12 STUDI MORFOLOGICI PER IL RICICLO DELLA CITTÀ DUE CASI-STUDIO SULLE CITTÀ DI GLASGOW E DI MIRA
STUDI MORFOLOGICI PER IL RICICLO DELLA CITTÀ DUE CASI-STUDIO SULLE CITTÀ DI GLASGOW E DI MIRA
A CURA DI ANNA FAVARETTO ROBERTO FULCINITI NICOLA RUSSOLO
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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXV ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978-88-548-8035-1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: gennaio 2015
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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%
Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino
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INDICE
INTRODUZIONE Tecniche di montaggio per la cittĂ da riciclare Renato Bocchi
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GLASGOW _ REINVENTING CLYDEFRONT Speaking in Tongues: A Radical Proposal for Glasgow's Waterfront Alan Hooper
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Reinventing Clydefront Nicola Russolo
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MIRA _ RE-CYCLING MIRA LANZA Ritessere lo spazio Alfonso Cendron
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Re-cycling Mira Lanza Anna Favaretto, Roberto Fulciniti
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Bibiliografia Essenziale
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Note Biografiche
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INTRODUZIONE
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Diagramma interpretativo della struttura dell'area centrale di Glasgow negli anni '60 del secolo XX (dis. di R.Bocchi)
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TECNICHE DI MONTAGGIO PER LA CITTÀ DA RICICLARE Renato Bocchi >IUAV
Gli studi progettuali che qui di seguito presento - provenienti da due tesi di laurea sperimentali svolte di recente sui casi di due differenti vaste aree urbane in via di avanzata dismissione nella piccola città di Mira (VE) e nella ben più ampia realtà metropolitana di Glasgow - indagano sulla possibilità di ripensare le tecniche del “progetto urbano” nei termini di una riformulazione aggiornata della manipolazione della “morfologia urbana”, a partire dal concetto di ri-ciclo che è al centro della nostra ricerca Re-cycle Italy. Essi si inquadrano in una mia personale sperimentazione, che sto conducendo attraverso esperienze didattiche di laboratorio e di tesi, con cui ho inteso ripescare miei antichi studi sui rapporti fra morfologia urbana e progetto (cfr. Morfologia e progetto della città, CittàStudi, Milano 1993), dopo un lungo lavoro svolto nell’ultimo decennio sui temi del progetto di paesaggio (urbano e non solo) e quindi sullo spazio pubblico e aperto della città letto in una dimensione non-convenzionale. E questo rifuggendo da accenti nostalgici, ma piuttosto con l’intento di trovare strade innovative o più semplicemente metodi aggiornati - per una risposta meno richiusa sul “particulare” e più capace di incidere (appunto) sulla forma urbana
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più complessiva, senza per questo dover ricadere nell’ormai improponibile riscoperta di tecniche di renewal urbano attraverso processi radicali di demolizione e ricostruzione. Tutti questi esperimenti lavorano secondo un obiettivo centrale: attribuire agli interventi architettonici – anche quelli di riciclo – un sostanziale ruolo “relazionale” ovvero di ri-attivazione del sistema di relazioni interne agli spazi e ai tessuti urbani; concepire quindi l’architettura come uno strumento dinamico di relazione, non come una costruzione “oggettuale” autoreferenziale, slegata dal contesto. “Invece di edifici-oggetto a finalità iconica – ha scritto Steven Holl (Urbanisms. Lavorare con il dubbio, Libria, Melfi, 2009) - occorre dare forma a nuovi tipi di spazio pubblico. Ridefinire la forma dei grandi insediamenti edilizi privati per conseguire una geometria urbana capace di offrire una nuova ‘esperienza’ degli spazi urbani metropolitani. La fusione fra paesaggio, urbanistica e architettura è divenuto il nuovo terreno d’indagine”. Concordo con tale approccio e per questo ritengo importante cercare di aggiornare i nostri strumenti di indagine e di progetto anche nel desueto campo della morfologia urbana. La capacità di leggere e utilizzare i valori relazionali e di “impianto urbano” dei modelli elaborati dalla cultura architettonico-urbana e a volte sperimentati nella costruzione concreta della città mi pare in tal senso di grande momento, anche se ritengo non ci si possa più accontentare di recuperare i valori di conformazione urbana della città “consolidata” per sanare le falle aperte dall’urbanistica del Moderno, come per alcuni decenni molta parte della cultura architettonica “postmoderna” ha provato a fare con risultati discutibili. Le tecniche di montaggio utilizzate negli esperimenti che seguono non vogliono perciò essere strumenti per ricercare improbabili continuità attraverso modelli urbanistici già sperimentati o peggio nostalgici, bensì strumenti utili per leggere sinteticamente, attraverso un iniziale processo di astrazione, la forma potenziale dei luoghi e per misurare in vitro risposte “reattive” efficaci da parte di quegli stessi luoghi. E ciò senza pretendere di realizzare improbabili omogeneità e continuità morfologiche, ma piuttosto cercando di “montare” diversità e frammenti (quindi anche attraverso riciclaggi di cose trovate) entro sistemi relazionali dotati di senso. “La città del XXI secolo – sono ancora parole di Steven Holl – non dovrebbe aspirare ad essere definita da un master plan, piuttosto dovrebbe essere un
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sistema connesso di frammenti tenuti assieme tra loro da un’aspirazione comune”. Si tratta ovviamente soltanto di esperimenti di urban design in vitro, che necessariamente non possono tener conto di fattori più concreti di valutazione e fattibilità economico-gestionale, ma che intendono impostare un processo progettuale consapevole dei suoi valori formali e relazionali e capace di considerare anche le potenzialità compositive del riciclo di materiali “trovati”.
Delle città di Glasgow e di Mira e della residua importanza della morfologia urbana nel progetto di riciclo delle città contemporanee 1. Glasgow Il corpo della città di Glasgow è la testimonianza concreta dello stratificarsi di una vicenda secolare di successi e di fallimenti delle idee e dei modelli di costruzione e ri-costruzione urbana. Nata come un piccolo borgo mercantile medievale sulla croce di strade di High Cross, nei pressi del fiume Clyde, sovrastata sul colle a nord dalla imponente cattedrale gotica di St. Mungo, la città ebbe un grande fulgore con l’esplosione mercantile e portuale propiziata dai commerci con l’America fra Sette e Ottocento e con l’espansione a griglia di età georgiana sui suoli ondulati della cosiddetta Merchant City attorno a George Square. L’espansione urbana continuò, durante l’età vittoriana, caratterizzata dal rafforzamento portuale e dai successi della prima rivoluzione industriale, radicalizzando dapprima il modello della griglia a scacchiera di terrace e di tenement sovrimposta alle ripide colline di Blythswood Hill ed oltre, poi sviluppando un sistema di estate di sapore pittoresco nel West End, con dovizia di crescent e di circus e con il contributo di grandi parchi altrettanto pittoreschi, come il Kelvingrove Park. La crescita tumultuosa dell’industria comportò però anche una espansione demografica e urbana assai ingente, cui si rispose con l’alta densità dei tenement soprattutto nell’East End e nei quartieri a sud del fiume e con una radicale opera di clearance (demolizione e ricostruzione) degli slum creatisi nell’antico nucleo medievale di High Street: Glasgow era divenuta a quel tempo la Second City, ovvero la seconda città per dimensione del Regno Unito, seconda soltanto
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a Londra, e di fatto la capitale morale della Scozia, ben più grande e vitale della vicina e nobile vera capitale, Edimburgo. Il collasso dell’industria pesante e il successivo declino anche delle sorti portuali, nel corso del Novecento e soprattutto nel dopoguerra, portò Glasgow a una decadenza economica e sociale di vaste proporzioni, cui i governi scozzesi di matrice laburista reagirono con importanti investimenti nell’edilizia pubblica, adottando a piene mani il modello modernista del comprehensive development, vale a dire la demolizione radicale di intere vaste aree interne della città esistente con la ricostruzione secondo il modello dell’high rise building, e dall’altra parte deportando quasi di forza secondo le politiche di overspill vasti strati di popolazione nelle new town pianificate e realizzate nell’area metropolitana, di cui Cumbernauld resta l’esempio più famoso. Attorno agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso Glasgow era una città in ginocchio economicamente socialmente e fisicamente: spopolata, invecchiata, fatta a pezzi dai rapidi processi di ricostruzione interna, con fenomeni di povertà e di conflitto sociale pesantissimi (raccontati al meglio nei suoi film da Ken Loach). La politica di rilancio avviata alla fine degli anni ’70 si fondò su una vera e propria campagna di autostima e di marketing intitolata Glasgow’s miles better, accompagnata da una vasta opera di ripulitura, restauro e riscoperta della sua negletta eredità culturale e architettonica, il che rovesciò completamente le attitudini precedenti, fino a far diventare Glasgow una città della cultura e dell’innovazione (qualcosa di simile a quello che accadde poco più tardi in un’altra città industriale decaduta europea, Bilbao). Una politica che in anni più recenti si è estesa alla revisione di buona parte dell’area dei docks portuali lungo il fiume Clyde con la creazione di nuovi poli culturali e museali ad alta intensità “iconica”, peraltro di incerto successo. Dopo la mia lontana velleitaria, ma in fondo visionaria, tesi di laurea su Glasgow del 1973 (Un progetto per l’area centrale di Glasgow, Iuav, Venezia 1975) e la successiva rivisitazione della vicenda di quella città operata con il contributo di illustri studiosi scozzesi (Glasgow: forma e progetto della città, Cluva, Venezia 1990) ho riaffrontato in questi ultimi mesi il tema della re-invenzione di questa città come relatore della tesi di laurea di Nicola Russolo, che a Glasgow ha svolto un anno di esperienza Erasmus alla University of Strathclyde e successivamente ha sviluppato un interessante esperimento sotto la mia guida sul riverfront del Clyde. La tesi di Russolo (con me discussa e condivisa) è che quella particolare
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periferia interna rappresentata a Glasgow dall’antica area dei docks portuali lungo il fiume Clyde possa essere ri-ciclata e ri-generata soltanto se sarà in grado di ritrovare un chiaro principio fondativo e quindi di ripensare la sua morfologia in funzione di un sistema di relazioni ricche e complesse di accessibilità e di collaborazione fra gli oggetti architettonici e d’uso (a volte di grandi firme come Norman Foster, David Chipperfield o Zaha Hadid) che gradualmente vi si sono insediati in modo purtroppo disordinato e isolato. Per rintracciare i possibili principi ri-fondativi o di re-invenzione di questa importante area urbana, desolatamente slegata dalla sua città, la tesi ha messo in moto un processo metodologico che ha comportato l’applicazione sperimentale di una serie di pattern o “modelli insediativi” desunti dalla complicata, stratificata e paradigmatica storia di trasformazione della città stessa, sottoponendo l’area a una serie di test di “reazione” all’applicazione di tali pattern più o meno astratti, più o meno concreti. I vari “modelli” variano da un limite minimo di occupazione dei suoli che prevede la restituzione dell’area alle acque del fiume e delle sue antiche darsene portuali o l’invasione dell’area da parte del vicino parco pittoresco di Kelvingrove ad un limite massimo di occupazione dei suoli che prevede la costruzione di una griglia edificata simile a quella georgiano-vittoriana o il punteggiamento con alte torri alla maniera dell’urbanistica high rise del dopoguerra. Ogni test è valutato secondo i vantaggi e svantaggi in termini di ri-fondazione e re-invenzione dell’area, acquisibili con l’applicazione del singolo pattern, pur conservando integralmente tutti gli oggetti architettonici presenti nell’area stessa. E’ evidente che i singoli “modelli” sperimentati si fondano non soltanto sulla possibile coerenza con i modi storici di costituirsi della morfologia urbana di Glasgow, ma anche sulla verifica delle risposte contenute nell’impostazione “ideologica” di ciascuna di queste proposte, ascrivibili ai mutamenti del pensiero e degli scenari architettonico-urbani fra Settecento e Novecento, e fino all’oggi. La tradizione di forme della città di Glasgow e delle “ideologie architettonico-urbane” che l’hanno via via plasmata e trasformata è assunta quindi come materiale di indagine per un progetto contemporaneo della sua area potenzialmente più innovativa e rappresentativa. L’intento programmatico di utilizzo del bagaglio storico come materiale di un progetto trasformativo si può forse correlare a quell’atteggiamento che Manfredo Tafuri
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leggeva nel dibattito e nelle utopie delle “Venezie possibili” a commento della mostra omonima nel 1985: “Tradizione significa a Venezia continuità del ‘tradimento’: esattamente il contrario di ogni vischiosità conservatrice. Ciò che nel perenne ritrovarsi, nella perenne rifondazione, è chiamato a resistere, non è una forma, bensì un modo di essere in relazione” (M.Tafuri, “Tempo veneziano e tempo del progetto: continuità e crisi nella Venezia del 500”, in AA.VV. Le Venezie possibili. Da Palladio a Le Corbusier, Milano, Electa 1985). Il nuovo master plan di re-invenzione dell’area dei docks di Glasgow è alla fine proposto da Nicola Russolo come un montaggio ponderato e ibridato di differenti possibili opzioni morfologiche, un sistema relazionale, appunto, offerto come capace di riannodare l’area alla città e al suo fiume e di ritesserne le relazioni interne, in funzione del suo ruolo centrale nelle attività culturali e commerciali della nuova città del XXI secolo. Forse in tal senso la morfologia urbana – quale strumento non solo di conoscenza ma anche di progetto – può ancora contribuire a ripensare radicalmente il futuro di una città. 2. Mira Con un metodo analogo si era già operato in una precedente tesi di laurea (di Anna Favaretto e Roberto Fulciniti) avente come oggetto il riciclo di una vasta area industriale, parzialmente oggi dismessa, nella piccola città di Mira, sulla Riviera del Brenta: l’area dei famosi stabilimenti Mira Lanza, nel pieno centro della città e in diretta relazione con il fiume Brenta. Qui non si voleva limitare la portata della possibile trasformazione alla riconversione dell’area, ma piuttosto sfruttarne il potenziale di ri-fondazione urbana, riconsiderandone le possibili caratteristiche di strutturazione morfologico-urbana in connessione con tutta la città di Mira e con la bellissima riviera fluviale, tuttora costellata di grandi ville con giardino. Si sono quindi esplorati una serie di modelli o pattern derivati in tal caso da alcune delle esperienze più paradigmatiche della produzione architettonica contemporanea sul progetto urbano (da Koolhaas a Tschumi, da Mateus a Sejima e altri), testandone i possibili contributi strutturanti nei confronti dell’area ed esplorando tutta la gamma di trasformazioni possibili: dal grado zero della rinaturalizzazione con la formazione di un parco urbano fino al grado massimo della densificazione attraverso tessuti edilizi di assoluta compattezza, per giungere poi di nuovo ad un master plan
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che sapesse re-inglobare i reperti industriali recuperati in una struttura d’impianto urbano completamente ripensata. Il tema del riciclo di materiali trovati, salvati dall’abbandono e reinterpretati in un nuovo montaggio o merz-bau con una totale ri-semantizzazione, emerge quindi con assoluta evidenza a collaborare con un’opera di ritrovamento di alcune linee-forza morfologico-urbane perdute o obliterate nel corso delle trasformazioni di circa un secolo: la ricostituzione del fronte fluviale, la riscoperta del parallelo segno della roggia Seriola, la nuova permeabilità dell’area un tempo recintata ed esclusa dai flussi urbani, la re-immissione di un tessuto di spazi urbani e vegetali memore dell’eredità dei giardini della Riviera, il dialogo con i preesistenti capisaldi oltre il fiume e con gli spazi del welfare urbano del centro-città, perfino il ripristino di rapporti geometrici di fondazione con la trama regolare dei campi agricoli e con le tracce della centuriazione romana.
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MONTAGE TECHNIQUES FOR RE-CYCLING THE CITY
and diversities (also through a recycling concept on found objects) within significant relational systems. "The city of the 21st century - Steven Holl has written and we agree with his assumption - should not aspire to be defined by a master plan, rather it should be a connected system of fragments held together by a common aspiration".
Renato Bocchi
The case-studies presented below - regarding two different large urban areas to be recycled in the small town of Mira (Venice) and in the metropolitan area of Glasgow (UK) investigate the possibility of rethinking the urban design techniques in terms of an updated reformulation of "urban morphology" tools. Our attempt is to find innovative ways - or simply updated methods – to respond to the need of recycling the city form avoiding either improbable radical processes of renewal or simple weak mending processes of repair, but implementing real new lifecycles in the urban fabric. These experiments are working according to a main goal: to attribute to the architectural interventions - even those of recycling nature - a substantial "relational" role with the aim to re-activate the system of internal relations into the urban space and fabric. Our aim is therefore to conceive architecture as a dynamic tool of relationship, instead of a mere building "object", detached from the context. For this reason we explored the capability to read and use the relational values and the "urban layout" intrinsic to different patterns developed by the modern and contemporary architectural and urban culture and sometimes experienced in the concrete construction of the city. The montage and collage techniques used in these experiments do not want to search for an improbable continuity with urban patterns already tested and often failed in past, but they try to interpreter briefly - through an initial process of abstraction - the potential form of the places and to measure in vitro effective “reactions” from the same places in consequence of the tested montage. Of course we don’t aim to achieve morphological homogeneity and continuity, but rather we try to "assemble" fragments
1. Glasgow The body of the city of Glasgow is the concrete evidence of a secular stratification of successes and failures deriving from different ideas and patterns of city-fabrication. After my odd visionary design experience on Central Glasgow in 1973 which was my own graduation thesis (Un progetto per l’area centrale di Glasgow, IUAV, Venice, 1975) and the subsequent comprehensive study about the city making I edited with the contribution of distinguished Scottish scholars in 1990 (Glasgow: forma e progetto della città, Cluva, Venice 1990), Nicola Russolo’s study offered to me the occasion to discuss again and explore the possible ideas for re-inventing the Clyde city. Russolo’s thesis tries to demonstrate that the particular internal periphery constituted by the old harbour and docks area along the Clyde River can be re-cycled and re-invented only if we are able to establish a clear principle of foundation and then reshape its morphology in function of a rich and complex system of relationships of accessibility and linkage among the detached architectural iconic objects (often designed by eminent architects such as Norman Foster, David Chipperfield and Zaha Hadid) that gradually have settled, according to a random process, into this strategic area of the city of Glasgow. To track down the possible re-foundation principles of this important urban area, desolately disconnected from its city, this study experimented a methodological process which involved the experimental application of a series of "settlement patterns" derived from the complicated, layered and paradigmatic history of the city of Glasgow itself. The different "patterns" vary from a mini-
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mum occupancy of the soil provided by a possible return of the waters of the old port docks, or the invasion of the area by the picturesque 19th century Kelvingrove Park, to a maximum occupancy of the soil provided by a possible redevelopment based on a grid similar to the Georgian-Victorian one or by a possible high rise development with high towers in the style of the 20th century comprehensive redevelopment areas. Each test is evaluated according to the advantages and disadvantages in terms of re-establishing and re-inventing the urban layout, acquired by the application of each single pattern, while fully preserving all the architectural objects in the area itself. The tradition of city forms and "architectural-urban ideologies" that have gradually shaped and transformed the city of Glasgow is then taken as investigation material for a contemporary project of its potentially most innovative and representative area. The intent of a programmatic use of the historical baggage as a material for a transformation project can perhaps relate in some way to the attitude that Manfredo Tafuri was reading in the debate on the utopias of "Possible Venices" in a famous exhibition in 1985: "Tradition means in Venice a continuity of ‘betrayal': exactly the opposite of any stickiness conservative view. What it is called to resist in its perpetual re-foundation is not a form, but a way of being in relationship" (M.Tafuri, “Tempo veneziano e tempo del progetto: continuità e crisi nella Venezia del 500”, in: AA.VV. Le Venezie possibili. Da Palladio a Le Corbusier, Milan, Electa 1985). Finally the new master plan for the reinvention of the Glasgow dockland area is proposed by Nicola Russolo as a weighted and hybridized montage of different possible morphological options, a relational system offered as able to reconnect the area to the city and its river and to re-link the internal relations, according to its central role in the cultural and commercial activities of the 21st century city. Maybe in this sense the urban morphology - as a mean not only of knowledge but also of design - can still contribute to radically
rethink the future of a city. 2. Mira With a similar method we had already worked in another graduation thesis (by Anna Favaretto and Roberto Fulciniti) having as object the recycling of a large industrial area, partially abandoned, in the small town of Mira, along the Brenta river. Here we do not want to limit the scope of possible transformation to the conversion of the area, but rather exploit the potential of a wider urban re-founding process, exploring possible morphological characteristics in connection with the whole city of Mira and the beautiful river coast, still dotted with large villas and gardens. They then explored a number of patterns derived, in this case, from some of the most paradigmatic experiences of contemporary architectural and urban design (from Koolhaas to Tschumi, from Mateus to Sejima and others). Thus the full range of possible transformations was explored: from the zero degree of naturalization, with the making of an urban park, to the maximum degree of densification through high density development, concluding again with a master plan that re-incorporate the industrial remains in a completely redrawn layout. The idea of recycling materials as found, rescued from abandonment and reinterpreted in a new merz-bau, totally re-semantized, then emerged with absolute evidence. The design scheme tries to discover some morphological lines of force, lost or obliterated in the course of a century transformation process: the recovery of the river front, the rediscovery of the parallel sign of the Seriola canal, the new permeability of the area once fenced and excluded from urban streams, the infiltration of the urban fabric with green spaces and gardens reminiscent of the inheritance of the Riviera, the dialogue with the existing landmark buildings across the river and with spaces of urban welfare in the city center, even the restoration of geometric relationships of foundation with the regular pattern of agricultural fields and with traces of Roman land.
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GLASGOW REINVENTING CLYDEFRONT
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SPEAKING IN TONGUES: A RADICAL PROPOSAL FOR GLASGOW'S WATERFRONT Alan Hooper >GSA
Glasgow made the Clyde and the Clyde made Glasgow, the saying goes. The fortunes of Glasgow and its illustrious waterway have been inextricably linked over centuries. When the Clyde prospered in the eighteenth and nineteenth centuries, firstly through trade in cotton and tobacco, followed by shipbuilding, the generated wealth built Glasgow's Victorian city of stone. Equally the decline of shipbuilding in the early years of the twentieth century was registered in the subsequent decline and depopulation of the city core in the latter half of the century. Once the city's industrial artery, the Clyde is reimagined as a component in Glasgow's post-industrial renaissance as a city of culture. In terms of Glasgow's urban fabric the question remains, how does Glasgow repair the riverside territories vacated by heavy engineering infrastructure? The key issue is scale, for the post-industrial sites along the river are of such a magnitude and multitude that urban infill is not a viable strategy and urban reconstruction is required. This is the context to which the following research is addressed. In attempting to answer the aforementioned question our author, the Venetian 'outsider' seeks to speak with a Glasgow tongue, through the unpacking of Glasgow's 'historical baggage'. The result is neither pastiche
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nor architectural ventriloquism, rather a radical conservatism in search of an authentic urban response, eliciting a lineage back to the urban concerns of his teacher's teacher Manfredo Tafuri. As a native of Glasgow I welcome the care, concern and detailed attention given to the 'place' I call home and for the sincerity with which the work was conducted.
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Parlando in lingua: Una proposta radicale per il waterfront di Glasgow Il Clyde fece Glasgow e Glasgow fece il Clyde, dice il proverbio. Le sorti di Glasgow e del suo fiume sono state indissolubilmente legate nel corso dei secoli. Quando il Clyde prosperò nei secoli XVIII e XIX, in primo luogo attraverso il commercio di cotone e tabacco,in seguito attraverso i cantieri navali, la ricchezza generata da questo sviluppo industriale e commerciale creò la città vittoriana, costruita in solida pietra. Parimenti il declino della cantieristica nei primi anni del XX secolo, determinò il successivo declino e lo spopolamento del centro città nella seconda metà del secolo. Un tempo arteria industriale della città, il fiume Clyde si è reinventato quale componente-chiave della rinascita post-industriale di Glasgow come città di cultura. In termini di costruzione della città, ci si chiede come Glasgow possa riformulare oggi i territori lungo il fiume lasciati liberi dalle ingegneristiche infrastrutture portuali. La questione chiave è la scala degli interventi, dal momento che i siti post-industriali lungo il fiume sono tanti e di tale portata che un'operazione di infill urbano non è una strategia praticabile ed è necessaria una vera e propria opera di ristrutturazione urbana. Questo è il contesto entro cui lavora la ricerca qui presentata. Nel tentativo di rispondere alla domanda sopra menzionata, il nostro autore, un outsider veneziano, cerca di parlare con una lingua Glaswegian, mediante una interpretazione scompositiva del 'bagaglio storico' di Glasgow. Il risultato non è né un pastiche né un ventriloquismo architettonico, piuttosto un'opera di "conservazione radical" in cerca di un'autentica risposta di caratura urbana, in continuità con una linea di pensiero sul progetto urbano che rimonta alla lezione di un maestro del suo stesso insegnante, cioè Manfredo Tafuri. Come nativo di Glasgow, accolgo con favore la cura attenta e documentata con cui si è letto il 'luogo', che io chiamo 'home', e per la 'sincerità' con la quale è stato condotto il lavoro.
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Area metropolitana di Glasgow Clyde Valley, West Lowlands scozzesi
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REINVENTING CLYDEFRONT Nicola Russolo
Glasgow è una realtà urbana complessa e dà l’impressione di essere composta da diverse città, a volte diametralmente opposte per caratteristiche, e spesso sconnesse tra loro. La quantità di paesaggi e di atmosfere di cui si può fare esperienza la rendono interessante ed enigmatica, dando luogo ad un’immagine composita e paratattica che difficilmente fa pensare ad uno sviluppo coerente o quantomeno stratificato. Questa situazione è specchio di quell’unica caratteristica di continuità che si legge nella città fisica e nella sua storia, cioè la propensione al cambiamento radicale. Si può dire che nel tempo Glasgow sia stata rivoluzionata in tutte le sue componenti: infrastrutture, tessuti urbani, paesaggi, tipologie di trasporto, utopie urbanistiche ed ideologie architettoniche. A volte queste trasformazioni sono state violente, causando pesanti mutilazioni del tessuto urbano, in quanto condotte con un pragmatismo impareggiabile. La città che vediamo oggi iniziò a prendere forma nel XIX secolo, dopo che i commerci e le industrie ne erano diventate il motore e perfino la ragione di esistere. La struttura raggiunta all’inizio del secolo scorso venne però spezzata dagli interventi del secondo dopoguerra, portati a termine all’interno di una fase di declino economico e sociale che essi contribuirono ad
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Alexander Thomson, Caledonia Road Church, 1856-1857 Zaha Hadid Architects, Riverside Museum, 2004-2011
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acuire e perpetuare. Negli anni ‘80 l’ex porto industriale è stato completamente obliterato, senza che ci fosse un piano strategico per quest’area di importanza cruciale, e così il Clydefront (termine Glaswegian che definisce il lungofiume del Clyde) si trova ora ad essere una distesa di macerie e parcheggi asfaltati. Negli ultimi due decenni vi si sono insediate alcune importanti istituzioni culturali, nelle forme di edifici iconici dall’apparenza di sculture ciclopiche senza basamento né relazioni contestuali; questo tipo di architettura è l’ultima forma cui la città si è dedicata, con lo stesso radicale pragmatismo di sempre. Questi manufatti non danno alcun contributo allo spazio della città, se non con la loro valenza di landmark a scala paesaggistica; in questo essi hanno un parallelo con i risultati delle demolizioni effettuate negli anni ‘60 per fare spazio alla nuova rete autostradale ed ai quartieri di torri residenziali. Nella pagina a fronte sono messe a confronto la Caledonia Road Church di Alexander “Greek” Thomson, influente e noto architetto Glaswegian del XIX secolo, ed il recente Riverside Museum, il museo dei trasporti costruito sul Clydefront, alla confluenza con il fiume Kelvin. Il primo edificio ha ora l’apparenza di una cattedrale nel deserto, dopo le demolizioni del tessuto urbano ad esso contiguo che ne sosteneva una monumentalità fatta di relazioni, e che ha ora lasciato posto alla Expressway di Gorbals. Nel secondo edificio si legge un’affinità sostanziale, quale landmark decontestualizzato - con la differenza che la sua condizione rispecchia la volontà progettuale. Il Riverside Museum e gli altri edifici-icona del Clydefront condividono questa condizione di cattedrali nel deserto progettate, che servono unicamente da immagine, oggetti che non sottendono alcun ragionamento urbano, né organizzano lo spazio loro circostante. L’area dell’ex porto fluviale sul Clyde si prospetta come un’occasione irripetibile per riconnettere la città nel suo complesso e dotarla di uno spazio collettivo che sia simbolo della rinascita di Glasgow e della sua nuova identità. Un progetto di masterplan deve indagare le possibilità per la rifondazione di questo luogo, per la sua re-invenzione in termini di paesaggio, accessibilità, relazioni urbane, percorribilità e fruizione. Il tema è calato su di un sito di proporzioni quasi territoriali, che ospita manufatti aventi la scala di interi isolati urbani: per questo il ragionamento progettuale avviene a scala urbanistica. Il progetto si muove a partire da considerazioni sulla morfologia della città, dei suoi spazi, dei suoi tessuti e dei suoi sistemi, per costruire un principio di reinvenzione dell’area.
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mappa del costruito
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Considerazioni sulla forma urbana di Glasgow Delineare l'immagine e tentare di definire la struttura della città sono state operazioni imprescindibili tanto per comprenderne il funzionamento e le disfunzioni - quanto per sottolineare le opportunità di rinnovamento complessivo offerte dal sito del Clydefront. La città di Glasgow è cresciuta e si è sviluppata grazie al suo fiume, soprattutto con i commerci transoceanici dal XVIII secolo e l'industria cantieristica tra il XIX ed il XX secolo. Il Clyde è stato una delle maggiori vie di comunicazione tra il Regno Unito e le Americhe, e Glasgow è stata in epoca vittoriana la seconda città dell'Impero grazie alle attività del suo porto fluviale - suo vero cuore pulsante - ed alla sua posizione protetta all'inizio del lungo ed ampio estuario. L'area metropolitana di Glasgow è oggi la terza in Gran Bretagna per popolazione, e di gran lunga la prima in Scozia, oltre che suo maggiore centro economico. La città, polo di riferimento per i 2 milioni di scozzesi che abitano la conurbazione della Clyde Valley, sta uscendo dalla pesante fase di declino postindustriale iniziata a metà del secolo scorso; durante questa lunga crisi passò dai 1'130'000 abitanti del 1939 ai circa 600'000 odierni, ed una timida crescita demografica è avvenuta solo durante l'ultimo decennio. La città visse periodi di espansione continua - ma non lineari né omogenei - fino alla vigilia della Grande Guerra, seguiti dalle vicende di un mezzo secolo travagliato. Alla vista di una mappa del costruito di Glasgow, si possono facilmente riconoscere un certo numero di tessuti urbani, definiti e chiaramente eterogenei per caratteri formali e configurazione. In taluni casi dei “vuoti” consistenti si interpongono tra brani di città con caratteri morfologici differenti. Questa peculiarità sembra delineare porzioni urbane caratterizzate da insediamenti di tipo diverso, come se Glasgow fosse stata costruita attraverso chiare e distinte addizioni paratattiche. Questa dinamica si è verificata però solo in pochi momenti storici, come durante gli anni Venti e Trenta, con gli estesi sobborghi a cottages edificati secondo modalità insediative diametralmente opposte a quelle della città compatta. Ciò non spiega però le falle che si leggono all'interno del tessuto edificato: per esempio la continuità che esisteva tra l’attuale centro direzionale ed il West End è stata eliminata dall’inserimento delle infrastrutture autostradali. In particolare le estese operazioni di demolizione e ricostruzione degli anni ‘60 e ‘70 hanno distrutto interi quartieri storici, lasciando aree sconnesse o tessuti urbani lacerati, con spazi di risulta che necessitano
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parchi pubblici
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innegabilmente interventi di trasformazione e di riconnessione. Il Central business district (CBD) ed i quartieri del West End, divisi ora dalla M8 Motorway, erano riconoscibili (l’uno per la regolarità della maglia stradale e l’altro per la varietas del tessuto urbano), ma in perfetta continuità tra di loro: ciò si legge nelle mappe redatte prima degli anni Sessanta. Insieme ad alcuni quartieri di ville signorili, questi due tessuti urbani formavano la totalità della città compatta, attraverso la cellula-base degli isolati di tenement e terrace - rispettivamente edifici di appartamenti a quattro piani e case a schiera a due o tre piani. Questo tessuto urbano ha generato una struttura dalla morfologia solida quanto multiforme. Successivamente all'edificazione del centro urbano appena descritto e dei quartieridormitorio suburbani costruiti tra le due guerre, le trasformazioni della città sono passate attraverso i piani utopici degli anni '50. Nel 1957 venne approvato un piano organizzato attraverso 29 Comprehensive Development Areas (CDA), che prevedeva la demolizione di una parte consistente della città (circa il 30% delle abitazioni), e la costruzione di torri residenziali funzionaliste in luogo dei quartieri di tenement. Molto spesso questa nuova tipologia abitativa (high rise estates) ha dato luogo ad appartamenti di pessima qualità, posti all'interno delle grandi aree destrutturate risultate dalle CDA, prive di servizi e scollegate dai quartieri vicini; molti di questi gruppi di grattacieli sono ora in corso di demolizione. Alcuni dei vuoti nella mappa del costruito corrispondono ai grandi parchi che costituiscono gli spazi pubblici fondamentali di Glasgow; oltre a questi, infatti, gli spazi della collettività si riducono ad alcune strade commerciali chiuse al traffico del centro direzionale ed alla piazza principale, George Square. La maggior parte degli spazi verdi pubblici, i più recenti, circondano la città compatta, la quale contiene solamente i due parchi principali. Questi ultimi, i più frequentati della città, hanno la caratteristica comune - ed estranea a tutti gli altri - di essere in stretto rapporto con l'idrografia principale. Glasgow Green, il parco più antico, si adagia sulla riva settentrionale del Clyde, al margine sud-orientale del CBD. Kelvingrove Park, cuore del West End vittoriano, è situato nella valle del fiume Kelvin, il secondo fiume della città; questo parco, nato a metà del XIX secolo e presto investito del ruolo di centro culturale primario, è collegato al sistema di verde lineare della Kelvin Walkway, percorso ciclabile e pedonale a scala territoriale che segue tutto il corso del fiume. Un'eccezione tra i parchi presenti all'interno della città compatta è Festival Park, piccolo
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trasporti urbani
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spazio verde situato vicino ai docks a sud del Clyde: questo è un relitto del Glasgow Garden Festival del 1988, evento in vista del quale venne interrato il Prince's Dock. Per chiudere questa indagine sommaria dell'imago urbis è necessario un accenno a proposito del sistema di trasporti; questi, rappresentati nella mappa della pagina a fronte, chiudono il quadro della morfologia urbana della città. Molti dei grandi vuoti della mappa del costruito corrispondono infatti a grandi nodi infrastrutturali o alla sede dei nastri autostradali e ferroviari presenti all'interno della città compatta o ai suoi margini. Il sistema ferroviario dell'area metropolitana ha un aspetto caotico, tanto che in città due stazioni di testa indipendenti tra loro vi fanno capo, la Central Station e la Queen Street Station. Questa configurazione deriva da un passato ben più articolato, dovuto alla costruzione da parte di società private in competizione tra loro di numerose strade ferrate indipendenti. Le molte linee ferroviarie servivano soprattutto le aree industriali poste lungo il fiume ed intorno ai quartieri centrali di Glasgow, e dopo un declino dovuto alla crisi di manifatture e cantieri molte di esse vennero smantellate. Alla costruzione delle ferrovie a partire dalla metà del XIX secolo si devono i primi sventramenti avvenuti in città, che hanno influenzato sostanzialmente il destino di degrado di alcune aree, come la zona a sud del Clyde all'altezza del CBD. Un dispositivo di mobilità di grande importanza - e dall'impatto totalmente diverso - è la Subway, costruita a fine XIX secolo, la quale ha una sola linea dal tracciato chiuso che circonda come invisibili mura cittadine tutto il centro urbano. Un ruolo assai significativo all'interno del paesaggio urbano di Glasgow è giocato dal sistema autostradale: concepito unitamente alle CDA nel piano strategico complessivo del 1957, questo prevedeva un Ring interno a circondare il centro direzionale ed uno esterno posto ai limiti dell'area metropolitana. Le estese demolizioni che hanno preceduto la costruzione dei tratti Ovest e Nord dell'Inner Ring hanno spezzato la continuità interna della città compatta. L'anello non è mai stato completato, ma la parte realizzata e le Expressways che da esso dipartono rappresentano oggi dei veri ostacoli all'accessibilità interna alla città, soprattutto per la viabilità ciclo-pedonale. Il vecchio porto fluviale, un tempo cuore pulsante della metropoli industriale, occupa una posizione privilegiata all'interno del centro urbano, non lontano dai pittoreschi quartieri vittoriani del West End.
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centro urbano di Glasgow, elementi
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Kelvin Walkway Botanic Gardens Byres Road Glasgow University Kelvingrove Park M8 Motorway Clydeside Expressway Kelvinhall Kelvingrove Museum Kelvin Yorkhill Hospital Glasgow School of Art
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Buchanan Bus Station Mitchell Library Sauchiehall St, Buchanan St Govan Church Queen Street Station Necropolis George Square Central Station St Enoch Square Clyde Ibrox Stadium Glasgow Green
Riverside Museum
centro esposizioni SECC
North Pumphouse
Hydro Arena
Crowne Plaza hotel
Govan Town Hall Govan Graving Docks
Festival Park Glasgow Tower / Science Centre / IMAX Cinema
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BBC Scotland
South Pumphouse
Clyde Auditorium
Stobcross Crane
1773 - 1801 Limo tra i moli, prime opere di ridefinizione delle rive
1801-1840 Dragaggio e bonifica, principali interventi volti alla navigabilitĂ
1840-1891 Allargamento e costruzione delle darsene (Queen’s Dock 1887-1890)
1892-1960 Massima articolazione dei bacini (Prince’s Dock 1892-1897)
1960-1985 Chiusura di bacini e cantieri navali
1985-2014 Nuovo polo culturale e terziario
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La città ed il suo fiume Le modifiche al paesaggio fluviale del Clyde sono state radicali al punto che è difficile immaginare come questo potesse essere 300 anni fa. Da un fiume poco profondo e saturo di detriti, dalle rive incerte e soggette ad inondazioni, in meno di un secolo si passò alla potente infrastruttura di uno dei più duri paesaggi industriali delle città moderne. Soprattutto attraverso il Clydefront si passa infatti dal “luogo amato e verdeggiante” - antico nome di Glasgow - alla metropoli del Glasgow Effect. Un detto popolare sentenzia che “Glasgow made the Clyde” più di quanto “The Clyde made Glasgow”: un’affermazione che ha molti significati, soprattutto ora che nuovamente la città si trova a reinventare il paesaggio fluviale ed a investire sulle sue possibilità. Il vecchio porto è stato dismesso a partire dalla fine degli anni Sessanta quando Queen's Dock e Prince's Dock, i due grandi sistemi di darsene del porto costruiti alla fine del XIX secolo, sono stati chiusi alla navigazione. Il sito del Queen's Dock, completamente reinterrato nel 1982, ospita dal 1985 il primo edificio del SECC (Scottish Exhibition and Conference Centre), chiamato inizialmente "il capannone rosso", nei pressi del quale si è aggiunto quattro anni dopo il Crowne Plaza Hotel, e nel 1997 il Clyde Auditorium. Quest'ultimo fu il primo della serie di edifici-scultura ad essere costruito sul Clydefront, un'enorme struttura rivestita in metallo disegnata da Foster & Partners che ricorda una delle vele della più nota Sydney Opera House. Il Prince’s Dock venne interrato durante gli anni Ottanta in vista del Glasgow Garden Festival del 1988, ma solo parzialmente - sono ancora presenti i Govan Graving Docks e la parte occidentale del bacino dal quale si accedeva agli stessi. Il sito accoglie dal 2001 gli edifici del Science Centre, compredente l'IMAX Cinema, la Glasgow Tower (l'edificio più alto della Scozia) ed il Science Mall, lungo ed affilato museo progettato dalla Building Design Partnership che fa da contrappunto al Clyde Auditorium. A lato del museo si trovano gli uffici della BBC Scotland progettati nel 2007 da David Chipperfield, seguiti lungo la riva meridionale del Clyde da alcuni altri edifici direzionali e commerciali. L'ultimo dei bacini ad essere interrato fu lo Yorkhill Dock, nel 2007, per la costruzione del Riverside Museum, posto sulla riva settentrionale alla foce del Kelvin. La Hydro Arena, ultimo dei manufatti aggiuntosi nell'area, è stata ultimata nel 2013 come parte del SECC e progettata dalla stessa agenzia del vicino Auditorium. [Gli schemi a fronte sono ispirati alla tavola presente in Gibb, Glasgow, 1983]
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stato attuale dell'ex porto fluviale di Glasgow, foto satellitari a 45° da maps.google.com
posizione del sito nella cittĂ
tabula rasa di partenza
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Reinventare una parte di città Il Clydefront, nella zona dell'ex porto, presenta alcune caratteristiche uniche - sebbene la sua condizione di incompletezza e destrutturazione sia comune a molte altre aree di Glasgow. La mancanza di un progetto unitario e l’evidente necessità di trasformazioni a scala urbana (il sito si estende per più di 2km lungo il fiume) si accompagnano infatti ad uno sviluppo notevole in tempi recenti, con investimenti rilevanti e senza paralleli in città. Un'altra questione di primaria importanza - condivisa da molte altre aree - è quella dell'accessibilità, sia per la presenza della Expressway e del viadotto ferroviario a nord che per le altre infrastrutture legate alle zone manifatturiere poste lungo i margini settentrionale e meridionale del sito. Ciò nonostante l'area può essere vista come occasione per un'importante riconnessione urbana, data la posizione e la forte polarità che già rappresenta all’interno del sistema metropolitano ed a scala nazionale. La parte fondamentale del progetto mira al riciclo di questo grande brown±HOG, o piuttosto alla completa reinvenzione di questa parte di città. Come primo passo per l’esplorazione dell’area, è utile astrarre alcune problematiche, ed affrontare certi aspetti in modo sperimentale. Ho deciso di prendere in considerazione solamente il sito dei docklands, estrapolare cioè questa porzione del Clydefront lasciando in stallo l’effettiva connessione con il tessuto urbano circostante e l’accessibilità. L’operazione è soprattutto volta a misurare la scala dell’area, la sua geografia ed i manufatti esistenti, in relazione ad alcuni tipi di paesaggi provenienti dalla città stessa, o astratti a partire da essa. L’espediente grafico del collage, a partire da fotopiani in vista assonometrica a 45°, ha permesso di saggiare le possibili interazioni tra l’area e diverse tipologie di tessuto edificato e di grandi elementi urbani, con un’operazione di montaggio su di essa, al contempo “vuota” e densa di relazioni complesse. Le conclusioni tratte da questi test sono la partenza verso l’elaborazione di un masterplan, e possono suggerire un processo progettuale da adottare per le molte altre aree simili della città. I test di montaggio sono stati uno strumento progettuale a scala macroscopica e di carattere sperimentale, dunque una serie di astrazioni portate alle estreme conseguenze. All'interno di questi test gli elementi presenti nel sito - cioè i nuovi manufatti del polo culturale e terziario, ai quali vanno aggiunti la Stobcross Crane, i Govan Graving Docks ed alcuni edifici minori costruiti nell'Ottocento, le pumphouses e le rotundas - vengono conside-
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7 modelli urbani provenienti da Glasgow
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Glasgow Green
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Blythswood grid
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islands
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rati come materiale di progetto, gli "attori" a disposizione sulla "scena". Questa, formata dalle distese di parcheggi asfaltati e macerie che caratterizzano il sito del Clydefront, viene accomunata ad una tabula rasa, altra astrazione necessaria alla rifondazione. I nuovi edifici insediati hanno come tratto comune l’apparenza scultorea, la ricerca di pura eccezionalità, ed ignorano allo stesso modo il contesto architettonico, paesaggistico, infrastrutturale. In questo quadro, manca totalmente un ragionamento sullo spazio pubblico, sulla struttura o l'organizzazione dell'area. La prima operazione effettuata è stato il montaggio grezzo, non mediato, dei 7 modelli urbani scelti all'interno di Glasgow stessa. Il risultato è stato un primo ragionamento sul rapporto tra gli edifici e la forma dell’area, e sulla struttura di cui il sito poteva dotarsi - o meno - con ciascuno dei test. Il passaggio successivo è stato l’utilizzo dei modelli per modificare ulteriormente, per “manipolare” la morfologia urbana e la geografia dell'area. Per fare ciò è stato necessario astrarre i principi morfologici dai brani di città applicati in prima istanza, in modo da interpretarne le strutture fondamentali. Ognuno dei possibili paesaggi scaturiti dai modelli definisce a sua volta un diverso tipo di progetto, cioè di trasformazione possibile, sia dal punto di vista delle relazioni spaziali che della fruizione dell’area e delle connessioni con il resto della città. Glasgow è una città eccezionalmente poliedrica e frammentaria, che può essere descritta quasi come un insieme di città distinte: l'area dei docklands potrebbe diventare un’altra “città nella città”, oppure comportarsi come uno spazio connettivo tra i diversi lembi. Al momento essa non è fruibile né percorribile a scala umana; il paesaggio urbano non è connotato, se non come wasteland, in attesa di un principio spaziale che possa darvi significato e carattere. Si può mettere in relazione l’operazione effettuata con gli esercizi che Rodrigo Pérez de Arce propose nel 1978 in Lotus International n°19 - una sorta di “ripopolamento” dei progetti dell’urbanistica moderna prodotti sulla scorta della Carta di Atene. In quel caso, i centri di Chandigarh e Dacca, cioè le “piazze” degli edifici pubblici e governativi, venivano parzialmente edificati per creare un tessuto urbano che sostenesse questi spazi, ora vuoti di relazioni a scala umana, non vissuti e non vivibili. La differenza sostanziale è che mentre Pérez de Arce agiva su di un grande progetto di spazio pubblico per riportarlo a scala umana, in questo caso non c’è stato alcun tipo di progetto d'insieme. Prendendo in considerazione il contesto e le preesistenze, un progetto di masterplan dovrà cercare di definire un nuovo e fruibile paesaggio collettivo, attribuendo un nuovo significato a questo brano di città.
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test di montaggio con Glasgow Green modello in scala 1:5000
percorsi assiali alberati nel parco
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1. Glasgow Green Il primo dei test proposti è il montaggio di Glasgow Green, il più antico ed esteso parco urbano, presente nelle carte almeno dal XVIII secolo. Il parco è caratterizzato prevalentemente da un pianeggiante manto erboso, con percorsi assiali ed elementi monumentali come obelischi, piazze e fontane a fare da contrappunto a edifici pubblici e padiglioni. Una caratteristica in comune tra l’area di progetto ed il Green, è la relazione che intercorre tra essi ed il Clyde. Posto al limite orientale del Central Business District, il parco è una sorta di confine con le periferie dell’East End, ed è stato per secoli il ritrovo delle classi meno abbienti. Il risultato di questo primo test di montaggio è fondamentalmente la traduzione dei parcheggi asfaltati in prati, e la creazione di un percorso assiale principale parallelo al fiume sulla riva nord, a collegare il complesso del SECC con il Riverside Museum. Da questo si dipartono altre connessioni verso i ponti pedonali presenti nell’area, gli edifici ed i nuovi campi sportivi. Elementi scultorei puntuali fungono da traguardi visivi a scala dell’intera area, segnalando i punti nodali del sistema dei percorsi. Questi punti presentano spiazzi pavimentati con fontane e sedute, come anche le zone in prossimità di edifici e padiglioni, mentre filari alberati costeggiano i percorsi. Il sistema è poco efficiente nell'organizzare i percorsi dell’area a sud del Clyde, data la maggiore articolazione degli spazi e la posizione degli edifici. La dimensione incomparabilmente più grande dei manufatti del Clydefront - in rapporto ai padiglioni ed alle serre del Green - determina una diversa relazione tra i prati e la mole degli stessi, rischiando di sfociare in un bizzarro rapporto di scala. La tipologia del garden inglese prevede un parco recintato, con un numero limitato di accessi che conducono ai percorsi assiali: questo non accorda un grande vantaggio rispetto alla possibilità di connettere l’area con il resto della città. L'immagine urbana dominante generata da questo montaggio è data dal boulevard pedonale lungo il Clyde, esteso per un chilometro e circondato da distese di prati verdi. Questo, posto a nord del fiume, sembra essere l'unico paesaggio veramente interessante in quanto a dispositivo per la rifondazione dell'area.
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test di montaggio con Kelvingrove Park modello in scala 1:5000
il parco lungo il fiume Kelvin
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2. Kelvingrove Park Il secondo dei modelli ricavati dalla città è Kelvingrove Park, uno dei parchi urbani più estesi, inizialmente progettato da Joseph Paxton a metà del XIX secolo e nato contemporaneamente ai pittoreschi quartieri vittoriani del West End. Il parco è situato poche centinaia di metri a nord dall’area di progetto, ed ha uno strettissimo rapporto con il fiume Kelvin, ponendosi a termine del percorso ciclo-pedonale della Kelvin Walkway. Kelvingrove Park è caratterizzato da una vegetazione fitta e naturalistica e da un’orografia movimentata; le colline circostanti ospitano alcuni dei più affascinanti estates di Glasgow, primo fra tutti Park Circus. Il parco, interessante esempio di parco romantico all'inglese, è nato come ritrovo delle classi benestanti della città, rifugiatesi sulle ventilate colline occidentali. Il Kelvingrove Museum, il più frequentato museo di Glasgow, vi fu edificato grazie ai proventi delle due esposizioni universali qui tenutesi a inizio Novecento. Oltre ad esso vi hanno sede la Glasgow University e l’edificio adibito ad esposizioni e strutture sportive di Kelvinhall. Questo test di montaggio equivale ad una ideale prosecuzione di Kelvingrove Park fino alla confluenza del Kelvin con il Clyde; attorno agli edifici sono presenti radure e percorsi pedonali, circondati da una vegetazione lussureggiante e naturalistica. Le rive del Clyde vengono mutate per dare spessore al parco, all’interno del quale non c’è spazio per gli elementi morfologici che serbano la memoria industriale del luogo. Il paesaggio che si delinea intorno a musei ed arene per concerti non è molto diverso da quello dei vicini Botanic Gardens, situati poco più a monte lungo il Kelvin, ai margini settentrionali del West End vittoriano. Come in questi giardini, all’interno di un parco lussureggiante sono disposti padiglioni in ferro e vetro morfologicamente indipendenti e matericamente antitetici rispetto al tessuto urbano circostante. Gli accessi ed i percorsi sono virtualmente infiniti all’interno di questa tipologia di parco pubblico, un vantaggio per la connessione dell’area con l’intorno. Un’estensione della Kelvin Walkway fino al Clyde porrebbe inoltre in continuità il polo culturale vittoriano composto dai Giardini Botanici e da Kelvingrove Park con il nuovo polo lungo il Clyde. Uno svantaggio del paesaggio pittoresco del parco romantico sarebbe tuttavia la difficoltà nel definire una chiara organizzazione gerarchica per l'area.
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test di montaggio con il West End modello in scala 1:5000
cortine edilizie a tenement
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3. West End Con il terzo test si è provato ad inserire un tessuto urbano edificato nelle forme architettoniche dei vicini quartieri residenziali del West End. Queste cortine edilizie sono costruite principalmente secondo la tipologia del tenement e quella del terrace, che hanno definito la struttura urbana della città fino agli sventramenti del secondo dopoguerra. La zona è stata edificata per dare alloggio alle classi benestanti, ricercando un paesaggio pittoresco e signorile; i rilievi della valle del Kelvin sono stati sfruttati per disegnare i tanti estate dai profili sinuosi, arricchendo la maglia stradale e le prospettive urbane. Forme circolari e curve sono state utilizzate anche a prescindere dall’orografia, impreziosendo gli assi rettilinei con fronti concavi o convessi, e al contempo inserendo veri giardini all’interno delle sezioni stradali e a decoro delle facciate, modulate secondo i profili geometrici dei circus e dei crescent. Questo tessuto urbano è stato costruito attraverso addizioni successive di estate, impiegando una grande attenzione tanto per la qualità dei singoli manufatti architettonici, quanto (o forse di più) per il risultato generale di armonia e continuità tra di essi. Dal punto di vista del paesaggio urbano, la varietas e l’omogeneità contemporaneamente ricercate creano un equilibrio interessante, che ha generato una grande qualità sia dei manufatti che degli spazi pubblici, e perfino dei vicoli di servizio e dei cortili. Queste caratteristiche sono accompagnate, grazie alla grande flessibilità della morfologia tissutale, dalla capacità di incorporare diversi fatti urbani primari: l’edilizia monumentale, i parchi, le strutture per sport, tempo libero e scolastiche. L’applicazione del modello sull’area di progetto sottende l'insediamento di quartieri principalmente residenziali, con una ricerca volta alla reinterpretazione delle tipologie vittoriane, con particolare attenzione all’equilibrio tra omogeneità e varietà di cui sopra. Il tessuto urbano può essere modulato per seguire l’andamento del sito e per accogliere e sostenere i monumenti già presenti nell’area; esso perde però la sua fondamentale caratteristica di continuità con l’intorno, e l’organicità data dalle addizioni di successivi estate interdipendenti. L’insediamento di edilizia residenziale in lotti isolati dal centro urbano non sembra inoltre una soluzione efficace, a prescindere dalle caratteristiche morfologiche - come dimostrato dall’insuccesso di simili operazioni completate di recente lungo il fiume. L'edificazione significherebbe inoltre una presenza minore di spazi pubblici fruibili per la collettività, rispetto ai due casi precedenti.
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test di montaggio con Blythswood modello in scala 1:5000
una prospettiva del centro direzionale
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4. Blythswood grid Il quarto esperimento consiste nella virtuale prosecuzione della griglia ortogonale che regola gran parte del centro urbano di Glasgow (la cosiddetta "new town" di Blythswood); non c’è tuttavia un diretto rapporto tra l’area del Clydefront ed il Central Business District, né alcuna traccia della griglia nel sito o nei suoi diretti paraggi. Questa definisce isolati di circa 80x60m, ed è stata disegnata nei primi anni del XIX secolo, quale piano regolatore per le lottizzazioni successivamente costruitevi. Ora costituita in buona parte da edifici successivi agli anni ‘50, l’area centrale di Glasgow era stata originariamente edificata con blocchi a tenement di 4 piani. Gli edifici pubblici e di rappresentanza, le piazze ed i monumenti furono rigidamente inseriti all’interno di questo schema - a differenza di quanto era accaduto con la precedente "new town", l'attuale Merchant City, disegnata concludendo gli assi ortogonali con ricchi fondali architettonici. Gli effetti del montaggio sembrano meno interessanti rispetto ai precedenti test, in quanto la griglia di Blythswood non ha lo stesso carattere adattabile e vario della grana tissutale del West End, né permette la stessa ricchezza nel disegno dello spazio pubblico. Gli edifici contemporanei che hanno colonizzato il centro di Glasgow posseggono un diverso tipo di varietà, non per il disegno urbano ma per le caratteristiche di facciata, creando un dialogo dagli effetti discutibili con le sculture-architetture del Clydefront. Questo modello non riesce a definire una struttura urbana efficace per l’area, né ad accettare gli oggetti architettonici come fatti primari costituendo un tessuto: le preesistenze non sono per propria natura integrabili nel rigido schema ortogonale di Blythswood. Oltre a ciò, sebbene la griglia sia stata generata a partire dall’ortogonalità rispetto al Clyde all’altezza del centro, qui il fiume non presenta lo stesso orientamento: ciò, insieme alle proporzioni ed alle dimensioni del sito, fa fallire il tentativo di trapianto. Il plastico rappresenta la possibile elaborazione progettuale di un tessuto a griglia regolare derivante dall'inclinazione del Clyde all'interno del sito. Il risultato non è molto diverso dal montaggio in quanto a rapporto con le preesistenze, né per l'efficacia nell'organizzare dell'area dell'ex porto. A questi svantaggi si deve aggiungere la già discussa prospettiva di un’edificazione slegata da altri quartieri residenziali.
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test di montaggio con gli high rise estates modello in scala 1:5000
torri dei Red Road Flats
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5. high rise Le torri residenziali moderniste di cui Glasgow si è dotata tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso come risultato delle suggestioni utopiche del Bruce Plan (1945) e delle Comprehensive Development Areas (CDA, 1957), costellano oggi l'area metropolitana e circondano il centro in tutte le direzioni. Sia il faraonico progetto di viabilità urbana che le 29 zone di intervento delle CDA sono stati interrotti, con un’inversione di tendenza a partire dalla metà degli anni ’70; le demolizioni di interi quartieri e lo smembramento della città hanno tuttavia lasciato lacerazioni profonde, nella memoria e nella cultura collettiva. Mentre gli urbanisti e gli architetti di Glasgow superavano il record degli edifici residenziali più alti d’Europa, la popolazione riallocata al loro interno sperimentava suo malgrado una vita totalmente diversa da quella dei tenement, e difficilmente considerabile "migliore". L’epilogo di questa storia è inziato da alcuni anni con le demolizioni delle prime torri funzionaliste, e si sta protraendo a ritmi sempre più serrati presto i famosi Red Road Flats saranno solo un ricordo. I risultati di questo test possono essere interessanti per alcuni motivi, ma non per la capacità di dotare l’area di una struttura urbana. Questi complessi edilizi sono stati concepiti a prescindere dalla creazione di relazioni urbane; essi sono stati piuttosto un’applicazione brutale ed insensibile al contesto dei principi funzionalisti del movimento moderno. Possibile è un certo dialogo con gli oggetti scultorei presenti, poiché altrettanto solisti e sradicati dal terreno, e di altezze comparabili. La libertà che viene lasciata per il disegno del suolo può essere considerata un vantaggio, tuttavia non sembra favorire la creazione di spazi connettivi, quanto piuttosto quella di spazi residuali senza qualità. L'applicazione progettuale nell’area potrebbe tradursi in due famiglie di possibilità alternative: distendere una griglia regolare, o comporre i volumi delle torri singolarmente. Nel primo caso, esplorato con il fotomontaggio, il progetto si delinea come misurazione dello spazio attraverso torri poste ai nodi di una maglia modulare. La seconda opzione, rappresentata nel plastico, prevede torri posizionate secondo rapporti di triangolazione nello spazio topologico con l’obiettivo di orchestrare un dialogo con le sculture a scala architettonica presenti nel sito. In questo modo il rischio è di proporre un parco scultoreo a scala urbana, uno spazio invivibile senza relazioni a scala umana come le “piazze” di Chandigarh o Dacca.
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test di montaggio con la marina modello in scala 1:5000
marina del Bowling Dock
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6. marina Nella sesta prova ho ragionato sullo spazio dato all’acqua, pensando in primo luogo alla storia recente dell’area: l’ultima delle darsene, lo Yorkhill Dock, è stata interrata solo pochi anni fa per la costruzione del Riverside Museum. Non è verosimile prevedere una reindustrializzazione dell’area o un utilizzo di nuove darsene per scopi commerciali - con i pochi cantieri navali rimasti situati più a valle ed il porto commerciale a Greenock - ma è possibile pensare ad un altro uso dei bacini del porto. Si può valutare la progettazione di una marina, considerando il potenziale turistico in aumento di Glasgow e la mancanza di una struttura di questo genere in città. Le scuole, le università e gli appassionati devono spostarsi fino alla costa occidentale per trovare strutture adeguate e per praticare vela ed altri sport - senza poter dunque sfruttare i secoli di trasformazioni che hanno portato il Clyde ad essere l’infrastruttura navigabile che conosciamo. Ad oggi sul fiume sono presenti alcuni traghetti con corse regolari, ed esso si popola di piccole imbarcazioni durante poche occasioni annuali, come il River Festival. Sarebbe interessante dare ai Glaswegians la possibilità di usufruire appieno del Clyde, e questo sito sembra adatto anche per la sua vicinanza ai colorati e vitali quartieri del West End, già meta di molti visitatori. Questo montaggio esplora la possibilità di ridare spazio a bacini ed approdi nella prospettiva di un aumento della navigazione per diporto e di servizio pubblico con uno sviluppo delle linee di traghetti o di crociere lungo il Clyde - anche per raggiungere il nuovo polo culturale del Clydefront ed il vicino West End. Il test ha un effetto interessante sul nastro infrastrutturale che delimita l’area a nord: la Clydeside Expressway potrebbe giovarsi del rapporto con l’acqua, con un profilo morbido a delimitare la nuova marina. La proposta progettuale consiste nell’escavazione di due nuovi bacini, uno a nord ed uno a sud del fiume, in memoria della passata configurazione del porto. Una conseguenza è l’ovvia diminuzione del suolo fruibile, da rubare agli attuali manti di parcheggi asfaltati. Tra i gruppi di edifici presenti nell'area, già isolati tra loro, si creerebbe una divisione ancora più netta, soprattutto sulla riva settentrionale. Una separazione fisica dei due poli del Riverside e del SECC risulterebbe in un’organizzazione dell’area per distanziamento e non per connessione delle sue parti, con dei percorsi pedonali a lato dei bacini. Sarebbero necessari alcuni edifici di servizio per la marina, da progettare unitamente ai bacini.
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test di montaggio con l'allagamento modello in scala 1:5000
il Glasgow Science Centre
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7. islands L’utimo test procede nella direzione del precedente, andando però oltre la motivazione funzionale della marina, con l’obiettivo di indagare un paesaggio portato all'estremo. Il Clydefront è stato pesantemente modificato e soprattutto all’altezza dell’ex porto le rive del fiume seguono un profilo totalmente artificiale, derivante dalla configurazione delle darsene commerciali. A causa della pesante antropizzazione del Clyde, si sono verificati fino a tempi recenti episodi di inondazioni (per esempio il Kelvin esondò nel 1994 nei pressi della foce e di Kelvingrove Park, allagando il SECC), e questo può significare che il fiume nel tratto urbano non ha la possibilità di sfogare le variazioni negli apporti degli affluenti. Lasciare maggior terreno al Clyde vorrebbe dire aumentarne il bacino di espansione, ed un lavoro sulle rive dovrebbe tenere in considerazione queste tematiche. Questa prova di allagamento dell’area prevede di “risparmiare” solamente gli edifici del polo culturale e terziario, e di collegarli tra loro ed alla città tramite ponti. Il risultato è una provocazione in quanto sottolinea il carattere di questi stessi edifici: isolati dal loro contesto, sculture senza basamento, possono ora ricoprire pienamente il loro ruolo. Togliendo la terra da intorno le sculture, queste si trovano infine ad avere uno zoccolo, una sorta di fondamenta veneziana che le rialza da un nuovo “piano zero”. Togliendo il suolo ai loro piedi, viene in un certo senso aggiunto un elemento essenziale - il basamento - sebbene venga quasi annullato il terreno percorribile. Un fatto interessante è che con questo pretesto si potrebbe dare una gerarchia ai percorsi ed aggiungere collegamenti pedonali tra le rive e tra gli edifici: la mancanza di spazio per le automobili può portare l’area ad una percorribilità a scala umana, e dare lo spazio necessario a percepire i manufatti dalla giusta distanza. Gli edifici solisti diventano vere e proprie isole e si giovano della presenza dell’acqua ai loro piedi, specchiandovisi in modo decisamente spettacolare. L'unica eccezione nel complesso del SECC è il grande capannone dell’Exhibition Centre, il quale viene lasciato collegato alla Expressway insieme al suo "retro", funzionale a manovre e scarico merci. Anche gli edifici commerciali e direzionali della riva meridionale rimangono ancorati al terreno, il quale si muta in una serie di penisole all'interno del Prince's Dock. Anche in questo caso la Expressway entra in rapporto con il fiume, anzi con un grande specchio d'acqua all'interno del quale è possibile navigare sfiorando il suggestivo arcipelago di sculture metalliche.
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modello della soluzione ibrida di progetto efficacia dei modelli nei confronti di Edifici, Area, Contesto
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Conclusioni, ibridazioni Tramite i test di montaggio è stato possibile verificare la “tenuta” dei paesaggi urbani presi in considerazione, e dunque delle strategie progettuali applicabili. Ne risultano diversi gradi di efficacia, in rapporto al dialogo con gli Edifici, l'Area ed il Contesto; il campione descrive inoltre in modo esaustivo l’immagine della città e gli elementi fondamentali che ne compongono la struttura, permettendone una migliore comprensione. Date le dimensioni e l’articolazione del sito, nonché la varietà delle parti di cui è composto, i modelli "trapiantati" hanno reagito più o meno efficacemente nelle diverse situazioni particolari. Questo suggerisce l’utilizzo di strategie differenti in rapporto alle diverse aree parziali - considerabili forse come “parti di città” autonome all’interno del sito. Ciò non significa aumentare la frammentazione dell’area del Clydefront, bensì dedurre degli interventi efficaci in rapporto ai contesti particolari, all’interno di un’organizzazione ed una strategia complessiva. Il processo sperimentale ha permesso un arricchimento della comprensione del sito e delle possibilità di intervento sullo stesso; per la scelta della strategia da adottare è imprescindibile il ritorno alla scala della città, prendendo in considerazione non solo il contesto limitrofo, ma complessivamente la struttura urbana di Glasgow, le sue necessità ed opportunità. Le questioni fondamentali sono infatti la progettazione di spazi fruibili per il polo culturale, l’invenzione di un principio generale per il riordino dell’area nella sua totalità e la connessione di questa al resto della città. A partire dai risultati e dall’efficacia dei test, sono stati scelti alcuni dei modelli da proporre nella strategia d’intervento e da ibridare tra di loro per intersecarne le caratteristiche positive. I modelli morfologici da cui nasce la soluzione ibrida sono il parco lungo il Kelvin e la marina, principi base per la reinvenzione del paesaggio del Clydefront. Oltre a questi, alcuni altri ragionamenti urbani provenienti dalla città stessa vengono recuperati e sfruttati nella composizione di questo spazio collettivo, che si prospetta come un articolato sistema di relazioni. Il modello della marina è declinato con un solo nuovo bacino che fa risaltare il Riverside Museum come testata alla confluenza dei fiumi. La soluzione permette inoltre una continuazione di Kelvingrove Park, che arriva ad abbracciare il polo culturale del Clydefront. I nuovi edifici insediati recuperano il secondo ragionamento di composizione e triangolazione di elementi studiato per il modello high rise.
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intervento e contesto
sistema dei parchi pubblici
connessioni ed accessibilitĂ
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Strategia proposta La prima immagine a lato rappresenta l’area di intervento, in rosso, compresi i collegamenti fondamentali; l’importanza cruciale dell’area sta nell’occasione di rafforzare la nuova identità di Glasgow, con un intervento che ne migliori la coesione nel suo complesso, a partire da un principio spaziale per il polo culturale dei docklands. La posizione dell’ex porto, alla confluenza dei due fiumi principali di ed in vicinanza ai quartieri del West End vittoriano, crea molte interessanti opportunità per un'interconnessione a scala urbana; nell’ottica della creazione di uno spazio pubblico legato agli edifici del nuovo polo culturale e terziario, è importante il rapporto con il sistema dei parchi della città, soprattutto considerando che i principali intrattengono un rapporto privilegiato con l’idrografia. La decisione di introdurre un parco che tenga insieme la totalità del sito deriva anche dalla vicina presenza di Festival Park e Kelvingrove Park. Principio fondamentale della strategia proposta è l’estensione del sistema di verde lineare della Kelvin Walkway fino alla confluenza con il Clyde (secondo schema) tramite una concatenazione di spazi verdi che continua fino a Festival Park, sulla riva meridionale. Il nuovo Clydefront Park comprende la marina, i Govan Graving Docks (esempio di archeologia industriale a scala urbana), ed infine i musei, il SECC e gli edifici direzionali posti su grandi piastre pavimentate. Il polo del Clydefront trova così una continuità con le istituzioni culturali e gli edifici pubblici vittoriani di Kelvingrove Park. In risposta al problema dell'accessibilità e della fruibilità dell'area, la proposta prevede una pedonalizzazione quasi integrale del sito (campitura rossa nel primo schema). Questo è permesso dalla riorganizzazione dei percorsi carrabili e delle aree di sosta e manovra, ridimensionate grazie all’inserimento di alcuni parcheggi pluripiano ai margini del parco. Il terzo schema a fronte rappresenta in rosso la rete delle principali connessioni pedonali e ciclabili di progetto, le quali integrano i percorsi preesistenti (in bianco). Prediligendo il rapporto con l’idrografia e la continuità degli spazi verdi, grazie all’intervento si crea un sistema di connessioni pedonali e ciclabili alla scala dell’intera città, che diventa poi a scala territoriale grazie all’innesto sulla Kelvin Walkway. Queste connessioni permettono di raggiungere a piedi le fermate della Subway e del treno che circondano l’area; viene insediata inoltre una nuova stazione ferroviaria tra Partick ed Exhibition Centre, in corrispondenza dell’interramento previsto per il tratto della Expressway che consente l’accesso al sito da nord.
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La mappa dell'immagine a fronte riassume la strategia proposta, evidenziando le connessioni con la città. Clydefront Park, lo spazio collettivo che racchiude il nuovo polo culturale di Glasgow, insieme ai nuovi percorsi lungo Clyde ed Kelvin, permette una rinnovata fruizione della città nel suo complesso, avvicinando e riconnettendone le parti ora slegate. La marina viene immaginata come un bacino incavato nella riva settentrionale che trasforma il Riverside Museum in una penisola, nodo per il sistema di spazi pubblici alla confluenza dei fiumi. I servizi ed i magazzini per la marina sono posti in piccoli edifici sotterranei incastonati nella successione di lunghe gradonate, le quali permettono di ammirare il paesaggio fluviale costellato di musei e sale per concerti. Un’altra platea viene posta lungo le rive del Kelvin ai lati della foce, mentre sulla sponda ovest due edifici concludono la serie di torri residenziali, proiettandosi all'interno delle ultime propaggini di Kelvingrove Park. La North Pumphouse è di nuovo in relazione con il porto, allo snodo tra il bordo della marina, l’accesso pedonale da nord ed i percorsi che portano verso est e sud, attraverso il manto erboso debitore di Glasgow Green. Qui una nuova torre fa da contrappunto alla Glasgow Tower ed al Riverside Museum, in dialogo con la nuova stazione ferroviaria nata dall’estrusione di un terrapieno di sandstone. A est, tra la Stobcross Crane, la Hydro Arena ed il Clyde Auditorium viene scavata una piazza d’acqua, che dota i mastodontici edificiscultura di un basamento e permette loro di specchiarsi sul Clyde; dei profondi gradoni scendono fino al livello dell’acqua, dove viene allestito un palco galleggiante per i concerti all’aperto ed i festival della stagione estiva. La Crane ed i manufatti circostanti vengono liberati da parcheggi e strade carrabili, e possono essere percepiti da un'adeguata distanza. A sud Festival Park viene dotato di attrezzature sportive ed esteso fino ai piedi dei blocchi per uffici, la cui serie viene integrata dal nuovo centro pubblico sociale e sportivo, che come una serra dei giardini botanici si inoltra nel parco. Un edificio si specchia sul Clyde ai margini del Prince’s Dock; questo ospita negozi ai piani inferiori, dirimpetto al Govan Town Hall, ed ai piani superiori ristoranti e locali pubblici con panorama aperto sul Clydefront. Arrivati dal Science Centre attraverso il ponte mobile e costeggiati i tre Graving Docks restaurati, si continua verso ovest dove l’ultima grande darsena di Govan ospita una scuola di canottaggio. Il bacino inquadra il museo dei trasporti ed il porticciolo, e si collega al vecchio centro del villaggio con una passeggiata lungo il fiume.
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scuola di canottaggio
nuova stazione ferroviaria
graving docks restaurati
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parcheggio / bike sharing ostello / ristorante
docce / magazzini reception marina
stazione di servizio
stazione
negozi / pub centro di canottaggio
palco mobile galleggiante
hotel servizi / soccorso
parcheggio centro civico e sportivo
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REINVENTING CLYDEFRONT
we can compare the Caledonia Road Church by Alexander Thomson and the Riverside Museum by Zaha Hadid Architects, as they share the appearance of “cathedrals in the desert” [page 26]. Nonetheless this point in common is the result of two completely different dynamics – while the first building was deprived of its context after a century of its completion, the second has been conceived this way. The other new iconic buildings of the Clydefront share this condition of designed cathedrals in the desert, as they have almost no relationship with their urban, geographical and infrastructural context – this way, they missed the opportunity of shaping and organizing their surrounding space. The site of the Glasgow Harbour, with its central position and its undeniable present importance at a national scale is in fact a unique chance for providing a primary collective space to the city, which can maybe re-link the centre’s mosaic. This thesis looks into the possibilities of the reinvention of this area - which at the moment is absolutely not accessible nor enjoyable - through a research which uses urban morphology as a primary investigation and design tool. The problem of the renewal of the Glasgow Clydefront goes as deep as the need of a new meaning for the heart of the city, according to the city’s new condition.
Nicola Russolo
Glasgow is an extremely complex city, in which great contrasts divide a number of non-homogeneous urban landscapes. These “cities within the city” often present a complete lack of connections between each other, composing a mosaic of antithetic atmospheres that reflect the metropolis’ forming process. This process has been characterized mainly by Glasgow’s attitude towards radical change, which became clearly self-destructive at some points – applying pragmatically urban and architectural ideologies. As a consequence of this attitude, entire quarters of the city were demolished and lost every relation with their context, now looking like big urban voids. The Glasgow Harbour site is one of the biggest and most interesting derelict areas of the city and can now be described as little more than an impressive “empty space” at the heart of the centre. The Clydefront (the riverfront of the Clyde) has been for centuries the “engine” of the city, and for a long time its landscape would be the most representative of Glasgow itself. The Second City of the Empire developed thanks to the Clyde, which was transformed into the greatest infrastructure of the region. The docklands, the manufactures and the shipyards were employing most of the working population, therefore with their infill and destruction Glasgow lost far more than just its economic strength. What is left of this landscape is mainly a huge wasteland, on which a number of impressive public buildings were constructed during the last decades. These form now a unique cultural and tertiary hub at national scale; mostly shaped like giant iconic sculptures, they find themselves in the middle of ruins and endless asphalt car parks. Their condition has an interesting parallel with some of the monuments and buildings that were part of the demolished quarters of the city:
Observations on the urban form of Glasgow Looking at a “Nolli map” of Glasgow [page 28], we can clearly spot a number of defined urban patterns, for example the Blythswood Grid of the Central Business District (CBD) or the Circuses and Crescents of the West End. These main types of urban patterns composed and structured the Nineteenth century heart of the city. Another pattern typology, yet less powerful in its structuring qualities, can be found in the cottages’ suburbs which were built between the two wars outside the centre. It looks like these different parts of the city are perfectly divided by consistent pauses in the built environment, as if they had been developed independently. This is not true, for example, for the West End and the CBD, which were once a
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continuous concatenation of urban blocks and formed as a whole the central area of Glasgow - the Nineteenth century Subway system suggests this past layout, as it links and encloses the old central area like subterranean city walls [page 32]. Some of the big voids which can be read in the Nolli map actually correspond to the green areas of the city, which are however just a small percentage of those voids. Most of the public parks were established on the edge of the central area of the city, which had its urban structure consolidated and extended at its maximum just before the First World War [page 30]. The main exceptions to this are Glasgow Green, the biggest and oldest urban park of the city, which has its origins in the municipal green that there once was all along the Clyde, and Kelvingrove Park, founded in the middle of the Nineteenth Century as the heart of the Victorian West End. These two are the most representative urban parks of Glasgow, and the only ones to be strictly related to the main hydrography of the city. Kelvingrove Park is also the head of the Kelvin Walkway, a territorial connection which runs along the river Kelvin, also embracing the nearby Botanic Gardens. Another exception to this originally “peripheral” layout of the green spaces is Festival Park: this is the newest park of the city, coming from the Glasgow Garden Festival of 1988 which took place on the ex Prince’s Dock’s site. If we compare the map of page 28 and the one of page 30 it’s clear that the voids of the first can’t be explained by the parks represented in the second– in fact most of the big pauses within and between the city’s urban patterns are due to the demolition and reconstruction policies of the post-war period. These widespread and heavy interventions were led in the spirit of a total renewal of the city centre (which can be seen in its purest form in the Bruce Plan of 1945), and were organized through the 29 Comprehensive Development Areas (CDAs) approved in 1957. Almost a third of the city’s dwellings were planned to be demolished and substituted by new functionalist tower blocks in order to heal the overcrowded central area, while
New Towns were founded outside the city. Mobility and car infrastructures were another major component in the strategic plan for Glasgow: a massive road system was proposed, composed by an Inner Ring Road and an Outer Ring connected to each other by radial expressways. The Highway Plan was only partially accomplished, but it had an impressive impact in the urban structure of Glasgow, mainly because of the considerable demolitions and for its effect of barrier within the city. The present M8 motorway is the only built part of the Inner Ring road, accompanied by a series of expressways and by some sections of the originally proposed Outer Ring. These large scale interventions on the city created some of the most disconnected and de-structured areas of the metropolitan area. Moreover, a lot of the high rise developments don’t interact with the urban structure and their morphological context, creating many “islands” within the city and between its urban patterns. The old harbour shares now the condition of a huge urban void with isolated buildings, and it is moreover unreachable from its surrounding neighbourhoods (for example the nearby quarters of the Victorian West End), mainly because of the industrial areas that encircle it and of the presence of the Clydeside Expressway. The city and its river The Clyde had an essential role to the forming of the city and its development, as much as the city’s activities were the reason for the transformation of the river: the famous phrase “Glasgow made the Clyde and the Clyde made Glasgow” tells it all. The Glasgow Harbour reached its maximum articulation at the beginning of the past century [page 36], at the same time as the city’s pick of industrial prosperity – two centuries were enough to completely transform the Clydefront into a completely anthropized landscape. The port and its activities started to decline soon after the First World War, then from the 60s and 70s the harbour was quickly dismissed and almost completely abandoned. By the 80s most of the docks
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were infilled, but no comprehensive plan for that “new” land was elaborated meanwhile. The many buildings that took their place on the old harbour site seem to have a completely random layout in fact, starting from the “Big Red Shed”, as the SECC hall of 1985 was called for its past colour. After this, a number of noticeable buildings appeared: the Clyde Auditorium (1997 Foster & Partners), the Science Centre (2001 Building Design Partnership), BBC Scotland offices (2007 David Chipperfield Architects), the Riverside Museum (2011 Zaha Hadid Architects) and the Hydro Arena (2013 Foster & Partners). This extremely important tertiary and cultural hub at the heart of Glasgow, is though surrounded by something similar to an enormous wasteland. Its buildings have a complete lack of relations with the urban context, the river and between each other, and thus they fail to offer the urban space which should be provided to amenities of such value – as the whole area is employed for car circulation or parking lots. This new developing part of Glasgow can actually be considered a banner for the city’s construction of a new identity, after going beyond the one of the harsh industrial city in decline.
tude assured a consistent variety of models. The tests required the initial abstraction of a tabula rasa site – though maintaining both the historic and recent buildings – and to focus the attention just on the area itself. This first approach was useful for deeply inspecting the site and the reactions of the existing elements to the implant of possible landscapes and urban patterns, at the same time as carefully measuring the scale of spaces and objects. Each of these tests is a possible landscape, a possible use of the land, a possible relation with the river, the existing buildings and the city – and therefore a possible project for a new life cycle for the harbour and a possible relation with the surrounding areas of the city. The 7 models were chosen among the city’s urban patterns typologies or abstracted from certain peculiar urban conditions, and applied in a radical way following their morphologic characteristics, testing their ability to reshape the site. 1. Glasgow Green _ The car parks are transformed into lawns and the area is structured by a main pedestrian boulevard which connects the two facilities on the northern side of the river and by the other paths that depart from it. The buildings of the Clydefront are not comparable for dimensions to the Green’s pavilions, as well as for its sculptural landmarks – a disproportion could be generated from this interpretation of the ancient park. The garden’s typology implies an enclosure and a number of clear axial paths: this would not benefit the connection with the surrounding areas. Finally, the only very interesting device would be the boulevard parallel to the Clyde, which alludes to the relationship established with the river by Glasgow Green itself. 2. Kelvingrove Park _ It is proposed an ideal expansion of the nearby park, which spreads through the Clydefront with its naturalistic and luxuriant vegetation and its uneven topography, while changing the shape of the river and deleting its industrial memories. Clearings are made around the buildings, which now remind of the Botanic Garden’s greenhouses: metal and glass buildings
Reinventing a part of the city The exceptional characters of the Clydefront - a brownfield in the most strategic position that gathered impressive investments through the last decades - offer the possibility of making it once again the heart of the city. This cannot be done by means of new soloist buildings in the area nor by partial plans like the ones that came in succession – what is needed is a complete reinvention of this part of the city, of its landscape, of the relations between present and new elements, of the accessibility and the usability of the site, of the meaning and importance of this area. The thesis’ aim is to explore the possibilities of this reinvention. The research was led through a number of “implant” tests, that is to say the montage on the site of urban patterns and spaces’ types found within the city of Glasgow – which thanks to its pragmatic ever-changing atti-
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- completely different from the surrounding urban patterns – are enclosed within a park. Access points and pathways are virtually infinite within this romantic park, suggesting many possible connections with the surroundings, but not allowing a clear organization of the site. The most interesting outcome of this test is the possibility of a continuity with the Kelvin Walkway and a connection with the near West End cultural hub. 3. West End _ A number of mainly residential quarters are settled on the site, taking advantage of the tenements’ and terraces’ typologies pliability. These could follow the site’s shape and “sustain” the monuments – giving them the role of “primary elements” inside an urban pattern. What cannot be transferred are the fundamental characteristics of organic unity and interdependence between the estates. Besides this, other examples of residential developments along the Clyde were not successful when detached from the centre or other residential districts. 4. Blythswood grid _ The consequences of this test reveal the incompatibility between the CBD grid and the area, due both to the different orientation of the river and the unsuitable characters of the site. This montage adds to the disadvantages of the previous test – with a lower quality of the possible public spaces in this context – a completely unsatisfactory relationship with the existing buildings. The monuments and the open spaces inside the grid were in fact included according to its rules, and this obviously cannot happen in this case. The plastic model shows a study for a possible different orientation for the grid, which remains as ineffective as the “literal” montage. 5. high rise _ This urban model doesn’t originally present a “pattern”, as its buildings were conceived following modernist urban ideologies and often without attention to their context. For this reason the montage test with the repetition of the tower blocks across the area doesn’t provide a layout or a structure to it. The size and the “non-contextual” nature of these buildings
can though dialogue with the Clydefront’s edifices; moreover, their presence doesn’t affect the nature nor the use of the open spaces between them. Another possibility for the use of the tower blocks (shown in the plastic model) is the disposition of elements as volumes in relation to the existing buildings – which could turn out to be a sculpture park at urban scale. 6. marina _ The past presence of the docks inspires this test, suggesting the creation of two new basins to be used as a marina on the Clyde. The expressway could benefit from a new relationship with the river, which could regain an important function – also taking advantage of centuries of transformations. The site would be clearly “organized” with a clear separations of its elements, which would be connected only by means of paths along the new docks. 7. islands _ A complete flooding of the Clydefront spares only the site’s buildings, bringing them to an explicit representation of their conditions of soloist isolation. This operation has a positive consequence on those architectural sculptures, providing them a spectacular reflection on the water and a true relationship with the river. Taking off the land from around them a basement is actually created, a sort of venetian fondamenta, a pedestrian quay. These walkable basements would be linked by bridges, making it possible to define a hierarchy of connections inside the area and to allow a completely different experience of it and its buildings. Conclusions, hybrid solutions These montage tests allowed me to consider the efficacy of different strategies in relation to the buildings, the context and the site’s organization possibilities (symbolized by the diagrams of PAGE 56). These strategies – the models’ morphological principles – have different levels of strength when applied to the various parts of the very articulated and extended Clydefront area. As a consequence of this I studied a number of hybrid solutions that could intersect the good characteristics of multiple models. At the same time it was
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absolutely necessary to go back to the scale of the whole city, in order to evaluate the interaction of the models – and of the hybrid solutions – with the context and the possible connections on a comprehensive level. The chosen hybrid solution originates from the montages of Kelvingrove Park and of the marina as fundamental principles for the reinvention of the Clydefront’s landscape. Additional design principles are retrieved from other models, for example the singular elements’ composition from the high rise test or the re-shaping of the Clyde in order the establish a new relationship with the buildings.
These links allow you to walk to the subway and train stations around the area, with a new station added on the railway line which runs along the northern edge of the site – by the section of the expressway that is put underground thus allowing access from north. The connections with the Kelvin Walkway and the paths along the Clyde provide new links across the whole city centre and a new possible way of walking through its landscapes. The plan at page 60 summarises the proposed strategy inside the city, as a system of relations and connections. The marina is imagined as a basin excavated on the northern side of the Clyde, turning the Riverside Museum into a peninsula – fulcrum for the new paths along the Kelvin and the Clyde. Services and storage rooms for the marina are inlaid under the long series of big steps which run along the basin; this feature, interpretation of the granite steps of the Graving Docks, is repeated also along the end of the Kelvin river. The old North Pumphouse has again a relationship with the river, and is placed at the beginning of a big lawn - retaken from Glasgow Green. Around this esplanade a new tower dialogues with the Riverside Museum, the Crowne Plaza hotel, the Glasgow Tower across the river and the new train station. Car parks and roads are cleared from the front of the SEEC buildings and the Stobcross Crane, and the river is forced among them acting like a mirror and creating a new quay around their accesses. Festival Park is extended until the office blocks and accommodates a new public sport centre, which advances inside the park like a greenhouse of the Botanic Gardens. Prince’s Dock receives a new building hooked on its edge in front of the Govan Town Hall, and the path along this basin brings you to the Govan dock, restored and equipped with rowing facilities.
Proposed strategy A new public space encloses the Clydefront’s cultural and tertiary hub, which is now linked to the public parks of the city – its most important collective open spaces. The first diagram of page 58 shows the extension of the intervention, which is conceived as the heart for a connection system for the whole city centre. The following diagram shows the relationship with Kelvingrove Park, Festival Park and the new public park (Clydefront Park?) which includes now the whole area. The museums, the SECC complex and the business buildings are arranged onto hard landscape zones within the park, which also contains the new marina and the restored Govan Graving Docks, that can become an interesting example of urban scale industrial archaeology. Cars are kept out of most of the site (the red zone of the first diagram represents the pedestrian area) thanks to the construction of multistorey car parks at the edge of it and a different roads’ organization. The third diagram of page 58 represents the main pedestrian and bicycle connections, which are linked to the existing ones (white) and therefore reach the whole city centre.
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MIRA RE-CYCLING MIRA LANZA
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RITESSERE LO SPAZIO Alfonso Cendron
L’atteggiamento verso il mondo e le scelte esistenziali, sono influenzati da almeno due condizioni, una è quella del pensiero, qui inteso nella sua forma olistica, mentre l’altra sono le grandi crisi. Entrambe le condizioni provocano riflessioni intense e suggeriscono scelte, in un caso, oppure le rendono inevitabili nell’altro. Nel pensiero, la tradizione olistica si riscontra già negli anni sessanta, soprattutto negli Stati Uniti, il paese più industrializzato del mondo. Ci s’interroga in merito alle conseguenze dello sviluppo incontrollato, mentre le prime crisi mondiali e nazionali degli anni settanta rendono evidenti i punti deboli del sistema industriale, nutrito principalmente da energia fossile. Un primo evento strutturato nel campo del pensiero è rappresentato da The limits to growth, il rapporto del MIT del ‘72, voluto ad Aurelio Peccei, il libro anticipa di un anno la crisi petrolifera mondiale che purtroppo confermerà alcuni dei timori espressi nel rapporto. La ricerca, realizzata da un gruppo interdisciplinare di studiosi provenienti da dieci paesi diversi, analizza almeno due questioni, la prima, le conseguenze critiche dello sviluppo incontrollato del tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento e delle problematiche connesse all’alimentazione e allo sfruttamento delle risorse; la
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seconda, la possibilità di controllare i tassi di sviluppo al fine di giungere a una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro, ovvero un equilibrio globale inteso come soddisfazione delle necessità materiali e spirituali di ogni individuo e pari opportunità per consentirgli di sviluppare il proprio potenziale umano. Più tardi, Vancouver ‘76, ovvero la conferenza UN sugli insediamenti umani, propone l’instaurazione di una nuova equità urbana mediante un’adeguata amministrazione degli spazi pubblici, delle periferie e dei servizi comuni, contrastando la frammentazione del territorio determinata dalla pressione del privato e salvaguardando l’ambiente costituito da flora e fauna. Con Habitat II, city summit UN di Istanbul del ‘96 al quale ho avuto la fortuna di partecipare, è riconosciuto alla città il ruolo determinante della produttività e dello sviluppo sociale, nella quale è necessario introdurre processi di partecipazione che, grazie ai nuovi strumenti d’informazione elettronica, possono migliorare il governo del territorio, contrapponendosi al crescente degrado urbano e ambientale. Nel frattempo le crisi si susseguono, tra le principali, quella mondiale del lunedì nero del ‘87 e quella nel nostro paese di tangentopoli del ‘92 fino a giungere a quella più recente globale del 2008. In attesa delle proposte di Habitat III, che presumibilmente si svolgerà nel 2016, ci pare utile soffermarci sui contenuti del Breve trattato per la decrescita serena di Serge Latouche del 2007. Il libro, edito esattamente un anno prima dell’ultima grande crisi mondiale, suona come un monito analogamente a quanto accade per il rapporto del ’72. La tesi del trattato, con le sue otto R, offre una scelta alla crisi indicando altrettanti comportamenti e coniando un termine introduttivo assolutamente nuovo e positivo: decrescita, perlopiù serena. Se la crescita porta con sé la crisi, con la decrescita forse la evitiamo? L’interrogativo rimane aperto ma nel frattempo il concetto ha influenzato diverse discipline tra cui l’architettura, nonostante quest’ultima sia sempre vissuta tra crescita e decrescita, costruita e ricostruita sulle sue rovine, quindi riciclata. Basti pensare a quante volte l’Acropoli è stata sovrascritta, l’anomala presenza di rocchi incastonati nel muro del baluardo ellenico ci appare oggi enigmatico, ai tempi un caso di normale riuso, in altre parole un modo di riciclare i preziosi blocchi templari per un’opera di servizio come la cinta muraria. Tuttavia, da qualche tempo, il concetto di decrescita e le sue otto R rafforzano la convinzione che in architettura sia giunto il momento del riciclo, variamente interpretabile, ad esempio può essere la ritessitura dello spazio fisico. Le altre modalità sono quelle di
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sempre, la conservazione, il restauro, la demolizione e ricostruzione con nuove forme senza aumento di volume. Un caso a parte riguarda la rinaturalizzazione, laddove un ambiente naturale unico e simbolico arrende ogni tentativo di superare con l’architettura la forma naturale di un luogo, il progetto qui, non è il lorenzettiano com’era dov’era applicato al paesaggio, ma un rewind dal costruito alla natura. Talvolta è inteso come riciclo di paesaggi come nel caso di abbattimento di interventi abusivi in luoghi di rara bellezza, oppure nel caso in cui l’edificio inutilizzato sia una spesa in termini di tassazione immobiliare, fenomeno inedito che rischia la perdita di fabbricati rurali o di archeologie industriali; così come la crescente perdita di costruzioni ed elementi architettonici del moderno, sostituiti da nuovi edifici per motivi funzionali o per soddisfare migliori prestazioni energetiche. Riciclare la città, invece, significa guardare dentro le architetture per “ritessere lo spazio” ad esempio mediante la pratica secchiana del disegno del suolo, ovvero l’attività progettuale conseguente alla riappropriazione della superficie per agire negli spazi interstiziali della città, conservando l’antico e il moderno di valore e trasformando ciò che non ne ha, inventando nuovi usi per quei volumi che hanno terminato, magari da tempo, il loro ciclo vitale. In questo senso, la tesi proposta ai laureandi per il riciclo dell’ex Mira Lanza, ponendo sul tappeto in maniera chiara l’analisi di otto modelli insediativi, indaga la possibilità di una ritessitura dello spazio tra i grandi monoliti industriali del novecento, calati nel fragile tessuto mirese, sul sedime e intorno ad un’imponente villa demolita attribuita a Baldassare Longhena e al contempo lungo il waterfront del Naviglio Brenta, estrema prosecuzione in terraferma del veneziano Canale della Giudecca. La strategia di Anna Favaretto e Roberto Fulciniti, che negli esiti propone l’utilizzo del modello insediativo del “codice a barre” poiché meglio connette, sostengono i laureandi, i due fronti acquei a nord e a sud dell’area di studio, sembra anche positivamente risolta per ibridazione del modello con altri, ad esempio quello della sovrastruttura. Inoltre, trattando gli edifici superstiti come reperti incastonati nella maglia del nuovo, si tenta di rigenerare l’esistente mediante la tattica del contrasto. Ne risulta una composizione ad alta densità e ricca di cavità e quindi di varietà di volumi e spazi, di pieni e vuoti, che sovrascrive il monotono reticolo insediativo dell’attuale complesso industriale, risultato decisivo di questa ritessitura dello spazio esistente.
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il tessuto urbano di Mira e l'ex fabbrica Mira Lanza
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RE-CYCLING MIRA LANZA Anna Favaretto Roberto Fulciniti
Qual è il ciclo di vita di un edificio? Quale significato assume la storia di un luogo ed il suo valore identitario nelle trasformazioni urbane successive? Come operare il riciclo di uno spazio urbano? Il presente lavoro indaga un procedimento progettuale per vaste aree di carattere metodologico, finalizzato al riciclo delle pre-esistenze attraverso un nuovo disegno ed il loro ri-uso secondo le nuove esigenze della città , che consenta di valorizzare il carattere storico identitario dei manufatti, oltre che promuovere uno stile di architettura e di vita sostenibile.
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la fabbrica Mira Lanza nel 1915
la fabbrica Mira Lanza nel 1940
la fabbrica negli anni '80
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La storia L’attuale fabbrica Reckitt Benckiser sorge lungo la Riviera del Brenta, proprio nel cuore del Comune di Mira, a pochi passi dal Municipio e da alcune tra le più suggestive Ville Venete della zona. La data di fondazione dello stabilimento come struttura industriale risale al 1837 per volontà della città di Venezia: la prima attività fu la produzione di candele steariche, seguita da quella dei saponi. La città lagunare infatti già nel ‘700 vantava un primato nella produzione di candele, quando ancora la materia prima consisteva nella cera d’api. Con l’incremento del mercato fu necessario trovare un nuovo sito per ampliare la produzione e Mira si prestava come sito ideale per la costruzione della nuova fabbrica di candele e saponi grazie proprio alla vicinanza con la città lagunare, oltre che all’affaccio sul fiume Brenta, principale via acquea per il trasporto delle merci e fonte diretta per l’acqua necessaria alla produzione. Nel 1880 la fabbrica di Mira occupava 70 uomini e 50 donne, con salari variabili da 1 a 5 lire giornaliere, ed era considerata tra le più attive e con prodotti eccellenti: la produzione delle candele e dei lumini procederà fino al 1874. La fabbrica nei decenni successivi fino ai primi del ‘900 continua il suo sviluppo, subendo un arresto solo con la Prima Guerra Mondiale, durante la quale i macchinari vennero trasferiti altrove e nello stesso sito venne allestito un ospedale da campo di una certa importanza. Al termine della guerra la fabbrica viene riportata a regime e nel 1924 nasce la “Mira Lanza S. A.” dalla fusione della Fabbrica Candele Steariche Mira con la Fabbrica Candela F.lli Lanza di Torino. La ditta Mira Lanza divenne punto di riferimento per la produzione di saponi nel nord-est, tanto che si decise di utilizzare l’effige del leone di San Marco accanto al marchio. Il sapone, nelle sue molteplici varianti (industriale nudo e in barre, liquido industriale e per toeletta, abrasivo in pezzi e in formelle per il bucato a mano, per pulizia personale) ha sempre accompagnato, fino ad oggi, l’attività della fabbrica. Sotto la guida della famiglia Piaggio, la società Mira Lanza raggiunse negli anni 30 un grande sviluppo e divenne la principale produttrice, in Italia, di saponi, contando fino a 720 lavoratori negli anni 40. Negli anni 50 la crisi del mercato delle candele, dovuta all’avvento dell’energia elettrica, porta la fabbrica a specializzarsi ulteriormente nella produzione di sapone da bucato, divenendo leader nel settore negli anni 60, quando la fama del marchio diviene nazionale ed internazionale
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grazie anche alla grande campagna pubblicitaria che vedeva protagonisti Calimero e l’Olandesina, personaggi di affezione per molte generazioni. Negli anni 90 la Mira Lanza entra a far parte del Gruppo Benkiser, continuando a puntare su ricerca e sviluppo, oltre che sulla qualità di prodotti. All’atto della costituzione della Società Mira Lanza, lo stabilimento di Mira si sviluppava su di una superficie totale di 80.000 m² circa di cui 37.600 m² coperti. All’inizio degli anni 90 la superficie totale dello stabilimento era pari a 366.440 m² con fabbricati industriali ricoprenti 89.900 m². Ad oggi lo stabilimento copre un’area di circa 200.000 m² e gran parte degli edifici che fronteggiano il Brenta versano in stato di abbandono e degrado a causa della progressiva riduzione dell’attività. Dal punto di vista urbanistico, l'area industriale è divenuta così un punto critico dello sviluppo del Comune di Mira: lo stabilimento nei decenni ha occupato parte del fronte sul Brenta in modo indifferente rispetto al contesto con edifici di proporzioni enormi rispetto all’abitato circostante, ed ora per buona parte in cattivo stato di conservazione. La fabbrica, oggi, si trova a ridosso del fiume Brenta con un principio insediativo simile a quello delle Ville Venete: affaccio principale lungo il fiume ed edifici produttivi alle spalle. L’evoluzione storica di questo insediamento, a partire dal 1837, ha visto uno sviluppo inizialmente verso est, poi in direzione opposta, ed infine un progressivo intensificarsi degli edificati verso sud oltre la Seriola, il canale parallelo che ricalca l’antico “acquedotto” veneziano. Verso la fine degli anni ‘90, un nuovo insediamento residenziale ha preso il posto delle prime avanguardie ad est lungo il fiume. A partire dallo studio di questo sviluppo e delle fasi che si sono succedute in quasi un secolo e mezzo di storia, il progetto intende proporsi come un’ulteriore fase del ciclo di vita della Mira Lanza, un altro tassello che oggi possa rispondere alle nuove esigenze del Comune, e che si presti ad adattamenti ed utilizzi futuri.
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stato attuale del tratto urbano del Brenta
l'Ex Mira Lanza, oggi
la Seriola all'interno dell'area industriale
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Lo stato attuale Attualmente la struttura dello stabilimento definisce il fronte sul Brenta attraverso un muro di recinzione alto 3 m circa ed una cortina di edifici che occupa l’area fino al limite della Seriola verso Sud: questi edifici, alcuni ancora utilizzati, versano in condizioni fatiscenti, presentando chiari segni di degrado per quanto riguarda finiture superficiali, intonaci, infissi e coperture. In alcuni casi le problematiche sono anche di tipo strutturale, tanto che alcune parti sono state demolite. Dal punto di vista funzionale, gli edifici che affacciano sul fiume lato Ovest sono ancora in funzione ed ospitano attività produttive, mentre la villa veneta prospicente è stata convertita in foresteria. Procedendo verso est vi sono edifici dedicati allo stoccaggio delle materie prime di altezza variabile tra i 4 e i 10 m; alcuni di questi edifici sono completamente dismessi. La torre della Mira Lanza spicca tra tutti come simbolo di un’antica gloria, con i suoi 54m di altezza. L’edificio più imponente, alto circa 20 m, è parzialmente utilizzato ma versa in stato di degrado ben visibile. Nel fronte est un parco pubblico allungato ha preso il posto di alcuni manufatti demoliti ed ospita l’originale Carroponte, la cui struttura arriva fino alla riva del fiume: un tempo veniva utilizzato per trasportare i materiali dalle imbarcazioni direttamente all’interno dello stabilimento. Alle spalle del parco sorgono due edifici storici della fabbrica, in mattoni a vista piuttosto ben conservati, uno a capriata singola e uno a 6 capriate, di altezza 6 m circa: il primo ospita ancora i macchinari originali per la lavorazione dei saponi, l’altro è dedicato alla confezione dei prodotti finiti. Oltre il limite della Seriola, verso Sud, sorge la parte più recente della fabbrica: un edificio di 15 m ospita la parte amministrativa e logistica; gli altri edifici e capannoni sono tuttora utilizzati e dedicati allo stoccaggio ed alla logistica.
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riviera del brenta e ville venete
tessuto urbano
sistema idrografico
aree industriali
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Il metodo Progettare la riqualificazione di quest’area ha significato in primo luogo confrontarsi con una realtà pregna di significato identitario, storico ed attuale. Proprio la “gloriosa Mira Lanza” e lo sguardo di Calimero non ci hanno permesso di guardare negativamente ai suoi edifici ora degradati, in forte stato di abbandono, oltre che colossali nelle dimensioni rispetto al contesto urbano in cui sorgono. La scelta di mantenere le pre-esistenze ci è sembrata immediatamente la più degna, disciplinandone la presenza attraverso un principio insediativo forte in grado di restituire legittimità a questa entità urbana, e restituendo alla collettività nuovi spazi pubblici. Il progetto della riqualificazione della fabbrica procede per fasi seguendo un procedimento metodologico: a partire dall’ analisi del territorio di Mira e delle relazioni esistenti tra il contesto e la fabbrica, sono emerse alcune riflessioni circa le caratteristiche esigenze dell’area. Abbiamo cercato di studiare la reazione di alcuni degli aspetti più importanti del sito, ponendo particolare attenzione alla riconfigurazione della Riviera del Brenta nella sua connotazione originale di “riva veneziana”, sulla riconnessione dei grandi volumi riutilizzati della fabbrica attraverso un tessuto connettivo più denso ed organico, alla possibilità di creare dei landmark riconoscibili a scala territoriale, la creazione di nuovi spazi pubblici coerenti con le esigenze di Mira. Sulla base di queste analisi sono stati individuati dei modelli urbani di riferimento che potessero rispondere a proprio modo ad ognuna di esse. Sono stati sperimentati ed applicati all’area di studio 8 modelli tra i più conosciuti interventi di architettura urbana, propri di contesti spaziali e temporali differenti, tratti dall’opera di Eisenman, Ito, Sejima , Koolhaas, Mateus e di architetti paesaggisti come Sørensen e Martha Schwartz. Da questi sono scaturiti 8 modelli di studio che sono stati inseriti nell’area di progetto per misurarne le reazioni a scala territoriale: fronte continuo, singoli elementi forti, alta densità, no-stop city, sovrastruttura, dual layer, codice a barre, bridge city. Dall’applicazione di ogni modello all’area di progetto, scaturiscono relazioni con il contesto e gli elementi del territorio, trasformandone e modificandone il ruolo e l’aspetto originari. Lo studio dei diversi esempi è stato affrontato grazie al supporto di prove grafiche e modelli concettuali che ci hanno permesso di individuare le peculiarità di ognuno di essi e le potenzialità dell'area di progetto.
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Tali esercitazioni hanno infatti consentito di sperimentare, caso per caso, un diverso rapporto con l’edificato residenziale oltre il fiume, con i manufatti industriali, diverse connotazioni per gli spazi pubblici, nonchè un differente ruolo a scala territoriale. Queste riflessioni, confrontate tra loro, hanno consentito di individuare tra le possibili combinazioni di elementi, quella che maggiormente ci sembrava rispondere alla natura e alle esigenze del contesto inizialmente analizzate: la questione architettonica ed etica è dunque stata affrontata attraverso un approccio metodologico mirato al recupero degli spazi urbani.
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planimetria, sezione e viste del modello studio
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1. fronte continuo Questo primo modello, detto “fronte continuo”, prende ispirazione dal passato, ovvero dall’originaria connotazione della riviera del Brenta, considerata come ideale continuazione del Canal Grande. Prendendo spunto da una stampa del Volkamer, abbiamo voluto ricreare lo stretto legame che intercorreva tra gli edifici e la riva del naviglio. Tutte le ville si succedevano collegate dai muri di recinzione, andando a formare un vero e proprio fronte continuo, una quinta scenica, limitando lo spazio pubblico tra il fiume e le ville stesse. In questo modo si restituisce alla riva il ruolo di spazio principale e ben definito della vita pubblica. Questo modello favorisce una ricostruzione compatta ed unitaria del fronte lungo il Brenta, ma allo stesso tempo rende l'intera area impenetrabile allo sguardo. Non solo, l'area diventa parzialmente impenetrabile anche per quanto riguarda le relazioni che si potrebbero instaurare con gli elementi urbani limitrofi. Inoltre, trattandosi di un sistema estendibile a tutta la riviera, tende a togliere specificità all'aera della Mira Lanza; risulta essere indifferente al contesto, specialmente nei confronti dell’altra riva (in particolare con Villa Contarini dei Leoni e con la chiesa), e non crea alcun dialogo con la Seriola, la fabbrica e tutto il territorio retrostante.
J. C. Volkamer, la riviera del Brenta, stampa
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2. singoli elementi forti Gli elementi che caratterizzano questo modello sono due oggetti completamente fuori scala rispetto alla scala urbana di Mira: architetture puntuali come landmark immediatamente riconoscibili nel territorio da notevole distanza, che lavorano da punti di controllo alla scala del piano territoriale. Questo modello può trovare riferimento con gli edifici progettati da Oscar Niemeyer che incidono sulla "piazza dei tre poteri" di Brasilia. Può anche essere ricollegato alle esperiene di Gianugo Polesello o ad alcuni interventi palladiani del '500. Lavorando su un rapporto di scala ampliato, questo approcio trova una risposta molto forte con il sistema territoriale e non con il sistema di Mira centro. Questa monumentalità comporta intrinsecamente la presa di posizione in quanto identità ed entità del singolo elemento forte, a scapito degli elementi d’interesse esistenti e ad esso limitrofi, annullandoli quasi totalmente. Non costruisce dunque relazioni con il contesto immediato, bensì si impone su larga scala cercando relazioni con le vicine città di Padova e Venezia. La forte espansione dello spazio a terra consente la valorizzazione degli spazi aperti, ma fa perdere la percezione del caratteristico ‘lungo fiume’.
O. Niemeyer, Palazzo del Parlamento, Brasilia
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3. alta densità Il modello trae le sue caratteristiche da un brano del tessuto veneziano, individuato tra due rii. In particolare, fa riferimento alla zona compresa tra il rio della Misericordia e rio della Sensa. Questi due canali del Sestiere di Cannaregio richiamano la situazione originaria del sistema Brenta Seriola, rispettivamente canale principale e canale di servizio a servizio delle ville lungo la Riviera. La scelta di inserire un brano di Venezia, è nata dalla volontà di ricreare il forte legame tra gli edifici e l'acqua, rispondendo anche alla possibilità di densificazione del tessuto urbano di Mira. Questa condizione restituisce ritmo al fronte e la dimensione propria della fondamenta: ripristina il dialogo con il Brenta e con la Seriola, attraverso un doppio fronte compatto. Questo fronte diviene confine netto tra interno ed esterno, definendo un sistema introverso in cui lo spazio si dilata solo nelle corti interne: ricuce il tessuto urbano arricchendolo con forme compatte ma permeabili, dove gli spazi pubblici sono interstiziali. Si tratta dunque di un organismo parassita che sfrutta tutto lo spazio disponibile, generando un labirinto dove il “perdersi” diventa la condizione principe. Con questa struttura i poli attrattori esistenti sulla riva opposta del fiume mantengono la propria forza.
Venezia, fotopiano
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4. no-stop city Questo modello utopico di città diffusa è stato sviluppato all’inizio degli anni '70 ad opera del gruppo Archizoom, dove la ripetizione di un modulo, anche all'infinito, da forma alla città. Da esso scaturivano riflessioni circa l’idea di una crescita illimitata della città a scapito degli spazi aperti, divenendo una struttura residenziale continua priva di spazi vuoti. Applicare questo modello non è stata una totale invenzione, perché il territorio di Mira è un territorio che nasce dalla centuriazione romana; e la centuriazione romana altro non è che una griglia modulare che organizzava la colonizzazione. Ma questo metodo insediativo rimanda a tutta quella parte dell'urbanistica e dell'architettura che lavora con l'idea della ripetizione modulare (ne sono esempio le grandi città coloniali sudamericane oppure la griglia jeffersoniana). Si tratta dunque di un processo ripetibile ed estendibile a tutto il territorio, all’interno del quale si rafforzano le eccezioni urbane, a scapito della perdita di specificità degli spazi urbani: non esiste più nemmeno un centro urbano definito. Si riscontra una certa monotonia dell’insieme dove il fronte lungo il Brenta viene ricostruito in modo quasi passivo. Il sistema, in mancanza di grandi spazi pubblici aperti, è caratterizzato da un’alta permeabilità degli spazi interstiziali, dove il vuoto diventa il collante. Un dato interessante è la sua pervasività: questo è un sistema che ha la capacità di strutturare delle relazioni a scala territoriale.
Archizoom, No stop city, modello
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5. sovrastruttura Il modello prevede una grande ed unica sovrastruttura ispirata al progetto per Le Fresnoy - Studio national des arts contemporains di Bernard Tschumi a Tourcoing, città non molto distante da Lille. Il progetto risultò vincitore di un concorso del 1990 per la riqualificazione di un mitico complesso di edifici adibiti all'intrattenimento dal 1905 al 1984: un teatro, sale da ballo, piste da pattinaggio, sale da gioco, ring per la boxe, brasserie. L'intento di Tschumi fu quello di voler conservare l'esistente, riabilitarlo e ricombinarlo come un insieme unitario. Questo nuovo elemento si sovrappone all’esistente ricreando una situazione unitaria: l’elemento aggiunto non crea gerarchie e rimane indifferente agli elementi sottostanti. Le relazioni al suolo dunque non cambiano e tutto ciò che sta sotto la sovrastruttura diviene libero e gestibile. Si vengono a creare dei nuovi spazi e percorsi nella zona intermedia, tra gli edifici e la nuova copertura. Questo permette di realizzare una sorta di attico a scala urbana. Ciò che deriva è un sistema estremamente permeabile, amplificando le relazioni tra le rive del Brenta. Il fronte viene restituito alla Riviera da una linea continua: segno che si allunga e da ordine all’insieme quasi caotico degli elementi esistenti sottostanti. Le relazioni sono completamente negate invece agli estremi, dove la struttura diviene finita e impermeabile.
B. Tschumi, Le Fresnoy Art Center, Tourcoing
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6. dual layer Il modello prende spunto dall'ambizioso e monumentale progetto di Rem Koolhaas per il Palm Bay Seafront Hotel and Convention Center di Agadir, Marocco. Dopo il devastante terremoto del 1960, Agadir fu ricostruita come una tipica New Town. Per dare nuovo impulso e una nuova immagine alla sobrietà della nuova Agadir, viene indetto un concorso internazionale per la realizzazione di questo nuovo complesso a ridosso della spiaggia. OMA propone un unico edificio "tagliato" in due parti, un tetto ed un basamento definiti e separati da una grande piazza coperta. Si tratta di un doppio sistema di spazi in cui il vuoto regola i pieni: la sensazione è quella di una stanza urbana generata da una sorta di isolamento interno. Una struttura porosa che interagisce con l’esistente e lo accoglie, mantenendo l’identità degli elementi inglobati ed allo stesso tempo crea un doppio fronte unitario sul Brenta e sulla Seriola. La cosa interessante di questo modello è che lavora principalmente in sezione, quindi si crea una porosità sia verticale che orizzontale. Nel complesso l’intervento appare massivo e rigido, e non reagisce con il contesto e l’altra riva. Questo aspetto è sottolineato anche dal fuori scala del modello che diviene leggibile solo a scala territoriale e non urbana.
OMA, Hotel & Convention Center, Agadir
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7. codice a barre Il modello prevede una serie di elementi a barra disposti trasversalmente all’area di progetto, le cui caratteristiche geometriche e di orientamento sono ogni volta differenti. Questo sistema insediativo è alla base di molti progetti contemporanei, come ad esempio il Sines Center for the Arts di Aires Mateus, che lavora con un sistema di barre. Inoltre, l'orditura del codice a barre si rifà alla suddivisione delle proprietà e dei terreni lungo la riviera del Brenta. La villa sul fronte delimitava un lotto di forma rettangolare che si sviluppava in lunghezza fino alla Seriola. Questo modello genera una situazione nuova rispetto ai modelli precedentemente studiati, sovrascrivendo completamente l'esistente e imponendo delle gerarchie tra i vari elementi. Lo studio ha rivelato un sistema altamente permeabile in cui le varie parti mantengono la propria individualità generando anche spazi aperti estremamente vari. Il fronte viene ricostruito in modo lineare ma attraverso un ritmo non ripetitivo: pur presentando limiti netti e predefiniti la percezione è quella di uno spazio permeabile che genera nuovi coni visivi. L’unidirezionalità delle connessioni che ne derivano risultano forse troppo rigide, ma sicuramente dettano un nuovo principio regolatore, consentendo anche una connessione quasi diretta del Brenta e della Seriola.
Aires Mateus, Sines Center for the Arts
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planimetria, sezione e viste del modello studio
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8. bridge-city L'ottavo ed ultimo modello di studio, è ispirato ai principi del progetto Bridge-City, pensato da Bernard Tschumi per la città di Lausanne nel 1988. Facendo riferimento ai ponti abitati come il Ponte Vecchio di Firenze, Tschumi gioca con la topologia e la tipologia, dando nuove relazioni e nuovi usi ai ponti. L’idea è quella di proporre dei collegamenti tra parti di città tra loro fisicamente distinte per scala e carattere, dove ogni ponte funziona anche come un pezzo di città indipendente, dando vita a delle vere e proprie infrastrutture abitabili. Questo modello si genera per sole addizioni di nuovi elementi, individuati a partire dai fatti urbani principali, creando forti relazioni fisiche tra i poli attrattori esistenti. In questo modo si riesce ad ottenere il superamento dei limiti imposti dal corso d’acqua e dalle differenze tra le connotazioni specifiche degli edifici, riuscendo a connettere in modo forte ed evidente brani diversi di città tra loro disconnessi. Si tratta di un sistema applicabile a tutta la Riviera, ma che non risolve la questione del fronte: questi “elementi connettivi” interrompono la continuità del Brenta e delle sue rive.
B. Tschumi, Bridge city, Lausanne
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addizioni e sottrazioni
mobilitĂ ciclo-pedonale carrabile
edifici dismessi degli anni ‘50
edifici degli anni ‘20
vista del modello insediativo di progetto
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settore logistico
ricerca
settor
Modello insediativo di progetto A seguito degli studi e delle verifiche sperimentali effettuati su ogni modello, abbiamo ottenuto una panoramica più completa delle potenzialità dell’area di progetto, in termini di permeabilità, spazi pubblici, percezione spaziale e relazioni tra le diverse aree. A questo punto, una volta comparati tutti gli aspetti e individuati i principi urbani da seguire, abbiamo proceduto alla stesura di un modello che meglio si confacesse alla natura ed alle esigenze del centro urbano. Il modello insediativo finale di progetto infatti fa particolare riferimento al modello del codice a barre: dallo studio sperimentale risaltava come esso creasse un doppio fronte ed una connessione tra Brenta e Seriola, nuovi coni visivi grazie ad una particolare permeabilità del sistema, nonché una variabilità degli spazi aperti. Questo modello inoltre, dal punta di vista figurativo, da un lato si rifà all’originaria separazione delle proprietà, visibile già nel Catasto Napoleonico, e dall’altro sottolineava la trasposizione del significato del codice a barre, da sempre legato al mondo industriale.
e produttivo villa veneta municipio
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volumi pieni, h=10 m
volumi pieni alberati
volumi virtuali
elementi orizzontali, h=variabile
elementi orizzontali doppi
volumi scatolari
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Studio dei modelli architettonici L’applicazione del modello insediativo scelto ha comportato una cernita degli edifici industriali esistenti, mantenendo le parti più rappresentative dello stabilimento dal punto di vista storico-identitario, del valore economico e delle potenzialità d'uso. La torre piezometrica e la presenza di macchinari originali dell’epoca ad esempio hanno determinato la conservazione di alcuni manufatti; la mole di altri ha comportato riflessioni circa l'impatto ambientale ed economico di un ipotetico smantellamento o recupero e così via. Una volta definite le sorti dell’esistente, si è cercato di definire come si potesse tradurre il sistema insediativo dal punto di vista architettonico. In particolare è stato interessante confrontare tra loro quattro declinazioni di volumi: pieni, virtuali, scatolari, orizzontali. Questi sono stati sperimentati e studiati principalmente grazie all’utilizzo di modelli in scala, che hanno permesso di valutare come ognuno a modo proprio interpretasse la percezione dei manufatti e dello spazio circostante. I volumi pieni sono stati sperimentati a diverse altezze: 20 m (massima altezza degli edifici della fabbrica) e 10 m (altezza media del centro storico di Mira). L'altezza fissa a 10 m ha generato un impatto più mediato ripetto al contesto, risultandone tuttavia un fronte compatto e scarsamente permeabile, che è stato risolto con l'utilizzo di volumi pieni alberati. Altra declinazione sono stati i volumi virtuali, svuotati completamente della propria massa attraverso l’uso di strutture a traliccio o telaio. Il volume si smaterializza alleggerendo di molto l’impatto dei volumi esistenti, creando di contro un paesaggio statico e geometrico in opposizione alle forme organiche della Riviera del Brenta. L'uso di elementi orizzontali sospesi ha consentito di sperimentare uno spazio dinamico e permeabile, specialmente con l'impiego di piastre poste ad altezze differenti. Per aggiungere ulteriore entropia al sistema, sono state sperimentate piastre in dual layer, ovvero creando più livelli di interazione. Ciò ha provocato un certo stravolgimento dell’impatto iniziale dei singoli elementi, rovesciando l’idea di scala, per conferire un nuovo assetto all’equilibrio globale tra esistente e nuovo. Infine lo studio ha sperimentato elementi scatolari pensati come un insieme di involucri che contenessero i manufatti esistenti come semplici oggetti in una scatola. Anche in questo caso la scala degli edifici esistenti perde ogni riferimento e l’effetto che ne deriva è un’enfatizzazione dei coni visivi tra il Brenta e la Seriola e degli scorci all'interno delle scatole.
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modello della soluzione ibrida di progetto
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Conclusioni Lo scopo di questa ricerca è stato quello di offrire una nuova connotazione al fronte del Brenta, nonché la miglior mediazione possibile tra la scala dei manufatti industriali e la scala urbana del centro storico di Mira. E’ stato dunque scelto di prediligere gli elementi orizzontali a piastra ad altezza variabile, in layer singolo e doppio, per la loro flessibilità di utilizzo, sorretti da elementi scatolari trasparenti tali da alleggerirne la massa. Grazie a questi elementi i fabbricati esistenti di notevoli dimensioni ritrovano una maggiore armonia con quelli minori e con il contesto urbano, riuscendo a raggiungere una condizione quasi paritaria, pur mantenendo inalterata l’identità di ogni singolo elemento. Il progetto che ne è derivato risulta essere solo una delle possibili combinazioni di elementi per ottenere una rigenerazione di forma e di uso dell’esistente, scelta sulla base di un’iniziale analisi storica e territoriale del sito oggetto di studio, ma che risponde ad alcuni aspetti per noi preponderanti rispetto al contesto. Auspichiamo che questo tipo di approccio metodologico possa essere d’aiuto per meglio indagare le potenzialità delle tante aree oggi in stato di disuso od uso improprio, e che ad uno sguardo superficiale potrebbero risultare inutili o addirittura obsolete. Ogni luogo ha una storia, e siamo noi a decidere le sorti del suo futuro. In un’era di continua espansione e crescita urbana, com’ è la nostra, la trasformazione dell’esistente verso una nuova entità flessibile e duttile, a scapito della colonizzazione degli spazi aperti, risulta essere l’unico vero metodo per evitare che la teoria della Nostop city degli Archizoom non rimanga solo una teoria utopica, bensì divenga stile del vivere futuro. Il riciclo degli spazi urbani deve essere inteso come un valore aggiunto per le generazioni future.
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fronte lungo la Seriola (a sinistra) fronte lungo il Brenta (sotto)
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RE-CYCLING MIRA LANZA Anna Favaretto Roberto Fulciniti
How can derelict areas be recycled? The Mira Lanza is a historical factory in Italy which dates back to 1837: today most of the buildings are abandoned! Instead of being just an architectural project, our thesis focuses on an abstract exercise of methodological value. The project has investigated the reacting ability of the shape of places and of the single existing buildings after the introduction of different principles of reorganization for the whole area. The tested settlement models move from the renaturalization of the area to the densification of the urban fabric, through the application of strategic rules of framework or neutral or virtual volumes, or of layer on different levels (using reference models taken by great contemporary architects' work such as Eisenman, Ito, Sejima, Koolhaas, Mateus and landscape architects like Sørensen). We tried to prove the reaction of some of the most important aspects of the place with the imposition of abstract models. In particular we focused on: the recomposition or reconfiguration of the front and the skyline of the Riviera del Brenta; the drowning in a more organic and dense connective tissue of the big volumes recovered from the factory; the possible landmark creation on territorial scale; the reformulation of new public spaces. Continuous front has been the first model tested; it is inspired from the age of the Venice patricians, where the Brenta was considered the perfect continuation of the Grand Canal. The villas which were built on the riverfront were surrounded by enclosure walls, setting up a real continuous front, the banks becoming an interesting public space. This model provides a solid and united recon-
struction of the riverfront; at the same time it makes the whole area impenetrable by the relations that might be established with the adjacing urban elements, thus being unresponsive to the context. The second model is Oversize and it is inspired by the domain of monumental architecture works, for example the intervention of O. Niemeyer for the Praça dos Três Poderes in Brasilia, and it is represented by two objects totally out of scale. The introduction of these landmarks makes the site recognizable at a territorial scale. This effect works at the expense of the existing interesting elements which are adjacent to the new landmarks - almost completely nullifying them. The third model High density borrows a part of Venice City that is included between the two canals Rio della Misericordia and Rio della Sensa, similarly to the project area. The consequence is a double connection with river Brenta and Seriola canal. The fourth model is No-stop city and it is inspired by Archizoom's utopian theory dating back to the beginning of the Seventies: the infinite repetition of a module gives a shape to the city. This is a provocation to the idea of an endless growth of the city at the expense of the open spaces, becoming a continuous residential structure without empty spaces. Indeed, the area of Mira arises from the centuriazione romana: a modular grid that organized the lands' settlement. This process is repeatable and expandable to the whole area, in which the urban exceptions are strengthened. This means though the loss of specificity of urban spaces: there are no more defined urban centers. The fifth model is Overlay: it originates from the project for Le Fresnoy by Bernard Tschumi in Tourcoing, in which the aim is to conserve the existing in order to re-instate it as a united combination, through a big overlapping structure. Its application in Mira creates a new organism that brings back together all the single fragments, through an extremely permeable system, amplifying the relations between the Brenta banks. The sixth model is Dual layer: it starts from
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the project of the Convention Centre in Agadir by Rem Koolhaas, in which a big roof and a base generate a new covered square. In the case of Mira it is configured as a porous structure that interacts with the existing elements and that contains them, keeping the identity of the included elements and at the same time it creating a double united front on the Brenta and the Seriola. The most interesting thing of this model is that it mainly works in section, and therefore it creates a porosity which is both horizontal and vertical. The seventh model is the Bar code and it takes as example the Sines Centre by Aires Mateus, adopting a system of plank elements arranged obliquely to the Brenta, giving to the area a new settlement layout through a highly permeable system and new visual cones. The eighth model is the Bridge City: a concept begun by B. Tshumi for Lausanne at the end of the Eighties, that reinterprets the condition of “inhabited bridge� (ref. Ponte Vecchio in Florence). New relations between the two banks of the Brenta and the buildings are provided: the main urban entities, once disconnetted between each other, are now directly connected. Designing the requalification of this large area especially means to cope with a reality rich in identitary historical and current meaning. Precisely the "glorious Mira Lanza" and Calimero's gaze didn't allow us to look at its abandoned, ruined and "out of scale" buildings in a negative way. For example, we found as the best choice to keep most of the existing buildings. Therefore we could regulate their presence through a strong settlement principle which might be able to give back dignity to this urban entity, getting back disused areas as new public spaces. We think that urban recycling is a value for future generations.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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NOTE BIOGRAFICHE
Alfonso Cendron (Mogliano Veneto 1960) laureato nel 1986 presso lo IUAV dove svolge attività didattica e di ricerca, ha collaborato con lo studio Gregotti Associati di Milano ed è stato consulente dell’organizzazione Nazioni Unite di Vienna. Ha insegnato e tenuto conferenze in Italia e all’estero. Svolge attività professionale ottenendo candidature, menzioni e premi in diverse manifestazioni internazionali. È stato invitato all’VIII Mostra Internazionale di Architettura, presso la Biennale di Venezia nel 2002 e alla Mostra Architetti Italiani Under 50, presso la Triennale di Milano nel 2005. È stato finalista del BSI Swiss Architectural Award nel 2008 e finalista alla Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana nel 2009. Ha vinto il Premio Sirica 2012 per la realizzazione di un’architettura sostenibile. Diversi lavori sono stati pubblicati in riviste internazionali. Anna Favaretto (Venezia 1987) frequenta l’Università IUAV di Venezia e, dopo un periodo di studi a Girona presso l’UdG, si laurea con lode in Architettura per il Paesaggio con la tesi Re-cycling Mira Lanza – con relatore R. Bocchi e correlatore A. Cendron - con cui partecipa al premio Archiprix International 2015. Dal 2013 intraprende l'attività di libera professione e la collaborazione con lo studio di architettura del paesaggio Proap Italia, grazie alla quale ha la possibilità di progettare e collaborare con personalità rilevanti nel settore come João Nunes. Roberto Fulciniti (Bolzano 1986) si iscrive all'Università IUAV di Venezia dove si laurea con lode in Architettura per il Paesaggio con la tesi Re-cycling Mira Lanza di cui Renato Bocchi è relatore e Alfonso Cendron correlatore. La tesi viene selezionata dal Dipartimento di Culture del Progetto per partecipare al concorso Archiprix International 2015. Dal 2013 inizia l'attività di libero professionista e collabora con diversi studi a Venezia. Alan Hooper (Glasgow 1960) è architetto e Senior Lecturer/Programme Leader alla Mackintosh School of Architecture, all'interno della Glasgow School of Art (GSA). I suoi principali interessi di ricerca urbana sono legati a Glasgow, sua città natale, e si focalizzano sull'interazione tra la griglia regolare della città e la sua topografia. Ha inoltre tenuto numerose conferenze sulla magistrale Glasgow School of Art di Charles Rennie Mackintosh. Nel 2014 è stato nominato come visiting professor a Guangzhou University, Cina. Nicola Russolo (Motta di Livenza 1989) si iscrive al corso magistrale di Architettura Paesaggio e Sostenibilità all'Università IUAV di Venezia, durante il quale partecipa al programma LLP Erasmus trascorrendo un anno accademico al dipartimento di Architettura della Strathclyde University di Glasgow. Rientrato allo IUAV, si laurea con lode a Luglio 2014 con la tesi Reinventing Clydefront, di cui Renato Bocchi è relatore.
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Finito di stampare nel mese di gennaio del 2015 dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice int.le S.r.l. » di Roma
Studi morfologici per il riciclo della città è il dodicesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. La ricerca è fondata sulla volontà di far cortocircuitare il dibattito scientifico e le richieste concrete di nuove direzioni del costruire, di palesare i nessi tra le strategie di ridefinizione dell’esistente e gli indirizzi della teoria, di guardare al progetto quale volano culturale dei territori. Studi morfologici per il riciclo della città entra nel merito delle modalità progettuali e di indagine della realtà urbana da riciclare. Il quaderno contiene un saggio e due esperienze progettuali – tesi di laurea magistrale IUAV – che indagano la possibilità di ripensare le tecniche del progetto urbano nei termini di una riformulazione aggiornata della manipolazione della morfologia urbana, a partire dal concetto di ri-ciclo. Andando oltre l’idea di “rammendo” e qualsiasi nostalgia per i caratteri della città consolidata, la ricerca propone un’ipotesi per una reinvenzione dello spazio urbano e del sistema di relazioni tra architetture, spazi e tessuti della città e del paesaggio.
ISBN
euro 13,00
978-88-548-8035-1