07 ORDITURE DEL TERZO SPAZIO DAL CONSUMO DI SUOLO AL RICICLO DELLE AREE PRODUTTIVE AGRICOLE
ORDITURE DEL TERZO SPAZIO DAL CONSUMO DI SUOLO AL RICICLO DELLE AREE PRODUTTIVE AGRICOLE
A CURA DI PAOLA MISINO e MICHELE MANIGRASSO
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Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Architettura dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti–Pescara
Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978-88-548-7256-1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2014
PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%
Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino
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Il Quaderno nasce in occasione della prima tappa di incontri nazionali della ricerca PRIN Re-cycle Italy - "Viaggio in Italia_1. Riciclare i territori fragili Pescara 9-10 ottobre 2013" (Coordinatore UnitĂ di Pescara Francesco Garofalo) e raccoglie i contributi del Laboratorio tematico "Orditure del terzo spazio. Riuso delle aree produttive agricole", a cura di Paola Misino e Michele Manigrasso.
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INDICE
TEMI
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Agricoltura e progetto. Re_innesti nei territori urbani di margine abruzzesi Paola Misino (UniCH)
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Processo al consumo dei suoli attivi in città. Una riflessione in chiave ecologica a favore dell'agricoltura Michele Manigrasso (UniCH)
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CONTRIBUTI LAB/05. ORDITURE DEL TERZO SPAZIO
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Quelques réflexions sur l’émergence des agricultures urbaines en Europe du sud Pierre Donadieu
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Scarti immobili, tra erosione e abbandono. Note sul riuso produttivo dei paesaggi rurali Marco Bovati (PoliMI)
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Aree agricole e spazi in abbandono. L’assetto del non-costruito nel comparto Roma-mare Andrea Bruschi (UniRM)
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Strategie per la città e l’agricoltura. Appunti per progetti adattivi e reversibili Gianni Celestini (UniRC)
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Contributo dal Lab/05
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Le trasformazioni del paesaggio agricolo della Rotaliana-Königsberg: potenzialità progettuali nell'ambito del recycling Vincenzo Cribari e Stefania Staniscia (UniTN)
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IN PROGRESS. DOTTORATO DI RICERCA
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[ISOLE ALTRE]. Abbandoni e possibili ritorni nello spazio rurale della Sardegna del Sud Sara Impera (Dottoranda PoliMI)
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Sulle Alpi. Abbandono e riscoperta dell’architettura dei territori rurali montani Mauro Marinelli (Dottorando PoliMI)
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Agricoltura e paesaggio. Ipotesi di riciclo in chiave multifunzionale dei terrazzamenti della Costa Viola Elisabetta Nucera (Ph.D UniRC)
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MOMENTI DI CONFRONTO 9 LABORATORIO 05_ ORDITURE DEL TERZO SPAZIO. RIUSO DELLE AREE PRODUTTIVE AGRICOLE
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TEMI
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Greenhouses, Almira Peninsula, Spain 2010. Foto di Edward Burtynsky
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AGRICOLTURA E PROGETTO. RE_INNESTI NEI TERRITORI URBANI DI MARGINE ABRUZZESI Paola Misino >UniCH
Premessa Nel corso degli ultimi 30 anni l'ampio dibattito sulla trasformazione dei territori detti delle "frange urbane" ha ormai consolidato le diverse teorie e statistiche sulle configurazioni del paesaggio intersezione tra città e campagna; la vasta documentazione prodotta sul tema ci restituisce un glossario di riferimento che abbraccia le possibili coniugazioni dei termini vicini ad agricoltura e urbanità, a rurale e cittadino, sullo sfondo di discipline che alternano e sovrappongono ecologia, agraria, economia, sociologia, architettura ... In questo panorama noto e in buona parte esaustivo, il contributo che si intende dare nell'ambito della Ricerca Re-cycle Italy sposta le questioni sulle peculiarità locali insite nel quadro nazionale. Il senso stesso di raccogliere all'interno di questo Quaderno le esperienze di regioni rappresentative delle diversità culturali italiane tra nord e sud, si pone come obiettivo quello di "scendere sul campo", mostrando le possibili specificità dei tanti significati che può assumere la definizione di agricoltura urbana. L'uso comune che si fa di questo termine tende a concettualizzare l'immagine di un paesaggio che, come un paradosso, appare astratto, senza
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luogo, dunque ci sembra necessario in questa ricerca spostare invece la centralità delle questioni affrontate sul lavoro delle differenze locali: si può parlare di agricoltura se sullo sfondo non rimangono come costanti le diversità della terra, del clima, delle risorse, della cultura del territorio...? Partendo da questo presupposto, prendono anche sfaccettature diverse le motivazioni e le modalità in cui la disciplina architettonica invade i confini della coltivazione della terra, assumendo come requisito ormai consolidato quello del "progetto agricolo" come strumento di riqualificazione di aree periferiche dismesse. Un osservatorio per l'Abruzzo "Se è vero che la grande trasformazione dell'Italia contemporanea - come ha scritto una volta Ruggiero Romano - è stata determinata soprattutto dai mutamenti intervenuti nel mondo agricolo, l'Abruzzo di tale fenomeno diventa quasi un caso paradigmatico"1. Regione sorretta in primo luogo dall’attività agricola, e dunque politicamente e culturalmente debole nel suo passato, l’Abruzzo, ha risentito della vicinanza delle regioni confinanti storicamente più organizzate; le migrazioni stagionali dei lavoratori terrieri nell’Agro Romano, nelle Puglie, in Basilicata e in Maremma insieme alla tradizione della pastorizia transumante, hanno destinato la regione ad avere al suo interno delle subregioni che ancora oggi distinguono il territorio abruzzese. Infatti le zone del Teramano mezzadrile, della Marsica fino al Fucino prosciugato, della città lineare costiera, della montagna aquilana e chietina e l’entroterra molisano si compongono di realtà economico-agricole differenti; ognuna di queste parti, culturalmente ancora sente gli effetti della vicinanza con i grandi centri come, Roma, Napoli, Ascoli Piceno e con i centri maggiori pugliesi come Foggia. D'altronde la separazione dal Molise nel 1963, i conflitti interni tra l’Aquila e Pescara per il capoluogo, l'aspirazione della popolazione Marsicana a costituirsi regione a sé, hanno contribuito fino ad un periodo recente ad incrementare una debolezza politica ed imprenditoriale a scala nazionale, lasciando però all’agricoltura il primato produttivo. Nel 1911 l’Abruzzo vantava circa il doppio dei piccoli proprietari terrieri rispetto alle medie del centro-sud, anche se la povertà generale della regione ha fatto degli abruzzesi un popolo noto soprattutto per il fenomeno di emigrazione all’estero. La costruzione dell’asse infrastrutturale adriatico e la trasversale verso Roma, hanno innescato un processo di
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ulteriore di esodo regionale verso i luoghi economicamente più attrattivi. È indubbio che qui, più che altrove, il panorama agricolo racconta questa trasformazione; è emblematico il fatto che fino a tutto l'ottocento il territorio coltivato fosse situato per lo più in zone alte sopra i 500m2 e che oggi esso risulti in parte abbandonato a vantaggio di postazioni a valle che possano garantire più mobilità. Ma ciò che in questa sede interessa sottolineare è il tipo di paesaggio che l’esodo dalle campagne ha prodotto nello spostamento verso la costa3. Negli anni '80 in Italia tale fenomeno ha costituito il centro di un ampio dibattito sulle trasformazioni del territorio in cui le cause sono state in buona parte attribuite alla propagazione di episodi urbani verso la "campagna", lasciando in secondo piano le alterazioni dell’ambiente rurale/ agricolo che, invece, contemporaneamente segnavano delle tappe fondamentali di un’evoluzione quantomeno irreversibile. Probabilmente anche a causa di economie profondamente diverse, la questione vista nella direzione opposta, cioè dalla "campagna" verso i nuclei urbani, è rimasta in secondo piano, fatta esclusione per gli studi demografici e geografici che nel tempo hanno restituito i dati allarmanti riguardanti il drastico svuotamento di popolazione delle aree rurali interne, a vantaggio della vita urbana La caratteristica che distingue l’Abruzzo dal continuum edilizio del paesaggio costiero adriatico, risiede tutt’oggi nella componente agricola dei singoli insediamenti. La forza dell’espansione lineare dei centri urbani lungo le principali infrastrutture costiere si scontra con una tradizione agraria manifesta ancora adesso nella forma dei “casali urbani”, malgrado essi abbiano sostituito in molti casi l'attività produttiva prioritaria con funzioni più consone alla città, sia nelle costruzioni nuove che nelle preesistenze. La configurazione infrastrutturale a pettine mette in risalto, lungo le trasversali, l’effettiva modificazione delle case agricole nel cammino verso la città; i nodi di incontro con l’espansione lineare urbana danno vita ad interessanti coesioni tra carattere rurale e contaminazioni urbane. Tuttavia, a livello regionale, se questa supremazia del carattere agricolo è stata in passato indice di arretratezza, ora sembra essere un elemento trainante rispetto alla crescente "presa di coscienza" della politica nazionale (almeno all'apparenza) del disastro ecologico irreversibile che la perdita della cultura della terra sta causando. Dal 1970 al 1995, tra "esodo
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rurale" ed espansione urbana il territorio detto delle frange urbane, subisce in modo crescente, la perdita di suolo destinato all’agricoltura. La terra sottratta viene abbandonata ad un "incolto sociale" oppure rimane in attesa di una conversione generalmente ad usi urbani. La gestione di questi territori "fragili" è rimasta silenziosa e nascosta fino a quando negli anni duemila è entrata in gioco l'emergenza di tutela del territorio, derivante dal pericolo incombente di un uso incontrollato di occupazione del suolo naturale. Dall'ultimo resoconto ISTAT 2012, risulta che negli ultimi dieci anni, in Italia l'espansione urbana ha prodotto una perdita di territorio pari a quarantacinque ettari giornalieri. Questa urgenza di "salvare" quel che resta del paesaggio naturale diviene l'immagine culturale del nostro tempo, spesso deviata da un'idea forzata di ecologismo "a tutti i costi": tutto parla di una necessità impellente di ritorno alla terra, di ritrovare pezzi di campagna negli spazi interstiziali ai margini delle città, di scoprire condizioni di vita bio-sostenibili. Questo moto legato al turismo naturalistico, "pulito", che si sta diffondendo, se da un lato alimenta economicamente la rinascita di un buon numero di medio/piccole aziende agricole, dall'altro radica i presupposti su criteri fortemente artificiali, individuati spesso con il termine "agri-urbanismo". Tra i requisiti di questi territori "di conquista" ci devono essere la facile accessibilità stradale, la presenza di un punto agroalimentare biologico, spesso inserito nelle guide enogastronomiche, la presenza di servizi per passare il tempo (posti letto, centri benessere per il corpo, maneggi, laghetti artificiali per la pesca, vicinanza con sentieri escursionistici ...). La rete che si sta consolidando in Italia che unisce le città con questi "punti campagna", nasce anche grazie alle possibilità di ottenere co-finanziamenti pubblici offerti dal Piano Strategico Nazionale dello Sviluppo Rurale per quegli ambiti amministrativi classificati come "aree rurali", in base al numero di abitanti inferiore a 150 per Kmq. Dunque, sono spesso escluse da possibili incentivi economici le riqualificazione di tutte le ex aree agricole a ridosso dei centri urbani; luoghi più densi di popolazione in cui, nella maggioranza dei casi, si conserva invece una forte matrice rurale insita nella marcata presenza di "famiglieaziende" che culturalmente provengono dalla campagna. Come fa notare Costantino Felice4, in Abruzzo l'impresa familiare rimane
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uno tra i fattori positivi di crescita economica della regione, rispetto alla concezione, molto diffusa di recente, di un'agricoltura imprenditoriale a "bassa intensità di lavoro e a elevato tasso di meccanizzazione e chimizzazione"5. Da questa fusione tra tradizioni legate al lavoro della terra e nuove funzionalità urbane, sembra essersi fatta strada da sé una tra le espressioni più emblematiche di reinterpretazione sociale di un territorio nato con altri usi. L'ambiguità, la fragilità di questi luoghi si connota in una sua riconoscibilità, in un "terzo spazio" , in cui la tensione tra origine contadina e trasformazione urbana è insita nella forma dell’abitazione. I terreni su cui sorgono queste costruzioni sono caratterizzati in genere da un recupero parziale della funzione agricola originaria e, perciò, costituiscono delle isole nel mare incolto di territorio in attesa di una destinazione. La funzione agricola rappresenta per la gran parte dei casi un'occupazione marginale che integra economicamente l’attività principale della famiglia e spesso diviene anche un modo per usufruire dei terreni catalogati dalla legge “ad uso agricolo” anche quando, di fatto è consolidata un’altra attività dalle caratteristiche più urbane. Tuttavia non si può negare che l’agricoltura, soprattutto in Abruzzo, continua a caratterizzare queste aree. I volumi, infatti, occupano generalmente la fascia che costeggia la strada di accesso principale, lasciando sul retro ampi spazi coltivati. Le abitazioni sono ben distinte dai capannoni produttivi e, nel loro insieme, dichiarano una riconoscibilità rispetto alle "villette" familiari provenienti dall’espansione urbana. Criteri di individuazione delle linee di ricerca Come spesso accade nel gap tra ricerca teorica sul paesaggio urbano e realtà delle trasformazioni del territorio, il fenomeno di abbandono del suolo agricolo ha innescato un processo di riappropriazione "spontaneo" dell'uso della terra con attività economiche più redditizie, caratterizzate da progetti il più delle volte estranei alla cultura architettonica. La ricerca Re-cycle viene intesa come opportunità per riportare al centro della questione il ruolo del progetto come strumento di reinterpretazione della funzione agricola che seppur declassata ad un ruolo secondario rispetto alle dinamiche economiche urbane, possa continuare ad essere strumento di salvaguardia del territorio sia come sostentamento economico che ecologico.
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Come nota Emilio Sereni nella sua "Storia del paesaggio agrario italiano", le trasformazioni sociali della cultura rurale hanno caratterizzato la forma stessa del paesaggio agrario e il disegno della sua architettura; ugualmente la struttura del territorio ai margini dei centri urbani in Abruzzo è testimonianza di uno stato ormai permanente di "situazione di passaggio" in cui sembrano convivere diversi modi di intendere il paesaggio agricolo. In questa precarietà, la costante rimane la presenza dell'impresa familiare nella gestione del cambiamento. Ripercorrendo infatti i passaggi più significativi della relazione tra fattore economico e trasformazione del paesaggio agricolo negli ultimi trent'anni, emerge che alla fine degli anni '80 la gestione dell'agricoltura abruzzese era per il 30% caratterizzata da aziende alla scala nazionale, mentre all'inizio degli anni 2000 il valore si dimezza al 16%6; viceversa una maggiore crescita produttiva si ha proprio nelle strutture poderali di dimensioni ridotte, associate generalmente alla conduzione familiare7. Si potrebbe dunque dire che a fronte di un diffuso tentativo di rilancio del settore agricolo italiano sul mercato a scala internazionale, l'Abruzzo sembra sostenersi di fatto su quella piccola produzione, spesso non professionale, che originariamente è stata vista come indicatore di povertà ma che in realtà risulta essere una importante fonte potenziale di ripresa economica. Per certi versi, dunque, il perpetuarsi di un modo di intendere l’abitazione familiare connessa alle attività produttive pone la pratica del riuso di queste ex aree agricole ancora in armonia con un’entità, quella rurale, oggi ancora ben presente. Entità che si tramanda, appunto, nel mettere mano al disegno del territorio attraverso attività produttive familiari, anche se prive di legame con la funzione agricola. Scendendo in merito alla tipologia di questi fabbricati, si nota come la tensione tra origine contadina e trasformazione urbana sia insita nella forma complessiva stessa, che pur mantenendo i requisiti costruttivi consoni ad un'immagine "cittadina", mantiene il volume annesso all'abitazione destinato all'attività produttiva, in memoria della tradizione culturale del lavoro svolto in famiglia: gli usi si modificano e da rimessaggio agricolo diviene negozio, laboratorio artigianale, officina ...o comunque contenitore di attività che hanno perso ogni legame con l’agricoltura per rivolgersi ad un’attività di servizio legata alla città. Nelle nuove realizzazioni, la riproposizione di uno schema insediativo ru-
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rale reinterpretato da necessità contemporanee, sembra aver prodotto un anomalo caso di “riciclo astratto”, dove, cioè, l’involucro produttivo elude ogni rapporto vincolante tra forma e funzione. È questo, probabilmente, l’aspetto più esasperato del fenomeno di riuso che allo stesso modo coinvolge i fabbricati rurali preesistenti e poi recuperati, svuotando completamente la forma dal significato originale a vantaggio di nuovi usi: mentre l'abitazione, in quanto casa isolata familiare, viene costruita a misura dell'utente, il volume destinato all’attività lavorativa costituisce la componente “malleabile” soggetta agli impulsi variabili provenienti dalle diverse strategie urbane. Tornando alle ricadute sulla trasformazione del territorio, la conduzione produttiva familiare, se da un lato offre ampie opportunità di una salvaguardia del paesaggio attraverso la gestione, anche non professionale, della terra, dall'altro è stata ed è tuttora la causa principale dell'abbandono di gran parte dei territori agricoli; come è noto, la crisi economica unita alla difficoltà di garantire continuità del mestiere alle generazioni successive, ha prodotto lo svuotamento dei campi provocando, nelle aree di margine dei centri urbani, situazioni "in attesa" di nuovi significati. La lettura della situazione di fatto ha portato all'individuazione di cinque macro-ambiti oggi riconoscibili nel disegno del territorio intorno il nucleo urbano di Pescara, come temi potenziali del progetto su cui si sviluppa la ricerca. 1. spazi in attesa. Sono ex aree agricole in apparente abbandono raggiunte dall'espansione urbana, frutto della crisi dell'agricoltura dopo gli anni 50. Generalmente sono aree private che vengono declassate nel tempo e incluse dalle amministrazioni come processo di espansione della città. Tuttavia sono anche presenti molti casi in cui le strategie di guadagno dei proprietari fanno riferimento a leggi sulla salvaguardia dell'ambiente per istallazioni di impianti di fotovoltaico, di impatto deterrente . 2. punti campagna. Sono aree in cui, negli ultimi 15 anni, si sono sviluppate attività di agriturismo grazie anche alle agevolazioni finanziarie permesse dalla legge. La risposta positiva della gente a passare vacanze e tempo libero in questi
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posti rappresenta la manifestazione sociale del "desiderio di campagna" dei cittadini, trasformandosi spesso anche in icona di tendenza. Come è accaduto per la Toscana, diverse "operazioni campagna" restituiscono l'immagine poetica della natura incontaminata pur essendo paesaggio costruito e mantenuto, come in un set cinematografico per alimentare il turismo estero in cerca dell' "immagine Italia". 3. case familiari produttive. La "casa produttiva" è una tipologia abitativa che in modo "dilagante" ha occupato buona parte del territorio italiano ai margini delle città (in modi non sempre leciti), e che in generale è caratterizzata dalla permanenza dell’impianto tradizionale della casa familiare agricola, contrapposto alla flessibilità dei locali su strada, destinati alla produzione e rivitalizzati da funzioni urbane (negozi, officine, ecc...). Sul retro, in genere, sopravvive l'orto agricolo non più come attività primaria ma come una forma di retaggio della tradizione. 4. orti urbani. Per orto urbano, com'è noto, si intende un' area pubblica verde generalmente assegnata agli interventi di Case economiche sociali con la funzione di orto per il sostentamento alle famiglie disagiate. Nella ricerca progettuale contemporanea, l'orto viene anche considerato come elemento artificiale di completamento del volume architettonico; l'edificio composto da alloggi individuali aggregati conserva l'orto ad uso degli abitanti, su tutti i livelli dell'edificio, divenendo anche ricerca estetica del progetto. 5. agricoltura industriale. In diverse regioni italiane all'interno dell'estensione urbana la coltivazione alimentare in serra ha assunto il valore della fabbrica sia come immagine che come organizzazione del lavoro: i volumi, le modalità del ciclo produttivo, la distribuzione finale del prodotto includono l'attività agricola in un settore commerciale industriale, molte volte falsandone il processo naturale. Con la crisi economica e il fallimento delle aziende, intere aree coperte da serre, anche microclimatiche, sono state abbandonate innescando un processo di dismissione e di bonifica dei suoli pari a quello industriale.
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I macro-ambiti di progetto incidono sullo sfondo dei due temi che governano il cambiamento delle aree agricole e non possono prescindere dal sistema legislativo/economico che governa il territorio della regione, tantomeno dalle competenze agronome che definiscono le possibilità di nuovi impianti agricoli sulla vecchia terra. (vedi contributo di Pierre Donadieu di seguito)
Fattore politico/economico: crisi dell'agricoltura agricoltura "fai da te": gestione familiare; sfondo di supporto ad un'attività urbana primaria.
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agricoltura come macchina per la grande distribuzione: esportazione immagine Italia; cicli produttivi "esatti" e continui nell'anno.
Fattore ecologico/ambientale: agricoltura come progetto Strategie di trasformazione diffusa degli spazi pubblici: la campagna in città; riappropriazione dell'attività agricola nelle aree rurali abbandonate all'interno del territorio urbanizzato; salvaguardia del suolo.
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centralità architettoniche: abitare le serre; riciclo delle strutture agricolo/industriali dismesse come potenzialità di sviluppo urbano
La discrezionalità delle scelte di pianificazione consentite dalla legge urbanistica, adottata in modo differente da ogni regione, impone come programma quello di censire le variabili che incidono sulle possibilità di tutela o trasformazione delle aree ex-agricole, ponendosi tra gli obiettivi quello di rigenerare questi luoghi riconsiderando l'attività agricola stessa, intesa in parallelo ad attività multifunzionali con un ruolo economico e sociale interattivo con la città.
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Note 1. Costantino Felice "Verde a mezzogiorno. L'agricoltura abruzzese dall'Unità a oggi" Donzelli Editore, Roma 2007- cit. pag. 7 2. Come segnalava il catasto del 1909 3. Sull’ampiezza del fenomeno italiano dell’esodo verso la costa, si veda Eugenio Turri, Lo slittamento verso le coste in «Semiologia del paesaggio italiano», Longanesi & C., Milano 1990 4. Costantino Felice insegna Storia Economica all'Università D'Annunzio Chieti-Pescara. Vedi a proposito "Verde a mezzogiorno. L'agricoltura abruzzese dall'Unità a oggi" Donzelli Editore, Roma 2007 5. Ibidem 6. Dati di riferimento del Piano sviluppo rurale 2007-2013 - Regione Abruzzo 7. Dati di riferimento INEA-Rica
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Fig. 1 - Agricoltura e progetto: scenari di ricerca (area periurbana di Pescara) 1. spazi in attesa - 2. punti campagna 3. case familiari produttive - 4. orti urbani 5. agricoltura industriale
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Brooklyn Grange. Orto di quartiere sui tetti a New York, 2013. Foto di Benn Flanner
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PROCESSO AL CONSUMO DEI SUOLI ATTIVI IN CITTÀ. UNA RIFLESSIONE IN CHIAVE ECOLOGICA A FAVORE DELL'AGRICOLTURA Michele Manigrasso >UniCH
"La nazione che distrugge il suo suolo, distrugge se stessa". Franklin Delano Roosvelt Il rapporto città-campagna è forse tra i fenomeni più studiati della storia moderna, ma con l'inizio del XXI secolo il rovesciamento di numerosi paradigmi interpretativi impone un radicale ripensamento: il post-fordismo che lascia spazio ad una "economia di carta"; la globalizzazione e l'emergere di nuove potenze economiche che riorganizzano la geopolitica planetaria (dove l'Occidente perde continuamente peso); la popolazione mondiale che vive, per oltre la metà, in agglomerati a scapito delle campagne, in una condizione in cui i suoli urbani continuano a crescere erodendo spazio all'agricoltura e alla natura. Questi fatti inducono a guardare il rapporto urbano-rurale con occhi nuovi per costruire alleanze evolute. Ma soprattutto, riconfermano e aumentano il senso dell'idea di città come palinsesto globale, che si rinnova attraverso la moltitudine delle operazioni di scrittura e riscrittura che la investono, densificandola e saturandola all'interno, diluendone i confini, modellandone la forma, secondo operazioni simultanee di compressione e rarefazione. E' una città pressoché
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LQ¹QLWD, che annulla le distanze con il territorio "confondendosi" con esso, aumentando il divario tra sÊ, la natura e le trame agricole, quest'ultime sempre piÚ estranee perchÊ appartenenti ad una dimensione spazio-temporale, in parte dimenticata. Ma come ha scritto1 recentemente Bernardo Secchi, O HPHUJHUH RJJL GL XQD VSHFL¹FD TXHVWLRQH XUEDQD DUWLFRODWD DWWRUQR D WHPL WUD ORUR GLI¹FLOPHQWH VHSDUDELOL FRPH TXHOOL GHOOH GLVXJXDJOLDQze sociali, del cambiamento climatico e del diritto all'accessibilità , mostra qualcosa di importante e cioè che lo spazio, grande prodotto sociale costruito H PRGHOODWR QHO WHPSR QRQ q LQ¹QLWDPHQWH PDOOHDELOH QRQ q LQ¹QLWDPHQWH disponibile ai cambiamenti, dell'economia, delle istituzioni, della politica. Non solo perchÊ vi frappone la resistenza della propria inerzia, ma anche perchÊ in qualche misura costruisce la traiettoria lungo la quale questi stessi cambiamenti possono avvenire". Il nuovo scenario di forte mutazione ambientale, climatica, economica e sociale che ci ha investiti, a livello planetario e con forti ricadute nel nostro paese, ci invita a guardare con lenti nuove i territori che abitiamo, per risolvere quella miopia che ha ridotto la qualità del vivere nelle città . Alla necessità di territorio, inteso come spazio in cui muoversi e comunicare, si sostituisce sempre piÚ la domanda di sicurezza rispetto alla dimensione dei rischi ambientali (Ricci, 2012). E questo probabilmente deve passare attraverso una lettura piÚ attenta e consapevole dei fenomeni che sono alla base degli usi che si fanno dei territori e delle città ; a conservare o recuperare il significato piÚ autentico di tante aree e spazi urbani, che troppo spesso vengono occupati e cancellati a favore di esiti progettuali discutibili, che non aggiungono nulla allo stato di cose esistente, ma riducono la sintassi tra pieni e vuoti, a volte depositando dispositivi inattivi, perchÊ non rispondendo ad una domanda di effettiva necessità , diventano ruderi del presente. In uno dei testi fondanti del sapere occidentale, il Codice Giustinianeo, al volume L, si comprende bene come il termine territorio non derivi dalla parola terra ma da terror, cioè terrore, perchÊ corrisponde all’ambito definito dall’esercizio di un potere politico2. Oggi possiamo asserire con evidenza che sia stata soprattutto la dittatoriale "politica del cemento" a dare forma alla città , come il XXI secolo ce l'ha consegnata, allontanando sempre piÚ il significato di territorio dal concetto di "nuda terra", e dalle pratiche d'uso del passato, che lo rendevano bene primario per il sosten-
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tamento. Occorre chiarire che quello del consumo di suolo non è un fenomeno italiano; i dati della Commissione Ue ci dicono che siamo nella media dei principali paesi europei, ma sono alcuni caratteri di questi processi di urbanizzazione a rendere in Italia più complessa e rilevante la situazione. Nelle periferie delle principali aree urbane italiane sono infatti andate crescendo, senza un progetto metropolitano e ambientale, di trasporto pubblico e di servizi, 'marmellate' di case e sobborghi irriconoscibili, in un continuum di residenze e attività che hanno cancellato quantità di spazi agricoli importanti. Mentre nelle aree di maggior pregio, e in particolare costiere, una crescita dissennata di seconde case è andata cementificando gli ultimi lembi ancora liberi o a interessare, abusivamente o con il benestare di piani regolatori, zone a rischio idrogeologico. Gli effetti di questi fenomeni riguardano da vicino la crisi, non solo economica, che sta attraversando il nostro paese e trovare una chiave per leggere a fondo questi processi diventa fondamentale per individuare una via d'uscita. Quello che occorre è una chiara consapevolezza, politica e culturale, che questa direzione di crescita, che ancora vede come motore dello sviluppo economico il mattone, di qualunque tipo e ovunque sia costruito, non produce sviluppo ma anzi è tra le cause della crisi economica e pesa come un macigno sul futuro del paese, sulla qualità della vita nelle città italiane (Zanchini, 2011). Da questa angolazione è necessario partire per un ragionamento più consapevole della necessità di ritornare a guardare alla città esistente, come luogo in cui vanno ripensati alcuni rapporti tra parti, tessuti e aree libere, rigenerando telai strategici attraverso cui è possibile assicurare una migliore qualità ambientale; e questo si realizza in forme intelligenti di riciclo e non di consumo. Consumo di suolo VS aree agricole In Italia, le quantità relative al consumo di suolo, sono desumibili da banche dati influenzate dalla mancanza di una definizione scientifica condivisa del concetto stesso di 'consumo di suolo'. Per questo i set di dati non sono raccolti in maniera omogenea e alle medesime soglie temporali. Disporre di dati aggiornati, raccolti in modo omogeneo e sufficientemente precisi, richiede uno sforzo di ricerca finalizzato a sviluppare un monitoraggio sugli usi del suolo, per affrontare la conoscenza del fenomeno e verificare gli effetti di politiche di governo del territorio (Di Simine, 2011). Per questo
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Legambiente con Inu, Istituto Nazionale di Urbanistica, hanno promosso un Centro di ricerca sul consumo di suolo (Crcs, www.consumosuolo.org), che con i suoi primi rapporti, ha confermato e precisato, correggendolo e spostandolo significativamente verso l'alto, il dato di urbanizzazione desunto da fonte Apat o Istat. L'impiego di matrici di transizione per descrivere l'evoluzione del consumo, ha permesso di verificare aspetti qualitativi dei cambiamenti dell'uso del suolo: la maggior parte delle trasformazioni sono a carico di aree agricole, e solo in misura minore avvengono a carico di terreni incolti e boschivi. Possiamo dire pressoché conclusa, o comunque in esaurimento, la lunga fase di abbandono di terreni agricoli, soprattutto montani, che ha visto inselvatichirsi vaste estensioni di pendici alpine e appenniniche: le transizioni da suolo agricolo a boschivo sono in forte calo, le trasformazioni sono descritte da un dato chiaro della crescita di superfici urbanizzate. Anche questo è coerente con quanto osservato nel resto d'Europa: con l'esclusione dell'area baltica, la maggioranza dei fenomeni urbanizzativi nelle grandi aree urbane europee corrisponde a perdite di superfici agricole. I dati che riguardano l’impermeabilizzazione dei suoli, per i quali si assiste alla compromissione delle funzioni ecologiche dovuta alla cementificazione, mostrano come, nonostante le evidenti differenze territoriali di estensione e morfologiche, esistano città il cui suolo è ormai compromesso per gran parte della superficie. Tra le più grandi realtà urbane sono ai vertici della classifica delle superfici cementificate Napoli e Milano, che superano la soglia del 60%, mentre superano il 50%, Pescara e Torino, seguite da tre capoluoghi lombardi (Monza, Bergamo e Brescia) e da Bari con oltre il 40% di superficie impermeabilizzata. Non a caso l’Italia risulta ancora, nonostante la crisi, tra i maggiori produttori e consumatori di cemento in Europa3. Almeno in questo settore l’Italia continua a detenere un vero e proprio primato continentale con una media di oltre 432 chili di consumo pro-capire di cemento per ogni cittadino, a fronte di una media europea di 314. Un caso interessante, in ambito urbano è descritto da uno studio4 realizzato per Legambiente, sui comuni di Roma e Fiumicino, indagine che misura le trasformazioni dei suoli ad usi urbani tra il 1993 e il 2008 (il più aggiornato al momento su questi comuni), e delle previsioni degli strumenti urbanistici in vigore e dei programmi approvati, soprattutto per
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suoli urbanizzati dal '93 suoli urbanizzabili da Prg ampliamento aeroporto di Fiumicino
Fig. 1 - Mappa del consumo di suolo a Roma e Fiumicino avvenuto dal 1993, con le previsioni del Prg. Elaborato tratto dalla ricerca "Il consumo di suolo nei comuni di Roma e Fiumicino. Studio sulle trasformazioni ad usi urbani dei suoli dal 1993", realizzato da Michele Manigrasso e Ciro Mariano Decembrino, per Legambiente.
comprendere il fenomeno rispetto alla perdita di aree agricole. In quindici anni i suoli destinati ad usi urbani sono aumentati del 22%, cioè ulteriori 5.200 ha di superficie sono stati sottratti a suoli 'liberi', in particolare agricoli, ma anche importanti porzioni di aree naturali e di corridoi ecologici. Nella prospettiva delle previsioni dei P.R.G. in vigore e dei programmi in atto, la mappa in alto mostra le future espansioni e le saldature delle aree libere nell’edificato esistente, a scapito di terreni agricoli, boschivi, o vuoti interclusi. Secondo le previsioni, vi sarebbe un ulteriore consumo di 9.700 ettari, prevalentemente agricoli, soprattutto per residenziale, commercio e attività produttive, ossia piÚ di quanto sia stato trasformato tra il 1993 e il 2008.
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Il valore ecologico delle aree permeabili in città Quello di Roma e Fiumicino è solo un primo esempio, per ragionare non solo di quantità, ma anche e soprattutto di qualità, in merito alla cancellazione di parti (organi) di un corpo (l'organismo), ai quali vanno riconosciuti significati plurimi, soprattutto ambientali e sociali, perché, ecologicamente attivi, contribuiscono a regolare il metabolismo urbano, nella sua accezione più ampia. Il consumo di suolo è prima di tutto un danno ambientale: questa considerazione non deve essere poi così banale se, fino a oggi, ben poche legislazioni ambientali lo hanno considerato tale, anteponendo la regolazione del diritto di proprietà al profondo e autentico significato di bene comune che il suolo contiene. Un danno le cui dimensioni derivano dalla compromissione delle funzioni chimico-fisiche e biologiche che il suolo svolge come comparto ambientale della biosfera, nonché dal significato ecologico dell'organizzazione degli spazi in rapporto sia all'espressione della biodiversità, sia degli organismi economici e sociali. Solo per citare i casi più notevoli, dal suolo dipende: - la funzione produttiva primaria, ovvero la produzione di biomassa vegetale e di materie prime della trasformazione agroalimentare; - la regolazione del ciclo dell'acqua, il rifornimento delle riserve di acqua dolce, la sicurezza idrogeologica; - la regolazione dei cicli degli elementi fondamentali per la vita (azoto, fosforo, zolfo) e la degradazione di sostanze tossiche; - la produttività biologica dei sistemi ambientali terrestri da cui dipendono la conservazione della biodiversità intrinseca (organismi del suolo) e di quella 'appoggiata' al suolo; - la funzione connessa alla riserva strategica di superfici atte a far fronte a bisogni e aspettative di benessere delle attuali e future generazioni, nonché ad assicurare la sovranità e la sicurezza alimentare di ogni popolo; - l'organizzazione degli spazi necessari a localizzarvi e a connettere gli organismi urbani e le relative funzioni economiche e sociali; - la regolazione climatica, riferita in primo luogo alla funzione di sink carbonico assicurato dalla sostanza organica di suoli e vegetazioni. Quest'ultimo aspetto, che potrebbe apparire secondario, assume un ruolo molto rilevante alla luce del rapporto della Commissione Europea che svela come i suoli contengano da 73 a 79 miliardi di tonnellate di carbonio, e che pertanto ogni perdita, anche solo dello 0,1% di questo carbonio
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(ovvero del suolo che lo contiene, tenuto conto che il leaching di carbonio dai suoli è causato, in misura rilevante, anche da cattive pratiche agronomiche) equivale all'emissione di CO2, prodotta da un aumento di ben 100 milioni di auto circolanti sulle strade europee. Proprio l’agricoltura è il settore che piÚ di altri ha già realizzato attività innovative per costruire un modello di produzione e consumo basato su una visione avanzata della sostenibilità , in grado di garantire efficienza economica, equità sociale, tutela e valorizzazione delle risorse naturali e del paesaggio. Quello che oggi infatti appare con esemplare evidenza, è che ciò che è meglio sul piano ecologico, lo è anche su quello agronomico, nonchÊ economico e sociale. La strada maestra che ci viene indicata dagli scenari attuali, è di puntare in modo deciso sulla diversificazione, la sostenibilità e la multifunzionalità , e questo sembra fondamentale nel caso di aree agricole urbane a rischio cementificazione. Come ha asserito recentemente Rosario Pavia5, "le infrastrutture ambienWDOL VLD TXHOOH GL PDWULFH QDWXUDOH VLD TXHOOH GL PDWULFH DUWL¹FLDOH KDQQR LO compito non solo di produrre un servizio di sostegno per la qualità e l'equilibrio dell'ambiente, ma anche di svolgere un ruolo d'interconnessione, di ricucitura, di conformazione e organizzazione del territorio urbano. In questa direzione, anche il suolo, il terreno [...] va inteso come risorsa e come supporto per il costruito. Rimettere al centro il terreno come infrastruttura ambientale GL EDVH SHU OD FLWWj H O XUEDQL]]D]LRQH VLJQL¹FD ULSHQVDUH LQ PDQLHUD LQHGLWD la relazione tra costruito e suolo". Nella sostanza di queste parole, sembra esserci un concetto implicito profondo. Il suolo è il primo materiale di progetto con il quale confrontarsi, per il suo significato puntuale in un determinato sedime, e per la possibilità , irrorando di continuità spaziale i tessuti, di stabilire un migliore equilibrio tra costruito e ambiente. PerchÊ naturale fondamenta degli oggetti che si ancorano ad esso, perchÊ 'spugna' che metabolizza le acque di pioggia, perchÊ substrato attraverso cui si realizzano gli scambi biotici e abiotici tra terra, acqua e atmosfera; perchÊ spessore e stratificazione di sedimenti che raccontano l'evoluzione di un luogo, la sua storia ambientale, climatica, le tante attività che lo hanno vissuto e trasformato. Da questa prospettiva, risulta evidente, la necessità di adottare un atteggiamento di salvaguardia dei suoli permeabili all'interno della città esistente, e l'agricoltura è una delle possibilità per dare un senso attivo a questi suoli, un patrimonio da portare nel futuro.
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Misurare le di_stanze dell'agricoltura a Pescara All'interno del Lab_05, in occasione del convegno "Viaggio in Italia. Riciclare i territori fragili", che si è tenuto a Pescara il 9 ottobre scorso, ci si è dedicati ad un'indagine sull'area metropolitana di Pescara, più specificamente sui comuni di Francavilla al Mare, Pescara e Montesilvano. L'indagine6 risulta interessante per due questioni principali: la prima sta nel fatto che è il primo studio specifico sul consumo di suolo in questo territorio, realizzato introiettando la metodologia di lavoro e i criteri utilizzati dall’Osservatorio Nazionale sui Consumi di Suolo (ONCS), come nell'esempio sul territorio romano, di cui si è detto in precedenza; la seconda, sta nell'aver individuato e classificato "modelli" permanenti di produzione agricola, ai quali corrispondono determinati "tipi di aree", e processi di evoluzione della forma di produzione stessa, che evidenziano un diverso rapporto tra aree agricole, comunità e costruito intorno (e di questo ne ha parlato ampiamente Paola Misino nel suo contributo). La misura del territorio, del consumo di suolo e della quantità di aree agricole presenti all'interno dei tessuti dei tre comuni, nonché la trasformazione degli stessi in un lasso temporale che va dal 1988 al 2013, hanno permesso di comprendere la "distanza", ormai insita in questa realtà territoriale, tra gli usi urbani consolidati e le pratiche agricole, solo in parte conservate, specificamente all'interno delle densità del costruito. Ciò è stato indagato ed espresso metodologicamente nelle "quantità", riconsegnate nelle mappe a pag. 40-45, e attraverso la "figura" (carpita da un lavoro minuzioso sui limiti), che circoscrivendo le aree ancora agricole, ne racconta i rapporti con il sistema del costruito. Sovrapponendo le carte satellitari, è stato calcolato che nei venticinque anni, intercorrenti tra il 1988 e il 2013, si è un consumato una quantità di suolo pari a 6 kmq, superficie analoga alla sommatoria di 115 campi di calcio. Il settore specifico che rappresenta il maggior consumo, riguarda il residenziale, il 56,8% dell'intero consumo di suolo, che si è realizzato nella costruzione di interi nuovi quartieri a Pescara, nell'aumento delle seconde case a Francavilla e per finalità turistiche a Montesilvano. Seguono gli usi artigianali e industriali con il 22,4%, soprattutto nella valle del Pescara, il consumo per finalità commerciali, con il 17,8%, e solo l'1,4% è avvenuto per la realizzazione di spazi verdi. La situazione è chiara: è aumentata la distanza tra città e campagna per l'intensificarsi di usi urbani differenti, che in parte si sono rivelati falli-
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mentari, perché realizzati secondo traiettorie aberranti, basti pensare alla quantità di residenziale non venduto per i prezzi esageratamente importanti, inaccessibili alle giovani coppie. Si è ridotto il suolo permeabile, e ad oggi, più del 50% dell'intero territorio, è artificializzato: ne sono prova evidente gli impatti di eventi estremi di pioggia, che causano spessissimo disagi importanti, soprattutto a Pescara. I dati confermano, quindi, che anche a Pescara, il consumo di suolo ha determinato la compromissione e la frammentazione di ampie aree agricole ai margini dei tessuti, mentre sono andate perse, importanti aree verdi interne; molte erano agricole, perché giardini e orti di pertinenza delle abitazioni, in zona di completamento, secondo le prescrizioni del piano comunale. Ma più in generale, appare evidente dalle immagini satellitari e ancor di più attraversando la città, che le poche aree agricole ancora esistenti, sono "stanze chiuse", inaccessibili perché private, ma soprattutto nascoste, da un paesaggio urbano compatto e denso che ha dimenticato, anche in questo, la qualità delle sue origini. Verso l'orditura del terzo spazio E' il momento di cambiare rotta. Il consumo di suolo è andato oltre il limite di ragionevole sostenibilità, anche in quelle parti del paese dove nel governo del territorio si sono sperimentate le migliori sintesi fra scienza e politica. La crisi economica e sociale, unitamente ad eventi calamitosi estremi, sempre più frequenti, che mettono in ginocchio le nostre città, assolutamente impreparate ad affrontare l'imprevisto, stanno accelerando le ricerche di settore e lanciano un allarme a tutte le competenze che si occupano di territorio. Siamo invitati a guardare con più serietà dentro le città, e a tentare di ricostruire, attraverso una revisione degli strumenti di governo, progetti integrati e puntuali, un rapporto più funzionale ed ecologicamente attivo tra le parti che le strutturano. Ma prima di tutto, è necessaria una maggiore tutela, per una più costruttiva valorizzazione, anche in chiave progettuale, delle aree su cui si è discusso in questo contributo. L'agricoltura può e deve avere un ruolo non secondario in tutto questo. L'agricoltura racconta tradizioni locali, in parte rappresenta e può ritornare ad essere l'economia di diverse realtà, anche completamente, se connaturata nella tradizione di un'area vasta; può diventare occasione per una maggiore coesione sociale (come accade nei tanti casi di esperienze di orti civici, sociali, didattici), anche in spazi non propriamente vocati alla
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Fig. 2 - Progetto IPER_CORSI, finalista in seconda fase al concorso TetraKtis “Micro spazi – macro luoghi. Progettazione di un sistema di spazi pubblici e relazionali nel centro storico di Teramo”. Team Modul05_ A. Cingoli, M. Manigrasso, F. Acquaviva, F. Fontana, R. Potenza, L. Di Paolo.
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sua realizzazione, quindi per recidere confini sociali e spaziali. Soprattutto, per noi italiani, l'agricoltura appartiene a l'inscape7 che è nella memoria e che può, in maniera non nostalgica, ridare un senso più autentico tra le trame complesse della città contemporanea. Ma per il momento siamo ancora alla necessità di far emergere le contraddizioni dell'attuale condizione urbana. E la contraddizione più rilevante è la continua erosione e consumo di quel patrimonio territoriale che intercetta nelle aree agricole, anche urbane, grandi numeri e valori ambientali e sociali indiscutibili. Si tratta di quelle aree da riciclare, da non densificare o riempire (LQ±OO), in cui stabilire rapporti nuovi, costruendo relazioni di prossimità, assecondando e consolidando quanto gli uomini e le donne, cittadini e non, hanno costruito: relazioni, sotto forma di associazioni, di gruppi, di comunità operose che rendono vivi questi territori, a volte semplici interstizi. Questo ragiona nella direzione della costruzione di un terzo spazio, di una terza città, come direbbe Giovanni Caudo. La terza città (rispetto all'espansione e alla conservazione) nasce dall'esplorazione dei confini che l'attraversano: il confine è FXP ±QLV cioè fine in comune e rinvia a ciò che è dall'altra parte. Bisogna ritornare a riflettere sulla struttura spaziale della città, riconoscere l'importanza che nel costruirla ha la forma del territorio e del suolo, della "nuda terra". Tornare a conferire agli spazi urbani una maggiore porosità, permeabilità, accessibilità; disegnarli con ambizione (Secchi, 2013), tenendo conto della qualità delle città che ci hanno preceduto e ragionare di nuovo, in maniera più intima, sul rapporto tra artificio, natura e agricoltura. La terza città è densificazione, è costruire la città nella città, ma nel senso che abbiamo detto, quindi non è operazione meramente quantitativa. La città diffusa, continua, infinita, merita di diventare una città ad-attiva8, anche attraverso l'orditura di un terzo spazio che coglie appieno e realizza il senso più profondo del rapporto tra costruito e 'vuoti', anche interclusi, e ricostruisce in maniera inedita un paesaggio urbano che non dimentica; un paesaggio che si fa prospetto di un territorio più resiliente e più autentico, e che rinnova, in maniera contemporanea e condivisa, significati antichi di convivenza con l'agricoltura.
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Note 1. Passaggio tratto dal libro di Bernardo Secchi "La città dei ricchi e la città dei poveri", Edizioni LaTerza, 2013. 2. Si veda Naldi G., (2011), 3HQVLHUR VSD]LR UHWH JHRJUD¹D SHU OD QXGD WHUUD LQWHUYLVWD D )UDQFR Farinelli in Ecoscienza, numero 4. 3. Si veda ISPRA, (2014), Il consumo di suolo in Italia. Rapporto 2014 4. Studio realizzato da Michele Manigrasso, con Ciro Mariano Decembrino, impostato seguendo i criteri utilizzati dall’Osservatorio Nazionale sui Consumi di Suolo (ONCS), pubblicato in Bianchi D., Zanchini E. (a cura di), (2011), Ambiente Italia 2011. Il consumo di suolo in Italia, Edizioni Ambiente, Roma. 5. Passaggio tratto da Infrastrutture ambientali, contributo di Rosario Pavia, in Riciclo e infrastrutture ambientali, a cura di P. Branciaroli, M.L. Galella, R. Massacesi, Libria Editore. 6. Il lavoro sulla misura del consumo di suolo è stato realizzato con Christian Assogna, Marco Mazzotta e Fabio Zollo. 7. Il termine "inscape", usato per la prima volta dal poeta irlandese Gerard Manley Hopkins, è il paesaggio interiore, il riflesso dello sguardo sul mondo di ogni singolo individuo: è una visione soggettiva, legata indissolubilmente all'esistenza, ai ricordi e alle emozioni connesse ad un paesaggio. Il paesaggio esterno, oggettivo e tangibile che appare ai nostri sensi è sempre mediato da un paesaggio interno, nascosto e mutevole. 8. Il concetto di città ad-attiva è stato ampiamente discusso nella pubblicazione dell'autore "Città e clima. Verso una nuova cultura del progetto", Sala Editore, Pescara, 2013.
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CONTRIBUTI LAB/05 ORDITURE DEL TERZO SPAZIO
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IL CONSUMO DI SUOLO LUNGO LA COSTA ABRUZZESE DAL 1988
63%
Estratto dalla ricerca "Il consumo delle aree costiere italiane. Dossier 06", realizzato da Michele Manigrasso per Legambiente. Questo studio dedicato alla trasformazione del paesaggio costiero abruzzese, registra una situazione estremamente preoccupante, soprattutto rispetto al consumo di suolo di aree agricole. Su un totale di 143 km di costa, da Martinsicuro a San Salvo, oltre alla metà risulta fortemente trasformata da usi urbani e infrastrutturali. Più precisamente sono 91 i chilometri di costa irreversibilmente modificati: 27 km sono occupati da città dense, di cui la più estesa è Pescara alla quale si saldano i Comuni di Montesilvano e Francavilla al Mare; 44 sono i chilometri di costruito meno denso, mentre solo 17 km possono considerarsi ancora paesaggi agricoli, e 35 km paesaggi ancora integri.
IL CONSUMO DI SUOLO NELL'AREA METROPOLITANA DI PESCARA DAL 1988
40
6 km
RESIDENZIALE
56,8%
COMMERCIO
17,8%
41
22,4%
INDUSTRIALE E ARTIGIANALE
1,4%
PARCHI URBANI
42
1,6%
INFRASTRUTTURE
Il consumo di suolo per usi urbani, dal 1988
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In questa pagina: Nuovi sistemi insediativi per l'espanisone della cittĂ di Ljubljana. Tesi di laurea di M. Mazzotta. Relatore P. Misino. Correlatore Jiuri Kobe. A seguire: Progetto di social housing e spazi pubblici per quartieri eco-sostenibili a Magliano de' Marsi. Tesi di laurea di Christian Assogna. Relatore P. Misino. Correlatori M. Manigrasso, E. Zanchini.
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MOMENTI DI CONFRONTO 49 LABORATORIO 05_ ORDITURE DEL TERZO SPAZIO. RIUSO DELLE AREE PRODUTTIVE AGRICOLE
QUELQUES RÉFLEXIONS SUR L’ÉMERGENCE DES AGRICULTURES URBAINES EN EUROPE DU SUD Pierre Donadieu *
Avant d’aborder les cinq thèmes de réflexion proposés, je voudrais préciser quelques notions essentielles. Qu’est ce que l’agriculture urbaine ? La notion scientifique d’agriculture urbaine réunit deux notions distinctes : d’une part l’agriculture et le jardinage professionnels faits par des agriculteurs et des jardiniers dont c’est le métier officiel, d’autre part les agricultures, les élevages et les jardinages amateurs réalisés par des jardiniers et des agriculteurs dont ce n’est pas l’activité principale. Ces derniers peuvent être des retraités, des propriétaires ou des locataires de parcelles et de résidences secondaire ou principale. Dans le premier cas, les agriculteurs sont, selon leurs activités, soumis aux règles de la politique agricole commune (PAC). S’ils sont céréaliculteurs (blé, orge, maïs, etc.) ou producteurs d’oléoprotéagineux (colza, pois, tournesol, etc.), ils bénéficient de subventions fonction du nombre d’hectares cultivés. Pour les autres activités (élevage, arboriculture, viticulture, maraîchage, floriculture, pépinière etc.), les subventions existent mais sont plus faibles voire nulles). S’il s’agit de jardiniers professionnels,
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QUALCHE RIFLESSIONE SULL'EMERGENZA DELL'AGRICOLTURA URBANA IN EUROPA DEL SUD. Pierre Donadieu *
Prima di affrontare i cinque temi di riflessione proposti, vorrei definire alcuni concetti fondamentali. Cos'è l'agricoltura urbana? La nozione scientifica di "agricoltura urbana" riunisce due concetti distinti: da una parte l'agricoltura e la lavorazione della terra in modo professionale, realizzata da agricoltori e orticultori che fanno questo mestiere ufficialmente, dall'altra parte l'attività agricola, gli allevamenti e la coltivazione amatoriale svolto da allevatori e agricoltori che non lo fanno come attività principale come pensionati, o affittuari di terreni e residenze principali o secondarie. Nel primo caso, gli agricoltori sono soggetti alle regole della PAC (Politica Agricola Comunitaria) secondo il tipo di attività che svolgono. Se sono coltivatori di cereali (frumento, orzo, mais, ecc..) o produttori di piante oleoproteaginose (colza, piselli, girasole, ecc..) possono beneficiare di sussidi in funzione degli ettari coltivati. Per le altre attività (allevamenti, arboricoltura, viticoltura, orticoltura, floricoltura, vivai ecc..) i sostegni economici sono molto più piccoli (o pari a zero). Se invece si tratta di giardinieri
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comme dans les services d’espaces verts des villes, il n’y a pas de production agroalimentaire et la PAC n’est pas concernée. Dans le second cas des amateurs, les activités de production ne dépendent pas de la PAC. Souvent, dans les jardins périurbains et urbains, familiaux, communautaires ou associatifs, les produits maraîchers ou fruitiers sont autoconsommés par les producteurs. S’ils sont vendus, sur les marchés forains urbains, à la ferme ou par paniers livrés à domicile, il s’agit alors d’une entreprise professionnelle (comme dans le premier cas). En France les jardins amateurs sont très nombreux (un français sur deux cultive un jardin, petit ou grand). La tradition des jardins ouvriers date de la fin du XIXe siècle. En Europe centrale et du Nord, la plupart des citadins disposent traditionnellement dans leur datcha d’un petit jardin pour cultiver tomates et pommes de terres à la belle saison. Les crises alimentaires des années 1990 en Russie (ex URSS) ont été surmontés grâce à ces jardins. En Europe du sud les jardins associatifs et communautaires urbains sont plus rares ou très récents, notamment pour des raisons de précarité (Lisbonne). Ces modes de production se sont développés à la faveur des crises récentes de l’emploi (chômage et précarité) et de l’alimentation (doute sur la qualité sanitaire des produits frais et sur les modes d’alimentation). Dans les périphéries des métropoles, ces deux types d’agriculture se mélangent. Leurs surfaces relatives évoluent en fonction des politiques publiques territoriales (Etat, Région, Province, département, commune ou groupe de communes) pour maîtriser l’étalement urbain. Elles peuvent résister à l’urbanisation quand la rente foncière agricole tend à faire jeu égal avec l’urbanisation (cas des viticultures ou des cultures sous serres compétitives). Le plus souvent, elles cédent du terrain à l’urbanisation sauf quand les politiques foncières publiques (protection juridique des sols agricoles) sont efficaces ce qui est souvent le cas en Europe du Nord et de plus en plus en France, mais pas partout (78 000 hectares agricoles ont disparu chaque année près des agglomérations entre 2006 et 2009). Pour raisonner le devenir des terres agricoles des régions urbaines, il est indispensable de se mettre d’accord sur le langage qui désigne les types d’agriculture et de jardinage possible.
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professionisti, come chi si occupa degli spazi verdi urbani, poiché manca la produzione agroalimentare, la PAC non è prevista. Nel caso della coltivazione amatoriale, le attività di produzione non dipendono dalla PAC. Spesso i prodotti ortofrutticoli coltivati nei giardini periurbani e urbani, che siano familiari, o sociali e pubblici, vengono autoconsumati dai produttori stessi. Se invece vengono venduti nei mercati ambulanti cittadini, nelle fattorie o con delle consegne a domicilio, rientrano allora tra le aziende professionali (come il primo caso). In Francia le coltivazioni amatoriali sono molto numerose (un francese su due coltiva il giardino, piccolo o grande che sia). La tradizione degli orti operai risale alla fine del XIX secolo. In Europa centrale e del nord, tradizionalmente la gran parte dei cittadini dispone di un piccolo orto all'interno del proprio giardino per coltivare pomodori e patate durante la bella stagione. Le crisi del settore alimentare degli anni '90 in Russia (ex URSS) sono state superate proprio grazie a questi orti. In Europa del sud gli orti urbani pubblici sono più rari o comunque molto recenti, soprattutto per questioni di instabilità politica (come Lisbona). Questo tipo di produzione si è sviluppato a causa della recente crisi del lavoro (disoccupazione e precarietà) e crisi nel campo alimentare (dubbi sulla qualità sanitaria dei prodotti freschi distribuiti e sui modelli di consumo alimentare). Nelle periferie delle metropoli, questi due tipi di agricoltura si mischiano. Le relative superfici cambiano in funzione delle politiche pubbliche locali (Stato, Regione, Provincia, Dipartimento, Comune o consorzi di comuni) utili a governare l'espansione urbana. Esse possono resistere all'urbanizzazione quando la rendita fondiaria agricola è in sintonia con le stesse politiche di urbanizzazione (è il caso delle viticulture o delle coltivazioni in serra competitive). Molto più spesso invece accade che il terreno viene sottratto all'agricoltura a vantaggio dell'occupazione urbana, salvo quando le politiche fondiarie pubbliche (tutela giuridica dei suoli agricoli) sono efficaci, come in Europa del Nord e sempre di più in Francia, anche se non in tutti i casi (tra il 2006 e il 2009 sono scomparsi 78.000 ettari di terreno agricolo per anno). Per discutere sul futuro dei terreni agricoli nelle aree urbane, è prima indispensabile mettersi d'accordo sul linguaggio che indica i tipi di agricoltura e di coltivazione possibili.
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Les différents types d’agriculture et de jardinage Le plus difficile aujourd’hui n’est pas de formuler les ambitions des gouvernements face aux enjeux planétaires qui concernent l’agriculture (notamment la nourriture de neuf milliards d’hommes, l’adaptation au changement climatique, la raréfaction des ressources non ou difficilement renouvelables). De multiples documents fort bien faits y parviennent. Le plus difficile c’est de savoir quelles agricultures doivent être développées et comment les nommer de manière rationnelle et compréhensible par tous. Je vais les définir successivement des moins souhaitables (pour la transmission aux générations futures) aux plus recommandables de mon point de vue personnel. L’agriculture dite conventionnelle, intensive ou agroindustrielle est fondée sur les cultures intensives, utilisant pesticides et engrais chimiques et naturelles (lisier, fumier), fortement mécanisées et utilisatrices d’organismes génétiquement modifiés (OGM) ; elle recherche avec des systèmes de production spécialisés le meilleur profit possible pour l’exploitation. Ce modèle largement répandu dans le monde, fondé sur la recherche de rendements élevés (céréales, oléoprotéagineux, lait, viande, etc.), a été développé au cours des 60 dernières années à partir des résultats de la recherche agronomique publique et privée. En Europe, il a obligé la Politique agricole commune (PAC) à des régulations successives (des excédents laitiers, des surfaces cultivées, des conséquences sur les milieux naturels et les paysages, du bien-être animal, etc.). Cette agriculture souvent destructrice des sols, dommageable à la biodiversité et au confort animal est soupçonnée (parfois à tort, et en dépit des efforts de normalisation juridique des États) de mettre sur les marchés sans précautions suffisantes des produits frais ou transformés dangereux pour la santé humaine et animale. Elle n’est donc pas recommandable sous la forme décrite ici. L’agriculture de précision est une forme améliorée de l’agriculture conventionnelle qui a pour but d’optimiser l’utilisation des parcelles de culture et d’aider l’exploitant à prendre les bonnes décisions. Elle a recours à l’utilisation de GPS et de systèmes d’informations géographiques (SIG), de cartographie fine des sols des parcelles, et des données météorologiques et de croissance des plantes cultivées. Ces techniques permettent
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Diversi tipi di agricoltura e di coltivazioni L'aspetto più difficile oggi non è tanto precisare quali siano le ambizioni dei governi nell'affrontare le sfide planetarie che riguardano l'agricoltura (vedi il problema sulla nutrizione di nove miliardi di persone, o l'adattamento ai cambiamenti climatici, o l'esaurimento delle risorse non - o difficilmente - rinnovabili). Su questi temi siamo circondati da svariata documentazione ben fatta e di grande impatto. La parte più difficile è quella di sapere quali agricolture debbano essere sviluppate e quale nome attribuirci che sia razionale e comprensibile a tutti. Qui di seguito cerco di dare alcune definizioni partendo dalle meno auspicabili (soprattutto per le generazioni future) fino alle più raccomandabili, dal mio punto di vista personale. L'agricoltura detta convenzionale, intensiva o agroindustriale si basa su colture intensive, con pesticidi e fertilizzanti chimici e naturali (letame, sterco..), altamente meccanizzate e che si servono di organismi geneticamente modificati (OGM); vengono qui utilizzati sistemi di produzione specifici, utili a raggiungere il miglior profitto dell'azienda. Questo modello, largamente diffuso nel mondo, basato sulla ricerca di rendimenti elevati (cereali, piante oleoproteaginose, latte, carne, ecc...) si è sviluppato nel corso degli ultimi sessant'anni partendo dai risultati della ricerca agronomica pubblica e privata. In Europa questo sistema ha costretto le Politiche agricole comunitarie a emettere delle normative successive ( sulle eccedenze di latte, di superfici coltivate, o conseguenze sull'ambiente naturale e il paesaggio, sul benessere animale, ecc..). Questa agricoltura, spesso distruttrice di suoli, nociva alla biodiversità e alla vita degli animali è ritenuta colpevole (a volte a torto e nonostante gli sforzi degli stati a regolamentarla giuridicamente) di mettere sul mercato senza precauzioni sufficienti prodotti freschi o lavorati nocivi per la salute umana e animale. Per questo motivo è una tipologia di coltivazione che non può inserirsi tra le raccomandabili. L'agricoltura di precisione è una forma più evoluta dell'agricoltura convenzionale e mira ad ottimizzare l'organizzazione dei campi, sostenendo il coltivatore nelle decisioni migliori. Si avvale dell'utilizzo di sistemi GPS e di informazioni geografiche (GIS), di raffinate mappature delle trame agricole, di dati meteorologici e indicazioni sulla crescita delle colture.
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de faire varier les doses de semis, d’épandre les bonnes doses d’azote et de pesticides au bon endroit et au bon moment, ce qui se traduit par une réduction des quantités épandues et achetées, et en principe des impacts nocifs sur les milieux naturels et humains. De niveau technologique avancé, cette agriculture, moins discutable que la précédente, est limitée à un petit nombre d’agriculteurs, mais est susceptible de développement important. L’agriculture raisonnée a été définie en France parle décret nº 2002-631 du 25 avril 2002 qui vise des productions agricoles prenant en compte à la fois la protection de l’environnement, la santé et le bien-être animal, et la sécurité au travail des agriculteurs. Elle ne remet pas en cause les principes de l’agriculture conventionnelle (elle n’interdit pas notamment les OGM : organisme génétiquement modifié). L’agriculture écologiquement intensive est une notion diffusée récemment (2007), développée par les chercheurs français, repris par le ministre français de l’Agriculture en 2012, elle vise une gestion écologique autonome des agroécosystèmes (avec la nature et non contre elle)ce qui conduirait à occuper en permanence les sols par des couverts végétaux, à réduire le travail profond du sol, à substituer des engrais naturels aux engrais chimiques de synthèse, et à privilégier la lutte biologique contre les maladies et les ravageurs. À ce titre, cette agriculture pensée d’abord pour les pays en voie de développement est proche de l’agroécologiet de l’agriculture intégrée. Dans son principe, elle devient de plus en plus en plus recommandable. L’agriculture intégrée (concept utilisé depuis 50 ans en Suisse et dans les pays anglo-saxons) est proche de l’agriculture biologique, car elle a recours à la fertilisation organique, à la lutte biologique et à la rotation des cultures. Elle ne s’interdit pas le recours à des traitements pesticides ciblés (maladies, ravageurs) en cas de nécessité. C’est une agriculture pragmatique tout à fait recommandable. L’agriculture biologique est un modèle de production agricole soumis à un cahier des charges, reconnue par l’Etat français (label AB depuis 1993) et organisée au niveau mondial depuis 1972. Elle n’utilise pas d’herbicides
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Queste tecniche permettono di ridurre le dosi di semina, di propagare le giuste quantità di azoto e di pesticidi nei punti e nei momenti necessari, riducendo le quantità che si disperdono nell'aria e vengono assorbite dal terreno, limitando dunque le ricadute nocive sull'ambiente naturale e umano. Di livello tecnologico avanzato, questo tipo di agricoltura, meno criticabile della precedente, è limitata ad un piccolo numero di agricoltori ma è suscettibile di sviluppi importanti. L'agricoltura razionale è stata classificata in Francia con il decreto n. 2002-631 del 25 aprile 2002 in cui si definisce la produzione agricola in base al livello di tutela dell'ambiente e della salute, del benessere animale e della sicurezza sul lavoro degli agricoltori. Non vengono alterati i principi dell'agricoltura convenzionale (non vieta l'uso di OGM). L'agricoltura ecologicamente intensiva è un'ideazione diffusa di recente (2007): sviluppata da ricercatori francesi e adottata nel 2012 dal ministro francese dell'Agricoltura, punta ad una gestione ecologica autonoma degli agroecosistemi (a favore della natura e non contro..) e cioè dei processi che porterebbero ad occupare il suolo in modo permanente con la vegetazione, a ridurre le arature in profondità, a sostituire i concimi chimici di sintesi con fertilizzanti naturali e a favorire i sistemi biologici contro le malattie e i parassiti. Dunque, questo tipo di agricoltura, pensato all'inizio solo per i paesi in via di sviluppo, si avvicina molto all'agroecologia e all'agricoltura integrata e grazie ai suoi principi, sta divenendo una pratica sempre più idonea da utilizzare. L'agricoltura integrata (concetto utilizzato a partire dagli anni '50 sia in Svizzera che nei paesi anglosassoni) nella sostanza è molto simile all'agricoltura biologica, poichè fa ricorso alla fertilizzazione organica, al controllo biologico contro gli infestanti e contro la rotazione delle colture. In caso di necessità (malattie, parassiti..) non impedisce l'uso di trattamenti pesticidi mirati. È un'agricoltura pragmatica, pienamente affidabile. L'agricoltura biologica è un modello di produzione agricola regolamentato da normative riconosciute dallo stato francese (dal 1993 classificazione AB) e pianificata a livello mondiale dal 1972. Non usa erbicidi (viene pre-
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(elle préconise le désherbage manuel ou mécanique, et les rotations), ni de fongicides ou d’insecticides (sauf ceux permis par le cahier des charges), et recommande l’utilisation de compost ou de fumier et la commercialisation de proximité par des circuits courts (dans sa version non industrielle). Ses produits sont considérés par les consommateurs comme a priori les plus sains parmi ceux mis sur les marchés, mais sont en général plus chers que leurs homologues issus de l’agriculture conventionnelle. L’agriculture paysanne, (des associations pour le maintien de l’agriculture paysanne – AMAP – par exemple), fait référence à des modes traditionnels de production reposant sur les anciens savoir-faire paysans, repris et réinterprétés aujourd’hui par l’agriculture biologique notamment. L’agriculture biodynamique, inspirée des travaux du philosophe allemand Rudolf Steiner (1861-1925) s’appuie sur des principes ésotériques et sur les rythmes lunaires en considérant l’exploitation agricole comme un organisme vivant autonome. L’agriculture permanente ou permaculture (définie par apports successifs de travaux américains, australiens et anglais depuis 1910) est fondée sur une éthique de durabilité de la production. Elle suppose la liberté de concevoir son système de production en harmonie avec la nature et avec son propre projet de maintien de la fertilité des sols et de la santé des plantes, des animaux et des hommes. L’agroécologie est une notion très intéressante mais encore confuse, connue depuis les années 1920. On peut retenir qu’elle se présente comme une agriculture valorisant d’abord les ressources naturelles locales, respectueuse des équilibres biologiques des sols et des agroécosystèmes, inspirée récemment de travaux scientifiques français (INRA,CIRAD) et de manifestes éthiques (Pierre Rabhi). Elle repose sur l’usage des engrais verts, des fumiers et des composts, sur le non-labour (respect de la structure et de la biologie du sol), le recours à des insecticides et fongicides naturels, les rotations de cultures, l’usage des variétés et des races locales, des techniques traditionnelles de protection des sols (érosion) et vise l’autonomie (ou la souveraineté) alimentaire locale ou régionale. C’est une alternative tout à fait pertinente à l’agriculture conventionnelle dans les pays développés et un outil de développement rural dans les pays en
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ferito il diserbaggio manuale o meccanico e le rotazioni) né fungicidi o insetticidi (salvo quelli permessi dalla normativa); raccomanda l'uso di compost o di letame e la distribuzione in circuiti locali (nella versione non industriale). I prodotti vengono considerati dai consumatori come i più sani tra quelli immessi sul mercato, anche se sono generalmente più costosi rispetto agli omologhi provenienti dall'agricoltura convenzionale. L'agricoltura locale contadina (composta da associazioni per la manutenzione dell'agricoltura locale contadina - come l'AMAP per esempio) si riferisce a dei modelli tradizionali di produzione che si rifanno all'antico saper-fare contadino, generalmente ripreso e reinterpretato oggi dall'agricoltura biologica. L'agricoltura biodinamica, trae ispirazione dall'opera del filosofo austriaco Rudolf Steiner (1861-1925); si fonda su principi esoterici e sui ritmi lunari, considerando l'impresa agricola come un organismo vivente autonomo. L'agricoltura permanente o permacultura (definita così a partire dal 1910 da successivi contributi di studi americani, australiani e inglesi) pone le radici sull'etica della durabilità della produzione. Il presupposto è la libertà di concepire il proprio sistema di produzione in armonia con la natura e con il progetto di manutenzione della fertilità dei suoli, della salute delle piante, degli animali e degli esseri umani. L'agroecologia è un concetto molto interessante, ma ancora poco chiaro, che si è sviluppato a partire dagli anni '20. Influenzata recentemente dalle ricerche scientifiche francesi (INRA, CIRAD) e dai manifesti di etica (Pierre Rabhi), si presenta come un'agricoltura valorizzatrice delle risorse naturali locali, rispettosa degli equilibri biologici del suolo e degli agroecosistemi. La pratica agricola si radica sull'uso dei concimi verdi, di letame, di compost, con il fine di evitare il movimento eccessivo della terra (dunque nel rispetto della struttura biologica del suolo); fa ricorso a insetticidi e funghicidi naturali, alla rotazione delle colture, all'uso di varietà e essenze locali; utilizza le tecniche tradizionali di protezione del suolo (erosione) e punta all'autonomia (o la sovranità) alimentare locale o regionale. È un'alternativa pertinente all'agricoltura convenzionale nei paesi sviluppa-
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voie de développement. L’agroécologie peut se pratiquer sous la forme de l’agroforesterie qui associe arbres à fruits ou à bois et cultures ou prairies. L’agriculture urbaine, qui inclut les jardinages et agricultures de toutes natures, se localise dans le tissu urbain des agglomérations, y compris sur les toits, et autour de celles-ci (région urbaine). Elle concerne tous les types précédents, et en particulier ceux qui visent à fournir à la ville proche des produits et des services d’origine agricole, avec des circuits courts. L’agriculture durable (ou soutenable) regroupe les agricultures qui ont pour objectif de transmettre des milieux cultivés et habitables aux générations futures sans nuire à leur perspective de développement. Elle protége l’eau, les sols, la biodiversité, les auxiliaires des cultures et les services écosystémiques, elle prend en compte les enjeux climatiques et énergétiques. Trois catégories d’agricultures se dégagent donc : la première vise à approvisionner les marchés locaux et mondialisés selon les principes d’une agroindustrie (les agricultures conventionnelle et de précision) qui fournit des produits alimentaires, énergétiques et des matières premières aux marchés de la planète entière ; la deuxième privilégie les principes de l’agriculture durable (agricultures raisonnée, intégrée, écologiquement intensive) en tant que « bonnes pratiques » d’un point de vue scientifique et politique, et la troisième est une alternative plus radicale que la seconde. Elle remet en cause la première et en partie la seconde, leurs modes productifs et la mondialisation des marchés, en privilégiant le commerce de proximité, l’innocuité des produits agricoles, le bien-être humain et les valeurs de l’écologie politique et de l’altermondialisme (agroécologie, agricultures paysanne, biologique, biodynamique, permanente). Si la première, l’agriculture conventionnelle, est disqualifiée pour continuer à approvisionner sereinement la planète, la seconde, l’agriculture durable, représente les promesses scientifiques et politiques les plus réalistes des Etats pour y parvenir sans nuire aux ressources naturelles et à la vie humaine et non humaine qui en dépend. En revanche la troisième, que j’appelle de manière générique l’agroécologie est sans doute le meilleur moyen pour les acteurs locaux de l’agriculture et du jardinage d’agir
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ti, oltre che uno strumento di crescita rurale nei paesi in via di sviluppo. L'agroecologia può praticarsi sotto forma di agroforesteria (coltura promiscua) che unisce tipologie diverse di coltivazioni come alberi da frutto, alberi da bosco e colture miste o prato. L'agricoltura urbana, che comprende l'orticoltura e l'agricoltura localizzata all'interno del tessuto urbano, compresi i tetti degli edifici, e nei territori di margine (regione urbana). Fa riferimento a tutti i tipi di coltivazione trattati sopra, in particolare a quelli che forniscono alla città prodotti e servizi di origine agricola, su circuiti di distribuzione locale. L'agricoltura durevole (o sostenibile) raggruppa i tipi di agricoltura con l'obiettivo di lasciare in eredità il paesaggio coltivato e abitabile alle generazioni future senza compromettere le prospettive di sviluppo e trasformazione. Protegge l'acqua e i suoli, garantisce la biodiversità, utilizzando gli organismi viventi come protezione delle colture, a vantaggio dell'ecosistema, tenendo conto dei cambiamenti climatici e energetici. Si prospettano dunque tre macro categorie di agricoltura: la prima mira a approvvigionare i mercati locali e globali secondo i principi dell'agroindustria (agricolture convenzionali e di precisione) per la distribuzione dei prodotti alimentari e di materie prime ai mercati del pianeta intero; la seconda privilegia i principi dell'agricoltura durevole-sostenibile (agricoltura razionale, integrata, ecologicamente intensiva) come "buone pratiche" da un punto di vista scientifico e politico; la terza è un'alternativa più radicale della seconda: si avvale degli stessi metodi di produzione della prima categoria mirati alla globalizzazione dei mercati ma, come la seconda, privilegia il commercio di prossimità, i prodotti agricoli sani, il benessere umano e i valori dell'ecologia politica e dell'altermondialismo (agroecologia, agricoltura contadina, biologica, biodinamica, permanente). Se la prima, l'agricoltura convenzionale, appare squalificante per un approvvigionamento sereno di tutto il pianeta, la seconda, l'agricoltura durevole, rappresenta le promesse mondiali più realistiche nel campo scientifico e politico per una nutrizione del pianeta che non produca danni alle risorse naturali e alla vita che ne dipende. La terza invece, che io chiamo in maniera generica agroecologia, rimane senza dubbio il mezzo migliore per la politica agricola locale di agire in modo complementare alla prece-
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ici et maintenant, et de façon complémentaire à la précédente, en fonction de leurs croyances propres et de leurs intérêts de citoyens, de consommateurs, de producteurs et d’habitants, quels que soient leurs niveaux de développement social, économique et culturel.
Les espaces agricoles périurbains en attente : quel devenir ? L’abandon des activités agricoles autour des villes se traduit dans les paysages par des friches agricoles (des champs incultes). C’est un phénomène fréquent qui marque assez souvent l’intention du propriétaire de vendre son terrain pour l’urbanisation. Ainsi il réalise un gain financier important (100 fois à plus de 500 fois le prix du terrain agricole). S’il est propriétaire non exploitant, il ne reloue pas à un agriculteur et attend ainsi la déclaration d’urbanisation possible du terrain par les services d’urbanisme de la commune et l’achat par un promoteur immobilier par exemple. Il peut aussi louer dans des conditions précaires (pas de bail) à un céréaliculteur et reprendre l’usage de son bien à n’importe quel moment. C’est fréquent en région parisienne qui est une région de céréaliculture. S’il est propriétaire exploitant, il n’a pas nécessairement recours à cette stratégie d’abandon et peut cultiver jusqu’à la vente. Dans les périphéries urbaines, les friches agricoles n’ont pas bonne réputation car elles deviennent des lieux d’insécurité, de décharges d’ordures, de trafics de drogues et de prostitution, elles hébergent les campements de nomades (Gitans) et sont des zones à risque d’incendies. Les élus cherchent à les faire disparaître sous la pression des habitants voisins. Ils ont deux possibilités : déclarer l’espace constructible ou bien affirmer sa non constructibilité avec des motifs juridiques (espace naturel, site et monument classés). Dans ce dernier cas, les champs retrouvent assez vite leur état agricole précédent (du moins en France). Car construire sur un terrain inconstructible expose à la démolition de l’édifice par l’Etat aux frais du constructeur (ce qui est rare mais est arrivé pendant l’été 2013 dans le département du Var en France à une luxueuse villa de bord de mer). Dans d’autres cas, les friches agricoles sont le fait de propriétaires négligents qui sont en général rappelés à l’ordre par le maire et le préfet (selon
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dente categoria, in funzione delle opinioni e gli interessi dei cittadini, dei consumatori, dei produttori e degli abitanti, qualunque sia il loro livello sociale, economico e culturale. Gli spazi agricoli periurbani in attesa: quale divenire? L'abbandono delle attività agricole intorno le città si riflette nel paesaggio attraverso l'immagine delle aree dismesse (campi incolti). È un fenomeno frequente che indica molto spesso l'intenzione del proprietario a vendere il terreno a vantaggio dell'insediamento di attività urbane, con un guadagno finanziario importante (da 100 a 500 volte in più del costo di un terreno agricolo). Generalmente nel caso si tratti di proprietari non gestori agricoli, la strategia di lasciare sfitto il sito, innesca dei tempi di attesa che si concludono con l'ottenimento, da parte dell'ufficio di pianificazione del comune, della concessione per l' urbanizzazione del terreno, e la vendita, per esempio, alle agenzie immobiliari. Nell'attesa della concessione, è comunque permesso l'utilizzo del terreno a condizioni transitorie (senza affitto) a coltivatori di grano che sono comunque obbligati in caso di necessità a lasciare la terra in qualsiasi momento. Questo accade frequentemente nella Région Parisienne , zona di cerealicoltori. Se invece il proprietario è anche gestore del terreno, non deve necessariamente ricorrere a questa strategia d'abbandono e può continuare a coltivare fino alla vendita. Nelle periferie urbane, le aree agricole dismesse sono ritenute luoghi insicuri; spesso si trasformano in discariche abusive o luoghi di traffico di droga e di prostituzione, o aree di accampamento nomadi (zingari) non consentito, oltre che essere zone ad alto rischio d'incendio. Sotto la pressione degli abitanti della zona, i politici locali cercano di eliminare il problema attraverso due possibilità: dichiarare che il terreno è edificabile o affermare la sua non edificabilità con strumenti giuridici (spazio naturale, sito vincolato). In questo ultimo caso, viene rigenerato velocemente lo stato agricolo originario (almeno in Francia), anche perché costruire su un terreno non edificabile espone alla demolizione dell'edificio da parte dello Stato a spesa del costruttore stesso (è una situazione rara ma è successo nel 2013 per una villa lussuosa sul mare nel Dipartimento del Var in Francia).
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le code rural, une parcelle agricole doit être cultivée en France). Parfois il s’agit de zones constructibles qui ne trouvent pas d’acheteurs (ce qui est rare). Selon les principes de connectivité de l’écologie du paysage (landscape ecology), il est possible d’utiliser ces friches périurbaines comme des réservoirs de biodiversité végétale et animale. Ce projet demande aux collectivités de planifier et d’aménager les connexions matérielles entre les friches, les boisements, les zones humides, les parcs, les rivières, etc., qui peuvent servir de corridors de circulation des populations végétales et animales, mais aussi des piétons, des cyclistes et des cavaliers. Dans ce cas il est préférable pour les municipalités de racheter les terrains pour ces usages publics et de mobiliser des compétences de biologistes et de paysagistes. Ce type de projet suppose que les urbanistes, selon les caractères paysagers et écologiques des lieux, choisissent les usages sociaux et fonctions écologiques et économiques des espaces concernés. Ils doivent également les rendre compatibles entre eux. Une concertation entre acteurs locaux, associations, municipalités et propriétaires de terrains est indispensable. Elle peut être très longue avant d’aboutir à des résultats et dépend des formes d’agriculture adoptée au contact des zones de nature sauvage : l’agroécologie, l’agriculture biologique, en circuits courts sont très recommandés, mais pas toujours maîtrisés, ni souhaités par les agriculteurs. Le tourisme et le loisir périurbains dans les campagnes urbaines : quel développement ? (je regroupe ici les points 2 et 3) L’intérêt des citadins pour le loisir à la campagne n’a cessé de se développer en Europe depuis la dernière guerre. La Grande-Bretagne et les PaysBas ont été pionniers pour valoriser les paysages de campagne (countryside) pour la résidence principale ou secondaire, et le loisir (pêche, chasse, photographie, promenade, observation naturaliste, etc.) dans les parcs nationaux et réserves naturelles, dans les propriétés de l’Heritage Coast et du National Trust etc.). Le tourisme vert en France dans les 45 parcs naturels régionaux, l’agritourisme en Italie concernent le plus souvent des régions périurbaines où les visiteurs sont accueillis dans les fermes ou des locations meublées de particuliers (bed and breakfast).
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In altri casi, i terreni agricoli abbandonati sono causa di proprietari negligenti che in generale vengono richiamati all'ordine dal sindaco e dal prefetto (secondo il Codice Rurale in Francia, una parcella agricola ha l'obbligo di essere coltivata). Talvolta si tratta invece di zone edificabili che non trovano l'acquirente (accade raramente). Secondo i principi di connettività delle discipline che riguardano l'ecologia del paesaggio (Landscape ecology), è possibile utilizzare queste aree dismesse periurbane come serbatoi di biodiversità vegetale e animale. Le amministrazioni pubbliche pianificano e organizzano le connessioni fisiche tra le aree dismesse, le zone boschive, le zone umide, i parchi, gli argini dei fiumi, ecc... che potrebbero costituire un corridoio di connessione degli esseri vegetali e animali, ma anche come percorsi pedonali, o ciclabili, o come sentieri per passeggiate a cavallo. In questo caso la scelta migliore per le amministrazioni dovrebbe essere quella di acquistare i terreni e interpellare gli specialisti biologi e paesaggisti per attuare il progetto Il presupposto è che gli urbanisti, in base alle caratteristiche paesaggistiche ed ecologiche dei luoghi, assegnino usi sociali e funzioni ecologiche ed economiche per gli spazi interessati, rendendoli compatibili tra loro. La concertazione tra attori locali, associazioni, amministrazioni e proprietari di terreni è indispensabile. Può passare molto tempo prima di ottenere dei risultati visibili; questo dipende dalle forme di agricoltura adottata in vicinanza di zone naturali selvagge: l'agroecologia, l'agricoltura biologica, sono molto raccomandate per la distribuzione locale, ma non sempre vengono controllate né scelte dagli agricoltori stessi. Il turismo e il tempo libero nelle campagne urbane: quali sviluppi? L'interesse dei cittadini verso la campagna, non ha mai cessato di esistere in Europa a partire dall'ultima guerra. La gran Bretagna e i Paesi Bassi sono stati i pionieri della valorizzazione dello spazio naturale fuori dalle città (countryside) scegliendolo come luogo di residenza principale o seconda casa, per trascorrere il tempo libero (pesca, caccia, fotografia, passeggiate, osservazione della natura...) nei parchi nazionali e le riserve naturali, (nelle proprietà de l'Heritage Coast e del National Trust, ecc..). Nella gran parte dei casi il turismo verde in Francia (nei 45 parchi naturali regionali) e gli agriturismi in Italia, si trovano in territori periurbani, dove
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A côté de ces entreprises associées à des exploitations agricoles, il existe d’autres formes de vie de loisirs à la campagne autour des villes et parfois dans les villes. Elles sont parfois liées à la qualité des paysages qui attirent les résidents secondaires surtout sur le littoral. - les agricultures de plaisance (hobby farming) sont menées à titre d’activités secondaires en général. Elles peuvent procurer des revenus (vente) ou faire l’objet d’autoconsommation. Par exemple la plupart des oliveraies sur la colline de Fiesole à Florence sont la propriété de citadins qui soustraitent l’entretien et la récolte à des arboriculteurs voisins. En France en Provence, dans le parc naturel régional du Lubéron, le même phénoméne existe avec des vergers d’oliviers, d’amandiers, de pruniers et de pêchers propriétés de résidents secondaires habitant Paris, Aix-en-Provence ou Marseille, mais aussi avec des vignes et parfois des céréales. Elles relèvent du modèle biologique d’agriculture (pas ou peu de pesticides). - Les élevages de plaisance (moutons, ânes, chevaux, poneys, lapins, volaille, ruches d’abeilles) sont abondants autour des villes à Montpellier, Aix en Provence, Toulon. Ils rendent des services paysagers privés (tonte de l’herbe, scènes pittoresques), fournissent de la viande (moutons, lapins, volailles), du miel et des services d’équitation (chevaux, poneys). La plupart des prairies qui résistent autour des villes sont liées à ces élevages engendrés par les activités de loisirs des retraités mais aussi des actifs. - Les agricultures patrimoniales (souvent des petits élevages, des arboricultures et des maraichages) sont le fait en général de personnes âgées travaillant avec de plus jeunes qui attendent les possibilités de vendre les terres en cumulant les revenus agricoles et des salaires en ville. Il s’agit alors de pluriactifs (plusieurs sources de revenus) qui n’investissent pas dans l’agroindustrie, conservent des pratiques artisanales traditionnelles et peuvent s’inscrire dans les circuits courts ou dans la transformation (confitures, compotes, jus de fruits, huile). Dans cette catégorie s’inscrivent à mon avis les maisons familiales périurbaines (autrefois rurales) de l’Italie. En Vénétie notamment, elles peuvent héberger des ateliers de confection (maroquinerie) ou d’autres types d’artisanats de qualité qui changent leur destination agricole initiale. Ces périphéries montrent alors une mosaïque de petits villages, de maisons isolées et de petites parcelles agricoles, un paysage bien différent de celui de la plaine céréalière du
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i visitatori vengono accolti nelle aziende agricole o nei bed and breakfast. Oltre queste strutture ad uso prevalentemente agricolo, esistono altre forme di vivere il tempo libero nelle campagne intorno la città e qualche volta all'interno della città stessa: sono scelte determinate dalla qualità dei paesaggi soprattutto sul litorale. che attirano gli abitanti di seconde case. - L'agricoltura amatoriale (hobby farming) in generale viene svolta come attività secondaria. Può produrre redditi aggiuntivi o essere oggetto di auto-consumo. Per esempio la gran parte degli uliveti sulla collina di Fiesole a Firenze sono di proprietà di cittadini che subappaltano la manutenzione e la raccolta a degli arboricoltori vicini. In Francia, in Provence, nel Parco regionale del Lubéron, esiste lo stesso fenomeno per i proprietari di campi di ulivi, di mandorli, prugneti e di peschi che vivono a Parigi, a Aix-en-Provence o Marsiglia, ma anche con vigneti e talvolta con cereali. Essi si rifanno al modello di agricoltura biologica (senza o con poco uso di pesticidi). - Gli allevamenti artigianali (pecore, asini, cavalli, pony, conigli, pollame, alveari..) abbondano intorno le città di Montpellier, Aix en Provence, Toulon. Offrono dei servizi privati legati al paesaggio (attività pittoresche come la falciatura dell'erba...) forniscono della carne (pecore, conigli, pollame), miele e possibilità di praticare dello sport, come l'equitazione (cavalli, pony). La gran parte delle praterie intorno le città sopravvivono grazie a questi allevamenti artigianali che offrono la possibilità di trascorrere del tempo libero ai pensionati, ma non solo... - L'agricoltura patrimoniale (piccoli allevamenti, colture arboree e orti) è rappresentata in generale da lavoratori anziani affiancati da eredi giovani che, in attesa di poter vendere le terre, accumulano i redditi agricoli con le entrate che provengono da altri lavori svolti in città. Si tratta dunque di settori con pluriattività (diverse fonti di reddito) in cui i proprietari non investono nell'agroindustria, ma mantengono le pratiche artigianali tradizionali, inserendosi nei circuiti locali di distribuzione agricola o nella produzione e vendita di prodotti derivanti dall'agricoltura (marmellate, composti, succhi di frutta, oli...). A parere mio, in Italia le case familiari periurbane (una volta rurali) appartengono a questa categoria. In particolare in Veneto, dove i volumi annessi alle case ospitano pelletterie o altri tipi di artigianato di qualità, mutando la destinazione agricola originale. Queste aree periferiche si manifestano attraverso un
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Pô au sud de Milan ou des Pouilles oléicoles autour de Bari. - Les agricultures paysagistes comme la viticulture de grands crus (Chianti, Cinque Terre Bordeaux) réunissent comme argument de vente la notoriété de somptueux paysages périurbains et la qualité des vins. Les pouvoirs publics régionaux (dans le Languedoc français par exemple) financent l’aménagement paysager et patrimonial des vignobles (reconstruction des abris traditionnels) et aide la filière viticole. Ces viticultures d’AOC (appellation d’origine contrôlée) sont de véritables industries qui font leur chiffre d’affaires surtout à l’exportation. Certains vignobles comme la commune de saint Emilion et son village ou les Cinque Terre ont été classés au patrimoine mondial de l’UNESCO et attirent de nombreux touristes. Dans d’autres cas, comme les vergers d’oliviers en Provence, en Toscane ou dans la Région de Bari, comme le montado au Portugual ou la dehesa en Espagne c’est la valeur paysagère esthétique et patrimoniale (l’identité locale et la mémoire) qui sont en jeu avec le tourisme pour les pouvoirs publics et les propriétaires privés. On voit donc que, selon les politiques publiques (surtout foncières) adoptées par les collectivités et les Etats, et selon le type d’agriculture, la résistance des agricultures urbaines à l’urbanisation varie beaucoup. Si elles sont souvent rentables comme la céréaliculture et les oléoprotéagineux, la viticulture d’exportation ou les cultures maraîchères de circuits courts (avec des niches encore limitées comme les produits à label biologique), les exploitations peuvent résister aujourd’hui. Dans les autres cas, elles peuvent s’inscrire dans des transmissions de patrimoine foncier, servir à la pluriactivité ou vendre des services de loisirs et de tourisme qui sont partout recherchés autour de la Méditerranée, mais sont beaucoup plus fragiles en cas de projet d’urbanisation validé par les mairies. En France, les politiques de parcs naturels régionaux autour de villes (3 autour de Paris, ceux de Nantes, Aix-Marseille, Lyon, Rennes, Brest, Caen, Rouen-Le havre, Lille, etc.), ou même nationaux (le récent parc des Calanques à Marseille) sont très favorables au développement de l’agritourisme et d’agricultures paysagistes, patrimoniales ou même naturalistes (élevages de bovins, de chevaux et de moutons pour la gestion de la faune et de la flore des zones naturelles sèches et humides mises en
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mosaico di piccoli villaggi o case isolate con appezzamenti agricoli molto ridotti; paesaggi ben differenti dai campi delle colture cerealicole della pianura del Po, a sud di Milano, o degli ulivi in Puglia, intorno Bari. - L'agricoltura paesaggista di cui fanno parte i vigneti di pregio (Chianti, Cinque Terre, Bordeaux...). È una categoria che unisce alla coltivazione della terra la notorietà dei sontuosi paesaggi e la qualità dei vini come buon incentivo per la vendita dei prodotti. I governi regionali (per esempio come nella regione della Languedoc) finanziano le riqualificazioni del patrimonio e del paesaggio dei vigneti (ricostruzione dei contesti tradizionali) e aiutano le filiere vinicole. Queste viticulture DOC (Denominazione d'Origine Controllata) sono delle vere e proprie industrie che alimentano i loro introiti soprattutto con l'esportazione. Diversi territori comunali, come St. Emilion e la sua provincia, o le Cinque Terre in Liguria, sono state classificate patrimonio Mondiale dell'UNESCO anche grazie al paesaggio di vigneti e attirano quindi molto turismo. E ancora in altri casi, come per i campi di ulivi in Provenza, o in Toscana, o in Puglia, o come il sistema agricolo del montado in Portogallo, o della dehesa in Spagna, è il paesaggio coltivato a costituire il valore estetico patrimoniale (l'identità locale e la memoria) a richiamare il turismo a vantaggio sia degli enti pubblici che per i proprietari privati. Si vede dunque come la resistenza dei territori agricoli ai processi di urbanizzazione dei suoli possa variare secondo le politiche pubbliche (soprattutto fondiarie) adottate dalle comunità e dallo Stato, oltre che secondo il tipo di coltivazione adottato. Le piccole aziende possono resistere oggi solo se i loro prodotti sono redditizi come lo sono le colture intensive di cereali e di piante oleoproteaginose, o la viticultura d'esportazione o le coltivazioni ortofrutticole dei circuiti locali (con prodotti di nicchia come quelli di etichetta biologica). Tutti gli altri casi possono sopravvivere con l'eredità del patrimonio fondiario, unito ad altre attività non agricole, o fornire servizi per il turismo e il tempo libero che sono molto ricercati in tutto il Mediterraneo; sono però casi certamente molto fragili davanti alla pianificazione di espansione urbana voluta dagli enti pubblici di governo. In Francia, le politiche degli Enti Parco regionali intorno le città (tre vicino Parigi, oltre quelle di de Nantes, Aix-Marseille, Lyon, Rennes, Brest, Caen, Rouen-Le havre, Lille, etc) o nazionali (come il recente parco di Calanque
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réserves naturelles). Dans ces cas, la terre agricole échappe le plus souvent à l’urbanisation grâce aux documents d’urbanisme opposables au tiers (les schémas de cohérence territoriaux et les plans locaux d’urbanisme depuis la loi d’urbanisme de 2000) et quelques lois spécifiques de protection des sols agricoles, mais peu utilisés. Les terrains sont parfois rachetée par les agences foncières nationales (Conservatoire du littoral), ou départementales (espaces naturels sensibles) Cette politique aboutit assez souvent à une gentrification (gentry en anglais) des populations habitant ces périmètres. Les jardins urbains (orti urbani) et les cultures maraîchères des régions urbaines Ce sont deux types d’agricultures urbaines différentes. Les jardins urbains sont cultivés par des jardiniers amateurs (des habitants proches) pour l’autoconsommation ou le don aux voisins selon des techniques artisanales proche de l’agroécologie en général. Ils ne produisent pas ou peu d’emplois mais de la nourriture (des produits frais : des légumes, des fruits, des fleurs, plus rarement des poulets ou des lapins). Les terrains sont la propriété des communes ou des organisations de logements à prix modestes (HLM en France, maisons économiques et sociales en Italie), ou bien d’associations de jardiniers (en Europe centrale) En revanche, les cultures maraîchères et fruitières sont des agricultures professionnelles qui vendent sur les marchés, en circuits courts ou longs, en cueillettes directes, de manière biologique ou non et créent des emplois pérennes et temporaires (pour les récoltes). Leurs techniques peuvent être intensives (agroindustrie des serres) et permettre plusieurs récoltes par an. Parfois, surtout à l’intérieur des villes, les terrains sont la propriété des communes qui gardent ainsi un réservoir de terrains pour la construction. Les terrains peuvent être la propriété des maraîchers et des arboriculteurs qui les vendent pour financer leurs retraites ou pour se délocaliser à l’extérieur de la ville. En région parisienne, à Marseille, Lyon, Nantes, Grenoble la plupart des constructions d’HLM des années 1960 – 1970 ont été faites à partir des terrains maraîchers, de floricultures et de vergers. Ces deux dernières activités ont presque disparu aujourd’hui du fait de la concurrence d’autres régions européennes. Aujourd’hui, en situation de crises de l’emploi et de l’alimentation il existe
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a Marseille) sono favorevoli allo sviluppo dell'agriturismo e dell'agricoltura paesaggista, sia patrimoniale che ecologica (allevamenti di bovini, cavalli e pecore per la gestione della fauna e della flora delle zone secche e umide che fanno parte delle riserve naturali). Normalmente questo tipo di terre agricole si salva dall'urbanizzazione grazie alla documentazione opponibile ai terzi (composta da strategie di coerenza territoriale dei piani di sviluppo locale dopo la legge urbanistica francese del 2000) e a qualche legge specifica poco utilizzata sulla protezione del suolo agricolo. I terreni talvolta vengono acquisiti dalle agenzie nazionali del territorio (Conservatoire du littoral) o dalla Provincia (Aree naturali sensibili). Questo tipo di politica sfocia generalmente in una "gentrificazione" (da "gentry" in inglese) delle popolazioni che abitano queste zone. Orti Urbani e orticoltura delle zone urbane Sono due tipi di agricolture differenti. Gli orti urbani vengono coltivati da amatori (abitanti locali) per usi personali o per scambi tra vicini secondo tecniche artigianali simili all'agroecologia. Gli Orti Urbani non producono come risorsa impieghi di lavoro (o comunque ne producono molto poco) ma cibo (prodotti freschi: legumi, frutta, fiori ... più raramente pollame o conigli). I terreni sono di proprietà pubblica o appartengono alle organizzazioni societarie di alloggi economici (Habitation à Loyer Modéré in Francia, Case economiche e sociali in Italia), o anche ad associazioni locali di piccoli coltivatori (in Europa centrale). Viceversa, l'orticoltura è un tipo di agricoltura professionale che sta sul mercato, nei circuiti locali o di esportazione, nella raccolta a vendita diretta; a prescindere che sia di natura organica o meno, è una produzione che crea posti lavoro permanenti o temporanei (per la durata dei raccolti). Le tecniche possono essere intensive (serre agro-alimentari) e consentire più raccolti per anno. I terreni, soprattutto nei centri urbani, sono a volte pubblici e mantengono una parte destinata all'edilizia. Oppure sono originariamente di proprietà dei coltivatori ed essere poi messi in vendita a vantaggio di uno spostamento vicino la città. Nella Regione parigina, come a Marseille, Lyone, Nantes e Grenoble, la maggior parte degli edifici HLM anni '60/'70 è stata realizzata su orti, campi di fiori e verzieri. Queste due ultime coltivazioni stanno scomparendo a causa della forte concorrenza di altre regioni europee. Oggi, con la crisi occupazionale e alimentare, si sta diffondendo la con-
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partout (en France l’idée est née à Grenoble dans les années 1970) une prise de conscience des pouvoirs publics locaux et des habitants pour maintenir et récréer ces sources d’alimentation de proximité. Les jardins partagés et communautaires sont devenus des lieux de rencontres et de convivialité des habitants. Il en existe 90 à Paris. Des utopies émergent pour imaginer une autonomie alimentaire des régions urbaines avec des agricultures et des jardinages de bonne qualité sanitaire et de proximité. La plupart sont antiurbaines (comme celles de F.L. Wright au siècle dernier et de E. Howard : les cités jardins). Prévoir des agricultures, des espaces agricoles et des agriculteurs avec des projets urbains commence à faire son chemin comme à Bordeaux (30 hectares de cultures biologique ou raisonnée), parfois à la place des espaces verts (comme pendant la dernière guerre mondiale). Ces projets agriurbains définissent la pratique pluridisciplinaire de l’agriurbanisme: des urbanistes, des paysagistes des architectes, des agriculteurs et des agronomes écologues travaillent ensemble. Cette organisation est fréquente aux Pays-Bas et en Allemagne. La théorie de l’agriurbanisme est émergente. L’agroindustrie (l’agriculture industrielle) périurbaine Les cultures maraîchères sous serres et en plein champ sont une nécessité agroalimentaire pour produire toute l’année et approvisionner les citadins. Leur image n’est pas pittoresque et n’évoque pas la nature rêvée. Et parfois, leurs rejets d’eaux d’irrigation sont polluants pour les nappes phréatiques. Le plus souvent, elles exportent leurs produits loin des lieux de production. Pourtant, leurs techniques évoluent rapidement, les eaux polluantes des serres de Rotterdam sont désormais filtrées, dépolluées et recyclées. Les cultures céréalières et horticoles sont placées à distance des axes routiers polluants en région parisienne. Les techniques de lutte biologique et de cultures hydroponiques rapprochent ces entreprises des cultures de l’agriculture biologique. Les circuits courts, les paniers, les cueillettes directes, les entreprises à label biologique, biodynamique ou de permaculture se multiplient. Et surtout c’est grâce à ces productions intensives de proximité que les marchés urbains proches sont approvisionnés constamment en produits frais, même en cas de crises graves (climatiques, guerres, grèves). Quand
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sapevolezza delle autorità locali e dei residenti dell'importanza di mantenere, o ricreare, fonti di sostentamento locali (in Francia l'idea è nata a Grenoble negli anni '70). Gli orti pubblici, condivisi sono divenuti luoghi di incontro e di convivialità degli abitanti. Ne esistono 90 a Parigi. Stanno nascendo utopie sull'autosufficienza alimentare nelle aree urbane attraverso l'utilizzo dell'agricoltura e degli orti locali: la maggioranza è di tendenza anti-urbana (come le teorie di F.L. Wright e di E. Howard sulle città giardino del secolo scorso). Comincia a farsi strada la progettazione urbana di spazi agricoli, come è avvenuto a Bordeaux (trenta ettari di coltivazioni biologiche e sostenibili) in sostituzione di aree verdi (come è accaduto durante l'ultima guerra mondiale). Questi progetti agri-urbani definiscono bene la pratica pluridisciplinare dell'agriurbanistica: urbanisti, paesaggisti, architetti, agricoltori e agronomi ecologisti lavorano insieme. È un uso già frequente in Olanda e Germania dove la teoria dell'agriurbanistica sta emergendo. L'agricoltura industriale periurbana Le coltivazioni orticole in serra e quelle intensive a pieno campo sono una necessità agroalimentare per la produzione e la distribuzione ai cittadini in tutto l'anno. La loro immagine non è pittoresca e né evoca la natura sognata. In più, in qualche caso, lo scarico dell'acqua che deriva dall'irrigazione, inquina le falde acquifere sotterranee. Questo tipo di coltivazione generalmente esporta i prodotti lontano dai luoghi in cui sono prodotte. Tuttavia grazie alla rapidità dell'evoluzione tecnologica del settore, a Rotterdam le acque inquinanti provenienti dalle serre sono ormai filtrate, depurate e riciclate. Ugualmente, nella regione parigina, le colture cerealicole e orticole vengono posizionate a distanza dai tracciati delle strade inquinanti. Le tecniche di controllo delle coltivazioni idroponiche spingono le aziende stesse ad utilizzare i modi di coltivazione appartenenti all''agricoltura biologica. I circuiti locali, le consegne a domicilio, le coltivazioni dirette, le aziende a classificazione biologica, biodinamica o di permacultura, si moltiplicano. E soprattutto è grazie a questa produzione intensiva locale che i mercati cittadini sono costantemente riforniti da prodotti freschi, anche in casi di grave crisi (dovuta al clima, alle guerre, agli scioperi...). Come accade spesso, se queste orticolture vengono installate sui tetti de-
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ces horticultures s’installent sur les toits, les balcons, dans les appartements, elles sont rarement professionnelles (ce sont aujourd’hui des adaptations à des situations précaires de crises sociales et alimentaires surtout dans les pays du sud). Mais quand les architectes imaginent des fermes tours, elles peuvent devenir des entreprises professionnelles. Il faudra alors expérimenter et confronter deux situations possibles : l’agriculture et l’élevage sur un vrai sol fertile et le recours aux cultures aquaponiques et hydroponiques. Dans toutes ces situations, la nature biologique (les plantes cultivées et les animaux domestiques) devient une nature technique (une technonature). Il ne faut pas le regretter et avoir recours aux techniques de design et de communication pour faire comprendre ces nouveaux paysages aux habitants des nouveaux quartiers (écoquartiers). En résumé, l’enjeu sociopolitique des agricultures et des jardinages urbains se résume à cinq points : 1. Réintroduire et maintenir les cultures, les élevages et les jardinages dans les régions urbaines au sein d’un réseau de corridors verts et aquatiques, avec et pour les habitants (c’est un problème d’urbanisme). 2. Imaginer cette organisation spatiale, économique, écologique et sociale avec des équipes techniques et scientifiques pluridisciplinaires (il faut regrouper les professionnels de l’aménagement). 3. Accompagner la transition de l’agriculture conventionnelle vers l’agroécologie sur des sols cultivés protégés (c’est un problème environnemental) 4. Réinventer le design urbain et paysager sur des bases nouvelles et fiables (les projets agriurbains du Grand Paris de 2009 étant le plus souvent très criticables, mais une bonne illustration d’utopies agriurbaines contemporaines). 5. Donner la priorité dans les projets à la question de l’eau, de l’énergie renouvelable et de la participation active des habitants, des jardiniers et des agriculteurs. Sans la pression des habitants citoyens qui débattent publiquement et démocratiquement, les acteurs politiques locaux sont très démunis pour faire face à la transition environnementale et alimentaire en cours. * Agronome et géographe. Professeur émérite de sciences du paysage de l’Ecole nationale supérieure de paysage de Versailles-Marseille. Texte écrit le 22 septembre 2013 pour le Lab. "Orditure del terzo spazio. Riuso delle aree produttive dismesse" - Recycle Italy
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gli edifici, sui balconi, o addirittura dentro gli appartamenti, difficilmente si possono avere produzioni di tipo professionale (sono adattamenti a situazioni precarie di crisi sociale e alimentare, soprattutto nei paesi del sud). Invece le fattorie verticali che immaginano gli architetti hanno potenzialità di divenire realmente aziende professionali. In quel caso occorre sperimentare e confrontare due situazioni possibili: agricoltura e allevamento su veri suoli fertili o il ricorso a colture di tecnica acquaponica e idroponica. In entrambe le situazioni la natura biologica (le piante coltivate e gli animali domestici) diviene natura tecnica (una tecnonatura). Non bisogna rifiutarla, ma fare ricorso al progetto architettonico e ad una buona comunicazione per far comprendere questi nuovi paesaggi agli abitanti dei nuovi quartieri (ecoquartieri). In sintesi, la questione socio-politica dell'agricoltura e degli orti urbani si può riassumere in cinque punti: 1. Reintrodurre e mantenere nelle aree urbane le coltivazioni dei campi, gli allevamenti, gli orti, ponendoli all'interno di corridoi verdi e idrici ad uso degli abitanti (è un problema di progetto urbano). 2. Progettare una nuova organizzazione dello spazio, basata su criteri economici, ecologici e sociali insieme ad équipes tecniche pluridisciplinari (occorre raggruppare le figure professionali delle riqualificazioni territoriali). 3. Sostenere la transizione dell'agricoltura da tradizionale a agro-ecologica su terreni coltivati protetti (è una questione ambientale). 4. Reinventare il progetto urbano e del paesaggio su basi innovative e affidabili (il progetto agriurbano de La Grand Paris del 2009 è stato il più delle volte criticato, tuttavia restituisce un'immagine efficace delle utopie agriurbane contemporanee). 5. Dare la priorità ai progetti che riguardano le questioni dell'acqua, dell'energia rinnovabile e della partecipazione attiva degli abitanti, degli orticultori e degli agricoltori. Senza la pressione dei cittadini per un confronto pubblico e democratico, i politici locali sono deboli per affrontare la trasformazione ambientale e alimentare in corso.
*Agronomo e geografo. Professore emerito di Scienze del Paesaggio presso la Scuola Nazionale Superiore del Paesaggio-Versailles-Marseille. Testo scritto il 22 Sett. 2013 in occasione del Lab. "Orditure del terzo spazio. Riuso delle aree produttive dismesse" - Recycle Italy
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Campagna siciliana, dintorni di Gibellina Vecchia 2013. Foto di Ester Dedè.
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SCARTI IMMOBILI, TRA EROSIONE E ABBANDONO. NOTE SUL RIUSO PRODUTTIVO DEI PAESAGGI RURALI Marco Bovati >PoliMI
"Perduto è sol chi se stesso abandona". Matteo Maria Boiardo, Pastorale, XV sec. La tematica del riciclo si inserisce in un quadro complesso, animato da fenomeni simultanei e apparentemente contradditori: da un lato il progressivo abbandono di territori e la dismissione di edifici e manufatti obsoleti, dall’altro la crescente erosione di suoli agricoli operata dai meccanismi riproduttivi della città contemporanea. Il presente scritto intende mettere a fuoco alcuni concetti preliminari, utili allo svolgimento di un approfondimento di ricerca sul tema del riuso produttivo dei paesaggi rurali, in particolare in contesti urbani e periurbani. Per questo motivo si è inteso proporre alcune note che provano a individuare i principi di una riflessione critica sul rapporto tra il tema del riciclo e il caso particolare costituito dai paesaggi rurali. Si è pertanto preso in esame il concetto di “scarto immobile”, il problema della durata dei manufatti e dei suoli, e la relazione tra fenomeni di abbandono di suoli produttivi e progressiva erosione del territorio ad opera di un’urbanizzazione che da un lato consuma il suolo, dall’altro dismette aree libere e manufatti.
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La compresenza di questi fenomeni è determinata da fattori di ordine socio-economico tra cui svolge un ruolo non trascurabile il processo di mercificazione dell’architettura e del suolo, sempre più intesi come prodotti e sempre più ridotti a beni di rapido consumo e altrettanto rapida dismissione. Precedentemente1 è stata parzialmente indagata la relazione tra logiche di mercato ed architettura laddove si metteva in evidenza come i “prodotti” dell’architettura, tanto quanto le merci di consumo, vengono lanciati sul mercato, consumando nuovi suoli sottratti all’agricoltura, e ritirati, abbandonando aree non più redditizie e generando scarti e residui 2. Lo sfondo concettuale al quale si riferiscono queste argomentazioni va individuato nel tema della durata dei manufatti, soprattutto in relazione ad un’idea di sostenibilità che sia in grado di superare le questioni meramente prestazionali, fondandosi piuttosto sul concetto di tempo che – insieme a quello di spazio, nelle sue declinazioni di luogo, contesto e geografia – si pone come strumento effettivamente in grado di rivelarne la portata trasformativa a carico delle discipline del progetto.
Edificio produttivo abbandonato, Verona 2006. Fotografia di Ester Dedè
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Architettura e suolo come “scarti immobiliâ€? Negli ultimi anni il tema dell’abbandono di suoli e manufatti si presenta con modalitĂ simili a quelle che riguardano i prodotti di consumo propri dell’economia delle merci, le quali si basano su una sequenza temporale che prevede: indagine di mercato; messa punto di strategie di marketing; produzione; lancio sul mercato; breve periodo di grande notorietĂ ; rapido oblio e inevitabile formazione di scarti e rifiuti. Questa filiera, propria delle dinamiche di mercato fondate sulle logiche pubblicitarie e sul meccanismo dell’obsolescenza programmata, sembra riguardare sempre di piĂš anche i manufatti edilizi e il paesaggio. Va però rilevato che, quando tale dinamica si verifica a carico dell’architettura e dei suoli, si vengono a determinare conseguenze fisico-spaziali e territoriali tutt’affatto diverse da quelle che interessano gli oggetti di consumo propri dell’economia di mercato. Le ragioni di tali differenze risiedono nell’evidenza che un edificio da un lato è un bene immobile e radicato nel luogo, dall’altro è un bene concepito come durevole, poco adatto ad essere riciclato, e spesso non progettato per essere smaltito. L’architettura infatti sta nel luogo in un modo particolare e specifico, legandosi ad esso in senso fisico spaziale e in senso culturale, e questa condizione la connota in modo univoco proprio in virtĂš della sua relazione con il contesto. Questo naturalmente non significa che il progetto possa essere desunto dalle condizioni trovate, secondo un procedimento lineare e deduttivo. La relazione che l’architettura instaura con il luogo è piuttosto di tipo dialettico. Come ricorda Vittorio Gregotti infatti “L’atopia è uno degli atti necessari alla sospensione del giudizio, un fare spazio al dispiegarsi della possibilitĂ dell’ipotesi, ma essa diventa progetto solo nell’attrito, cioè nel GLDORJR FRQ OD FRQGL]LRQH VSHFLÂąFD QHO WHQWDWLYR GL RUJDQL]]DUOD GL FRVWUXLUOD GDQGRYL QXRYD IRUPD ÂąQLWDž¨ 3 Questa modalitĂ del rapporto sembra contenere ad un tempo vincoli e gradi di libertĂ e la ricerca dell’equilibrio tra i primi e i secondi è stata, almeno negli ultimi decenni, un leitmotif della ricerca architettonica. Al contrario la contemporaneitĂ ci presenta spesso una produzione architettonica che sembra attribuire al rapporto tra architettura e luogo esclusivamente la sua natura di vincolo dal quale emanciparsi per consentire all’espressivitĂ autoriale di manifestarsi pienamente. Il tema è noto e sembra consistere nella tendenza all’assunzione di una “arbitrarietĂ formale del soggettoâ€? come “tentativo di sostituire le differenze fondate a partire
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GDOOD VSHFL±FLWj GHOOH FXOWXUH¨, rappresentando così quel “carattere globalistico” 4 dell’architettura che muove verso il seppellimento di tali differenze (e di conseguenza anche delle culture). A queste posizioni – imputate di eludere la condizione fondativa dell’atto del costruire che risiederebbe nel radicamento al suolo e che fa dell’architettura un prodotto immobile, – si contrappongono voci diverse che, facendosi carico di un recente passato animato dal dibattito sul regionalismo critico, provano a interpretare in maniera rinnovata il rapporto con il luogo, fondandolo sugli aspetti climatico-ambientali. In questo senso si può richiamare quanto sostiene Sergio Los, secondo cui il “peccato originale” del modernismo consiste nell’aver promosso una sostanziale identificazione tra prodotti mobili, internazionali perché indipendenti dal contesto (auto, computer, aerei, ecc.) e prodotti immobili, radicati nel luogo e dunque regionali (case, città, agricoltura, ecc.)5, avvenuta nella prima metà del ‘900 e protrattasi nei decenni successivi. I due tipi di prodotti sarebbero in realtà profondamente diversi e presuppongono processi di produzione e di formalizzazione altrettanto differenti. Allo stesso modo si distinguono sul piano della temporalità, del rapporto con il luogo e per ciò che concerne la definizione del loro carattere funzionale: preciso e rigido, nel caso di un prodotto mobile e di breve durata, “più o men vago” nel caso di un prodotto immobile e destinato a durare.6 Se ciò è vero appare più chiaro perché l’architettura – bene immobile – al termine del proprio ciclo di vita, causi la formazione di “scarti immobili”, difficilmente assoggettabili alle logiche e alle tecniche del riciclo più adatte agli oggetti mobili del disegno industriale. La generazione di rifiuti e scarti, conseguente alla mercificazione dell’architettura ridotta a prodotto di rapido consumo, non determina rifiuti gestibili attraverso una reintroduzione nel meccanismo della lavorazione delle merci e del riciclaggio nei cicli produttivi, o processabili attraverso lo smontaggio, la delocalizzazione e lo stoccaggio in attesa di altri destini. Produce piuttosto uno scarto immobile che tende inevitabilmente a permanere sul sito. Per esso più che di “riciclo” sarebbe forse più opportuno parlare di “riuso” o di “nuovo ciclo”. A carico del territorio rurale questo fenomeno si viene a determinare attraverso una criticità ulteriore, un’aggravante rispetto a quanto avviene per le altre merci e per l’architettura: oltre all’impossibilità di spostare fisicamente i suoli, vi è la difficoltà di restituire agli usi agricoli produttivi
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quelle aree parzialmente o integralmente “consumate” dall’espandersi irreversibile dell’urbanizzazione. Architettura, tempo e durata: “sviluppo durevole” come sinonimo di sostenibilità (ma più preciso) Come detto, una delle caratteristiche che distingue i prodotti mobili dai prodotti immobili è la dimensione temporale che ne connota la durata di vita. I primi sono spesso pensati per un tempo breve, se rapportato alla durata della vita di un essere umano, ad una repentina obsolescenza ed una altrettanto rapida sostituzione. I secondi, per ragioni economiche e produttive legate al grande impiego di risorse necessario alla loro costruzione, e nondimeno per ragioni culturali e sociali, sono, o dovrebbero essere, destinati a durare. La riflessione sulla questione della durata dell’architettura, degli insediamenti e degli assetti territoriali, è però investita da profondi mutamenti culturali e disciplinari. L’architettura, in particolare, è da sempre concepita e costruita per superare tempi lunghi e da sempre e pressoché ovunque – almeno fino a poco fa – è implicitamente pensata come bene immobile e lungamente durevole7 – questo ad eccezione di contesti culturalmente “giovani” o di condizioni culturali radicalmente diverse e permeate da una diversa idea di durata. Oggi il tema risulta conteso tra tendenze divergenti. Le istanze del movimento ecologista hanno infatti portato all’attenzione del progetto la questione del tempo lungo8 e l’idea che anche le discipline progettuali si possano misurare con la dimensione della lunga durata e con la questione della responsabilità intergenerazionale. Allo stesso tempo tra le parole chiave della sostenibilità, in particolare in architettura, emergono i concetti di temporaneità, smontabilità, provvisorietà, che assumono il ruolo di operatori teorici in grado di orientare il progetto verso una dimensione “leggera” e effimera, quasi l’architettura potesse transitare verso il modo di intendere i prodotti proprio del disegno industriale, sganciandosi da ogni radicamento con il suolo e da ogni idea di permanenza. Vi è una profonda implicazione ecologica anche in questo modo di intendere la questione: il fatto architettonico è investito da fenomeni di rapido consumo e si trova a doversi misurare con le sue caratteristiche costruttive, formali e con i suoi esiti culturali, attraverso una nuova dimensione che è quella di un’architettura a tempo determinato, leggera, a impatto
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zero. Da piĂš parti proviene la raccomandazione di una presa in carico della dimensione transitoria del fatto architettonico, non piĂš solo nella fase di realizzazione e gestione ma, sempre di piĂš assumendone la globalitĂ dell’intero ciclo di esistenza9, che include la selezione e la produzione dei materiali e degli elementi costruttivi, la realizzazione del manufatto, la sua vita e il suo “fine vitaâ€?. Si promuove in questo modo la prefigurazione e la programmazione di operazioni di smontaggio, riuso, riciclo, fino alla possibilitĂ della delocalizzazione, se non dell’intero edificio almeno dei suoi componenti edilizi. Non che queste pratiche non fossero giĂ presenti nella storia dell’architettura occidentale, la novitĂ semmai sta nell’idea che la cultura progettuale possa o debba anticipare nel progetto tali operazioni, orientando a questo scopo la selezione dei materiali e dei componenti, delle tecniche costruttive e delle forme. Le criticitĂ sollevate da questo scenario sono almeno di due tipi: da un lato la cultura architettonica si chiede quale sia lo statuto identitario e l’effettiva legittimitĂ di manufatti sradicanti dai luoghi e a tempo determinato; dall’altro la sensibilitĂ ambientale del progettista si pone il problema dei costi energetici connessi alla produzione e al successivo riciclo di un manufatto a vita breve, quando invece, come suggerisce la radice del termine “sostenibilitĂ â€?, il parametro di massimizzazione delle qualitĂ energetiche e ambientali di un prodotto dovrebbe risiedere nella sua maggior durata.10 Consumo di suolo e abbandoni agricoli “Il termine (consumo di suolo, ndr) si riferisce a un incremento dell’occupa]LRQH DUWLÂąFLDOH GL WHUUHQR OHJDWR DOOH GLQDPLFKH LQVHGLDWLYH XQ SURFHVVR FKH include la costruzione di insediamenti sparsi in zone rurali, l’espansione delle FLWWj DWWRUQR D XQ QXFOHR XUEDQR FRPSUHVR OR VSUDZO XUEDQR H OD GHQVLÂąFDzione o la conversione di terreno entro un’area urbana.â€? CosĂŹ recita l’Annuario dei Dati Ambientali 2012 dell’ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.11 Arturo Lanzani, avvertendo la necessitĂ di osservare da vicino il fenomeno per comprenderne le cause profonde, in un suo recente scritto evidenzia le dinamiche che hanno determinato il consumo di suolo in Italia, sottolineando il ruolo giocato dai processi di §GHQVLÂąFD]LRQH HG XUEDQL]]D]LRQH GL FDPSDJQH ž DELWDWH¨, da un lato, e il peso della comparsa di “nuovi nodi commercialiâ€? di fianco ad una “rete estesa di medi e piccoli centri inglobatiâ€?.12 Lanzani propone una periodizzazione divisa in due fasi: la prima protrat-
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tasi fino agli anni ’80, vede prevalere il diffondersi di un insediamento pulviscolare fatto di piccole case e di capannoni, appoggiato alla struttura del territorio rurale e affiancato dalla presenza di urbanizzazioni lineari di pianura e di strade mercato; la seconda che ha inizio negli anni ’90 e che si estende fino ad oggi, è caratterizzata dall’affermarsi dell’edificazione di nuove placche residenziali – che hanno parzialmente sostituito la precedente urbanizzazione pulviscolare – e produttive insieme a grandi insediamenti commerciali, sportivi, sanitari e scolastici. E’ in quest’ultima fase che, a fianco del ruolo giocato dal sistema delle infrastrutture come motore a supporto della diffusione insediativa, emergono con evidenza fenomeni di urban shrinkage: si assiste alla compresenza di nuova urbanizzazione e sottoutilizzo, dismissione e abbandono di porzioni di spazio urbanizzato, obsolescenza di edificazioni anche recenti e mancanza di strategie di riuso per vecchi spazi ai quali i nuovi si affiancano senza sostituirli.13 I fenomeni di abbandono, di sottoutilizzo, di dismissione di ingenti porzioni di tessuti urbani, residenziali o produttivi, compatti o diffusi, nei quali l’obsolescenza si manifesta in termini di inadeguatezza tipologico-funzionale e criticità tecnico-ambientale, sono particolarmente aggravati in quello specifico ambito rappresentato dai tessuti produttivi. La loro estensione e la collocazione strategica di questi in corrispondenza di significativi nodi infrastrutturali altamente accessibili, rendono difficile se non impossibile, e comunque non auspicabile, l’applicazione delle comuni prassi di rimozione e sostituzione indifferenziata. Accanto a questi fenomeni a carico dello spazio edificato, assume rilievo ancora maggiore il processo di frantumazione e degrado degli ambiti rurali e il fenomeno del crescente abbandono di terreni agricoli. Il sesto censimento generale dell’agricoltura realizzato dall’ISTAT e relativo al periodo 2000-2010 mostra un quadro preoccupante.14 Nel decennio preso in esame si assiste ad una riduzione dell’8% della SAT (Superficie Agricola Totale) e del 2,3 della SAU (Superficie Agricola Utilizzata). A questo si è affiancata: una perdita di circa il 30% delle aziende agricole (principalmente a causa di fenomeni di concentrazione) oltre a una riduzione di 15.000 kmq dei suoli coltivati, abbandonati al dissesto: boschi non più ripuliti, canali senza manutenzione, etc. Questo in alcuni casi può significare anche frane e dissesti in territori fragili o a rischio
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(come quelli terrazzati di Liguria15 e Val d’Aosta dove consistenti sono stati gli abbandoni). Il dossier “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione” del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (2012)16, dopo aver quantificato la perdita di terreni agricoli dagli anni ‘70 a oggi, in una superficie pari a Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna sommate assieme, identifica due macrocause del fenomeno: l’abbandono dei terreni da parte degli agricoltori e l’avanzamento delle aree edificate. Inoltre, secondo il dossier, i pericoli connessi a tale perdita vanno dalle gravi conseguenze di tipo idrogeologico (impermeabilizzazione dei suoli) e ambientale, fino ai rischi sugli equilibri dell’approvvigionamento alimentare, messo in crisi dal deficit di suolo coltivabile! Importante e complesso è il fenomeno degli abbandoni, che vede cause numerose e differenziate le quali andrebbero analizzate caso per caso. In generale queste possono essere sintetizzate in due grandi gruppi. Da un lato vi sono ragioni di tipo economico-strutturale come l’isolamento causato dalla ristrutturazione del sistema infrastrutturale, le mutazioni nella struttura economica del territorio, la crescita e lo sviluppo delle economie industriali, delle terziarizzazioni e del turismo a discapito di quelle rurali, così come le difficoltà economiche e di adattamento a mutate condizioni del mercato (tra cui una certa “resistenza alle monoculture”), causate anche della morfologia dei luoghi, alle quali si aggiunge in qualche caso lo scarso sviluppo della zootecnica. Dall’altro sono spesso presenti ragioni antropologico-culturali tra cui vanno ricordate le diverse forme di rimozione o di oblio cui sono fatti oggetto i contesti rurali, come il mancato riconoscimento di una risorsa ancora in grado di svolgere un significativo ruolo produttivo, ma anche il rifiuto – la rimozione in senso psicoanalitico – di una forma di economia legata ad un passato povero che si vorrebbe dimenticare.17 In qualche caso i fenomeni di abbandono – se presi in tempo – sono parzialmente reversibili al contrario dei fenomeni di cementificazione che risultano spesso irreversibili. Le possibili e molteplici interpretazioni di quanto sinora descritto, chiamano in causa ragioni profonde legate agli assetti economico-produttivi del territorio, queste hanno provocato dinamiche diffusive che Bonomi e Abruzzese legavano alla “rottura dei recinti di fabbrica” e alla separazione tra flussi e luoghi.18 Tale cesura è presente anche nella trattazione di
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Manuel Castells che parla di vero e proprio conflitto tra 6SD]LR GHL ²XVVL e Spazio dei luoghi: secondo la sua interpretazione il primo – luogo delle immateriali relazioni di potere – si va rendendo sempre più autonomo causando fenomeni di localizzazione di funzioni estranee ai luoghi, fino a determinare un vero e proprio conflitto con il secondo – nel quale le persone trascorrono la maggior parte del loro tempo. Secondo Castells, in questo quadro, la simultaneità delle relazioni a distanza permessa dalla rivoluzione informatica, si “oppone” all’interazione sociale basata sulla prossimità. Ciò sta causando un riaffermarsi della necessità del controllo locale degli assetti spaziali, investiti dalle dinamiche dei flussi globali dominanti che delocalizzano gli insediamenti collocando funzioni in contesti che spesso non le hanno determinate e con i quali non interagiscono, ma a carico dei quali vedono aggravarsi le dinamiche di consumo di suolo basato su logiche estranee ai luoghi.19 Intenzione positiva del termine "riuso" e avvertenza sul rischio di "estetizzazione" del rifiuto La concomitanza dei processi di abbandono agricolo e di consumo di suolo suggerisce l'ipotesi di un ripensamento delle strategie di disegno e sviluppo sostenibile del territorio, le quali si aprono criticamente ai temi del riuso, del riciclo e dell'iper-ciclo, cogliendo la virtuosità del nesso tra rigenerazione delle aree sottoutilizzate e necessità di limitare l'urbanizzazione di suoli naturali o agricoli. Vanno configurandosi modalità di intervento che prevedono “l'attivazione di più cicli di vita in contemporanea sulla stessa realtà”20 e perseguono un alto grado di attenzione alla conservazione, adeguamento e trasformazione delle strutture esistenti, secondo un’ottica che tenda a privilegiare la valorizzazione del patrimonio costruito. Queste condizioni sostengono alcuni scenari di intervento, i quali possono interpretare la particolare condizione nella quale si vengono a trovare i territori sinora descritti, mettendo sul campo diverse ipotesi operative (almeno tre) che vanno dalla rigenerazione delle aree edificate sottoutilizzate o abbandonate, al contenimento dell’urbanizzazione di suoli naturali o agricoli e infine al recupero, riuso produttivo e valorizzazione di suoli agricoli abbandonati. In questo quadro si sostiene la necessità di operare una riflessione critica sul significato di alcuni termini emblematici, evocati a sostegno di queste posizioni. In particolare in riferimento al termine riuso, le strategie
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dovrebbero qualificarsi più per la loro connotazione positiva e propositiva che per una logica di TXDOL±FD]LRQH GHO UL±XWR (che rischia di apparire come una sorta di ossimoro ecologico). Si corre il rischio, infatti, di rafforzare posizioni del tutto funzionali alle logiche dell’obsolescenza programmata, sublimando lo scarto e costruendo una HVWHWLFD GHO UL±XWR, che, coniugandosi con i temi della sostenibilità, diventa di fatto anche HWLFD GHO UL±XWR. Occorre invece riaffermare, attraverso un uso critico e consapevole del termine riuso e della prospettiva di individuare nuovi cicli di vita per i suoli, le infrastrutture e i manufatti, la necessità di conservare, restituire e valorizzare la qualità architettonica all'ambiente fisico, emancipando l'architettura e il territorio dalle logiche della mercificazione e della spettacolarizzazione.21 1. Gritti Andrea, Bovati Marco, “Emblematica del riciclo: suoli, tessuti e manufatti produttivi”, in: Marini Sara, Santangelo Vincenza (a cura di), Recycland, Aracne editrice, Roma 2013, p. 75-79. 2. Koolhaas Rem, Junkspace, Quodlibet, Macerata 2006. 3. Gregotti Vittorio, Identità e crisi dell’architettura europea, Einaudi, Torino 1999, pag. 172. 4. Ibidem, pag. 166. 5. Los Sergio, *HRJUD±D GHOOªDUFKLWHWWXUD ¥ 3URJHWWD]LRQH ELRFOLPDWLFD H GLVHJQR DUFKLWHWWRQLFR, Il Poligrafo, Padova 2013, pag. 81. 6. Ibidem, pag. 87 7. Per approfondimenti si veda: Bovati Marco, “Sustainability Strategies (for Cities in Transformation)”, in: Bovati Marco, Caja Michele, Floridi Giancarlo, Landsberger Martina (a cura di), Cities in Transformation - Research & Design. Ideas, Methods, Techniques, Tools, Case Studies, EAAE-ARCC, Edizioni Il Poligrafo, Padova 2014, pag. 802. 8. Per approfondimenti si veda il concetto di tempo glaciale in: Brand Stewart, The clock of the long now - Time And Responsibility: The Ideas Behind The World's Slowest Computer, Basic Books, New York 1999; Lash Scott, Urry John, Economies of signs and space, Sage, London 1994. 9. Per approfondimenti sul Life Cycle Assesment si veda tra gli altri: Lavagna M., Life Cycle Assesment in edilizia – Progettare e costruire in una prospettiva di sostenibilità ambientale, Hoepli, Milano 2008. 10. Questo tema è stato sviluppato nel saggio: Bovati Marco, “Sustainability Strategies (for Cities in Transformation)”, contenuto in: Bovati Marco, Caja Michele, Floridi Giancarlo, Landsberger Martina (a cura di), Op. Cit. 11. http://annuario.isprambiente.it/content/schedaindicatore/?v=10&id_ind=4366&id 12. Lanzani Arturo, “L’urbanizzazione diffusa dopo la stagione della crescita”, in: Papa Cristina, Letture di paesaggi, Guerini e Associati, Milano 2013, pp. 223-264. 13. Ibidem. 14. http://censimentoagricoltura.istat.it/
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15. “Negli ultimi decenni si è assistito al progressivo abbandono delle colture agricole in aree terrazzate, come ad esempio nella Regione Liguria dove il 33% dei terrazzi è stato ricolonizzato da specie arboree o arbustive ... L’assenza di una manutenzione costante dei muretti a secco e dei relativi sistemi di drenaggio ha reso spesso i versanti terrazzati più suscettibili all’innesco di fenomeni di dissesto gravitativo.” in: Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale, ISPRA, Manuali e Linee Guida 85/2013, Pag. 10. 16. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Costruire il futuro: difendere l’aJULFROWXUD GDOOD FHPHQWL±FD]LRQH, 2012. http://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5195 17. Per approfondimenti si vedano lo scritto di Mauro Marinelli dal titolo “Sulle Alpi. Abbandono e riscoperta dell’architettura dei territori rurali montani” e lo scritto di Sara Impera dal titolo “Isole altre: abbandoni e possibili ritorni nello spazio rurale della Sardegna del Sud”, contenuti in questo volume. 18. L’argomento è stato affrontato in: Gritti Andrea, Bovati Marco, Op. cit. 19. Bovati Marco, L’ambiente dell’architettura. Alterità progettuale del paradigma ecologico, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2010, pag. 158. 20. Dal Modello A del documento di candidatura al PRIN 2010-11 dal titolo “Re-Cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio”, Coordinatore nazionale Renato Bocchi. 21. “Del ribaltamento del termine riuso nella prassi architettonica” è il titolo della relazione che Giancarlo De Carlo presentò al Politecnico di Milano nel 1980, AA.VV., 5LXVR H ULTXDOL±FD]LRQH edilizia negli anni ‘80, Franco Angeli, Milano 1981. Per ulteriori approfondimenti si veda: Gritti Andrea, Bovati Marco, Op. cit.
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Mappatura delle aree non-costruite nel comparto Roma-mare, stato di avanzamento aprile 2014, a cura di A. Bruschi, L. Caravaggi, A. Lei.
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AREE AGRICOLE E SPAZI IN ABBANDONO. L’ASSETTO DEL NON-COSTRUITO NEL COMPARTO ROMA-MARE. Andrea Bruschi >UniRM
Questa indagine sulle aree non edificate del comparto Roma-mare si pone in continuità con studi già svolti dall’autore sulle potenzialità dell’agricoltura nel recupero del paesaggio della città dispersa e della campagna urbana1. In questi scritti è tratteggiato uno scenario che centra sull’agricoltura periurbana e sull’impiego di attività agricole negli spazi aperti in abbandono, l’innesco di un nuovo ciclo di vita dell’area vasta compresa fra l’Eur e Ostia. In tale strategia si ipotizza l’elaborazione di uno strumento normativo urbanistico che consenta uno spettro di attività agricole sulle aree non edificabili, terreni che hanno perso o stanno perdendo la vocazione colturale in attesa di impieghi speculativi o di cambi di destinazione urbanistica. L’agricoltura in senso lato è intesa come strumento di occupazione, controllo e riqualificazione del paesaggio della periferia, freno all’abusivismo e alternativa produttiva all’assenza di economie non speculative. Su queste aree si suppone l’impianto di filiere produttive complesse a partire da una selezione di diverse essenze vegetali: oleoginose, da biomassa, da frutta, orticole e arboree a breve turno di ceduazione. Le filiere della agroforestazione urbana, per la coltivazione di essenze da biomassa o di
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varietà lignicole come il pioppo, delle oleoginose come il mais, il girasole e la colza per la produzione di biogas o di mangimi, gli orti e i frutteti sono pensate come strumento di riqualificazione urbana dal punto vista paesaggistico-ambientale, socioculturale e economico. Oltre che economici, gli obiettivi progettuali vedono l’impiego dell’agricoltura in termini multifunzionali, come strumento di qualificazione ambientale del paesaggio periurbano, con ricadute positive in termini sociali e culturali: la costruzione di una consapevolezza condivisa contro lo sprawl edilizio, l’incentivazione al raccordo virtuoso fra cittadini e territorio, l’”appropriazione” del paesaggio da parte della società civile, il miglioramento ambientale dello spazio urbano, la riduzione delle emissioni di gas serra e degli inquinanti dell’aria e dell’acqua. Scopo di questo approfondimento è una maggiore conoscenza del territorio fisico oggetto di studio e delle analogie con progetti affini, al fine di individuare meno astrattamente le componenti della strategia finora tratteggiata in termini di intenti e aspirazioni ma ancora da verificare concretamente. Agricolture urbane, al plurale Molte e molto differenti possono essere le finalità di un progetto di agricoltura urbana. Al di là degli impieghi colturali, l’agricoltura urbana rappresenta un sistema complesso di usi, potenzialità e risultati attesi diversi, a seconda delle aree geografiche e delle declinazioni che se ne possono immaginare, compatibilmente con le caratteristiche oggettive delle aree deputate all’attività agricola. Non esiste quindi una agricoltura urbana ma un insieme eterogeneo di usi agricoli del suolo, dipendenti da molteplici variabili. Fra queste spiccano l’assetto proprietario, la posizione del suolo agricolo rispetto alla compagine costruita, il sistema delle infrastrutture e delle vie di comunicazione limitrofe, la dimensione delle aree coltivabili, l’ambito fitoclimatico e le caratteristiche pedologiche, la disponibilità di risorse idriche, il mercato dei prodotti agricoli nella fascia di campagna urbana interessata, la disponibilità delle forze sociali e altre variabili locali. Da queste, e dagli obiettivi perseguibili in uno specifico progetto di agricoltura urbana, emergono anche i tipi di coltivazione prevedibili in un determinato ambito territoriale. Non tanto quindi possiamo parlare di agricoltura urbana quanto di agricolture, in quanto queste si differenziano anche sensibilmente in rapporto alla casistica degli impianti colturali e
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alla strategia perseguita nella compagine urbana di riferimento. Se non riferito a realtà locali specifiche, il termine agricoltura appare dunque generico e in qualche caso riduttivo. La conoscenza dei territori, approfondita attraverso il vaglio di analisi multidisciplinari, rappresenta un passaggio centrale per la identificazione di obiettivi realistici in ciascun progetto di agricoltura urbana, anche all’interno dello stesso ambito territoriale. Diversi quindi, e fortemente dipendenti dalle relazioni locali fra gli ambiti urbani e quelli agricoli, dalle caratteristiche ambientali, dei terreni e dei climi, risultano anche gli obiettivi che emergono dalla ricognizione sui progetti di paesaggio agricolo periurbano. Con il concetto di Agricivismo Richard Ingersoll sottolinea in particolare le ricadute in termini sociologici dell’agricoltura urbana. Per Agricivismo si intende l’utilizzo delle attività agricole in zone urbane per migliorare la vita civica e la qualità ambientale/paesaggistica. L’Agricivismo prevede il coordinamento di molteplici attività agricole in città, un’estesa partecipazione integrata, una diffusa coscienza ambientalista. Fra i vantaggi dell’Agricivismo Ingersoll enumera soprattutto benefici indiretti: un guadagno sociale dato dall’impiego di anziani o figure in difficoltà, vantaggi legati alle attività collettive da svolgersi per la cura degli spazi agricoli e in particolare degli orti urbani. L’Agricivismo è una occasione di aggregazione sociale intergenerazionale e interetnica per il tempo libero, consente e incoraggia l’educazione a un rapporto con la natura fatto di cura piuttosto che di sfruttamento, costituendo una possibilità di rigenerazione di spazi residuali2. L’agricoltura urbana è intesa da Ingersoll principalmente come attività sociale centrata sulla cura collettiva delle aree pubbliche adibite a orti, alla ricerca di ricadute in termini di equilibrio civico. Negli ambiti privati, i quali risentono maggiormente delle fluttuazioni economiche e sono più spesso responsabili del degrado del paesaggio periurbano, il rapporto fra proprietà e destinazione d’uso è fortemente influenzato dalla possibilità di realizzare rendite fondiarie. Il principio della resa economica dei suoli sovrasta i vincoli urbanistici nella misura in cui le aree zonizzate come Agricole tendono a costituire serbatoio per la speculazione edilizia e a essere lasciate in stato di pseudo-abbandono anziché essere coltivate. Ma opportunamente incoraggiata con una attenta politica economica, amministrativa e fiscale, la rinuncia all’abbandono delle aree in favore di un
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loro uso agricolo può generare ricadute in termini di benessere collettivo, influendo positivamente sulla qualità del paesaggio della città periferica anche senza il coinvolgimento diretto della popolazione. Difficile infatti, per ovvie ragioni, immaginare un operante apporto dei cittadini nella coltivazione delle aree private inutilizzate. Diverso è il tema dei terreni pubblici come le superfici “a standard” di verde, le aree di rispetto infrastrutturale e altre, degradate per assenza di manutenzione. In queste il contributo dei privati cittadini può rivelarsi decisivo per l’impianto di attività agricole di limitata o nulla resa economica ma foriere di benefici sociali. Nell’ipotesi in cui la coltivazione su suolo pubblico conferisca qualità allo spazio urbano, il principio fondativo di introduzione dell’agricoltura è l’abbandono dell’idea di parco urbano tradizionale come elemento di qualificazione dello spazio aperto e la sua sostituzione, anche parziale, con orti urbani, forestazioni o parchi agricoli che dispieghino al loro interno numerose attività diversificate. Nel caso dei parchi agricoli l’obiettivo della Pubblica Amministrazione è il mantenimento della vocazione agro-silvocolturale del territorio periurbano, contenendo le spinte espansive della città e mettendo in sinergia le attività economiche private già esistenti con la domanda sociale di qualità della vita e spazi verdi. In Italia le sperimentazioni ben avviate sul parco agricolo sono poche3. Nella maggior parte del territorio la questione proprietaria rimane centrale e costituisce il primo ostacolo alla diffusione dell’agricoltura polifunzionale nelle fasce periferiche e periurbane. Nell’accezione di Donadieu, la coltivazione agroeocologica, nella quale i quartieri optano, con i loro poteri pubblici, per un’agricoltura ecologica e sostenibile, in qualsiasi sito, su terreni privati, sociali o pubblici4 è assolutamente lontana da una prospettiva di concreta praticabilità, se non nei rari casi di sperimentazioni localizzate su aree nelle quali l’assetto proprietario è risolto a livello di amministrazione centrale mediante convenzioni o espropri. Un caso associabile alla lontana a questa visione di città agroecologica è quello derivante dall’applicazione dell’Allotment Act, una legge inglese del 1922 che obbliga le amministrazioni locali a concedere a prezzo simbolico piccoli appezzamenti di terra da destinare a orto. Questa legge, ideata per aiutare la popolazione a produrre autonomamente gli approvvigionamenti alimentari, oggi può rappresentare una sorta di mutuo soccorso fra cittadino e paesaggio, nel-
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la misura in cui i privati contribuiscono al buon mantenimento del territorio pubblico loro affidato. Se il parco urbano attrezzato rappresenta uno spazio nel quale la natura è per definizione addomesticata, confinata in una dimensione del loisir e dell’artificiale dal peso gestionale non più sostenibile, i parchi agricoli e le aree coltivate si inquadrano in una prospettiva di elevate potenzialità ambientali negli ambiti della campagna urbana e dei tratti periurbani che hanno perso la vocazione puramente agricola ma non ne hanno acquisita una nuova. Rem Koolhaas definisce questi ibridi “intermedi-stan”, territori dove città e campagna si incontrano dando luogo a una nuova città ancora da decifrare. La intermedi-stan sembra avere potenzialità di riscatto rispetto al Junkspace della Città Generica, la cui inesorabile potenza commerciale travolge ogni forma identitaria non asservita al consumo e alle sue regole. Nella Città Generica l’uomo esiste solo in quanto subisce il fascino occulto del Junkspace. Nella intermedi-stan compaiono invece polarità umane tipicamente urbane – un tax consultant, un UHFUXLWPHQW RI±FH, un relaxation centre, un souvenirs shop….- che scelgono una vita meno urbana per innestarsi in un territorio agricolo dove il farmer è anche band member, la farm è anche trailer vendor, e l’allevamento avviene in un high tech cow hotel5.
Fig. 1 - Una immagine dello studio di Rem Koolhaas sulla intermedi-stan, in G. Celant, Rem Koolhaas, Oma Amo, Milano 2013, p.104.
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Nella campagna olandese l’agricoltore si urbanizza e il cittadino si “naturalizza” generando due flussi opposti e due fenomeni “inversi”. Da un lato i contadini, divenuti digitali, evolvono la loro attività verso una agricoltura di precisione sofisticata e tecnologicamente evoluta, dall’altro vi è un’affluenza di nuovi abitanti dalle città, spesso pensionati attratti dal minore costo delle abitazioni, dalla possibilità di avere un giardino o un orto e dall’idea di una vita più salutare. Secondo Koolhaas sono queste due tendenze opposte a creare il paesaggio dinamico della zona intermedia, un paesaggio denso di potenzialità e promesse da indagare, l’avanguardia dei processi di trasformazione6. Campagna urbana e logica dell’attesa Questo dinamismo positivo della intermedi-stan è simmetrico a una economia in buona salute e a un controllo del territorio che, da quanto emerge dal lavoro di Koolhaas, sembrerebbe ancora abbastanza solido nella realtà olandese. A Roma si verifica invece un fenomeno inverso. Nei settori oggetto di indagine la campagna urbana non genera luoghi dinamici di trasformazione virtuosa della città ma spazi statici, i quali rientrano in quel concetto di agricoltura d’attesa. Si mantiene il terreno, ci si lavora qualcosa, FL VL SUHQGRQR PDJDUL L FRQWULEXWL HXURSHL SRL YLHQH WXWWR GL QXRYR DEEDQGRnato a se stesso. Ne derivano aree marginali che poi vengono normalmente acquisite da grosse società non per farne un’impresa agricola ma in attesa del momento opportuno per fare le varianti e farle diventare aree che poi diventano case, strade e altro…, sempre sospese fra un impiego agricolo saltuario e l’abbandono improduttivo, funzionale al cambio di destinazione urbanistica7. Il racconto di un piccolo imprenditore agricolo di un’azienda dell’area della Marcigliana tratteggia un quadro preciso quanto invariante della storia dei suoli agricoli della campagna urbana di Roma. Anche nel tratto oggetto dei nostri studi, il comparto Roma-mare che definiamo Coda della Cometa8, l’assetto del non-costruito comporta un sistema eterogeneo di aree che risentono fortemente dell’espansione urbana e delle spinte del mercato speculativo. Fra l’Eur e Ostia la città ha avuto un incremento massivo ma incostante, con eventi edificatori disgiunti e poco coordinati, dipendenti dalle capacità economiche degli investitori, dalla dimensione delle loro aziende, dalle fluttuazioni dell’economia e dell’assetto normativo urbanistico. La vocazione agricola dell’area, strappata con la Bonifica di fine Ottocento a un territorio in larga misura soggetto a
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impaludamento, è stata conservata quasi solo nei tratti in cui l’agriculture occupe d’ailleurs de nombreux espaces inondables, peu propices à l’urbanisation9, come le aree a ridosso del Tevere, ancora in mano a pochi proprietari terrieri e destinate dall’Ambito di programmazione strategica Tevere del NPRG a Parchi, Riserve regionali e aree protette. Nel resto del territorio, mi riferisco in particolare al tratto compreso fra la via del Mare e la Tenuta del Presidente, l’espansione edilizia incoerente ha lasciato un certo numero di aree libere. Queste presentano caratteri diversi dal punto di vista fisico, proprietario, dimensionale e della destinazione d’uso. Si tratta di un settore d’indagine interessante perché vi si manifesta con maggiore evidenza la metamorfosi dalla originaria destinazione agricola all’assetto derivante dal contatto con l’edificato periurbano. Qui i terreni sono difficilmente classificabili, spesso ibridi fra agricoli e altro, lotti alla disperata ricerca di una forma di reddito appesa all’inventiva e alle capacità imprenditoriali dei proprietari, o in stato di abbandono. L’interferenza fra l’espansione urbana e l’assetto agricolo originario genera residui dalle incerte prospettive. L’indagine sul territorio, condotta ai fini di una prima verifica della strategia tratteggiata in precedenza, ha consentito il riconoscimento di alcune “famiglie di suoli” e l’elaborazione di una griglia di riferimento per i possibili impieghi agricoli delle aree in stato di abbandono. Una prima analisi cartografica ha evidenziato il rapporto dimensionale fra spazi non-costruiti e spazi urbanizzati. Da tale osservazione è emersa la presenza di estese aree ove si è conservata la vocazione agricola, di grandi lacune urbane incolte all’interno di ambiti parzialmente o del tutto edificati, di vuoti interstiziali del costruito di lottizzazione e ambiti residuali a vocazione produttiva non pianificata e in fase di trasformazione. A partire da tali categorie è stata eseguita una successiva indagine, principalmente sul campo, ma anche cartografica, documentaria e catastale. Questo secondo passaggio ha consentito un approfondimento dei risultati precedenti e identificato più puntualmente le componenti ambientali, al fine di pervenire a una mappatura di grande scala, operata su una sezione di territorio di circa 7300 ettari, compresa fra la Tenuta del Presidente a Castel Porziano e l’Aeroporto di Fiumicino. Questa sezione territoriale ha consentito il contenimento dell’intera area di indagine all’interno della unità fitoclimatica 13, Mesomediterraneo su-
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bumido/Termomediterraneo secco. Tale zona, tipica del litorale pianeggiante mediterraneo, è caratterizzata da un insieme di essenze vegetali originarie o tipiche di tale fascia, quasi completamente perdute e sostituite da nuova vegetazione innestata dall’azione dell’uomo. L’analisi della perdita di habitat lungo la costa laziale operata dal Programma Integrato di Interventi per lo Sviluppo del Litorale del Lazio, “Sperimentazione Iczm (Integrated Coastal Zone Management) in Aree Pilota”, evidenzia che i valori maggiori di perdita di habitat si hanno lungo la costa e aumentano notevolmente nelle aree che presentano un uso del suolo prevalente di tipo agricolo. Concludendo che la maggior parte del territorio costiero laziale presenta valori medio-alti di perdita di habitat naturale10, tale ricerca evidenzia una responsabilità elevata dell’agricoltura nel mutamento del paesaggio originario e sottolinea indirettamente quanto il paesaggio periurbano attuale sia il risultato della successione di almeno tre fasi differenti, ciascuna tendente a cancellare la precedente: il paesaggio dell’antichità, dominato da una vegetazione forestale di querceti - quello ancora esistente nella Tenuta di Castel Porziano -, dalla macchia mediterranea lungo le dune costiere e dalla vegetazione igrofila nelle aree palustri; la Pineta di Castelfusano - risultato della modifica dell’assetto boschivo ad opera della famiglia Sacchetti, la quale nel primo Settecento piantumò circa 7000 pini domestici a scopi economici -, e le aree paludose dello Stagno di Ostia; il paesaggio agricolo, frutto della Bonifica ottocentesca la quale impianta una rete di fossi e canali sui quali si sviluppa una vegetazione ripariale oggi quasi scomparsa. Su questi habitat in successione va stratificandosi il territorio contemporaneo dominato dall’edilizia e dai fenomeni indotti dalla speculazione. Di ciascuna di queste fasi rimangono tracce sovrapposte a un ambiente in costante evoluzione. La nuova ricognizione ha consentito l’identificazione di paesaggi in copresenza, interagenti e in attrito11. La “famiglia di suolo” più estesa è costituita da circa 1600 ettari di Aree agricole in attività. Queste sono distinte fra colture a seminativo/foraggera; orticoltura in campo aperto; orti sociali urbani in campo chiuso e vivai specializzati in produzioni estensive, fra i quali emerge l’industria del Prato Pronto. Le aree sono dislocate in più parti del territorio, hanno dimensioni molto diverse e costituiscono i caposaldi residui dell’economia agricola nella Coda della Cometa.
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Le aree a seminativo, circa 1100 ettari, sono localizzate presso l’alveo del Tevere. Sono grandi aree di pochi proprietari terrieri che le utilizzano per la coltivazione con metodi tradizionali del grano o del mais, o le affittano per attività stagionali (cocomero, melone ecc.) o per orticoltura. Il seminativo consente una economia generalmente limitata a un raccolto annuo. Alcuni terreni sono piantumati a foraggio o erba medica per allevamento. Grazie all’impegno dei proprietari e alla notevole estensione dei terreni l’economia agricola di queste aree riesce a mantenere una qualità elevata e una propria continuità, sebbene altalenante e a rischio di declino. I terreni sono punteggiati da casali rurali. I proprietari mirano a un ampliamento normativo delle loro possibilità d’uso verso una destinazione non solo agricola ma multifunzionale: per attività turistico ricettive, di servizio ai quartieri limitrofi, culturali e sportive, in vista di un legame più forte fra agricoltura e territorio. Le aree agricole sono perimetrate all’interno della Riserva Naturale del Litorale Romano e destinate dal NPRG a Parchi istituiti e Tenuta di Castel Porziano. La Carta dell’Uso del Suolo e delle Fisionomie Vegetazionali del Territorio Comunale del NPRG vi riconosce la presenza di Seminativi in aree irrigue (comprendono anche vivai, colture orticole in pieno campo, in serra e sotto plastica in aree irrigue). L’orticoltura è limitata a poche aree, per un totale di circa 220 ettari. All’Infernetto sopravvivono due piccole aziende orticole che rimangono in attivo grazie alla vendita diretta al pubblico. Si tratta di agricoltori che “saltano” il passaggio del mercato all’ingrosso e puntano sull’economia di prossimità locale. Come ricorda Lucina Caravaggi, a Roma questo rapporto fra cittadini e contadini è stato costitutivo e vitale e ha dato luogo a una lunga consuetudine storica, mai interrotta, nel rapporto diretto produttori-consumatori. Queste piccole aziende agricole sono i pionieri di una progressiva mutazione dell’agricoltura romana verso una multifunzionalità sempre più articolata, che costituisce una delle traiettorie dell’interscambio virtuoso fra città e campagna in ambito periurbano12. Nella sezione territoriale esaminata una ragione del numero esiguo di aziende orticole è legata alla natura dei suoli che in queste zone sono sabbiosi e maggiormente adatti alla orticoltura, mentre altrove argillosi e di difficile utilizzazione per orti e frutteti. Il NPRG zonizza questi terreni come Agricoli.
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Un’altra zona di orticoltura prevalentemente in serra è presente presso l’abitato di Ostia Antica ma ricade nella zona a Parchi istituiti e Tenuta di Castel Porziano. A fronte di un notevole sviluppo recente degli orti sociali in area romana, in questa zona le sperimentazioni in questo senso sono molto limitate, forse anche in rapporto alla presenza di un vero settore agricolo ancora attivo, inesistente nelle zone centrali della città. La mappatura di Zappata Romana: spazi verdi condivisi13 individua cinque iniziative pioniere fra orti e giardini condivisi, tutti di tipo biologico e artigianale. L’attività agricola più redditizia della zona è l’industria del Pratopronto a rotoli, coltivato su oltre 240 ettari. La Società Bindi è leader europeo del settore e, ove non proprietaria, affitta le aree a fondo sabbioso, essenziale per la coltivazione dei prati. La Bindi dichiara che l’attenzione rivolta a tematiche di tutela del patrimonio ambientale quale il ridotto sfruttamento delle falde acquifere per uso irriguo14 ha consigliato una prevalente produzione di specie macroterme e una particolare attenzione nell’uso di fertilizzanti e fitofarmaci per combattere le malattie fungine cui il prato è facilmente soggetto. Insieme ai numerosi vivai, la coltivazione del Pratopronto rappresenta verosimilmente la tipologia agricola più industrializzata della zona. Manca del tutto in queste aree la forestazione urbana per produzione di legno o biomassa. Una seconda “famiglia di suoli” è costituita da Aree incolte o in pseudoabbandono. Tali aree hanno localizzazione e dimensione differenziata ma sono accomunate da un rapporto di prossimità percettiva con il costruito. Si riconoscono lacune urbane estese circondate dall’edilizia; lacune urbane di tangenza al costruito; vuoti interstiziali e lotti inedificati; aree residuali fra le infrastrutture di mobilità. Dalla tipologia di proprietà delle aree e dalle capacità economiche dei proprietari dipende il destino delle aree in abbandono. In linea di massima le grandi lacune urbane fanno capo a unici proprietari. È il caso dell’area ove il NPRG prevede l’allocazione della Centralità urbana Acilia-Madonnetta, di proprietà Telecom. Questo terreno di circa 240 ettari è il baricentro delle “faglie urbane” di Acilia, Axa e Casal Palocco e gioca un ruolo determinante nell’assetto del proprio intorno. La pianificazione della Centralità Acilia-Madonnetta è stata definita da un
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progetto dello studio Gregotti Associati. Il piano prevede un quartiere residenziale per 3500 abitanti e un articolato e complesso sistema di servizi, fra questi un polo universitario, il nuovo tribunale e alcuni ettari di verde pubblico. La CentralitĂ rimane in attesa di realizzazione non solo a causa della crisi dell’edilizia e delle difficoltĂ legate all’assetto della viabilitĂ prevista rispetto all’intorno, ma anche per il coro di polemiche sollevate da una operazione che molti giudicano piĂš speculativa che di recupero urbano. Il piano, di cui la SocietĂ Pirelli RE è la principale azionista insieme al Gruppo Telecom Italia e alla Marzotto, costituisce una volumetria virtuale che influenza pesantemente le aree circostanti. Ăˆ nell’ordine delle cose che queste approfittino di una rendita “di riflessoâ€? e puntino a divenire nel tempo attrici di una edificazione ulteriore del comparto. Non a caso le aree circostanti, tutte in zona Agricola, versano in stato di abbandono o al massimo pratichino agricoltura di attesa. La pianificazione della CentralitĂ ha quindi costituito un elemento di irrigidimento piuttosto che di sviluppo urbano. Dal punto di vista ambientale queste grandi aree inedificate rappresentano sacche importanti di biodiversitĂ e incubatori di specie vegetali pioniere di processi di rinaturalizzazione. Secondo la Lipu l’area, una della poche VIXJJLWH DOOD FHPHQWLÂąFD]LRQH VHOYDJJLD OHJDOH HG LOOHJDOH FKH KD LQWHUHVsato l’intero Litorale Romano ed il suo entroterra, rappresenta un ambiente naturalistico estremamente importante, ospitando numerosissime specie di uccelli. Il fenomeno è meno evidente sulle aree di minore dimensione e su quelle maggiormente chiuse all’interno del costruito ma rimane rimarchevole come dinamica di abbandono dell’agricoltura e di una sua nonsostituzione con attivitĂ nuove. Sono terreni in origine agricoli che risentono economicamente dell’avanzare del costruito, aree che hanno cambiato la proprietĂ passando dalla imprenditoria contadina a quella edilizia, la quale preferisce lasciarle incolte in attesa di momenti propizi all’edificazione. Su queste si innescano solo in parte rinaturalizzazioni spontanee, nella misura in cui la manutenzione si limita al taglio delle essenze erbacee infestanti per evitare incendi estivi. Se opportunamente incoraggiata, su queste aree, che per il NPRG rimangono zone Agricole, può innescarsi una interazione virtuosa fra cittĂ estensiva e agricoltura. Sono fortunatamente ancora abbastanza presenti Aree naturali non agri-
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cole, sia di composizione vegetale recente come la Pineta di Castelfusano, che di assetto naturale originario come la Tenuta di Castel Porziano, caposaldo ambientale incomparabile con il proprio intorno. Sono inoltre presenti brani di paesaggio naturale nella vegetazione riparia di sponda del Tevere e di alcuni canali di Bonifica. La Riserva Naturale del Litorale Romano contribuisce in misura importante alla salvaguardia del territorio, il quale richiederebbe ulteriori ambiti di rinaturalizzazione e di riequilibrio ambientale, vegetazionale e idrografico. Spicca in questo contesto il Centro Habitat Mediterraneo della LIPU nel quale, su circa 20 ettari alla foce del Tevere, è stato ricostruito uno stagno costiero dove trovano rifugio oltre 200 specie di uccelli. Punteggiano il territorio Aree a volumetria nulla o ridotta, con vocazione funzionale di servizio. Sono spesso aree in zona Agricola che forzano la loro natura alla ricerca di economie maggiori di quelle consentite dalla destinazione urbanistica. Molte sono utilizzate per attività sportive all’aperto, maneggi, allevamento e pensione per cani e svolgono un ruolo trainante per l’economia locale costituendo polarità di forte presenza sul territorio. A queste vanno sommate le attività sportive, ludico ricreative e i campeggi. Quali prospettive Dall’analisi del sistema dei vuoti emergono alcune prime considerazioni: - le aree che mantengono la loro vocazione agricola hanno superfici di notevole estensione, valutabile in centinaia di ettari; - al di sotto di una certa superficie l’agricoltura estensiva tradizionale non regge il confronto con le necessità minime di una attività economica, si perdono le coltivazioni a seminativo (grano, mais), rimangono alcuni residui di orticoltura per uso privato o a vendita diretta, si innesca il principio dell’attesa; - questo fenomeno dimensionale è direttamente legato alla distanza dal costruito: minore è la distanza fra aree libere e aree urbanizzate, maggiore è la probabilità di trovare aree di minore dimensione o aree uniproprietarie tendenti all’abbandono; - i lotti a destinazione di PRG Agricola all’interno delle aree urbanizzate sono in massima parte abbandonati; - la destinazione Agricola di Piano Regolatore non incide sulla tendenza all’abbandono delle aree agricole; - le iniziative imprenditoriali che innescano rapporti con il contesto urbano
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limitrofo si radicano nel territorio e hanno risultati economici soddisfacenti (orticoltori, maneggi).
Fig.2 - La coltivazione del Prato Pronto all’Infernetto
Sulla base di queste sintetiche considerazioni è possibile approfondire le precedenti ipotesi di progetto ipotizzando diverse linee di comportamento a seconda della tipologia di suolo, convergenti su una complessiva idea di città agricola e in parte agroecologica nell’accezione di Donadieu: - per le grandi aree private agricole la prima ipotesi di progetto è la riprogettazione dell’agricoltura esistente al fine di contribuire al suo consolidamento e rilancio. Resta da vedere quale debba essere la prospettiva auspicabile e in grado di rappresentare il migliore compromesso fra riqualificazione ambientale e sostenibilità economica. Agroecologia e agricoltura di precisione sembrano essere i due estremi fra i quali condurre approfondimenti futuri per il recycling dell’agricoltura estensiva nelle aree che conservano tale vocazione. A questa va sommato un nuovo uso dei manufatti agricoli in abbandono al fine di innescare nuove e più produttive intersezioni con il territorio; - per le aree private in abbandono in zona Agricola una ipotesi vede la
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costituzione di un sistema di coordinamento e rafforzamento reciproco in un Parco agricolo-forestale di Roma-mare nel quale - insieme a forestazioni di biomasse, frutteti e piantumazioni di oleoginose e altre essenze da filiera - siano introdotte aree a carattere ricreativo, zone a parco urbano attrezzato ridotto, aree a vocazione turistica in appoggio ai manufatti rurali esistenti. Per queste aree è assolutamente necessario un intervento di coordinamento pubblico, una cabina di regia che operi mediante strumento urbanistico ad hoc e una politica di aiuti e sostegni dedicata al tema dell’agricoltura in ambito periurbano; - per le molte aree in abbandono in zona a Verde pubblico si propone una variante alla destinazione urbanistica a parco, al fine di consentire l’uso agricolo sociale e la forestazione per sottrarre peso gestionale all’Amministrazione comunale. L’ipotesi dell’abbandono controllato di alcune aree da avviare alla rinaturalizzazione è una ipotesi di lavoro da sondare con attenzione. Questa possibilità dovrebbe essere estesa al caso in cui queste stesse aree siano private; - per le aree pubbliche in abbandono è necessario prevedere, a fini di salvaguardia, opportune forme di rinaturalizzazione dei luoghi in grado di restituire al paesaggio le caratteristiche ecologiche più aderenti ai suoi caratteri climatici. La rinaturalizzazione svolge un ruolo di riequilibrio degli effetti negativi dell’agricoltura in termini di inquinamento (fitofarmaci, pesticidi ecc.) e spreco di risorse ambientali (acqua). Forestazioni urbane, costituzione di aree di esondazione e bacini di laminazione con vegetazione igrofila originaria nelle zone depresse, impaludamenti artificiali concorrono alla ricostruzione dell’habitat perduto. Appare infine evidente che qualunque strategia di rinnovo dell’uso dei suoli non-costruiti deve essere impostata in ragione delle loro condizioni specifiche, a partire dall’assetto proprietario. Queste ipotesi richiedono ulteriori approfondimenti e confronti con campi disciplinari specialistici, in particolare agronomici e economici. Saranno oggetto dei prossimi studi.
Note 1. Vedi A. Bruschi, Un paesaggio agricolo per la città diffusa. Indirizzi di ricerca, in S. Marini, V. Santangelo, a cura di, Recycland, Aracne editrice s.r.l., Roma 2013; A. Bruschi, L’agricoltura
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per il recupero del paesaggio urbano, in “Rassegna di architettura e urbanistica”, Roma. Visioni dalla Coda della Cometa, a cura di P.O. Rossi, R. Secchi, Anno XLVII, n.141, sett.dic.2013, p.91; 2. Regione Emilia Romagna Assessorato alla Programmazione e sviluppo territoriale, Cooperazione col sistema delle Autonomie, Organizzazione. Direzione generale. Programmazione territoriale e negoziata, Intese, Relazioni europee e internazionali. R. Ingersoll, B. Fucci, M. Sassatelli, a cura di, Agricoltura urbana. Dagli orti spontanei all’Agricivismo per la riquaOL±FD]LRQH GHO SDHVDJJLR SHULXUEDQR, http://territorio.regione.emilia-romagna.it/paesaggio/ pubblicazioni-1, 2007, pp.33-37; 3. In Italia i principali Parchi Agricoli istituiti sono il Parco Agricolo di Milano Sud, e i Parchi de La Favorita e di Ciaculli a Palermo. Il NPRG di Roma individua tre Parchi Agricoli nell’elaborato 4. “Rete ecologica” nelle zone di Casal del Marmo, Arrone-Galeria e Rocca Cencia. 4.. P. Donadieu, Campagne urbane, Roma 2013, p.8; 5. Vedi G. Celant, Rem Koolhaas, Oma Amo, Milano 2013, pp.100-109; 6. ibidem; 7. E. Battaglini, Il punto di vista della campagna urbana. Segni e caratteri dei processi insediativi nella percezione di alcuni imprenditori agricoli, in A. L. Palazzo, a cura di, Campagne Urbane. Paesaggi in trasformazione nell'area romana, Roma 2005; 8. L’espansione di Roma verso il mare rappresenta il compimento delle previsioni mussoliniane preconizzate da Piacentini e Giovannoni nella inattuata Variante del 1942 al Piano Regolatore di Roma. Di Giovannoni è la figura concettuale di Roma in forma di cometa, con la testa nel centro antico e la coda nel tratto fra l’E42 e Ostia. Sulla Variante del 1942 vedi A. Bruschi, La Variante Generale del 1942 al Piano Regolatore di Roma, in A. Bruschi, a cura di, Roma. Architettura e città negli anni della Seconda Guerra Mondiale, Roma 2004; A. Bruschi, La Variante Generale del 1942 al Piano Regolatore di Roma, in “Roma moderna e contemporanea”, vol. 3, Roma 2003; 9. C. Perrin, Quel avenir pour les terres encore agricoles entre Rome et la mer?, http://romatevere.hypotheses.org/696; 10. Regione Lazio, Programma Integrato di Interventi per lo Sviluppo del Litorale del Lazio, di cui alla Legge Regionale n.1 del 5 gennaio 2001. Costituzione della Commissione ICZM e individuazione delle attivita’ per l’attuazione dell’azione i.1.7. “Sperimentazione Iczm (Integrated Coastal Zone Management) in Aree Pilota”, in collaborazione con Università degli Studi della Tuscia, dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dell’Università degli Studi di Cassino, della Litorale S.p.A.; 11. La mappatura è stata operata in riferimento alla nomenclatura del Refresh del Progetto AGRIT Agro-Ambiente su base Corine Land Cover, riveduta e adeguata alle caratteristiche del territorio in esame insieme a Lucina Caravaggi e Anna Lei, nell’ambito dell’unità di ricerca del Dipartimento di Architettura e Progetto – Sapienza - Roma; 12. L. Caravaggi, Paesaggi commestibili nella campagna di Roma, Atti del Convegno “L’Agro romano tra tutela e sviluppo”, Tenuta del Cavaliere, Lunghezza, Roma 15 giugno 2011; 13. Lo studio UAP ha realizzato una mappa con oltre 154 spazi verdi condivisi, fra giardini (66), orti (58) e ‘giardini spot’ (30). Vedi http://www.zappataromana.net; 14.http://www.pratopronto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=97&Item id=62;
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Didascalia da inserire
Ravagnese, Reggio Calabria. Veduta, 2014. Foto di Eleonora DeMasi/Emma Caldarera.
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STRATEGIE PER LA CITTÀ E L’AGRICOLTURA. APPUNTI PER PROGETTI ADATTIVI E REVERSIBILI Gianni Celestini >UniRC
Altri sguardi "‌ il problema della forma della città ed il problema della salvezza della natura che circonda la città sono un problema unico". CosÏ si esprimeva Pierpaolo Pasolini nel 1974 in un documentario dal titolo 3DVROLQL Hž OD IRUPD della città 1. Nel documentario Pasolini è in piedi dietro una cinepresa montata su un cavalletto, come un pittore paesaggista accanto ai pennelli e alla tela. Nel prologo, si apre la visione del paesaggio del viterbese, sullo sfondo si staglia la città di Orte, che sorge in cima a una collina dominante l’intero paesaggio. Pasolini all’inizio inquadra la città , ma quando apre l’obiettivo e allarga il campo visivo, si rende conto che - sono sue parole - ".. la forma della città , LO SUR¹OR GHOOD FLWWj OD PDVVD DUFKLWHWWRQLFD GHOOD FLWWj q LQFULQDWD q URYLQDWD q GHWXUSDWD GD TXDOFRVD GL HVWUDQHR >ž @ OD IRUPD GHOOD FLWWj GL 2UWH DSSDUH LQ quanto tale perchÊ è sulla cima di questo colle bruno, divorato dall’autunno, FRQ TXHVWD FXUYDWXUD GDYDQWL H FRQWUR LO FLHOR JULJLR >ž @ 4XHOOH FDVH SRSRODri, che cosa vengono a turbare? Vengono a turbare, soprattutto, il rapporto fra la forma della città e la natura". Pasolini conclude con le parole citate
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all’inizio, segno di una anticipata sensibilità per quelle interrelazioni e interdipendenze che la cultura ecologista ha reso un patrimonio comune qualche decennio dopo. Ma il tema merita qualche riflessione in più. Pasolini parla della relazione qualitativa tra la città e la natura rurale e agricola circostante, compromessa da un elemento estraneo che deturpa la forma della città. La riflessione pasoliniana dunque descrive una dialettica, ma di tipo oppositivo: la forma della città appare in quanto tale perché edificata sulla sommità del colle, condizione che ne assicura la compiutezza, riconoscibile per l’assoluta alterità nei confronti del contesto che agisce da sfondo. Ci sono il paese e il territorio, due entità separate e contrapposte; solo la ripresa cinematografica, allo stesso modo della pittura paesaggistica, è in grado di comunicare la complessità di un paesaggio, la messa in forma di uno spazio esterno rappresentato nel quadro2 dove le parti stabiliscono relazioni reciproche all’interno di un sistema di oggetti. Oggi quel che è venuto meno è il presupposto dell’affermazione pasoliniana, la distinzione tra città e campagna come fondamento su cui poggiare un sistema di relazione (Quelle case popolari, che cosa vengono a turbare?). Preso atto che la città ha perduto i suoi confini, siamo impegnati a comprendere i fenomeni di forte e rapida trasformazione che hanno investito con eguale intensità le aree urbane e quelle rurali. Il cosiddetto sprawl, realtà spesso dominante, ha generato problematiche che hanno assunto dimensioni rilevanti, con una rapidità e delle modalità del tutto nuovi. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che ha ridefinito forme, funzioni, significati e comportamenti senza alcuna similitudine con quanto avvenuto nel recente passato. Siamo di fronte ad una città-non città dove l’urbano e il rurale sono caratteri ambivalenti che caratterizzano il territorio, nei confronti della cui crisi il paesaggio può giocare potenzialmente un ruolo decisivo, con grandi novità che interpretano le domande emergenti dalla modificazione profonda dei comportamenti sociali3. La maturata considerazione del paesaggio come una manifestazione concreta, storica, simbolica e comunitaria di identità culturali espresse nel territorio4 comporta non solo una sua interpretazione come prodotto delle trasformazioni e dei rapporti che con esso intrattengono le comunità, ma anche la consapevolezza che nel paesaggio, nell’immersione in esso e secondo il grado di consapevolezza, maturano nuove idee e nuovi rapporti con il mondo fenomenico.
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L’attuale crisi del paesaggio risiede non solo nei fenomeni di degrado che lo investono, ma nella difficoltà, a fronte della violenta e rapida trasformazione dell’habitat, di dare risposte adeguate a una domanda sociale di significato. Se la città non ha confini né forma, se l’aura della campagna è trasfigurata, nei nuovi contesti sub-urbani e sub-rurali si fatica a riconoscere l’espressione fisiognomica e culturale di luogo. Un argomento inverso L’ipotesi è quella di lavorare sullo spazio rurale e su una idea di agricoltura capace di istituire e rappresentare un nuovo sistema di relazione tra l’habitat contemporaneo e la vita delle persone; una ricerca su nuove forme di socialità i cui caratteri non sono né urbani ne rurali. Pierre Donadieu5 ha indagato e descritto i mutamenti sociali e degli stili di vita introducendo nuovi concetti e definizioni come le campagne urbane, lavorando sulla ridefinizione del concetto di urbanità. In tempi più recenti la modificazione di abitudini e comportamenti hanno stimolato una diffusa ricerca di un rapporto diretto non solo con la natura ma anche con le sue risorse, la diffusione delle pratiche orticole ne è una delle più evidenti testimonianze. Ma anche su questo terreno è possibile registrare altri mutamenti che investono diversi campi espressivi. Un film, recentemente uscito, In grazia di Dio di Edoardo Winspeare6, è un’opera nella quale il ritorno alla campagna è considerato un progresso, una evoluzione e non una regressione. Il libro, recentemente pubblicato di Giorgio Boatti, Un paese ben coltivato7, è la cronaca di un viaggio dell’autore nel mondo contadino italiano. La narrazione non documenta le migliori pratiche contadine, né restituisce la fotografia sociologica del mondo contadino italiano, piuttosto tende a delineare la possibile direzione di un percorso di uscita dal presente. Oggi, la ruralizzazione della città è una conseguenza della dilatazione della densità; la realtà delle città è costituita da piccoli e frammentari sviluppi di una molteplicità di agglomerati minori, ognuno dei quali è autonomo rispetto a ciò che lo circonda. Abbiamo di fronte un amalgama urbano fuori controllo e occorre comprenderne le mutazioni e spingere verso una visione del progetto che agisca per sistemi transcalari. Abbiamo bisogno di costruire nuovi scenari per l’habitat contemporaneo, ad esempio i vuoti tra agricoltura e periferia possono costituire dei sistemi di scambio tra la dimensione urbana e quella naturale. Di questi luoghi incolti, né agricoli né urbani, in passato oggetto d’interesse solo dal punto
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Fig.1 - "Bergamotteti"; Reggio Calabria. 2014 Foto di Eleonora DeMasi/Emma Caldarera.
di vista sociale ed economico, ne è stato colto solo il segno del degrado. Lo sguardo dell’arte ha consentito di guardare a questi territori da un punto di vista estetico, come luoghi di espressione di una nuova attitudine romantica nel contemporaneo8, oggi sono campi d’azione di nuove pratiche sociali. Estranei alla vita urbana così come siamo abituati a pensarla, ne sono parte nella sua declinazione più estrema, discontinua ed incoerente. Nuovi contesti, nuovi paesaggi Il lavoro dei paesaggisti negli ultimi anni è stato importante, ha introdotto alcuni temi che via via hanno assunto un carattere di centralità rappresentando un fattore di rilevante novità; dal cui sviluppo abbiamo imparato come costruire paesaggi ibridi, caratterizzati dalla mescola di caratteri e morfologie diversi. Opere scaturite da un aggiornamento delle categorie interpretative e operative del progetto9 hanno introdotto la discontinuità riconoscendola come uno dei caratteri distintivi del nostro habitat. La discontinuità è stata interpretata; sono state rovesciate le polarità, assumendo l’eterogeneità, il contrasto, i conflitti come fattori positivi; rico-
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noscendo ad esempio nel vuoto degli spazi liberi il suo sedimento principale e il campo d’azione di strategie ed azioni di riqualificazione. Sono convinto che il paesaggio è l’attitudine del progetto che più di altre sembra in grado di comprendere ed interpretare i caratteri della discontinuità perché inverte la rotta, studia il “tra” le cose, tesse trame di relazione tra elementi, fattori, singolarità, promuove trasformazioni silenziose10. I paesaggi non possono essere pensati e controllati come totalità, ma si possono progettare e gestire, incoraggiare a crescere e a cambiare nel tempo, ricercando l’adattabilità, perché sono flessibili, capaci di giocare il proprio ruolo nella durata e nella provvisorietà. Una possibile analogia figurativa può essere individuata nel diagramma. Concepire i paesaggi come diagrammi implica il passaggio dall’oggetto al campo e con ciò inevitabilmente il passaggio dall’attenzione alla forma delle parti a quella per le interazioni nel campo e sugli effetti prodotti11. Per un paesaggio relazionale12 L’area metropolitana di Reggio Calabria, un contesto sociale e geografico con una nuova cornice giuridica, costituisce una formidabile occasione per sperimentare strategie di riciclo nella chiave interpretativa del paesaggio13. Sono luoghi che evocano un certo fascino generato da una strana bellezza: paesaggi del vuoto e del troppo pieno, con una storia la cui energia oggi è dispersa - sono i paesaggi del Gran Tour - nei quali persiste una certa ambiguità, la compresenza di diversi caratteri e dimensioni. Intervalli opachi, costituiti da interstizi vuoti, spazi indistinti, reclamano una nuova vita che ne affermi la necessità14. La diffusione dell’edificato ha acquisito la connotazione di città stradale15, un campo di intensità variabile ed oscillante, difficile da descrivere, così come è difficile agire al suo interno con qualche efficacia senza prescindere dalle dinamiche delle interazioni spaziali e temporali, senza adottare modelli ricorsivi. Nelle aree libere, per lo più interstiziali all’edificato e ai lacerti di campi coltivati e agrumeti l’agricoltura può assumere il ruolo di infrastruttura paesaggistica, in grado di scambiare valori economici e culturali con la città come una possibile condizione per ristabilire un nuovo rapporto tra sfera urbana e rurale. Abbiamo davanti il problema di cosa fare di una gran quantità di suolo libero ed allo stesso tempo individuare le possibili modalità di gestione. Una
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sostanza materiale di luoghi, contesti, paesaggi, densi di segni e significati disponibili per nuove figurazioni, per secoli hanno interpretato il rapporto unico che lega la terra al mare, territorio in forma di giardino16, oggi ferito e disconosciuto, ancoranel dispositivo del giardino possono trovare una rigenerazione, un nuovo ciclo di vita. Luoghi speciali, nuovi paradisi capaci di intercettare il bello della contemporaneità e allo stesso tempo attualizzare una storia secolare, sono parte di un sistema fondato sulla convivenza di sistemi urbani evoluti e paesaggio agricolo e naturale17. La sperimentazione consiste nella costruzione di un paesaggio relazionale come sequenza di spazi liberi con specifiche capacità funzionali ed ecologiche, disponibili per attività diverse. Un mix di sistema urbano e sistema agricolo interdipendenti, per dare vita ad un paesaggio composito di agricoltura, natura e servizi. La sua efficacia si misura su ciò che è capace di attivare: occorre individuare e attribuire senso a situazioni radicate nel sistema esistente, riconoscendovi un potenziale inespresso e tale da rendere possibile l’innesco di una serie di processi ascendenti e pervasivi. Per questo pensiamo che ogni azione progettuale ipotizzata si debba agganciare ad un fattore propulsivo con l’obiettivo di avviare processi produttivi e creare attività che incoraggino forme partecipate di uso comunitario18. L’ ipotesi di paesaggio relazionale si appoggia ad una intelaiatura di percorsi di penetrazione e di attraversamento e si fonda su procedure temporalmente condizionate di localizzazione di appezzamenti agricoli a rotazione e permanenti (gli agrumeti ad esempio), servizi ed attrezzature per il tempo libero, per il turismo. Una strategia che per funzionare ha bisogno della compresenza di diversi programmi e anche tra loro contraddittori in modo da stimolare relazioni di tipo nuovo tra abitanti e luogo, incoraggiando la loro responsabilizzazione nella realizzazione, gestione e cura. As a found La prima azione è riconoscere e raccogliere con uno sguardo attento e criticamente curioso quello che c’è per costruire una sorta di mosaico degli spazi liberi per la produzione agricola, ma anche per altre attività (maneggi, orti urbani, aree di ricerca, attrezzature sportive…) secondo principii di reversibilità (quindi flessibilità/resilienza) e di integrazione (quindi connettività/porosità).
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Sono stati individuati alcuni macro–temi per costruire un’ossatura di riqualificazione e d’infrastrutturazione dei territori periurbani nei quali l’agricoltura e l’incolto diventano generatori di paesaggio. L’indagine si basa sull’individuazione e il prelievo di due tasselli del territorio a ridosso del sistema infrastrutturale19, coincidenti con le zone di San Leo e Gallico, da analizzare con uno sguardo non solo alle caratteristiche ed alla morfologia del paesaggio fisico, ma soprattutto a quello praticato, per svelarne i meccanismi intrinseci e le modalità evolutive connesse all’uso, allo sfruttamento, all’attraversamento. Perché la comunità ha un ruolo centrale nella conformazione di questi paesaggi inconsapevoli che si manifesta proprio nelle pratiche agricole, espressione di vitalità silenti, sottese al caos apparente, contribuendo alla formazione di una forte identità locale. Una analisi prefigurativa Per rendere l’azione efficace in contesti multiformi e stratificati come l’area periurbana di Reggio Calabria, occorre tenere insieme la comprensione (analisi) e la scelta, il disegno di scenari futuri possibili (prefigurazione). La lettura è scandita da quattro momenti: scomposizione, fenomenologia, temporalità, attivazione di processi per dare vita a “mappe prefigurative”, fondamentali per rintracciare quei valori potenziali esistenti sul territorio e legati a sistemi di uso e di produzione agricoli. Scomposizione I due tasselli sono stati scomposti per sistemi, per sottolinearne le connessioni, le interferenze e per rilevare l’eventuale presenza di modelli ripetuti. La scomposizione, considerata propedeutica e funzionale alla vera operazione d’analisi prefigurativa sul territorio, è stata condotta sulla base di una prima distinzione tra pieni e vuoti, intendendo con il primo termine il costruito, e gli spazi aperti con il secondo. Malgrado tale classificazione non sembri ben rappresentare la reale consistenza dei due sistemi, ha consentito di individuare quegli ambiti riconoscibili come appartenenti al sistema degli spazi aperti - ovvero quei vuoti dotati di significato - in grado di fungere da collante dei diversi frammenti costruiti, considerati come corpi esogeni, infiltrati nella matrice spaziale agricola. Questa azione è strumentale alla costruzione di una prima mappa che re-
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gistra il carattere “attivo” e “non attivo” tanto degli elementi pieni che dei vuoti, selezionati in relazione del diverso grado di vitalità. La mappa racconta della presenza di alcuni edifici dismessi o mai utilizzati all’interno di un sistema di spazi aperti che è stato articolato in suoli abbandonati e suoli coltivati. Allo stesso tempo la mappa evidenzia la presenza di una serie di “spazi in potenza” la cui collocazione all’interno dei tasselli è legata alla coesistenza di alcune condizioni (sistema passante sotto l’infrastruttura, presenza di edifici abbandonati, di spazi coltivati e di suoli inattivi, prossimità a un sistema agricolo forte…). Fenomenologia Cogliere i fenomeni in atto e “prefigurare” eventuali possibilità partendo dai valori latenti del luogo. L’indagine fenomenologica consente di comprendere i processi in atto e di individuare strategie di riattivazione che potrebbero basarsi su operazioni d’infrastrutturazione di luoghi fertili e vitali (per la presenza di spinte già attive). Sommariamente, i fenomeni da analizzare e far confluire nelle mappe sono: La porosità; registrare modalità e qualità del processo di diffusione ed espansione del tessuto edilizio nello spazio agricolo e viceversa; rintracciarne le costanti, le dinamiche di sviluppo, le eventuali linee di forza. La permeabilità degli elementi di margine; le infrastrutture, stradali e ferroviarie in primo luogo, analizzandone i rapporti con l’intorno: passaggi, attraversamenti possibili o impediti, continuità dei sistemi intersecantisi, connessioni con altri “strati” di mobilità. La permeabilità degli agglomerati costruiti e dei flussi; verificare le velocità possibili e quelle impedite, individuare i sistemi di attraversamento degli spazi e quelli negati, mappare i flussi controllati (veicolari), identificare gli spostamenti informali, le connessioni immateriali, le nuove strade praticate e non ancora consolidate per rintracciare eventuali necessità di infrastrutturazione degli spazi aperti e agrari. Mappare l’intensità, riconoscere e registrare stimoli vitali di appropriazione spaziale e di organizzazione informale dello spazio, di coltivazione e di produzione d’eccellenza, di socialità e di organizzazione comunitaria, di utilizzo di percorsi alternativi più funzionali alle esigenze di mobilità locali, di frequenza d’uso degli spazi aperti e le relative condizioni di sicurezza e
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darne una rappresentazione grafica secondo diversi gradienti di potenzialità per suggerire eventuali sviluppi futuri. Temporalità; registrare la ciclicità d’uso degli spazi, in funzione della stagionalità delle coltivazioni, delle produzioni, degli sviluppi informali e non controllati della vegetazione negli incolti per individuare differenti modalità di utilizzo dei luoghi di produzione e non solo. Superficie; lavorare alla quota zero, rilevando il rapporto tra i diversi usi, le materie, i colori e i trattamenti del suolo, individuando le connessioni, le relazioni tra spazi pubblici e privati, per rintracciare modalità di sviluppo areale degli spazi o eventuali necessità di maggiore continuità tra i diversi sistemi. Gradienti; individuare le diverse condizioni d’uso degli spazi, aperti abbandonati, usi stagionali, occupati, non gestiti. Rapporti di scala; lavorare sulla percezione e sulle dimensioni dei diversi sistemi coltivati perché il rapporto col sistema infrastrutturale potrebbe determinare anche una percezione differente dei diversi elementi che compongono il sistema agrario. Stili di vita; individuare le forme atipiche di socialità che si appoggiano ai residui spaziali generati dalle infrastrutture e dai sistemi agrario ed urbano ed evidenziarne il potenziale di attivazione. Queste indagini fenomenologiche hanno consentito la redazione di una prima mappa “dilatazioni del sistema agrario”, in cui confluiscono i dati emersi dalla mappa attivo/non attivo ma finalizzati all’individuazione di “zone in potenza” sulle quali poggiare azioni di rafforzamento del sistema agrario preesistente. Temporalità I caratteri del paesaggio relazionale sono indagati dal punto di vista delle relazioni temporali tra gli spazi, analizzando due aspetti principali: le stratificazioni; rintracciando i segni del tempo, individuando le forme persistenti del passato, per lo più legate alle tradizioni agricole – muri a secco, tracce del parcellario agrario, antichi tracciati – per poi sovrapporli alle trasformazioni contemporanee. Il Collage temporale; evidenziare i diversi tempi degli spazi, in funzione degli usi o dei “disusi”, del grado di funzionalità attuale, dagli ambienti “attuali” a quelli in stato di obsolescenza, dai luoghi vissuti a quelli in sonno e scartati.
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Attivazione di processi Le diverse mappe prefigurative dovrebbero consentire l’intersezione dei diversi valori potenziali, legati alla temporalità, alla fenomenologia, alla presenza simultanea di condizioni attive e non attive), per definire processi strategici di riattivazione del territorio. L’idea operativa è di costruire un vero e proprio “scenario di azioni strategiche” desunte dall’analisi prefigurativa, agendo per sistemi che si appoggiano al tessuto agrario, integrato con le superfici abbandonate e/o sottoutilizzate. L’individuazione delle azioni strategiche deve rispondere ai requisiti di flessibilità e transcalarità affinché siano in grado di accompagnare l’evoluzione del territorio attraverso processi che includono la comunità. L’obiettivo è trasformare i frammenti agrari a ridosso dell’infrastruttura in un vero e proprio sistema paesaggio, assecondando l’esistente e potenziandone le peculiarità vitali. Gli spazi abbandonati dovrebbero diventare i veri e propri spazi della mediazione e dello scambio tra agricoltura e usi differenti a servizio della comunità e della qualità del paesaggio. Lo scenario di azioni strategiche comprende temi dalla caratura per essere sistemi come la mobilità, in relazione ai fenomeni di porosità e connettività degli spazi; la vegetazione, coniugando quella agricola con altre forme anche in funzione delle differenti possibilità d’uso e della importante presenza delle fiumare; servizi, sincronizzati, differenziati o sovrapposti, per garantire possibilità di avvicinamento al territorio non solo in funzione dell’agricoltura ma anche e soprattutto delle possibili attività future; filiere agricole, per dare vita a circuiti virtuosi legati alla produzione. A seguire Ancora c’è molto da fare, i luoghi di rigenerazione della produzione agricola sono straordinari laboratori, incubatori di idee, fertile terreno di sperimentazioni per il progetto.
Note 1. Trasmesso dalla RAI il 7 febbraio 1974, è un documentario parte di una serie di interventi monografici affidati a personalità del mondo della cultura (uno scrittore, un regista, un intellettuale), ai quali veniva chiesto di parlare di un’opera d’arte prediletta e di spiegarne le ragioni.
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2. Roger Alain, Court traitÊ du paysage, trad. it. Breve trattato sul paesaggio, Palermo, Sellerio, 2009 3. Zagari Franco, Sul paesaggio. Lettera aperta, Melfi, Libria, 2013 4. Bonesio Luisa, Paesaggio, Identità e Comunità tra locale e globale, Reggio Emilia, Diabasis, 2007 5. Donadieu Pierre, Campagnes Urbaines, Actes Sud/E.N.S.P., 1998, trad. it., Campagne Urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città (edizione italiana a cura di Mariavaleria Mininni), Roma, Donzelli, 2008 6. Winspeare Edoardo, In Grazia di Dio, Good Films, 2013. Il film narra la storia di quattro donne di una stessa famiglia che vive in un piccolo paese del Salento, ai nostri tempi di grave crisi economica. Il fallimento dell’impresa familiare e il pignoramento della casa mette in discussione le loro vite e sembra travolgere tutto, giungendo a compromettere i legami. La via d’uscita è trasferirsi in campagna, lavorare la terra e vivere con il baratto dei propri prodotti. 7. Boatti Giorgio, Un paese ben coltivato. Viaggio nell’italia che torna alla terra e forse a se stessa, Bari, Laterza, 2014 8. Nicolin Pierluigi, La terra incolta, Lotus n. 87, 1995, pgg. 32-33 9. Repishti Francesco, Dalla prassi alla teoria nel landscape urbanism, in Lotus, 150, 2013, pgg. 36-45 10. Jullien François, Le trasformazioni silenziose, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2010 11. Corner James, Espansioni urbane orizzontali e densità nel paesaggio emergente, Lotus 117, 2003, pgg. 116-123 12. Le riflessioni e le sperimentazioni documentate sono parte delle attività in corso nel Laboratorio Recycle della Unità di Ricerca della Mediterranea di Reggio Calabria, la cui elaborazione è sviluppata insieme a Cristina Sciarrone e Dalila Russo, dottorande del Dottorato in Paesaggio e Ambiente della Sapienza Università di Roma, aggregate alla unità di ricerca. 13. L’ambito territoriale è stato già oggetto di studio nell’ambito della ricerca PRIN-MIUR 2007-2010 3URJHWWL GL SDHVDJJLR SHU L OXRJKL UL¹XWDWL, Unità di ricerca della Mediterranea di Reggio Calabria, coordinatore Franco Zagari, gruppo di lavoro composto da V. Amadio, G. Celestini, D. Colafranceschi, G. Donin, V. Gioffrè, V. Morabito, A. Villari il cui esito Le aree urbanorurali di recente formazione. Un progetto sperimentale per lo stretto di Messina è pubblicato in Calcagno Maniglio Annalisa ( a cura di), Progetti di paesaggio, Roma, Gangemi Editore, 2010, pgg.261-307 14. Celestini Gianni, Riciclo, paesaggio, in (a cura di) Sara Marini, Vincenza Santangelo, Recycland, Quaderni Recycle Italy, Vol. IV, pgg.107-111, Aracne Editrice, 2013. 15. Minervino Mauro Francesco, Statale 18, Roma, Fandango Libri, 2010 16. "Si può dire che Reggio, cosÏ come le strade che l'attraversano, formano un giardino continuo, e uno dei piÚ deliziosi." Jean Claude Richard de Saint-Non – Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, XVIII secolo. 0L VSRVWDYR YHORFHPHQWH DWWUDYHUVR YLRWWROL LQWHUPLQDELOL GHOLPLWDWL GD ¹FKL G ,QGLD H DORH LQROWUDQGRPL LQ SURIXPDWL DUDQFHWL LQFRQWUDQGR YLD YLD WDQWL DOEHUL GL GROFLVVLPL ¹FKL 5HJJLR q GDYYHro un immenso giardino e, senza dubbio, un luogo di tali delizie, come credo ne esistano pochi altri sulla terra." Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi – Reggio Calabria e la sua provincia, 1847 17. Branzi Andrea, Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Milano, Skira, 2006
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18. Gioffrè Vincenzo, Riattivare Economie: paesaggi produttivi e reti lente, in (a cura di) Sara Marini, Vincenza Santangelo, Nuovi cicli di vita per architetture ed infrastrutture della città e del paesaggio, Quaderni Recycle Italy, Vol. I, pgg.65-69, Aracne Editrice, 2013. 19. Il tratto urbano dell’A3/SS106 è stato oggetto di un workshop e di un colloquio internazionali “Pettinissa. La lunga linea verde” con l’obiettivo di trasformarlo in una dorsale verde ad alta sostenibilità. Gli esiti del Ws sono raccolti in (a cura di) Maria Rosa Russo, Pettinissa. La lunga linea verde, Melfi, Libria Edizioni, 2012
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Il conoide di RoverĂŠ della Luna visto da Nord. Comune di RoverĂŠ della Luna (Tn), 2013. Foto di Vincenzo Cribari
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LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO AGRICOLO DELLA ROTALIANAKÖNIGSBERG: POTENZIALITÀ PROGETTUALI NELL'AMBITO DEL RECYCLING* Vincenzo Cribari e Stefania Staniscia >UniTN
Introduzione Le considerazioni contenute in questo contributo si collocano nell'ambito della riflessione più ampia sul tema del riciclo applicato agli edifici, alla città e al paesaggio che la ricerca PRIN sta portando avanti. È, quindi, utile, piuttosto che proporre nuove definizioni del termine, collocarsi dentro il framework teorico più generale già delineato declinando il termine attraverso la prassi. L'occasione offerta dall'elaborazione del Piano Territoriale della Comunità Rotaliana-Königsberg1 (PTC) diventa il possibile campo di applicazione di alcune pratiche del riciclo applicate a varie scale di intervento e a diversi ambiti funzionali. “Riciclare significa rimettere in circolazione, riutilizzare materiali di scarto, che hanno perso valore e/o significato. (...) Riciclare vuol dire, in altri termini, creare nuovo valore e nuovo senso.” (Ricci, 2012, p. 28) Riciclare un luogo significa, quindi, attribuirgli nuovo senso anche attraverso nuovi programmi funzionali, la reinterpretazione delle forme e della struttura, la rivisitazione concettuale delle categorie tipologiche e di uso, ossia intervenendo sull'anatomia e sulla fisiologia del corpo (Folch, 20142) riconfigurando un organismo del tutto nuovo.
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Partendo da questa angolatura la riflessione che si propone prova a definire la possibile collocazione di un paesaggio caratterizzato da agricoltura intensiva, segnato da una pesante infrastrutturazione e da una diffusa urbanizzazione, in un nuovo ciclo di vita che lo vede non solo "as a productive space, but also as a consumptive space for all kinds of new demands." (Durand, Van Huylenbroeck, 2003, p. 1) con riferimento alla presupposta multifunzionalità dei sistemi agricoli. Potenzialità progettuale dei paesaggi agricoli La capacità dell'agricoltura di operare come dispositivo progettuale è stata indagata, in termini teorici, da numerosi autori afferenti a diverse discipline (Belanger, Roth, 2011, Van Huylenbroeck, Durand, 2003, Waldheim 2010) ed è già stata molto esperita operativamente attraverso, per esempio, la costituzione di un cospicuo numero di parchi agricoli in tutta Europa o le molteplici esperienze di agricoltura urbana3 o le proposte più radicali, e forse utopiche, di costruzione di una città che deriva le proprie regole dalla relazione tra produzione di cibo e forma urbana quali, per esempio, quelle dell'Agrarian Urbanism (Duany, 2010). Ma soprattutto molta riflessione è stata sviluppata sul rapporto tra sistema agricolo e sistema urbano, sul tema della periurbanità e della campagna urbana (Donadieu, 2006), sulla condizione ibrida e/o dicotomica e/o di coesistenza tra situazioni che fanno riferimento a dinamiche di costruzione e statuti di esistenza molto diversi, e, infine, sulle possibili alleanze tra spazi edificati e spazi aperti coltivati da cui è possibile importare matrici formali e sociali. Quest'ultimo aspetto viene enfatizzato da Waldheim che sottolinea "the potentially profound implications (...) for the shape and structure of the city itself" (2010, p. 18) di un cambio nelle modalità produttive agricole – più attente ai temi della sostenibilità, delle risorse rinnovabili, della produzione locale, slow and local – nell'ambito di una riflessione critica su tre progetti4 in cui "agricultural production is conceived as a formative element of the city's structure". Le aree rurali rappresentano, quindi, una riserva di spazi aperti di interesse pubblico, fonte di possibili esternalità positive – ambientali, paesaggistiche, culturali, ludico-ricreative – in cui il progetto deve farsi carico di coniugare istanze, anche profondamente diverse, che rispondono a logiche di uso e fruizione del territorio non sempre compatibili. Una sfida
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progettuale che diventa ancora più interessante quando applicata a territori, come quello della Comunità Rotaliana-Königsberg (CRK), in cui la competizione tra usi è molto forte: agricoltura intensiva – legata prevalentemente alla produzione vitivinicola – vs condizione periurbana non solo dovuta al fattore posizionale – la vicinanza a Trento – ma anche alla diffusa presenza di aree edificate e di infrastrutture e a specifiche pratiche d'uso. Multifunzionalità come dispositivo progettuale Le esternalità positive potenzialmente generate dall’agricoltura rientrano all’interno di un’organizzazione della stessa di tipo multifunzionale. L’agricoltura fornisce servizi non più e non solo di tipo primario, ma rivolti anche alla produzione di beni secondari, quali ad esempio quelli di carattere ambientale e paesaggistico (Agenda 2000). Se in un primo periodo il valore di tali servizi era incluso all’interno delle politiche dei prezzi promosse dalla PAC, dagli anni novanta in poi queste strategie sono cambiate e sono rivolte ormai al riconoscimento di pagamenti diretti rivolti alle molteplici funzioni riconosciute all’agricoltura. Sono le cosiddette politiche di greening della PAC, che tentano di superare sostanzialmente il trade off tradizionalmente inteso fra produzione agricola e uso delle risorse naturali, integrando obiettivi quantitativi di produzione con l’uso sostenibile delle risorse (Henke, 2004). Vi sono poi delle potenzialità di tipo ambientale, che vedono nella crescita della biodiversità un fattore di miglioramento delle produzioni; l’aumento della biodiversità specifica può divenire un indicatore che può produrre valore aggiunto per le produzioni agricole. Studi specifici dimostrano come la biodiversità nei sistemi agricoli adempia a numerosi servizi ecosistemici; oltre che attraverso la produzione di cibo, fibre e nutrienti, attraverso il riciclo di nutrienti, il controllo del microclima, la regolazione di processi idrologici locali, la regolazione dell’abbondanza di organismi indesiderabili e la detossificazione di prodotti chimici nocivi (Altieri, 1999). Tutto porta dunque al riconoscimento dei valori multifunzionali che il paesaggio agricolo possiede e che potenzialmente produce. Tali servizi possono essere implementati attraverso progetti specifici per accrescere le interdipendenze produttive a vantaggio di ricadute in termini economici a livello locale, attraverso, ad esempio, l’implementazione della rete di supporto e di offerta (green infrastructure).
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Contesto di riferimento: descrizione delle dinamiche di trasformazione dell'uso del suolo agricolo La CRK è collocata a sud della stretta di Salorno, e lungo la Valle dell’Adige verso sud fino al territorio del comune di Trento. Le caratteristiche dell’area, in riferimento alle pratiche agricole, fanno emergere al suo interno due principali ambiti o morfotipi; il primo riconducibile alle aree dei versanti collinari e pedemontani lungo la sinistra orografica del fiume Adige, il secondo alle aree pianeggianti del fondovalle. Questi due ambiti sono stati contraddistinti nel tempo da pratiche insediative differenti, che hanno condizionato e definito in particolare la struttura della copertura agricola di questo tratto di Valle dell’Adige. Le aree agricole più antiche sono rintracciabili nei versanti a ridosso dei fertili conoidi detritici, nelle zone collinari e sui bordi della Valle, lì dove l’organizzazione dell’attività agricola era più sicura e meno soggetta alle devastazioni prodotte dai fiumi e in prossimità peraltro degli stessi insediamenti. La disponibilità dei suoli in pianura invece si ha più gradualmente e in maniera relativamente più lenta; solo negli ultimi due secoli si ha di fatto una brusca accelerazione in termini di quantità della superficie coperta e utilizzabile dalle pratiche agricole di tipo colturale. La disponibilità di nuove aree nel tempo è stata dunque strettamente relazionata al progredire della tecnica idraulica e alla dimensione e quantità di opere di regimentazione e di bonifica che verranno realizzate nel fondovalle. Queste considerazioni per grandi linee, ci riportano all’inquadramento del tema rispetto al contesto generale del framework teorico: emerge dagli studi condotti per il PTC della CRK, che le grandi trasformazioni territoriali, dalle opere d’infrastrutturazione del territorio fino alle scelte della pianificazione, contraddistinguono chiaramente alcuni step temporali. Durante queste fasi il territorio e l’agricoltura nello specifico, hanno subito dei cambiamenti strutturali; non ci si riferisce esclusivamente alla distribuzione spaziale delle colture, ma piuttosto all’organizzazione delle pratiche stesse, ai sistemi colturali, alla tecnica agricola, etc. Questi processi sottendono cicli economici differenti. In pratica, lo stesso supporto – il suolo – anche relativamente agli usi esclusivamente di tipo agricolo (ossia quando questo uso continua nel tempo), è stato più volte riutilizzato, e reinventato da pratiche antropiche, atte a ridefinirne sostanzialmente il valore del suolo attraverso le produzioni. Questo valore è passato da mero
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supporto vitale legato a un’economia di sussistenza, a bene ricercato e orientato alla produzione di merci di consumo con un importante valore patrimoniale ed economico per l’economia locale. L’interpretazione dei cambiamenti dell’uso del suolo, è stata realizzata operando a partire da due livelli, uno relativo alle elaborazioni cartografiche (GIS, LUCC analysis and modelling), l’altro a partire dalla ricostruzione documentale e dall’analisi di testi e carte storiche che descrivono la condizione dei luoghi e delle dinamiche di trasformazione di vario tipo che li hanno coinvolti. Quest’ultima parte è stata necessaria per fornire un adeguato supporto conoscitivo utile a condurre le interpretazioni rispetto al livello informativo e cartografico. Una prima serie di dati cartografici descrive le dinamiche principali delle trasformazioni. Parte dei dati riguarda l’uso del suolo negli anni 1973, 1994, 2011; questi dati sono stati forniti dall’Ufficio Cartografico della Provincia autonoma di Trento. Tali dati presentano una classificazione dell’uso del suolo suddivisa in 7 classi principali derivate dall’aggregazione di più voci: pascolo, agricolo, bosco, estrattivo, idrografia, rocce, urbanizzato. Al fine di abbracciare un lasso temporale più ampio è stato preso in considerazione dal gruppo di lavoro, il Catasto Asburgico, realizzato tra il 1859 e il 1861. Si è proceduto alla mosaicatura delle carte catastali storiche e quindi alla restituzione del tematismo dell’uso del suolo e alle validazioni topologiche del dato. Un successivo passaggio ha riguardato l’interpretazione qualitativa di tali informazioni5, necessaria per poter rendere tale dato omogeneo e confrontabile con le serie più recenti. Un livello d’informazione di maggiore dettaglio, comprende poi la distinzione specifica all’interno della classe dei suoli agricoli, distinguendo fra seminativi, vigneti e frutteti. Tale serie riguarda gli anni 1860, 1980, 2003, 2013. Questo livello indaga nello specifico le trasformazioni qualitative e le dinamiche relative alla sola copertura agricola. Un’ulteriore serie di elaborati riguarda invece le dinamiche territoriali multitemporali focalizzate sulle trasformazioni intervenute sull’edificato e sulle infrastrutture. Complessivamente la ricostruzione di questa serie d’informazioni ha permesso di ricomporre le dinamiche di trasformazione che hanno portato all’attuale assetto del paesaggio della CRK, attraverso i suoi usi, in un lasso temporale di circa 150 anni, evidenziandone infine i principali cam-
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biamenti. Per analizzare e interpretare le variazioni delle superfici tra le varie classi aggregate, o macro classi, è stata svolta un’analisi attraverso il metodo della matrice di transizione – the transition matrix – (Pontius et al., 2004). In questo modo è stato possibile analizzare, in termini di superfici assolute, l’evoluzione delle dinamiche delle trasformazioni complessive. Questo metodo a differenza di altri, ”rileva i flussi e coglie le sostituzioni” (Pileri et al., 2009), ossia permette di leggere i cambiamenti netti, le sostituzioni, così come i guadagni e le perdite lorde; questi metodi in particolare “enable scientists to focus on the strongest signals of systematic landscape transitions, which is necessary ultimately to link pattern to process.” (Pontius et al., 2004)
Fig. 1 - Trasformazioni della copertura del suolo nella Comunità Rotaliana-Königsberg
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Fig. 2 - Cambiamenti netti delle superfici agricole (1973-2011)
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A partire dalla serie storica delle carte dell’uso del suolo negli anni 1860, 1973, 1990, 2010, sono state costruite tre matrici di transizione fra gli anni 1860-1973, 1973-1990, 1990-2010. Si riportano a titolo di esempio alcuni dati tra i più significativi come quello che rende evidente la dimensione della crescita urbana, con il conseguente consumo di suolo e le trasformazioni occorse. La perdita di aree agricole registrata tra gli anni 1973 e 2011 è pari a circa 443 ettari, a fronte di un guadagno di circa 64 ettari derivato da avanzamenti dell’agricoltura su bosco, pascolo e idrografia in particolare, per un valore netto stimato pari a 379 ettari in favore dell’urbanizzato. Altro dato interessante che aiuta a registrare le trasformazioni tra il 1860 e il secondo dopoguerra, riguarda gli areali a pascolo e quelli occupati da corpi idrici; entrambi documentano profondi mutamenti socio-economici, il secondo in particolare registra il profondo cambiamento intervenuto nel fondovalle con le opere di regimentazione idraulica. Ricordando che a un particolare utilizzo del suolo è associata una vocazione dominante o prevalente (economica-sociale), vale la pena evidenziare come i processi che sono sottesi alle modifiche di tali usi, cambiando gli assetti dei luoghi, e quindi la vocazione economica-sociale dominante, hanno imposto un processo di trasformazione di un bene in un altro. Se quindi alla base dell’idea di riciclo è insita la condizione di riutilizzo economico di un dato bene (che viene reinventato o riprodotto in uno nuovo attraverso e oltre il suo ciclo di vita tradizionale), tale considerazione va estesa anche a quei processi che hanno coinvolto l’organizzazione dell’intero mosaico di usi territoriali e dunque in particolare, verso quelle parti che hanno già subito una trasformazione della loro funzione economica prevalente, e che quindi di fatto sono già state “riciclate” o “reinventate”. Si riporta in sintesi un’analisi delle trasformazioni complessive registrate, che ha permesso di evidenziare quali sono le aree che hanno registrato il maggior numero di cambiamenti dell’uso del suolo e quante volte questo sia accaduto. Il metodo aggrega i valori spaziali di tutte le aree che sono state oggetto di trasformazione (cambiamento di uso del suolo), definite a partire dalle matrici di transizione. Gli areali oggetto di trasformazione in ogni transizione, sono stati sommati con una operazione di map algebra; il risultato di questa somma dà una carta con il valore aggregato al numero di trasformazioni occorse sulla data cella (area).
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Fig. 3 - Analisi aggregata di trasformazioni multitemporali
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Fig. 4 - Mappa con numero di cambiamenti registrati
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Alla ricerca di esempi, un caso rilevante Dalla lettura delle trasformazioni emerge, quindi, un territorio in cui, sebbene si sia comunque registrata una certa tendenza al consumo di suolo, l'uso agricolo si è dimostrato resistente e competitivo – lo dimostra il fatto che il valore delle aree agricole è tra i più alti d'Italia –. Questo risultato è, però, il prodotto della intensivizzazione dell'agricoltura che ha portato un'inevitabile perdita di biodiversità e, più in generale, una diminuzione del grado di naturalità del paesaggio che è sempre più caratterizzato da un'agricoltura di tipo industriale. Il PTC, tra le varie riflessioni che sta portando avanti, intende proporre una soluzione a questa condizione dal momento che ne rileva la conflittualità con le aspettative della comunità locale e con i presupposti del piano urbanistico provinciale in tema di conservazione, valorizzazione e gestione del paesaggio. Da qui lo stimolo a individuare e analizzare esperienze di pianificazione che cercano di conciliare gli aspetti legati alla produzione con quelli connessi al governo del paesaggio. Come già anticipato, sono molti i parchi agricoli che cercano di implementare il principio di multifunzionalità; il Parc Agrari del Baix Llobregat (PA) è uno di quelli di lunga durata e di buona riuscita; si è scelto, quindi, di approfondire questo caso al fine di comprenderne le caratteristiche e le modalità di gestione, alla ricerca di possibili spunti di riflessione e di strumenti da adottare. Il PA nasce nel 1998 come soluzione per un'area, quella del Baix Llobregat, in cui il territorio rurale è sottoposto a una forte pressione generata dall'espansione urbana, industriale e infrastrutturale della città di Barcellona. L'area agricola del delta del Llobregat si trova, infatti, a sud di Barcellona, all'interno dell'area metropolitana. Si tratta di una pianura alluvionale molto fertile e produttiva. Nonostante la presenza di circa 600 aziende agricole e di più di 1200 persone occupate (Montasell i Dorda, Callau i Berenguer, 2008), per la sua stessa configurazione e posizione questa è considerata una zona di riserva per tutte le infrastrutture della quali la città metropolitana deve dotarsi, così come una immediata area di espansione. Questa condizione periurbana ha prodotto un deterioramento dell'area e dell'attività agricola. La sottrazione di superfici libere per la realizzazione di grandi infrastrutture con la conseguente frammentazione delle proprietà, l'inquinamento della falda acquifera, l'impermeabilizzazione del suolo, la scarsità di terreni in locazione, rappresentano solo alcuni degli
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effetti negativi di questa condizione. Si tratta, inoltre, di effetti che risultano negativi non solo per gli aspetti produttivi – diventa sempre più difficile garantire la continuità e la redditività dell'agricoltura – ma anche per la qualità ambientale, territoriale e sociale. In realtà questa dinamica si registra sin dalla fine degli anni '70 quando la Unió de Pagesos promuove la campagna "Salvem el Pla" per segnalare la necessità di proteggere il suolo agricolo bloccando il processo di urbanizzazione. Ma è solo a metà degli anni '90 che si avvia il processo di costituzione del PA. Nel 1996 la Diputació de Barcelona, il Consell Comarcal del Baix Llobregat e la Unió de Pagesos presentano una proposta per il Programma LIFE che ha l'obiettivo di progettare il parco agricolo; nel 1998 termina la redazione del progetto, nello stesso anno si costituisce il Consorci del Parc Agrari del Baix Llobregat6 – l'ente che in seguito gestirà il parco –, nel 2004 viene approvato il Pla de Gestió i Desenvolupament (PGD) e nel 2005 il Pla Especial de Protecció i Millora (PE). La figura del parco agricolo, quindi, trova attuazione attraverso tre strumenti: - l'ente gestore che "dotat d’iniciativa, de recursos humans, econòmics i de competències, promogui el desenvolupament econòmic de les explotacions agràries i el manteniment i millora de la qualitat ambiental del parc agrari, partint d'una gestió integral de l’espai agrari"; - il piano di gestione e sviluppo che "estableixi les línies estratègiques, els objectius específics i les mesures d’actuació per als diferents àmbits de gestió de l’ens, sobre la base de l’objectiu general del parc i de l’acord entre els membres de l’ens;" - il piano speciale di protezione e miglioramento del parco che "com a figura urbanística, delimita l’àmbit territorial del Parc Agrari, en regula els usos i en defineix les infraestructures generals." (Consorci Parc Agrari, 2004) È necessario, però, chiarire il significato attribuito al termine "parco" in questo contesto per comprendere gli obiettivi principali di questo specifico istituto. Per parco si intende "un espai de qualitat amb una gestió específica" (Ibid.), quindi niente che abbia a che vedere con l'idea di parco naturale e/o legato ad attività puramente ludico-ricreative bensì un istituto che ha la finalità di garantire la continuità dell'utilizzo agricolo del suolo
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implementando attività che siano in grado di migliorare e sviluppare il potenziale economico, ambientale e socio culturale dell'area, proteggendo il patrimonio naturale. Gli obiettivi del PA convergono, quindi, su tre tipi di interesse: quello produttivo – garantire le condizioni per una produzione agricola competitiva e di qualità –, quello ecologico e ambientale – garantire la sopravvivenza degli spazi naturali inclusi nel parco preservando la ricchezza biologica e un intorno paesaggistico di qualità –, quello sociale – mantenimento di un paesaggio agrario di qualità che consenta lo svolgimento di attività educative e ricreative, compatibilmente con l'attività produttiva –. Il PE pone le basi per la coesistenza equilibrata e armonica di questi tre interessi. Suo obiettivo principale è quello di stabilire tutte le regole e le misure necessarie per la conservazione, il consolidamento, l'efficientamento, e la promozione del PA attraverso atti, aventi forza di legge, che si specificano attraverso sei Plans Rectors de Desenvolupament7. Questi contengono le misure di carattere urbanistico, produttivo, ambientale e paesaggistico che devono essere implementate nell'ambito del parco e costituiscono sei progetti di ordinamento tematici che si occupano: del miglioramento della produzione agricola, della gestione delle risorse idriche, della struttura viaria, degli usi del suolo rururbani, degli aspetti ambientali e di qualità paesaggistica e, infine, delle modalità di uso sociale. La figura del parco agricolo nasce, quindi, dal bisogno di proteggere un'economia florida e importante dagli "assalti" della città e, allo stesso tempo, dalla consapevolezza che ci sono valori – ambientali, paesaggistici, culturali, sociali – che devono essere preservati e che una logica puramente produttivistica sacrifica. Alcuni dei punti di forza di questo modello sono: lo spirito di cooperazione istituzionale, collaborazione e condivisione di responsabilità tra le parti coinvolte nella gestione del territorio rurale – agricoltori, amministrazioni locali e sovra locali –; la collaborazione con la Escola Superior d'Agricultura de Barcelona e con l'IRTA (Institut de Recerca i Tecnologia Agroalimentaries) della Generalitat de Catalunya; il marchio di qualità "Producto FRESCO del Parque Agrario" che è riuscito a imporsi sul mercato locale dell'Area Metropolitana di Barcellona (Montasell i Dorda, Callau i
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Berenguer, 2008); la presenza di un tessuto di aziende agricole raccolte in cooperative. Infine, per il successo del modello è stata determinante la capacità di intercettare fondi e finanziamenti che l'ente gestore ha investito su un'idea di parco produttivo con prerogative di qualità ambientale e paesaggistica. Riflessioni conclusive L'esempio del Parc Agrari del Baix Llobregat dimostra come sia possibile conciliare istanze anche molto diverse in una composizione di esigenze che va proprio nella direzione di una concezione multifunzionale dell'agricoltura. Questo cambiamento di prospettiva è, però, impossibile in assenza di una volontà condivisa tra tutti coloro che, in forme diverse, operano sul territorio: imprenditori agricoli, comunità locali, amministratori pubblici, urbanisti, pianificatori. Le aree agricole della CRK mostrano una certa resistenza alla trasformazione8, ma questa resistenza, se osservata con sguardo più attento alle problematiche ambientali e paesaggistiche, mostra tutti i limiti della produzione agricola industriale. Per ipotizzare di poter "riciclare" il territorio rurale della CRK come "a consumptive space" (Durand, Van Huylenbroeck, 2003, p. 1) il PTC deve, quindi, dotarsi di strumenti di pianificazione condivisi che, nella loro implementazione, contemplino aspetti gestionali che coinvolgono tutti gli attori del territorio e di un progetto di paesaggio che sia in grado di sintetizzare, in uno stesso disegno, tutte le risorse territoriali.
Note 1. Il piano è in corso di redazione ed è coordinato dal Prof. Corrado Diamantini. Una parte del gruppo di lavoro, tra cui anche gli autori del contributo, afferisce all'Università degli Studi di Trento. 2. Da uno scambio di e-mail con l'autore. 3. Numerose pubblicazioni danno conto di questa intensa produzione progettuale e del forte interesse suscitato intorno a questo tema. Si citano, a solo titolo esemplificativo, alcune raccolte monografiche quali: Lotus 149 (2012) Lotus in the fields, Architettura del Paesaggio 24 Paesaggio e Agricoltura, Territorio 60 (2012), Bracket 1 (2010) On farming. 4. Broadacre City di F. L. Wright, New Regional Pattern di L. Hilberseimer e Agronica di A. Branzi.
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5. Si riporta a titolo di esempio, il passaggio da un’agricoltura di tipo estensivo fortemente caratterizzata dalla policoltura, ad un’agricoltura di tipo intensivo. 6. Formato dalla Diputació de Barcelona, dal Consell Comarcal del Baix Llobregat, dalla Unió de Pagesos e dai 14 Comuni che sono interessati dall'area del PA. 7. Questi piani sono stati elaborati ma, in seguito a un ricorso, sono stati eliminati dall'ultima versione del PE. 8. Si fa riferimento alle dinamiche descritte nel paragrafo 04. *. Il contributo è frutto di una riflessione comune. Tuttavia il terzo e il quarto paragrafo e relative immagini sono da attribuire a Vincenzo Cribari; il primo, il secondo e il quinto sono da attribuire a Stefania Staniscia. Le conclusioni sono da attribuire a entrambi gli autori.
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MOMENTI DI CONFRONTO 135 LABORATORIO 05_ ORDITURE DEL TERZO SPAZIO. RIUSO DELLE AREE PRODUTTIVE AGRICOLE
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IN PROGRESS DOTTORATO DI RICERCA
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Spazio pastorale con rovine, Santadi, Cagliari. Foto di Sara Impera.
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[ISOLE ALTRE] ABBANDONI E POSSIBILI RITORNI NELLO SPAZIO RURALE DELLA SARDEGNA DEL SUD Sara Impera >PoliMI
L’abbandono dello spazio agrario, e più in generale di quello rurale, rappresenta oggi un problema urgente, ma di certo non nuovo1. Non si tratta per l’Italia di un fenomeno appartenente solo ed esclusivamente alla storia più recente, ma di un processo che ha interessato il territorio in modi e momenti diversi, ritornando ciclicamente a partire dal Medioevo. Di fatto FRQ OH PRGL±FKH FKH HVVL DSSRUWDQR DOOH IRUPH SUHGRPLQDQWL GHOOªDbitato, aprendovi dei vuoti o lasciando il posto a forme sostitutive diverse, gli abbandoni di ogni tipo modellano il paesaggio agrario"2 trasformandone, in tempi più o meno lunghi, le strutture profonde. Le aree rurali della Sardegna, oggetto di studio della ricerca in corso, sono anch’esse al centro di gravi fenomeni di abbandono e spopolamento3. Del resto questa è, anche per l’isola, una storia che si ripete: gli abbandoni si sono da sempre verificati4 per quel particolare "carattere strutturalmente instabile dell’abitato rurale sardo"5 dovuto alle difficoltà di addomesticamento di un territorio ostile e ingrato, per cui ad un certo punto gli spostamenti definitivi dai luoghi, diventavano l’unica possibilità di sopravvivenza. La regione storica del Sulcis, che si estende dalla fascia costiera a sudovest verso l’interno montuoso, si presentava dopo il Medioevo comple-
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Fig. 1 - Uso debole su manufatti rurali in rovina, Teulada, Cagliari. Foto di Sara Impera.
tamente deserta, per poi essere ripopolata solo tre secoli dopo. Questa parte dell’isola si caratterizza per un insediamento di tipo diffuso, costituito da una maglia di piccoli insediamenti produttivi sorti tra ‘600 e ‘700 in seguito alla stabilizzazione di individui legati principalmente all’attività pastorale transumante: contadini e pastori provenienti dalle zone montane più interne, si spostarono con le rispettive famiglie colonizzando per iniziativa individuale un territorio rimasto a lungo disabitato. Vere e proprie unità di produzione contraddistinte dall’integrazione tra attività agricola e pastorale, questi micro-cosmi rurali in grado di sopravvivere in regime di autosufficienza pressoché totale, hanno dato origine a un sistema di controllo e sfruttamento del territorio attuato attraverso il presidio diffuso. La forma puntuale dell’insediamento, che ha sullo sfondo i pochi centri più estesi riconoscibili come entità urbane, costruisce qui una geografia artificiale di isole abitate che si articola in modi diversi fino alla costa. Si osserva da un lato la tendenza verso l’isolamento pressoché totale dell’insediamento (isole produttive) nelle aree montuose e d’alta collina, e all’op-
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Fig. 2 - Tentativi di aggiustamento precario su manufatto rurale, Santadi, Cagliari. Foto di Sara Impera.
posto in quelle pianeggianti e nelle prime fasce collinari, la presenza di forme di aggregazione sistemica capaci di generare una presa territoriale forte e ben strutturata, ma sempre attuata per mezzo di elementi puntuali e discontinui (arcipelaghi produttivi). L’iniziativa individuale sembrerebbe aver guidato la costruzione di uno spazio che seppure attraverso segni e tracce ormai sempre più deboli è di fatto, al di là dell’apparente impressione di naturalità, altamente antropizzato e modificato; di certo la mancanza di un disegno preciso ha fatto si che le forme insediative siano state auto-determinate in larga misura dalla libera scelta. Ciò che ci si propone di comprendere a fondo allora, è quel sistema latente di relazioni tra uomo e ambiente che all’atto fondativo, soggiacciono alla scelta del luogo e al riconoscimento a priori delle sue possibilità produttive e abitative: queste sono implicite in quel modo tutto sociale di appropriazione dello spazio, regolato da consuetudini collettive comunemente e tacitamente accettate che hanno avuto la forza di ripeter-
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si nella lunga durata producendo identità locali, ora fortemente messe in pericolo. Se una certa stabilità e continuità nelle forme dell’insediamento si è mantenuta fino agli anni ‘50, alcuni mutamenti sostanziali sono sopravvenuti da questo momento in poi, comportando perdite talvolta irrimediabili. Le trasformazioni più profonde sono sicuramente quelle legate ai processi di abbandono: il progressivo distacco dalla terra è la diretta conseguenza di modi di vivere e produrre che, investiti dalla modernizzazione, sono radicalmente e rapidamente mutati. Il passaggio da un’economia di sussistenza basata sull’autoconsumo, a modi di produzione di tipo capitalistico e meccanizzato, ha decretato la progressiva fine dei piccoli nuclei produttivi, con una fuga dalle campagne che ancora prosegue oggi6. Se rilevare l’abbandono negli edifici e nei manufatti è operazione abbastanza facile per l’evidenza immediata del degrado materico, non è altrettanto ovvia sui suoli, e ancor meno in quelli coltivati in modo estensivo7. E’ innegabile che le due componenti si influenzino reciprocamente, ma non in modo univoco: le forme di abbandono, quando incomplete, sono infatti spesso disgiunte, e riguardano talvolta soltanto i manufatti ma non i suoli, e viceversa. Quello che ci viene restituito alla fine è comunque un paesaggio di rovine, dove terreni inselvatichiti e in disuso, in cui il segno della presenza umana si è affievolito, si alternano a edifici diroccati congelati in un tempo immobile che riemerge di tanto in tanto negli oggetti del quotidiano8 rimasti lì per caso. Ma se questa è la sorte toccata a un gran numero di insediamenti, quelli che in un certo modo resistono portano il segno visibile di una PRGL±FD]LRQH sostanziale, di una coesistenza senza dialogo tra il vecchio e il nuovo. Così "il disordine, l’incompiutezza, l’indefinitezza" diventano "modi di organizzare lo spazio e il tempo, di difenderli per evitare guasti più rovinosi9"; di fianco alle vecchie rovine, le nuove macerie dello standard edilizio di basso profilo generano edifici produttivi indifferenti, mentre il blocchetto in calcestruzzo, la lamiera e il telo di plastica sono la materia povera attraverso cui si tentano precarie forme di adattamento e riparazione dei manufatti esistenti. Sempre che non si decida di optare per la loro completa rimozione: la frequente distruzione volontaria, materiale e mnemonica allo stesso tempo, è sintomo di un atteggiamento che mette in luce un problema culturale di mancato riconoscimento del valore. L’accezione negativa con cui si considera l’insediamento rurale è infatti comunemente associata a un passato recente di povertà, fatiche e pri-
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vazioni, che l’introduzione del nuovo prova a cancellare e soppiantare. Ad ogni modo "la comunità e i luoghi possono essere letti non considerando il mutamento come una catastrofe irreversibile, ma prestando attenzione agli adattamenti, alle permanenze, a quella sorta di bricolage sociale che gli individui praticano"11 e attraverso cui si manifesta un modo diverso di rapportarsi ai luoghi che trasformandoli, ne mette a nudo il nocciolo duro e la struttura resiliente, ciò che ne costituisce il vero valore. Riconoscere nello spazio rurale una risorsa potenziale, in termini ambientali, sociali, culturali ed economici, significa allora interrogarsi sulle strategie di riconquista degli spazi persi in un’azione di ridisegno che investa tanto i manufatti quanto la terra. Diventa cosÏ centrale per tornare ad abitare i territori in stato di abbandono, il ruolo delle pratiche agricole, quindi di quell’ackerbau tedesca di cui ci parla Cattaneo che "chiama con una medesima voce l’arte di edificare e l’arte di coltivare"12. L’agricoltura, in particolare quella contadina e di tipo ecologico13, ha costruito e costruisce il territorio, ma soprattutto lo mantiene curandolo costantemente; la multifunzionalità consentirebbe inoltre di associare alle attività produttive, una serie di funzioni complementari di utilità diverse che faciliterebbero una presenza umana piÚ costante14. La desolazione contraddistingue infatti questi luoghi, costellati di residui e frammenti di vita passata lascito del vuoto d’uomini dell’ultimo mezzo secolo. Lo sforzo progettuale che si rende oggi assolutamente necessario, dovrebbe trovare nella disordinata e diacronica stratificazione di segni che ci consegna il presente, l’appiglio da afferrare, l’ultimo ramo ancora vivo su cui innestare il cambiamento. E’ quindi dal rifiuto dell’idea di uno spazio rurale inerte e moribondo, a favore di una sua visione dinamica e adattativa, che potrebbe avere inizio l’inversione di un processo di declino che al momento sembra irreversibile, e che invece, come ci insegna la storia, costituisce solo una fase transitoria che prelude a nuovi assetti, e si spera, a altri, possibili ritorni.
Note 1. Di recente, il documento del Ministero per la Coesione Territoriale Strategia nazionale SHU OH DUHH LQWHUQH GHÂąQL]LRQH RELHWWLYL JRYHUQDQFH (Gennaio 2014), ha posto l’attenzione sul fenomeno degli abbandoni nelle aree interne. Qui si definiscono alcune linee guida per le aree interne, descritte come “e maggioritaria parte del territorio nazionale non pianeggian-
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te, fortemente policentrica, con diffuso declino della superficie coltivata e spesso affetta da particolare calo o invecchiamento demografico”; tra le strategie, oltre alla creazione di lavoro e all’inclusione sociale, viene indicata come fondamentale la riduzione dei costi dovuti all’abbandono diffuso del territorio. L’abbandono viene dunque visto come un problema reale le cui conseguenze fisiche, economiche e culturali, dovute al mancato o inadeguato utilizzo del capitale territoriale, pesano in modo consistente sul bilancio dello Stato. 2. Klapisch-Zuber C., Villaggi abbandonati ed emigrazioni interne, in Storia D’Italia, vol.5*, Torino, Einaudi, 1973, pp.313-14. 3. Un’ esaustiva ricostruzione del quadro sul malessere demografico delle aree interne della Sardegna si ha in Comuni in estinzione, gli scenari dello spopolamento, Progetto IDMS 2013, della Regione Sardegna. 4. Gli studi di Terrosu Asole A. (1974) e quelli di Day J. (1973), sulla contrazione dei centri abitati tra il Medioevo e il ‘700, ne discutono ampiamente. 5. Ortu G. G., Villaggio e poteri signorili in Sardegna, Laterza, Bari, 1989, p.28. 6. Da un’analisi dei dati dell’ultimo censimento agricolo (2010), aree collinari e montane della Sardegna in dieci anni si è assistito a una riduzione delle aziende rispettivamente del 41,3% e 53,7%; il dato più rilevante riguarda la diminuzione delle piccole aziende a conduzione individuale e familiare, con un generale spostamento di contadini verso altre attività localizzate in aree urbane. 7. Infatti "il concetto di terreno abbandonato è opinabile, e vi è un’infinita gamma di concezioni intermedie fra le due estreme: quella cioè che individua come abbandono solo lo stato di inutilizzazione totale, e quella che lo riconosce quando si ha comunque un’attenuazione delle operazioni agrarie tradizionali", Vecchio B., *HRJUD±D GHJOL DEEDQGRQL UXUDOL, in Storia dell’agricoltura italiana in epoca contemporanea: spazi e paesaggi, a cura di P. Bevilacqua, Venezia, Marsilio, 1989, p. 324. 8. Ne parla Tarpino A in Spaesati: luoghi dell’Italia in abbandono tra memoria e futuro, Torino, Einaudi, 2012. 9. Teti V., Maledetto Sud, Torino, Einaudi, 2013, p.107. 10. Si rimanda a Augé M., Rovine e macerie: il senso del tempo, Torino, Bollati Boringhieri, 2004. 11. Meloni B., Lo sviluppo rurale: dall’analisi al progetto, Cagliari, CUEC, p. 31. 12. Cattaneo C., Scritti economici, a cura di Bertolino A., vol.3, Firenze, Le Monne, 1965, p.5. 13. In questo caso è bene distinguere tra gli effetti sul territorio di un’agricoltura di tipo industrializzato basata sulla chimica, sulla specializzazione colturale e sulla standardizzazione, da quelli dell’approccio di tipo agro-ecologico di impronta contadina che vedono un’adesione ai cicli naturali, la diversificazione colturale e in generale una maggiore cura verso il territorio. Per una panoramica generale sull’agricoltura contadina si veda J.D.Van Der Ploeg (2009). 14. In Canale G., Ceriani M., Contadini per scelta: esperienze e racconti di nuova agricoltura, Milano, Jaca Book, 2012, sono raccolte alcune testimonianze relative a esperienze di ritorno alla terra in modi contemporanei, con forme di agricoltura alternative.
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Rovina di un alpeggio. Sceru, Svizzera 2008. Foto di Matteo Pedrozzi
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SULLE ALPI. ABBANDONO E RISCOPERTA DELL’ARCHITETTURA DEI TERRITORI RURALI MONTANI Mauro Marinelli >PoliMI
Viollet-le-Duc negli anni Settanta dell’Ottocento compie un’importante ricognizione sul Massiccio del Monte Bianco1. Non si limita a rappresentare ciò che vede ma, come ci ricorda Corboz2, compie un’operazione progettuale: prefigura la forma primigenia del massiccio, una forma archetipica antecedente al processo di erosione che ha dato forma al paesaggio alpino. Progettando ciò che le Alpi avrebbero dovuto essere, con un’astrazione idealizzante carica dell’afflato positivista del momento storico, ne mostra l’attuale condizione di rovina, una sorta di architettura naturale, ossimoro intrigante, la cui forma e condizione di rovina è dovuta al processo di erosione al quale va inesorabilmente incontro. L’intuizione di Le-Duc serve qui però a ricordare quanto il territorio alpino possa essere considerato realmente una grande rovina, un territorio in cui l’instabile verticalità dei suoli tende all’orizzontalità, in un processo di distruzione che l’uomo ha sempre tentato di arginare. Quell’equilibrio tra costruzione e distruzione presente nella rovina è espresso chiaramente nelle forme dei territori alpini in cui la tettonica costruttiva artificiale, perpetrata attraverso una cura costante dei suoli, si oppone all’erosione naturale in un equilibrio rincorso attraverso un’opera
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costruttiva, e coscientemente progettuale, di continua modificazione. Non è certo un caso, come ricorda Cattaneo3, se la lingua tedesca assegna alla parola agricoltore lo stesso significato della parola costruttore. Persino i caratteri che vengono utilizzati come strumento per promuovere lo stereotipo delle Alpi come immutabile scenografia naturale, attraverso quella che in molti definiscono “invenzione delle Alpi”4, sono in realtà opera della costruzione dell’uomo come la sequenza verticale prato di mezzacostabosco-pascolo, ottenuta per sottrazione dalla massa del bosco, come i pascoli ai piedi delle vette, come pure la stessa conformazione delle terre più alte, la cui erosione viene arginata dall’opera di costruzione e cura dei pascoli di alpeggio. In questo senso è dunque corretto affermare che i territori delle Alpi sono dei grandi artefatti in cui sinteticamente hanno converso pratiche costruttive diverse, tra cui edificazione, agricoltura e allevamento (dalla costruzione di edifici e terrazzamenti, al modo di dissodare la terra fino alle tracce e ai proto-terrazzamenti formati spontaneamente dagli animali al pascolo che prevengono erosioni e frane). Dal secondo dopoguerra la costruzione di quest’architettura del territorio si è interrotta: manufatti, suoli e paesaggi vanno così incontro alla rovina e l’architettura del territorio rurale alpino si trova ad essere abbandonata o distrutta. Motivi economici, come la bassa redditività delle terre alte e la parcellizzazione delle proprietà5, rendono poco vantaggiosa la lavorazione della terra, l’acclività dei pendii resta una barriera fisica all’applicazione di tecniche agricole industriali6 e la fatica fisica risulta ancora insuperabile. Tutto ciò, insieme alla distruzione della rete minuta di relazioni spaziali fatta di sentieri e percorsi tra valli, che porta all’isolamento culturale7 oltre che fisico, condanna la montagna rurale ad essere “dimenticata”, destinata all’oblio. Un oblio, spesso involontario, che talvolta è tuttavia dichiaratamente volontario, in una sorta di damnatio memoriae o consapevole rimozione di un patrimonio memoriale personale e collettivo che sa di miseria, fatica e povertà. Abbandonare quel tipo di montagna, o anche semplicemente quei manufatti che ne rappresentano la permanenza fisica, significa emanciparsi dalla difficoltà della vita rurale delle terre alte: abbandonare equivale così a dimenticare il proprio doloroso passato, oltre che scartare una risorsa fisica che non si ritiene più tale. Così il bosco, non più arginato, invade i campi abbandonati, i pascoli non più curati sono
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erosi dalle piogge e dalle nevi di alta quota, gli edifici vengono trasformati in seconde case dal sapore disneyano o lasciati crollare sotto i colpi della neve. Oggi questo “mondo dei vinti”8 sta però scoprendo una vita nuova9. Grazie a nuove possibilità economiche e culturali, quel patrimonio di suoli e manufatti abbandonati sta per essere riscoperto come risorsa spaziale e produttiva, come luogo di lavoro e di vita, tanto che numerose ricerche10 possono fotografare questo ritorno alle Alpi raccontandocene i protagonisti11. Questa possibile ma ancora flebile nuova fase insediativa è innescata, come già avvenuto in passato12, dalla disponibilità di spazi ora data proprio dall’abbandono che si configura, con sguardo progettuale, come la grande occasione per una nuova ruralità dei territori alpini. Riabitare manufatti e suoli significa dunque costruire nuovi orizzonti di senso e nuovi usi, senza mai dimenticare l’importanza inderogabile di quel legame fondativo, tra spazio aperto ed edifici, che costruisce la trama relazionare tra produrre ed abitare. I territori che, carichi di memorie stratificate, vengono strappati all’abbandono non possono quindi che andare incontro a iniziali trasformazioni profonde, dovute al loro ritorno all’uso, e a successivi processi modificatori costanti che sono alla base di quella cura dei territori condotta attraversi i tempi ciclici dell’allevamento e dell’agricoltura. In questo senso confrontarsi con le preesistenze, che l’abbandono ha fissato in un passato attualizzato, significa tanto riconoscere il valore di ciò che c’è, quanto accettare che ciò che può essere non sarà ciò che è stato, superando una “angoscia epistemofilica”13 paralizzante e mantenendosi lontani da folkloriche derive di una nostalgia, questa volta, “senza memoria”14. Di fronte al fenomeno del ritorno alle Alpi è dunque importante individuare come prefigurare tali modificazioni utilizzando il progetto, come strumento in grado di riattivare interi brani di paesaggi alpino, in quanto luogo di sintesi tra differenti competenze e pratiche costruttive specifiche. Tra queste vi sono l’agricoltura e l’allevamento che è necessario emancipare dalla sola dimensione tecnico-produttiva in cui sono attualmente relegate, e, nello specifico contesto alpino, rivalutarne la natura di pratica costruttiva in grado di dare forma ai territori. La ricerca tenta dunque di individuare e sperimentare, insieme a figure tecniche provenienti da ambiti disciplinari specifici, strategie progettuali
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in grado di rispondere alle nuove esigenze di tali luoghi strappati all’oblio a cui erano destinati, utilizzando il progetto come strumento in grado prefigurare la modificazione dei suoli e dei manufatti abbandonati nel tentativo di costruire e ri-costruire quelle fragilissime, ma forse nuovamente vive, terre alte delle Alpi.
Note
1. Documentato nel volume Viollet-le-Duc E. E., Le Massif du Mont Blanc. Étude sur sa constitution géodésique et géologique sur ses transformations et sur l'état ancien et moderne de ses glaciers, Libr. Polytechn. J. Baudry (Typ. Georges Chamelot), Paris, 1876. 2. Corboz A. Geologia estrapolata: da Viollet-le-Duc a Bruno Taut, in Corboz A., Ordine sparso. Saggi sull’arte, il metodo, la città e il territorio, Viganò P. (a cura di), Urbanistica Franco Angeli, Milano 1998. 3. "La lingua tedesca chiama con una medesima voce l’arte di edificare e l’arte di coltivare; il nome dell’agricoltura (Akerbau) non suona coltivazione ma costruzione; il colono è un edificatore (Bauer). Quando le ignare tribù germaniche videro all’ombra dell’aquile romane edificarsi i ponti, le vie, le mura, e con poco dissimile fatica tramutarsi in vigneti le vergini riviere del Reno e della Mosella, esse abbracciarono tutte quelle opere con un solo nome. Sì, un popolo deve HGL±FDUH i suoi campi come le sue città”, in Cattaneo C., Scritti economici, Bertolino A. (a cura di) , vol.III, Le Monne, Firenze, 1965, p. 5. 4. Quella che trova le sue radici tanto nei poemi di Albrecht von Haller quanto nelle rappresentazione ottocentesche di paesaggi montani, che descrivono le Alpi come luogo della naturalità e come scenario di una stereotipata “ruralità edenica”. 5. In montagna la terra apparteneva ai morti tanto era difficile frazionare la miseria”, in Revelli N., Il mondo dei vinti. Testimonianza di vita contadina. La pianura. La collina. La montagna. Le langhe., Einaudi, Torino, 1977, p. XXI. 6. Poche sono le eccezioni di coltivazioni industriali sulle Alpi: si concentrano infatti in territori non eccessivamente complicati e a quote non troppo elevate, come per esempio la coltivazione delle mele in Val di Non e la viticoltura nella Valle dell’Adige. 7. Salsa A., Il tramonto delle identità tradizionali, Priuli Verlucca Editore, Torino, 2007. 8. Dal celebre libro di Nuto Revelli che descrive, in un viaggio tra le campagne del cuneese e delle Alte Langhe, i momenti più drammatici della fuga dalla montagna, attraverso le storie di luoghi e di persone. Revelli N., Il mondo dei vinti. Testimonianza di vita contadina. La pianura. La collina. La montagna. Le langhe., Einaudi, Torino, 1977. 9. In riferimento al testo di Enrico Camanni che marca il salto di paradigma che investe la montagna, da mondo dei vinti a territorio dotato di una nuova vita. Camanni E., La nuova vita delle Alpi, Bollati Boringhieri, Torino, 2002. 10. Interessanti i risultati presenti dall’Eurac all’International Mountain Summit 2012, come la ricerca del 2013 NOVALP “Nuovi abitanti delle Alpi” promossa da Dislivelli e dal Gruppo Terre Alte del Club Alpino Italiano.
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11. Corrado F., e Dematteis G., individuano differenti categorie di nuovi abitanti delle Alpi in Corrado F., Dematteis G., “I nuovi montanari nelle Alpi occidentali italiane” in Varotto M. (a cura di), La montagna torna a vivere. Testimonianze e progetti per la rinascita delle Terre Alte, Nuova dimensione, Portogruaro (VE), 2013, p. 28,29. 12. Si pensi all’insediamento di popolazioni germaniche nei territori delle Alpi centrali dal VII al XII secolo o ad altri particolarissimi fenomeni come quelli legati alle popolazioni Walser. Di particolare interesse, inoltre la diffusione delle Svaighe tirolesi che raggiunsero la loro massima espansione nel XIV secolo: queste erano masi d’alta quota costruiti su suoli messi a disposizione dalle signorie locali ai nuovi coloni. Per un approfondimento si rimanda a Stolz O., Die Schwaighöfe in Tirol, Verl. Des D. u Oe. Alpenvereins, Innsbruck, 1930. 13. In riferimento all’espressione di Pichon-Rivière citata in Morelli U., Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, Bollati Boringhieri, Torino, 2011, par. 5.7 “Ostacoli epistemologici e angosce epistemofiliche nel cambiare idea”, p.134. 14. Appadurai A., Modernità in polvere, Meltemi, Roma 2001.
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Terrazzamenti, Costa Viola, 2013. Foto di E. Nucera
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AGRICOLTURA E PAESAGGIO. IPOTESI DI RICICLO IN CHIAVE MULTIFUNZIONALE DEI TERRAZZAMENTI DELLA COSTA VIOLA* Elisabetta Nucera >UniRC
Il paesaggio terrazzato della Costa Viola, in provincia di Reggio Calabria, è un caso emblematico delle tendenze in atto nei territori periurbani , soggetti a fenomeni di abbandono legati alla crisi dell’agricoltura e al cambiamento degli stili di vita. A differenza delle frange urbane di recente formazione, il paesaggio in questione presenta forti caratteri identitari, che delineano un territorio di un estrema quanto fragile bellezza, la cui preservazione richiede modalità urgenti di tutela attiva, e la necessità di affrontare in chiave contemporanea la gestione del territorio, sperimentando forme integrate di produttività/ socialità/ protezione ambientale, per attivare reti di collaborazione e stimolare il coinvolgimento diretto della comunità per nuove forme di abitabilità, ospitalità, socialità e condivisione della bellezza del Paesaggio. La Costa Viola1 si estende per 20 km con altitudine compresa tra 0 e 500 m s.l.m. nell’estremità Sud-Ovest della Calabria, negli attuali territori comunali di Villa San Giovanni, Scilla, Bagnara, Seminara e Palmi. La costa è delimitata dal Mar Tirreno e dall’Aspromonte che a tratti scende a picco sul mare, formando un’alternanza di ripidi pendii, alte scogliere e spiagge in arenile. Presenza costante è lo scenario dello Stretto di Messina, delle
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Fig. 1 - Agricoltura multifunzionale
Isole Eolie e del litorale calabrese. Le strutture insediative e le infrastrutture, in un contesto territoriale a tratti drammatico, si sono sviluppate seguendo direttrici quasi obbligate, mentre i centri abitati sono sorti nei tratti più vicini alla costa, e hanno storicamente basato la propria economia sul connubio pesca-agricoltura. Le tracce profonde di una lunga presenza umana e di una continua attività agricola sono visibili nel sistema dei terrazzamenti, che fasciano i pendii delle montagne per circa 4.000 Km. L’attività agricola è stata generalmente ordinata a colture arboree quali agrumi, ulivi ed in particolare viti, presenti fin da tempi antichissimi principalmente nelle aree terrazzate con pendenze anche superiori al 100%. Con il progressivo declino della viticoltura nell’area, si è assistito alla scomparsa dell’utilizzazione agricola, nonostante vari interventi mirati all’incentivazione della coltivazione della vite e della conservazione del paesaggio agrario2. L’abbandono dei terrazzamenti è dovuto all’insorgere di condizioni nuove e sfavorevoli: il mancato ricambio generazionale, i fenomeni migratori, la polverizzazione fondiaria, la scarsità e il costo della manodopera, la difficoltà di accesso ai vigneti, l’arretratezza tecnologica e la diseconomicità della produzione di vino ( Nicolosi, Cambareri, 2007). Il venir meno del presidio ambientale comporta una trasformazione del territorio che da agricolo diviene rurale, in quanto le foreste e la macchia
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Fig. 2 - Riciclo di un terrazzamento
mediterranea tendono a riconquistare il suolo abbandonato dall’agricoltura. Il fenomeno sta generando un grave dissesto territoriale, aumentando il rischio idrogeologico e minacciando infrastrutture e nuclei abitati, e soprattutto sta causando la scomparsa definitiva del paesaggio significativo dei terrazzamenti. La Costa Viola è stata oggetto dei programmi Leader II e Leader Plus, mentre la Provincia è stata promotrice della proposta di istituzione nell’area di un parco antropico. Attualmente è in atto il progetto di cooperazione transnazionale LANDsARE finalizzato alla redazione di linee guida strategiche per lo sviluppo rurale del territorio e per avviare l’istituzione dei Paesaggi Protetti della Costa Viola e della Piana degli Ulivi (L. R. n.10 del 14 luglio 2003)3. Per dare maggiore incisività alle iniziative fin qui intraprese è necessario puntare sulla componente innovativa di un progetto di paesaggio che, integrando aspetti di carattere economico, ambientale e sociale, sia in grado di innescare un processo virtuoso di Riciclo del paesaggio agrario delle Terrazze della Costa Viola4. “Si tratta di accogliere ed istruire la propensione al riciclo insita nelle comunità del Sud per estenderla agli scarti del paesaggio.(…) La pratica del riciclo ha la sua efficacia se mantiene una componente creativa in grado
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di determinare processi evolutivi come esito di uno sforzo di creatività individuale ma soprattutto collettivo, secondo modalità operative in grado di attivare processi condivisi con gli abitanti, reali protagonisti delle trasformazioni dei territori in cui vivono” (Gioffrè, 2013). La sfida è trasformare un tipico scenario in abbandono in un nuovo contesto complesso che coniuga i caratteri della realtà urbana e di quella rurale, assecondando le tendenze in atto che si manifestano nel bisogno di campagna per migliorare la qualità della vita, e nella necessità di puntare su forme di agricoltura diversificate, sostenibili e innovative, per dare nuovo impulso al settore e creare reddito e occupazione. Uno scenario nel quale coniugare nuove esigenze con la riscoperta del modello mediterraneo di abitare il paesaggio per garantirne il presidio territoriale e quindi la sopravvivenza. In questo quadro, la Costa Viola diviene il luogo di eccellenza dove sperimentare: - nuove comunità neorurali che abitano stanzialmente i terrazzamenti (giovani, immigrati, anziani, ecc.), e ne traggono benefici dalla coltivazione diretta (hobby, autosostentamento, produzione a piccola/media scala). L’idea è di sperimentare forme di vita rurali tradizionali (riprendendo lo stile di vita dell’antico contadino che abitava in piccole abitazioni rurali e viveva dei frutti del proprio terrazzamento), secondo un organizzazione autonoma del lavoro, attraverso forme di coproduzione tra uomo e natura6; - forme alternative di turismo rurale sui terrazzamenti, che trasformino la Costa Viola in un Parco del Loisir, puntando sulla multifunzionalità7 dello spazio rurale, dove l’agricoltura diventa il pretesto per offrire beni e servizi legati ai nuovi bisogni del cittadino (attività di hobbistica, sportive, didattiche, terapeutiche, enogastronomiche, ecc.), sempre più alla ricerca di luoghi singolari, ricchi di storia e di cultura, evocatori dell’identità locale; - nuove e più avanzate forme di agricoltura ecocompatibile, che puntando sulle specificità del paesaggio agricolo terrazzato (agricoltura estensiva e di pregio condotta attraverso tecniche tradizionali, dimensione ridotta degli appezzamenti e delle aziende agricole, ecc.) possano strutturare forme economiche integrate ed innovative, orientate verso un’agricoltura di qualità, che privilegia l’impiego di cultivar autoctone mantenendo la sostenibilità ambientale delle pratiche adottate. Fondamentale è la promozione della cooperazione; - incentivare l’innovazione tecnologica, per ammodernare i sistemi di raccolta (sistemi di risalita con teleferiche, monorotaie, ecc) e lavorazione
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dei prodotti, e implementare le strategie commerciali e di marketing (ecommerce, reti alimentari alternative,ecc.); - recupero del vecchio ruolo di mercato agricolo di prossimità per il territorio circostante, per rispondere alla richiesta di prodotti di qualità, di affidabilità e di un maggiore contatto con i luoghi di provenienza e con le tradizioni. Lo scopo è riconnettere produzione e consumo, attraverso la costruzione di circuiti brevi (filiere corte, vendita diretta km0, mercati contadini, ecc). Le emergenze di carattere economico e ambientale, quali la tutela delle campagne e dell’economia rurale, insieme all’attenzione per la sicurezza alimentare, rientrano tra i temi di rilevanza globale, affrontati in ambito europeo dalla PAC e da Horizon 2020, che rappresentano un’imperdibile opportunità per lo sviluppo del territorio. Note 1. Gioffrè V., Nucera E. (2013). Il riciclo del paesaggio agrario: un parco multifunzionale lungo le terrazze della Costa Viola. PLANUM, ISSN: 1723-0993 2. L.R. 34/86 per la “Difesa paesaggistica e ambientale incentivando la coltivazione della vite lungo i comuni della Costa Viola, Scilla, Bagnara e Seminara”; PSR 2000-2006 Regione Calabria, misura F2b, “Recupero del paesaggio rurale della Costa Viola”. 3. LANDscape ARchitectures in European rural areas è un progetto di cooperazione transnazionale coordinato dal GalBatir , finanziato attraverso la misura 421 dell’Asse IV del PSR 2007-2013. Il team di esperti in Paesaggio è composto da V. Gioffrè, M. R. Russo, F. Manti, S. Mileto, A. Di Lauro, E. Nucera, E. Rositani e M. Cosenza. 4. Nucera E., Il paesaggio multifunzionale della Costa Viola, in Gioffrè V. (a cura di), Abitare il Paesaggio, Iiriti editore (in fase di pubblicazione). 5. Donadieu, in Campagne Urbane, descrive la campagna come sinonimo di aria pura, calma e bei paesaggi, affermando che la campagna è innanzitutto un paesaggio, prima di essere un luogo di produzione. 6. La coproduzione, secondo Ploeg, riguarda l’interazione continua e la trasformazione reciproca dell’uomo e della natura. Interagisce con il mercato tenendo conto della sopravvivenza e delle prospettive future . 7. "Oltre alla produzione di alimenti e fibre (sani e di qualità) l’agricoltura può modificare il paesaggio, contribuire alla gestione sostenibile delle risorse, alla preservazione della biodiversità, a mantenere la vitalità economica e sociale delle aree rurali” (OECD 1998). *. Il presente studio è parzialmente tratto dalla ricerca di dottorato “Agricoltura multifunzionale per nuovi paesaggi contemporanei” di E. Nucera, Tutor V. Gioffrè. E’ inoltre uno dei casi studio affrontati dall’U.d.R. della Università Mediterranea di Reggio Calabria nel PRIN “RE-CYCLE Italy. Nuovi cicli di vita per architetture, infrastrutture della città e del paesaggio” cofinanziato dal MIUR per gli anni 2013/2016.
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MOMENTI DI CONFRONTO 159 LABORATORIO 05_ ORDITURE DEL TERZO SPAZIO. RIUSO DELLE AREE PRODUTTIVE AGRICOLE
Finito di stampare nel mese di giugno del 2014 dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
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Il Quaderno nasce in occasione della prima tappa di incontri nazionali della ricerca PRIN Re-cycle Italy - "Viaggio in Italia_1. Riciclare i territori fragili Pescara 9-10 ottobre 2013" (Coordinatore Unità di Pescara Francesco Garofalo) e raccoglie i contributi del Laboratorio tematico "Orditure del terzo spazio. Riuso delle aree produttive agricole", a cura di Paola Misino e Michele Manigrasso.
Paola Misino è ricercatore e docente in Composizione Architettonica presso il Dipartimento di Architettura - Università G. D'Annunzio Chieti-Pescara. Ha svolto attività di ricerca in Francia sui temi inerenti le Teorie del Progetto Architettonico. Fa parte della redazione di Piano Progetto Città. Attualmente come attività didattica e di ricerca si occupa di tematiche del progetto urbano soprattutto incentrate sulla riqualificazione di aree produttive dismesse. Michele Manigrasso è Ph.D in Architettura e Urbanistica. Svolge attività di ricerca e didattica nel Dipartimento di Architettura - Università G. D'Annunzio Chieti-Pescara, prestando particolare attenzione ai temi ambientali orientati al progetto. E' nella redazione della rivista EcoWebTown e dal 2008 collabora con Legambiente Nazionale, realizzando studi riguardanti il consumo di suolo, clima ed energia. E' membro del comitato scientifico dell'Osservatorio Nazionale sui cambiamenti climatici nelle città e nei territori.
ISBN
euro 20,00
978-88-548-7256-1