Trovacasa Premium apr 2013

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contenuti

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casa bella casa

topografia e storia

città e tempo

lo stato dell’arte

pentole e provette

città e società

abitare l’habitat

aprile 2013

Le nuove case imolesi di Lelli, Bandini e Luccaroni di Paolo Bolzani

“Il Lito Adriano”, città-frontierae palcoscenico di prospettive impreviste di Pietro Barberini

Qaundo il tempo a Ravenna era scandito dal colossale Ercole Orario di Mario Arnaldi

Michele Tarroni e il senso civico della “onestà progettuale” di Domenico Mollura

Ecco le primizie:, “aria di primavera” secondo lo chef Faccini

Spazi di libertà dell’arte di strada. A tu per tu con Moder di Marina Mannucci

Progetti concreti per un percorso “verso la sostenibilità” di Marco Turchetti

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Controcopertina Si tratta di due edifici realizzati su un lotto di 3.000 mq. di superficie, sulle linee di un progetto architettonico redatto nel biennio 2004-05 dallo Studio Lelli & Associati di Faenza, insieme a Davide Cristofani, su commissione dell’imprenditore Alessandro Costa. Lelli, Bandini e Luccaroni ne hanno firmato anche gli esecutivi e ne hanno diretto i lavori, fino a raggiungere il risultato ritratto nei pregevoli scatti fotografici di Gaia Cambiaggi, Alberto Muciaccia e Sergio Buono che corredano il servizio all’interno.

Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Linda Landi, Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Maurizio Montanari, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it - www.trovacasa.ra.it

Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Tiber spa - Brescia - www.tiber.it

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Le nuove case imolesi di Lelli, Bandini e Luccaroni

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La ricerca della qualitĂ urbana nelle residenze realizzate tra il 2006 e il 2008 dallo studio faentino, sempre piĂš protagonista in Romagna e in Italia del dibattito architettonico

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«Tutto nasce dal rapporto fra una idea di spazio pubblico e la necessaria intimità del privato – spiega Lelli – e l’idea è stata quella di fare delle case solide, ma di renderle leggere a tal punto da galleggiare visivamente nel verde. Questo risultato viene ottenuto mediante l’adozione di quattro scelte semplici, ma fondamentali: la facciata libera scolpita con una sovrapposizione casuale di volumi, la trasformazione degli spessori murari in fogli, la lievitazione di tutto l’edificio rispetto al piano di campagna e un’organizzazione “naturale” dei corpi di fabbrica nel sito».

CASA BELLA CASA


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di Paolo Bolzani

Cosa è in questo momento la qualità urbana? Si domandano gli architetti Gabriele Lelli e Roberta Bandini e l’ingegnere Andrea Luccaroni: bellezza, sostenibilità, identità, green, smart, low cost, km zero, essenzialità, durevolezza, trasparenza, responsabilità. La risposta si rivela nelle loro opere costruite. Vedremo oggi un nuovo esempio della loro progettazione, non prima di aver detto che Gabriele Lelli e Roberta Bandini non sono nuovi a queste pagine. Prima insieme a Davide Cristofani, poi con Luccaroni hanno realizzato molte opere, alcune delle quali sono state illustrate anche in Trova Casa Premium. Nel marzo 2010 ecco la bella casa nella prima campagna faentina (vedi Cronache e Racconti di architettura, Ed. Reclam, 2012, pp. 328-9). Ed ancora: il complesso residenziale della Fornace del Bersaglio, esposto alla Biennale di Venezia, 2010, People Meet in Architecture, Padiglione Italia, Ailati. Riflessi dal Futuro (Cronache e Racconti di architettura, pp. 369-371). A Ravenna si segnalano per la vittoria del concorso per il Polo Scolastico Ponte Nuovo di Ravenna del 2010. Le case che oggi mostriamo sono state realizzate tra il 2006 e il 2008 al civico numero 13 di via Vittorio Padovani nella periferia meridionale di Imola, a fianco dello storico Parco dell’Osservanza. Si tratta di due edifici realizzati su un lotto di 3.000 mq di superficie, sulle linee di un progetto architettonico redatto nel biennio 2004-05 insieme a Davide Cristofani su commissione dell’imprenditore Alessandro Costa. Lelli, Bandini e Luccaroni ne hanno firmato anche gli esecutivi e ne hanno diretto i lavori, fino a raggiungere il risultato ritratto nei pregevoli scatti fotografici di Gaia Cambiaggi, Alberto Muciaccia e Sergio Buono che affiancano questo scritto. Nei due edifici vengono ricavati trentasei piccoli appartamenti realizzati in una zona di orti a ridosso del nucleo storico della città di Imola. I due nuovi edifici si dispongono in maniera trasversale sia al parco, sia alla strada, che in questo punto si inflette leggermente in planimetria, mentre viene bordata rispetto al lotto da una sottile cancellata in tondino, che nel tempo si è ricoperta di essenze vegetali rampicanti. L’accesso è segnalato da un semiportale a pensilina in cemento armato nero colorato in pasta, chiuso da un cancello in lamiera microforata in ferro a ruggine frenata. In realtà ciascuno dei due edifici deriva dal reciproco slittamento controllato di due corpi affiancati, sfalsati negli attacchi lato strada e lato parco e separati internamente da

A fianco, corridoio all’interno delle residenze (foto Alberto Muciaccia). Nella doppia pagina precedente, il soggiorno di uno degli appartamenti (foto Sergio Buono).

un lungo corridoio, «con recapiti visivi all’esterno», come racconta Gabriele Lelli segnalando l’effetto plastico-volumetrico in dialogo con la via Padovani. «Gli appartamenti – prosegue l’architetto faentino, docente alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara - sono disposti sui due lati e hanno una configurazione ad elle in quanto ciascuno ruota intorno ad una propria loggia esterna, completamente rivestita in legno, sulla quale si affacciano tutte le stanze». Osservando i fronti urbani e quelli che si allontanano accompagnando il nostro sguardo verso gli alberi del parco, si mostra la volontà dei progettisti di articolare la composizione architettonica in maniera originale, ma senza adottare soluzioni afferenti ad un facile razionalismo di maniera. Non appena si entra nel lotto, una nuova soluzione di alleggerimento compare sulla scena del progetto. Gli edifici risultano sollevati rispetto al piano del giardino che in questo modo resta in continuità con il Parco dell’Osservanza. Non solo. I percorsi di connessione tra edificio e edificio, tra la strada e il Parco sono garantiti da una serie di pedane in legno, che all’occasione si trasformano in rampe di accesso e che si mostrano anch’esse sollevate. In questo modo «un nuovo percorso pubblico unisce strada e parco e su questo si affacciano gli ingressi degli edifici». Le facciate si animano di una sequenza a tre bande orizzontali, in cui pieni e vuoti si alternano, cre-

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Ecco dunque lo studio faentino interrogarsi ed interrogare il sito nella ricerca di un effetto plastico giocato sul leggerissimo stacco da terra e dall’uscire a sbalzo o dallo scavo dei volumi delle logge – che all’interno scopriremo vincolate agli angoli cottura delle cucine abitabili sottolineato dal rapporto matericocromatico tra piani verticali in multistrato marino a “fogli piegati”, e soluzione a velo di marmorino sui volumi delle facciate rigate da sottili linee marcapiano bianche

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ando una piacevole fuga di piani in movimento. «Tutto nasce dal rapporto fra un’idea di spazio pubblico e la necessaria intimità del privato – spiega Lelli – e l’idea è stata quella di fare delle case solide, ma di renderle leggere a tal punto da galleggiare visivamente nel verde. Questo risultato viene ottenuto mediante l’adozione di quattro scelte semplici, ma fondamentali: la facciata libera scolpita con una sovrapposizione casuale di volumi, la trasformazione degli spessori murari in fogli, la lievitazione di tutto l’edificio rispetto al piano di campagna e un’organizzazione “naturale” dei corpi di fabbrica nel sito. Questo permette al verde di rimanere come tessuto connettivo del paesaggio urbano». Ecco dunque lo studio faentino interrogarsi ed interrogare il sito nella ricerca di un effetto plastico giocato dall’uscire a sbalzo o dallo scavo dei volumi delle logge – che all’interno scopriremo vincolate agli angoli cottura delle cucine abitabili - sottolineato dal rapporto materico-cromatico tra piani verticali in multistrato marino a “fogli piegati”, e soluzione a velo di marmorino sui volumi delle facciate rigate da sottili linee marcapiano bianche. Questo sforzo sul dominio dei piani, accompagnato dalla riduzione smaterializzante alla dimensione del foglio rileva un altro accorgimento: «la parete esterna di forte spessore, in pianta segue una linea “a greca”,


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Il tocco finale viene raggiunto dal foglio finale del “cornicione” del tetto, che conferisce alla composizione l’aura del castello di carte nell’istante prima del suo crollo (che forse mai si avvererà), subito smentito dalla solida composizione per fasce orizzontali bianche oppure bucate dalle logge o segnate dalle finestrature a grandi scuroni scorrevoli in legno

Alcuni scorci e particolari del complesso residenziale dove (dall’alto) si notano la zona di ingresso, i particolari di una facciata, e un’area esterna a prato scavalcata da una pedana di accesso in legno (foto di Gaia Cambiaggi e Sergio Buono).

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diversa ad ogni piano». La sensazione espressiva di imminente scomposizione per fogli sottilissimi viene infine raggiunta dall’adozione di una riduzione di spessore dei solai allorché emergono in facciata. Qui la linea della struttura di orizzontamento si riduce a soli tre centimetri, complice l’arretramento della parte strutturale celata dietro i parapetti in cristallo delle logge. Il tocco finale viene raggiunto dal foglio finale del “cornicione” del tetto, che conferisce alla composizione l’aura del castello di carte nell’istante prima del suo crollo (che forse mai si avvererà), subito smentito dalla solida composizione per fasce orizzontali bianche oppure bucate dalle logge o segnate dalle finestrature a grandi scuroni scorrevoli in legno. Al termine della visita, ecco nuovamente l’usanza dello Studio di creare nello spazio verde all’esterno, un’area riservata alla piantumazione di erbe officinali e aromatizzanti, da utilizzarsi in cucina: salvia, timo, rosmarino e basilico. Ma, a questo punto, forse complice la vista del parco, ecco ritornare alla mente il refrain di una celebre canzone di Paul Simon: «Parsley, sage, rosemary, and thyme», in realtà tratta da una nota ballata inglese del XVI secolo (Scarborough Fair), che nel 1966 divenne il titolo del terzo album del noto duo di cantautori americani Simon & Garfunkel.


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“Il Lito Adriano” città-frontiera e palcoscenico di prospettive impreviste

Località balneare diversa da tutte le altre, con strade larghe e diritte, metropolitane…

di Pietro Barberini

Oggi Lido Adriano è un avamposto urbanizzato, “una striscia di Gaza” stretta fra mare e pianura, dove i fondali appenninici potrebbero essere i Carpazi. La luce è quella di grandi e polverosi altipiani africani e quando il vento arriva secco sulle strade, un odore biancastro ricopre tutte le cose. Non è quartiere, né ghetto né altro, Lido Adriano. Palazzi ai confini di tutto eppure così vicini alla nostra storia. Una sorta di città – frontiera dove trovarono rifugio i “profughi libici”, italiani cacciati da Gheddafi nell'estate del 1970. Molti vengono a Lido Adriano, sembrano appena sbarcati sulla spiaggia, portati da ondate, una dopo l’altra. Cambiano abiti e modi, colori e profumi che mescolano i dialetti africani al fumo delle sigarette e l'ondeggiare delle biciclette prende a salire lento come il flusso pigro delle maree. Fino a cinquant'anni fa non c'era niente: canali, risaie, carraie ac-

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cecate dal sole, qualche boaria e sparute grandi case aziendali sulla bassa delle bonifiche delle quali restano enigmatici casermoni (in parte ristrutturati) e i simulacri di Pritona, Raspona, Ca' Vinona. È quest'ultimo il toponimo più importante; la “vena” grande che portava l'acqua dai Fiumi Uniti alle risaie della Raspona, immensa azienda agricola della nobile famiglia e successivamente della Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna. Lido Adriano nasce in uno “skyline” essenziale: due palazzoni piantati nella sabbia, sulle dune spianate e in fondo alle bassure che precedevano il mare. Due grandi aziende, la Ca’ Vinona e la Ca’ Pritona, con i terreni a larga, 320 ettari, vennero venduti dalla Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna al conte Augusto Chiericati, imprenditore vicentino con palazzo nobiliare situato nelle adiacenze del palladiano Teatro Olimpico.


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Il conte Chiericati è un brillante protagonista economico del dopoguerra: è sua l’idea delle bombole di gas da distribuire alle famiglie attraverso il marchio “Pibigas” che sarà attivo anche in Brasile, dove l’industriale opera anche in altri settori. Una striscia di terreno che andava dal canale Molinetto presso Punta Marina fino alla foce dei Fiumi Uniti, passò dalle cooperative eredi di Nullo Baldini ad una società immobiliare che costruì un nuovo insediamento turistico grazie ad un progetto d’urbanizzazione, per certi versi avveniristico. Tutto faceva capo alla società Bisanzio Beach, che avrebbe edificato nel giro di una decina d’anni, un futuribile villaggio rivierasco con strade ampie, come viale Virgilio, un doppio senso “sparato” verso il mare con alberi bonsai e design balneare. Quel cemento grigiastro che ingombrava l’orizzonte, molti pensavano, senza approfondire troppo, richiamasse l’imperatore Adriano… E Virgilio, mentore di Dante nella sua Commedia, cosa c’entra? Il collegamento è un ossimoro stridente: la dantesca «Donna in sul Lito Adriano», Santa Maria in Porto Fuori, era diventata una birreria, con tanto di insegne al neon! I primi edifici sono del ’65: torre dell’acquedotto, residence Adriatico e primo lotto della residenza Bellavista, di fronte all’Hotel K2 che sarà costruito poco dopo. L’iniziale progetto di sette villette e una palazzina condominiale, “il villaggio svizzero”, subisce un drastico ridimensionamento nel ’66, quando a Pasqua, dopo aver stipulato la compravendita di una villetta, questa salta in aria: è il metano mescolato con l’acqua degli impianti idrici ad innescare una letale esplosione. Muoiono in cinque: i coniugi, i due figli e un giovane amico di questi. La rete d’adduzione, priva di sfiatatoi e il collegamento diretto con i pozzi artesiani, senza utilizzare l’aerazione in un serbatoio a cielo aperto, sono all’origine del disastroso scoppio. Le vicende processuali e i risarcimenti agli eredi delle vittime misero la parola fine a quelle vicende. Il sacrificio di quelle vite e l’impressione popolare indussero a maggior cautela nella captazione e tecnica distributiva delle acque di falda. Lido Adriano nasce così e in dieci anni il valore di quei terreni, pagati oltre un miliardo e mezzo di lire del “boom” economico, si è decuplicato. La Bisanzio Beach continua ad offrire una casa sul mare a prezzi accessibili e si allunga con il complesso del Calipso, verso Punta Marina. La toponomastica continua a spaziare dall’Eneide alla Ravenna Bizantina ma via Bonifica resta “bianca” fino agli anni ’80. È finita la polvere, ma inizia un’altra storia. Marisa Venzi, nel suo ufficio della Bisanzio Beach, società immobiliare nella quale opera fin dai primi anni. Ha visto crescere Lido Adriano dalle finestre di casa: Marisa Venzi abitava con la sua famiglia alla “Ca’Vinona” della quale il padre era responsabile della stalla. Ha seguito passo dopo passo l’espansione immobiliare del Lido voluta dal conte Augusto Chiericati e dalla figlia che tutti ancora continuano a chiamare “la Contessa”. Nelle foto, dall’alto: la torre dell’acquedeotto; Il “Palazzone”: Residence Adriano il primo, imponente edificio del nuovo lido ravennate; il centrale viale Petrarca; quel che resta di una grande azienda agricola nella Raspona, lungo via Bonifica.

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Prima dell’edificazione di Lido Adriano, si andava in spiaggia oltre la Ca’ Vinona: in mezzo alle dune c’era la baracca di “Parsot” che poi costruirà il Bagno Granchio, avamposto sul mare cantato da Dante Sulla strada che da Porto Fuori andava al “Vinone”, tagliando in due le terre piatte della Raspona, una delle ultime case di Porto Fuori aveva un'insegna: “Trattoria Stagnì”. Era il 1970 e Riziero Serri aveva aperto il suo locale dopo alcuni anni di gestione del circolo della frazione, dove era venuto a vivere con i suoi fratelli negli anni Cinquanta. Sono anni nei quali Porto Fuori si riempie di famiglie che provengono dalle vallate del Savio, del Bidente, del Rabbi e del Montone. Vengono giù con la “fiumana” anche i fratelli Marcello, Romano e Novello che farà il fornaio. Li incontro tutti in un capanno sui Fiumi Uniti con il loro amico Giuliano Piovaccari venuto da Santa Sofia a fare il barbiere. Ma Riziero prima di barista, poi oste e ristoratore, faceva il muratore come la grande maggioranza di chi abitava a Porto Fuori; la sua era una mansione specifica, quella di “coprire” i tetti con le tegole. Era il lavoro finale fissando l'ultima fila di tegole, quella che terminava a filo con la grondaia. Quando finiva chiamava ad alta voce il lattoniere, che a Ravenna era lo “stagnì”. Così quando andò per i permessi dal Questore, questi gli chiese come si sarebbe chiamata la trattoria per la quale erano pronte tutte le carte. Al suo tentennare il Questore chiese: «Ma non ha un soprannome?». Si ricordò allora del suo ripetuto richiamo dall'alto nei cantieri edili e disse... “stagnì”. «Allora trattoria Stagnì, con l'accento sopra la i». E così si chiuse la questione.

In alto, l’autore dell’articolo Pietro Barberini con Riziero Serri (Stagnì), fratelli e amici. A sinistra: due scorci della campagna della Raspona, vicino a Lido Adriano con lo stretto nastro d’asfalto di via Bonifica, che collega Porto Fuori alla località dela costa ravennate

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Il lato oscuro della costa: «spazi aperti e liberi per conquistare un futuro»

Sopra , la sede del Cisim, ex scuola estiva per corsi di mosaico, ora “contenitore artistico e culturale”. Sotto, un ritratto di Marina Mannuci che si era già occupata di Lido Adriano e della funzione aggregativa del Cisim con un ampio servizio pubblicato su queste pagine.

Per capire che cosa si “muove” dentro Lido Adriano abbiamo interpellato Marina Mannucci, insegnante, studiosa e autrice di saggi di “antropologia urbana” e di numerosi articoli su questa rivista, fra città e culture, etnie e società. «Lido Adriano è un possibile futuro, per gli spazi e l’organizzazione urbana e, non di meno, per le nuove generazioni di una comunità interetnica e complessa» così risponde Marina Mannucci alla mia domanda, secca e banale: «che cosa: what»?” «Bisogna superare il primo impatto, anche architettonico, ed entrare nelle abitazioni dopo aver trovato l’interno in palazzi “da mare” dai lunghi corridoi – continua Marina – Dopo aver suonato alla porta si odono, all’interno rumori di frettolose riorganizzazioni degli spazi interni. Cessato il trambusto si entra, quasi sempre direttamente in uno spazio abbastanza ampio, dominato da un megaschermo, la tv negli appartamenti degli africani è sempre accesa e sintonizzata su canali che mandano immagini di partite di calcio. Senegalesi o Nigeriani, il foot ball è la loro passione. Si percepisce un forte spirito di gruppo, che non è dettato dal sovraffollamento abitativo, all’origine del “trambusto” e dell’attesa… È un insieme di persone che comunicano le loro esperienze, affidandosi ai racconti e alla parola. Alle pareti non ci sono scaffali pieni di libri, bensì manifesti dei loro “Griot”, persone che tramandano la storia: è una testimonianza spirituale attestata dai colori accesi delle immagini».

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Uno scorcio degli spazi interni del Cisim, dove si svolgono anche concerti dal vivo e perfomce teatrali e artistiche.

Ma il ruolo del Griot è quello di un capo villaggio? «Con le dovute correzioni direi di sì, dopotutto a Lido Adriano ci sono villaggi nei villaggi. Il clima è sereno, i senegalesi sono sempre allegri e il loro atteggiamento si allarga dal personale al sociale. Lido Adriano ha vissuto questa trasformazione, da villaggio-vacanze a villaggio-quartiere, negli anni Settanta con l’insediamento di numerose famiglie provenienti dal meridione d’Italia. Un primo rimescolamento di dialetti, occupazioni ed abitudini con qualche marginalità fuorilegge, soprattutto contrabbando e droga. Una sorta di collegamento fra quel paese, a mezza strada fra turismo e dormitorio, è il Cisim, nato come scuola estiva di mosaico e arrivata ai giorni nostri come luogo di aggregazione e straordinario punto di incontro. Il Cisim è diventato un importante “contenitore culturale e artistico». Il mosaico è simbolo stesso di “moltiplicazione” e contaminazione. «Certamente. Il filo del Cisim non si è interrotto, anzi ha canalizzato nuove espressioni artistiche e musicali come quella dell’hip hop». Al Cisim c’è il “quartier generale” del Gruppo “Il lato oscuro della Costa”, guidato da Lanfranco “Moder” Vicari, autore di testi pieni di poesia senza allontanarsi dalla realtà del “luogo”(vedi su questo stessa edizione un ampio servizio di Marina Mannucci che riguarda anche “Moder”. Ndr). Ma al di fuori del CISIM mancano altri luoghi di ritrovo, di aggregazione reale. Una sala cinematografica, rappresen-

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terebbe un punto di incontro “aperto” e vero. Gli adolescenti sono quelli maggiormente penalizzati, poiché mancano spazi per giocare a basket e a calcio, campi “liberi” e skate park…». Ricordo che negli anni Settanta c’era una grande area spartitraffico, un’isola con una pista da pattinaggio… «Sì, ma occorre sistemare, ristrutturare, seguendo alcune priorità. Lo stesso Moder indica alcune rotonde adatte allo scopo ed altri spazi potrebbero essere sottratti al degrado. Un possibile utilizzo è il “park core“, acrobazie di strada che sfruttano barriere architettoniche: muretti, scalini, cordoli. In questo contesto si potrebbe valorizzare anche l’arte di strada». Non sono soltanto graffiti, credo ci sia un’evoluzione o mi sbaglio? «È così, si sta passando a segni in codice, a contrassegni sul territorio, come scriveresti tu. È un racconto “corpo a corpo” quello di Lido Adriano e soltanto un approccio “ravvicinato” può illuminare il lato oscuro della costa ravennate». Lido Adriano andrebbe meglio collegata, è un quartiere difficile da raggiungere. «I collegamenti sono costosi e poco efficienti, il loro miglioramento influirebbe positivamente sulla qualità urbana di Lido Adriano. Bisogna pensare e costruire spazi aperti e liberi: solo in questo modo il vecchio Lido anni Settanta può diventare la città dei giovani».


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Quando il tempo era scandito dal

Conchincollo

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La tecnica gnomonica e le vicende dell’Ercole orario, l’antico orologio pubblico di Ravenna

di Mario Arnaldi

Marco Vitruvio Pollione (architetto romano, I sec. a C.) nel suo De Architectura, fece una lista dei numerosi tipi di orologi solari in circolazione a suo tempo. Dal numero di esemplari ritrovati pare che il più diffuso nel Nord-Est Adriatico fosse il cosiddetto «Plinthium» o «Lacunar», ma che un altro architetto vissuto nel secolo IV, Marco Cetio di Faenza (Cetius Faventinus), nel suo trattato Liber artis architectonicae privatis usibus adbreviatus chiama «Hemicyclium». Sharon Gibbs, nota studiosa di orologi Greco-Romani preferisce definire questo tipo di orologio solare «a tetto». L’orologio consisteva di una semisfera eretta verticalmente e opportunamente inclinata secondo la latitudine del luogo. Nella parte superiore era praticato un forellino, oppure era posta una piastra metallica forata. La luce del Sole passando attraverso il foro, cui oggi daremmo l’attributo di “gnomonico”, andava a proiettare un pallino luminoso all’interno della semisfera, dove si trovava il tracciato delle linee orarie e dei cerchi solstiziali ed equinoziali, mostrando le ore del giorno. Sia i Greci, sia i Romani, usavano

A sinistra: un moderno Ercole Orario sulla casa natale dello scultore Stiepo Gavric (autori, S. Gavric e M. Tadic), Tuzla (Bosnia). Sopra: orologio solare romano emisferico con foro sommitale (Madrid).

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Il cosiddetto “Conchincollo” era una grande statua di Ercole, genuflesso come un Atlante, che reggeva sulle spalle un orologio solare semisferico assomigliante ad una conchiglia o ad un bacino un sistema orario che oggi chiamiamo a ore “temporali” o “temporarie”, altrimenti detto a ore “ineguali”. L’origine di quest’attributo è molto semplice: le ore erano sempre ventiquattro, ma si suddividevano in dodici ore diurne e altrettante notturne. Si chiamava “giorno” il tempo che andava dalla levata del Sole fino al suo tramonto, il tempo rimanente si chiamava “notte”. Così le ore non potevano essere uguali ogni giorno o ogni notte, perché durante l’anno sia i giorni sia le notti si allungano e si accorciano secondo i periodi stagionali. Quando le giornate erano lunghe (in estate) le notti erano brevi, e viceversa. Agli Equinozi, quando la notte è lunga quanto il giorno, c’era parità di durata fra le ore diurne e quelle notturne. Per tutto l’anno restavano costanti solo il mezzogiorno (ora sesta diurna) e la mezzanotte


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Ciò che resta del Conchincollo, custodito nei magazzini del Museo Nazionale di Ravenna. Tenendo conto delle dimensioni del frammento si presume che la statua poteva essere alta oltre due metri (e con un basamento, fino a quattro metri). In basso, a sinistra: la formella del segno zodiacale dell’acquario scolpita nel 1483 da Pietro Lombardo sulla base di una delle due colonne veneziane in Piazza del Popolo a Ravenna. Si dice che lo scultore si sia ispirato, nella postura del segno, proprio all’Ercole Orario che all’epoca era ancora “in piedi”.

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(ora sesta notturna). La notte si preferiva dividerla in quarti chiamati vigiliae. Era questa un’usanza militare entrata nelle abitudini comuni: le vigiliae erano, infatti, i turni di guardia delle sentinelle, formati da tre ore ciascuno. La quarta vigilia si chiamava gallicinium perché iniziava all’alba (tre ore temporali dopo la mezzanotte, cioè quando il cielo incominciava a illuminarsi e s’iniziavano a distinguere le sagome delle persone), quando i galli iniziavano a cantare. Fra gli orologi solari più importanti di tutta la nostra area geografica in epoca Romana fu, sicuramente, l’Ercole Orario: l’antico orologio pubblico di Ravenna. Era una grande statua di Ercole, genuflesso come un Atlante, che reggeva sulle spalle un orologio solare semisferico assomigliante ad una conchiglia o ad un bacino. Per questo motivo, il popolo lo chiamava in modo confidenziale «Conchincollo» o «Conca-in-collo». I numerosi viaggiatori che videro la

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statua prima del 1591, quando fu distrutta da un violento terremoto, la descrivono con meraviglia ed usano il termine non prius visam cioè «mai vista prima». La troviamo descritta anche con il nome – forse esagerato – di «colosso», per via delle sue notevoli dimensioni. La statua fu eretta, in origine, presso la Basilica Herculis (l’odierna Piazza Kennedy) per volere dell’imperatore Tiberio Claudio Germanico, che visse per un certo periodo a Ravenna. Molti secoli dopo, la statua di Ercole finì per ritrovarsi circondata da edifici, e la sua primitiva sistemazione trasformata ormai in un vicoletto. Nel 1493 Girolamo Donato, divenuto podestà della città, la fece spostare e sistemare nel foro Senatorio (l’attuale Piazza del Popolo), nel 1575 la statua è descritta per la prima volta da Stefano Vinando Pigi all’interno di una fontana, ma non è chiaro se questa fosse nel foro Senatorio o nell’attiguo foro Asinaro (oggi Piazza XX Settembre, altrimenti detta Piazza dell’Aquila), dove in seguito fu spostata. Il 18 giugno 1591, verso l’ora 12 e mezza (le 15 e mezza di allora) l’Ercole Orario crollò andando in frantumi. La Comunità diede i pezzi all’architetto Cesare Mengoli, che li trattenne presso di sé, magari con la speranza di poterlo riparare prima o poi, ma alla sua morte, gli eredi, pensarono bene di vendere tutto quel marmo prezioso e “inutile” affinché potesse essere destinato ad altri usi. Di questi si salvò solo un piede con un pezzo di gamba (oggi custodito nei magazzini del Museo Nazionale di Ravenna), grazie alla cura dell’abate Ginanni del monastero di San Vitale. Ed è proprio grazie a questo piede che oggi possiamo risalire alle dimensioni di questa statua. Sappiamo che la figura umana, se ci rifacciamo ai canoni classici,

Dall’alto verso il basso e da sinistra a destra: Il Conchincollo nell’immagine proposta da Giambattista Passeri nella Dissertazione III, Sopra il colosso di Ercole Orario sostenente sugli omeri l’orologio solare, e lunare, in Saggi della Società Letteraria Ravennate, tomo I, Cesena 1765 (volume custodito alla Biblioteca Classense di Ravenna); Ricostruzione grafica della statua di Ercole Orario (disegno di Mario Arnaldi). Rappresentazione di Ercole Orario da Luigi Marini, Vitruvii De Architectura libri decem, Roma 1836 (volume custodito alla Biblioteca Classense di Ravenna). La prima immagine dell’Ercole Orario. Da Gabriello Simeoni, Illustrazione degli Epitaffi et medaglie antiche, Lione 1558.

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La statua dell’Ercole Orario fu eretta in origine (nei primi decenni d.C:) presso la Basilica Herculis (l’attuale Piazza Kennedy), poi trasferita nel Foro Senatorio (l’attuale Piazza del Popolo) o, forse nell’attiguo Foro Asinario (la Piazza dell’Aquila). Fin quando, il 18 giugno 1591, crollò per un violento terremoto

era suddivisa in moduli; per l’esattezza essa si riteneva pari a otto teste, ovvero sei piedi. L’uomo raffigurato in questa statua non doveva essere più basso, quindi, di sei o sette piedi; all’altezza dell’Ercole si deve aggiungere quella dell’emisfero sulle sue spalle che, secondo Gianbattista Passeri, doveva misurare almeno quattro palmi, in pratica 70 o 80 centimetri. Poiché il piede in questione è lungo 36 centimetri, la statua, nella sua dimensione totale (compreso l’emisfero), e diminuita di un piede e mezzo a causa della posizione genuflessa, doveva misurare circa due metri e venti centimetri. Inoltre, il basamento, lo doveva innalzare dal suolo portandolo ad un’altezza probabilmente superiore ai 4 metri. Nell’antichità la figura del mitico Eroe associata ad un orologio solare, non era infrequente, Ercole è presente, per esempio, in un gruppo scultorio ritrovato nella ex Yugoslavia, a Sremska Mitrovica, o nell’orologio solare scoperto a Khirbet el-Bidat in Israele, o ancora nell’orologio solare di Luco dei Marsi, in Abruzzo. Al semidio, erano attribuiti caratteri solari e le sue dodici fatiche, per alcuni rappresenterebbero i segni dello zodiaco, per altri le 12 ore del giorno. Una di queste fatiche, in particolare, lo vede coinvolto a sostituire Atlante nel compito di sorreggere il cielo. Ecco quindi che la sua posizione genuflessa e le parole usate da Desiderio Spreti nel descrivere l’oggetto sul collo di Ercole (Coelum collo ferentis) trovano una loro logica.

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Sebbene sia scomparso, possiamo dedurre la sua immagine dal disegno che pubblicò Gabriello Simeoni nel 1558 e che fu poi ripreso da molti altri autori. Corrado Ricci ritenne che Pietro Lombardo, lo scultore che nel 1483 decorò con bassorilievi la base delle due colonne veneziane in Piazza del Popolo, si fosse ispirato proprio al Conchincollo per rappresentare il segno zodiacale dell’Acquario. Anche Ercole I d’Este deve essersi ispirato al Conchincollo, all’epoca ancora visibile, quando fece affrescare su una parete del Palazzo Paradiso (oggi Biblioteca Ariostea a Ferrara) la figura di un Ercole affacciato ad una finestra mentre osserva l’ora con un quadrante orario portatile.

In alto: Lacerto di affresco in una sala della Biblioteca Ariostea di Ferrara, con Ercole che porta in mano un quadrante orario. A sinistra: antica immagine di Ercole con il globo stellato da Gori, Thesaurus Gemmarum Antiquarum Astriferarum, 1750. (il volume si trova alla Biblioteca Classense di Ravenna).

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LO STATO DELLʼARTE


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segnamento nelle Università di architettura di Ferrara, Bologna e Venezia. È costituito dalla parte più consistente dello studio Cristofani & Lelli Architetti, scioltosi alla fine del 2008, con cui tra l’altro nel 1999 ha realizzato l’imponente Clinica Villa Azzurra sulle colline di Riolo Terme. Lo studio si occupa di progettazione architettonica, progettazione urbana e di infrastrutture, progettazione d’interni, disegno di oggetti, restauro architettonico e riqualificazioni urbane. Dalla ricerca al concept fino al collaudo delle opere in tutti i suoi aspetti. Si è sempre caratterizzato per un lavoro di carattere innovativo attento al contesto e alla contemporaneità, radicato nel territorio, ma con uno sguardo aperto, attento e presente nel dibattito culturale. Esperti in interventi in contesti complessi, in social housing, in sostenibilità, in scale diverse con un lavoro di equipe. Tutto tradotto nella concretezza della pratica quotidiana del costruire. Molte opere hanno avuto riconoscimenti nazionale ed internazionali, a cominciare dal primo premio sia all’Opera Prima (Andil, 2000), che al Premio internazionale “Dedalo Minosse” under 40 (2001), per poi conseguire il Premio internazionale “Europe 40 Under 40”, The Chicago Athenaeum, Chicago (Usa, 2008), al Premio nazionale “In-Arch/Ance” (Roma, 2009), per poi essere finalisti con tre progetti alla short list del Waf (World Architecture Festival 2009) di Barcellona e vincitori della “Selezione Emilia Romagna 2010 Architettura”. Loro progetti sono stati pubblicati nelle più prestigiose riviste di settore: “Casabella”, “Domus”, “Casabella. Giovani architetti italiani. Almanacco dell’architettura italiana”, “Costruire in laterizio”, “Vogue”, “Costruire”, “Area”, “Il Progetto”, “Presenza tecnica”, “AD Architectural Digest. Le più belle case del mondo”, “Identità dell’architettura italiana”, “World architecture”, “Il Sole 24 Ore – Edilizia e Territorio”.

Nella pagina a sinistra: un ritratto dei tre architetti dello studio Lelli & Associati (da sin.) Andrea Luccaroni, Gabriele Lelli e Roberta Bandini; in alto, residenze in via Corbara a Faenza. In questa pagina (dall’alto), quattro progetti dello studio faentino: polo scolastico Ponte Nuovo a Ravenna; complesso residenziale a Codroipo (Udine); Brioni Riviera masterplan (Croazia); il complesso “I Diamanti” a Lugo.

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Etica professionale, creatività, innovazione nell’esperienza dell’architetto ravennate Michele Tarroni, collaboratore dello studio di architettura londinese Stanton Williams

In senso civico della “onestà progettuale” di Domenico Mollura

Il ciclo “Il ruolo dell’Architettura contemporanea”, promosso da Trovacasa Premium con il Gruppo Ravimm e curato da Emilio Rambelli, ha presentato nello scorso marzo l’attività dello studio londinese Stanton Williams attraverso l’esperienza di uno dei collaboratori, il ravennate Michele Tarroni. La “traccia” della rassegna – come la definisce Emilio Rambelli in apertura – è il merito, il fare che genera l’esempio positivo e la provenienza estera di alcune di tali esperienze – aggiunge Rambelli con un pizzico di rammarico – rappresenta un segnale allarmante per lo stato di salute dell’architettura italiana. L’iniziativa, infatti, mostra già in questa sua seconda tappa le finalità culturali che la sostengono. Il punto di vista di un architetto italiano che vive la quotidianità della professione in Inghilterra, oltre a rapSopra: nuovo Giardino Botanico di Padova, rendering del giardino esterno e delle serre. Da sinistra: Belgrade Theatre, dettaglio finestra verticale creata separando iI volume principale dell’edificio (foto Stanton Williams). Hackney Marshes: dettaglio del rivestimento esterno in acciaio Cor-ten (foto Hufton+Crow).

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Comune di Ravenna

Il ruolo dell’Architettura contemporanea Panbianco

Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava in collaborazione con la rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019 Coordinatore Emilio Rambelli

Tarroni

Calendario 2013 Tutti gli incontri si terranno presso Le Cantine di Palazzo Rava Via di Roma 117 - Ravenna. Inizio alle ore 21

Giovedì 21 febbraio

Filippo Pambianco parlerà di Studio G.V. Consuegra - Siviglia

Giovedì 21 marzo

Michele Tarroni parlerà di Studio Stanton Williams - Londra

Giovedì 18 aprile

Gabriele Lelli parlerà di Studio Lelli e Associati - Faenza

Lelli

Borghi

Nonni

Giovedì 16 maggio

Alfredo Borghi parlerà di Studio Estudio Sic - Madrid

Giovedì 20 giugno

Ennio Nonni parlerà di Una nuova urbanistica è possibile? Bonini

Giovedì 3 ottobre

Gianluca Bonini parlerà di Nuovostudio - Ravenna

Giovedì 31 ottobre

Antonella Ranaldi parlerà di Restauro contemporaneo

Giovedì 21 novembre

Ranaldi

Daniela Moderini parlerà di Paesaggio Urbano - Venezia

Info: Ilaria Siboni - siboni.ilaria@gmail.com - Cell. 338 1584910

Moderini

APRILE

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presentare un caso esemplare marca le notevoli differenze tra approcci progettuali e contesti diametralmente opposti. Il racconto dei progetti attraverso la loro genesi completa (dall’idea al cantiere) mostra tutta la distanza esistente tra i due Paesi nel campo dell’edilizia pubblica (dallo sport alla cultura), nella tutela dei beni architettonici, nel ruolo sociale dell’architetto. Rigoroso l’esordio dell’architetto Tarroni per il quale «… la possibilità di fare [architettura, ndr] sembra riservata solo dopo aver varcato l’arco alpino. Non occorre scendere a compromessi – prosegue – e una volta entrati in un nuovo sistema culturale è difficilissimo tornare indietro». Dopo una prima esperienza presso lo studio londinese di Norman Foster nel 2000 (anno del boom edilizio della capitale britannica con agenzie specializzate nella ricerca di architetti) Tarroni torna in Italia (a Firenze) non ritrovando, tuttavia, quel pragmatismo tipicamente anglosassone che aveva appena lasciato. Per tale motivo decide di trasferirsi definitivamente a Londra nel 2006, anno spartiacque della crisi che colpisce istituti bancari ed assicurativi, ovvero i principali committenti di architettura contemporanea inglese; tuttavia oltre manica i “grandi numeri” sono riservati anche alla cultura in senso ampio: «il luogo di cultura pubblico – precisa Tarroni – attira finanziatori ed ha un immediato ritorno di immagine». In tale settore emerge lo studio Stanton Williams, presso il quale collabora Tarroni. Lo studio londinese, infatti, nasce nel 1985 specializzandosi in progettazione di gallerie d’arte, architettura universitaria e più in generale in exhibition spaces. Diversa la provenienza dei due fondatori ma riconducibile ancora una volta alla progettazione di spazi culturali. Alan Stanton si forma tra le sperimentazione della Los Angeles degli anni ’70 e il Centre Pompidou come collaboratore di Richard Rogers e Renzo Piano, mentre Paul Williams opera fin da subito presso il Victoria and Albert Museum di Londra dove progetta allestimenti museografici con lo sguardo sempre rivolto all’opera di Carlo Scarpa. Stanton Williams – prosegue Tarroni – ha sempre avuto un approccio “onestamente progettuale” proiettato sulle persone e non sul progettista, e in questo senso diventa significativo il confronto fotografico tra il Beaubourg e una serie di teatri Inca. Nel primo caso la piazza parigina è punteggiata di spettacoli di strada con il pubblico che crea spontaneamente cerchi attorno alle performance; nel secondo caso “l’architettura cerimoniale” sembra modellare la pietra con lo stesso principio geometrico: le relazioni umane sono l’archetipo dello spazio costruito. Si parte da qui nel racconto dei progetti che nascono con un processo orizzontale nel quale l’architetto deve avere “mani addestrate”. Lo studio Stanton Williams (passato da 25 a 70 collaboratori dall’inizio dell’esperienza di Michele Tarroni) ha un’area dei plastici all’interno dei quali il progettista deve metterci la testa in senso letterale, per comprendere e controllare la spazialità che sta progettando. Questa artigianalità (tutt’altro che residua nonostante l’abuso di tecnicismi dei nostri tempi) mostra che “l’eccesso di teoria blocca il processo creativo” e manipolare lo spazio (modellarlo) attraverso il plastico diventa la migliore forma di materializzazione di un principio progettuale, come mostrato per la genesi del Belgrade Theatre (Coventry, 2007). I plastici poi diventano occasione di divulgazione dell’attività svolta all’interno dello studio. Infatti ogni anno la municipalità di Londra chiede di aprire le porte degli studi a tutti e Stanton Williams, localizzato a ridosso di una dei canali che solcano la città, diventa un playground, uno spazio del gioco dove i bambini possono colorare i plastici, familiarizzando con “forme insolite” e diversissime dalle tradizionali “casette con bowindow”. Tutti i progetti descritti da Tarroni hanno in comune alcune “semplici” caratteristiche: spazio, luce, materiali e – come detto – relazioni. Il primo progetto è in realtà un “piccolo laboratorio di architettura”. Si tratta dell’allestimento della mostra Bronze, presso la Royal Academy of Art di Londra (2012) raccontata attraverso tutte le tappe della sua genesi, dalle foto dei pezzi da esporre alle sale ancora vuote allo straordinario effetto del Satiro danzante, posto al centro dell’esposizione abbracciato da una quinta perimetrale blu, come il mare di Sicilia dal quale è affiorato nel 1997. Segue il concorso vinto (su Perrault, Chipperfield e Ferrater) per il nuovo Orto Botanico di Padova (2005) nel quale emerge l’ambientamento quasi sognante che disegna l’area attorno alla Basilica di Santa Giustina come fosse un di-

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Nella pagina a sinistra(dall’alto): Casa Fontana, la scala in travertino scavata dentro il lato della montagna (foto Simon Phipps); Sainsbury Laboratory, “Study Boxes” (spazi dedicati allo studio) nella strada interna (foto Hufton+Crow); University of Arts London, vista della strada interna e spazi comuni (foto Hufton+Crow); In questa pagina: suggestioni spaziali e architettoniche che hanno ispirato alcuni progetti dello studio Stanton Williams. A fianco: la folla crea naturalmente degli spazi attorno alle performances nella piazza del Centre Pompidou a Parigi. In basso: Chiesa di St George, Lalibela (Etiopia), scavata nella roccia; teatro Inca per cerimonie.

pinto, con qualche rimando alle fontane di Luis Barragan. Lo studio Stanton Williams si cimenta anche nell’architettura residenziale con Casa Fontana (Lugano, 2000) dove il principio progettuale basato sul rimando dentro-fuori-dentro si cristallizza in un contenitore di emozioni (quelle del proprietario) affacciato sul Lago di Lugano che pare farsi tutt’uno con la casa grazie alla piscina a sfioro “scavata” all’interno della montagna; il travertino (tagliato in piani diversi per ottenere grana materica cangiante) e l’uso diffuso del vetro sospendono lo spazio interno tra cielo e acqua. Ad Hackney, una delle municipalità della cintura londinese, le demolizioni conseguenti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, hanno generato il riempimento di una vasta palude (marsh) attrezzata negli anni come un immenso centro sportivo dove l’unica infrastruttura era rappresentata dalle porte e dalle linee dei campi da calcio (se ne contano almeno 60 presi d’assalto nei week end). Tuttavia la necessità di fornire spazi di servizio, da utilizzare anche durante la settimana, ha spinto la Municipalità ha impegnare un pur ridotto budget per la realizzazione di un centro sportivo. Hackney Marshes Center (2008), con l’uso di materiali semplici (calcestruzzo, policarbonato, acciaio Cor-ten) fa da filtro tra l’area dei campi e il parcheggio pubblico proteggendo al contempo gli spazi interni da atti di vandalismo con le sue contro murature in cassoni di pietra. Londra è anche una città dal passato imperiale e i suoi spazi industriali e commerciali ne sono la testimonianza. Stanton Williams, impegnati nella riqualificazione dell’area prossima alla stazione di King’s Cross, vengono chiamati al recupero del Granary Building (2011) da destinare a nuovo Campus per 5.000 studenti della UAL

(University of Arts London Central Saint Martins). Il grande edificio produttivo del XIX secolo, utilizzato per lo smistamento del grano da imbarcare nei moli vicini, versava in stato di abbandono e di degrado. La necessità di riconvertirlo per recuperarne gli spazi ha richiesto il ripensamento totale del complesso in base alle diverse destinazioni e alla possibilità di mantenere una parte sempre aperta quale piazza pubblica permeabile. Per far ciò l’edificio centrale è stato svuotato e ricostruito, mentre le due ali laterali sono state recuperare per intero. Il recupero è stato attento a mantenere alcune tracce come la sagoma dell’edificio del custode demolito precedentemente all’intervento o il ripristino di oltre un milione di cubetti di legno utilizzati in passato per attutire il rumore degli zoccoli dei cavalli e rinati a nuova vita come pavimentazione della piazza interna. Infine il Laboratorio Sainsbury di Cambridge (2011), progetto premiato nel 2012 con il RIBA Stirling Prize. Gli spazi di ricerca, collegati ad un importante orto botanico, contengono nel piano interrato l’archivio delle specie botaniche raccolte da Charles Darwin alle Isole Galapagos. Allo stesso modo di un bassorilievo, l’edificio scende sotto il livello del piano terra con piani inclinati e cambiamenti di livello; gli spazi sono studiati per rapportarsi al rispettivo contesto (uffici-città, laboratori-giardino, zona relax-corte interna). La luce naturale, che è filtrata da dei lucernari, si fa protagonista illuminando gli spazi dei laboratori di ricerca. Ogni scienziato ha a disposizione spazi più raccolti, che si affacciano sul parco, per potere conversare con i colleghi ed accogliere visitatori. I percorsi infatti sono organizzati per facilitare l’incontro, lo scambio di esperienze.

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Aria di Primavera in cucina Nella stagione delle primizie i consigli dello chef Faccini per conoscere ingredienti, cotture, attrezzature, caratteristiche degli alimenti e vivere appieno uno dei momenti più appaganti dell’abitare

Quanto mai attesa, la primavera quest’anno si è presentata con ritardo, frenando la ripresa del ciclo vitale di piante e coltivazioni e la tradizionale rigenerazione degli spazi dell’abitare fra cambi di complementi di arredo, di armadi di verde d’interno. In cucina fanno la loro comparsa, prepotenti, frutti e ortaggi di stagione, le preparazioni si alleggeriscono e si colorano. La freschezza diventa padrona di piatti ricercati ma anche di spuntini veloci e gustosi. Ancora una entra in cucina, lo chef Stefano Faccini che smette i panni di consulente di ristoranti, di aziende alimentari e alberghi e quelli di insegnante, per indossare la veste dell’esperto a disposizione dei lettori di Trovacasa Premium. «La primavera porta la voglia di avvicinarsi alla natura, e in particolare modo di consumare frutta e verdure fresche così gustose e salutari. Le verdure queste sconosciute. Si può pensare erroneamente che mantenere fresche verdure e frutta sia semplice ma non è così. Ad esempio servire con largo anticipo dei funghi che siano stati affettati con troppo anticipo fa poco onore alla tavola: infatti sono diventati scuri, e si consuma un lutto per la freschezza. Chi mai, del resto,vorrebbe mangiare banane o albicocche o ciliegie o patate o mele o pesche che sono stati tagliati troppo presto e poi lasciati all'aria in attesa di essere consumati?». Come sempre in soccorso della cuoca o del cuoco di casa arriva le preziose nozioni di scienza alimentare e chimica dello chef: «Il fatto è che tutti questi frutti o verdure contengono delle molecole attive, gli enzimi, che ossidano i composti fenolici di frutta e verdura trasformandoli in polimeri bruni o grigi. Quando si taglia una verdura o un frutto si rompono le cellule

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la freschezza ha il sapore di fragole e rosmarino lungo la linea del taglio, per cui gli enzimi dilagano sulla superficie esposta e, in presenza dell'ossigeno dell'aria, questi enzimi portano a termine il loro deplorevole compito». Come evitare allora l'annerimento? «Inibendo o distruggendo gli enzimi liberati. L'acidità naturale del limone aiuta a mantenere il colore naturale ad alcuni vegetali (carciofi, finocchi, cardi, cavolfiori ecc) e l'aceto conserva cetrioli, capperi, giardiniera. Anche il raffreddamento o la cottura hanno lo stesso effetto. Il raffreddamento rallenta l'ossidazione (un calo di temperatura di 10 gradi dimezza la velocità d'azione degli enzimi) e la cottura "denatura" gli enzimi. Anche il sale blocca gli enzimi, quello che spesso si trova nei condimenti ne favorisce la conservazione». Per salvare i nuovi ingressi in cucina di frutta e verdura lo chef Faccini consiglia un piccolo accorgimento. «Per ravvivare alcune verdure "un po’ stanche" si possono passare per alcuni minuti in acqua gasata fredda. Questo sistema in gergo si chiama rinvenire e la funzione dell'anidride carbonica è quella di riossigenare i nostri vegetali; inoltre l'acqua gasata svolge anche una azione battericida. Un altro sistema utilizzato da pochi e quello di diluire 30 g di alcol da pasticceria con 70 g di acqua e posizionarla in uno spruzzatore. Successivamente irrorare frutta o verdura e coprirla con la pellicola e riporre il con-

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tenitore in frigorifero. L'alcol ha una funzione battericida, quindi allunga la vita e la freschezza ai nostri frutti o alle nostre verdure, una volta aperto il nostro recipiente l'alcol evapora senza lasciare traccia di odori». Infine un trucco per la cottura in acqua delle verdure. «Molti mi chiedono se l'acqua di cottura delle verdure deve essere salata? assolutamente no. Se si immergono le verdure in acqua non salata queste gonfiano, perché l'acqua entra nelle cellule vegetali, grazie al fenomeno dell'osmosi. Al contrario, se l'acqua di cottura è troppo salata, le verdure diventano dure in particolare le carote perché l'acqua non entra nelle cellule».

Per rispondere alle domande più comuni in cucina: Perché succede? Dove sbaglio? Cosa mi manca? Quale utensile usare, quale attrezzatura? E per consulenze professionali, lo chef Faccini è a disposizione dei lettori all’indirizzo e-mail: faccini_stefano@libero.it

FRAGOLE CARAMELLATE AI FIORI DI ROSMARINO E GELATO ALLO YOGURT Dopo gli accorgimenti e le alchimie dello chef non resta che chiudere con una nota di freschezza

ingredienti per 4 persone: -

fragoloni 300g zucchero di canna 120 g acqua 20 g succo di limone 5 g pistacchi tritati 20 g (oppure mandorle affettate e tostate) - fiori di rosmarino qb - 4 palline di gelato allo yogurt

procedimento: Porre lo zucchero, l'acqua e il succo di limone in una padella antiaderente e lasciarlo colorare dolcemente fino ad ottenere un colore biondo scuro. Unire i fragoloni perfettamente asciutti e rigirarli nel caramello. Posizionare i fragoloni in coppe individuali, posizionare di lato la pallina di gelato e cospargere con i fiori di rosmarino.

PENTOLE E PROVETTE

Diviso fra l’insegnamento all’istituto professionale di Stato “Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” di Cervia, i corsi di alta formazione, le consulenze per alberghi, ristoranti e aziende alimentari, Faccini, si è fatto promotore di una nuova cultura gastronomica mentre vanta esperienze nella cucina di Paul Bocuse, di Fredy Girardet in Svizzera, ed è Chef Eurotoque, Commandeur de la Commeanderie des Cordons Blues de France e discepolo di August Escoffier.


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Lanfranco Moder Vicari all’Openday dell’Engim, 19 febbraio 2013. Foto di Alberto Giorgio Cassani

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Spazi di libertà

dell’arte di strada

Incontro con l’artista hip hop Lanfranco Moder Vicari

di Marina Mannucci, con la partecipazione degli studenti del I° anno Corso Stampa Engim

Mi piace il linguaggio dei giovani: asciutto, ermetico, a tratti tenero. Il loro bisogno di inventare nuove forme di comunicazione verbale viene dalla voglia di dimostrare di saper cambiare le regole del gioco e dar vita a un modo di parlare, in grado di raccontare in modo informale il mondo circostante. Parlano utilizzando un codice simbolico condiviso, che racchiude il linguaggio di internet, del cinema e della strada. Uno slang che nasce dall’esigenza di essere alternativi e dirompenti rispetto a istituzioni in cui non si riconoscono. Un numero non quantificabile di termini utilizzati oggi da ragazze e ragazzi «proviene dal mondo dell’hip hop e quindi dalle periferie metropolitane che hanno riscoperto il dialetto non in senso folcloristico ma come rinnovata identità» (Renzo Ambrogio, Giovanni Casalegno, Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili, Torino, Utet, 2004). I due terzi dei vocaboli usati nel linguaggio giovanile italiano sono di origine meridionale e una quantità incredibile proviene dall’area napoletana ed è significativo quanto abbia influito, sul linguaggio delle nuove generazioni del Nord, la loro appartenenza a una comunità costituita negli anni da gruppi molto consistenti di emigranti. «Il futuro è una bugia per carriere da call center La vita è una follia dove il banco vince sempre Chi più ha più prende chi non ha non serve Malattia dell’occidente lobotomia digitale terrestre» Lanfranco Moder Vicari, Invisibili

Il messaggio originario di ribellione e antirazzismo della cultura hip hop si è sempre proposto di sfuggire ai modelli imposti dai media. Quando ci si avvicina al rap, ci si deve confrontare non solo sul piano tecnico e sulla ricerca esasperata di una metrica perfetta, ma soprattutto sui concetti che si esprimono. «Mettendo ognuno a disposizione dell’altro i propri saperi, le proprie opinioni si è verificata una vera e propria crescita ed una presa di coscienza collettiva su quello che è la società odierna, il mondo che ci circonda e quali sono le armi che ab-

«Mai stato a capo chino mi hai sottovalutato Se mi hai dato per sconfitto Affilo versi precisi così le crisi svaniscono Sogni uccisi e traditi che tra le dita finiscono» Lanfranco Moder Vicari, Invisibili, dall’album Sottovalutato, 2013

biamo a disposizione per cambiarlo, per costruirne uno nuovo, migliore, una di quelle armi è il rap, con un microfono tra le mani abbiamo avuto la possibilità di sparare in faccia le nostre parole d’odio e d’amore, di rabbia e di gioia verso un mondo troppo spesso sordo! Tentiamo di stabilire un rapporto sovversivo tra l’arte e la vita» (Laboratorio Di Cultura Hip-Hop Arena 051, Centro Sociale TPO). Gli studenti del I° anno del corso di Stampa dell’Engim (Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo), Associazione senza fini di lucro finalizzata alla formazione professionale, durante il corso dell’anno scolastico 2012-2013, hanno elaborato un progetto collegato allo studio della Cittadinanza attiva e alla mondialità che pone a confronto il testo della Costituzione Italiana ed i testi delle canzoni hip hop. Una ricerca avviata leggendo i principî fondamentali della Costituzione Italiana e alcuni testi di padri e madri costituenti, per poi cercare analogie di ideali nei testi hip hop di tutto il mondo. Ideali fondanti il vivere civile che contengono parole come: popolo, lavoro, diritto, solidarietà, dignità, uguaglianza, indivisibile, minoranze, laicità, cultura, tutela, ripudiare. Al progetto ha collaborato Lanfranco Vicari, in arte Moder, rapper: il suo contributo ha avviato un attivo coinvolgimento di studentesse e studenti. L’interdisciplinarietà tra docenti ha permesso di avviare anche un laboratorio sul linguaggio della Street Art coordinato dalla docente Perla Gori, all’interno del quale due studenti senegalesi hanno prodotto una ricerca sui graffiti in Senegal. «I primi graffiti in Senegal sono comparsi verso gli anni ’70 a seguito dell’apertura degli Istituti di Belle Arti. Quando negli anni ’70 la cultura hip hop si diffonde negli Stati Uniti, un giovane adolescente senegalese inizia ad usare le squallide pareti di alcuni edifici di Dakar come tela personale. Docta, il cui vero nome è Amadou Lamine Ngom, è conosciuto come il “pioniere della graffiti art” in Senegal. Dakar, capitale del Senegal, nasce come prodotto coloniale intrinsecamente legato a modelli spaziali occidentali e racchiude in sé una serie di ambiguità che le giovani generazioni denunciano attraverso i graffiti, segni ur-

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bani che nel tempo diventano strumento di sviluppo e non più una forma inutile di vandalismo. Docta racconta che, all’inizio, i senegalesi non compresero questa nuova forma d’arte, non sapevano nemmeno chi “sporcava illegalmente, di notte, i muri delle loro città”. Decise, allora, di semplificare i messaggi dei suoi graffiti, in modo tale che la gente potesse leggere e capire quello che voleva comunicare. Le immagini e le parole che usa rappresentano la storia del popolo senegalese, le loro lotte quotidiane, ciò che il sistema impone e come le persone dovrebbero comportarsi. Docta afferma che “il vero ruolo di artisti di graffiti in Senegal è quello di utilizzare il loro lavoro come un trampolino di comunicazione tra arte urbana e la popolazione”» (a cura degli studenti Baba Sek e Abdoulaye Toure). «È normale che adesso anche in Italia il rap sia così diffuso, è il genere musicale più immediato, più vicino ai giovani. È l’unico con un’attitudine indigena, ogni nazione ne sviluppa una particolarità, con la brutta eccezione di scimmiottare quello americano, che diventa una buffonata». Lanfranco Moder Vicari

Sopra: Lanfranco Moder Vicari all’Openday dell’Engim, 19 febbraio 2013. Foto di Alberto Giorgio Cassani Sotto: Andrea Ronzoni (studente corso stampa Engim), ricalco immagine ed elaborazione grafica dell’immagine precedente. A destra:alcuni graffiti fotografati nella zona della Darsena

Martedì 19 febbraio 2013, presso Engim Ravenna, si è svolto l’Openday della scuola, una Jam Session tra rap, break dance, parkour: erano presenti Murubutu (Reggio Emilia) e i ravennati Moder, Commando Nuova Era, La Ballotta – gruppo formato dai ragazzi dei corsi Engim e altri artisti emergenti (Lux, AnDread, Cieflin, Caccia la Minaccia, MarshMello Mc, Kilo Mc, Nox & Nebbia), La Casta (Karu & Cholo ft. Kilo Mc), Jay N’ Sisma, Lasagna Style Breakdance Krew. Un Open Day che ha offerto l’occasione di conoscere un modo di fare scuola “naturale”. Obiettivo: far intendere ai ragazzi che la scuola non è solo studio, ma anche una grande opportunità per creare spazi culturali e di socializzazione e per poter ri-conoscere il proprio talento. Di seguito un’intervista realizzata dal gruppo classe del I° anno di Stampa, durante una lezione di Moder: Come hai iniziato a scrivere testi? Ho ascoltato per tanto tempo del rap senza farlo, ho iniziato ascoltando i Sangue Misto, gruppo fondamentale per l’hip hop italiano. Mentre saltavo sulle reti elastiche a dodici anni, un mio amico ha iniziato a cantare un loro pezzo e io sono rimasto sbalordito, quella roba lì mi profumava di periferia, cioè mi sembrava che mi parlasse molto più di altre canzoni. Sono corso subito in un negozio a comprare una loro cassetta, poi ho guardato nei ringraziamenti che questo gruppo faceva ad altri gruppi hip hop e da quel giorno ho iniziato ad ascoltare altri gruppi ordinando i loro album. Questo mi ha permesso di farmi un’idea su quel genere musica. Ci ho messo un po’ prima di scrivere delle rime; quando mi sono trasferito da Cervia a Ravenna ero completamente da solo, anzi a Ravenna avevo parecchi non-amici. Non sapendo cosa fare, per scherzo, ho iniziato a scrivere delle rime; all’inizio non parlavano quasi di niente, era più per fare la rima che per dire qualcosa. Da lì la cosa è stata abbastanza semplice: mi sono accorto che un po’ di talento ce l’avevo, riuscivo ad andare a tempo, a fare delle cose decenti. Allora mi sono detto: cerchiamo altre persone come me! A Ravenna c’era un movimento hip hop e mi sono infilato in questo gruppo; tra l’altro i più grandi amici che ho, li ho trovati grazie all’hip hop. Ho provato anche a “dipingere”

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sui muri e a ballare la break dance, ma non ci sono mai riuscito, ero scarsissimo: ho fatto bene a continuare col rap. Insieme ad un mio amico ho iniziato a suonare quei dieci pezzi per tutta l’Emilia Romagna come un pazzo; ovunque c’era un palco e un microfono io andavo. A un certo punto eravamo noi e un altro gruppo che abitava a Lugo. Eravamo sempre insieme. In quel periodo non c’era niente di hip hop a Ravenna, allora abbiamo organizzato un contest di break dance e abbiamo chiamato anche Esa che a quei tempi era una figura importante nell’hip hop italiano. Abbiamo deciso di fondere i due gruppi, quello di Lugo e quello di Ravenna. Ci siamo messi a lavorare e abbiamo creato cinque-sei pezzi e ci siamo chiamati Lato Oscuro Della Costa; quel giorno è andato molto bene, ci siamo accorti che c’era un botto di gente e tanta energia. Da lì abbiamo cercato di travalicare la regione, io facevo anche freestyle ai tempi, quindi andavo a tutte le gare e alcune le vincevo. Fiorella Margorie e Andrea Ronzoni, studenti del I° anno del corso di stampa hanno, inoltre, intervistato alcuni loro compagni, riguardo l’esperienza di fare pratica di Cittadinanza Attiva, accompagnati, oltre che da una docente, dallo stesso Moder. Di seguito le opinioni raccolte: Fiorella e Andrea: Cosa ne pensi della scelta della nostra docente di integrare lo studio della Cittadinanza Attiva con la storia dell’ hip hop ? Gerard Sucaj: Credo che sia una bella iniziativa, il fatto di far venire un rapper a farci lezione è un modo alternativo ed efficace per farci partecipare alle lezioni con più attenzione ed interesse. Credo che il linguaggio di Moder, così diretto, sia molto più efficace di quello di un insegnante. Sharon Costa, Chiara Domenichini: Questo progetto ci è piaciuto molto, farci lavorare in questo modo alternativo ci ha dato la possibilità di impegnarci in modo più coinvolgente ed acquisire nuove conoscenze sia per quanto riguarda l’importanza dell’hip hop nella cultura giovanile, sia riguardo le somiglianze che ci sono tra le nostre forme di ribellione ed il linguaggio dei padri e delle madri costituenti. Costantino Medoni: È un progetto molto utile, che è riuscito a coinvolgere la classe. Ha dato modo di migliorare le nostre conoscenze di Cittadinanza Attiva ed allo stesso tempo siamo riusciti a creare un collegamento con la storia dell’hip hop. Umberto Asto: È stata una bella esperienza, ci stiamo divertendo molto perché lavorare con Moder ci appassiona. Spero ci siano altre occasioni per fare scuola in questo modo che ci ha dato l’opportunità di conoscere “artisti di strada”. Sandra D’Amato: Questo incontro con Moder è stato alquanto alternativo e interessante anche dal punto di vista della democrazia e dal collegamento che ne deriva con l’hip hop, è stato qualcosa di nuovo che sostituisce la solita lezione banale. In modo da far piacere la materia ai ragazzi. Fiorella Guerra: Io penso che le cose si possano fare in tanti modi. Siamo riusciti a cogliere l’occasione. Alla classe è stato proposto di avviare un laboratorio con Lanfranco che ci ha permesso di unire un genere musicale che oggi come oggi è molto comune tra i giovani come l’hip hop alla materia di Cittadinanza Attiva del nostro corso e approfondirli. Entrambi gli argomenti sono strettamente collegati tra di loro, perché la storia ci insegna come, da

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«Ascolti e scruti i volti, segnati da spaventi In quest’ambiente, gente impaziente, d’amore carente La nostra primavera è nera Nella triste atmosfera di questa era Stasera venditi l’anima intera Per non sentirti straniera» Noureddine Aouadi, Studente del I° anno Corso Stampa

Graffiti a Dakar (Senegal).

sempre, l’hip hop è stata una forma di manifestazione e protesta. I maggiori esponenti di questo genere musicale hanno sempre voluto parlare nei loro testi dei disagi della società o dei disagi nel vivere “nella città”. Gli incontri fino ad ora avuti con Lanfranco sono riusciti a coinvolgere la classe e a suscitare in tutti delle opinioni. Io penso che sia più facile per noi giovani ascoltare qualcuno come lui che il classico docente. Gli incontri sono stati interessanti e alla classe è piaciuto molto. Fiorella: Cosa ne pensi di Moder ? Noureddine Aouadi: Vorrei che facesse una canzone con me perché è l’unico dei rapper che parla di cose sensate. Riesce

Moder, alias Lanfranco Vicari, nasce a Ravenna nel 1983. Dai primi anni Novanta segue il rap italiano e da inizio 2000 si cimenta con l’arte dell’MCing. Nello stesso periodo fonda il gruppo rap Alleanze Scisse (A.S. Click) insieme a Penombra e Dj Mastafuck. Nel 2001 Moder pubblica il suo primo EP solista, “Diari”, con testi autobiografici che attirano le prime attenzioni. Nel 2003 Alleanze Scisse e i concittadini Delitto Perfetto decidono di fondersi per creare Il Lato oscuro della Costa: da diverso tempo i due gruppi si esibivano insieme nei live dimostrando forte affinità. Il nuovo gruppo è inizialmente formato da Moder, Penombra, Polly, Tesuan, Dj Nada e Dj Mastafuck, e nel 2003 pubblica “Il promo”, disco che arriva quando l’affinità tra componenti è cresciuta a seguito di vari live. Poco tempo dopo Dj Nada diventa l’unico dj e beatmaker de Il Lato oscuro della Costa. Nel 2006 la band pubblica “Artificious” (Minoia Records), disco che racchiude due anni di lavoro ed è ben accolto dalla critica. Tra i featuring Asher Kuno, Kiave, Esa aka El Presidente, Mistaman, Maxi B e Zampa, a testimonianza di tutte le connessioni sviluppate in questo periodo. Moder e gli altri membri del

CITTÀ E SOCIETÀ

a parlare di com’è il mondo e di com’è la società dei giorni nostri. Attraverso la sua musica vuole fare chiarezza. Un ringraziamento a Lanfranco Moder Vicari, per aver collaborato ad accendere bagliori di speranza nelle menti degli studenti del I° anno del corso di Stampa: Giovanni Angeletti, Noureddine Aouadi, Davide Asaro, Umberto Asta, Alice Bassi, Sharon Costa, Giovanni Cuomo, Sandra D’Amato, Malick Dieng, Chiara Domenichini, Ilaria Giardini, Diburga Guerra, Luna Mandorlini, Fiorella Margorie, Costantin Medoni, Martina Monti, Andrea Ronzoni, Baba Sek, Mouhamadou Bamba Sek, Gerard Sucaj, Abdoulaye Toure, Francesko Zelo, Enzo Zizzamia.

gruppo continuano in parallelo l’attività solista. Nel 2007 è l’anno di Delitto perfetto con “Doublethinkers”, progetto di Polly e Nada che miscela l’hip hop a sonorità più elettroniche. Nel disco spicca la collaborazione con gli statunitensi Kill the Vultures. Nel 2008 ecco un nuovo capitolo del filone avant hip hop del Lato oscuro della Costa: Grand Guignol è un concept ep firmato Mr Hellink, ossia Tesuan e Nada. Nel febbraio del 2010 invece arriva il secondo album de Il lato oscuro della costa pubblica, “Amore, Morte, Rioluzione”. Questa volta a curare la produzione esecutiva è Brutture Moderne/Semai – etichetta indipendente fondata dal breaker Andrea “Duna” Scardovi e dal musicista Francesco Giampaoli. Un lavoro che è il prosieguo del percorso intrapreso con “Artificious” e con i due side-project Delitto Perfetto e Mr. Hellink, ma più orientato all’elaborazione dell’alternative rock come fonte di campionamento e ispirazione – sempre inserito in un contesto prettamente hip hop. I live del gruppo toccano tutta Italia, con ottimi riscontri. E senza che questo impedisca ai progetti solisti dei membri della band di continuare a svilupparsi. “Cose di un

anno” di Massimiliano “Penombra” Benini: una canzone al mese per dodici mesi per creare un EP in free download. “Correvo senza mai arrivare” di Tesuan: un rapper che a cavallo dei trenta anni inizia a fare i conti con le responsabilità della vita. Godblesscomputers: il progetto solista di Dj Nada, ora di stanza a Berlino, in cui la sperimentazione elettronica è fulcro della sua ricerca musicale. Nello stesso periodo Moder inizia a lavorare a un nuovo progetto solista che pubblica ad aprile 2011. “Niente da dirti mixtape” lo porta a calcare molti palchi italiani. Un mixtape che apre la strada all’EP “Sottovalutato”, in uscita a inizio 2013. “Sottovalutato” è il primo atto di un progetto che prevede l’uscita di almeno altri quattro ep. L’intento di Moder è quello di riunire artisti underground che reputa validi ma che non hanno la visibilità che meritano. Sottovalutati. Tra le partecipazioni di questo primo atto, figurano nomi della scena hip hop underground come Alien Dee, Blodi B, Henri Sharra (CNE), Brain (Fuoco negli Occhi), Claver Gold, Dj TRobb, Dj 5L, Dj Bless, oltre a Godblesscomputers (Biografia tratta da Rokit).


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Cronache e Racconti di Architettura di Paolo Bolzani

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CITTÀ SOSTENIBILE

Non serve solo parlare, iniziamo ad agire… Progetti concreti per intraprendere un percorso “verso la sostenibilità” L'uomo e la natura, da sempre, hanno vissuto un rapporto simbiotico, ma al tempo stesso conflittuale. Il pensiero ecologico, in fondo, è un pensiero che accompagna da sempre l'evoluzione biologica e lo sviluppo storico dell'uomo perché fa parte del modo naturale di vivere l'ambiente. Consumare senza sprecare, utilizzare senza danneggiare, progredire senza distruggere. E tutto vissuto e praticato all'interno di un tempo ciclico, fondatore e portatore di una ritualità che implica, nel profondo, il rispetto e la sostenibilità delle risorse. Il pensiero occidentale per molto tempo si è basato sulla nozione darwiniana di selezione naturale e sulle capacità di adattamento delle differenti specie fondando, su questo, le ragioni del modello di sviluppo industriale. La coscienza "verde" non è frutto solo del particolare momento storico che si sta attraversando, ma ha dei precursori come la quasi totalità dei fenomeni societari. L’inizio può farsi risalire a George Catlin, che fu il primo ad occuparsi della preservazione dei paesaggi naturali. Catlin, già nel 1832, incarnò tre idee fondamentali per la preservazione della wilderness: fu contrario alla teoria della cornucopia sull'inesauribilità delle risorse; predisse che parallelamente al crescere della civiltà (o meglio con il crescere del tasso d'urbanizzazione) ci sarebbe stato un crescente interesse per la natura. Solo dopo la tragedia dell'11 Settembre 2001, con i cosiddetti movimenti No Global e quelli ecologisti –Green Peace e quelli afferenti all'ecologista e attivista Vandana Shiva in primis– e con l'inizio della presidenza Obama, il tema dei consumi green diviene sempre più centrale ed esce progressivamente dal mercato di nicchia per diventare vero e proprio movimento culturale: critico di un sistema di sviluppo e consumo da un lato, appetibile ed accattivante per una sempre più larga fascia di consumatori dall'altro. La responsabilità sociale d'impresa, l'impatto ambientale del modello di sviluppo, le riflessioni sulla decrescita e lo sviluppo sostenibile, i movimenti di consumatori critici, divengono i temi centrali del dibattito politico e del marketing, costringendo la politica, l'impresa, la distribuzione a ragionare in termini di greenmarketing autentico e non solo di sue simulazioni. Allora proviamo pragmaticamente ad ipotizzare, attraverso un esempio, un percorso progettuale concreto, cosa significa progettare la sostenibilità, cosa sono azioni concrete di green-marketing territoriale che possano produrre ricadute positive sul territorio? Per rispondere a questa domanda dobbiamo immagi-

ABITARE LʼHABITAT

nare e proporre azioni concrete attraverso la ideazione di un progetto che possa intraprendere un percorso verso la sostenibilità al fine di: • diminuire gli impatti ambientali prodotti dalle attività umane, produttive e di servizio; • iniziare una fase di sensibilizzazione realizzando punti di informazione dedicati alla sostenibilità, facilmente fruibili ed accessibili alla cittadinanza, agli operatori sociali ed economici; • realizzare uno spazio permanentemente e polifunzionale sul territorio, che generi cultura ambientale e porti beneficio a tutti i cittadini; • coinvolgere potenziali sponsor e partner in iniziative di sostenibilità realmente spendibili per il territorio; • mettere l‘uomo al centro, evitando di fare della sostenibilità solo un contenitore di soluzioni tecnologiche o di prodotti; • promuovere iniziative reali (e non di mera comunicazione), con un respiro rivolto alle nuove generazioni; • favorire la messa a fattore comune di esperienze ed esigenze diverse, secondo una logica di trasversalità. In tal senso il progetto dovrebbe diventare un supporto alla gestione territoriale ed alla riduzione degli impatti generati dalle attività umane e dalle organizzazioni interessate nelle tre forme tipiche della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. Il connubio tra risorse private, esigenze degli enti locali ed aspettative dei cittadini, può fare di questo progetto un nuovo modello di gestione del territorio che, tutelato nei suoi elementi ambientali di valore e fatti salvi i contenuti fissati dai diversi strumenti di pianificazione/programmazione, persegua un fattivo equilibrio tra tutti gli elementi di sostenibilità, ivi inclusi quelli sociali ed economici, senza considerare la tutela solo come un costo insostenibile nel medio-lungo periodo. Un progetto come questo può dunque nascere come “occasione” con la quale l’intera comunità o anche solo una parte di essa e/o del mondo produttivo può profondamente ripensare l’organizzazione del proprio agire mettendosi in gioco da protagonista, non pensando che qualcuno compensi “l’impronta ecologica” piantumando in qualche landa sperduta, magari acquistando certificati bianchi/verdi, ma: • ragionando “a mon-


54 55 TC1304:Layout 1 16/04/13 13:53 Pagina 55

te” sul come migliorare gli aspetti organizzativi al fine di ridurre gli impatti finali “ a valle”; • compensando a valle la CO2 residua (secondo la logica prevista dal Protocollo di Kyoto), restituendo qualità ambientale al proprio territorio, sia per poterne presidiare lo sviluppo, sia per poter coinvolgere scuole ed enti locali, al fine di condividere iniziative educative e culturali, sempre in coerenza con il concetto di porre l’Uomo al centro; • supportando gli enti locali nella gestione del verde pubblico dati anche i recenti tagli alle risorse economiche; • sviluppando iniziative continue e non fini a se stesse, anche per favorire un rapporto continuativo tra i promotori e il territorio; • coinvolgendo aziende interessate a condividere queste tematiche e le sfide in esse previste. Dunque, un approccio alla Sostenibilità come leva “strategica” e non di mero opportunismo di breve termine, ove unire l’obiettivo della compensazione di CO2 con lo sviluppo di azioni rivolte alla Responsabilità Sociale d’Impresa da parte di organizzazioni private. Nella sua evoluzione il progetto potrebbe trasformarsi attraverso l’implementazione di altri sotto-progetti che traducano i principi generali della sostenibilità in azioni concrete. Per esempio si potrebbero ipotizzare iniziative relative a: • rimboschimento di aree del territorio provinciale; • riqualificazione secondo criteri di Green Building o altri protocolli si sostenibilità come IRH-Med di edifici/manufatti inutilizzati; • creazione di laboratori permanenti della sostenibilità: luoghi espositivi di nuovi progetti, prodotti e tecnologie innovative, di incontri ed eventi relativi al tema; • iniziative di educazione ambientale; • attivazione di punti di promozione delle eccellenze delle produzioni agro-alimentari locali; • promozione di attività di eco-turismo. Un progetto così, potrebbe, nel volgere di poco tempo raccogliere una quantità di interessi, disponibilità ed indicazioni da parte di sponsor, partner e stakeholders rilevanti: definizione del Team di progetto, individuazione delle aree per la realizzazione dei progetti, stakeholders engagement ed ……avvio dei lavori! Risulterà certamente determinante l’ingaggio di tutti questi attori: al fine di coinvolgerli fattivamente e favorire un reale confronto, anche per evitare scelte non condivise con tutte le parti interessate. Il ruolo importante degli stakeholders rilevanti permetterà di focalizzarsi sulle iniziative di “sostanza” e non solo sulle azioni di breve periodo, che a volte corrono il rischio di essere troppo concentrate a migliorare l’immagine dell’Organizzazione. Tutti i soggetti interessati si impegnano fin da subito ad effettuare un’analisi degli aspetti rilevanti per il proprio business, siano essi di processo o di prodotto, facendo riferimento a modelli Internazionalmente riconosciuti (ad esempio lo standard ISO 20121). Così come le aree oggetto di riqualificazione ambientale e riforestazione verranno individuate secondo un approccio modulare e graduale (al fine di creare una “rete di compensazione locale”) lo stesso Progetto potrà essere sviluppato e declinato nei suoi contenuti nel tempo, gradualmente. Crediamo nella Sostenibilità come l’inizio di un percorso che, probabilmente ed auspicabilmente, non si concluderà mai.

Marco Turchetti [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com

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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE

Dopo la fase di stallo, riprendono a muoversi le compravendite, sia di chi vuole cambiare casa, sia di investitori di fascia medio-alta. Anche grazie a prezzi convenienti. Ce ne parla Pierluigi Fabbri, presidente Fimaa Ravenna

In un’epoca di poche certezze, il mattone resta l’investimento preferito dagli italiani. Da sempre considerata un bene rifugio, la casa è in grado di evocare nell’immaginario collettivo serenità e stabilità. Nulla di che stupirsi dunque se l’acquisto di un immobile resta in testa ai sogni delle persone, soprattutto considerando che nel nostro Paese si registra uno dei più alti tassi al mondo per quanto riguarda la proprietà di case. «Con l’arrivo della primavera, stiamo assistendo a un certo risveglio del mercato immobiliare – afferma il presidente provinciale Fimaa, Pierluigi Fabbri –. Una ventata di ottimismo segnalata da più agenzie, grazie al maggiore afflusso di persone interessate all’acquisto. Un effetto dovuto probabilmente anche allo stallo dei mesi precedenti in cui, anche se non mancava il movimento, c’era però una maggiore titubanza in fase conclusiva. In un periodo in cui nessun investimento si rivela sicuro, in cui i titoli in borsa subiscono oscillazioni da capogiro, il mattone continua a tenere e questo non è certo poco». Un clima di maggiore fiducia favorisce dunque non solo chi è alla ricerca della prima casa, ma anche gli investitori intenzionati a mettere a reddito il proprio immobile. «A muoversi – aggiunge Fabbri -, sono in particolare investitori di fascia medio o medio-alta, pronti a comprare un appartamento da locare dato che questo è un momento propizio per gli affitti. Nel mercato si evidenzia infatti un’alta richiesta di immobili di buon livello che necessita di una risposta». Per molti questa è anche l’occasione giusta per fare il salto di qualità, ricercando un immobile più grande o adatto alle proprie rinnovate esigenze. Venendo a mancare il supporto delle banche, sempre più restie e concedere mutui, gran parte degli acquisti si effettua con pagamenti frutto di risparmi, soprattutto per le seconde case, o di cambi case, per chi appunto intende migliorare il proprio livello qualitati-

MERCATO IMMOBILIARE

vo. Comprarsi casa resta una delle poche vere soddisfazioni in tempi di recessione economica, ancor di più se si riesce a strappare un prezzo più conveniente in fase di trattativa. Il consiglio è sempre quello di rivolgersi a un buon professionista. «Compito dell’agente immobiliare – commenta il presidente provinciale Fimaa –, è quello di saper dare tutte quelle informazioni utili per arrivare all’acquisto che sia veramente quello giusto per il cliente. Il 90 per cento di chi ha recentemente comperato casa ad esempio, se facesse fa un’autoanalisi, vedrebbe che la casa che ha acquistato è ben diversa da quella che nella fase iniziale aveva pensato di acquistare. Occorre esaminare tanti fattori, di diversa natura, a partire ovviamente dallo stato familiare e dalla propria disponibilità economica: a volte, è necessario qualche compromesso, tipo accontentarsi di una metratura un po’ più contenuta o cambiare zona di ricerca, spesso senza poi rinunciare a granché che sia effettivamente importante per le proprie necessità. Le pretese devono sempre tener conto della realtà».

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