri di Savarna vengono atterrate ma crescono, anche al di là del fiume “delle Alfonsine”, le terre dei Rasponi. Con la porpora cardinalizia raggiunta da Cesare Rasponi, le antiche soperchierie vengono dimenticate: è tempo di costruire una grande villa di campagna, compiendo un tenace percorso di “ingentilimento”. La “Versailles” dei Rasponi viene edificata nel 1664 su terreni ceduti dai canonici Portuensi con la chiesa di San Giacomo, alla destra del fiume, due chilometri a maestro di Russi. Una grande villa parallela al fiume lunga più di 80 metri con l’ingresso inizialmente rivolto agli alti spalti erbosi. Non manca nulla alla grandiosa residenza di campagna: due peschiere, un molino, la ghiacciaia e un bel giardino all’italiana. E un molo d’approdo sul fiume Lamone per il traffico fluviale di masserizie, viveri e persone. Da Palazzo San Giacomo passano diplomatici ed ecclesiastici, regnanti, letterati e artisti. L’edificio viene rimaneggiato e abbellito, un nuovo ingresso si apre dall’altra parte, verso via “del Fiumazzo”, come oggi. Si riconosce da lontano l’imponente ed elegante mole dell’edificio, la sua particolarità è costituita da due torri alle estremità del Palazzo: il vero stemma dei conti Rasponi.

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Teodoro Bonati e la meridiana di Piazza del Popolo a Ravenna Nell’agosto del 1795 il matematico ferrarese traccia i segni di un orologio solare “dimostratore del mezzogiorno” su una delle due colonne erette dai veneziani nel 1483

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di Mario Arnaldi

Nel 1785, il conte (e architetto) Camillo Morigia, iniziò i lavori di rifacimento della facciata delle due chiese di San Sebastiano e San Marco, (unite in un unico corpo e oggi sede della Banca Nazionale del Lavoro) in Piazza Maggiore (oggi Piazza del Popolo) a Ravenna. In detta facciata si trovava l’antico orologio astronomico costruito nel secolo XVI da Anastasio Cellini e Antonio Burchiello di Imola, che il Morigia sostituì con uno nuovo, più piccolo e più semplice, posto più in alto: sulla torretta. Ma, come ogni orologio meccanico di allora, anche quello nuovo non era precisissimo e aveva bisogno di continue registrazioni da parte del personale addetto alla sua manutenzione. L’unico segnale orario preciso ed affidabile per il “temperatore” dell’orologio era quello dato da una meridiana. Oggi il termine “meridiana” ha un significato ambiguo, essendo esso abusato nel linguaggio comune e utilizzato ormai come sinonimo di “orologio solare”. In questo caso, però, intendo usarlo nel suo vero significato etimologico (d’altronde è l’unico significato che gli si dovrebbe dare) e cioè quello di “strumento dimostratore del mezzogiorno (meridies)”, perché composto dalla sola linea di quell’ora.

A sinistra: l’edificio della Banca di Romagna in Piazza del Popolo a Ravenna (un tempo erano due chiese gemelle dedicate rispettivamente a San Sebastiano e a San Marco), su cui si trova l’orologio pubblico della città. Il rifacimento della facciata è opera di Camillo Morigia, eseguita fra il 1785 e il 1789. Il quadrante odierno non è più quello originale. In alto a destra: ritratto del matematico ferrarese Teodoro Bonati, in un bassorilievo del Palazzo San Crispino a Ferrara. In basso a destra: Lapide commemorativa alla memoria di Teodoro Bonati, Palazzo Bentivogli, Ferrara. (foto Claudio Pedrazzi).

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La meridiana del Bonati svolse egregiamente il suo compito finché, nel 1866, un violento uragano mosse la colonna su cui era incisa facendola inclinare da un lato. Nonostante un subitaneo consolidamento, la colonna perse definitivamente il suo assetto originale e la meridiana smise di funzionare correttamente.

La colonna di San Vitale in Piazza del Popolo a Ravenna con la meridiana tracciata da Teodoro Bonati nel 1795.

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Doveva esistere, dunque, a Ravenna una meridiana che aiutava il manutentore dell’orologio pubblico nel suo compito di costante “registrazione” dei meccanismi, ma di questa non ci è giunta nessuna testimonianza. Forse, come spesso accade, si trattava di una piccola meridiana tracciata presso la cella campanaria ad esclusivo uso del custode dell’orologio. La prima meridiana pubblica di cui abbiamo documentazione fu tracciata dieci anni dopo l’intervento alla facciata dell’orologio pubblico della città, nel 1795. In gennaio moriva il Morigia, e il 27 agosto, il noto matematico Teodoro Bonati di Ferrara si accinse a tracciare una meridiana su una delle due colonne erette dai veneziani in Piazza del Popolo a Ravenna nel 1483. La colonna è quella che ospita, sopra al suo capitello, la statua di san Vitale e che poggia sul basamento scolpito con la serie dei Segni dello zodiaco. La meridiana del Bonati svolse egregiamente il suo compito finché, nel 1866, un violento uragano mosse la colonna su cui era incisa facendola inclinare da un lato. Nonostante un subitaneo consolidamento, la colonna perse definitivamente il suo assetto originale e la meridiana smise di funzionare correttamente. In quello stesso anno si fecero proposte per il suo restauro (“Il Ravennate”, 18 settembre 1866) o per la costruzione di una nuova e più aggiornata meridiana (“Il Ravennate”, 22 settembre 1866). Due anni dopo si decise di togliere definitivamente lo gnomone dalla colonna e passarono altri 12 anni prima che il Consiglio della città decidesse di fare costruire una nuova meridiana per regolare l’orologio pubblico, ma di questa scriverò la prossima volta.

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Chi era Teodoro Bonati? Teodoro Massimo Bonati era nato a Bondeno (Ferrara) nel 1724. Appena sedicenne si trasferì a Ferrara per studiare medicina e filosofia e nel 1746 era membro del Collegio medico di quella città. Il suo amore per la fisica, l’idraulica e la matematica lo portò, due anni dopo, a studiare la materia con più intensità, anche grazie alle nuove possibilità offertegli dal marchese Guido Bentivoglio che lo volle come suo medico di famiglia. Divenne un grande esperto di idraulica, e nel 1759 fu lui che convinse papa Clemente XIII a non fare immettere il fiume Reno nel Po (questione da lungo tempo combattuta fra i bolognesi e i ferraresi); le sue argomentazioni scientifiche furono così efficaci che in seguito fu spesso interpellato dai pontefici per questioni di uguale natura. Teodoro Bonati godeva di un credito non indifferente se addirittura, nel 1797, fu lo stesso

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Napoleone Bonaparte a interpellarlo per sentire nuovamente il suo parere sull’annosa controversia sulla deviazione del fiume Reno. Il Bonati si permise di contraddire le tesi dei bolognesi, appoggiate dallo stesso Imperatore, dichiarandosi contrario alla deviazione. In quell’anno egli fu eletto membro del corpo dei Juniori della Repubblica cispadana. La questione sul fiume Reno non si chiuse lì, ma riemerse nel 1802 quando fu istituita una commissione speciale per discutere della materia. Teodoro Bonati fece parte della commissione assieme ai più importanti “idraulici” del tempo, ma questa volta non riuscì a difendere le tesi ferraresi, e il 25 giugno del 1805 Napoleone emise il decreto in favore dell’immissione della acque del Reno in Po. Teodoro Bonati fu autore di numerosi scritti di idraulica, fisica e matematica, studioso ferratissimo, inventore dell’asta idrometrica, professore di matematica e idraulica all’università di Ferrara, professore della scuola speciale di idraulica, membro della Società Italiana delle Scienze, insignito Cavaliere della Legion d’Onore e della Corona di Ferro, ispettore onorario generale d’acque e strade, accademico di scienze e belle lettere di Orciano, e accademico onorario dell’Accademia Ariostea di Ferrara. Morì nel 1820.

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La meridiana di Piazza del Popolo: come si legge Siamo dunque nel 1795 quando Teodoro Bonati costruisce la sua meridiana per la piazza principale di Ravenna. Solo un anno dopo, a Bologna, il generale Manneville imporrà per decreto il sistema orario oltramontano o “alla francese” contro quello delle ore italiche, ancora in uso nella nostra penisola. A Firenze e a Parma, invece, erano stati emanati editti per imporne l’uso già verso la metà del secolo XVIII. A quel tempo la Romagna era ancora territorio dello Stato Pontificio e quindi per nulla interessata ad adottare il sistema orario imposto dai francesi. Il Bonati calcola, quindi, una meridiana per il sistema orario italiano “da campanile” (vedi TCP n. 83), che era quello in vigore ormai da oltre un secolo (e questo ci dice che certamente l’orologio che il Morigia istallò nella Piazza grande di Ravenna era ancora regolato con le ore italiche). Il metodo delle ore italiane detto “da campanile” consisteva nel ritardare di mezzora il suono di tutte le 24 ore. Di conseguenza la ventiquattresima ora, che nel computo comune corrispondeva all’istante del tramonto, era contata e suonata mezzora più tardi, immediatamente prima del suono dell’Avemaria. Il continuo spostamento del momento del tramonto trascinava con sé anche le altre ore del giorno facendo mutare continuamente l’ora in cui il Sole attraversava il meridiano locale. Per questo motivo, con il sistema orario delle ore italiche, il mezzogiorno avveniva in orari differenti: secondo le stagioni, attorno all’ora sedicesima, alla diciottesima o alla diciannovesima. La meridiana consisteva in una linea verticale dorata e uno stilo terminante con un disco forato (solitamente raggiato sul bordo, ad imitazione del disco solare) attraverso il quale passavano i raggi del Sole proiettando sulla colonna un piccolo pallino di luce che percorrendola in tutta la sua lunghezza avrebbe indicato con precisione, non solo il passaggio della nostra stella al meridiano di Ravenna, ma anche in quale ora della giornata e in quale periodo dell’anno questo avveniva. Lungo questa linea si vedono dei segni ricorsivi, dei numeri romani e dei simboli astronomici. I simboli tracciati sono tre: in alto quello del Segno di Capricorno (Solstizio d’inverno), al centro quello della Bilancia (Equinozio d’autunno) e in basso quello del Cancro (Solstizio estivo). Manca il segno dell’Ariete (Equinozio primaverile). L’ombra dello gnomone, durante l’anno, percorreva lo spazio fra il primo segno in alto e l’ultimo segno in basso per poi tornare

nuovamente verso il primo segno passando per quello centrale. In questo modo la meridiana mostrava il periodo mensile, o stagionale, in corso. A destra della linea si leggono i numeri romani: XIX (19), XVIII (18), XVII (17) e XVI (16); queste sono le ore italiche che attraversano la linea del mezzogiorno nei vari periodi dell’anno. Togliendo da 24 (ore totali in un giorno) il numero dell’ora suonata a mezzogiorno otteniamo le ore di luce restanti in quel periodo dell’anno. Per esempio, se il pallino luminoso, a mezzogiorno, mostrava l’ora XIX (19) era immediatamente noto che mancavano 5 ore alla fine della giornata. Inoltre, il periodo di tempo fra il mezzogiorno e i tramonto altro non è che la lunghezza del semiarco diurno, conoscendo questo dato era facile sapere anche quante ore sarebbe stato lungo

Nella pagina a sinistra: la figura mette in evidenza i punti in cui la meridiana intercetta le linee orarie di un orologio solare ad ore italiche. È evidente che il mezzogiorno di quel sistema orario non avviene mai alla stessa ora. In questa pagina: La linea meridiana di Teodoro Bonati a Ravenna (particolare). Da questa figura s’evince chiaramente che, trovandosi il segno della bilancia non sulla diciottesima ora ma sulla diciottesima e mezza, la meridiana segna il mezzogiorno italico “da campanile”.

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A fianco: fotografia del 1866, di G. Savini, Ravenna, Piante panoramiche…, vol. 1, p. 12 (Ravenna, Biblioteca Classense), dove sono ritratte le due colonne veneziane (una puntellata) dopo l’uragano che le fece inclinare; in essa è ancora visibile lo gnomone della meridiana. L’immagine è tratta dal volume Piazza del Popolo – Storia e progetto, AA. VV. (Danilo Montanari ed., 1996, p. 54) Nel particolare in basso: lo gnomone della meridiana sulla colonna di san Vitale, evidenziato nel particolare della foto del 1866 tratta da G. Savini Ravenna, Piante panoramiche…, vol. 1, p. 12”. Purtroppo, la forma del disco solare metallico non è leggibile.

quel giorno (il Sole si trova sopra l’orizzonte per il doppio delle ore che vanno da mezzogiorno fino al tramonto, quindi, se l’ora segnata sulla meridiana era la XIX allora quel giorno era lungo 10 ore, se l’ora fosse stata la XVIII, allora quel giorno sarebbe stato lungo 12 ore, se l’ora fosse stata la XVI allora quel giorno sarebbe durato 16 ore). La linea meridiana, inoltre, è marcata da particolari segni ricorsivi che rappresentano le frazioni orarie: un tratto orizzontale con due troncature verticali “|—|” per le ore intere, una “X” per le mezze ore e un tratto corto “–“ per i quarti d’ora. Una suddivisione così meticolosa non era abituale in un normale orologio solare con quel tipo di ora, ma si rendeva necessaria in una meridiana pubblica, perché permetteva una maggior precisione nella regolazione degli orologi meccanici. marnaldi@libero.it

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Nuovostudio e la lezione del moderno fra progettazione ex novo e recupero dell'esistente Ritornano con tre nuovi appuntamenti fra autunno e inverno gli incontri dedicati a "Il ruolo dell'architettura contemporanea", curati da Emilio Rambelli e promossi da nostra rivista e dal Gruppo Ravimma nelle Cantine di Palazzo Rava a Ravenna. La prima occasione è fissata il 3 ottobre (alle ore 21) con Gianluca Bonini che parlerà delle vicende professionali e della filosofia progettuale dello studio di architettura Nuovostudio di Ravenna. La conversazione sarà intorodtta dal nostro consulente editoriale Paolo Bolazani. Nuovostudio nasce a Ravenna nel 2000, per iniziativa dell’architetto Emilio Rambelli (1964) e dell’ingegnere Gianluca Bonini (1967), che avevano avuto

LO STATO DELLʼARTE

Nuovo appuntamento su "Il ruolo dell'Architettura contemporanea" per la serie di conferenze nelle Cantine di Palazzo Rava. Il 3 ottobre spazio al racconto dell'esperienza professionale dello studio di architettura ravennate di Rambelli e Bonini


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occasione di incontrarsi nel decennio precedente, frequentando entrambi lo Studio Teprin di Claudio Baldisserri e Lorenzo Sarti. Nel corso degli anni a Nuovostudio si sono associati inoltre gli architetti Stefania Bertozzi e Giovanni Mecozzi, Marcello Pernisa e Marco Balducci. Rambelli e Bonini padroneggiano con sicurezza un linguaggio contemporaneo, memore della grande lezione del Movimento Moderno, affinato nel corso dei viaggi di studio in Spagna e Portogallo alla scoperta di opere di personaggi con Alvaro Siza, Souto de Moura Las Casas ed altri, con il quale sono approdati a innovative opere architettoniche realizzate sia nell’ambito della progettazione ex novo, sia in quella del recupero di fabbricati esistenti. Questi lavori mettono in evidenza una cifra espressiva di impianto neorazionalista, temperata da una adezione alle istanze del minimalismo. Ne deriva una poetica dai tratti distintivi, sintetizzabili in soluzioni essenziali ma non povere, nel monocromatismo, nelle trasparenze. Tra le opere principali vanno segnalate la Villa AG in Darsena di Città (Bolzani 2012, pp. 188-189), la Galleria Lercaro a Bologna, il Palazzo degli Affari nel Corso Sud di Ravenna (nel quale si trova la sede dello studio), i progetti di retail di brand come Vicini e Zanotti design, con cui hanno realizzato negozi in tutto il mondo. Nell’ambito delle ristrutturazioni va segnalata la Casa M R in centro storico a Ravenna (Bolzani 2012, pp. 212 – 213). Lo studio è recentemente al centro delle cronache locali con il progetto di recupero di un edificio industriale nella Darsena di Città, denominato "SigarOne", attualmente giunto a livello di progettazione definitiva, che prevede la riconversione del vecchio deposito Sir a destinazione mista (commerciale, residenziale, direzionale). Riferimenti bibliografici: P. Bolzani, Cronache e racconti di architettura, Ravenna, Reclam edizioni, 2012

Alcuni progetti e realizzazioni firmate Nuovostudio. A sinistra: la villa AG a Ravenna. In questa pagina (in senso orario): plastico del SigarOne ( ex Magazzino Sir in Darsena a Ravenna); il museo Lercaro a Bologna; casa BB in centro storico a Ravenna; il Palazzo degli Affari in Corso Sud a Ravenna.

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Quello che si chiede all’urbanistica è di immaginare la città fra vent’anni. Come può rinnovarsi? Quanto può espandersi? di Domenico Mollura

Il quinto appuntamento della rassegna “Il ruolo dell’architettura contemporanea” ha affrontato un tema che è sempre stato presente negli incontri precedenti come sfondo (tutt’altro che fisso e coreografico) dell’Architettura. Si tratta della città e della disciplina che ne regola le modificazioni più consistenti nel tempo, ovvero l’Urbanistica. L’incontro dal titolo “Un’altra urbanistica è possibile?” tenuto quest’estate nello spazio esterno delle Cantine di Palazzo Rava, curato dall’architetto Emilio Rambelli e dalla rivista Trovacasa Premium con il contributo del Gruppo Ravimm, ha avuto come protagonista Ennio Nonni architetto-urbanista, dirigente del Settore Territorio del Comune di Faenza. L’Urbanistica (che nasce come autonoma disciplina di insegnamento universitario solo agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso) viene spesso associata ad «aspetti tristi» della professione – ammette Nonni – per i motivi più disparati: per la sua natura, a volte, eccessivamente normativa che si traduce in indici, superfici, standard fino all’essere stata la disciplina che doveva ricostruire il Paese e invece è stata spesso strumento di cattiva gestione del territorio. Una disciplina accusata di una cronica mancanza di fantasia riconosciuta (al contrario e in diversa misura) all’Architettura, intesa nel suo senso più ampio; anche per tale motivo – prosegue Nonni – «…ai convegni di urbanistica ci va sempre poca gente». Il “peccato originale” dell’Urbanistica, probabilmente, risiede nel suo essere, quasi sempre, strumento operativo di una decisione politica in quanto la pianificazione è una prerogativa degli Enti pubblici ai diversi livelli territoriali. Tale natura ibrida (tecnico-politica) ha ingessato i progetti alla scala urbana del recente passato in una

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Le idee, i principi e le realizzazioni del progettista Ennio Nonni, protagonista di una rinnovata concezione della pianificazione urbana sperimentata negli ultimi decenni a Faenza


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rigidità che ne ha impedito il costante aggiornamento, necessario per una realtà mutevole (ad una velocità crescente e con risorse ad esaurimento); per tale motivo sono poche le città italiane che possono confrontarsi con le città omologhe (per rango) in Europa. Le città pertanto hanno la loro disciplina, tuttavia se escludiamo per un attimo l’alibi della crisi economica, i centri urbani sono stati (e sono tuttora) testimoni di un lento ma costante declino d’immagine, di funzioni, d’idee, fatte salve alcune rare eccezioni; le periferie non fanno che amplificare lo sfaccettato degrado del centro. «Di chi è la colpa»? – chiede l’architetto Nonni; la sua risposta è l’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori del processo urbanistico, dall’indirizzo politico, al tecnico, fino al cittadino/imprenditore destinatario finale della Piano. Ennio Nonni afferma in modo diretto che l’urbanistica non può avere senso se, ad esempio, non riesce a parlare di arte, di marciapiedi e di alberature nelle moderne zone industriali, mostrando, a dimostrazione di tale semplice assunto, la differenza tra due fotografie della stessa (anonima) strada-corridoio tra due ali di capannoni e intorno il nulla. Nella prima immagine la strada si presenta nella sua schietta natura di infrastruttura per la mobilità, mentre nella seconda l’immagine perde di grigiore grazie al verde dei filari che oltre al colore danno ritmo e compongono, quasi architettonicamente, il nastro di asfalto. A Faenza Nonni sperimenta modelli insediativi (ad anello o lineari con il traffico veicolare sempre sull’esterno) con lo spazio comunitario al centro come nel quartiere Santa Lucia (strada-corte con allineamenti sfalsati che danno un fondamento organico al contesto, pur nel rispetto di tipologie edilizie tradizionali) oppure nel nuovo Parco delle Arti e delle Scienze o nel progetto del quartiere San Rocco nei quali l’assetto “fusiforme” (sempre innestato su un asse car-free) accentua la scelta della morfologia organica, libera dalla prederminazione geometrica del lotto. Particolare attenzione viene riservata all’aspetto “prestazionale” del nuovo insediamento che spingendo sul perimetro il traffico veicolare mantiene all’esterno anche la pressione sonora causata dalla circolazione; inoltre la compattezza delle forme utilizza in modo ottimale il suolo a disposizione destinato ad un mix di funzioni e punteggiato da interventi artistici garantendo densità e qualità della vita Quello che si chiede all’urbanistica è di immaginare la città fra 20 anni e porsi almeno le seguenti domande: come può rinnovarsi la città? Quanto può espandersi? Intrecciando il tema della riqualificazione e quello del contenimento di consumo di suolo (che ha anche il pregio di mantenere “pedonali” le distanze all’interno dei centri urbani). Il punto di partenza dell’architetto Nonni è quello di introdurre nell’urbanistica il “germe” della progettazione: ovvero passare dalla scala del piano a quella del progetto tenendo ferma l’idea di qualità complessiva che genera il disegno urbano, ad esempio di un nuovo insediamento residenziale. Il Piano deve definire i confini, gli spazi pubblici e gli interventi artistici, da non relegare in spazi residui. Tante, in questo senso le iniziative finalizzate all’incentivazione delle presenze artistiche nel Comune di Faenza: Enel per l’arte che ha trasformato delle semplici (e standardizzate) cabine elettriche in installazioni inedite; le porte di ingresso per-

Nelle foto, comparti urbanistici ed edifici sorti a Faenza negli ultimi decenni nell’ambito di una nuova concezione di pianificazione urbanistica. A sinistra: mappa del quartiere San Rocco e il complesso scolastico progettato da Lucien Kroll. In questa pagina, dall’alto: il Parco delle Arti e delle Scienze; villa di campagna disegnata dall’archiettto Filippo Monti; edificio con funzioni produttive nella zona artigianale.

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sonalizzate (e mai ripetute) dei nuovi quartieri che contrappongono alla dirompente estraneità degli insediamenti periferici la riconoscibilità e l’identità dell’abitare anche attraverso l’uso della ceramica; l’iniziativa del museo all’aperto di arte contemporanea ha spostato l’arte all’esterno dei tradizionali contenitori rendendo la città un luogo in simbiosi con le opere che valorizzano rotatorie stradali, ponti, parchi, insediamenti residenziali. Inoltre sono state previste delle scontistiche negli oneri di urbanizzazione in caso di proposte artistiche di interventi privati all’interno dei Permessi di Costruire. Previsti anche incentivi urbanistici (che aprono un virtuoso “mercato della qualità”), principale strumento per ottenere dall’attore privato la concessione di aree senza il ricorso dell’esproprio. Nascono in questo modo programmi strategici per l’acquisizione di aree da destinare in futuro a servizi pubblici e spazi attrezzati (quartiere Borgo): una riserva di spazi, posti anche a ridosso dello spazio rurale, utili per la (corretta) regolamentazione delle future espansioni. Anche la sostenibilità è tra i requisiti progettuali del piano e per questo sono stati introdotte pareti/tetti verdi (prima che diventassero oggetto delle riviste di settore) e uso di energie rinnovabili, oltre alla previsione e alla tutela degli orti

diffusi: un recupero consapevole della natura e del ciclo delle stagioni. In linea con gli aspetti di sostenibilità e di qualità della vita urbana Nonni si pone la domanda: dove vanno i bambini se mancano i parchi? Per tale motivo si studiano metodi compensativi per i quali (ad esempio) alla realizzazione di una nuova area commerciale corrisponde la piantumazione, a distanza, di oltre 1.300 nuovi alberi in 5 distinte aree della città che può già vantare una dotazione di verde pubblico notevole (pari a circa 23 mq per abitante). Gli effetti del Piano – come li definisce Ennio Nonni – sono stati quelli di accompagnare la realizzazione di architetture di pregio in diversi contesti della città: la scuola di Lucien Kroll – nata dalle fantasiose suggestioni degli stessi alunni fissate nei loro disegni; la casa firmata da Ettore Sottsass che ha richiesto la redazione di una variante dello stesso Piano; l’opera di Filippo Monti (l’architettura contemporanea rispettosa dei valori del centro storico o integrata alla campagna) e, infine, la costruzione di edifici industriali secondo progetti che ricercano la qualità. Tutti gli argomenti indicati dall’architetto Nonni e avvalorati dall’esempio di Faenza trovano forma in una sorta di decalogo per l’urbanistica del futuro.

In alto: edificio progettato da Ettore Sottsas. A sinistra, opera d’arte nel contesto urbano (museo all’aperto) creata dallo scultore Germano Sartelli.

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Comune di Ravenna

Il ruolo dell’Architettura contemporanea Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava in collaborazione con la rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019

Pambianco

Coordinatore Emilio Rambelli

Giovedì 3 ottobre 2013

ore 21

Tarroni

Le Cantine di Palazzo Rava - Ravenna - via di Roma 117

Gianluca Bonini parlerà di Nuovostudio - Ravenna Introduce Paolo Bolzani Lelli

All’incontro seguirà un momento conviviale con i vini della Cantina Braschi (Mercato Saraceno) Info: Ilaria Siboni - siboni.ilaria@gmail.com - Cell. 338 1584910

PROSSIMI APPUNTAMENTI:

Borghi

Giovedì 31 ottobre Antonella Ranaldi: Il restauro contemporaneo Giovedì 21 novembre Daniela Moderini: Il paesaggio Urbano - Venezia

Nonni

Ranaldi

Moderini

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Tito Chini, Atrio di ingresso del Padiglione delle Feste, Compendio Termale di Castrocaro (FC), 1937-1941. A destra: un motivo decorativo ad anfora e doppia lucerna del pavimento e del ballatoio dell’Atrio. Foto di Giorgio Sabatini

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Ciò che ben si addice Tito Chini e il Padiglione delle Feste delle Terme di Castrocaro di Alberto Giorgio Cassani

Il tema del lusus, dello svago, del benessere, del relax, appartiene da sempre alla storia dell’architettura. Una volta riservato alle sole classi dominanti delle società antiche, coi Romani, il cerchio dei beneficiari di questo lato fondamentale della vita umana si allarga grazie alla creazione delle terme pubbliche, che diventano uno dei principali temi architettonici dell’età imperiale. La Belle Époque ha dato di nuovo lustro a questa tipologia, creando saloni delle feste, cabaret, can-can, cinematografi, sale da ballo, impianti termali. Il fascismo, restio ad investire in un aspetto troppo poco austero e più legato ai “decadenti” anni del floreale, ha dedicato invece poco spazio a questo tema architettonico, rispetto alle case del fascio, alle case del balilla e agli edifici di rappresentanza del regime. Ecco che, quindi, il compendio termale di Castrocaro finisce con l’essere uno dei pochi complessi ricostruiti ex novo durante il ventennio. La storia di quest’edificio e del suo principale fautore, Tito Chini, viene raccontata e celebrata da una mostra

che si concluderà il 30 settembre. Voluta da Lucia Magnani di Salsubium e dal Gruppo Villa Maria e inserita all’interno del Progetto Atrium, l’esposizione è stata curata da Paola Babini (docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna e Ravenna), Beatrice Sansavini (del Gruppo Villa Maria) e Ulisse Tramonti (docente alla Facoltà di architettura dell’Università di Firenze), che ha firmato anche il catalogo, dal titolo: Tito Chini: Dall’architettura alla decorazione: Il Padiglione delle Feste del Compendio Termale di Castrocaro (Essegi, San Michele (RA), 2013). Le belle foto sono di Giorgio Sabatini. Tito Chini, chi era costui? potrebbero chiedersi in molti. La damnatio memoriæ è una scure (o meglio una gomma da cancellare) che a volte colpisce per espressa volontà di qualcuno, altre volte è causata dall’oblio, inseparabile compagno della memoria stessa, secondo Nietzsche. A volte, anzi, per poter procedere in avanti, liberandosi dal peso schiacciante del passato, è necessario dimenticare (si vedano, del filosofo tedesco, le fondamentali riflessioni della Seconda delle Considerazioni inattuali: Sull’utilità e il danno della storia per la vita del 1874). A volte, invece, è bene ricordare e anche non confondere. È appunto il caso di Tito Chini, nato a Firenze nel

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A sinistra Diego Corsani, Padiglione delle Feste, planimetria del piano terra («Rivista del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali», 1941). Sotto: Tito Chini, Motivo decorativo del pavimento dell’“abside” del Gran salone, Padiglione delle Feste. A destra: Tito Chini, Decorazione muraria della Sala per fumatori, Padiglione delle Feste. Foto di Giorgio Sabatini

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Foto di Giorgio Sabatini

1898, la cui memoria è spesso stata oscurata dal più celebre biscugino Galileo. Un po’ quanto è accaduto con la vicenda di Tomaso Buzzi e Gio Ponti (si parva licet...). La vicenda artistica di Tito comincia a fiorire quando Galileo, nel 1925 «pittore ufficiale della Biennale e al culmine della fama» (Tramonti), lascia a Tito la direzione della Manifattura Chini di Borgo San Lorenzo. Come spesso avviene tra parenti, Galileo non fece nulla per mettere in luce Tito, lasciando anzi che l’equivoco tra i loro nomi perdurasse. Ma, si chiede Tramonti, se ciò può essere accaduto per il campo delle ceramiche, com’è stato possibile confondere i due nella paternità di Castrocaro, dal momento che «Tito a differenza di Galileo conosce l’architettura, [...] le cifre strutturali, la composizione, la spazialità», aspirando sempre «alla perfetta fusione tra architettura e decorazione», come sottolineato anche da Paola Babini nella Postfazione in chiusura di Catalogo. Del resto il significato etimologico di decorazione, dal latino decor/decus, è: ciò che conviene, che ben di addice. Non è dunque qualcosa di aggiunto, di applicato in un secondo tempo sul corpo dell’opera, un orpello che potrebbe benissimo essere tolto senza che l’opera perda di significato. È invece l’esatto contrario: è ciò che dà “gloria”

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(dal sanscrito daças) o fama (dal greco doxa) all’opera stessa. È proprio la decorazione, nella sua fusione con l’architettura, che dà il senso al Padiglione delle Feste del complesso termale, il capolavoro di Tito: dalle piastrelle smaltate del pavimento, alle mattonelle invetriate, ai pannelli in ceramica realizzati con la tecnica dei lustri a gran fuoco. Inaugurato incompleto nel settembre del 1938, con grande disappunto di Tito che non partecipò per protesta all’evento, fu completato soltanto nel 1941. La “sfortuna” di Tito rischiava di perpetuarsi anche per la paternità del Padiglione. La firma dei progetti è, infatti, del solo ingegner Diego Corsani, ma le dichiarazioni di un altro ingegnere,


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Pietro Zavagli, responsabile dell’Ufficio tecnico erariale di Forlì, non lasciano dubbi sul reale autore del Padiglione, «relegando» il Corsani «alla ideazione della sola parte impiantistica» (Tramonti). Nell’ottica di quella Glasarchitektur (Architettura di vetro) tanto amata dallo scrittore e disegnatore visionario Paul Scheerbart, padre dell’Espressionismo tedesco tra le due guerre, il Padiglione era anche e soprattutto «una grande e risplendente architettura notturna, che celebrava tra scroscianti fontane luminose importanti soirées, balli, rappresentazioni teatrali e che cercava di appropriarsi di una parte del parco rigettando all’esterno la luce immagazzinata durante il giorno» (Tramonti). Osservando la pianta del Padiglione, si può azzardare un accostamento credo mai fatto: la doppia “abside” dell’atrio d’ingresso e del fondale del Gran salone sembrano rimandare alle chiese romaniche d’oltralpe, quelle caratterizzate dal Westwerk, un corpo edilizio collocato ad occidente della chiesa, come una seconda abside. Tipico del resto di una chiesa romanica è anche il semicerchio pavimentale del grande salone, a piastrelle smaltate con motivi marini, quasi un laico pavimento presbiteriale in cui i cavallipesci ricordano da vicino i “mostri” medievali. Tra tutte le opere che decorano l’interno del Padiglione – lo Zodiaco della cupola ad anelli concentrici del soffitto dell’atrio d’ingresso, la grande rosa dei venti con velieri del pavimento dello stesso atrio, le carte giganti della Sala da gioco, il ciclo delle stagioni, rivisitazione “fascista” di un tema dell’ultimo Medioevo (ancora!), le ironico-popolaresche decorazioni parietali della Sala per fumatori con le ammiccanti scenette e le inequivocabili scritte – vorrei ricordare un oggetto in particolare: il lampadario-Saturno, sfera di vetro opalino decorata di stelle a sei punte e circondata da un cerchio di vetro con i classici anelli satinati. Un vero capolavoro di arte applicata, realizzato da Venini. Infine, un po’ del genio dell’artista-architetto Tito Chini ha circolato per qualche anno anche all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, nelle sembianze del nipote, Matteo Chini, ora docente di Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Carrara ed esperto di Pop Art. Del resto, Arte Popolare non era anche quella di suo nonno Tito?

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A sinistra: Tito Chini, Lampadario della Sala per fumatori, realizzato da Venini - Ritratto con dedica di Tito Chini - Particolare di pavimento. In questa pagina: altre immagini del Padiglione delle feste

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Le magie tra funghi e Le delizie autunnali in tavola nei consigli dello chef Faccini per conoscere ingredienti, cotture, attrezzature, caratteristiche degli alimenti e vivere appieno uno dei momenti più appaganti dell’abitare

Si conclude dopo un anno la lunga riflessione avviata sull’arte culinaria domestica, oggi più che mai, alla ribalta grazie all’impegno di operatori del settore, critici, cuochi, gourmet. Inventiva, passione, tecnica, governano le cucine di tanti appassionati, ormai sempre più consapevoli e informati dei giacimenti gastronomici italiani come delle opportunità offerte dai prodotti di terre lontane. Per distinguere ingredienti, cotture, attrezzature, conoscere la fisica e la chimica degli alimenti, il viaggio condotto in più puntate, ha avuto una guida di esperienza che qui salutiamo con affetto e ringraziamo per il tempo e i preziosi consigli offerti. In compagnia dello chef Stefano Faccini hanno trovato soluzione tanti quesiti insoluti, sono emerse curiosità, dati tecnici e storie d’altri tempi. Nel rispetto della stagionalità lo chef chiude il proprio contributo affrontando un tema caro a molti: i sapori del bosco autunnale. «Andar per funghi.... i funghi e i tartufi sono tra le piante commestibili più primitive. Sono imparentate con le muffe e i lieviti. Sono piante saprofite, cioè non sono capaci di produrre zuccheri per fotosintesi e perciò devono vivere dei resti decomposti di altri organismi. Molti funghi si trovano solo in simbiosi con le radici di certi alberi; il fungo estrae zucchero dalle radici e dà in cambio sostanze minerali, specialmente fosforo, che è in grado di fissare molto più efficacemente di quanto non faccia l'albero. La parte che noi mangiamo non è che uno stadio nello sviluppo dell'organismo. Molte specie di funghi vengono utilizzate come alimenti, e lo sono tutt'ora in tutte le parti del mondo. La maggior parte viene raccolta allo stato selvatico e solo pochi sono stati coltivati con successo. Tracce di vesce sono state trovate in insediamenti dell'età della pietra, e i greci

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del bosco castagne e i romani consideravano i funghi come leccornie. Alcune fra le specie più comuni producono tossine protettive, il ricco sapore dei funghi che in alcuni casi ricorda il "sapore di carne" è dato da un contenuto anormalmente alto di acido glutammico, che ne fa una versione naturale del glutammato di sodio (il dado per intenderci)». Gioia dei cercatori, gelosi custodi di mappe mentali e di tesori nascosti ai piedi di alberi ad alto fusto, nonché delizia dei gourmet sempre pronti a gustarli fra tradizione e arditi esperimenti, i funghi una volta raccolti o acquistati a tutti pongono l’arduo problema della conservazione. «Una volta raccolti i funghi respirano molto più velocemente di molte altre piante commestibili, e in 4 giorni perdono circa la metà delle loro riserve di amido e di zucchero, questo si può evitare almeno in parte con la refrigerazione, e la confezione ermetica. Ma queste condizioni possono anche promuovere la condensazione dell'acqua e accelerare il deterioramento, per cui vanno consumati il prima possibile dopo averli acquistati. Una comune credenza va assolutamente smentita: non è assolutamente vero che i funghi se lavati assorbono grandi quantità di acqua quindi lavateli pure, certo con una certa velocità ma non perché assorbono acqua, ma perché diventano neri. Questo cambiamento di colore è dato da un enzima chiamato polifenolossidasi, che ossida i composti e li fa diventare neri o grigi. Cosa rallenta questo fenomeno? La cottura, la refrigerazione sotto i 4 gradi, il sale (ritarda l'annerimento ma non lo blocca) oppure il metodo più usato è il succo di limone. A quanto pare l'acido malico che è contenuto nell'uva agisce ancor meglio dell'acido citrico». Lasciati gli umori della terra, levando gli occhi al cielo, appare la bellezza multicolor dei castagneti. Maestosi e forti, aggraziati i castagni regalano una delle piacevolezze della stagione autunnale, per secoli fonte di sostentamento per le popolazioni montane. «Arriva l'autunno, tempo di castagne. Questo frutto è lontano parente delle ghiande, ed è particolarmente ricco di carboidrati tanto da sostituire i cereali. Oggi la castagna si mangia saltuariamente da sola, bollita o arrostita. A causa dell'alto contenuto d'acqua iniziale le castagne sono alquanto deperibili, perché soffrono gli ambienti in cui è più facile la riproduzione batterica e le muffe. È consigliabile tenerle coperte e consumarle il prima possibile.

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Le castagne appena colte si dovrebbero tenere coperte e a temperatura ambiente per qualche giorno, questo migliora il loro sapore perché dà tempo all'amido di trasformarsi parzialmente in zucchero prima che il metabolismo delle cellule cominci a rallentare. Possono venire consumate al naturale oppure sotto forma di marron glacé, così come ridotte in purea, in creme o marmellata, e dopo essicamento, in farina. Le castagne apportano un potere energetico di 307 calorie ogni 100 grammi di prodotto. Una delle preparazioni più conosciute e certamente il castagnaccio, dolce a base di farina di castagne, uvetta, pinoli o altri ingredienti di complemento. Le castagne prima di essere arrostite devono essere "castrate" cioè bisogna praticare un taglio nella parte più bombata. Per sbucciarle velocemente praticare il taglio come descritto sopra e poi immergetele in olio bollente o acqua bollente per alcuni minuti, sarà un'operazione molto semplice…».

Per rispondere alle domande più comuni in cucina: Perché succede? Dove sbaglio? Cosa mi manca? Quale utensile usare, quale attrezzatura? E per consulenze professionali, lo chef Faccini è a disposizione dei lettori all’indirizzo e-mail: faccini_stefano@libero.it

LA RICETTA DELLO CHEF

RISO CASTAGNE E LATTE Sbucciate 250 g di castagne secche. Ponetele in una pentola con 2 litri di acqua e un pizzico di sale. Cuocete a fuoco lento per circa 2 ore e mezzo. Unite 150 g di riso, e dopo dieci minuti aggiungete 750 g di latte. Lasciate cuocere per altri 5 minuti. Aggiungete 40 g di burro. Servite con un’abbondante presa di grana grattugiato.

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Diviso fra l’insegnamento all’istituto professionale di Stato “Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” di Cervia, i corsi di alta formazione, le consulenze per alberghi, ristoranti e aziende alimentari, Faccini, si è fatto promotore di una nuova cultura gastronomica mentre vanta esperienze nella cucina di Paul Bocuse, di Fredy Girardet in Svizzera, ed è Chef Eurotoque, Commandeur de la Commeanderie des Cordons Blues de France e discepolo di August Escoffier.


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«L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita» L’incontro inatteso di Daria e Angelo CITTÀ E SOCIETÀ


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Una foto, La candela, Un ricordo, La preghiera Senza una parola, un saluto L’attesa nera Avvolta in un mistero Dei volti sui muri in cui si spera Una foto brucia come la fiamma Scioglie la candela Un ricordo vive nel silenzio Della preghiera Siamo solo natanti Ci divide da te Un passo da giganti Per trovarti Ti darei la coperta calda Il posto-scudo E montagne d’oro Sei nella mia testa Mentre mangio mentre dormo Quando vado al lavoro Passa un mese, due, tre Io sto fermo voi state correndo Io vivo dove vive il vento Siete solo natanti Vi divide da me Un passo da giganti Per trovarmi per trovare un perché Un passo da giganti Così distanti Adesso non so dove ti sento Si infrange sulla mente Sospinto dal vento Quel tuo grido forte e acuto Per la giornata che è andata male O storia d’amore da dimenticare Svanito nell’ombra mai riconosciuto Loro sono natanti Basterebbe cercarli Dall’alto da giganti Sono tanti!

MILLIAR, Un passo da giganti, 2013 © lyrics MILLIAR

Stazione del Métro parigino

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di Marina Mannucci

È uno dei caldi giorni che precedono ferragosto, quando ricevo da un caro amico una telefonata. Mi parla della storia di due giovani di cui è venuto a conoscenza, mi fa capire che dovrei incontrarli e, magari, scriverne. Accetto la sollecitazione. Dopo due giorni, verso le 20 e trenta Daria e Angelo suonano alla mia porta. Ci sediamo in giardino ed in silenzio inizio ad ascoltarli. Parigi, 13 aprile 2013, France métropolitaine, linea 13, Malakoff Plateau de Vanves, Montparnasse, Daria e Angelo sono appena giunti a Parigi a girare un video per l’ultimo pezzo realizzato. «Da alcuni anni abbiamo formato il progetto musicale Milliar. Avvalendoci della collaborazione di diversi musicisti abbiamo creato un repertorio originale ed a volte inquieto». Immersi nell’ebrezza della loro vacanza giovanile, salgono sul metrò. Un ragazzo dall’apparenza trasandato si avvicina loro, anche lui è italiano, dopo un rapido scambio di informazioni, chiede qualche spiccio. Daria e Angelo sono troppi presi dal loro viaggiare; l’intrusione improvvisa è per loro un inaspettato “fuori copione”. Trascurano questa prima richiesta ed anche una successiva di aiuto per il rientro in Italia. Un suonatore, dopo essersi esibito si avvicina ai tre per ricevere un’offerta. Il ragazzo, quello che a sua volta aveva chiesto aiuto, gli dona le poche monete che ha. Nel frattempo il convoglio è giunto alla fermata, si aprono le porte, flussi di persone scendono, con loro anche il ragazzo sconosciuto. Poi, le porte si chiudono nuovamente. Come nel film Sliding Doors, Daria e Angelo si accorgono di essere stati travolti dal caso e nello stesso tempo dalla necessità irrompente delle umane vicende. Un banale imprevisto ha cambiato il corso della loro giornata; a volte, il corso dell’esistenza subisce virate improvvise. I due ragazzi si interrogano su ciò che non hanno fatto e che avrebbero potuto fare per quel ragazzo; si sentono in colpa per il loro errore di omissione, per il mancato ascolto di una richiesta di aiuto. Tornati a Ravenna, attraverso Internet sfogliano le pagine del sito del programma “Chi l’ha visto?” per provare a risalire all’identità del ragazzo incontrato a Parigi. Sfogliano pagine web con decine e decine di volti di persone scomparse. Vengono a conoscenza di una realtà inquietante: ogni anno in Italia scompaiono migliaia di persone di ogni età. Tra i tanti volti sembrano riconoscere quello del

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ragazzo. Approfondiscono le ricerche: il ragazzo potrebbe essere Marcello Volpe, 21 anni, scomparso da Palermo il 12 luglio 2011. Dopo averne parlato a lungo, si mettono allora in contatto con i genitori del ragazzo. La madre e il padre di Marcello, Laura Zarcone e Francesco Volpe, si recano a Parigi, riattraversano i luoghi indicati da Daria e Angelo nella speranza di raccogliere informazioni e indicazioni sul ragazzo, ma la ricerca non porta loro alcun risultato. Da quando hanno intrapreso le ricerche su Marcello, Daria e Angelo hanno constatato che, riguardo al problema delle persone scomparse, ci sono situazioni che si vanno confermando sempre più come complesse, articolate e dai molteplici risvolti sociali e umani, tali da richiedere sforzi congiunti per fornire risposte adeguate alla società civile di cui tutti siamo parte. Per affrontarle è necessario uno scambio, per quanto possibile allargato, di informazioni e proposte fra tutti i rappresentanti degli attori più direttamente coinvolti: Istituzioni preposte, Operatori Sanitari, Associazioni a tema e interessate, Mass Media – nel tentativo di facilitare la costruzione di una rete sociale di contenimento e di ricerca di soluzioni. Dal 1974 ad oggi, data di Istituzione del Comitato nazionale interforze sulle persone scomparse ed anche del comitato provinciale, sono circa 26.000 le persone scomparse e di cui non si hanno più notizie. Parlando coi familiari di queste, coi responsabili delle Istituzioni e delle associazioni, Daria e Angelo si rendono conto di quanto sia importante far emergere ciò che è stato fatto negli ultimi anni e che cosa si sta facendo, sia da parte delle istituzioni, sia da parte dell’associazionismo, per affrontare in modo adeguato questa piaga sociale. Da qui nasce la loro stretta collaborazione con l’associazione Penelope Emilia Romagna che offre sostegno legale e psicologico alle famiglie oltre ad organizzare iniziative di sensibilizzazione. L’impatto sociale che provoca la scomparsa di una persona crea problemi di non facile soluzione. La persona scomparsa non è né viva né morta, è in un limbo giuridico che aggrava la sofferenza di chi rimane, oltre, naturalmente l’angoscia di “non sapere”. È indispensabile, quindi, sensibilizzare e stimolare una riflessione sulle modalità con cui tale fenomeno possa essere contenuto e messo sotto controllo, sia tramite i piani territoriali, sia mediante la costruzione e condivisione fra tutti gli interessati di banche dati così come sull’importanza della divulgazione della notizia. Tra i punti significativi: l’introduzione dell’obbligo di immediato avvio delle indagini, il consolidamento del ruolo dell’Ufficio del Commissario per le persone scomparse e il coinvolgimento delle associazioni dei parenti degli scomparsi e dei media. Daria e Angelo decidono di dare un loro contributo al problema sociale delle persone scomparse, in cui si sono trovati coinvolti: auto-


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A sinistra:unritratto di Marcello Volpe - Sopra: Daria e Angelo, progetto musicale MILLIAR. - In basso: il logo di MILLIAR

producono la canzone Un passo da Giganti e il videoclip composto dalle fotografie degli scomparsi, che stanno diffondendo in rete tramite i social network. Questo il racconto dei due ragazzi che infine mi confidano accorati: «Marina, il senso della nostra storia è che si diffonda l’appello urgente che dobbiamo imparare ad osservare meglio ciò che ci circonda, dare il giusto peso alle interazioni umane, imparare ad ascoltarci e a saper reagire tempestivamente. Gli scomparsi vivono tra di noi. Ci farebbe piacere che ti rivolgessi ai lettori a nome nostro scrivendo che qualsiasi forma di aiuto è ben accetta e che rimaniamo a disposizione». Ed è questo il messaggio del loro video musicale: infrangere lo stato di nevrosi e alienazione metropolitana che contraddistingue la convulsa quotidianità. Edgar Allan Poe ne tratteggia i caratteri attraverso l’angosciante personaggio del suo scritto L’uomo della folla, metafora di quel senso di desolazione di cui è spesso preda chi è immerso negli scenari urbani contemporanei. Ci sono momenti di disagio, che scaturiscono dalle esperienze di vita e che fanno parte del vivere stesso e che necessitano di essere accolti, accettati e rinarrati in autobiografie. Quando il disagio si fa così pesante da non essere più supportato da soli, il dialogo diventa una risorsa. L’attenzione delle persone diventa in questi casi una risorsa importante in quanto atto concreto, dedicato, di disponibilità, di osservazione, di ricettività, riflessività, empatico, di reciprocità; è ascolto di sé per meglio orientarsi all’altro, è concentrazione sul qui ed ora, sul

Sito musicale del duo musicale Milliar www.milliar.it Sito dell’associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse O.N.L.U.S. Penelope http://www.penelopeitalia.org/associazione Sito su Marcello Volpe http://unponteconlaterradegliscomparsi.blogspot.it/2012/06/marcello-volpe-palermo.html Sito Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/d efault/it/temi/persone_scomparse/scheda_001.html

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momento presente. È la disposizione fondamentale che porta a spostare i riflettori da sé all’altro e con l’altro modificare il punto di vista. L’11 febbraio 1917, Antonio Gramsci scriveva su la rivista “La città futura”: «[...] Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano

pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». Il video di Daria e Angelo ci ricorda che ognuno ha una battaglia da combattere contro l’indifferenza. Do I dare disturb the universe?, si chiedeva il personaggio di Prufrock nella poesia di T.S. Eliot. Bisogna osare turbare l’universo, combattere quell’indifferenza che assorbe la vita come l’acqua nella sabbia.

Progetto grafico di “Un passo da giganti”

CITTÀ E SOCIETÀ


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CITTÀ SOSTENIBILE

Una “Estate a Libro Adriano” Lo spazio durato una stagione, per raccontare storie, per imparare, giocando e dialogando, a rispettare noi e il mondo che ci circonda.

Quest’anno abbiamo deciso! “Niente vacanze” e così vi abbiamo tenuto compagnia a Lido Adriano con un’iniziativa dedicata a grandi e piccini: “Estate a LiBro Adriano”, un viaggio nella sostenibilità attraverso libri, musica, teatro e giochi. Ne abbiamo parlato sul palco di Piazza Vivaldi con giornalisti, istituzioni, associazioni di categoria, architetti, ingegneri, scrittori e artisti che fanno della sostenibilità una filosofia di vita. Tra gli ospiti personaggi del nostro territorio (come Eraldo Baldini e gli assessori Valentina Morigi, Guido Guerrieri e Mara Roncuzzi) ma non solo. Sono tornati a Ravenna Paolo Berdini, Massimo Ilardi e Paolo Corticelli. Per la prima volta, Lucia Vastano autrice di “L’onda lunga del Vajont” (Ponte alle Grazie) e “I palloncini del Vajont. Storia di una diga cattiva” (Sinbad Press) che è stata ospite di un doppio appuntamento in cui si è parlato del Vajont e delle ferite procurate nel corso degli anni dall’uomo alla terra e al nostro territorio in particolare. La manifestazione si è inserita nel “contenitore” di eventi promossi dalla Proloco di Lido Adriano si è svolta dal 26 luglio al 23 agosto. La prima serata svoltasi il 26 luglio, Valentina Morigi e Paolo Berdini, hanno deciso di condividere una serata in un momento in cui la politica ha più che mai bisogno di avvicinarsi alle persone e di riprendere il suo compito: migliorare e rendere giusta ed equa la vita dei cittadini. È proprio stata una serata ricca e densa di idee, di partecipazione e condivisione, arricchita dagli straordinari contributi di Salvo Mauceri e Franco Costantini. Venerdì 02, è stata la volta delle “Storie di quotidiana sostenibilità”. La seconda serata ha visto graditissimi ospiti Stefano Pasqui (psicologo sociale), Lorenzo Ciapetti (economista), Samuele Giacometti (ingegnere industriale e dell'informazione). Una ricerca che accomuna, e che passa attraverso il lavoro, lo studio e la scrittura sul tema della sostenibilità. Il dibattito arricchito delle incursioni teatrali di Alessandro Braga, regista e attore della compagnia del Picco-

ABITARE LʼHABITAT

lo Teatro Città di Ravenna. Al terzo appuntamento, Estate a LiBro Adriano non è più la sorpresa e si affrontano, anche se con una certa leggerezza, temi estremamente seri. In occasione del cinquantenario del disastro del Vajont, si sono proposte due serate di riflessione su quanto accaduto nel 1963 e sulla sostenibilità come arma di difesa del territorio. Venerdì 9 agosto Lucia Vastano, giornalista e autrice di “Vajont, l'onda lunga”, Andrea Marchetti (sindacalista CGIL), Mara Roncuzzi (Assessore all'Ambiente Provincia di Ravenna) e Caterina Marchetti (attrice). Lucia Vastano è rimasta con noi anche il 12 agosto con “I palloncini del Vajont. Storia di una diga cattiva”, in memoria dei 500 bambini che 50 anni fa persero la vita nella notte del disastro. Un libro intenso che parla di “palloncini” volati via troppo in fretta ma anche dell'importanza della memoria. Due serate dedicate a grandi e piccini perché bisogna educare le persone fin da bambini non solo al rispetto e alla conservazione della memoria, ma anche (e soprattutto) alla ricerca della verità. “La verità fa paura. Per alcuni è meglio aggiustarla a colpi di parole usate impropriamente. Come delle armi. Come un martello che può sfregiare un'anima peggio di un proiettile. Meglio che ricordare male, una diga è crollata e i suoi morti sono vittime della natura o dell'incuria, è meglio dimenticare. Meglio vivere nell'ignoranza piuttosto che nella menzogna. Non è un'impresa facile preservare la memoria. Ci vogliono coraggio e impegno ... Le parole non bastano. Mai. Le parole tradiscono, possono scivolare in una pericolosa deriva che porta sempre più lontano dalla verità: una colpa diventa un'incuria, un'incuria una sbadataggine, una sbadataggine un'azione imprevedibile. E se una cosa è imprevedibile non ci può essere colpa, nemmeno da parte della natura, che non è buona né cattiva, ma è solo indifferente, come il cinismo degli uomini”. Prendiamo in prestito le parole di Lucia perché noi non avremmo saputo dirlo meglio e soprattutto vogliamo ringraziarla per la sua preziosa presenza e la sua ricerca continua di giustizia. E a tutti coloro hanno condiviso con noi l'emozione e le storie raccontate. Grazie a tutte le persone che hanno fatto in modo che queste due serate fossero così belle, e dense di emozioni e di cose da dire e da condividere. Consumo del territorio e dei valori Vs sostenibilità: chi vince? è il tema che abbiamo affrontato venerdì 16 agosto. Parlando del consumo del territorio operato attraverso pratiche illecite che trovano modo di legittimarsi, del-


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la cultura del consumo. Una società dell’iperconsumo come la nostra stimola le persone a cercare di essere libere di potersi muovere sul territorio. Ma la libertà e la sicurezza sono due richieste difficili da conciliare. La sicurezza ricerca spazi chiusi, blindati; mentre invece la libertà pretende di attraversare il territorio senza impedimenti e vuole individui che consumino in fretta e senza ostacoli. In questo modo il governo del territorio da parte delle istituzioni diventa complicato: perché è complicato gestire il desiderio. Prima erano le ideologie politiche a gestire con i loro valori i comportamenti sociali, a mediare i conflitti, ma con la crisi della politica anche i valori sono entrati in crisi. Ospiti della serata Massimo Ilardi, professore di Sociologia Urbana e direttore della rivista Outlet, Paolo Corticelli giornalista ed esperto di comunicazione. Come sempre condito con il lato “artistico” con Leonardo Rossi, architetto, grafico, musicista. Ultima serata a Lido Adriano per la manifestazione il 23 agosto si è chiuso in bellezza con tanti amici: Eraldo Baldini (scrittore), Guido Guerrieri (architetto e Assessore del Comune di Ravenna), Carlo Zingaretti (presidente dell’Associazione Ravenna Domani), Fabrizio Zani (fotografo), Salvo Mauceri (il nostro “archimusicista”) e Alberto Mazzotti (giornalista e amico/presentatore d’eccezione). In queste bellissime settimane trascorse insieme abbiamo affrontato tanti temi che in questa ultima serata sono stati ricuciti insieme, attraverso un’analisi che riparta dal nostro territorio; territorio privilegiato in cui lavoro, natura e cultura si sono da sempre date la mano, producendo una delle cifre più alte e riconoscibili della qualità italiana. L’obiettivo è stato quello di individuare e darci un futuro, per non dover più dire che, il futuro non è più quello di una volta! Lo vogliamo, lo pretendiamo, per i nostri figli, per l’Italia di domani. Occorre cambiare direzione perché se non si annuncia un nuovo percorso la fiducia non tornerà e butteremo anni di sacrifici fatti attraverso il lavoro di generazioni. Lavoro che non è solo bisogno, ma libertà e dignità delle persone; lavoro per rimettere per il verso giusto la scala dei valori di una società; occorre attivare processi collettivi, occasioni di presenza, di espressione, di emancipazione di tanti e soprattutto di chi non ha voce. Dalla parte della natura che non ha chi la rappresenti, delle nuove generazioni alle quali dobbiamo garantire un futuro. È un grande impegno, la fatica che ci è richiesta è in termini di presenza, di contributo di idee, per la crescita del nostro civismo, per poter fare le scelte giuste e condivise che ci conducano a decidere con coraggio, il coraggio e la consapevolezza di esplorare nuove vie perché spesso le decisioni giuste non sono quelle più opportune. È sempre difficile di questo tempi portare persone in piazza a ragionar di futuro. Pensiamo però di essere riusciti a trovare una felice formula di contaminazione tra libri, idee, musica e teatro. Siamo partiti dalla sostenibilità e siamo finiti a parlare di felicità tra psicologia, economia e case di legno. Abbiamo dato vita ad alcune serate che ti infondono speranza in un momento difficile per tutti. Questa prima esperienza di Estate a Libro Adriano è stata straordinaria, intensa, emozionante, e dalla quale sicuramente è più ciò che abbiamo tratto rispetto a ciò che abbiamo dato, speriamo che possa continuare e trasformarsi in una bella realtà. Ci piacerebbe essere stati padri di una buona idea (per dirla con Niccolò Fabi), ma questo potete dirlo solo voi! Marco Turchetti [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com

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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE

Speranza e soddisfazione per gli interventi statali dagli sgravi fiscali agli incentivi su comparvendite, affitti e mutui disposti per rilanciare il comparto strategico dell’abitare È con un misto di sollievo, speranza e soddisfazione che Fiaip ha accolto la notizia dei 4,4 miliardi di euro messi a disposizione dal governo Letta per rilanciare il comparto dell’immobiliare. Già il 24 gennaio scorso la Federazione presentava a Roma il “Manifesto per il Rilancio del Settore Immobiliare”, avviando un’operazione che ci ha visti impegnati giorno dopo giorno, mese dopo mese, per assicurare visibilità alle problematiche dell’intero comparto, fornire contributi innovativi di idee ed elaborare spunti di riflessione ai livelli istituzionali più alti. L’entusiasmo nel vedere l’immobiliare posto di nuovo al centro dell’attenzione della politica e dei media non può prescindere da un’attenta analisi dei dati: se è vero che il calo dei prezzi degli immobili registrato nella prima parte dell’anno è pari al - 0,6%, va anche registrato come, confrontando il dato con quello relativo al 2012 (-3,2%), la situazione mostri un miglioramento timido ma senz’altro incoraggiante. Se nello scorso anno erano le regioni del Sud a registrare la flessione più bassa sui prezzi del mattone, nel periodo considerato è al Nord che si rileva il calo minore (- 0,1%), mentre le zone del Centro soffrono di più con un - 0,8%. Le novità attraverso le quali si intende ridare ossigeno a un mercato fondamentale per l’economia italiana, per la vita delle imprese e delle persone, spaziano dall’eliminazione dell’Imu sulla prima casa alla riduzione della cedolare secca sugli affitti, da una service tax che si preannuncia più equa perché commisurata alla qualità dei servizi erogati dai Comuni alla riforma catastale, tanto attesa per i risvolti – anche commerciali – che essa potrà determinare. Un ambito di intervento fondamentale per il rilancio sarà quello bancario: la Cassa Depositi e Prestiti metterà a disposizione degli istituti oltre 2 miliardi di euro per l’erogazione di nuovi mutui per l’acquisto dell’abitazione principale, incentivo che dovrà fronteggiare la debolezza delle prospettive occupazionali e di reddito che ha affondato le aspirazioni di tanti potenziali proprietari nell’ultimo periodo. Diverse banche si stanno riaffacciando sul mercato dei prestiti e gli effetti di questo quadro generale sui volumi dei mutui si sentiranno a partire dal 2014: gli istituti stanno migliorando l’offerta di prodotti e hanno voglia di ripartire – come confermano da Auxilia Finance - favorite da un costo dei finanziamenti che si manterrà sostanzialmente stabile. La Cassa Depositi e Prestiti, all’80% di proprietà del ministero del Tesoro, verrà anche utilizzata per ripulire attraverso la cartolarizzazione i bilanci delle banche dai mutui incagliati, trasformandoli in obbligazioni che saranno acquistate proprio dalla CDP. Questa operazione si pone – secondo molti operatori - come presupposto indispensabile affinché le banche possano continuare a erogare mutui contribuendo alla ripresa, che dovrà prevedere anche un progressivo riequilibrio dei prezzi che li faccia avvicinare a livelli più compatibili con il reddito degli acquirenti. Secondo l’Ansa, le misure previste dal decreto Imu potranno aumentare di circa 8 miliardi di euro il giro d’affari del mercato immobiliare, e porteranno 1,3 miliardi di nuovi investimenti nel settore grazie alla maggiore liquidità delle imprese, con una ricaduta positiva di circa 4,4 miliardi sull’intera economia. A tutela di chi il mutuo ce lo ha già, ma fatica a pagarlo, è stato rifinanziato di 40 milioni di euro (ripartiti in egual

MERCATO IMMOBILIARE

misura tra 2014 e 2015) lo strumento che prevede la sospensione del pagamento delle rate dei mutui prima casa in caso di perdita del posto di lavoro, grave infortunio o morte del mutuatario. Inoltre, attraverso il rifinanziamento di fondi già esistenti e la creazione di un nuovo fondo presso il ministero delle Infrastrutture, verranno utilizzati 200 milioni di euro per rendere più sostenibili gli oneri del mutuo e della locazione dell’abitazione. Di particolare interesse, infine, il ritrovato fervore che circonda ristrutturazioni e riqualificazione energetica, se si considera che nei prossimi 12 mesi oltre 2,6 milioni di famiglie realizzeranno interventi di efficienza energetica per un valore complessivo di 10,2 miliardi di euro. L’efficienza energetica – insieme ai sempre più diffusi interventi di home-staging e restyling - rappresenta un’occasione unica di sviluppo e di rilancio dell’economia, perché permette di far lavorare piccole e medie imprese presenti sul territorio, le imprese fornitrici di tecnologia e il mondo finanziario, in una sinergia virtuosa e nell’interesse del cliente finale. Anche la Regione Emilia-Romagna, da sempre particolarmente attenta alle tematiche sociali, ha posto l’immobiliare al centro dell’attenzione, promuovendo un’iniziativa chiamata Una casa alle giovani coppie ed altri nuclei familiari, con circa 4000 alloggi sul portale Intercent.it (Agenzia Regionale per lo Sviluppo dei Mercati Telematici) da acquistare subito oppure con patto di futura vendita, dopo un periodo di locazione o assegnazione in godimento di massimo quattro anni. Questo ventaglio di iniziative sembra aver inciso positivamente sulla fiducia dei consumatori, visto che dalle statistiche emerge un maggiore ottimismo nei confronti del mercato immobiliare. Il 56% degli intervistati sul territorio nazionale ritiene che questo sia un buon momento per acquistare casa: gli intervistati più ottimisti sono al Nord (58%), mentre al Sud la percentuale scende al 53%. Sono le donne le più convinte che sia il momento giusto per l’acquisto: sono ben il 62% quelle propense all’investimento, a ulteriore conferma di un mercato immobiliare dalle tinte sempre più rosa e finalmente dinamico, che presenta indici positivi anche nella richiesta di finanziamenti per l’acquisto della prima casa. Marco Soprani Responsabile Editoria e Comunicazione FIAIP Emilia-Romagna


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Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it

n. 84 SETTEMBRE 2013

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RAVENNA n. 84 settembre

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