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n. 85 OTTOBRE 2013 Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
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contenuti
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casa bella casa
topografia e storia
città e tempo
stato dell’arte
piani urbanistici
città e società
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letteratura e città
Abitare la modernizzazione: nella torre di Menichetti nel quartiere Nullo Baldini di Paolo Bolzani
L’età comunale a Ravenna, fra nuovi ceti mercantili e nuovi assetti urbani
PRESTIGIOSI ATTICI
di Pietro Barberini
Giovanni Zaffi -Gardella e le sue meridiane. L’installazione del 1880 nell’attuale piazza Garibaldi di Mario Arnaldi
Nuovostudio: architettura dell’astrazione e della trasparenza di Domenico Mollura
La ricerca: un Campus universitario nella Darsena di città di Domenico Mollura
Un nuovo paradigma per la guarigione della malattia mentale di Marina Mannucci
Dieci anni dopo. Manuel Vàzquez Montàlban e le maschere della città di Alberto Giorgio Cassani
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LAMPADARI MATERIALE ELETTRICO Controcopertina L’alto fusto dell’edificio, ornato lungo il proprio sviluppo da un gigantesco disegno geometrico vergato sull’intonaco da sintetici motivi decorativi prettamente anni Settanta, vagamente messicani, si erge in posizione arretrata rispetto al filo stradale, poggiando su blocchi stereometrici in cemento armato monolitico, circondati a loro volta da grandi aiuole ad arbusti.
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Linda Landi, Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Maurizio Montanari, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it
Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Tiber spa - Brescia - www.tiber.it
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Il grattacielo dal “Cremlino”
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Abitare la modernizzazione Il grattacielo di Giancarlo Menichetti nel Quartiere Nullo Baldini di Ravenna di Paolo Bolzani
Per celebrare i cinquant’anni dell’inizio e i quarant’anni dell’ultimazione del Quartiere Nullo Baldini di Ravenna, oggi ripercorriamo via Agro Pontino. Proveniendo da via Faentina, ben presto si delinea davanti a noi la snella figura del ponte pedonale che collega i due giardini intercondominiali, veri polmoni verdi di questa articolata parte di città, cui nella porzione a ovest si connette un lungo passaggio pedonale alberato su cui si affaccia la scuola materna e quella che in origine era la scuola elementare. La preoccupazione di evitare pericoli nel collegamento dei due piccoli parchi attrezzati separati da via Pontino indusse il principale responsabile della progettazione urbana e architettonica, l’architetto Giancarlo Menichetti di Roma, a ideare quello che fu subito denominato il “ponte dei sospiri”, come a suo tempo raccontava Amleto Casadio, primo presidente del Consorzio Ravennate di Produzione e Lavoro in cui nel 1954 si erano riunite le cooperative edili della Federazione delle cooperative della provincia di Ravenna. Consorzio, Federazione e Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro all’inizio degli anni Sessanta diedero vita alla SIRA (Società Immobiliare Ravennate), che porterà a termine la realizzazione del Quartiere nel 1972-73. Sorto programmaticamente come modello esemplare di un complesso urbano costituito da quattrocento alloggi e servito da asilo, scuola materna, scuola elementare e parco intercondominiale, a quei tempi via Agro Pontino era l’ultimo lembo di città, cui seguiva la campagna. In questo spazio di mezzo vennero costruite un serie di palazzine di tipo popolare, dai 2-3 piani fuori terra, dal semplice tetto a due falde, ma dalla resa edilizia mai scontata, in cui tuttora osserviamo prevalere l’uso del mattone, che sprigiona la propria capacità espressiva sia in un effetto faccia-a-vista perfettamente conservato, sia nell’utilizzo di frangisole dai toni giallo, arancio e rossi, memori ancora dell’eco
Per celebrare i cinquant’anni dell’inizio e i quarant’anni dell’ultimazione del Quartiere Nullo Baldini di Ravenna, visitiamo il “grattacielo” di via Agro Pontino. Si tratta in realtà di un edificio a torre che, dalla sua terrazza belvedere al dodicesimo piano consente un panorama di Ravenna e delle campagne del tutto inediti.
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L’alto fusto, ornato lungo il proprio sviluppo da un gigantesco disegno geometrico vergato sull’intonaco da sintetici motivi decorativi prettamente anni Settanta, vagamente messicani, si erge in posizione arretrata rispetto al filo stradale, poggiando su blocchi stereometrici in cemento armato monolitico, circondati a loro volta da grandi aiuole ad arbusti, essenze aromatiche e piccoli prati. Il disegno è reso possibile dal susseguirsi in verticale, piano dopo piano, delle camere matrimoniali, il cui fronte cieco in sequenza dà origine alla lunga parete decorata, rivolta a nord.
In alto: l’ingresso di Coop Adriatica. A seguire: terrazza al dodicesimo piano, particolare del cornicione-parapetto, vista verso il grattacielo gemello
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degli anni Cinquanta. Si tratta di architetture essenziali, dal 1963 in prevalenza firmate dell’ingegnere Ivo Bolzoni, che divengono un tessuto connettivo di base nel quale emergono alcuni fabbricati speciali firmati da Menichetti. Il primo è il palazzo della Lega e della Federazione della Cooperative, che dal 1970 si staglia imponente tra via Faentina e via Villa Glori e in cui la lezione della finestra-nastro del Movimento Moderno dialoga con la scelta “brutalista” delle campiture in cemento armato, stemperate da opportune inserzioni listate in mattoni, mentre tutta la composizione si anima di una serie di progressive rastremazioni verso via Faentina. Sono di Menichetti anche il fabbricato del Bar Pontino ma soprattutto i due edifici a torre, mini-grattacieli (il primo “grattacielo” di Ravenna era stato costruito nel 1955 in piazza D’Annunzio) che consentono un panorama di Ravenna e delle campagne del tutto inediti dalle loro terrazze belvedere, poste al dodicesimo piano. Concentriamoci sul primo, che incontriamo all’angolo tra via Agro Pontino e via Villa Glori. L’alto fusto, ornato lungo il proprio sviluppo da un gigantesco disegno geometrico vergato sull’intonaco da sintetici motivi decorativi prettamente anni Settanta, vagamente messicani, si erge in posizione arretrata rispetto al filo stradale, poggiando su blocchi stereometrici in cemento armato monolitico, circondati a loro volta da grandi aiuole ad arbusti, essenze aromatiche e piccoli prati. Il disegno è reso possibile dal susseguirsi in verticale, piano dopo piano, delle camere matrimoniali, il cui fronte cieco in sequenza dà origine alla lunga parete decorata, rivolta a nord. La base del fabbricato si dimostra estremamente permeabile, in quanto l’attacco a terra del torricino è stato concepito come un luogo di transito, intreccio di
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grandi ambienti e di percorsi pubblici, con i blocchi in cemento articolati da portici e varchi di ingresso, mentre nelle compatte masse grigie si aprono finestrature ad arabeschi geometrici. Al piano terra – in realtà leggermente rialzato per consentire al piano interrato l’inserimento del parcheggio condominiale - troviamo tuttora l’asilo nido (in origine della SIRA) e a fianco gli uffici di Coop Adriatica (in origine del Consorzio edile ravennate), mentre il blocco cubico successivo è occupato dalla sede di un’altra realtà cooperativa. Saliamo verso la terrazza belvedere, ammirando tuttora l’essenzialità materica della scala condominiale, giocata sull’asciutto dialogo tra cemento, mattoni e parapetti in ferro colorato. Prima di giungere in cima ci soffermiamo un attimo qualche piano più sotto, per entrare fugacemente nell’appartamento di una coppia di signori, dall’età - ma non la testa - “diversamente giovane”, qui trasferitisi fin dal 1973. In realtà allora il trasloco era stato breve, qualche decina di metri, in quanto fino ad allora la coppia risiedeva nella prima palazzina del Quartiere che si incontra a sinistra proveniendo da via Faentina, mentre a destra tuttora si trova un gruppo di palazzine, denominate, a causa dei loro residenti di rango politico, “il Cremlino”. L’appartamento della nostra coppia risente della cultura dell’epoca in quanto si mostra un’unità abitativa dalla metratura generosa, sia nel dimensionamento degli ambienti principali che in quella dei secondari: a cucina, soggiorno, pranzo, tre camere da letto (due delle quali ora trasformate in studioli), e due bagni si integrano infatti un atrio e un corridoio di disimpegno, un ripostiglio, uno stenditoio e
La caratteristica di atrio, corridoio e sala risiede nell’ornamentazione delle parete, attuata con quadri d’autore (Giulio Ruffini, Gaetano Giangrandi, Augusto Murer, tra gli altri), disposti su più file sovrapposte, ad eliminare l’effetto parete nuda.
In alto a sinistra: il “Ponte dei sospiri”. In alto a destra: vista dalla terrazza del grattacielo del “Ponte dei sospiri”. In basso: soggiorno di un appartamento; particolare del tavolo e del cassettone ottocentesco
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Sopra, a sinistra: camera matrimoniale, progetto degli arredi del padrone di casa (1947); a destra: particolare soggiorno. Sotto: camera matrimoniale, armadio con fronti in cristallo nei cassetti
L’appartamento visitato è di simpatica coppia di “diversamente giovani”. Risente della cultura dei primi anni Settanta, in quanto si mostra un’unità abitativa dalla metratura generosa, sia nel dimensionamento degli ambienti principali che in quella dei secondari. A cucina, soggiorno, pranzo, tre camere da letto (due delle quali ora trasformate in studioli), e due bagni si integrano infatti un atrio e un corridoio di disimpegno, un ripostiglio, uno stenditoio e una grande loggia-balcone vetrata.
una grande loggia-balcone vetrata. La caratteristica di atrio, corridoio e sala risiede nell’ornamentazione delle parete, attuata con quadri d’autore (Ruffini, Onofri, Murer, tra gli altri), disposti su più file, ad eliminare l’effetto parete nuda. L’atrio è inoltre morbidamente rivestito da un tessuto chiaro finemente rifinito. Nel fondale del soggiorno domina una grande scaffalatura-libreria costruita dall’allora premiata ditta Bosi & Melandri e ornata da ceramiche antiche, libri con in cima una serie di bronzetti, di scuola napoletana (l’Acquarolo), o il Facchino di Ruffini, cui nella parete a fianco fa da pendant i due Saltimbanchi di Murer. Ma forse l’autentica vena del nostro padrone di casa – che da giovane ha seguito i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna - si trova nell’arredo della camera da letto, da lui stesso progettato nel 1947. Si tratta di una composizione per letto matrimoniale, coppia di comodini, armadio e cassettiera, realizzati in pannelli in radica e noce nostrano e profilata da sottili cornici in ciliegio sagomate dalle maestranze del Consorzio dei Falegnami. All’interno si
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dispiega la preoccupazione di «non perdere tempo a capire cosa ci sia dentro», ed ecco molteplici cassetti con fronte in cristallo; oppure, come è il caso del comodino, l’invenzione del cassetto scorrevole a cabaret, «per quando sei malato». «Nel 1972 – ricorda il nostro ospite – via Agro Pontino era l’ultima strada della città; poi c’era la campagna. La creazione del quartiere fu una rivoluzione per Ravenna. La nostra generazione è stata eccezionale perché alla fine degli anni Quaranta e per i decenni successivi c’era lo stimolo a diventare grandi, a riuscire nella vita con le proprie forze». Mentre ascoltiamo il suo ricordo degli ultimi sessant’anni, con qualche sagace commento sull’attuale situazione in città e in Italia, egli ci conduce alla terrazza, che si rivela uno spazio speciale, bordato da un parapetto inclinato in cemento armato, dall’altezza variabile, che si conforma come il motivo conclusivo della ricerca estetica di Menichetti sul coronamento del fabbricato. Dal dodicesimo piano il panorama, specialmente per una città “piatta” come Ravenna, è sorprendentemente bello, mentre lo scuro profilo degli Appennini cede il passo, in un periplo di 360° alla città illuminata dal sole al tramonto e, ancora oltre, verso nord-est, alle ultime fabbriche.
In alto: soggiorno di un appartamento: quadro di Giulio Ruffini (Ravenna, 1921 –2011), 1954. In basso: quadro di Augusto Murer (scultore, pittore e partigiano italiano, 1922 – 1985). A destra: soggiorno di un appartamento, Acquarolo, bronzo, scuola napoletana, XIX secolo
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L’età comunale a Ravenna Un’epoca di grande sviluppo delle corporazioni e dei ceti mercantili. E di nuovi assetti urbanistici legati ai corsi d’acqua che attraversavano la città.
di Pietro Barberini
Il passaggio all’età comunale non consegna Ravenna ad una lenta e graduale decadenza: la città trova nuovi assetti socio-economici, capaci di incidere nella stessa struttura urbanistica. Il dorato isolamento della capitale romana e bizantina persiste nella distaccata sovranità garantita dall’ autocefalia degli Arcivescovi, in grado di misurarsi, alla pari, con Roma e altri “poteri forti”. Lo sviluppo e la fortuna delle grandi Abbazie ravennati, veri e propri centri d’espansione economica sul territorio attraverso l’attività di bonifica seguita dalla messa a coltura dei terreni, dallo sfruttamento di valli e corsi d’acqua e dai diritti di pascolo esercitati negli staggi e altre aree pinetate, permette ai monaci di governare dall’Appennino al Po, dalle saline di Cervia a Pomposa. A Ravenna, verso la fine del X sec. sono potenti alcune corporazioni civili, la più importante è la Schola Piscatorum Domus Mathae, di pescatori e pescivendoli, ci sono poi: macellai, conciatori, barcaioli e carrettieri. Cresce un nuovo ceto all’interno delle mura storiche, le stesse che trovò re Teoderico: lo sviluppo di queste prosperose attività è concentrato lungo il Padenna che attraversa la città da Sud a
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A Ravenna, verso la fine del X secolo sono potenti alcune corporazioni civil: la più importante è la Schola Piscatorum Domus Mathae, di pescatori e pescivendoli. Ma ci sono anche macellai, conciatori, barcaioli, carrettieri.
Nord, dividendola in due parti. Nonostante ciò non accade a Ravenna quel che avviene in molte altre città comunali, che aumentano di dimensione e allargano la cerchia muraria per fare spazio ai nuovi protagonisti della borghesia manifatturiera e mercantile. Il grande sviluppo del Duecento, particolarmente forte a Firenze, non coinvolge Ravenna che continua ad avere orti e prati incolti all’interno delle mura del VI secolo. La ricchezza accumulata da Arcivescovi e Abbazie unitamente alla disponibilità produttiva di un territorio agricolo vicino, hanno frenato la crescita economica demografica. Ravenna non ha così bisogno di nuovi spazi per il suo sviluppo, in grado di crescere sulle sponde di quel fiume divenuto canale di scolo interno: ci sono banchine di scarico del pesce e altre derrate alimentari; le attività di macellazione
Nelle foto, alcuni scorci e direttrici della zona dell’Arcivescovado, dove inizialmente, sulle aree di potere dell’Esarcato, si sviluppò la Ravenna medioevale, dei Comuni e delle Corporazioni. In basso a sinistra, uno scorcio del campanile della ex chiesa di San Michele in Afracisco, dove si concentrava il commercio del pesce e dove aveva sede (anche a tutt’oggi) la corporazione della Casa Matha.
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non sono lontane, così i mercati… Il tessuto urbano si sviluppa attorno a questa direttrice, anche le chiese moltiplicano la loro presenza: contandole tutte, costituiscono un numero talmente alto che l’affermazione di: “un santo per ogni giorno”, pur esagerata, non è del tutto campata in aria. Il centro politico di questa città non si sposta dal Palazzo Episcopale della Platea Comunis (Piazza Arcivescovado) dove si svolgono le adunanze pubbliche. L’autorità comunale resta sempre legata al volere dell’Arcivescovo e anche quando viene eretto il Palazzo Comunale, esso si affaccia sull’Episcopato. Gli statuti comunali sanciscono comunque, il timido, rinnovato passaggio a forme di autonomia e competenze pubbliche. Pur tuttavia, a differenza di altre città, Ravenna, anche dopo l’avvento della Signoria Polentana, non ha un centro “civile”, politico e mercantile del tutto distaccato dal potere religioso. Solamente nel periodo della dominazione veneziana (1441-1509), Ravenna riflette il dualismo fra autorità religiosa e civile, anche nella struttura urbana.
Fra torri e ponti, mercati e pescherie, chiese e palazzi, scorre nelle acque interne la vita cittadina della Ravenna medievale Gli scavi della sede della Banca Popolare di Ravenna hanno portato alla luce gli avanzi di una torre medievale che, per ubicazione e caratteristiche costruttive, potrebbe corrispondere alla Torre Comunale, distrutta nel 1275 come attestato da alcune citazioni. Nei pressi si apre il vasto spiazzo del Foro boario, dove si trovava anche la statua di Mercurio, divinità alla quale ancor oggi i commercianti si ispirano per trovare nomi a loro strutture associative. La continuità non si ferma a questo particolare: alcuni documenti annonari indicano nel sabato il
In alto: uno scorcio delle attuali piazza Andrea Costa via IV novembre, in epoca medievale area di mercati del pesce e di altre vettovaglie in riva a corsi d’acqua. In basso, la Torre Civica, di età Polentana mozzata in cima e “cinturata” suo tempo, per problemi stabilità.
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giorno di mercato, oltre a stabilire altri obblighi per mercanti, stallieri e venditori. Severe ammende erano comminate a chi violava regolamenti e norme igieniche riguardanti persone e animali. Grande animazione si trovava attorno a un’ampia Conca lapidea, rifornita di acqua dalla Fossa Lamisa, dove potevano abbeverarsi gli animali. Molti di questi non si limitavano a scendere in acqua ma si immergevano “sguazzando” rumorosamente. Il luogo fu per questo detto il Guazzaduro. La casa di Bernardino Da Polenta, ricostruita e ampliata su colonne poste proprio sul corso del Padenna, diventa nucleo della futura piazza, collegando, con un passaggio porticato, il foro asinario, chiamato anche piazza delle “granelle, della legna, del vino” (ora Piazza XX Settembre) con uno spazio erboso. Una strada collegava il mercato avicolo di piazza Ocharia, vicino al Battistero degli Ariani, con le pescherie. Il percorso è quello attuale di via Diaz, piazza del Popolo e via IV Novembre. Da alcune cronache scopriamo che, dove ora ci sono gli eleganti dehors di due caffè, transitavano ovini e suini. Lungo il Padenna, le chiese verso le pescherie si chiamavano: Santo Stefano Juniore “del mercato dei pesci”, ricordata in una carta del 970, Sant’Agata del mercato e San Michele in Africisco. Solo di quest’ultima resta il bel campanile quadrangolare, ben visibile da piazza Andrea Costa. Così ne parla nel suo stradario Gianfranco Andraghetti: «La chiesa di San Michele in Africisco era a tre navate, divise da colonne di marmo (poi sostituite da altre in laterizio) e dotata di portico. Fu in mano a monaci benedettini, a una congregazione di preti (X-XII sec.) e ai canonici detti cardinali (cit. 1130). Dopo la sconsacrazione della chiesa (1805) i mosaici originali dell’abside furono staccati da Liborio Salandri (1843) per conto della corte di Prussia (sono oggi esposti al Museo archeologico di Berlino). Il legato Francesco Saverio Massimo, per farsi perdonare dai ravennati, ordinò al Salandri di pulire i mosaici di Sant’Apollinare Nuovo, ma questi cadde dall’impalcatura e morì (1846). Le poche strutture superstiti si riducono oggi ai muri dell’abside, inglobati all’interno di un negozio…». Non è difficile immaginare scene di compravendita sul sagrato-banchina di San Michele in Africisco, di fronte alla pescheria della Casa Matha che allineava i banchi di vendita sulla sponda occidentale del Padenna. In questo punto, nel Padenna confluiva il Flumisellum, relitto medievale del fiume Lamone d’età repubblicana. Per tutto il Medioevo questi corsi d’acqua interni solcavano la città ed erano attraversati da ponti che, nel tempo, avevano sostituito quelli più antichi. L’immagine che viene dalla lettura di un celebre brano di Strabone (I sec. a.C.) è quella di una «città permeata dall’acqua e percorribile per mezzo di ponti e traghetti. Punto d’incontro tra acque fluviali e marine…». Ravenna antica come Alessandria d’Egitto e non come la descriverà il Co-
La torre Ruggini, fossile di epoca tardo medieovale, incastrata nell’isolato fra via Paolo Costa e via Girolamo Rossi, che fronteggia in altezza la torre comunale.
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ronelli alla fine del Seicento: una “Venezia in mezzo all’acqua”. Durante i lavori di scavo per le fognature del nuovo Mercato Coperto (1915) vennero rinvenute alcune strutture del Ponte Marino sul Padenna. Sotto la testata in laterizio (XV sec. circa) si intravvidero lastroni e pietre del precedente ponte romano, non fu però possibile andare oltre. Poco più a nord, di fronte alla chiesa di San Giovanni Battista (della Cipolla) non c’era un ponte bensì un traghetto, una navicella, dalla quale il toponimo via Zanzanigola: San Zvan ad navicula. Proprio di fianco al ponte Marino fu eretta la torre macellatorum, citata già nel 1202, che simboleggiava la potenza dei “beccai”, che avevano la loro sede (Domus beccariorum) proprio all’inizio di via IV Novembre, sulla sponda orientale del Padenna, nella Guaita di San Michele in Africisco. Passata poi ai Guiccioli, diventa Torre civica nel 1317 quando il Signore, Guido Da Polenta la dota di una grande campana per scandire eventi e tempi della città. Il turrito simbolo della Ravenna municipale passa dalla piazza Arcivescovado sulle sponde del Padenna, lontano però dal luogo che diventerà (con Venezia) il centro della vita politica cittadina. Soltanto nel 1483 la piazza antistante il “nuovo” Palazzo Comunale, viene “decorosamente ampliata e selciata” e ornata di due colonne poste su basamenti circolari, scolpiti da Pietro Lombardo. Con la costituzione del Palazzetto Veneziano la piazza comincia ad assumere le forme attuali. Lo scalone comunale è sorretto da arcate che presuppongono lo scavalcamento del corso d’acqua, tombato per decreto dai veneziani: lo stesso andamento della rampa rende plausibile il recupero parziale di un manufatto dei tempi di Bernardino Da Polenta…Possibile? Suggestiva e sicuramente accertata la presenza di un più antico ponte sul ben più largo Padenna d’epoca romana: la sua testata orientale è proprio fra le due colonne della Piazza. Rebus sic stantibus!
In alto: lo Scalone del Municipio, forse un residuo di struttura pontuale sull’antico fiume Padenna che solcava il centro della città mille anni fa. In basso, rare testimoninaze ancora in piedi di edifici medievali a Ravenna legati alle signorie dominanti; sopra una Casa Polentana; a destra una Casa dei Traversari
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Giovanni Zaffi-Gardella e le sue meridiane Nel 1868 i ravennati decisero di togliere definitivamente lo gnomone dalla colonna che, in Piazza del Popolo, ospitava la meridiana progettata dal matematico ferrarese Teodoro Bonati
CITTÀ E TEMPO
di Mario Arnaldi
Nel 1868 i ravennati decisero di togliere definitivamente lo gnomone dalla colonna che, in Piazza del Popolo, ospitava la meridiana progettata dal matematico ferrarese Teodoro Bonati (vedi TCP, n. 84); due anni prima un uragano aveva irrimediabilmente minato l’assetto della colonna, impedendo la lettura corretta del mezzogiorno locale. Senza meridiana e senza lo gnomone che ne permetteva il funzionamento, l’orologio pubblico della città non poteva essere regolato correttamente e chissà quali metodi doveva essersi inventato il “temperatore” dell’orologio per dargli almeno una parvenza di affidabilità! Occorre premettere che gli orologi meccanici nell’Ottocento battevano le ore oltramontane e mostravano (lo fanno tuttora) un tempo differente da quello solare vero che, a causa dell’orbita ellittica del nostro pianeta, non aveva ore di durata sempre uguale. Le ore battute da un orologio meccanico, che aveva invece ruote circolari, erano costanti tutto l’anno. Quel tempo era detto “Medio” e siccome faceva sempre riferimento al meridiano del luogo, era anche detto “Tempo Medio Locale”. Oggi abbiamo orologi molto precisi, anche se nella vita di tutti i giorni quest’accuratezza spesso non ci è di nessuna utilità. Nella seconda metà dell’Ottocento, invece, la precisione era vitale. Nel 1838 veniva inaugurata da Ferdinando II, in pompa magna, la prima ferrovia d’Italia. «Questo cammino ferrato gioverà senza dubbio al commercio…» disse il duca nel suo solenne discorso; si trattava del breve tratto fra Napoli e Portici, ma aveva ragione: quello fu solo l’inizio di un inarrestabile processo di espansione delle strade ferrate in tutta la Penisola. Già nel 1860 il Piemonte aveva sviluppato ben 866 km di ferrovia, la Toscana 324, il Lombardo Veneto 240 e i ducati emiliani 180. Nell’agosto del 1863 anche Ravenna ebbe la sua stazione ferroviaria, progettata vicino alla darsena proprio per incrementare il traffico commerciale. In quel tempo il mondo stava diventando più piccolo, le distanze si accorciavano grazie alla velocità dei nuovi mezzi di trasposto. La mancanza di una meridiana efficiente, dunque, iniziò ad essere un pro-
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blema serio anche per la nostra città. Sui giornali locali ci si lamentava (“Il Ravennate”, 18 settembre 1866) di questa carenza e, visto che con la vecchia meridiana non più funzionante se ne doveva comunque costruire una nuova, si consigliava di farla «in modo da segnar mezzo giorno tanto a tempo vero, quanto a tempo medio, affinché, seguendo l’esempio di molte altre città, il pubblico orologio meccanico» fosse «registrato a tempo medio, e» potesse servire «di norma sicura per calcolar l’ore delle corse sulla ferrovia». Gli orologi meccanici si regolavano con le meridiane, che da sempre (almeno nel caso di Ravenna) mostravano il tempo vero locale, cioè il pas saggio del Sole al meridiano locale (in pratica, mezzogiorno avveniva sempre dopo che si era verificato in una località più ad Est); a longitudini diverse, mezzogiorni diversi. La
strada ferrata non poteva adattarsi a queste modalità, un treno non poteva viaggiare vero Ovest e arrivare in anticipo o viaggiare verso Est e giungere in ritardo pur avendo impiegato il medesimo tempo. Fu così che in nome del progresso, l’Italia, che intanto si era unita in un unico regno, decise di adottare un’ora nazionale “convenzionale”. Si stabilì quindi, che il meridiano fondamentale di riferimento per «tutte le Provincie continentali del Regno» fosse quello della capitale. Il 22 settembre del 1866 fu pubblicato il Regio Decreto n. 3224 che imponeva l’uso dell’ora media di Roma per: le ferrovie, i telegrafi, i piroscafi postali e le messaggerie; la Sicilia e la Sardegna, invece, dovevano uniformarsi ai relativi meridiani di Palermo e di Cagliari. Ma ci vollero ben 14 anni prima che il Comune decidesse di far costruire una nuova meridiana che rispon-
Nella pagina a sinistra: La meridiana di Giovanni Zaffi-Gardella a “Tempo Medio di Roma”, istallata in Piazza Garibaldi nel 1880 al fine di regolare l’orologio pubblico di Piazza del Popolo. In questa pagina: in alto a sinistra: Regio decreto n. 3224 che imponeva l’uso dell’ora media di Roma. In alto a destra: Regio decreto n. 490 del 1893 che impone a tutto il regno d’Italia l’uso delle ore misurate con il “Tempo Medio dell’Europa Centrale”; in basso a destra: Meridiana a “Tempo Medio dell’Europa Centrale” inserita nel grande orologio solare del Planetario di Ravenna. L’orologio fu inaugurato nel 1997 e la meridiana è un omaggio allo Zaffi-Gardella.
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desse alle nuove necessità. Finalmente, nel 1880, l’incarico fu dato Giovanni Zaffi-Gardella, che costruì in Piazza Alighieri (oggi Piazza Garibaldi) la meridiana a “Tempo Medio di Roma”. Essendo passato così tanto tempo dalla data del decreto, non tutti conoscevano il tracciato di una simile meridiana, e quindi si resero necessarie alcune spiegazioni che furono pubblicate su “La Giovine Romagna” (fascicolo del 28-29 agosto 1880). Pochi anni dopo, nel 1884, fu convocata a Washington DC la “Conferenza Internazionale dei Meridiani”, cui parteciparono
CITTÀ E E TEMPO TEMPO CITTÀ
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Nella pagina a sinistra: La meridiana dipinta da Giovanni Zaffi-Gardella nella Piazza del Municipio a Ferrara nel 1869 e recentemente restaurata da Renzo Righi di Correggio (foto: R. Righi). In questa pagina: La meridiana nella piazza del Municipio di Ferrara (foto: R. Righi)
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25 Paesi, compresa l’Italia. Si stabilì, con effetto immediato, che a dettar legge sull’orario nazionale non fossero più i meridiani passanti per le relative capitali, ma quelli che suddividevano il globo terrestre in 24 parti uguali, partendo dal meridiano fondamentale di Greenwich. Nonostante tutto l’Italia adottò l’ora media del fuso, ovvero il “Tempo Medio dell’Europa Centrale”, solo il 10 agosto del 1893 e da quella data la meridiana di Giovanni Zaffi-Gardella cessò di essere utile alla comunità. In città non furono più costruite altre meridiane pubbliche fino al 1997, quando il Planetario di Ravenna fece costruire il suo grande orologio solare che comprende anche una meridiana a Tempo Medio dell’Europa Centrale, disegnata in omaggio al Gardella.
Ma chi era Giovanni Zaffi-Gardella? Non conosciamo molto della vita di Giovanni Zaffi-Gardella, sappiamo che nacque a Ravenna nel 1815, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti. Fu un valido pittore e caro amico del grande musicista Gioacchino Rossini. Come gnomonista si distinse progettando e dipingendo numerose meridiane ed orologi solari in varie città d’Italia e all’estero. Sappiamo che, oltre a quella che costruì per Ravenna, lo Zaffi-Gardella fece meridiane e orologi solari a Cesena, Ferrara, Guarda Ferrarese (una di queste fu ricostruita da Giovanni Paltrinieri di Bologna), Vicenza, Parigi e Finale Emilia (questa scomparsa nei primi decenni del secolo XX, durante i lavori di rifacimento dell’intonaco del Palazzo municipale). Di tutte queste, però, solo poche sono ancora visibili (Ravenna e Ferrara) e di una, quella di Finale Emilia, ci resta solo una testimonianza fotografica. A Ferrara il nostro fece almeno tre orologi solari: una meridiana, dipinta nel 1869 e tuttora visibile nella Piazza del Municipio di quella città (recentemente restaurata da Renzo Righi di Correggio – os.righi@virgilio.it), una nel cortile del Palazzo dei Diamanti e la terza in quello del Palazzo Pareschi (queste ultime, perdute). A Guarda Ferrarese, dove lo Zaffi visse diversi
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Giovanni Zaffi-Gardella, nacque a Ravenna nel 1815, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti. Fu un valido pittore e caro amico del grande musicista Gioacchino Rossini. Come gnomonista si distinse progettando e dipingendo numerose meridiane ed orologi solari in varie città d’Italia e all’estero.
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Nella pagina a sinistra: In alto: l’orologio solare di Guarda Ferrarese ricostruito sulle poche tracce rimaste da Giovanni Paltrinieri di Bologna nel 1991. In basso a sinistra: la meridiana dipinta da Giovanni Zaffi-Gardella sul palazzo municipale di Finale Emilia nel 1880 (da una foto d’archivio). In basso a destra: le impalcature per i lavori di rifacimento degli intonaci del palazzo municipale di Finale Emilia lasciano intravvedere la meridiana dello ZaffiGardella prima che venga definitivamente distrutta. In questa pagina, in alto: la pianta dei padiglioni dell’Esposizione Generale Italiana a Torino nel 1884. In basso: la pagina del Catalogo Ufficiale dell’Esposizione Generale Italiana, dove si cita la «menzione onorevole» accordata a Giovanni Zaffi-Gardella.
anni della sua vita, furono da lui costruiti due orologi solari, uno sulla sua casa (oggi Casa Franceschini) ed un secondo sull’abside della chiesa parrocchiale; quest’ultimo, grazie all’interessamento ed al contributo della Ferrariae Decus, fu ricostruito quasi ex novo nel 1991 dallo gnomonista bolognese Giovanni Paltrinieri (gpaltri@tin.it), seguendo le scarse tracce rimaste. Quella di Finale Emilia, non più esistente, fu da lui dipinta nel 1880 (lo stesso anno in cui si accingeva a tracciare anche quella di Ravenna) e oltre a non avere la curva del Tempo Medio, presentava caratteri stilistici molto simili alla meridiana di Teodoro Bonati. Come ho avuto modo di ricordare (vedi TCP n. 84), non esistono immagini dello gnomone della meridiana del Bonati, se non in una sola foto scattata nel 1866 (G. Savini, Ravenna, Piante panoramiche, p. 12) e comunque poco chiara, ma Giovanni Zaffi-Gardella lo conosceva bene e certamente aveva imparato ad ammirare le meridiane anche grazie a quella. È probabile che lo gnomone della meridiana di Finale sia una copia di quello che un tempo si trovava sulla colonna di Ravenna. In un certo senso, potremmo considerare questa operazione di “copia” un atto d’amore dello Zaffi-Gardella per la sua città natale, per la memoria del Bonati e per la sua meridiana che sarebbe stata presto dimenticata. Un suo orologio solare (probabilmente costruito solo per quell’occasione) si aggiudicò, nel 1884, una “Menzione Onorevole” alla “Esposizione Generale Italiana” di Torino, per il settore “Astro-
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nomia, Fisica terreste e Meteorologia”. L’orologio solare, che era esposto sulla terrazza di passaggio fra le due torri del Padiglione, mostrava contemporaneamente «il tempo vero e il tempo medio di Roma, Torino e Parigi». Per realizzare questo orologio lo Zaffi impiegò tutto sé stesso a tal punto che la sua vista ne riportò serie conseguenze, che lo afflissero fino alla morte che lo raggiunse a Ferrara, quasi cieco, nella sua casa di via XX settembre, il 3 gennaio del 1892.
La meridiana di Piazza Garibaldi a Ravenna. La lastra di marmo di Carrara su cui era incisa la meridiana di Piazza Garibaldi con il tempo si era distorta formando una voluminosa “pancia” che l’aveva fatta spezzare in due parti; fu quindi distaccata dalla parete ove si trovava e restaurata nei laboratori della Soprintendenza di Ravenna. Lo gnomone era formato da un disco forato, attraverso il quale passava un raggio di luce solare, e da uno stilo di sostegno. Purtroppo il disco forato era già scomparso quando andò perduto anche lo stilo durante i lavori di distacco della lastra dalla parete, fortunatamente possiamo intravvederne la forma grazie alla sua ombra che rimase impressa in una foto pubblicata nel 1984 a p. 81 nel volume Ravenna nascosta di Tino dalla Valle e Franco Torre. Considerando le grandi analogie della meridiana ravennate con quella ferrarese si può immaginare che il disco avesse la stessa forma a fiore. La meridiana è formata da una freccia verticale che mostra il mezzogiorno vero locale e da una strana curva a forma di 8 con le prime lettere di ogni mese poste a destra e a sinistra della stessa. La strana curva si chiama “lemniscata” e mostra tutto l’anno il mezzogiorno medio di Roma. La lettura era molto semplice: si osservava il pallino luminoso del sole filtrato attraverso il foro del disco, quando esso si sovrapponeva alla linea verticale era il mezzogiorno vero di Ravenna; quando, invece, si sovrapponeva ad uno dei rami (ascendente o discendente, a seconda della stagione) della “lemniscata” nel tratto interessato al mese in corso allora era Mezzogiorno medio a Roma e così era per tutti gli orologi del regno. Per maggiori informazioni sulla meridiana di Ferrara vedi F. Scafuri, Note sulla meridiana di Piazza del Municipio a Ferrara, in “La Mongolfiera”, 1999, Ferrara, pp. 16- 20. Sulla meridiana di Finale Emilia vedi G. Barbi & M. Arnaldi, La meridiana un tempo presente sulla facciata del Palazzo Municipale di Finale Emilia, GI 13, 2007 ; Sulle meridiane di Guarda vedi F. Zamboni, Guarda. Restaurata l’antica meridiana dell’abside. Tempo senza ombra. Il complesso intervento “sponsorizzato” dalla Ferrariae decus, in “Il Resto del Carlino”, 28 / 9 / 1991. marnaldi@libero.it
In alto: la pagina del Catalogo Ufficiale dell’Esposizione Generale Italiana, dove si cita al numero 12324 l’orologio solare esposto da Giovanni ZaffiGardella. L’orologio mostrava contemporaneamente il tempo vero e il tempo medio di Roma, Torino e Parigi. In basso: il Catalogo Ufficiale dell’Esposizione Generale Italiana a Torino nel 1884.
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OTTOBRE
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Nuovo appuntamento su “Il ruolo dell’architettura contemporanea” per la serie di conferenze alle Cantine di Palazzo Rava. Il 31 ottobre ospite del ciclo di incontri, l’architetto Antonella Ranaldi, Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini.
STATO DELLʼARTE
Prosegue la serie di conferenze promosse e organizzate dalla nostra rivista e dal Gruppo Ravimm, con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019, ideate e curate dall’architetto Emilio Rambelli. Per il settimo incontro in calendario, giovedì 31 ottobre, alle 21, nelle Cantine di Palazzo Rava (via di Roma 117, a Ravenna), Antonella Ranaldi (nella foto piccola), Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini, parlerà del restauro dei monumenti ravennati paleocristiani e bizantini patrimonio dell’umanità e
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Il restauro degli otto monumenti ravennati Patrimonio mondiale dell’Umanità. L’opera della Soprintendenza dell’opera della Soprintendenza. Com'è noto la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia, i Battisteri degli Ariani e degli Ortodossi (o Neoniano), le Basiliche di Sant’Apollinare Nuovo e in Classe, la Cappella Arcivescovile e il Mausoleo di Teoderico sono stati iscritti nel 1996 nella Lista del Patrimonio dell’Umanità. La conferenza sarà introdotta dall’architetto Paolo Bolzani. Antonella Ranaldi è nata a Roma il 18 maggio 1960, è architetto, specialista in restauro dei monumenti e dottore in storia dell’architettura. Ha condotto diversi restauri di monumenti a Bologna, Reggio Emilia, Lugo e pubblicato numerosi saggi e alcuni libri, tra questi, Pirro Ligorio e l’interpretazione delle ville antiche
Nella pagina a sinistra: in alto i mosaici della Cappella Arcivescovile e il Battistero Neoniano. In basso, da sinistra Sant’Apollinare in Classe; e Sant’Apollinare Nuovo. Sopra: la Soprintendente Antonella Ranaldi, nella nuova sala delle Erme al Museo Nazionale. A fianco: il Mausoleo di Teodorico,
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(Roma 2001); Il battistero Neoniano. Uno sguardo attraverso il restauro (Ravenna 2011); I chiostri di San Pietro a Reggio Emilia. Restauri, scoperte e rinvenimenti (Ravenna 2012). Alcuni suoi contributi recenti sono disponibili sul sito della Soprintendenza BAP di Ravenna, Pubblicazioni. Ha insegnato dal 2002 al 2009 “Restauro architettonico” presso la Facoltà di Architettura di Cesena, dell’Università degli Studi di Bologna, e continua l’insegnamento presso la Facoltà di Conservazione dei beni culturali, a Ravenna. Dall’agosto 2009 è Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini, con sede a Ravenna, e dal novembre 2012 è anche Soprintendente ad interim del Veneto orientale (province di Venezia, Padova, Treviso e Belluno). All’incontro, seguirà un momento conviviale con le degustazioni offerte dalla Cantina Braschi di Mercato Saraceno.
STATO DELLʼARTE
La serie di conferenze è resa possibile grazie al fondamentale sostegno del gruppo bancario Banca Mediolanum e delle aziende ravennati Tozzi Industries, Ciicai, Edilpiù, Tavar e Nadep-Ovest. Gli appuntamenti proseguiranno giovedì 21 novembre, alle 21, sempre alle Cantine di Palazzo Rava, con l'ultimo degli incontri che vedrà protagonista al studiosa Daniela Moderini (Venezia), per parlare di "Paesaggio urbano".
In alto: uno dei chiostri del complesso monumentale di San Vitale a Ravenna, dove ha sede il Museo Nazionale e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici. Sotto, da sinistra, altri due dei monumenti Unesco ravennati: il Battistero degli Ariani e il Mausoleo di Galla Placidia
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Comune di Ravenna
Il ruolo dell’Architettura contemporanea Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava in collaborazione con la rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019
Pambianco
Coordinatore Emilio Rambelli
Giovedì 31 ottobre 2013
ore 21
Tarroni
Le Cantine di Palazzo Rava - Ravenna - via di Roma 117
Antonella Ranaldi
Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini
“Il restauro dei monumenti paleocristiani e bizantini patrimonio dell’Umanità e l’opera della Soprintendenza”
Lelli
introduce Paolo Bolzani
All’incontro seguirà un momento conviviale con i vini della Cantina Braschi (Mercato Saraceno)
Borghi
Info: Ilaria Siboni - siboni.ilaria@gmail.com - Cell. 338 1584910
Nonni
Ranaldi
Moderini
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Nuovostudio
e la poetica architettonica dell’astrazione e della trasparenza La ricomposizione dell’immagine del costruito e il rigore delle scelte progettuali nei lavori firmati da Emilio Rambelli e Gianluca Bonini di Domenico Mollura
Sesto appuntamento della rassegna Il ruolo dell’Architettura contemporanea, coordinata da Emilio Rambelli con il contributo di questa rivista e del Gruppo Ravimm. Dopo aver affrontato il tema della città nella sua accezione più generale con l’urbanista faentino Ennio Nonni il ciclo di conferenze si cala nuovamente nel progetto di architettura. Ospite della serata l’ingegnere Gianluca Bonini che, insieme allo stesso archietetto. Rambelli, ha fondato nel 1999 Nuovostudio, brillante esempio nel panorama dell’architettura contemporanea locale e nazionale. La conferenza è stata introdotta dall’architetto Paolo Bolzani che unisce nel proprio pantheon dell’architettura ravennate del secondo ‘900 l’ingegnere Epaminonda
STATO DELLʼARTE
Ceccarelli, lo Studio Teprin e Nuovostudio, del quale sintetizza l’operato, ormai più che decennale, con due parole cariche di significati architettonici: “astrazione e trasparenza” con chiari riferimenti che vanno da Mies Van der Rohe e De Stijl, da Carlo Scarpa all’architettura contemporanea iberica. La ricomposizione dell’immagine del costruito e il rigore delle scelte progettuali sono le componenti essenziali del racconto che Bonini fa dell’attività dello studio attraverso una selezione di opere e progetti che vanno dalla residenza, agli spazi museali e all’interior design. Il recupero del costruito procede sempre con attenzione e
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rispetto nei confronti della storia. Il palinsesto edilizio si fa elemento di valorizzazione del progetto contemporaneo e l’impaginato decorativo rimane nella sua traccia generale, lasciando tuttavia al suo passato il carico di decorativismo come nella Casa MR (Ravenna, 1999-2000). Una grande traccia di muro in mattoni (risalente al ‘300), anticamente fronteggiante una strada e divenuto interno all’edificio, si fa elemento di continuità per gli spazi al piano terra aperti sulla corte, mentre sul fronte le cornici si “azzerano” e vengono concettualizzate per un rinnovato prospetto urbano. Il raffronto fotografico tra lo stato di fatto e l’opera conclusa, inserito da Bonini al termine delle sequenze dei progetti di recupero del costruito è emblematico: il “prima” ha il carattere dell’edilizia comune, storicizzata, spesso priva di vitalità per un lungo abbandono o per un perdurante sottoutilizzo causato da spazi scollegati e non modernamente funzionali; il “dopo” manifesta un’evidente rinascita nella quale è possibile riconoscere una precisa forma di ricerca progettuale. Gli edifici prediligono l’introspezione aprendosi su una corte interna attraverso ampie vetrate degli spazi di vita. Il verde e le pavimentazioni diventano tessiture delle superfici esterne orizzontali mentre i fronti, assunti i toni del grigio, vengono semplificati nell’impaginato complessivo con trasparenze e superfici piene disposte in nastri regolari che amplificano l’intima permeabilità degli spazi. Gli interni sono disegnati con la stessa cura (il dettaglio spesso si spinge fino all’arredo e ai quadri, elaborati su disegno dei progettisti), ne sono esempio le case AG (Ravenna, 1999-2000) e BB (Ravenna, 2009-2011). Con il progetto per Residenze in via Mazzini (Ravenna, 2003-2006) lo studio interviene su un lotto stretto tra il Palazzo del Genio Civile e l’edificato compreso tra le vie Mazzini e Baccarini. Due i fronti urbani e due distinti modi di operare. Su via Mazzini si recupera (con la scelta di un tono di colore familiare a Nuovostudio) il fronte ottocentesco, mentre sul lato opposto la presenza di un fronte anonimo da l’avvio per il suo ripensamento (con demolizione e ricostruzione) anche in questo caso con una completa semplificazione del disegno: gli accessi su strada dei garage arretrano rispetto agli edifici limitrofi e vengono unificati con una boiserie (utilizzata anche per le aperture degli spazi di servizio della corte), mentre le finestre del primo livello accorpate in un nastro orizzontale. Quelle dei livelli successivi, pur appartenendo a piani e locali distinti sono accorpate in un’unica cornice muraria che a scuroni chiusi restituiscono l’immagine di un nastro verticale, tutto per applicare anche nel contemporaneo la grande lezione della classicità – spiega Bonini – ovvero portare le ombre sulle facciate. Segue il medesimo principio la Galleria della Fondazione Cardinal Lercaro di Bologna (2000-2003),
Nelle foto, alcune realizzazioni firmate da Nuovostudio: a destra, il complesso di spazi per uffici e commerciale del Palazzo degli Affari, in via Berlinguer a Ravenna. In questa pagina, dall’alto: rendering del progetto di ristrutturazione dell’ex magazzino Sir (Sigarone) nella Darsena di città; Scorci dal cortile delle residenze AG e BB, sempre a Ravenna.
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opera insignita del riconoscimento “Selezione Architettura 2010” dell’Istituto dei Beni Culturali dell’Emila-Romagna. L’intervento è localizzato su un edificio di 6 piani nel centro di Bologna e la necessità di esporre la raccolta di arte contemporanea in spazi moderni ha rivoluzionato l’impianto generale dell’edificio. Infatti i nuovi spazi espositivi sono integrati ad un doppio volume che dal piano strada scende di un livello verso la corte interna. Lo svuotamento della corte centrale – per il quale è stata chiesta e concessa deroga da parte del Comune per la variazione volumetrica – ha dato respiro all’interno e raddoppiato le prospettive che diventano passanti (interno-esterno-interno) grazie alle ampie vetrate che riverberano gli echi delle opere d’arte esposte. Il Palazzo degli Affari (Ravenna, 2003-2005) è un importante esempio di architettura “urbana”, memore dei crescent inglesi, e impostato sul sedime già fondato del Pala Piano lungo il cosiddetto Corso Nord. Si tratta di un grande complesso a destinazione mista caratterizzato da una doppia lettura: sul lato maggiormente urbano (quello della grande strada di collegamento) un portico – quasi palladiano – di ordine gigante, mentre sul lato opposto un fronte più astratto e plasticamente movimentato. L’idea di fondo è stata quella di realizzare un centro commerciale non autoreferenziale (chiuso ed estraneo al contesto e – pertanto – simbolo della standardizzazione), piuttosto “una strada coperta di respiro urbano”. Tra le opere in fase di realizzazione vengono proiettate le immagini dell’ampliamento della sede della Tozzi Industries (in fase di conclusione), mentre tra i progetti di recupero di grande interesse per la riqualificazione di due contenitori importanti della città di Ravenna sono stati presentati il recupero dell’ex cinema Roma come Biblioteca e Archivio Diocesano nel quale si immagina l’architettura intorno ai libri e il restauro del Magazzino Ex Sir che conserva l’anima dell’edificio di archeologia industriale arricchendola con nuovi spazi e aprendone il volume verso gli spazi della futura Darsena.
Altri progetti realizzati da Nuovostudio. Dall’alto: residenze in centro a ravenna ricavate da un complesso di vecchi fabbricati fra via mazzini e via Baccarini. La galleria della collezione Lercaro a Bologna. Uno scorcio di una boutique del lusso che valorizza l’Italian Style, in questo caso delle calzature.
STATO DELLʼARTE
Nuovostudio è impegnata anche nell’ideazione di allestimenti per il retail attraverso il progetto delle boutique Vicini (Milano) e Giuseppe Zanotti Design (Venezia, Milano, Parigi, Londra, Doha, Hong Kong,…) nelle quali le tipologie si aggiornano costantemente con la mutazione di immagine dello stesso stilista; l’interior design è capace di accompagnare con eleganza l’esposizione del prodotto e di manifestare, allo stesso tempo, un certo gusto per il bello tipico dell’Italian Style pur nel rispetto dello specifico contesto e con uno sguardo tutt’altro che mimetico all’architettura internazionale.
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Un Campus universitario nella Darsena di città Uno studio e ipotesi di fattabilità per l’insediamento di nuovi spazi per studenti nel piano di riqualificazione del quartiere urbano sul Candiano di Domenico Mollura
La Darsena di Città rappresenta un nodo fondamentale del futuro, ormai prossimo, di Ravenna e la sua riqualificazione costituisce un tema di altissimo interesse per studi e progetti di recupero che si affiancano agli strumenti urbanistici comunali in via di definizione. A pochi mesi dall'adozione del Poc Tematico da parte del consiglio comunale e ad un anno circa dall'inizio del processo di pianificazione partecipata “La Darsena che Vorrei” (poi concluso nel dicembre del 2012) l'Università di Bologna presenta pubblicamente il proprio contributo alla riqualificazione del grande comparto urbano prossimo al centro storico e attraversato dall'ultimo tratto del Canale Candiano. Si tratta dello studio di fattibilità per un nuovo studentato frutto dell'indagine di Andrea Giuseppone, laureando in Ingegneria dei Sistemi Urbani e vincitore della Borsa messa a bando nell'ambito del Laboratorio di ricerca sulla Città e il Territorio. Lo studio dal titolo "Università e città. Nuovi spazi universitari nella Darsena di Ravenna", presentato lo scorso 11 ottobre presso Casa Matha, è stato promosso dalla Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio e della Facoltà di Ingegneria e Architettura, sedi di Ravenna, con il coinvolgimento del Comune, della Fondazione Flaminia e della'Ente Regionale per il diritto allo studio (Ergo). Lo studio intreccia in un unico filo conduttore i temi dei servizi, della mobilità, della residenza e della riqualificazione con l'obiettivo di colmare una carenza strutturale nell'offerta abitativa del Campus universitario ravennate (13 corsi di laurea suddivisi in 7 sedi, una Scuola Superiore di Studi, tre biblioteche di Polo, tre centri studi sono alcuni dei dati presentati). Alla base dell'indagine di Giu-
PROGETTAZIONE CITTÀ E TEMPO URBANISTICA
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seppone c'è l'elaborazione di alcuni indicatori statistici (incremento percentuale degli immatricolati/variazione dei laureati e degli iscritti) attraverso i quali Ravenna presenta una tendenza positiva sopra la media del polo romagnolo dell'Università di Bologna (ad esempio, nello scorso anno accademico sono stati registrati 2.981 iscritti con un incremento pari a circa l'8%). Il primo livello di dettaglio dello studio ha riguardato la caratterizzazione della popolazione universitaria del Campus ravennate del 2012: il dato fa emergere che solo il 32% degli studenti (fonte MIUR, 2012) è residente in città, mentre il rimanente 68% è suddiviso tra pendolari e fuori sede. Ciò equivale a circa 2000 studenti che risiedono dalla sede del proprio corso a distanze percorribili in un tempo stimato sempre maggiore di 45 minuti. Successivamente l'indagine si è occupata dal numero dei posti letto messi a disposizione dell'Ergo e dalle Fondazioni mostrando un ampio divario (in realtà dell'intera offerta dell'ateneo bolognese) con il numero degli idonei, ovvero degli studenti aventi diritto al posto letto. Solo a Ravenna il numero degli idonei (2011) era pari a 442 unità, mentre i posti messi a disposizione nel compresso sono stati 57, solo il 12,9% del totale. Nel dettaglio i posti messi a disposizione in città (52 per l'anno in corso, suddivisi tra quelli messi a bando e quelli riservati al progetto Erasmus) sono offerti dal servizio abitativo della Fondazione Flaminia. Una volta inquadrata la problematica che, occorre specificare, colpisce anche docenti e ricercatori fuori sede, Giuseppone ha trattato il modello insediativo che una Residenza Universitaria dovrebbe seguire per essere integrata al tessuto urbano che lo ospita. Tre i punti fondamentali del modello proposto: agevole collegamento con le strutture didattiche, adeguamento quantitativo e qualitativo del fabbisogno di posti letto, "insediabile" attraverso diverse tipologie di intervento (nuova costruzione, restauro e ristrutturazione urbanistica ed edilizia). Il tema della residenza universitaria poi non può che intrecciarsi con la mobilità pubblica. Per tale motivo lo studio analizza la dotazione del trasporto urbano in base alla localizzazione territoriale delle diverse sedi didattiche. Il dato più importante, ovvero la frequenza delle corse ridisegna la mappa della città individuando un "asse attrezzato di collegamento veloce" tra la via Trieste, la Stazione ferroviaria e Viale Randi che garantiste un numero di passaggio maggiore di 5 ogni 10 minuti. Ma i piani di recupero come trattano il tema degli spazi universitari? Lo studio ha evidenziato come nel piano MARMARICA (1989) fosse stato ipotizzato un Campus universitario in sinistra Candiano, e nel PUE per il recupero degli ex uffici della Nuova Pansac Spa (1997) fossero stati ipotizzati come aula magna, studentato i corpi laterali e quello centrale archivio, laboratori,
Nelle immagini, diagrammi dello studio di Andrea Giuseppone sulle infrastrutture e i servizi dell’università a Ravenna. A destra, in alto, i numeri dell’ateneo ravennate; in basso, le sedi dei corsi universitari, dei servizi di ospitalità per i fuori sede, e gli snodi dei trasporti. In questa pagina, dall’alto: un progetto del 1997 per insediamenti universitari nella sede industriale della Nuova Pansac in dismissione produttiva in darsena; il Poc della Darsena di città con le indicazioni delle aree tematiche e funzionali
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Altri diagrammi tratti dallo studio di Filippone per un’ipotesi progettuale di nuovi insediamenti universitari in Darsena. In alto, un esempio tipologico di studentato realizzato a Utrecht, con moduli precostruiti. Curiosamente l’effetto finale dell’assemblaggio dell’edifico per ospitalità assomiglia esteriormente alla torre di Cino Zucchi già insedita sul canale Candiano. Qui sopra, alcune ipotesi di collocazione dello “student hub” nel piano di riqualificazione della Darsena.
PROGETTAZIONE URBANISTICA
economato, per una superficie pari a circa cinque mila metri quadri da localizzare in un edificio di archeologia industriale. Infine è stato analizzato il Poc Darsena la cui indagine tra i servizi e le attrezzature di progetto ha evidenziano come l'area in sinistra Candiano, pur sede di un hub culturale, presenti caratteristiche di “dispersione” territoriale, mentre in destra Canale sono evidenti i caratteri della “concentrazione” e della “permeabilità” con il contesto urbano. Pertanto l’area del comparto a sud del vecchio porto canale garantirebbe le migliori condizioni per il sistema insediativo proposto. Il progetto di studentato indica in 143 unità il fabbisogno minimo di posti letto, individuando, tuttavia, un numero di posti letto di progetto pari a 200 (suddivisi percentualmente in base ala destinazione d'uso determinate dalle norme di settore). In via approssimativa e dopo aver indicato alcuni esempi tipologici italiani ed europei, lo studio prevede l'insediamento dello studentato su una superficie di circa seimila metri quadrati (comprensivi di parcheggi privati e superfici accessorie) per un costo pari a circa 10 milioni di euro; il posizionamento potrebbe essere individuato in base alla potenzialità edificatorie di Edilizia residenziale pubblica (per la quale è prevista una quota sia in destra che in sinistra Canale). Le aree recuperabili sono in proprietà sia pubblica che privata; per tale motivo risulta indispensabile il ruolo di mediazione, oltre che di programmazione, del Comune di Ravenna, per un intervento il cui effetto previsto non è limitato all’immediato contesto ma rappresenta un servizio pubblico che travalica i confini della città. Inoltre la proposta si inserisce nel solco della rigenerazione e del riuso delle aree già interessate da processi di urbanizzazione. Tale principio permette di elaborare Soluzioni vantaggiose oltre che rappresentare un’occasione per la valorizzazione e l’innalzamento degli standard qualitativi, frutto dell'insediamento di nuove funzioni e dotazioni di servizi. Lo studio rappresenta la parte iniziale di un lavoro più articolato che si concluderà (presumibilmente entro il prossimo marzo) con l'elaborazione del progetto preliminare architettonico dello studentato da trasmettere al Miur al fine di partecipare al bando di finanziamento a copertura del 50% delle spese di realizzazione dell'opera.
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Agevolazioni statali per l’abitare Dalle ristrutturazioni edilizie, ai mobili e grandi elettrodomestici. Bonus fiscali prorogati fino alle fine del 2014
di Roberta Bezzi Buone notizie per la casa e per le famiglie. Il governo, recependo le richieste del settore, ha infatti stabilito – all’ultimissimo momento – la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle detrazioni fiscali previste in caso di ristrutturazioni edilizie e, in particolare, degli incentivi fiscali per l’acquisto di arredi. Dal 2014 le detrazioni fiscali per ristrutturazioni edilizie dal 50% resteranno al 50%, dopo che si era dato praticamente per certo un ritorno al 36%, e con il 2013 non termina nemmeno la possibilità di accedere ai bonus mobili. Anche per le detrazioni sul risparmio energetico è previsto un rinnovo che manterrà l’ecobonus al 65%. Chi desidera beneficiare nel 2013 della detrazione Irpef del 50% per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, pagandone il relativo costo quest'anno, deve effettuare il bonifico “parlante” per la ristrutturazione del fabbricato entro il 31 dicembre 2013, nonostante la legge di stabilità 2014 preveda la proroga fino alla fine del prossimo anno della maxi-detrazione del 50% sui lavori di ristrutturazione edilizia.
Detrazioni per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici Per usufruire della detrazione Irpef del 50%, i mobili e grandi elettrodomestici da acquistare devono essere di classe non inferiore alla A+ (A per i forni), come rilevabile dall’etichetta energetica, e destinati ad arredare un immobile oggetto di ristrutturazione edilizia. Per ottenere il
CASE E FISCO
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bonus è necessario che la data dell’inizio dei lavori di ristrutturazione preceda quella in cui si acquistano i beni. Non è fondamentale invece che le spese di ristrutturazione siano sostenute prima di quelle per l’arredo dell’immobile. La detrazione spetta per le spese sostenute per l’acquisto di letti, armadi, cassettiere, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, divani, poltrone, credenze, materassi, apparecchi di illuminazione (mentre è escluso l’acquisto di porte, pavimentazioni, tende e tendaggi, altri componenti di arredo). Rientrano nei grandi elettrodomestici, frigoriferi, congelatori, lavatrici asciugatrici, lavastoviglie, stufe elettriche, piastre riscaldanti, forni a microonde, apparecchi elettrici di riscaldamento radiatori elettrici, ventilatori elettrici per il condizionamento. La detrazione per l’acquisto del bene si ottiene indicando le spese sostenute nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Unico per persone fisiche). La detrazione del 50%, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, deve essere calcolata sull’importo massimo di 10 mila euro (totale delle spese sostenute per l’acquisto sia di mobili sia di grandi elettrodomestici). È necessario effettuare i pagamenti con bonifici bancari o postali, carte di credito o carte di debito (non dunque a contanti o assegni bancari). È poi necessario conservare i seguenti documenti: ricevuta del bonifico o dell’avvenuta transazione con carta, documentazione di addebito sul conto corrente, fatture di acquisto dei beni, riportanti la natura, la qualità e quantità dei beni e servizi acquistati.
Incentivi per ristrutturazioni edilizie Per gli interventi di manutenzioni, ristrutturazioni e restauro e risanamento conservativo, l'aumento della detrazione
Irpef dal 36% al 50% (con limite di spesa passato da 48.000 euro a 96.000 euro, per singola unità immobiliare) è stato prorogato fino al 31 dicembre 2014. Nel 2015, invece, si applicherà la percentuale del 40%, sempre con un limite di spesa di 96.000 euro, e dal 2016 si ritornerà alla percentuale a regime del 36%, con un limite di spesa di 48.000 euro. La modifica della percentuale del bonus non varia la spesa agevolata (96.000 euro, fino al 31 dicembre 2015, e 48.000 euro successivamente), ma modifica l'importo detraibile, il quale sarà di 48.000 euro fino a fine 2014, di 38.400 euro nel 2015 e di 17.280 euro dal 2016. Le proroghe della legge di stabilità 2014 non riguardano invece la detrazione Irpef per l'acquisto di abitazioni in fabbricati interamente interessati ad interventi di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia, previsto dal comma 3 dell'articolo 16 bis del Tuir. Dal 2014, quindi, l'importo massimo su cui calcolare la suddetta percentuale (pari al 25% del prezzo di acquisto), ora di 96.000 euro (dal 26 giugno 2012), ritornerà a 48.000 euro e la detrazione si ridurrà dal 50% al 36 per cento. Nonostante sia prevista la proroga fino al 31 dicembre 2014 della detrazione del 50% sulle ristrutturazioni edilizie, la norma, che oggi agevola il bonus del 50% sui mobili e gli elettrodomestici, prevede che sia necessario sostenere delle spese di ristrutturazione agevolate al 50% entro la fine del 2013 (dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2013). Quindi, non è possibile pagare i mobili quest'anno e i lavori di ristrutturazione il prossimo anno, seppur iniziati prima dell'acquisto dell'arredo.
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«Si può, anzi, si deve fare» Per un nuovo paradigma della guarigione dalla malattia mentale
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di Marina Mannucci «I ricercatori biologici come me nel corso dell’ultimo ventennio hanno promosso una visione di un modello molto medico della schizofrenia come malattia cerebrale e hanno ignorato abbastanza l’ambiente sociale. Questo fatto ha avuto la malaugurata conseguenza di sviare l’attenzione dalle condizioni sociali in cui vivono molte persone affette da schizofrenia. A dire il vero, la nostra società è strutturata in maniera molto strana. Ci si aspetta che pazienti molto vulnerabili vivano in situazioni che noi non potremmo tollerare […]. Noi tutti accettiamo che tali condizioni sociali possano causare ricadute nella psicosi, ma sinora non abbiamo riflettuto a sufficienza sull’ipotesi che esse contribuiscano all’esordio della malattia» (Robin Murray, What do we need to treat in schizophrenia?, in «Progress in Neurology and Psychiatry», n. 6, 2002, p. 22). Questo brano evidenzia un primo paradosso in merito alla comprensione e cura delle malattie mentali, del resto già largamente evidenziato, tra gli altri, anche negli scritti di Basaglia, Foucault, Goffman. Altro paradosso contemporaneo è il dominio del Manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders nell’edizione originale statunitense), uno dei sistemi nosografici
più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella clinica che nella ricerca, che opera una crescente patologizzazione del normale attraverso un’estensione invasiva del disturbo mentale in quanto connota come “disturbi” comportamenti che si ritenevano sino ad ora accettati. L’uso stigmatizzante della diagnosi, proprio della psichiatria manicomiale, è andato di pari passo con una medicalizzazione diffusa della vita. I dati sono impressionanti: tra il 1987 e il 2007, nella popolazione degli Stati Uniti, la percentuale dei diagnosticati afflitti da problemi psichiatrici è passata da uno ogni 184 ad uno ogni 76. Un esempio di questa patologizzazione della vita è la depressione. Sino al DSM IV questa diagnosi non poteva essere applicata se un soggetto aveva vissuto esperienze di perdita – per esempio un lutto – che potevano innescare stati di ritiro e di tristezza. Ora non è più così, e la prescrizione dell’antidepressivo non è negata a nessuno. In questo modo le frontiere del mercato degli psicofarmaci e delle polizze assicurative si sono ulteriormente dilatate, evidenziando la prevalenza dell’interesse a commercializzare la malattia mentale.
Nuove conoscenze e culture per la promozione della salute mentale lazionali continuati. Non deve quindi essere riparata la persona; è invece necessario accertare quali effetti quelle storie e forme di interazione disturbata abbiano provocato sulla persona, per guarirla creando nuovi contesti comunicativi e relazionali, passando da una concezione individualisticomeccanicistica della malattia mentale, ad una rappresentazione sistemico-relazionale e sociale-storica. Affinché questi processi di guarigione possano raggiungere risultati sempre più efficaci sarà importante che parole come persona, cittadino, guarigione riprendano il sopravvento su parole che ancora hanno maggior spazio nei media e nel senso comune: follia, malattia, diagnosi, farmaco. Alle persone affette da disturbo/disagio mentale/affettivo deve essere garantita la piena e comune cittadinanza costituzionale e, anzi, la loro particolare vulnerabilità richiede che venga rafforzato il riconoscimento effettivo dei loro bisogni e diritti essenziali (cure efficaci, abitazione, lavoro, integrazione sociale) come la più importante, efficace ed economica via di uscita dalla spirale disturbo mentale - stigmatizzazione-etichettamento - servizi inefficaci e costosi - aggravamento - cronicizzazione - esclusione sociale.
Franco Basaglia sosteneva che la follia è presente in noi come la ragione e la società deve accettarla anziché dare il compito alla Psichiatria di trasformarla in malattia per poi tentare di debellarla. Sappiamo che la neurologia cura le malattie mentali del sistema nervoso, dell’organon, quali l’epilessia, gli effetti di una lesione cerebrale, i danni motori, ecc. La psichiatria si deve prendere carico della prevenzione, della cura e della riabilitazione di pazienti affetti da malattie mentali, ma non è sempre chiaro se queste malattie siano provocate da danni organici o da traumi. Molte sono le scuole di pensiero che nei secoli si sono espresse sull’argomento e la schizofrenia è la malattia che forse meglio ci permette di illustrare questa differenza. La presenza di un danno organico alla base di questa psicosi è stata data, infatti, per scontata finché gli studi di Bateson sul “doppio legame” hanno proposto, invece, un’interpretazione relazionale della schizofrenia per cui sarebbe una comunicazione/relazione disfunzionale a provocare il disturbo. È quindi il logos a produrre il morbo, che evidentemente non può essere curato/guarito col pharmakon; la malattia mentale diventa così una forma d’apprendimento. Affrontare la malattia mentale con questa mappa concettuale fa vivere il paziente in maniera completamente diversa: non c’è un danno da riparare, ma un trauma da guarire; inoltre, il trauma non è sempre legato ad un isolato evento negativo, può essere invece la conseguenza di storie, contesti e modalità comunicative subiti, di disturbi re-
Il ruolo delle Associazioni dei familiari nel cambiamento di indirizzo del DSM di Ravenna
Giardino “Franco Basaglia”, piazza della Magnolia, Ponte Nuovo (Ravenna) Foto di Alberto Giorgio Cassani
Grazie all’aiuto dell’amico sociologo Enzo Morgagni, incontro Chiara Schiffrer, presidente dell’Associazione di Auto Mutuo Aiuto “A.M.A la vita”, Paolo Svegli e Valerio Cellini, rispettivamente presidente e vice-presidente dell’Associazione per la salute mentale “Porte Aperte”. Ci sediamo tutti
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“Porte Aperte” - Associazione per la salute mentale/ONLUS e cinque intorno ad un tavolo e chiedo loro un’esposizione approfondita sulla situazione della Psichiatria in provincia di Ravenna. Fino a cinque-sei anni fa in Provincia di Ravenna era, infatti, ancora dominante la psichiatria tradizionale, medicalizzata. I pazienti/utenti erano circa 5000 (l’1,2% della popolazione provinciale); circa il 33% del budget a disposizione del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) veniva utilizzato per far fronte ai ricoveri: la prassi prevedeva che, a seguito dei sintomi, venissero somministrati farmaci e, all’occorrenza, il ricovero presso il reparto psichiatrico ospedaliero. Le cure cliniche delle persone con problemi di salute mentale si concentravano sul concetto della “limitazione del danno”, piuttosto che su quello di “guarigione” vera e propria. La posizione dei pazienti era quella di beneficiari passivi, benché, per molti di loro, le cure risultassero inefficaci o addirittura peggiori del loro disturbo. Le Associazioni dei familiari avevano denunciato da anni tale situazione, proponendo con forza cambiamenti radicali d’indirizzo che, in effetti, finalmente si ottennero a partire dal 2007, con l’arrivo a Ravenna della dott.ssa Paola Carozza, che introdusse progressivamente nuovi orientamenti e prassi ispirati all’indirizzo “bio-psico-sociale”, centrato sull’accoglienza della persona e sulla promozione della sua qualità di vita; avviando così un indispensabile/progressivo passaggio dei Servizi da pratiche di mantenimento basate su sintomi, farmaci e ricoveri (tra l’altro onerosissime) a pratiche orientate a percorsi olistici di recovery/guarigione. Chiara, Paolo, Valerio ed Enzo si soffermano a lungo, infatti, sul concetto di recovery: riscoprire, recuperare, riacquistare, riguadagnare, riprendere, riavere; tutti termini che indicano momenti di crescita, di autostima, di riabilitazione, di nuova inclusione sociale, di miglioramento della propria qualità di vita: in sintesi, appunto, un percorso di “guarigione”. Come documentava Peppe dell’Acqua (già direttore del DSM di Trieste), con attivi Servizi di Salute Mentale basati sul paradigma biopsico-sociale il 25% delle persone con disagio mentale raggiunge una completa “guarigione clinica”: non sono più presenti
Sopra: Punto informativo e d’ascolto dell’Associazione “PorteAperte” presso il Dipartimento di Salute Mentale, piazza della Magnolia, Ponte Nuovo (Ravenna). Foto di Alberto Giorgio Cassani Sotto: Giardino della sede dell’Associazione “A.M.A. la Vita”, via Caorle, 26, Ravenna. Foto di Alberto Giorgio Cassani
(porteaperte@racine.ra.it, www.porteaperteravenna.it) Nata nel 1995, vi aderiscono familiari di persone con gravi disturbi psichiatrici, in prevalenza genitori, anche se possono aderirvi gli stessi utenti dei Servizi. L’Associazione realizza assemblee mensili nei distretti socio-sanitari di Ravenna, Faenza, Lugo, Cesena e Savignano; svolge attività di volontariato a favore delle famiglie che hanno difficoltà nei rapporti con i Servizi Sanitari, attiva corsi di formazione; organizza incontri e convegni per sensibilizzare l’opinione pubblica, nonché attività di auto-mutuo aiuto. L’Associazione partecipa ai Comitati Utenti e Familiari dei DSM/AUSL di Ravenna e di Cesena; partecipa al Coordinamento regionale ed al Forum per la Salute Mentale nazionale. Collabora allo sviluppo delle linee di cambiamento proposte dai dirigenti del DSM (Dipartimento Salute Mentale) e allo sviluppo dell’integrazione dei servizi sanitari e sociali previsti dai vari Piani Sociali e Sanitari.
“A.M.A. la Vita” - Associazione di Auto Mutuo Aiuto (amalavita@racine.ra.it, www.perglialtri.it/amalavita) Opera da dieci anni a Ravenna nell’ambito della salute mentale. I fondatori sono familiari di persone con disagio mentale. Si parte dal presupposto che i familiari possono essere una risorsa a disposizione di tutti, perché lavorare per gli altri è il modo migliore per aiutare se stessi e i propri cari sofferenti. L’associazione è aperta anche a cittadini volontari, operatori, ex operatori, utenti. Organizza attività di socializzazione e di benessere che consiste in accoglienza, incontri conviviali, gite-viaggi, scampagnate, ginnastica, laboratori vari. Tra questi, l’intervento formativo/esperienziale d’attivazione psicosociale attraverso lo sport della vela (progetto “Uomo a-mare”), esercizio che cerca di sviluppare le aree più elevate dei bisogni quali l’autostima e l’autorealizzazione. Le attività svolte in barca, infatti, sono un acceleratore sociale, un moltiplicatore delle dinamiche cooperative di gruppo che sviluppano abilità cognitive quali la percezione, l’attenzione, la concentrazione e la memoria, il riconoscimento delle proprie emozioni e il loro controllo.
“Armonia 2000” - Associazione di volontariato (beppe_donna@libero.it) Nata nel 2000 da una evoluzione di un gruppo di auto-mutuo-aiuto, si occupa dell’aiuto nei confronti del disagio psicologico e della promozione del benessere psico-fisico-sociale; in particolare, in collegamento con “Porte Aperte”, di depressione, producendo, su questi temi, incontri e pubblicazioni.
“AtestaAlta” - Associazione di Utenti per la salute mentale (atestaalta.salutementale@virgilio.it) Promuove il protagonismo, i diritti primari e la lotta al pregiudizio, allo stigma, all’emarginazione delle persone con disagio mentale. Organizza incontri, eventi, azioni di miglioramento dei Servizi, perché, come si legge nello statuto, «Nessuno può farlo meglio di noi… siamo sicuri che saremo importanti, saremo ascoltati e saremo tanti, grazie a tutti coloro che nel tempo si saranno uniti al nostro gruppo, perché avranno creduto in noi, ma anche e soprattutto in se stessi. Siamo uomini degni di stare fra gli uomini, con dignità e fierezza. A testa alta, appunto».
Associazione “Felicità Sostenibile” (www.felicitasostenibile.org, fla.cap50@gmail.com) Nata nel 2012, è un’associazione aperta a tutti. Parte dalla salute mentale per arrivare oltre, per proporre un modello di felicità sostenibile ecologicamente, economicamente, socialmente; un benessere non generato e vissuto a discapito di altri, una felicità che non consumi risorse, ma che ne sia generatrice. Uno dei cardini di questo progetto è la bellezza, perché ispira le persone a dare il loro meglio, ad evolvere verso la loro parte migliore. L’Associazione promuove una cultura basata sul rispetto per la diversità, il fare insieme, l’amore per l’ambiente e la tradizione, ma utilizza anche le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Svolge le sue attività coinvolgendo e adoperando le varie competenze dei suoi soci volontari. Oltre la cura e la gestione di un parco e di una casetta, ha attivato la “Bottega dei mestieri felici” (costruzione di mobili e complementi d’arredo con materiali di recupero), il “Computer felice e sostenibile” (azioni di recupero di vecchi pc con software più “leggeri” e formazione all’informatica), l’“Orto felice” (messo a disposizione da un associato).
Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (DSM-DP) - Ravenna (www.ausl.ra.it, ra.spdc@ausl.ra.it) Il Dipartimento è preposto alla tutela pubblica della salute mentale ed al recupero di persone con disagio da dipendenze per tutta la provincia. Ad esso afferiscono: Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza (NPIA), Dipendenze Patologiche (DP), Centro Salute Mentale (CSM), Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (SPDC), Riabilitazione. Le persone adulte con disagio mentale si rivolgono alle seguenti Unità Operative (UO): CSM, Riabilitazione e SPDC. Quest’ultimo servizio serve tutto il territorio provinciale, ha sede a Ravenna e accoglie, come UO di Emergenza-Urgenza, le persone in condizioni di crisi acuta e le ricovera per un breve periodo. L’UO Complessa CSM è presente nei tre distretti socio-sanitari di Ravenna, Faenza e Lugo, è aperta per dodici ore al giorno (giorni feriali), sviluppa funzioni prevalentemente ambulatoriali e, in alcuni casi, anche percorsi riabilitativi, grazie anche ad un Centro Crisi recentemente nato a Ravenna. L’UO Riabilitazione svolge la propria attività in tutta la provincia a partire dai quattro centri diurni o semiresidenziali, dalle tre residenze psichiatriche e dagli otto appartamenti supportati.
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Gruppo a bordo della “Tuttabirra”, barca a vela del progetto “Uomo a-mare”.
sintomi d’alcun genere e non necessitano ulteriori terapie. Circa il 50% raggiunge risultati positivi: all’interno di questa percentuale persistono alcuni sintomi che necessitano ancora di un supporto terapeutico, ma la persona recupera le proprie capacità e mantiene un ruolo familiare e sociale soddisfacente (guarigione “sociale”). Circa il 25%, invece, fatica a migliorare e si parla allora di “resistenza al trattamento”. In conclusione, dunque, il 75% di questi pazienti conquista un risultato positivo (cfr. Peppe Dell’Acqua, Fuori come va?
Famiglie e persone con schizofrenia. Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi, Roma, Editori Riuniti, 2003, pp. 129-130). In provincia di Ravenna questo positivo cambiamento sta procedendo – pur tra fortissimi vincoli finanziari e di personale – e vede le Associazioni di familiari e utenti costantemente impegnate in attività di sostegno e di monitoraggio critico-propositivo. Ultimamente poi si sono fatte promotrici di un’importante e avanzata sperimentazione.
Ron Coleman, ex paziente ed ora grande esperto di guarigione mentale, in Romagna Dal 2012, alcune famiglie associate a “Porte Aperte” si sono progressivamente interessate e documentate nei confronti del metodo di lavoro di Ron Coleman (formatore della salute mentale e consulente specializzato in guarigione e psicosi, coordinatore nazionale della Rete di Uditori di Voci nel Regno Unito), promuovendo, finanziando direttamente e avviando con lui e il suo staff (con l’attivo sostegno di tutta l’Associazione e in accordo col DSM ravennate) una impegnativa sperimentazione, presso una fattoria agricola del faentino: il progetto pilota “Recovery House”. Si è trattato di un primo programma residenziale della durata di tre mesi (per ora unico nel panorama internazionale, per le sue caratteristiche metodologiche e temporali/quantitative), finalizzato a sperimentare nuovi metodi e opportunità di
CITTÀ E SOCIETÀ
progressiva guarigione attraverso pratiche che consentono alle persone di essere ascoltate e di comunicare in profondità; di negoziare la propria cura, di costruire contesti di crescita, di abitare identità differenti, di non perdere e di rafforzare il proprio potere contrattuale. Un percorso aperto, che prevede la partecipazione attiva di famiglie e volontari nel percorso, ognuno col proprio vissuto e le proprie esperienze, le proprie sofferenze e resistenze, ma anche con le proprie speranze, risorse, competenze, creatività. L’Associazione ha voluto anche garantirsi e finanziare un’adeguata valutazione degli esiti, per cui una ricercatrice-collaboratrice del CNR sta monitorando il percorso e gli esiti di questa nuova esperienza romagnola attraverso una qualificata ricerca valutativa.
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Dieci anni senza “Manolo” *
Manuel Vázquez Montalbán e le maschere delle città di Alberto Giorgio Cassani «Buon pro le faccia». Così, in quello che è rimasto l’ultimo romanzo della serie Carvalho, Millennio 2. Pepe Carvalho, l’addio,1 il detective privato più conosciuto di Spagna si era congedato dal mondo e dal suo pubblico, destinazione il carcere La Modelo di Barcellona. Con lui, ci aveva salutato anche il suo creatore, lo scrittore Manuel Vázquez Montalbán, per gli amici “Manolo”. Perché il 18 ottobre 2003 un infarto l’aveva stroncato in un “nonluogo”, l’aeroporto di Bangkok; una morte sul lavoro, in uno dei tanti, forse troppo faticosi, per lui che soffriva di cuore, tour de force internazionali per reclamizzare il suo ultimo romanzo. Ironia della sorte, e davvero morte letteraria la sua, visto che la sua scomparsa è avvenuta nella città in cui lo scrittore aveva ambientato uno dei suoi primi romanzi della serie Carvalho, Gli uccelli di Bangkok.2 Una di queste tappe pubblicitarie l’aveva portato, nel novembre del 2000, anche nella nostra città, in una serata in cui il ridotto del teatro Alighieri si era riempito all’inverosimile del pubblico dei suoi tanti ammiratori. Qualche ora prima, a las cinco de la tarde, al Museo dell’Arredo di Russi, per la regia di Gianfranco Tondini e col supporto tecnico di Alessandro Vicari, chi scrive aveva reso un omaggio alla Barcellona di Pepe Carvalho, impersonando quest’ultimo in un breve monologo dal titolo Il centravanti è stato assassinato questa sera.3 Poi la serata a Teatro, come detto, dove, sempre chi scrive, aveva presentato “Manolo” e il suo ultimo libro della serie Carvalho, L’uomo della mia vita, al pubblico ravennate.4 Lo scrittore aveva cenato al Gallo e, il giorno dopo, aveva firmato i suoi libri alla Feltrinelli. Di quei due giorni rimangono le fotografie del fotografo Fabrizio Zani. Con la scomparsa
Manuel Vázquez Montalbán trasciende las vísceras del tiempo. Foto di Jordi Play.
di Vázquez Montalbán, la Spagna e non solo essa, ha perso una delle voci critiche più profonde, intelligenti ed ironiche che abbia mai avuto. Perché “Manolo” non è stato solamente un grande scrittore “di genere”, ma un grande scrittore tout court, come dimostrano i tanti libri e saggi da lui pubblicati al di là della serie Carvalho. Basta leggersi Il pianista (El pianista, 1985, trad. it. di Hado Lyria, Palermo, Sellerio, 1990), o Io, Franco (Autobiografía del general Franco, 1992, trad. it. di H. Lyria, Milano, Frassinelli, 1993), per capire la sua qualità letteraria, la sua ricerca lessicale, il suo impegno intellettuale. Lunghissima la serie dei riconoscimenti, se i premi, come in questo caso, servono a confermare la grandezza di un autore: Premio Vizcaya de Poesía del Ateneo de Bilbao (1969), Premio Planeta (1979), Premio Boccaccio (1988), Premio Ciudad de Barcelona (1988), Premio Recalmare Leonardo SciasciaCittà di Grotte (1989), Premio Nacional de Narrativa (1991), Premio Europa (1992), Premio Flaiano (1994), Premio Nacional de la Crítica (1995), Premio Fregene, Premio Nacional de las Letras Españolas (1995), Premio Città di Scanno (1997), Premio Grinzane Cavour (2000). In suo onore, dal 2006, è stato creato il Premio Carvalho, dedicato alla produzione letteraria di genere poliziesco. A lui, la sua città natale, Barcellona, il 3 febbraio 2009, ha intitolato una piazza, tra la calle de Sant Rafael e la Rambla del Raval, vicino al luogo di nascita dello scrittore e all’amatissimo ristorante Casa Leopoldo. Di uno scrittore, quando non c’è più, rimangono i ricordi di chi l’ha amato e conosciuto, ma, soprattutto, restano le opere. E queste vanno lette, rilette e studiate. Per ciò è nata l’Asociación de Estudios Manuel Vázquez Montalbán, di cui fanno parte sette studiosi, sei spagnoli e un francese, dedicata allo studio e alla diffusione della sua opera. L’Associazione ha creato un sito web (http://asociacionvazquezmontalban.blogspot.it), che, tra le altre cose, contiene notizie, video, libri e articoli
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In alto: Manuel Vázquez Montalbán, Carvalho: “Huidas, volumen cuatro: Tatuaje, La soledad del manager, Los mares del Sur, El balneario”, Barcelona, Éditorial Planeta, 2013. In basso: Alberto Giorgio Cassani: “Barcellona: Sulle tracce perdute di Pepe Carvalho”, Milano, Edizioni Unicopli, 2011.
CITTÀ E TEMPO LETTERATURA E CITTÀ
apparsi dal 2010 e convegni. Tra questi, l’Associazione ha organizzato, dal 2 a 4 febbraio del 2012 un primo Congresso Internazionale dal titolo: “Manuel Vázquez Montalbán: Nuevas perspectivas críticas”, svoltosi all’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona; un secondo, Extraordinario, in occasione dei dieci anni dalla scomparsa, si è appena tenuto dal 17 al 19 ottobre, sempre presso l’Università barcellonese. Parte delle relazioni saranno pubblicate sulla rivista elettronica dell’Associazione «MVM: Cuadernos de Estudios Manuel Vázquez Montalbán». “Manolo”, per tutta la sua vita, ha ragionato sul tema della Memoria. La città è il luogo che può conservarla o cancellarla. A Barcellona, protagonista di tutta la serie Carvalho, come in ogni grande città, entrano in gioco quattro città: quella della «Memoria», del «Deseo», della «Geometría» e della «Compasión».5 Queste quattro città, in realtà, a ben guardare, sono soltanto “due”: la città della «Memoria/Compasión» e quella del «Deseo/Geometría». La prima è la città degli Storici e degli Scrittori che, come l’Angelo della Storia di Walter Benjamin, ha il volto rivolto all’indietro nel tentativo di ricomporre le macerie causate da quella bufera che si chiama Progresso e che soffia dal Paradiso; la seconda è la città degli Architetti, del Progetto e dell’Utopia, che guarda, invece, solo al Futuro. Quest’ultima tende a cancellare la prima. Occorre perciò fare opera di “resistenza”, tentando di salvare le tracce delle tante archeologie urbane. Vázquez Montalbán ce l’ha insegnato: la “ricchezza” di una città sono i suoi strati archeologici. Per questo Roma è una delle città più belle al mondo. Per la città non vale lo slogan del grande architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe: «Less is More». Per la città, il più è più. Occorre però sgombrare il discorso da un possibile equivoco. È inevitabile che non si possa conservare tutto: senza oblio non ci sarebbe la possibilità di agire, di creare nulla. Si resterebbe paralizzati. Lo ha scritto, una volta per tutte, Nietzsche nella seconda delle Considerazioni inattuali: Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Il problema, però, per Vázquez Montalbán, è che i vincitori non cancellino, per sempre e del tutto, le tracce dei vinti. Questo è il punto centrale. Perché questa sarebbe la seconda e definitiva morte. Si muore una volta, quando si cessa di respirare; e si muore definitivamente quando nessuno si ricorda più di noi. Ecco perché “Manolo” fa dire a Pepe Carvalho: «Quando muoio scomparirà la memoria di quei tempi e di quella gente che facendomi nascere mi hanno messo nella platea della loro rappresentazione»;6 e ad un altro personaggio mette in bocca questa riflessione: «Ogni morto si porta via una parte della nostra immagine».7 Purtroppo, la stragrande maggioranza di ciò che vediamo di una città sono le “maschere” dei vincitori di turno. Gli antichi romani adoperavano due parole assai incisive: damnatio memoriæ, la cancellazione completa di tutte le testimonianze di una vita vissuta. Il malcapitato non era nemmeno esistito. Vázquez Montalbán, al contrario, ci ricorda continuamente il dovere di ricordare. E lo fa utilizzando un mezzo indiretto, apparentemente inadeguato: un detective privato, ex comunista, in seguito killer di Kennedy al servizio della CIA, rientrato in Spagna, a Barcellona, per sbarcare il lunario come “annusapatte”. Com’è possibile? In realtà, Pepe Carvalho è il flâneur dei nostri tempi, che si muove nella città come in un paesaggio della memoria, registrando i mutamenti subìti dai luoghi della sua infanzia. Come scrive, infatti, Walter Benjamin (citato da “Manolo” ne L’uomo della mia vita):8 «Se una persona scrive un libro sulla propria città, esso avrà sempre una certa affinità con le memorie; non per nulla l’autore ha trascorso la sua infanzia nel luogo descritto».9 E il romanzo giallo diviene, per
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Vázquez Montalbán, un «mezzo di conoscenza sociale o psicologica»,10 anche della storia architettonico-urbanistica della città. Seguendo le tracce delle vittime e dei carnefici, Pepe Carvalho incontra le diverse archeologie di Barcellona e scopre, assieme al suo autore, che il rischio serio che corre la sua città è che gli archeologici del futuro si troveranno di fronte solo a tre grandi ere «geologico-architettoniche»: «Gotico, modernismo e kolossalismo post-moderno».11 Inoltre, sembra ormai che l’anno zero, ante e post, sia diventato il 1992, l’anno delle Olimpiadi, tanto da poter suddividere la storia di Barcellona in tre grandi epoche: Pre-Olimpica, Olimpica e Post-Olimpica. I “vincitori” hanno selezionato le diverse archeologie di Barcellona, rimuovendone quasi completamente alcune (le archeologie che “Manolo” chiama «maledette») e valorizzandone, a volte addirittura “inventandone”, altre. Dal Montjuïc, come vuole la leggenda, Ercole aveva ammirato la bellezza del sito naturale, adatto perfettamente alla fondazione di una città; sul Montjuïc si mostrano, in tutto il loro conflitto, vita e morte, Memoria e Deseo, Geometría e Compasión. Sul Montjuïc, infatti, sono stati realizzati i nuovi templi dello sport per le Olimpiadi: il nuovo stadio, che ha sventrato quello vecchio lasciandogli soltanto la pelle, il Palazzetto dello sport di Arata Isozaki e la fiaccola olimpica di Santiago Calatrava. Al contempo, sul versante verso il mare, il Montjuïc mostra il luogo della Morte, il Cimitero nuovo e il luogo che dava morte, il Castello del Montjuïc, da dove, in occasione delle rivolte popolari, si sparava sulla città, presa tra due fuochi grazie al parallelo cannoneggiamento dal versante della Ciutadella. Ancora una volta la città, le città, devono decidere se mettersi o togliersi la maschera, se nascondere o rimandare la verità elementare della vita e della morte, se cercare di mitigare l’angoscia nomade inscritta nei cromosomi dell’uomo con l’ordine della sua geometria, contaminando il passato con l’avvenire, ben sapendo che, prima o poi, «toda ciudad es o será arqueología».12 L’altro insegnamento che ci ha lasciato Vázquez Montalbán è il pericolo che tutte le città diventino uguali, dopo un processo di “pastorizzazione” che le renda asettiche, ripulite di tutti i batteri nocivi al turismo culturale; cosa che è avvenuto a Barcellona dopo le Olimpiadi, riducendola ad una città «bella ma senz’anima».13 L’Hotel W Barcelona, dai più chiamato Hotel “Vela”, di Ricardo Bofill, su cui “Manolo” avrebbe certamente puntato la sua penna tagliente se l’avesse potuto vedere, ha definitivamente fatto diventare Barcellona l’alter ego mediterranea di Dubai, la nuova città-icona del XXI secolo: una Nueva Dubai, una città senza “inguini”, senza radici, un «campionario architettonico di valore universale»,14 prendendo a prestito una frase di Vázquez Montalbán su Barcellona. Ciò che rischiano di diventare, sotto l’“effetto Bilbao”, tutte le grandi città contemporanee: un campionario di firme di archistar©, che ormai hanno preso il posto dei grandi stilisti della moda. Le città finiranno su «Vogue». Dopo aver compiuto un viaggio intorno al mondo – che sembra l’ultimo desiderio di vedere cosa accade fuori della sua tana, dal suo guscio protettivo di Vallvidrera, dove Pepe Carvalho e anche “Manolo” abitavano – il detective, inseguito dalle polizie di tutto il mondo per l’omicidio dell’odioso sociologo Jordi Anfrúns, torna a Barcellona. Barcellona, malgrado lei, diventa per Pepe Carvalho la città «da cui non si voglia far ritorno».15 Nel carcere La Modelo di Barcellona Carvalho era stato rinchiuso da giovane. E al carcere La Modelo ritorna, questa volta per sempre.16 Carvalho non riconosce più la sua città: e dunque tanto vale restarsene chiuso dentro una cella, da cui addirittura rimpiange di «esserne uscito».17 Vázquez Montalbán, da parte sua, stava per tornare a Barcellona, ma la morte l’ha colto distante
In alto: Michael Eaude: “Con el muerto a cuestas: Vázquez Montalbán y Barcelona”, Barcelona, Editorial Alrevés, 2012. . In basso: Congresso Internazionale dal titolo “Manuel Vázquez Montalbán: Nuevas perspectivas críticas”, svoltosi all’Universitat Pompeu Fabra di Barcelona. La foto è di Maria Espeus (1997).
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A sinistra: Veduta di Barcellona col nuovo Hotel W Barcellona, detto Hotel “Vela”, dell’architetto barcellonese Ricardo Bofill. A destra: Una delle due soglie, ormai rimosse, della casa sulla Rambla Santa Monica. Foto di Alberto Giorgio Cassani
da essa. Chissà se per lui Barcellona era qual luogo “da cui non voler far ritorno”. A noi non resta che rendergli omaggio, un omaggio alla sua memoria (persino un vignettista satirico come Vauro, in Italia, gli ha reso un bellissimo ricordo). Forse il migliore atto di riverenza che gli si possa fare è quello di ricordare i luoghi di Barcellona che nessuno ricorda più. Come ha fatto lo storico dell’arte Juan José Lahuerta che, in un libro di qualche anno fa, ha riportato alla me-
* Subito dopo aver pensato questo titolo, ho ricevuto dall’amico Antonio Pizza, docente di Storia dell’arte e dell’architettura all’Escuela Técnica Superior de Arquitectura di Barcellona, un articolo di Josep Ramoneda, pubblicato su «El País semanal», n. 1932, del 6 ottobre 2013, dal titolo: Diez años sin Manolo: Reatrato impresionista de un amigo. Evidentemente il vuoto lasciato dallo scrittore barcellonese, col passare del tempo, è l’elemento che più colpisce. 1. Ed. originale Milenio. Carvalho II. En las antípodas, Barcelona, Editorial Planeta, 2004, trad. it. di Hado Lyria, Millennio: 2. Pepe Carvalho, l’addio, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 310. 2. Los pájaros de Bangkok, 1983, trad. it. di Sandro Ossola, Gli uccelli di Bangkok, Milano, Feltrinelli, 1990. 3. Parodiando il titolo di un famoso romanzo della serie Carvalho El delantero centro fue asesinado al atardecer, 1988, trad. it. di H. Lyria, Il centravanti è stato assassinato verso sera, Milano, Feltrinelli, 1991. 4. Da pochi mesi era uscito, a firma di chi scrive, un piccolo volume dal titolo Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho, Milano, Edizioni Unicopli, cui, con grande generosità, Manuel Vázquez Montalbán aveva accettato di aggiungere una Presentazione. Il volume è stato ripubblicato nel 2011, in una nuova edizione ampliata, col titolo: Barcellona: Sulle tracce perdute di Pepe Carvalho. Segnalo anche il recente libro di Michael Eaude, Con el muerto a cuestas: Vázquez Montalbán y Barcelona, Barcelona, Editorial Alrevés, 2012. Un bel sito web, curato dall’amico Carlo Andreoli, anche se non più aggiornato
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moria due semplici soglie di una vecchia casa della Rambla di Santa Monica, oggi rimosse.18 Due pietre consumate dall’uso con due strani buchi, provocati, nel corso degli anni, dal continuo battere dei tacchi a spillo delle scarpe delle prostitute. A “Manolo”, sono sicuro, sarebbe piaciuto molto questo ricordo. «¿La arquitectura transformará las agonías?»,19 si era chiesto Vázquez Montalbán in Ciudad. No, se non imparerà anche a ricordare.
dopo il 2004, è: www.vespito.net/mvm.
Milano, Leonardo, 1992 p. 12.
5. Ne parla nel bellissimo poema Ciudad, 1997, trad. it. di H. Lyria, Città/Ciudad, Milano, Frassinelli, 1997 e nel romanzo El estrangulador, 1994, trad. it. di H. Lyria, Lo strangolatore, Milano, Frassinelli, 1995.
12. Città/Ciudad, cit., p. 48.
6. La soledad del manager, 1977, trad. it. di H. Lyria, La solitudine del manager, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 104.
15. Città/Ciudad, cit., p. 9.
13. L’uomo della mia vita, cit., p. 19. 14. Il centravanti è stato assassinato verso sera..., cit., p. 50.
9. Walter Benjamin, Die Wiederkehr des Flaneurs, in «Die Literarische Welt», V, 4 oktober 1929, n. 40, pp. 5 sgg. (poi in Id., Gesammelte Schriften, Band. III: Kritiken und Rezensionen, unter Mitwirkung von Theodor W. Adorno und Gershom Scholem, herausgegeben von Rolf Tiedemann und Hermann Schweppenhauser, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1980), trad. it. Il ritorno del flâneur, in Id., Scritti 1928-1929, A cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhäuser, Edizione italiana a cura di Enrico Ganni, Torino, Giulio Einaudi editore, 2010, pp. 379-383: 379.
16. Ma una possibilità di uscirne c’è sempre, almeno sul piano letterario. Nel libro di Gabriella Genisi, Uva noir, Milano, Sonzogno, 2012, pp. 103-109, infatti, mediante un “crossover” letterario, l’autrice fa incontrare il commissario Lolita “Lolì” Lobosco e Pepe Carvalho. Carvalho conosce Lolita da tempo. Va a trovarla a Bari, a casa sua e l’aspetta sui gradini leggendo una copia di Cronache di poveri amanti. Lei cucina per lui, cenano e chiacchierano sul terrazzo; lui è un po’ malinconico. Infine si salutano: lui le regala un libro da bruciare e poi prende un treno che lo riporterà a casa. Uno degli eserghi del libro è una celebre frase di Manuel Vázquez Montalbán: «Nessun essere umano indifferente al cibo è degno di fiducia», tratta da Tatuaje, Barcelona, Batlló, 1974, trad. it. di H. Lyria, Tatuaggio, Milano, Feltrinelli, 1991, p. 115. Ringrazio Nevio Galeati e Gabriella Genisi, rispettivamente per avermi segnalato il volume e per il riassunto dell’incontro “impossibile”, non avendo potuto, chi scrive, consultare il libro.
10. El premio, 1996, trad. it. di H. Lyria, Il premio, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 103.
17. Millennio: 2. Pepe Carvalho, l’addio, cit., p. 310.
11. Andrea Ambri, Paolo Pagani, Incontro con Manuel Vázquez Montalbán, in Barcelonas, 1987, trad. it. di H. Lyria, Barcelonas, prefazione di Andrea Ambri e Paolo Pagani,
18. Juan José Lahuerta, Destrucción de Barcelona, Barcelona, Mudito & Co, 2005.
7. Asesinato en el Comité Central, 1981, trad. it. di Lucrezia Panunzio Cipriani, Assassinio al Comitato Centrale, Palermo, Sellerio, 1984, 19969, p. 127. 8. El hombre de mi vida, 2000, trad. it. di H. Lyria, L’uomo della mia vita, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 194.
19. Città/Ciudad, cit., pp. 20 e 68.
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Adriano Olivetti e la sua attualissima lezione
Il 28 e il 29 ottobre è andato in onda su Raiuno il film "Olivetti la forza di un sogno". Il film ripercorre la vita di Adriano Olivetti, il famoso industriale considerato da molti lo Steve Jobs italiano. L’occasione per riflettere sulla situazione del nostro paese e della nostre imprese attraverso le lenti del pensiero e dell’azione del grande imprenditore ed “utopista”. Per riprendere la strada dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile, bisogna di nuovo mettere gli interessi ed i desideri delle persone al centro dell’azione di impresa e società. Per Adriano Olivetti qualità e soddisfazione dei collaboratori era un elemento decisivo per il successo delle imprese. L’azione di Olivetti esprimeva con molti anni di anticipo il concetto dell’impresa che si prende cura dell’ambiente e della società in cui opera; impresa in cui il profitto doveva essere un mezzo e non il fine. Rendere oggi vivo il pensiero di Olivetti significa di certo puntare sullo sviluppo sostenibile. Del resto i risultati causati dallo spreco di risorse ambientali, culturali, sociali e finanziarie che abbiamo compiuto in questi anni nel nostro paese, ci indicano chiaramente la strada che ora dobbiamo intraprendere. Già durante i miei studi di architettura rimasi profondamente colpito dalla personalità di Adriano Olivetti e nonostante siano passati, da quegli studi, oltre 25 anni, rimango oggi ancora più stupito dall’attualità e dal-
ABITARE LʼHABITAT
la forza del suo pensiero, soprattutto considerando che ora gli anni trascorsi da che furono pronunciate queste parole sono abbondantemente oltre 50. Così Olivetti si porgeva alle maestranze: “Nello sconsolato mondo moderno, insidiato dal disordinato contrasto di massicci e spesso accecati interessi, corrotto dalla disumana volontà e vanità del potere, dal dominio dell’uomo sull’uomo minacciato di perdere il senso e la luce dei valori dello spirito, il posto dei lavoratori è uno, segnato in modo inequivocabile. Noi crediamo che, sul piano sociale e politico, spetti a voi un compito insostituibile, e di fondamentale importanza. Le classi lavoratrici, più che ogni altro ceto sociale, sono i rappresentanti autentici di un insopprimibile valore, la giustizia, e incarnano questo sentimento con slancio talora drammatico e sempre generoso; d’altro lato gli uomini di cultura, gli esperti di ogni attività scientifica e tecnica esprimono attraverso la loro tenace ricerca valori ugualmente universali, nell’ordine della verità e della scienza. Siete voi lavoratori delle fabbriche e dei campi ed ingegneri ed architetti che, dando vita al mondo moderno, al mondo del lavoro dell’uomo e della sua città plasmate nella viva realtà gli ideali che ognuno porta nel cuore: armonia, ordine, bellezza, pace”. (Estratto da “Discorso di Adriano Olivetti alle maestranze della società” Ivrea, 24 dicembre 1955). La grande forza di Olivetti è stata quella di aver saputo trattare, in anticipo di mezzo secolo, questi temi, e di infonderli nell’azienda. Per Olivetti «la merce bella si vende meglio» perciò era necessario curarne anche la forma con la stessa dedizione riservata alla tecnica. Per lui l’etica è un valore aggiunto al prodotto stesso e non un costo. Olivetti non pensava soltanto ad abbellire le macchine e all’architettura degli stabilimenti, ma anche all’arredamento degli uffici, la pubblicità e ad ogni altra manifestazione che portando il segno dell’azienda doveva caratterizzarsi. Olivetti voleva che la natura accompagnasse la vita della fabbrica e per questo in tutte le costruzioni ci furono finestre basse, cortili aperti, alberi, creando così la fabbrica a misura d’uomo, di modo che l’operaio trovasse nel posto di lavoro uno strumento di riscatto e benessere non quindi un congegno di soffe-
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renza. Oggi la realtà è profondamente cambiata, si sono accentuate disuguaglianza e povertà, tra i Paesi e all’interno degli stessi Paesi, quindi quell’esperienza è quanto mai attuale. Ci si riempie spesso la bocca con la parola “sostenibilità”, viviamo un momento di decrescita (purtroppo infelice) in cui possiamo costruire un nuovo modello di sostenibilità da condividere con i cittadini. Non vogliamo tornare al passato. Vogliamo “solo” utilizzare meglio le nostre risorse e sfruttarne tutte le potenzialità. Dobbiamo smetterla di comportarci come se fossimo “omini verdi”! L’unica strada percorribile è entrare nel merito delle questioni. Siamo il colore giusto! Non è importante aver ragione prima o dopo. Prima non ti ascolta nessuno, dopo è troppo tardi. Bisogna aver ragione durante e questo è il momento giusto. Si usano spesso termini sintomatici di come le persone vivono, percepiscono e intendono la sostenibilità: “tutele ambientali e tutele sociali”. Non dobbiamo tutelare ma creare valore, ambientale e sociale, oltre che economico. Le aziende non devono essere valutate solo dal punto di vista del fatturato e degli utili, ma anche dal valore ambientale e sociale che producono. Quando le banche riusciranno a cogliere anche questi elementi oltre alla solvibilità, e a considerarli come un plus, sarà più facile finanziare questo tipo di attività. La Responsabilità Sociale d’Impresa serve proprio a creare aziende che non producano solo reddito a scapito di sicurezza sul lavoro, ambiente, salute, ma anche valori aggiunti. Sembreremmo avere bisogno più che mai della visione di Olivetti, ispirata da una profonda nozione di uguaglianza fra le persone, ma per essere tradotta in pratica richiederebbe strumenti differenti. L’Impresa dell’ing. Adriano rappresentava già allora quello che oggi si chiede alle imprese di essere: fabbriche lucenti, buone condizioni di lavoro, equi salari, innumerevoli attività culturali e socio assistenziali, iniziative a favore dello sviluppo locale nella prospettiva di uno sviluppo globale, ma umano, solidale e sostenibile insomma in poche parole si chiede “Responsabilità Sociale d’Impresa”. Un fattore strategico e imprescindibile per raggiungere il benessere che intendiamo.
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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
Se le compravendite sono stazionarie, cresce il mercato delle locazioni. Ma anche la domanda di comfort e convenienza degli affitti. Ce ne parla Pierluigi Fabbri, presidente di Fimaa Ravenna. I segnali favorevoli non mancano. Qua e là qualcosa si muove, nel mercato immobiliare. E come diceva Martin Nadau a fine Ottocento, «Quando l’edilizia va, va tutto». A fronte di un mercato della compravendita stazionario, quello degli affitti si sta rivelando particolarmente veloce e dinamico in questi ultimi mesi. «L’universo delle locazioni è ormai consolidato – conferma Pierluigi Fabbri, presidente di Fimaa Ravenna – . Molti di coloro che non possono accedere al mutuo, si sono messi il cuore in pace e ricorrono all’affitto. Rispetto al passato, quindi, non ci si accontenta più di una soluzione abitativa qualsiasi perché è venuto a mancare l’elemento della provvisorietà. Oggi chi va in affitto, lo fa con una logica più di lungo termine, per cui è attento alla qualità dell’immobile e al fatto che risponda a gran parte dei requisiti». L’alta domanda di affitti non si traduce però in un affare facile per i proprietari, per due motivi: anzitutto perché la gente è abituata a guardarsi attorno e vuole spendere il giusto, e in secondo luogo perché gli standard richiesti sono più elevati che in passato. Per intenderci il bilocale o il trilocale vecchio di venti/trent’anni, con mobilio di fortuna, ormai è sempre più difficile da mettere a reddito. Se vuole davvero capitalizzare il proprio immobile, in attesa di tempi migliori per venderlo a un prezzo più consistente, il proprietario deve essere disposto a fare quel minimo di migliorie per renderlo appetibile. Nel caso di pezzature piccole, una soluzione può essere anche arredarlo in modo moderno e funzionale, mentre per appartamenti di più ampia metratura il consiglio è di curare impianti e finiture, lasciando poi all’affittuario la possibilità di personalizzarlo con propri mobili, dato che la prospettiva è di una lunga permanenza. Molto importante è richiedere la consulenza di un’agenzia immobiliare che offre spunti utili in un contesto che cambia di continuo: se una volta si ragionava in modo quinquennale, oggi le cose cambiano anche ogni due/tre mesi. «La vera novità – aggiunge Fabbri – è il cambio casa affitto su affitto. Un tempo le famiglie
MERCATO IMMOBILIARE
potevano sperare di accendere un mutuo al 100 per cento, per cui l’acquisto era una via decisamente preferibile all’affitto. Oggi invece, che si riesce a ottenere, nella migliore delle ipotesi, un mutuo al 7080 per cento, in realtà l’equilibrio è molto diverso: con le possibilità di risparmio ridotte all’osso per la crisi economica, sono in pochi a potersi permettere un anticipo di 60-70-80 mila euro per l’acquisto di un immobile. L’affitto diventa quindi molto più che un ripiego, l’unica soluzione ammissibile. In questa logica, c’è chi già da tempo in affitto, decide di migliorare la propria situazione abitativa, ricercando una nuova locazione in una casa di maggiore comfort. Un po’ di respiro viene dato ai proprietari di case che, oggi più che mai, non possono permettersi di tenere fermo un immobile per gli alti costi di gestione. E, se non si vende, l’affitto è d’obbligo». Per contro chi ancora si può permettere di comprar casa, ha un’ampia scelta: a prezzi buoni, mai come in questo periodo, si riesce a trovare anche bei pezzi, ossia appartamenti ben tenuti e di grandi metrature. Il mercato è quindi più statico nel complesso, tenendo conto del fatto che molti devono prima vendere il proprio immobile per comprarsene uno nuovo. Buona la tenuta del mercato residenziale turistico, favorita anche dai ricambi generazionali. Anche in tal caso, nessuno è disposto a svendere in attesa di tempi migliori. .
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n. 85 OTTOBRE 2013 Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
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