Il testo è strutturato in tre parti: l'introduzione disegna gli assunti della ricerca, in Re-cycle Italy i coordinatori delle undici Unità di Ricerca definiscono, in una sorta di giro d'Italia, gli accenti e le accezioni di un progetto di revisione del ruolo del progetto. Nella terza parte del volume sono precisati: la struttura della ricerca, il network di ricercatori, partner nazionali e internazionali coinvolti, i casi studio e le attività che verranno svolte in questi tre anni di lavoro.
Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio
Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio è il primo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell'omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l'esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. La ricerca è fondata sulla volontà di far cortocircuitare il dibattito scientifico e le richieste concrete di nuove direzioni del costruire, di palesare i nessi tra le strategie di ridefinizione dell'esistente e gli indirizzi della teoria, di guardare al progetto quale volano culturale dei territori.
Re-It 01
isbn 978-88-548-6267-8
Aracne
euro 24,00
01 Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio
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NUOVI CICLI DI VITA PER ARCHITETTURE E INFRASTRUTTURE DELLA CITTÀ E DEL PAESAGGIO
A CURA DI SARA MARINI VINCENZA SANTANGELO
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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978-88-548-6267-8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre 2013
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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%
Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino
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INDICE
INTRODUZIONE Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture di città e paesaggio Renato Bocchi
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RE-CYCLE ITALY Il Veneto come laboratorio onnicomprensivo del paradigma “riciclo” Aldo Aymonino, Renato Bocchi
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Il Ri.U.SO strategia di sviluppo per le città e il Paese Giorgio Cacciaguerra
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Paesaggi della produzione: uno sfondo problematico Ilaria Valente
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Riciclare grandi telai territoriali Antonio De Rossi, Mauro Berta, Massimo Crotti
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Recycle footprint_Impronta da riciclo Mosè Ricci
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Re-cycle. Coniugare progetto ed ecologia Roberto Secchi
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Riciclare drosscapes a Napoli Carlo Gasparrini
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Planning in the Re-cycle age Maurizio Carta
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Riattivare economie: paesaggi produttivi e reti lente Vincenzo Gioffrè
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Riciclare territori fragili Francesco Garofalo
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Afterwor[l]d Pippo Ciorra
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STRUTTURA DELLA RICERCA Il progetto Tema Obiettivi Stato dell’arte
87 91 95
Network Unità Casi studio Partner
104 150 152
Attività Laboratorio Re-cycle Prodotti Calendario
159 163 167
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INTRODUZIONE
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Giorgio Morandi, Natura morta, 1936. Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo (Parma)
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NUOVI CICLI DI VITA PER ARCHITETTURE E INFRASTRUTTURE DI CITTĂ€ E PAESAGGIO* Renato Bocchi >IUAV
In un articolo comparso sull’inserto domenicale del ÂŤSole 24 OreÂť lo scorso 3 febbraio 2013, al titolo Il valore intrinseco della cultura, il filosofo scozzese John Armstrong commenta l’interessante paphlet di Martha Nussbaum (Not for ProÂąt Princeton 2010, trad. it. Non per proÂątto Il Mulino, Bologna 2011) ove l’autrice lancia un fermo appello al rilancio della cultura umanistica in un mondo sempre piĂš dominato da una cultura tecnocratica, sostenendo con vivaci argomentazioni che “l’interesse di una democrazia moderna prevede sĂŹ un’economia forte (‌) ma che proprio tale interesse economico richiede l’apporto degli studi umanistici e artistici allo scopo di promuovere un clima di attenta e responsabile disponibilitĂ , nonchĂŠ una cultura di innovazione creativaâ€?. A partire da queste argomentazioni, Armstrong sottolinea come “le discipline umanistiche possano senz’altro – come sostiene Nussbaum – fungere da fondamento della democrazia, o – come penso io – promuovere l’economia stessa o, ancora – come pensa lo storico Tom Griffiths –, aiutarci ad affrontare problemi ambientali di lungo corsoâ€?. Ma soggiunge che “tutti questi benefici sono accessibili solo ove le discipline umanistiche siano in grado di coinvolgere in profonditĂ un pubblico vasto e diversifica-
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toâ€?, introducendo il problema della socializzazione dei saperi e del confronto diretto con il tessuto socio-politico. L’architettura e l’urbanistica io penso si possano e si debbano senz’altro annoverare nel dominio delle humanities, come lo stesso Armstrong afferma altrove (Reformation and Renaissance. New /ife for +umanities Griffith Review, 2011), ma – proprio per il loro forte coinvolgimento con le politiche socio-economiche – non possano prescindere da quel confronto intenso e fondante con la pubblica opinione che Armstrong invoca come linfa del “valore intrinseco della culturaâ€? cui il suo ragionamento si richiama; e in questo senso il loro rinnovamento è non solo auspicabile ma necessario alla loro sopravvivenza. Inoltre, per la loro vicinanza e complementaritĂ con le tecniche e le tecnologie, e per la loro vocazione progettuale, l’architettura e l’urbanistica sono direttamente coinvolte nella produzione di strumenti d’intervento per la trasformazione. Ăˆ qui che un loro contributo all’ideazione di nuovi cicli di vita nelle architetture, nelle cittĂ , nei paesaggi, diviene imprescindibile. Ed è proprio in quelle intrecciate culture del progetto cui il nostro Dipartimento veneziano si richiama come propria missione precipua, che risiede il nocciolo della ricerca interdisciplinare che oggi presentiamo: una ricerca che vuol essere fortemente operativa, ossia incidente nel reale, ma in senso progettuale, appunto, cioè “proiettivo e creativoâ€?, e non tanto o non solo in senso tecnico. Il programma triennale di ricerca Re-cycle Italy – finanziato dal MIUR per l’area 08 e che coinvolge oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in ben 11 universitĂ italiane – ha l’ambizione di operare su questa linea di integrazione fra le istanze di “cultura intrinsecaâ€? provenienti dalla riflessione sui fondamenti e sul ruolo delle discipline “umanisticheâ€? del progetto architettonico urbano e del paesaggio, e l’urgente domanda proveniente dalla societĂ contemporanea di trovare modi e metodi per arrestare i fenomeni di consumo di suolo e di spreco delle risorse e per affermare, anche nel campo delle trasformazioni edilizie urbane e del paesaggio, una “eco-logicaâ€? ispirata ai concetti della triade Reduce-Reuse-Recycle, ormai largamente affermata nel campo della cosiddetta Green Economy. Nelle strategie della rigenerazione urbana e del paesaggio, alle tre R del cosiddetto “riciclo ecoefficienteâ€? appena richiamate sembrano cosĂŹ poter-
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si utilmente accostare le tre E delle piĂš illuminate posizioni etico-politiche: Economy ETuity Environment ovverosia, in altre parole, crescita economica congiunta a equitĂ sociale e a rispetto e tutela dell’ambiente. In nome del grande mito dei nostri giorni: la sostenibilitĂ dei processi trasformativi, ovvero – come suonava l’appello dell’americana Bruntland Commission giĂ nel 1987: “riuscire a soddisfare i bisogni del presente senza compromettere quelli delle generazioni futureâ€?. Il tema Re-cycling non è certo nuovo e ha giĂ precedenti “mediaticiâ€? importanti, cui la nostra ricerca fa riferimento: citerò per tutti la vera e propria campagna mediatica lanciata dall’architetto americano William McDonough in base allo slogan Cradle to Cradle (che prospetta la generazione di un nuovo ciclo di vita per i prodotti, applicando ai processi industriali criteri di tipo biologico, secondo un passaggio da uno stato all’altro, quasi senza perdita di energia), e sul fronte italiano la riflessione proposta al MAXXI di Roma con la mostra Re-cycle. Strategie per lÂŞarchitettura la cittĂ e il pianeta (a cura di Pippo Ciorra ed altri studiosi italiani, che sono parte integrante del nostro stesso gruppo di ricerca). La ricerca vuole soprattutto trovare strumenti per dare un nuovo senso e un nuovo uso a quanto giĂ esiste nel nostro territorio, nel nostro paesaggio, nelle nostre cittĂ , dare nuova vita a ciò che è scartato o abbandonato, annullando il piĂš possibile i processi di waste. Ma la scommessa, che può darle una patina di effettiva innovativitĂ , riposa nel saper rintracciare nei modi di agire delle nostre discipline progettuali – dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio – la capacitĂ di far germinare nuovi cicli vitali nella “natura mortaâ€? dei nostri territori sempre piĂš cementificati (cfr. i dati impressionanti del recente rapporto ISPRA). Ho trovato sempre affascinante che quella che noi chiamiamo “natura mortaâ€? suoni in inglese (e ancor prima in olandese) “still lifeâ€?, cioè “quietamente vivaâ€?, o – forzando l’etimo, proprio all’opposto della definizione in uso da noi – “ancora vivaâ€?. Potrebbe dirsi un po' il simbolo della nostra ricerca: trasformare la materia ormai inerte in risorsa per nuovi cicli di vita, al modo in cui Morandi trasfigurava le sue “nature morteâ€?. Questo è il significato profondo – mi pare – del concetto di riciclo. Come ha scritto Pippo Ciorra nell’introduzione alla sua mostra al MAXXI: “ricostruire invece di costruire: costruire sopra intorno dentro addosso, con i materiali di scarto; abitare la rovina invece di costruire; rinaturalizzare invece che riurbanizzareâ€?.
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Il tema è evidentemente tutt’altro che nuovo, ha anzi una storia antichissima, come in quello stesso catalogo ha spiegato Alberto Ferlenga, ma quel che noi speriamo è che porre al centro dell’attenzione l’idea di “istituire nuovi cicli di vita” per i materiali della città e del territorio possa aiutare a superare sia le debolezze delle pratiche correnti del recupero o della “modificazione” degli assetti urbani o paesistici, sia le logiche puramente difensive della “tutela” di quanto ha conservato maggiore integrità nel corso dei processi di trasformazione, sia i tecnicismi di interventi d’urgenza e di pura “chirurgia” – accettando quindi un dialogo franco con le logiche dello sviluppo e della crescita economica, ma partendo da una ferma volontà di affermare i valori di “cultura intrinseca” connessi ai concetti di architettura, città, paesaggio, e i valori di sostenibilità ambientale ormai irrinunciabili e prioritari in ogni azione progettuale e trasformativa. È qui allora che il concetto di riciclo applicato ai temi dell’architettura, della città e del paesaggio, può passare da puro termine tecnico a parolachiave per cercare rinnovate strategie e strumenti (progettuali) per la rigenerazione cui aspiriamo, considerando non solo i materiali di scarto dei processi di trasformazione recente (che chiamano in causa temi ormai assai frequentati quali quelli delle aree e delle infrastrutture dismesse, dei wasteland, dei brown±eld; e d’altro lato lo sprawl degli insediamenti diffusi nel territorio, con tutti gli aspetti di spreco ma pure di embodied energy che si portano dietro), ma anche gli stessi lacerti “inerti” delle geografie territoriali preesistenti coinvolte in processi di abbandono, di emarginazione e di rifiuto (quelli che la storica Antonella Tarpino ha giustamente chiamato “spaesati” – cfr. Tarpino A., Spaesati. Luoghi dell’Italia in abbandono tra memoria e futuro, Einaudi, Torino 2012), ovvero i territori fragili, le venature dei fiumi e delle reti idrografiche, le tracce lasciate in eredità – talvolta più alle comunità che ai luoghi stessi – dai cicli della storia (un riciclo più metaforico, se si vuole, ma altrettanto strategico). Questo per chiarire che quando insistiamo sul tema del riciclo in architettura, città o paesaggio – sia che pensiamo a processi cosiddetti di upcyle, downcycle o hypercycle, mutuando la terminologia del riciclo ecoefficiente sia che ci riferiamo al manifesto Cradle to cradle proposto da William McDonough assieme al chimico Michael Braungart – tendiamo a trovare strumenti per innescare processi di rigenerazione (nuovi cicli di vita) sia dentro la materia stessa dell’architettura urbana sia dentro la materia e i vuoti dello sprawl territoriale (dai capannoni più o meno abbandonati
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all’edilizia sparsa della città diffusa) sia dentro le tracce più immateriali dei paesaggi dell’abbandono o della memoria sia infine dentro la materia più originariamente fondante le geografie territoriali ovvero il “paesaggio come infrastruttura”. In questo campo vasto di riflessione riposa la scommessa di rinvigorire quella “cultura intrinseca” di cui parla Armstrong, invocando un nuovo ruolo delle discipline umanistiche confrontato con la società e le comunità, ossia di attivare quel “riconoscimento del paesaggio in ogni luogo come elemento importante per la qualità della vita delle popolazioni: nei territori degradati come in quelli di grande qualità, nei luoghi considerati come eccezionali, come in quelli della vita quotidiana”, così come recita il preambolo della Convenzione Europea del Paesaggio. * Il testo ripropone l'omonimo intervento presentato in occasione del Convegno Re-cycle Italy, Università Iuav di Venezia, Palazzo Badoer, 15 febbraio 2013, Venezia.
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RE-CYCLE ITALY
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Sissi Cesira Roselli, Instaproject, Brescia 2012
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IL VENETO COME LABORATORIO ONNICOMPRENSIVO DEL PARADIGMA “RICICLO” Aldo Aymonino, Renato Bocchi >IUAV
Il gruppo di ricercatori dell’Iuav intende affrontare la ricerca su alcuni piani distinti, ma convergenti sia per l’unità della ricognizione di campo sul territorio regionale veneto (con particolare attenzione alla tranche centroorientale del bacino del Piave), assunto come “laboratorio onnicomprensivo” per la sperimentazione delle strategie di riciclo urbano-paesistico, sia soprattutto per l’assunzione del “nuovo ciclo di vita” come comune denominatore e quindi parola-chiave per l’attuazione di strategie di riciclo delle risorse edilizie, urbane e paesaggistiche esistenti, puntando in ogni caso a strategie profondamente e creativamente innovative dello status quo e perciò non appiattite su logiche di semplice “miglioria”. Questo generale intento è applicato nella prima fase ad alcuni campi di ricerca su cui si sono già compiute ricognizioni preliminari e che si cercherà di far convergere in un quadro di confronto e di integrazione più complesso, descritte di seguito sinteticamente. I differenti campi di ricerca tendono a disegnare un’interpretazione complessa dei fenomeni di trasformazione dei territori veneti e da questa deri-
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vare una o più “visioni” strategiche delle potenzialità trasformative fondabili secondo la chiave operativa del riciclo e cioè l’istituzione di nuovi “cicli di vita” sia attraverso interventi mirati di “agopuntura” edilizia, urbana e territoriale, sia attraverso nuovi modelli di ridisegno delle realtà insediative esistenti. Campi di ricerca 1. La rilevazione e la messa in valore, in un nuovo quadro di “riciclo strategico”, delle tracce immateriali e di memoria nonché dei reperti materiali, ereditati – particolarmente nei territori che vanno dalla linea del Piave fino al Montello e all’altopiano dei Sette Comuni, e d’altro lato dalla linea del Piave verso la regione friulana – dai teatri di guerra (soprattutto quelli della Grande Guerra), e dal largo patrimonio militare dismesso dopo la caduta della “cortina di ferro” (ricerche coordinate da Fernanda De Maio, Alberto Ferlenga, Alessandro Santarossa e altri). L’obiettivo è di utilizzare questi “reperti” materiali o immateriali ai fini di una ri-lettura dei paesaggi che – pur tenendo in conto le attività socio-economiche contemporanee e la struttura diffusa dei nuovi insediamenti – ridia senso e identità a tali territori (anche nella loro nuova dimensione turistica) proprio a partire da un’eredità culturale radicata, anche se parzialmente obliterata, riconducibile alla loro particolare storia, e alla peculiare lettura a tutto campo del paesaggio e dei suoi caratteri percettivi che la strategia bellica ha di fatto disegnato quasi indelebilmente su tali territori (in quanto “teatri di guerra”). E ciò considerando “progetti di sistema”, piuttosto che singoli interventi di riuso o recupero di specifiche aree o fabbriche abbandonate. 2. La rilevazione e la messa in valore, in un nuovo quadro di “riciclo strategico”, di alcuni elementi-chiave dell’infrastruttura geograficoambientale che caratterizza alcuni paesaggi del Veneto centro-orientale, con particolare attenzione al fiume Piave e al suo bacino, dall’area montana del Cadore all’area pedemontana dei colli trevigiani fino alle pianure oggetto della bonifica nei pressi della laguna veneta (ricerche coordinate da Carlo Magnani, Margherita Vanore, Stefano Rocchetto, Emanuel Lancerini). Nell’indagine di questa sezione territoriale – dove il fiume Piave (carico di valori simbolici, perché “sacro alla Patria”, e di valori storico-ambientali) ha subìto un inesorabile processo di degrado
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e di emarginazione, fino ad essere un personaggio ormai nascosto e silenzioso dei processi di assetto territoriale che riappare come protagonista soltanto in occasione di eventi calamitosi di dissesto idrogeologico – l’obiettivo è quello di impostare strategie di “riciclo strategico territoriale e paesaggistico” capaci di ridare un senso e una presenza attiva al fiume nell’ambito di un sistema di relazioni di prossimità e pertanto entro politiche di rilancio dell’infrastruttura-paesaggio come “territorio lento”. 3. La rilevazione e la messa in valore, in un nuovo quadro di “riciclo strategico”, dell’infrastruttura di “welfare” presente nell’urbanizzazione policentrica della cosiddetta “città diffusa” veneta, ossia di tutte quelle attrezzature pubbliche e sociali a varie scale che si sono via via insediate – spesso secondo politiche localizzative segregate ma spesso anche secondo ipotesi innovative e sperimentali di progettazione – nelle maglie slabbrate degli insediamenti diffusi (ricerche coordinate da Maria Chiara Tosi e Stefano Munarin). L’obiettivo strategico si fonda sul ripensamento radicale dei livelli di “accessibilità” e di interazione fra gli insediamenti e questa rete di “infrastrutture secondarie”, che sia capace di ripensare il funzionamento complessivo della “città diffusa”, e rimettere in discussione il suo “sistema insediativo”. 4. La rilevazione e la messa in valore, in un nuovo quadro di “riciclo strategico”, delle risorse territoriali della “città diffusa veneta” nei suoi aspetti di tessuto residenziale e produttivo a larghe maglie, interpretate secondo il valore di “embodied energy” in esse incorporate (ricerche coordinate da Paola Viganò, Lorenzo Fabian e altri). Il progetto di un territorio consapevole del tema energetico è un progetto di stratificazione che porta in superficie la porosità dei diversi materiali e tessuti urbani, la loro capacità di assorbire trasformazioni spaziali e costruttive: la ricerca intende mostrare non tanto ciò che le diverse componenti territoriali producono nelle condizioni attuali, ma ciò che potrebbero produrre se l’insieme del “lavoro morto”in esse materializzato fosse preso in considerazione adeguata. Molti indizi indicano che i luoghi dell’abbandono, che hanno concluso il loro ciclo di vita potrebbero stabilire relazioni nuove con il “lavoro vivo”: consen-
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tendo di adeguare l’abitabilità urbana e territoriale, riducendo i rischi, aumentando l’efficienza, modernizzando le infrastrutture. 5. La rilevazione e la messa in valore, in un nuovo quadro di “riciclo strategico”, degli spazi del lavoro abbandonati, dismessi, obsoleti o in via di metabolizzazione, dentro la trama insediativa del territorio veneto – con particolare attenzione ai territori del Veneto centro-orientale e della Pedemontana veneta (ricerche coordinate da Sara Marini, Enrico Fontanari, Renato Bocchi, Luigi Latini). Nella letteratura di settore tre traiettorie disegnano la revisione dei processi di trasformazione: i paesaggi dell’abbandono, il riciclaggio dell’ esistente e la città e il suo metabolismo. Si guarda ai “rifiuti” presenti nei territori – spazi, architetture, infrastrutture inabitati, abbandonati, mai utilizzati – quali brandelli di senso che chiedono un ripensamento del progetto che li ha generati; e ancora gli stessi brandelli si offrono quale “materia prima” da riciclare. In alcuni casi si tratta di scegliere cosa salvare, su cosa investire, da quale brandello partire per scrivere un’altra storia, spesso si tratta di decidere soltanto che cosa perdere. Ciò implica mettere a punto strumenti e modelli di azione sull’esistente capaci di indicare linee di possibile rigenerazione che ripensino radicalmente i modi di consistere – fisici e d’uso – delle strutture esistenti e obsolete, anche riconsiderando il valore per lungo tempo trascurato del bene-paesaggio come sostanziale nel disegno dei nuovi cicli di vita. 6. La rilevazione e la messa in valore, nell’ottica del “riciclo”, dei modelli di cultura materiale e delle tecnologie (low tech) connesse con le tradizioni tipologico-costruttive (ricerche coordinate da Roberta Albiero e Giovanni Mucelli). La pratica del riciclo, in termini più prettamente materiali, ma anche con riferimento a questioni più immateriali legate alla tradizione tipologico-costruttiva, propone infatti – nell’ambito delle ricerche occasionate dalla crisi ambientale, energetica ed economica – un ripensamento rivolto alla sostenibilità dei processi edilizi e insediativi, che contempla spesso la riconsiderazione di azioni capillari di “educazione alla costruzione” impostate su profili “low cost” e “low tech”, capaci di confrontarsi in modo rinnovato con i caratteri storico-ambientali.
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Le ricerche suddette sono strettamente connesse alla collaborazione con alcuni partner di enti nazionali e territoriali coinvolti nella ricerca. In particolare, una strategia comune di riflessione sul campo del Veneto centrale, e connessa con il bacino del Piave, è da tempo oggetto di collaborazione con la Fondazione Francesco Fabbri, con sede a Pieve di Soligo (e in particolare con gli architetti Roberto Masiero e Claudio Bertorelli, membri del comitato direttivo della Fondazione), nonché col Centro Studi Usine di Vittorio Veneto, e con i festival cui la Fondazione partecipa attivamente (in ispecie il Festival Comodamente). Forme di collaborazione sono allo studio, inoltre, sia con l’Associazione Nazionale per le Aree Dismesse (AUDIS) sia con la VESTA (azienda per lo smaltimento dei rifiuti della Provincia di Venezia) sia con altri enti territoriali del Veneto e dell’Emilia-Romagna.
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M. Armani, Madonna Bianca, Trento, anni ’80
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IL RI.U.SO STRATEGIA DI SVILUPPO PER LE CITTÀ E IL PAESE Giorgio Cacciaguerra >UNITN
A far data dal Marzo 2012 il tema della Rigenerazione urbana sostenibile per città e territori è stato individuato dal progetto lanciato dagli Architetti italiani assieme all’Ance, Lega Ambiente ed Urban-pro, poi divenuto Patto per le Città sottoscritto insieme a Confcommercio ed Unioncamere, come fondamentale per le politiche di sviluppo del paese, e come uno dei temi nodali per la ripresa del paese e come prossima prospettiva di lavoro per i giovani. Gli obiettivi del Piano che sta sostanziandosi in proposte pur settoriali ma idonee si basano su un progetto integrato sulla città capace (come si evince dal documento di presentazione di Leopoldo Freyrie) “di mettere assieme la rigenerazione degli spazi pubblici con il riciclo virtuoso di materiali e rifiuti, il risparmio energetico ed idrico con la qualità della architettura, la mobilità intelligente e la sicurezza del costruito” in uno con il recupero alla funzione urbana di aree demaniali dismesse, siano esse portuali militari, produttive od altro riconduce a riconversione qualitativa dell’habitat e nel contempo fruttuoso investimento economico. Il progetto ha avuto la adesione immediata del governo Monti con il Ministro alle Infrastrutture Passera ed il finanziamento interventi in 28 Comuni per oltre 300 milioni di euro editando una serie di interventi frutto del
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Piano città. Una sorta di provvedimento tampone pubblicitario per sbloccare il deposito di grossi progetti di trasformazione urbana in Italia da anni giacenti in ministero, nell’assunta convinzione dimostrando se ve ne fosse ancora bisogno che rigenerazione e sviluppo vanno a braccetto. Un provvedimento spot, non un progetto legislativo e pianificatorio di ampio respiro. Nel Dicembre 2012 gli on. La Loggia, Lanzillotta ed altri avviano in sinergia bipartizan nelle commissioni camera e senato la proposta di legge “Norme per il contenimento del consumo del suolo e la rigenerazione urbana” proposta con alcuni spunti innovativi nei principi generali e negli articoli relativi alla perequazione urbanistica e territoriale, ai criteri di compensazione ed incentivazione urbanistica alla fiscalità urbanistica ed altro. Un primo tentativo legislativo organico di rivedere organicamente il modello di urbanizzazione fondato sulla continua espansione edilizia in crisi irreversibile. Come indicatore dell’inversione di tendenza e dell’assunzione di nuove coscienza nel settore appare evidente dal fatto che nella recente campagna elettorale nei programmi di ogni partito o movimento politico erano presenti programmi inerenti politiche di risparmio del territorio e di rigenerazione urbana. Il Consiglio Nazionale Architetti Paesaggisti Pianificatori e Conservatori, partecipa al PRIN, in sinergia con il DICAM di Trento, con cui sta portando avanti una ricerca documentale con un duplice obiettivo, d’un lato individuare innovative procedure legislative che svincolino dalla progressività e scalarità degli strumenti urbanistici classi della Legge Urbanistica 1150/42 che producono tempistiche bibliche, alla ricerca di percorsi snelli trasparenti ed efficaci per la trasformazione urbana, dall’altro analizzare con attenzione le esperienze straniere poste in essere nel settore ai fini di definire le caratteristiche di intervento pubblico-privato tale da sostanziare impulso economico agli interventi. Rigenerazione e sviluppo economico rappresentano due aspetti sinergici che producono fruttuosi investimenti economici come ci insegnano interventi in essere in Germania, Svezia, Francia, ecc.. I tre step della ricerca sono rivolti: – alla definizione della attuale legislazione statale e regionale in materia urbanistica; – alla ricerca di una proposizione legislativa esauriente con strumenti urbanistici adeguati;
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– alla analisi e codificazione degli esempi concreti di rigenerazione realizzati o in corso di attuazione nelle realtà europee. In sintesi “Modi di intervento pubblico privato con ricorso alla perequazione compensativa alla ricerca di soluzioni tecnico amministrative in grado di garantire un’attuazione semplificata e tempi certi” (Prof. Ferruccio Favaron). Ogni realtà urbana di qualsiasi dimensione, fermo restando il disegno strutturale di governo del territorio, deve poter rivedere il proprio assetto con procedure accorte ma snelle e a tempistiche contenute. Gruppo lavoro Dicam Trento: Cacciaguerra, Battaino, Zecchin. Gruppo lavoro CNA: Favaron, Marata, Gallione ed altri.
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Giovanni H채nninen, Alzano, 2013
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PAESAGGI DELLA PRODUZIONE: UNO SFONDO PROBLEMATICO Ilaria Valente >POLIMI
L’orizzonte problematico posto dalla ricerca pone in questione alcuni termini. Innanzitutto il termine produzione ovvero la sua declinazione in spazio/spazi della produzione. De Certeau scrive che la “logica della produzione: dal XVIII secolo genera il proprio spazio, pratico e discorsivo, a partire da punti di concentramento: l’ufficio, la fabbrica, la città ricercando la pertinenza dei luoghi che essa crea” (De Certeau M., L invenzione del Tuotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001, p. 281). Ciò ha disposto un particolare patrimonio di manufatti, spazi aperti, suoli, infrastrutture, diversamente articolato e utilizzato nel tempo, di differente consistenza e qualità, di durata variabile. La produzione, come osserva Paola Viganò citando Carlo Cattaneo, è incorporata nello spazio urbanizzato e nei paesaggi e assume forme differenziate (Recycling City, a cura di Fabian L., Giannotti E., Viganò P., Giavedoni, Pordenone 2012). La scelta dei casi studio che l’Unità di Ricerca ha effettuato, indica la ricca, articolata e differente natura attraverso cui si concretizzano le forme della produzione. Si tratta di spazi di diversa consistenza e tipologia: dai capannoni, i cui cicli di realizzazione sono ben individuati nello scritto di Lanzani, Merlini, Zanfi, alle rovine industriali
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che caratterizzano, secondo Zanni, gli odierni paesaggi industriali residuali. Parallelamente, reti e manufatti innervano il suolo, effettivo supporto del paesaggio produttivo. Talune reti (ferroviarie, idriche) sono oggi abbandonate o sottoutilizzate, così il caso del Vallo di Diano descritto da Cozza o, con diverse accentuazioni, i sistemi delle acque che caratterizzano diversi brani del paesaggio italiano trattati da Coppetti, Di Franco, Oldani. Lo spazio della produzione è dunque stratificato: “la differenza che definisce ogni luogo non consiste in una giustapposizione, ma assume la forma di strati embricati. Gli elementi disposti sullo stesso piano sono enumerabili; si offrono all’analisi; formano una superficie trattabile” (De Certeau M., Op. Cit., p. 281). Il “tempo accidentato” dei paesaggi produttivi Gli edifici, le reti, i manufatti che si dispongono discontinuamente nel paesaggio italiano ne rendono manifesta anche una sostanziale diacronia. “Il tempo che passa, divide o connette (e che senza dubbio non è stato mai pensato) non è il tempo programmato” e si presenta come tempo accidentato (Ivi, p. 283) ovvero “quello che si racconta nel discorso effettivo della città: una favola indeterminata, meglio articolata sulle pratiche metaforiche e su luoghi stratificati rispetto all’impero dell’evidenza nella tecnocrazia funzionalista” (Ivi, p. 284). Appaiono, infatti, oggi strutture spaziali che presentano differenti gradi di utilizzo e/o di obsolescenza fisica. Gli spazi della produzione, per questa concepiti e realizzati secondo precise logiche funzionaliste e tecniche, si sono offerti e si offrono oggi a diversi usi potenziali, anche secondo adattabilità diverse, come descrivono Postiglione e Bassanelli. Spazi concepiti per essere l’espressione di una logica produttiva razionalizzata e delimitata, possono divenire terreno fertile per trasformazioni progettuali che ne esprimano le potenzialità d’uso e per pratiche attuabili e attuate in tempi diversi, assumendo che l’uso non è sempre determinabile a-priori ma è per sua natura “un’attività astuta, dispersa, silenziosa” (De Certeau M., Op. Cit., p. 281). Uso, consumo, produzione e la dimensione temporale del costruire Da una prima assunzione e descrizione dei casi studio emergono due questioni degne di essere approfondite, sia sotto il profilo operativo che teorico. Da un lato la dimensione temporale del costruire, dall’altro i temi correlati dell’uso e del consumo (di spazi, costruzioni, suoli). Si tratta di temi fondativi per il terreno dell’architettura, da un lato, per ciò che at-
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tiene i termini della permanenza, della durata e del loro concretizzarsi nelle forme tipiche dello spazio abitato (con tutto ciò che, di conseguenza, precipita nelle formulazioni teoriche disciplinari) e, dall’altro, per ciò che attiene le pratiche del disegno della città, ovvero l’orizzonte della previsione nonché del riuso, recupero, rigenerazione dei tessuti urbani (nelle loro differenti accezioni e ricadute operative, come sottolineato da Gritti e Bovati attraverso la disamina sul riuso avviata da De Carlo). La problematica della dimensione temporale del costruire e, in particolare, il tema del ciclo di vita connesso alle pratiche del costruire sostenibile, pone in causa una differente concezione della temporalità nell’operare progettuale (alle diverse scale). Il costruire sostenibile (dominato dalla coppia produzione/consumo) tende a prefigurare un possibile ordine basato sulla previsione e introduce nel processo progettuale scansioni valutative che ridisegnano radicalmente la stessa natura sintetica del progetto. La durata programmata dell’edificio, in cui il progetto tende a definire il processo di costruzione, in termini di produzione di materiali, di componenti e dell’edificio stesso, nonché la sua gestione (con tutte le azioni correlate per il prolungamento della “vita” dell’edificio in termini di manutenzione, riuso, recupero, conservazione…) fino alla dismissione e al riciclaggio (cfr. Lavagna M., Lyfe Cycle Assesment in Edilizia, Hoepli, Milano 2008), determina un salto epistemologico nella teoria e nella pratica dell’architettura. Ciò perché il progetto assume nelle sue premesse il tema del ±ne vita (dei materiali, dei componenti, dell’edificio stesso), di per sé opposto alla tensione verso la permanenza che da sempre è sottesa alla prassi edificatoria occidentale. Il progetto è dunque portato ad adottare un processo eminentemente scompositivo: componenti, edifici, suoli sono considerati nella loro differente durabilità, parzialmente smontabili, ricomponibili, riconvertibili, vivono tempi e spazi potenzialmente diversi. Proprio per questo è fondamentale comprendere quali forme siano persistenti e come possa essere diversamente coniugato il nesso tra forma e uso laddove entrano con prepotenza i termini della produzione (processuale) e del consumo (dissipativo). Da qui appare necessario procedere alla messa a punto di descrizioni orientate dei tessuti e dei paesaggi, per individuare strutture a differente grado di persistenza. Ciò che sembra persistere, perché diversamente e continuamente inner-
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vato, è il suolo, ovvero la struttura connettiva. Supporto fragile, a rischio, come già sottolineato: perciò la ricerca prevede approfondimenti sui casi studio dagli osservatori disciplinari dedicati delle questioni relative al ciclo urbano delle acque in rapporto ai recenti processi di espansione e densificazione urbana (Becciu, Lamera, Raimondi, Sanfilippo). I casi studio consentono di definire una mappatura in cui il suolo (innervato) viene interpretato come supporto infrastrutturato persistente da sottoporre a cura. Parallelamente, l’intervento sui tessuti mette alla prova le categorie consolidate del progetto di architettura, riportando al centro il portato della modernità (la produzione edilizia, in cui la dialettica produzione/consumo prende forma nella diversa durabilità delle componenti) nelle sue conseguenze (impreviste) nella vita dell’edi±cio, la cui potenziale variabilità è legata allo smontaggio-rimontaggio ciclico dei componenti e alla intensificazione d’uso legata alle nozioni di adattabilità e modi±cazione. I casi studio e il contesto della ricerca* La scarsità delle risorse effettivamente operabili e l’incertezza dei destini riservati ai suoli, ai tessuti e ai manufatti della produzione sono i riferimenti problematici entro i quali l’Unità del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano si è orientata per selezionare i casi studio cui applicare i temi della ricerca. Prioritariamente la scelta è ricaduta su contesti che sono, contemporaneamente e contraddittoriamente, oggetto di processi di consumo di suolo e di fenomeni di abbandono degli spazi urbanizzati. I principali casi studio possono essere descritti attraverso una sezione trasversale della Valle Padana che assume come estremi significativi gli ambiti geografici dove avviene la transizione tra la pianura e i versanti pedemontani. Soggetti privilegiati di esplorazione sono quindi le aree produttive insediate nei fondovalle degli affluenti del Po verso l’arco prealpino da una parte, e verso le dorsali appenniniche dall’altra. Il bacino produttivo un tempo cementiero e poi tessile e manifatturiero della Valle Seriana in Provincia di Bergamo e il distretto ceramico di Sassuolo in Provincia di Modena rappresentano in questo senso due campioni altamente significativi di quella speciale relazione tra contesti ambientali e geografie dei luoghi produzione potenzialmente in grado di rivelare consistenza e portata dei fenomeni che hanno caratterizzato l’urbanizzazione recente nell’intera Valle del Po.
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Lungo questa sezione ideale non assumono rilevanza solo gli estremi. Un ruolo essenziale per lo svolgimento della ricerca è assegnato ai territori dell’area metropolitana milanese. Qui si indagano sia le aree commerciali,direzionali e artigianali disposte negli interstizi dei grandi complessi produttivi oggi dismessi nel bacino urbano compreso tra le città di Sesto San Giovanni e Monza, sia il vasto campionario di luoghi abbandonati e in attesa di un diverso destino, disposti lungo il quadrante orientale della città di Milano. A sostegno della ricerca nei casi studio primari l’Unità del DAStU ha disposto una rete di luoghi e contesti complementari (i centri abitati e i borghi spopolati colpiti dal terremoto in Toscana, in Emilia e in Abruzzo, le reti ferroviarie abbandonate in Campania e in Liguria, i distretti della termoplastica e dell’industria motociclistica in Lombardia, i luoghi della riconversione della produzione siderurgica in Umbria). Sulla mappa del Paese ha preso così forma una costellazione potenziale di paesaggi della produzione oggi riconoscibile grazie a corrispondenze e trame che gli esiti della ricerca consolideranno, preciseranno o smentiranno. A questo scopo l’Unità del Politecnico di Milano ha avanzato specifici accordi di collaborazione con Confindustria Bergamo e i comuni della Media Valle Seriana, l’Amministrazione Provinciale di Modena e il Comune di Sassuolo, l’Audis e i Comuni di Sesto San Giovanni, Monza e Milano, la società Ternienergia (per il caso studio complementare di Nera Montoro in Umbria). Allo stesso tempo un’attiva politica di relazioni con l’ENSA di Marsiglia e di Parigi Belleville, ETSA di Vallés, la TU di Berlino, l’HTWK di Lipsia, la Maastricht University ha preso avvio sia per la partecipazione alla ricerca sui casi studio italiani sia per la corrispondenza tra questi e analoghe situazioni proposte dai partner internazionali. * Testo di Andrea Gritti, responsabile Laboratorio Re-cycle Milano.
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Andrea Delpiano, Grandi Architetture Territoriali del Piemonte
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RICICLARE GRANDI TELAI TERRITORIALI Antonio De Rossi, Mauro Berta, Massimo Crotti >POLITO
La ricerca avviata all’interno dell’Unità di Torino si colloca a valle di un percorso di studi ormai da tempo attivo, che ha programmaticamente e con continuità intrecciato il tema della morfologia insediativa con le armature territoriali antropiche e naturali di lunga permanenza (reti infrastrutturali, sistemi idrografici, caratteri geomorfologici, palinsesti agrari, ecc.), indagando prassi consolidate e strategie possibili di trasformazione e contribuendo a ridisegnare geografie innovative e immagini inedite del territorio piemontese. Geografie e immagini che sovente inoltre – soprattutto nell’ultimo decennio – hanno potuto forzare il quadro agevole, ma ristretto, della ricerca accademica ed approdare all’interno degli strumenti di governo del territorio alle diverse scale, arrivando a incidere di fatto sulle pratiche correnti delle trasformazioni. Alla base di queste esperienze via via accumulate resta un’idea di fondo del ruolo del progetto a lungo sperimentata all’interno dei contesti pubblici, soprattutto nella scuola torinese; un’interpretazione che ne depotenzia il carattere oggettuale di soluzione ad un problema dato, per privilegiarne viceversa il ruolo possibile di “canovaccio” (secondo la nota metafora di Roberto Gabetti e Aimaro Isola), di tavolo aperto cioè, intorno al quale
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radunare attori e razionalità differenti – e sovente conflittuali – materializzando istanze e opzioni all’interno di scenari comunicabili, sui quali misurare i reciproci scarti e definire strategie condivise. È questo un modo di intendere l’agire progettuale che acquisisce oggi, inoltre, una rilevanza particolare, in special modo a fronte dell’esplosione di una crisi strutturale che travolge, oltre ai soggetti privati, il sistema stesso del welfare, rimettendo in discussione ruoli ed equilibri consolidati tra soggetti pubblici e privati e soprattutto modificando i paradigmi stessi su cui fino ad ora sono stati costruiti i modelli di sviluppo, primo fra tutti quello della disponibilità di suolo. Temi: Post sprawl, Nuove geografie, Post welfare L’impronta urbana ha acquisito – dopo la fase esplosiva dello sprawl – dimensioni tali da far pensare che si sia giunti ormai in prossimità dei limiti teorici della sua espansione; al contempo, al suo interno sono già attivi processi rilevanti di selezione e marginalizzazione, che preludono ad una possibile nuova “modificazione” territoriale. Sono già presenti cioè tutti i segnali di una riorganizzazione profonda del territorio che – se da un lato mostra nuovi impulsi alla ricentralizzazione insediativa, alla specializzazione e alla ristrutturazione dei comparti produttivi – dall’altro evidenzia la comparsa di nuove forme di marginalità, di una vera e propria “geografia dell’abbandono”. La contrazione forte della capacità (economica e politica) di intervento pubblico sul territorio, il sostanziale fallimento delle politiche di sviluppo tradizionali, tutte volte unicamente (o quasi) a risollevare la variabile dei consumi, costantemente vista come unico indicatore dello stato di salute della società, e le distorsioni delle politiche fiscali degli ultimi anni hanno infine collocato di fatto il soggetto pubblico nel ruolo ambiguo di attore tra gli attori, sottraendo in parte ad esso il tradizionale compito di gestore e garante del patrimonio collettivo. In questo scenario è allora immaginabile definire i termini generali di una “ritirata strategica”, dell’urbanizzato, intesa come un’opportunità per ripensare le modalità di progettare e costruire il territorio e per ricalibrare e riorientare i modelli di sviluppo; ma anche come una possibilità di riformulare radicalmente la natura stessa del progetto, ponendo al centro il suo ruolo di possibile mediazione culturale, piuttosto che quello di risposta tecnica. Un ruolo che è oggi tanto più centrale nel momento in cui emerge
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con chiarezza (ad esempio dal “DdL quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo”, approvato dal Consiglio dei Ministri nel novembre 2012) la necessità di affiancare alla tradizionale interpretazione estetico-culturale della conservazione del territorio (dei palinsesti, del paesaggio) una necessaria e complementare concretezza sul piano economico, sociale e produttivo, riciclando la risorsa del suolo, a lungo trattato come variabile dipendente dello sviluppo urbano, rimettendolo al centro dei sistemi economici e produttivi. Non si tratta ovviamente, è bene chiarirlo, di una riedizione di procedimenti collaudati di riuso del patrimonio edilizio dismesso, che sono stati a lungo approfonditi in altre stagioni di ricerca. Riciclare, soprattutto alla scala urbana e territoriale, è attività del tutto differente; non finalizzata alla patrimonializzazione o a trovare soluzioni specifiche a problemi contingenti, ma volta piuttosto ad innescare nuovi cicli di vita in cui inserire il patrimonio esistente; e soprattutto indirizzata a modificare le modalità stesse con cui si costruisce il progetto. Senza per questo ricadere in una ingenua mitizzazione della flessibilità, ma mettendo in campo una riflessione molto seria sugli elementi e le armature di lunga permanenza, sui processi di accumulazione e di stratificazione in atto sul territorio, sul ruolo strutturante che i grandi telai territoriali possono giocare nelle politiche di sviluppo urbano sostenibile. I nuovi cicli di vita di cui stiamo parlando non riguardano pertanto esclusivamente i materiali e gli oggetti, ma anche e soprattutto le forme e le configurazioni che il territorio conserva inscritte negli assetti insediativi consolidati, che possono diventare realmente assi portanti di una nuova politica urbana. Strategie progettuali Ciò che si sta proponendo non è in definitiva banalmente la formulazione di una semplice tattica di contenimento, volta ad innestare percorsi virtuosi sulle pratiche ordinarie, ma piuttosto una sorta gioco di simulazione di carattere molto più radicale, che pone al centro l’utilizzo esclusivo del patrimonio disponibile ed ammette come unica regola l’assunzione dell’esistente come materiale fondamentale di progetto. Si tratta pertanto di lavorare su strategie possibili di rimontaggio, e soprattutto sulla definizione di processi di riconoscimento/ricomposizione/ raffigurazione, andando quindi oltre ad una semplice attività di riorganiz-
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zazione o di risemantizzazione e risignificazione dell’esistente. Occorre comprendere e dichiarare quali parti possano essere considerate struttura, in grado di perdurare nel tempo, e quali invece siano suscettibili di cambiamento o, in alternativa, di restituzione a possibili cicli di rinaturalizzazione: reti e linee ad esempio (gli elementi “forti” dell’armatura insediativa) si prestano a durare nel tempo, mentre i “campi” di questi ideali telai possono essere eventualmente una parte più “molle” del tessuto, in grado di modificarsi e trasformarsi. Un cambiamento di strategia, questo, a livello delle politiche territoriali, che viene ad avere ricadute forti soprattutto sui meccanismi di funzionamento delle trasformazioni, sul rapporto tra soggetto pubblico e attori privati, sulle modalità di costruzione e attuazione dei progetto, sulla percezione del paesaggio e sullo stesso apparato normativo, che necessità oggi di radicali interventi di revisione. Assume dunque importanza fondamentale la capacità di comprendere in primo luogo il valore delle grandi “architetture ambientali” (reti delle acque, corridoi ecologici, geomorfologia, ecc.) in quanto elementi primari del disegno territoriale di lunga permanenza e possibili catalizzatori di un progetto di riciclo in grado di rimettere in valore i sistemi ambientali del territorio; anche e soprattutto con una programmatica forzatura di alcuni degli schemi di pensiero correnti, laddove, ad esempio, associare la progettazione urbana – tradizionalmente orientata alla crescita – ad una contrazione dei sistemi urbani può apparire di primo acchito una sorta di ossimoro. Strumenti e sperimentazioni All’interno della ricerca ci si propone di indirizzare l’indagine sul riciclo dei telai territoriali e sulle interazioni con la morfologia insediativa a due tipi diversi di “grandi telai”. Il primo, di natura antropica, è quello delle reti ferroviarie, le cui possibili declinazioni aprono – sul territorio piemontese – occasioni di riflessione molto differenziate ed estremamente attuali, che vanno dalla mobilità intermodale dell’Area Metropolitana Torinese al riuso dei “rami secchi” ferroviari nel cuneese e nel biellese, alle possibili metropolitane vallive leggere in bassa Valle di Susa e Valle d’Aosta, al conflitto tra grandi infrastrutture e territori marginalizzati in Alta Valle di Susa e Valle Scrivia. Il secondo, di origine naturale, è quello dei sistemi idrografici, argomento che intreccia il tema più generale delle continuità ambientali e il ruolo dei parchi come strumento di ridisegno degli assetti insediativi; ma che con-
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sente altresì di introdurre all’interno della riflessione sui cicli di vita del territorio anche il tema del rischio idrogeologico, tradizionalmente isolato nell’assolutezza delle analisi quantitative, utilizzandone il dato analitico per riscrivere in parte i caratteri della geografia insediativa. Partner della ricerca L’Unità di Torino ha avviato contatti con soggetti istituzionali, che rappresentano gli interlocutori fondamentali per chiarire i vari aspetti della ricerca. Allo stato attuale gli Enti partner della ricerca sono: Agenzia per la Mobilità Metropolitana Torino, Città di Torino, Regione Piemonte, Parco fluviale del Po torinese e Parco fluviale di Gesso e Stura, Unioni di comuni. Sono inoltre attivi programmi di scambio con la South China University of Technology of Guangzhou (SCUT) e la Chinese University of Hong Kong (CUHK).
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GENOA BELT (Basic Ecological Light Trasformation) SYSTEM
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RECYCLE FOOTPRINT_ IMPRONTA DA RICICLO Mosè Ricci >UNIGE
Riciclare significa rimettere in circolazione, riutilizzare materiali di scarto, elementi che hanno perso valore e/o significato. È una pratica che consente di ridurre gli sprechi, di limitare la presenza dei rifiuti, di abbattere i costi di smaltimento e di contenere quelli di produzione del nuovo. Riciclare vuol dire, in altri termini, creare nuovo valore e nuovo senso. Un altro ciclo è un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio: un’azione ecologica che spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco. L’architettura e la città si sono sempre riciclate. Esempi come Spalato, come il Teatro di Marcello a Roma o il Duomo di Siracusa, per citare solo tre degli esempi più eclatanti, sono manifesti del riciclo. Non si tratta di restauro: l’idea della conservazione tende a imbalsamare l’immagine dello spazio architettonico o urbano attribuendo valore all’immutabile. Per gli interventi di riciclaggio il cambiamento è il valore, quando riesce a generare figure come quelle che i casi citati hanno saputo esprimere. L’aspetto innovativo della condizione contemporanea risiede nel considerare strategica questa politica per l’architettura, per la città e per i paesaggi derelitti. Il paradigma del riciclo si contrappone a quelli della nuova costruzione
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e della demolizione che hanno dominato il periodo della modernità, ma non banalmente. Ciò che interessa in questa sede è guardare solo alle esperienze che attraverso il riciclo producono cultura della città, bellezza e qualità urbana. La pratica del riciclo degli spazi e dei tessuti urbani è necessariamente contestuale e adattiva. Non si può attuare con tecniche stereotipate o con strumenti tradizionali. Ogni luogo e ogni caso prevedono un progetto diverso. Si potrebbe parlare di diverse tattiche che rispondono a una sola strategia d’intervento. Una strategia orientata all’incremento delle qualità ambientali e di paesaggio nella città e, dall’altro lato, all’erosione della densità delle funzioni metropolitane. Il concetto del riciclo implica una nuova storia e un nuovo corso. Coinvolge la narrazione più che la misura. Il suo campo di riferimento è il paesaggio, non il territorio. L’idea di territorio chiedeva all’architettura quantità, stabilità, persistenza nel tempo e progetti come decisione autoriale, in grado di stabilire la competitività tra i luoghi attraverso la firma d’autore. L’idea di paesaggio, invece, non chiede all’architettura tempi definiti, chiede di poter invecchiare insieme, di cambiare continuamente come continuamente i paesaggi cambiano. E chiede al progetto di essere poliarchico, deciso da molti, condiviso da tanti, di contribuire alla costruzione di quel paesaggio-ritratto, una bellissima immagine di João Nunes, che è il ritratto di una società e non di un autore. Il recycle footprint è l’impronta che precedenti cicli di vita di parti urbane dismesse o abbandonate lasciano sulla città. Rappresenta allo stesso tempo un segno e un valore, una mappa e uno spessore. In altri termini, l’impronta da riciclo è il patrimonio reale che la città che non consuma suolo può spendere sul progetto del proprio futuro. La prima fase della nostra ricerca intende portare alla luce questa ricchezza non riconosciuta. A Genova le aree industriali dismesse costituiscono un’opportunità reale. Si dispongono per la gran parte lungo il fascio di binari abbandonati che le irrorava in una linea intermedia tra il mare e la dorsale montuosa. Occupano una striscia continua che si insinua come una lacuna nella trama del tessuto urbano. Per dare un’idea della rilevanza di questo patrimonio inutilizzato basta un esempio per tutti. Il progetto del nuovo parco scientifico tecnologico di Genova prevede la realizzazione di un nuovo complesso edilizio in cima alla collina degli Erzelli per centri pubblici e privati di formazione e ricerca da circa 104.000 mq. Nella stessa area, ma in zona pianeggiante adiacente
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all’aeroporto, alla ferrovia e al porto ci sono circa 110.000 mq di fabbricati industriali dismessi e già pronti a un nuovo uso. In pratica si costruiscono nuovi edifici per ricercatori e studenti in cima a una collina difficilmente raggiungibile e staccata dalla città quando la stessa superficie esiste già, è in posizione più favorevole e a costi molto più vantaggiosi, ma nessuno la vede. Tutto questo accade non solo perché di un tale patrimonio c’è poca consapevolezza, ma soprattutto perché nel passato recente la città si è disabituata a sviluppare idee per nuovi cicli di vita delle sue parti derelitte o, in altri termini, a una visione del suo futuro come risemantizzazione dell’esistente. Il senso di questa ricerca è proprio quello di identificare le risorse urbane sprecate e dar loro visibilità attraverso un progetto di sviluppo che dalle aree e dai fabbricati abbandonati riesca a trarre nuovi vantaggi per la città. Il nostro programma di lavoro identifica tre fasi metodologiche principali. La prima è appunto quella del rilevamento dell’impronta da riciclo. Il recycle footprint rappresenta la geografia luoghi urbani abbandonati o sottoutilizzati e ne descrive il valore potenziale. In altri termini, per definire l’impronta da riciclo occorre individuarne la forma e il peso sostenuto, stabilire in qualche modo gli ambiti e l’urgenza dell’intervento in relazione ai fattori strategici di convenienza o di rischio per la città. Abbiamo individuato sperimentalmente alcuni parametri essenziali per la definizione del recycle footprint della fascia di dismissione industriale lungo la ferrovia a Genova. Si tratta di indicatori di tipo quantitativo (dimensioni, dati ambientali, dati idrogeologici, ecc.) e qualitativo (titoli di proprietà, valori urbanistici, di mercato, di pericolosità antropica e ambientale, di vulnerabilità, ecc.). Sono parametri che tengono conto del punto di vista delle discipline del progetto (paesaggio-urbanistica-architettura) come dello studio del life cycle assessment applicato alle aree urbane e non ai fabbricati. Inoltre i parametri individuati consentiranno di studiare un sistema di calcolo dei fattori di rischio presenti nelle aree dismesse. Si possono cioè individuare dei sensori, o Hazards Critical Control Points, capaci di segnalare i livelli di rischio nelle diverse aree e su dove intervenire prima. La seconda fase di lavoro è quella della valorizzazione dei materiali urbani che costituiscono il recycle footprint. A Genova, nel caso studio della ricerca, questa operazione coincide con la messa a punto di un concetto urba-
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no che da senso agli interventi di riciclo lungo la fascia della dismissione. La nostra idea è quella di ragionare su un’idea di paesaggio come nuova infrastruttura urbana. Genova è un teatro di paesaggio. È il paesaggio la dimensione del progetto attraverso la quale la società genovese continuamente si rappresenta nel teatro della città che cambia. Una scenografia che viene interpretata ogni volta piegando le ragioni dell’architettura allo statuto del paesaggio. Come nella Strada Nuova che da una parte ferma la topografia nella scena tragica serliana e dall’altra costringe i fabbricati a narrare il contesto adattando il proprio corpo alla sezione. O quando nella città di inizio secolo quando il sistema delle ville-castello di Gino Coppedè, distende la città sull’alta via e sul lungomare aprendo la città sul paesaggio sull’Arco Latino mediterraneo. O ancora nell’affresco di Piano che distende la città sul mare. L’area della dismissione industriale-ferroviaria disegna oggi una lacerazione nella pancia di Genova che può essere ripensata come una nuova infrastruttura ecologica. Nella nostra ipotesi la Genoa BELT (Basic Ecological Light Transformation System) è una cintura verde interna che tiene insieme le diverse parti urbane rigenerandole, usa l’impronta da riciclo come materiale di sviluppo e apre a una visione di qualità condivisa per il futuro della città. La terza fase di lavoro consiste nella descrizione di una visione condivisa di nuova qualità per gli spazi del Recycle Footprint. Sarà sviluppata attraverso un workshop internazionale di progettazione che coinvolgerà i membri dell’Unità di Ricerca, i suoi partner internazionali, gli studenti dell’università così come esponenti dell’amministrazione comunale, delle Ferrovie dello Stato, e i cittadini. Il progetto si organizzerà in 5 mosse, non necessariamente consequenziali, alle quali i diversi membri del gruppo di ricerca potranno offrire le proprie competenze specifiche: 1. Recycle Footprint: rilevamento del patrimonio industriale in disuso (terreni, infrastrutture, fabbricati). 2. Recycle Concept: come si realizza la Genoa BELT. 3. Recycle Vision: proposte progettuali per le singole aree e visione complessiva del cambiamento. 4. Recycle Process: elaborazione di processi progettuali e normativi. 5. Recycle Performance: valutazione qualitativa e quantitativa. Concepita in questo modo la strategia del riciclo può rappresentare per Genova lo sfondo concettuale e l’obiettivo generale di una serie di progetti
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che tendono ad affermare una fase cruciale della cultura contemporanea della città: quella del passaggio da un sistema di misure (il territorio) a un sistema di valori (il paesaggio). In questo quadro le esperienze più interessanti sono quelle che coinvolgono un’intera città, che identificano un’impresa collettiva e non sporadica. Quelle che riescono a dimostrare la possibilità, la convenienza e il consenso di uno sviluppo urbano di tipo diverso.
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Piero Ostilio Rossi, Drosscapes-Coda della Cometa, Roma 2012
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RE-CYCLE. CONIUGARE PROGETTO ED ECOLOGIA Roberto Secchi >UNIROMA1
Cosa cambia per l’architettura con la parola d’ordine re-cycle rispetto alle più tradizionali riuso e recupero? Se queste ultime erano indirizzate prevalentemente all’intervento sullo spazio, con re-cycle si mettono in gioco spazio e materia. Ora si passa da una visione specialistica ad una sistemica. L’architettura viene pensata come attività, tra le altre, che incide sui processi di produzione e riproduzione dell’ambiente considerato nella sua struttura complessa di organismo vivente. Tanto gli spazi liberati dagli edifici fatiscenti, quanto quelli recuperati attraverso operazioni di ristrutturazione e restyling, quanto gli elementi costruttivi e i materiali costituenti si pensa possano essere riutilizzati piuttosto che esser lasciati deperire o andare in discarica ed entrare così in cicli di rigenerazione del nostro habitat. L’architettura entra a far parte dei cicli cui è soggetta la natura del nostro pianeta. Il rapporto tra architettura e natura, considerato per secoli prevalentemente dal lato estetico ora è visto in modo più interno perché connesso allo scambio materia-energia che attraversa l’architettura. L’obiettivo del riciclo non tanto come esito della vita delle costruzioni, quanto come sua premessa programmatica impone ora una revisione
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della concezione progettuale che rinnova l’idea della indissolubilità del legame tra forma e materia. Il campo di applicazione della ricerca e della sperimentazione progettuale La ricerca prende in considerazione un vasto settore del territorio dell’area metropolitana di Roma, quello compreso tra le ultime grandi polarità dell’EUR e deIl’area Ostiense e la costa tirrenica su cui la città prospetta. La figura della Coda della Cometa vuole sottolineare la capacità di visione di Marcello Piacentini che la sintetizzò, riprendendo un’idea che era stata formulata qualche anno prima da Gustavo Giovannoni, prefigurando, con la Variante Generale del Piano Regolatore del 1942 (mai approvata a causa della guerra), uno sviluppo della città verso il mare. Oggi, il progetto della Coda della Cometa deve essere ripensato come un progetto pilota per Roma indirizzato al risanamento dell’ambiente ed al riequilibrio tra sviluppo e consumo. La nuova sfida della modernità consiste nel coniugare progetto ed ecologia. Non si tratta più, infatti, di assumere un sistema di vincoli dedotti dal quadro ecologico specifico di un territorio come sfondo della progettazione, ma di pensare insieme reti infrastrutturali e reti ambientali. Non si tratta di considerare ancora gli spazi urbani contrapposti agli spazi aperti. La rete ecologica investe anche la città e lo sprawl ha prodotto il fenomeno della campagna urbana. Roma non sfugge a questa problematica. Il punto di vista sommariamente delineato può avere un’applicazione particolarmente felice nel settore di territorio compreso tra la città consolidata e il mare, lungo la direttrice disegnata dalla valle del Tevere e dalla fascia infrastrutturale che l’accompagna, per una concomitanza di favorevoli condizioni: - questo settore dell’area metropolitana romana è destinato a costituire il principale asse di sviluppo della città nella competizione urbana mondiale, infatti, comprende l’hub internazionale dell’aeroporto di Fiumicino, e il sistema portuale Ostia, Fiumicino, Civitavecchia, accessi a Roma dalle rotte di navigazione aerea e marina; - è inciso da un forte fascio infrastrutturale della mobilità e da importanti infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti e il controllo dell’assetto idrologico; - su di esso si sono insediate in un continuo crescendo funzioni di scala
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metropolitana; - è un territorio largamente pervaso dal fenomeno dello sprawl ma conserva parchi e riserve naturali, aree agricole estese e importantissime per l’equilibrio ecologico della città; - è un territorio che, nonostante la presenza di un consistente patrimonio archeologico (le città di Portus e di Ostia Antica, innanzitutto) e storico architettonico, porta già in sé i segni della modernità. I lavori della bonifica dell’Agro Romano hanno lasciato tracce decisive nella definizione della sua struttura e della sua morfologia che le massicce urbanizzazioni degli ultimi tre decenni non sono valse a cancellare. Inquadramento del settore territoriale nella rete transnazionale delle relazioni globali La Coda della Cometa individua una parte della città che si è di fatto realizzato anche indipendentemente dalla redazione di Piani urbanistici. Ci si propone di rivisitarla alla luce della nuova sfida. Le nostre ricerche recenti e in corso, per la rimodellazione del Raccordo anulare nel quadro di un riassetto generale della mobilità del settore sudovest-sudest dell’area metropolitana romana e per la reinterpretazione della Coda della Cometa, suggeriscono la visione di una grande croce di assi o direzioni, tracciata dal corridoio transnazionale Berlino / Palermo, asse infrastrutturale nord-sud dell’Europa e dal corridoio ovest-est, terra-mare, Barcellona-Marsiglia / Civitavecchia / Ancona-Pescara-Bari / Durazzo / Sofia. Questa linea è parallela al corridoio transnazionale Lisbona / Kiev; ma è posta più a sud. La croce è già tracciata in nuce, va dissepolta, fatta emergere con evidenza, bisogna darle espressione architettonica, farne la struttura segreta dei paesaggi. Ma dare espressione architettonica, plasticità fisica, a questa visione reinterpretando i paesaggi non significa consegnarsi ad un inutile e dannoso titanismo delle infrastrutture. Non bastano più le opere di mitigazione e di compensazione. Le infrastrutture verdi costituiscono un campo di sperimentazione significativo della ricerca. In esse si tenta di coniugare le esigenze della mobilità con quelle dell’equilibrio ambientale e con la produzione di energia. È necessario superare la sola logica delle mappe di rischio. Il fascio infrastrutturale che lega il centro di Roma al mare e il fiume Tevere costituisce il nodo della croce. La sua storia antica e moderna
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offre l’opportunità del disvelamento delle sue potenzialità per il progetto del futuro. Può intendersi questo fascio infrastrutturale come armatura di una città lineare? Si può dare espressione architettonica al paesaggio che ne deriva? Indirizzi progettuali È necessario progettare prioritariamente il reticolo della rete infrastrutturale ambientale. Nel nostro caso-studio il fiume Tevere con i suoi affluenti (bacino e sottobacini) e il sistema dei canali di Bonifica dell’Agro Romano, per quanto in parte compromesso nella propria funzionalità dai processi di urbanizzazione selvaggia e dalla realizzazione di grandi infrastrutture, possono costituire la matrice del progetto di riassetto idrologico e paesaggistico. Le stesse grandi infrastrutture autostradali e ferroviarie possono essere oggetto di operazioni tese a renderle meno impattanti e più inserite nel sistema paesistico ambientale. Non solo con operazioni di semplice cosmesi, quali quelle praticate di solito come mitigazioni, ma con vere e proprie opere organiche alla salvaguardia dell’ambiente in termini di assetti geotecnici, regime delle acque, corridoi ecologici, produzione di energia. Entro questa cornice si collocano le opportunità di intervento offerte dai drosscapes, e in particolare le aree occupate da rivendite di veicoli, depositi di veicoli fuori uso e da discariche, depositi e rivendite a cielo aperto di materiali edili. Questi si trovano prevalentemente a ridosso delle infrastrutture della mobilità, per essere accessibili in maniera agevole, ma anche poco visibili perché la loro situazione è spesso poco limpida dal punto di vista della legalità urbanistica. Oppure vengono a collocarsi ai margini di insediamenti spontanei approfittando del reticolo della viabilità generato dalle lottizzazioni. Le aree prescelte dalla nostra Unità di Ricerca offrono una duplice opportunità di intervento che va ascritta alle reti infrastrutturali, poiché i suoli liberati dalle attività incompatibili possono essere utilizzati per ricucire le reti ambientali, per ridurre l’impatto delle infrastrutture della mobilità e per riqualificare tessuti insediativi carenti, mentre i prodotti depositati possono essere oggetto di attività di riciclo in stabilimenti ad alta tecnologia idonei alla loro trasformazione.
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Note metodologiche - La natura delle problematiche che si intende trattare impongono un lavoro transdisciplinare. All’Unità di Ricerca spetta il compito di definire un’ipotesi progettuale da sottoporre alla prova della falsificazione o della verificazione da parte delle competenze specialistiche, da cui trarre le indicazioni necessarie alla correzione e all’aggiornamento dell’ipotesi, instaurando così un processo virtuoso di successive approssimazioni verso la proposta finale. Non si crede invece in un modello metodologico che veda allineate tutte le competenze all’origine del processo di ricerca per la definizione dell’ipotesi di lavoro iniziale. - Per “progetto pilota” – prodotto ultimo programmato dall’Unità di Ricerca – si intende una strategia operativa piuttosto che un progetto tradizionalmente inteso. Questa strategia impone ovviamente la centralità del fattore tempo e la definizione di priorità nonché il ricorso ai principi dell’ecologia dell’azione.
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Studio Gasparrini, Riciclo della torre TCC della Ex Raffineria nell’area orientale di Napoli. Fotoinserimento del progetto, 2007
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RICICLARE DROSSCAPES A NAPOLI Carlo Gasparrini >UNINA
La geografia del drosscape disegna un arcipelago di spazi aperti contaminati dalle scorie del metabolismo urbano e industriale, inquinati e degradati da processi intensivi di modificazione ambientale, incuneati nei tessuti della città consolidata e della dispersione urbana di cui configurano una porosità critica, potenzialmente disponibili tuttavia al riciclo dentro una dimensione urbana e paesaggistica delle azioni trasformative. Il danno ambientale prodotto da alcune attività industriali, commerciali ed estrattive, si intreccia con quello prodotto all’interno degli spazi interstiziali della rete infrastrutturale e del suo indotto – dalla logistica precaria alla rottamazione dei veicoli usati – e le smagliature del ciclo dei rifiuti urbani e industriali in cui il segmento di quelli tossici ha assunto nel tempo una rilevanza enorme (Berger A., Drosscape. Wasting Land in Urban America, Princeton Architectural Press, New York 2007; Berger A., Systemic Design can change the world SUN, Delft 2009). La gravità ed estensione di questa situazione non è mai stata tuttavia affrontata dalle politiche pubbliche aldilà di azioni settoriali di messa in sicurezza e bonifica puntuale di acque e suoli e di inefficaci tentativi di razionalizzazione del ciclo dei rifiuti.
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La dimensione territoriale e paesaggistica delle intuizioni piĂš che ventennali di Kevin Lynch sul wasting away sollecita invece strategie di riciclo multiscalari, dal singolo frammento alle relazioni urbane e territoriali, capaci di interpretare l’interazione tra le criticitĂ ambientali, infrastrutturali e insediative e le occasioni di trasformazione per costruire paesaggi innovativi, modelli economici alternativi e cicli energetici sostenibili, dentro scenari di rigenerazione ecologica e di riconfigurazione spaziale della cittĂ contemporanea (Mostafavi M., Doherty G., Ecological Urbanism Lars Muller Publishers, Baden 2010). Ăˆ un campo di ricerca e di sperimentazione progettuale che si colloca oltre le riflessioni del “landscape urbanismâ€? dell’ultimo decennio, mettendo in tensione i contenuti e i confini incerti delle discipline consolidate (Ferrario V., Sampieri A., Viganò P., Landscapes of urbanism, Officina edizioni, Roma 2011). Le ricadute ecologiche, ma anche urbane, produttive e di senso dei drosscapes, si estendono infatti ben aldilĂ dei siti compromessi, coinvolgendo una molteplicitĂ di spazi non solo brown ma anche grey e green investiti dagli effetti della contaminazione di acqua, suolo e aria, con un effetto-domino reticolare che interessa parti consistenti degli ecosistemi e dei tessuti urbani. In questo senso il riciclo interagisce strettamente con il mosaico degli spazi rurali urbani e periurbani intercettati, con la variegata e instabile nebulosa di forme della dispersione insediativa, con le reti delle acque superficiali e profonde e con quelle infrastrutturali (BĂŠlanger P., Landscape as Infrastructure, in ÂŤLandscape JournalÂť, n. 28, 2009; BĂŠlanger P., Landscape infrastructure: urbanism beyond engineering, in Pollalis S. N., Georgoulias A., Ramos S. J., Shodek D., Infrastructure sustainability and design, Routledge, London 2011). Il progetto di questi spazi può definire nuove qualitĂ eco-morfologiche e funzionali di qualitĂ paesaggistica, sintonizzate con la complessitĂ dei processi e dei tempi di trasformazione ambientale e riappropriazione sociale. In questo senso i nuovi luoghi che è possibile intravedere possono partecipare ad una strategia urbana capace di delineare network paesaggistici multiscalari costituiti da spazi aperti abitati e multifunzionali (Gasparrini, C., CittĂ da riconoscere e reti eco-paesaggistiche, in ÂŤPPCÂť, n. 25, 2011). Il progetto deve perciò fare affidamento soprattutto sulla simulazione di scenari non deterministici come parte di una piĂš ampia visione paesaggistica reticolare, in cui assumono centralitĂ le potenzialitĂ di rigenerazione ecologica e ridisegno urbano dello spessore tridimensionale dei “nuovi
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suoliâ€?, intesi come syntethic surfaces della cittĂ contemporanea. Entro questi scenari è possibile mettere a punto progetti e pratiche puntuali, individuare gli elementi di certezza e prioritĂ relativi alle scelte strutturanti e alle componenti di maggiore persistenza, valutare contestualmente i gradi di resilienza, incertezza e flessibilitĂ , attraverso la successione e interazione di cicli di vita, azioni progettuali e pratiche d’uso, anche temporanee e auto-rigenerative (Branzi A., ModernitĂ debole e diffusa. Il mondo del progetto all'inizio del XXI secolo, Skira, Milano 2006; Corner J., Terra Fluxus in Waldheim C. The Landscape Urbanism Reader Princeton Architectural Press, New York 2006). Questo approccio qualitativo di tipo adattivo interpreta il “progetto di bonificaâ€? come un sostrato irrinunciabile di un piĂš complessivo progetto di riciclo urbano e paesaggistico ecologicamente orientato. Il processo ideativo e costruttivo a geometria variabile incrocia nel tempo e nello spazio interpretazioni e azioni progettuali differenziate, in grado di muoversi dinamicamente fra le scale con un continuo attraversamento bidirezionale, mutuando molti strumenti e pratiche dalle discipline paesaggistiche (Corner J., Recovering Landscape Princeton Architectural Press, New York 1999; Waldheim C., The landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York 2006). Si tratta di affermare un’idea di progetto che sia, contemporaneamente, stratigrafico/relazionale nello spazio e resiliente/adattativo nel tempo e che sia in grado di interpretare i rapporti dinamici prodotti dal riciclo dei drosscapes nello spessore tridimensionale suolo / sottosuolo / soprassuolo, mettendo a punto una concatenazione non lineare di azioni trasformative e gestionali. Questo approccio progettuale è particolarmente pertinente nell’area urbana napoletana nella quale l’assenza di una strategia efficace per le aree dismesse, la pervasivitĂ chimica delle attivitĂ agricole e il mancato controllo del ciclo dei rifiuti e delle acque, le dinamiche di consumo ecologico e valoriale hanno prodotto ricadute pervasive sulla rete idrografica superficiale, sui suoli agricoli urbani e periurbani, lungo i margini infrastrutturali e nelle dilatazioni prodotte dalle grandi infrastrutture, infiltrandosi anche negli spazi residuali e marginali dei tessuti edificati. In cui quindi occorre coniugare la prioritĂ di azione e di spesa nelle aree di maggiore criticitĂ con un’attesa di lunga durata in quelle comunque investite dall’alterazione ambientale, dove diviene necessario sperimentare la coesistenza urbana con usi e forme di trattamento degli spazi adeguati alla persi-
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stenza di condizioni di inquinamento dei suoli e delle acque (Gasparrini C., Unhappy drosscapes in Campania felix, in ÂŤPPCÂť, n. 27, 2013). La storica presenza di grandi e medie industrie dei settori “pesantiâ€?, gli spazi della logistica precaria a ridosso delle aree portuali, interportuali e della grande distribuzione, quelli della rottamazione dei veicoli usati e dell’agricoltura serricola a forte impatto chimico, del progressivo svuotamento dei depositi petroliferi e soprattutto quelli sempre piĂš diffusi delle discariche legali e illegali accresciutesi a dismisura negli anni e la molteplicitĂ di cave diffuse nel territorio metropolitano e nelle “aree protetteâ€?, definiscono una costellazione di spazi del riciclo di grande potenzialitĂ per il ridisegno dello spazio urbano. Ad essi si aggiunge la domanda espressa da suoli ed edifici abbandonati a causa dell’esaurimento del ciclo edilizio turistico all’interno di estesi tessuti edificati che reclamano operazioni di razionalizzazione delle reti, rigenerazione degli spazi aperti, metamorfosi del patrimonio edilizio attraverso demolizione o usi abitativi e pubblici, stanziali o temporanei per nuove categorie d’utenze. Gran parte dei suoli, delle acque e degli spazi aperti apparentemente risparmiati dall’espansione urbana dell’ultimo secolo, sono stati di fatto “consumatiâ€? da un processo di trasformazione ecologica profonda. CosĂŹ come molte aree agricole che forniscono un contributo attivo a questo processo e che comunque convivono in modo spesso precario con esso, sono in bilico tra sfruttamento chimico intensivo dei suoli e tentazioni edificatorie (Gasparrini C., Multiscalar and multiscapes visions to tell Naples, in Gausa M., Ricci M., MedNet, Actar-List, Trento/Barcellona 2012). Nell’area napoletana la descrizione interpretativa e la progettazione dei drosscapes è operazione complessa che scaturisce da una convergenza di diversi sguardi e scale di lettura e che richiede uno sforzo di attualizzazione di una tradizione storica bimillenaria di straordinaria progettualitĂ della bonifica e dei suoi paesaggi idraulici, agrari e urbani (Gasparrini C., Drosscape spazi aperti e progetto urbano nell’area orientale di Napoli, in L'architettura del Progetto Urbano – Procedure e strumenti per la costruzione del paesaggio urbano, a cura di Ferretti L.V., Franco Angeli, Milano 2012). Una strategia progettuale pertinente ed efficace deve quindi essere capace di delineare le interferenze ecologiche tra le diverse componenti dello spessore tridimensionale dei suoli e, allo stesso tempo, di combinare, nella costruzione dei “nuovi suoliâ€?, le scelte prioritarie e stabili connesse alla nuova infrastrutturazione – il pattern urbano-ambientale delle reti
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dell’acqua, stradali, energetiche – e le tessere che si rendono progressivamente disponibili all’uso. La definizione di componenti e strategie del ridisegno vegetale nei soprassuoli contribuisce attivamente alla progressiva riduzione dell’inquinamento con processi differenziati di fitoriparazione e lagunaggio, alla formazione/ricostituzione di connessioni ecologiche, alla permanenza degli attori economici e allo sviluppo di filiere agricoloforestali collegate allo sviluppo di processi innovativi di tipo produttivo ed energetico (agricoltura no-food, impianti di co-trigenerazione da biomasse, attività serricole “intelligenti”). Su questo sostrato è possibile sviluppare pratiche spaziali e d’uso alternative, connotate da mix sociali, funzionali e formali e dalla coesistenza temporaneità/stabilità, compatibili con le tessere di quel mosaico ed economicamente sostenibili. E dar forma quindi alla grana dei nuovi paesaggi e delle loro possibili combinazioni d’assieme, in funzione dell’avanzamento della bonifica e della trasformazione urbana e ambientale, in grado di coniugare riurbanizzazione, accessibilità diffusa, graduale riappropriazione sociale, economica e simbolica, qualità ecologica e formale degli spazi riciclati.
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Barbara Lino (editing di), Hyper-cycling Palermo. I nodi del progetto, a cura del Laboratorio Re-cycle Palermo, Palermo 2013
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PLANNING IN THE RE-CYCLE AGE Maurizio Carta >UNIPA
L’interazione esplosiva tra aumento dell’impronta urbana sul pianeta e crisi dei protocolli finanziari dello sviluppo ci impone di rivedere i paradigmi urbanistici non piĂš in termini di crescita, accumulo e consumo, ma progettando e regolando la contrazione, l’adattamento e la qualitĂ . Nella cittĂ che si ricompatta – la shrinking city – le soluzioni richiedono uno sforzo creativo di interpretazione delle identitĂ e delle risorse, di integrazione delle azioni e di riconfigurazione degli spazi liberati dal processo di riduzione, producendo sistemi insediativi maggiormente relisienti, addattativi e fluidi (Coyle S.J., Sustainable and Resilient Communities: A Comprehensive Action Plan for Towns Cities and Regions, John Wiley and Sons, Hoboken 2011). Ridefinire gli ecosistemi urbani, le interazioni con i sistemi sociali e il sostegno all’economia e al welfare trova un campo fertile nel recupero creativo dei materiali urbani. Riciclare le cittĂ vuol dire non solo utilizzare il potenziale delle “miniere urbaneâ€? (Horizon 2020) ma soprattutto agire sulla innovazione dei comportamenti e dei valori della vita urbana. Per l’Italia la sfida è ancora piĂš rilevante poichĂŠ il cemento avanza di 8 mq al secondo, passando dal 2,8% di suolo consumato nel 1956 all’attuale 7%. Ma la questione non riguarda tanto il riutilizzo dei materiali, degli luoghi o
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dei rottami urbani, quanto il “rinnovo dei cicli” (re-cycle), cioè la riattivazione dei territori attraverso una immissione in nuovi cicli di vita delle città, dei tessuti insediativi, dei reticoli paesaggistici e delle reti infrastrutturali in dismissione o in mutamento. Il re-ciclo urbano riguarda i numerosi materiali in disuso o in dismissione, ma occorre lavorare non solo sulle potenzialità materiali ma soprattutto su quelle legate alle memorie e alle identità. È da queste aree che le città del nuovo secolo dovranno “ricaricare il sistema”, per produrre nuova intelligenza a partire dalla riscrittura di “righe di codice” dismesse (le funzioni), “banchi di memoria” non utilizzati (le aree), “routine” urbane ancora efficienti (le infrastrutture). Le città del futuro dovranno agire entro un “Capitalismo 3.0” capace soprattutto di ripensare il modello insediativo producendo ricicli lavorando su insediamenti urbani caratterizzati dalla “eccedenza” e “sovrapproduzione” attraverso azioni di risignificazione, di rimozione o di reinvenzione (Barnes P., Capitalism 3.0. A Guide to Reclaiming the Commons, Berret-Koehler, San Francisco 2006). L’etica di una rinnovata responsabilità del progetto per città vivibili, attrattive e solidali impone azioni orientate al re-ciclo che mutino le scelte prodotte dal modello di sviluppo “dopato”, anche attraverso una efficace fiscalità urbanistica che oneri maggiormente chi costruisce sui green±elds, incentivando e detassando chi realizza insediamenti che riattivino i brown±elds e che alleggeriscano l’impronta ecologica dei gray±elds. Sull’ingente patrimonio di tessuti urbani, devastati dalla dismissione produttiva o caratterizzati da residenza energeticamente inefficiente e strutturalmente insicura occorre elaborare procedure per l’attivazione di più cicli di vita contemporanei, per renderli qualitativamente connotati, creativamente innovativi e rispondenti tempestivamente alle esigenze di domani. Per riattivare i cicli urbani propongo “sette parole-chiave per sette cicli di vita urbani” da utilizzare come indirizzi meta-progettuali di una hyper-cycle city che mostra già le prime pratiche: a) RE-SILIENCE. Il ciclo dell'elasticità nel quale la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi, l’adattabilità degli insediamenti e la coesione sociale diventano temi/strumenti/norme del progetto della città del futuro. Il riciclo di luoghi ed infrastrutture non è solo un’azione reattiva al consumo dei suoli, ma diventa un’opzione progettuale che impone di ripensare l’uso dei suoli liberati da funzioni in disuso, di rottamare quartieri in degrado o di riutilizzare infrastrutture in dismissione per tessere una “rete di resilienza” delle città in transizione (Copenhagen,
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Saint-Kjelds Climate Adaptation District). b) RE-NOWN. Il ciclo dell’identità capace di aumentare la “reputazione” urbana attraverso una maggiore identificazione di abitanti ed users. La città, tornando ad essere occasione di conoscenza e formazione della comunità, impegna gli urbanisti ad elaborare forme, luoghi e relazioni che contengano e connettano i flussi di informazione e comunicazione che essa genera con sempre maggiore frequenza, portata e velocità (Marseille, progetti per Provence Metropole e Capitale Européenne de la Culture). c) RE-THINK. Il ciclo della conoscenza in grado di agire sulla democratizzazione della comunicazione urbana, pianificando occasioni e progettando luoghi in cui la conoscenza del sistema urbano esca dalle torri degli specialisti e diventi conoscenza diffusa e materiale concreto per rinnovare il patto di convivenza dei cittadini (Nantes, Quartier de la Création). d) RE-SPONSIBLE. Il ciclo della democrazia in cui la comunicazione alimenti il miglioramento dei piani, promuovendo ambienti diffusi di cognizione/azione più adeguati ai bisogni sociali e ambientali contemporanei. La nuova etica argomentativa della pianificazione diventa veicolo di relazioni interpersonali ed attivatore di mobilitazione delle intelligenze collettive attorno al progetto urbano attraverso la diffusione di living lab (Barcelona, LOW3). e) RE-MOTE. Il ciclo digitale chiede un’elevata sinergia tra centralità di servizi, struttura edilizia ed innovazione tecnologica. L’open urbanism per città più senzienti e dialogiche produrrà tessuti urbani derivanti dal riuso sempre più permeati da componenti digitali che interagiscono con producer e consumer, intercettando le domande dei cittadini, le loro percezioni e le loro esigenze di funzionalità e di comfort, ed arricchendole con la domanda di democrazia e responsabilità (Paris, l’incubatore di imprese innovative CentQuatre). f) RE-TICULAR. Il ciclo del policentrismo proteso verso l’impegno di inserire nell’armatura urbana, ormai troppo cristallizzata, nuovi nodi di aggregazione sociale che la fluidifichino, utilizzando luoghi dell’architettura intercettati nel loro mutamento e riutilizzati per occasioni di socialità come nuovi “attivatori urbani”. Le città delle nuove economie arcipelago e dei rizomi sociali accelerano l’affermazione di valori che permettano di produrre nuovi cicli semantici sulle aree in trasforma-
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zione e in dismissione (Lyon, progetti per la Ville Durable). g) RE-NAISSANCE. Il ciclo delle opportunità innovative e dei nuovi mestieri urbani richiederà sempre più spesso non solo l’esercizio della creatività, della visione strategica, del progetto ecologico e della gestione innovativa, ma anche progetti integrati, tattiche lillipuziane accompagnate da una costante valutazione degli effetti delle scelte e dal controllo delle performances (Atene, Rethink Athens per University Street). La rigenerazione urbana guidata dal re-ciclo dovrà sottrarsi alla “aporia della rana morta”: l’illusione dello sviluppo derivata dall’esperimento settecentesco di Luigi Galvani sulle rane, le cui cosce dissezionate attraversate da una corrente elettrica si muovevano, facendo pensare che avessero preso vita e sconfitto la morte. Anche i territori in situazioni di declino, le città sfigurate dal degrado e ferite dalla dismissione industriale hanno tentato di sconfiggere la morte attraverso l’immissione di energia esogena negli organi malati. Il dinamismo indotto dall’energia progettuale o finanziaria ha simulato una parvenza di vitalità, spesso scambiata con il ritorno alla vita dei quartieri, con la rigenerazione dei tessuti, con la riattivazione del sistema economico o con la rinascita della città. Nei fatti, all’interruzione dell’energia esogena immessa nel progetto anche i territori rigenerati tornano ad essere desolanti luoghi del declino, spazi del degrado, simulacri di una vita urbana. Hyper-cycling Palermo È soprattutto nel Mezzogiorno che occorre sfuggire all’illusione della resurrezione della rana, sostituendo l’energia esogena prodotta dalla “combustione dei suoli” con l’energia vitale del capitale endogeno della “riattivazione delle aree di re-ciclo”. Serve un cambio di paradigma in cui il territorio è risorsa da preservare, non solo in termini di riduzione del consumo, ma considerandolo un detentore di “cellule di sviluppo” dimenticate, sottoutilizzate o mistificate dal delirio di onnipotenza del progressismo. Le azioni orientate al re-ciclo possono riattivare i potenziali latenti o esclusi dalle scelte di un modello di sviluppo illuso dalle aporie. L’Unità di Ricerca di Palermo sperimenterà l’attivazione di nuovi cicli lungo la costa della “piattaforma tirrenica” (Termini Imerese-Palermo-TrapaniMarsala) selezionando alcuni luoghi che fungeranno da laboratori di osservazione e di progetto, articolati in 3 categorie di cicli: a) cicli di vita conclusi o “mai nati”: spazi dell’abbandono e dello scarto,
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spazi del lavoro chiusi o in chiusura, strutture non più utilizzate o incompiute, luoghi estinti (l’ex Gasometro e la costa sud a Palermo, la linea ferroviaria dismessa tra Castelbuono e Himera, l’Hangar Nervi a Marsala). L’up-cycle consente di riattivare i capitali identitari con nuovi layers di funzioni e senso, mutandone la logica ed investendo nel germe della trasformazione attraverso il bricolage degli scarti per attivare molteplici cicli (hyper-cycle). b) cicli di vita stagionali: il sistema delle seconde case e del turismo, urbanizzazioni eroditrici di suolo e di paesaggio, in crisi perché ormai in vendita o perché immaginate sulla base di principi insediativi che si sono rivelati insostenibili per effetto della contrazione economica e sociale in atto, enclaves residenziali turistiche sotto-utilizzate o contratte per effetto della crisi immobiliare e che lasciano scarti. L’hyper-cycle interviene sulle cause del declino ed agisce sull’anello debole attraverso l’attivazione di più cicli di vita in contemporanea per rendere il processo adattivo e capace di promuovere la riattivazione di nuovi reticoli di connessione. c) cicli di vita produttivi in “border landscapes”: aree della produzione che generano scarti di paesaggio e su cui è necessario ripensare un ciclo di produzione da lineare a circolare, o cicli produttivi in contrazione che devono avviare modelli più adattivi e in grado di evitare l’estinzione (saline dello Stagnone, cave di Custonaci e segherie di Comino, tonnare di Trapani). Il sub-cycle e l’approccio from cradle to cradle permettono di agire trasformando l’apparente frantumazione del paesaggio in materia pervasiva di un processo che diventi più resiliente ed adattivo, concorrendo alla riattivazione creativa di tessuti necrotizzati. Le aree di riciclo urbano saranno il nuovo e potente “blastema” delle città: un gruppo di cellule inizialmente indifferenziate ma che possiedono una forte potenzialità creativa e che all’avvio del ciclo di vita, proliferando ed ibridando i tessuti circostanti, danno origine ai nuovi organi. Le aree sottoposte all’azione progettuale di re-ciclo funzionano come un “germoglio” che a partire dalla fase di indifferenziazione causata dall’abbandono, dalla dismissione o dalla marginalità iniziano a generare nuovo tessuto connettivo, nuovi organi centrali, concorrendo all’attivazione del nuovo ciclo di vita.
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Vincenzo Gioffrè, Abbeveratoio in Aspromonte, 2012
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RIATTIVARE ECONOMIE: PAESAGGI PRODUTTIVI E RETI LENTE Vincenzo Gioffrè >UNIRC
Sfide per la società L’Unità di Ricerca Re-cycle Italy Reggio Calabria propone una sperimentazione applicata per la risignificazione di aree di scarto, del rifiuto, dell’abbandono, in nuovi paesaggi portatori di una dichiarata vocazione ecologica ed un messaggio eticamente e socialmente positivo. Paesaggi Produttivi come esito finale di processi e programmi largamente condivisi con le comunità di abitanti, definiti da una figuratività inedita che fa riferimento ad una estetica propria della sostenibilità. In questa ottica il riciclo è un dispositivo progettuale potente per la sua connaturale carica creativa capace di determinare relazioni efficaci quanto imprevedibili tra architettura, comunità, ambiente, mondo produttivo, paesaggio. Cinque aspetti orientano l’impostazione metodologica della Unità di Ricerca: 1. una composizione multidisciplinare del gruppo di lavoro secondo le tre componenti del progetto sostenibile (ambientale, economico, sociale) per perseguire un approccio trasversale e transcalare proprio del progetto di paesaggio e per cogliere le nuove dimensioni della discontinuità spaziale e temporale di molti processi della contemporaneità; 2. la collaborazione con organismi di ricerca nazionali e internazionali
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per approfondire gli aspetti specialistici della ricerca Re-cycle chiaramente riferiti alle tematiche proposte da HORIZON 2020, nello specifico ai temi del programma Sfide per la Società : Infrastrutture Verdi, Agricoltura Sostenibile, Energia Sicura; 3. l’intenzione di avviare una fase partecipativa approfondita con enti territoriali, associazioni e le comunità di abitanti per condividere problematiche, ipotesi progettuali, possibili ricadute economiche, esiti della ricerca; 4. la sperimentazione applicata di procedure e strumenti progettuali di riciclo dei paesaggi dello scarto che trova un momento di sintesi nel workshop organizzato con partner territoriali e organismi di ricerca internazionali da svolgersi a Reggio Calabria in una fase intermedia della ricerca; 5. l’esportabilità degli esiti progettuali in processi di trasferimento tecnologico e know-how per l’innovazione di comparti economici direttamente interessati all’ambito di applicazione della ricerca con ricadute sulla produzione di scenari sostenibili di tipo locale. Microfisica della città stradale ž c’q una città mobile incerta transitoria. Invisibile come città . Una città che se la cercate non la trovate perchp non si trova segnata su nessun atlante. Un posto che si può cogliere solo in movimento e raccontare solo in una descrizione di viaggio (‌) In Calabria la strada è l’unica architrave del paesaggio moderno. Spiega tutto si prende tutto. Mauro Francesco Minervino, Statale 18
Nel marzo 2009 il Parlamento italiano ha riconosciuto per Reggio Calabria lo status di “CittĂ Metropolitanaâ€?, nei prossimi anni sono previsti maggiori investimenti nell’intera area per la realizzazione di reti infrastrutturali e grandi opere con una maggiore autonomia amministrativa. Il rischio è che si ripeta nuovamente un ciclo negativo (con interventi sbagliati o incompleti) che anzichĂŠ risolvere le contraddizioni di un territorio giĂ critico, le acuiscano, favorendo ulteriori fenomeni di degrado urbano, ambientale, sociale. La “cittĂ stradaleâ€?, fenomeno globale della contemporaneitĂ , in Calabria assume connotati specifici per la diffusione e concentrazione urbana lungo le infrastrutture costiere. Secondo dati ISTAT e della Regione,
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la riduzione della Superficie Agricola Utilizzata In Calabria tra 1990-2005 è pari al 26,13 %; ogni anno sono edificate 2.500 case illegali; lungo i 700 km di costa sono censiti 5210 abusi edilizi; si stimano 8 milioni di vani a fronte di una popolazione inferiore ai 2 milioni di abitanti; il 70% degli insediamenti produttivi ed il 75% degli abitanti della regione sono concentri lungo la costa. Eppure il caotico fenomeno di urbanesimo spontaneo determina una grande quantità di spazi vuoti interstiziali fra le strade costiere ed i nuclei edificati; scarti di paesaggio con pezzi di campagna, alvei di fiumi, arenili e propaggini dei rilievi collinari; paesaggi latenti in attesa dell’attribuzione di funzioni, significati e nuove qualità. Poligenesi dello scarto Quella del Sud è una comunità che ha ben presente la pratica del riciclo, attuata nella vita quotidiana in forme tutt’altro che banali, spesso con sorprendente inventiva nell’assegnare nuovi cicli di vita a manufatti che assemblano oggetti rinnovati nell’utilizzo fino al loro deperimento definitivo. Si tratta di accogliere ed istruire questa propensione al riciclo insita nelle comunità di abitanti per estenderla agli scarti del paesaggio. Campo di indagine è la Città Stradale, vera spina dorsale ed elemento strutturante della Città Metropolitana di Reggio Calabria dove effettuare “prelievi” di campioni significativi di paesaggio semi urbano/semi rurale emblematici per grado di complessità, articolazione, presenza di elementi emergenti (aree agricole di pregio e infrastrutture abbandonate, edifici sottoutilizzati, aree produttive dismesse). L’obiettivo è costruire mappe tematiche che marcano sequenze, tramature, disconnessioni, fratture, centralità provvisorie o consolidate, erosioni, densificazioni, saturazioni. Un lavoro interpretativo e progettuale allo stesso tempo finalizzato al disegno di un nuovo “Paesaggio Relazionale” un mix di sottosistema urbano e sottosistema agricolo, un paesaggio composito di natura e servizi urbani evoluti. In quest’ottica il progetto sub-ciclo strategico è ritenuto il più aderente al caso studio della Città Metropolitana di Reggio Calabria, con un approfondimento sul tema iper-ciclo inerente le nuove forme di energia da fonti rinnovabili; le due procedure sono declinate a seconda dei casi per interpretare le singole condizioni che, per il loro sottoutilizzo, sono suscettibili di un nuovo ciclo di vita secondo modalità che spaziano dall’abbandono controllato alla rinaturalizzazione alla sperimentazione di nuove pratiche produttive sostenibili e ecologiche.
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Attivare economie Ogni azione progettuale ipotizzata nel progetto di ricerca si “aggancia” ad un fattore propulsivo che arriva dalla comunità, lo scopo è innescare dei processi produttivi per rispondere ad esigenze sociali o emergenze ambientali, ma anche richieste di enti su argomenti specifici come un sistema di piazze, un giardini, arboreti, ciclabili e percorsi sicuri. Un repertorio di progetti operativi, condivisi e partecipati con le comunità di abitanti, per agevolare attività di cooperazione o partenariati pubblico/privato, per ipotizzare ricadute dirette nella produzione di scenari sostenibili di tipo locale, per incentivare nuove attività economiche: spin-off università imprese, urbancenter, laboratori di quartiere con addetti nel settore delle costruzioni e della piccola e media impresa, cooperative agricole con finalità sociali per produzione e vendita di prodotti di qualità con filiera corta. L’esito applicativo del progetto di ricerca è ipotizzare una serie di approfondimenti (con un taglio multiscalare e trasversale fra le diverse discipline) che definiscono l’Atlante delle Strategie secondo categorie operative sperimentali: infrastrutture produttive di energia da fonti rinnovabili in aree industriali dismesse; rinaturalizzazione con dispositivi ecologici di fiumare e arenili; sperimentazione di nuovi materiali da costruzione prodotti dalla lavorazione di materiali di scarto delle attività agricole; applicazione di processi di autocostruzione regimentata negli immobili sottoutilizzati con l’adozione di nuovi materiali e tecnologie sostenibili; conversione di aree abbandonate in campi per agricoltura multifunzionale gestiti da associazioni di abitanti; spazi attrezzati per attività commerciali di filiera corta in terreni sottoutilizzati; mobilità lenta alternativa per forme di turismo sostenibile in infrastrutture viarie o ferroviarie abbandonate. Nuovi immaginari Corpo celeste è un film del 2011 realizzato dalla regista italo-tedesca Alice Rohrwacher negli stessi luoghi oggetto della ricerca Re-cycle Italy Reggio Calabria. Il film è spietato nel descrivere la condizione di una comunità chiusa in una dimensione arcaica e post-moderna allo stesso tempo, in alcuni casi la rappresentazione è eccessivamente caricaturale. Il sud è interessato da un rinnovato interesse (quasi una sorta di nuova stagione del Grand Tour) da parte di nuovi viaggiatori che registrano la fascinazione per un’estetica contemporanea del brutto, dello sporco, dell’abbandono, del degrado. Ma il film ci regala anche uno sguardo inedito e suggerisce
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con immagini di forte impatto nuovi significati e relazioni impreviste fra le tracce di antiche bellezze e le devastazioni di oggi. L’obiettivo della ricerca è affrontare le emergenze ambientali e sociali senza prescinde dalla sperimentazione spaziale e figurativa finalizzata alla produzione di nuovi immaginari in grado di rinnovare l’habitat contemporaneo. Nuove categorie estetiche per quei paesaggi del quotidiano, che rappresentano la maggioranza dei territori antropizzati, che si scopre ai margini di autostrade, nei territori agrari in abbandono, nei suburbi e delle fabbriche in rovina; paesaggi ai quali assegnare nuovi valori simbolici e funzionali per innescare efficaci processi rigenerativi. Si tratta di sperimentare un approfondimento di metodo, esportabile anche in altri contesti similari alla città Metropolitana di Reggio. La pratica del riciclo ha la sua efficacia se mantiene una componente creativa in grado di determinare processi evolutivi come esito di uno sforzo di creatività individuale ma soprattutto collettivo, secondo modalità operative in grado di attivare processi condivisi con gli abitanti, reali protagonisti delle trasformazioni dei territori in cui vivono.
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Fotogramma dal film “A Zed and Two Noughts”, regia di Peter Greenaway,1985
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI Francesco Garofalo >UNICH
La ricerca sui territori fragili lavora sull’Abruzzo (con le eccezioni di Lorenzo Pignatti sulla Croazia, e di Carmen Andriani sul cemento, ancora da approfondire). Le due principali declinazioni della fragilità che proponiamo non sono esclusive di questa regione ma, nell’ottica della ricerca, nulla è specifico di nulla, ogni tappa è una tappa del Viaggio in Italia. La prima declinazione è quella urbana e periurbana, nella dimensione della costruzione fisica e sociale. Essa spazia dalla edilizia pubblica alle forme agricoltura e produzione attorno alla città che manifestano nuovi cicli di vita accanto ai vecchi. La seconda declinazione è quella dell’entroterra nel quale insediamenti, infrastrutture e paesaggi sono coinvolti da un processo di contrazione e abbandono: per usare la terminologia di Switzerland; An Urban Portrait (Birkhauser, Boston-Basel-Berlin 2006), le “Quiet Zone” e le “Fallow Land”. Per quanto scritto dal coordinatore, questo testo non riuscirà ancora a parlare a nome di tutti. C’è un lavoro di amalgama da compiere o almeno da tentare, la cui riuscita non è assicurata, rispetto a una decina di proposte da comporre in un mosaico. Nel gettare le basi di questo tentativo, vorrei almeno provare a delineare
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una posizione sufficientemente chiara e usare questo spazio prevalentemente per qualche riflessione sullo sfondo del 2013. Avverto il rischio di perseguire, sul terreno che ci compete (disciplinare e dintorni), una strategia sbagliata. Di seguito vorrei argomentare la necessità di uno sguardo critico sullo zeitgeist e sulle ricette anticrisi (beni comuni, green economy, sostenibilità, smart cities, ecc.). Questa ricerca è stata pensata un po’ di tempo fa, prima che la situazione italiana si aggravasse,prima ad esempio della crisi dell’Ilva scoppiata nella seconda metà del 2012. Lungi dall’essere un problema, questa circostanza rappresenta a mio parere un vantaggio e ne fa risaltare le potenzialità. Dal punto di vista della comprensione della crisi della città nel suo complesso, come organismo urbano, il dibattito politico e mediatico di questi anni è stato ambiguo e fuorviante. Ci si potrebbe limitare a questo punto di vista, riconoscendo modestamente che non siamo, come architetti e urbanisti, legittimati a proporre soluzioni al destino della città. Re-cycle Italy, con rigore e circospezione, dovrebbe porre invece le basi per un’altra visione, e ci sollecita a portarla nell’arena pubblica vincendo le nostre auto-censure di progettisti. Le cause del declino e della contrazione sono un intreccio di condizioni specifiche e di modelli di intervento sulla città che si dipana lungo tutto il Novecento. La ricostruzione e la critica di tutto questo è presente nella nostra letteratura di riferimento, ma non basta. Il fallimento della politica e dell’urbanistica, di quella vecchia e di quella nuova, non può far confondere la differenza macroscopica, nella qualità della retorica e nella quantità delle risorse, tra ieri e oggi. Per originare questa crisi, ma anche creare la ricchezza sociale in senso lato e per porre le condizioni di una crescita della città, nel XX secolo sono stati prodotti culture e manifesti positivi, e soprattutto sono state investite risorse ingentissime. Oggi invece per “risolvere” la crisi, le risorse e le idee sono decisamente più scarse e banali. Re-cycle Italy dovrebbe rimettere in discussione anche le ricette elaborate dopo la crisi della modernità e della industrializzazione. Le politiche e i progetti di recupero, le incentivazioni che puntano sul rinnovo urbano, sulla dotazione di servizi, sul turismo, sulla cultura e l’intrattenimento, si rifanno ancora all’idea che il declino si può solo invertire specularmente nella crescita. Vorrei citare la tesi di dottorato di Francesca Pignatelli, Il progetto dello
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scarto. Taranto Shrinking City (Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2012): “Lo stato di diffuso degrado che connota la cittĂ nei suoi piĂš diversi quadri spaziali, richiede certamente un rilancio delle attuali politiche di rigenerazione urbana e una grande attenzione agli aspetti della sostenibilitĂ ambientale ed economica, ma induce anche a riflettere sulla ricerca di strategie diverse, e sul ruolo specifico che il progetto urbano e architettonico possono assumere all’interno di esseâ€?. Lo sviluppo di questa prudente affermazione potrebbe contenere, dentro Re-cycle Italy, ipotesi sorprendentemente radicali. C’è un ventaglio di ricerche e posizioni sull’urbano e sul paesaggio con cui confrontarsi senza schiacciare, nĂŠ l’analisi della condizione italiana, nĂŠ la propria strategia progettuale su di esse: mostre come Hands-on Urbanism di Vienna, gli ultimi due padiglioni americani alla Biennale architettura, le brillanti provocazioni al CCA di Montreal come Actions; What you can do with the City. Ma mi sembra che queste posizioni vadano in crisi quando devono trasformarsi in ipotesi di gestione della cittĂ , come è avvenuto per l’Expo 2015 di Milano. Procedendo a ritroso da Re-cycle (MAXXI 2011-2012), passando per le molteplici esperienze di LO-FI (LO-FI Architecture as Curatorial Practice, Marsilio, Venezia 2010) promosse da Mario Lupano, Luca Emanueli e Marco Navarra, si risale fino ai capostipiti coniugi Smithson dell’As found e, per altri rami, alle pratiche anti-istituzionali americane degli anni sessanta, oggetto di un recente revival. Ăˆ uno sfondo in cui selezionare con grande cautela, per sfuggire ad attualizzazioni banali ed estetizzanti. Ma almeno è uno sfondo dotato di uno spessore culturale e di figurazioni convincenti. Che dire invece delle parole d’ordine di questo 2012-13? Sulla scia di Torino, della sua reinventata identitĂ post-industriale, si propone la smart city. Il tipo di investimento sulla cittĂ su cui la nostra ricerca invita a riflettere (anche se in tempi sospetti), si accompagna ad una visione tautologica del termine “territorioâ€?. La città è dunque allo stesso tempo oscurata dalla crisi, e illuminata come una accecante ribalta per le contraddizioni tra salute e lavoro, finanza e potere pubblico. Dalla ricognizione di Francesca Pignatelli ricavo anche la parola-chiave della sua pars construens: l’arcipelago. Attraverso questa lente dovremo riconsiderare i quartieri giustamente vituperati come ereditĂ di una urbanistica funzionalista della dimensione conforme, ma anche inevitabile dato di fatto di una ipotesi di progetto imperniata su ciò che c’è, e sulla
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pratica della discontinuità dello spazio. Va certo attribuita una grande importanza al paesaggio, anche se dobbiamo avere la consapevolezza che questo termine ha ambiguamente soppiantato la parola territorio, nello stesso modo in cui questo aveva precedentemente messo in ombra la città. Il senso da dare all’arcipelago non si ferma alla constatazione dello stato di disarticolazione, ma apre a un possibile campo di azione che supera le logiche ordinarie della città (storica, moderna, contemporanea, densa, diffusa, ecc.), ma a certe condizioni che richiedono un cambio di paradigma. Come una Learning from Las Vegas rovesciata da sogno americano in incubo mediterraneo, una ricerca di questo tipo può – anche se non necessariamente deve –, costruire un proprio sistema di descrizione e rappresentazione. Ad esempio si potrebbe basare su poche formalizzazioni di dati, e su mappe che lavorano con una topografia minimale per rendere più oggettiva l’analisi. A descrivere il carattere, ci penseranno invece le fotografie e il video. Per costruire non una sterminata bibliografia, ma qualche punto di riferimento da prendere sul serio dal punto di vista teorico e pratico, ho citato l’esperienza LO-FI (ostacolata, a mio parere, dalla traduzione in inglese dei testi), e Il ritratto urbano della Svizzera fatto dallo Studio Basel. Per il futuro sarebbe interessante collocarsi tra la sinteticità strategica di AMO, e la pratica materialista dei nuovi belgi (mi riferisco in particolare al collettivo Rotor http://rotordb.org e allo studio DVVT http://www.architectendvvt.com). Questo continuo riferimento al ciclo di vita, alla ricerca di una strategia per gestire in positivo i territori dell’abbandono, ha fatto affiorare in me il ricordo di una macabra, ma suggestiva immagine di uno dei primi film di Peter Greenaway A Zed and two Noughts (1985), che osservava la decomposizione di forme di vita ordinate secondo la scala dimensionale, da una mela a un cavallo. La riproduzione iper-accelerata delle riprese tornava a far “muovere” i corpi senza vita nel passaggio attraverso i vari stadi del processo di putrefazione. Questa seconda vita, in fondo non solo apparente, ma funzionale alla geometria del racconto, nei nostri oggetti di studio dovrebbe passare da strumento estetico a programmatico. Allo stesso tempo, la ricerca non si può limitare alla pars destruens, alle raffinate analisi decostruttive, se si vuole che abbia quella dimensione propositiva, progettuale e persino popolare che l’ingente finanziamento pubblico lascia pensare debba avere. Forse la soluzione è dividere le sfere
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(acuminati nella teoria, concilianti nella prassi? In una riedizione del fortiniano “farsi candidi come volpi e astuti come colombe�), e usare i diversi prodotti per diversi registri.
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Tara Donovan, Untitled (Toothpicks), wooden toothpicks, 2004. Collection Glenn Furhman, New York Š http://craftcouncil.org
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AFTERWOR[L]D Pippo Ciorra >UNICAM
Non è affatto semplice tornare sulla scena del delitto dopo solo qualche mese dopo che la mostra Re-cycle. Strategie per l’architettura la cittĂ e il paesaggio, ha chiuso i battenti. Ciò nonostante, quello che forse si può fare, per affrontare meglio questa seconda vita di Re-cycle all’interno del progetto di ricerca PRIN, è una specie di autorecensione o meglio una prima valutazione del reale impatto della mostra. In questo caso penso valga la pena scrivere questo testo per due ragioni specifiche. La prima è molto introspettiva, e corrisponde ad una prima opportunitĂ di considerare e valutare il lavoro che abbiamo fatto, approfittando della accettabile “distanza criticaâ€? che si è ormai creata. La seconda è invece basata sull’occasione di mettere a fuoco le reazioni provocate dalla mostra nel pubblico, sia quello generale che quello piĂš specializzato. Visto quindi che cominciamo con questa ricerca un secondo percorso di riciclo, vediamo qual è l’ereditĂ che ci è rimasta del primo. Dal punto di vista puro e semplice dalla programmazione del museo Recycle è stato considerata un successo sorprendente. Ha attratto molti visitatori e ha notevolmente aiutato il museo a chiarire identitĂ e ambizioni in una fase molto difficile per le istituzioni culturali del mondo occiden-
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tale, specialmente in Europa e in Italia. Ma ciò che ci ha gratificato è stato non solo il numero di persone che sono venute a vedere la mostra, ma soprattutto la sua capacità di stimolare la discussione su alcuni temi oggi particolarmente rilevanti, rompendo quel senso di autoreferenzialità e isolamento che l’architettura si porta dietro in Italia. Durante i cinque mesi dell’esposizione il museo è diventato uno spazio molto vivace di confronto e dialogo tra architetti, fotografi, designer urbani, artisti, attivisti, urbanisti, ecologisti, educatori; il concetto di riciclo ha dimostrato funzionare molto bene sia come dispositivo mirato a trovare un punto di vista nuovo sulla teoria dell’architettura, aperta a relazioni e questioni che arrivano dal mondo esterno, sia come un antidoto molto efficace al rischio di ritorni avventurosi di Autonomia. Due aspetti della mostra sono stati fondamentali alla definizione di una piattaforma di dialogo così ampia. Il primo è il gruppo di ricerca, che ha coinvolto Reiner De Graaf, Sara Marini, Mosè Ricci, Philippe Vassal e Paola Viganò, che hanno lavorato ampiamente come consulenti attivi del team curatoriale nei due anni di preparazione alla mostra, permettendo un vero e proprio sondaggio mondiale del fenomeno. Il secondo è la scelta di completare la mostra con un libro piuttosto che un catalogo, ideando una pubblicazione che può vivere e provocare un dibattito anche dopo la chiusura della mostra. Abbiamo anche provato a coniugare il carattere multidisciplinare con i principali aspetti della missione istituzionale del museo, come la promozione dell’innovazione e la qualità nell’architettura italiana contemporanea. Almeno due dei progettisti italiani invitati alla mostra, tra i circa cinquanta team internazionali, hanno vinto premi e gare importanti nei mesi successivi a Re-cycle: Maria Giuseppina Grasso Cannizzo è stata premiata con un premio RIBA e Elisabetta Terragni è stata in grado di portare avanti un interessante e radicalmente innovativo progetto di rigenerazione in un’isola militare in Albania, un caso di riciclo davvero interessante. Una volta appreso che il bilancio finale della mostra è stato ampiamente positivo dal punto di vista del museo, penso sarebbe più interessante – nonché più problematico – spostare la discussione al livello leggermente più alto presente nel progetto curatoriale, in relazione ai suoi contenuti concettuali e alle sue liasons con i nodi della ricerca teorica e del dibattito sull’architettura contemporanea. Quando abbiamo lavorato al progetto della mostra eravamo ovviamente coscienti della particolare epoca ar-
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chitettonica che stiamo vivendo: alla fase terminale di una lunga age d’or del design iperspettacolare, dove convivono sia l’ansiosa caccia da parte degli architetti di prima fila di nuovi mercati e nuove immagini da consumare, sia la ricerca, da parte di tutti gli altri, di paradigmi e strumenti in grado di mantenerci al passo con i cambiamenti che invadono tutti gli altri aspetti delle nostre vite. Per essere in grado di contribuire a questa discussione, incombente e tuttavia non chiaramente definita, il sottotesto della mostra si focalizzava su alcuni temi cruciali, che descriverò brevemente nella seconda parte di questo testo. La prima “proprietà” del riciclo che avevamo intenzione di affrontare ha a che fare il concetto di scala. Una delle caratteristiche più forti della strategia di Re-cycle è la sua totale indifferenza alla scala. Re-cycle è perfettamente scaleless: funziona sia nella città che nel design di paesaggio, ha a che fare con corpi architettonici dal molto grande al molto piccolo; investe sia gli spazi che gli oggetti che i materiali. Il riciclo è una chiave di accesso molto efficace per chiarire come alcuni temi cruciali del progetto contemporaneo attraversino continuamente e senza difficoltà i confini tra le varie discipline relative al design e allo spazio. E allo stesso tempo si dimostra un buon mezzo per provare a gestire tali contenuti con gli strumenti che le nostre discipline ci mettono a disposizione, se non piuttosto per allargare le stesse in modo da per poterli comprendere. Ha funzionato quest’operazione? Non lo so, ma in qualche modo il messaggio nella bottiglia ha raggiunto una riva da qualche parte: quando la mostra ha aperto è entrata in risonanza, sia in Italia che all’estero, con un’accelerazione vertiginosa dell’organizzazione di seminari, simposi, workshop, ecc. focalizzati sul tema del riciclo, di volta in volta promossi da urbanisti, architetti di paesaggio, designer urbani, designer industriali, ecc.. Alcuni di loro hanno avuto un serio approccio trans-disciplinare e rappresentano un buon inizio per elaborazioni future. Alcuni convergono felicemente nella ricerca PRIN che stiamo conducendo. Il secondo aspetto della mostra aveva come obiettivo quello di investigare l’uso estenuante della questione della sostenibilità nel contesto architettonico. Dopo un decennio di confusione tra la vera urgenza realmente ecologica e il marketing del “green-glam” design, Re-cycle intende riportare l’approccio degli architetti alla sostenibilità in un campo in cui il design e le scienze ambientali possono assumere il loro ruolo senza ero-
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dere il rispettivo potenziale. In parole povere, finora l’impressione è che gli architetti abbiano preso coscienza della sostenibilità come un prezzo da pagare in termini di correttezza ecologica a scapito del potenziale e dell’integrità del design. Il “livello di difficoltà” sembra lo stesso di quello delle gare di tuffi, in cui la mancanza d’integrità (dunque la bellezza) della performance può essere, però, compensata dalla complessità tecnica. Con Re-cycle abbiamo provato a ribaltare questa condizione, invitando gli architetti a considerare un approccio non ortodosso alla “costruzione” (o alla “non costruzione”) come una pratica architettonica sofisticata, dotandola di abbondante zeitgeist, alto valore teorico e di infinita capacità espressiva. Abbiamo chiesto agli ecologisti di prendere in considerazione questa proposta, e di non fare l’errore di considerare la ricerca figurativa scaturita dai progetti di Re-cycle solo come un’altra forma di arroganza architettonica. Viceversa dovrebbe essere considerata come un tentativo di esplorare la profondità e le potenzialità del problema (l’edificio esistente) attraverso un più alto livello di complessità interdisciplinare e l’ambizione ad una trasformazione virtuale dello spazio. Questo secondo punto, e la difficoltà di renderlo chiaro e farlo accettare, porta velocemente al terzo e più ambizioso obiettivo del nostro lavoro: codificare il valore teorico di Re-cycle come uno strumento intrinsecamente capace di fare da “ponte” tra due lati opposti del pensiero architettonico, quello progressivo/progressista e concettuale e quello pragmatico (ecologico). Per concettuale intendiamo architetture alle quali si associano termini come “parassita”, “stratificato”, “informale”, “non-autoriale”, e con pragmatico pensiamo invece alla prevalenza di: programma, rigenerazione, spazio pubblico, ecologia, filosofia “0”, ecc. E come “ponte” pensiamo alla possibilità di trasformare questo dialogo in una strategia di design. Il nostro punto, seppure leggermente mimetizzato per evitare di offendere le reciproche sensibilità delle due parti, è sovrapporre il Cannaregio di Peter Eisenman a Plus di Lacaton and Vassal e alle Gallerie di Trento di Terragni per investigare possibili risonanze e, attraverso di esse, definire un nuovo spazio architettonico per il tempo che verrà. Questo spazio ci permetterebbe anche di saltare immediatamente oltre le trappole del dibattito contemporaneo sul moderno e postmoderno, sebbene confermiamo di trovarci ovviamente il più lontano possibile dal dogma della tabula rasa. In questo senso il lavoro è appena iniziato e dovrà continuare spedito
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in questa ricerca. Ăˆ stato importante aver potuto discutere queste problematiche con vari tipi di pubblico, sia in Italia che all’estero, dopo la mostra. Ăˆ stato inoltre importante ricevere contributi da autori come Tony Vidler, Sylvia Lavin, Eduardo Cadava e molti altri che ci hanno aiutato in questa impervia esplorazione.
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STRUTTURA DELLA RICERCA
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1 3 11 12 24 28 180 805.000
PROGETTO DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE
ANNI DI ATTIVITÀ DI RICERCA
SEDI UNIVERSITARIE COINVOLTE
EVENTI IN PROGRAMMA
PARTNER INTERNAZIONALI
PARTNER NAZIONALI
PROFESSORI, RICERCATORI, ASSEGNISTI
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EURO DI FINANZIAMENTO
IL PROGETTO > TEMA OBIETTIVI STATO DELL’ARTE
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Sissi Cesira Roselli, Soggiorno, Venezia 2012
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TEMA
In linea con gli obiettivi di Horizon 2020 e con le politiche strategiche di Europe 2020, e in conformità con le indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio, la ricerca intende esplorare le ricadute operative del processo di riciclaggio sul sistema urbano e sulle tracce di urbanizzazione che investono il territorio affinché questi “materiali” tornino a far parte, insieme al sistema ambientale, di un unico metabolismo. L’ipotesi di conservare la “risorsa urbana”, così come si conservano le foreste e i fiumi, naturalizza il fenomeno, ma rappresenta un passaggio fondamentale nelle politiche e nei progetti per la città. Riconosce l’esistenza di una progressione, dalla nascita all’invecchiamento, ma allo stesso tempo reagisce al declino sostenendo la possibilità e l’utilità di progetti, politiche e pratiche capaci di attivare nuovi cicli di vita. La ricerca prende le mosse dalla osservazione della condizione problematica nella quale versano le città e i territori italiani a causa di due contraddizioni: la prima insiste sulla progressiva urbanizzazione dei suoli e sull’inarrestabile processo di abbandono di strutture anche di recente costruzione, la seconda si fonda sulla natura dell’urbanizzazione e sul conflitto che questa istituisce quotidianamente con il “sistema ambiente”,
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come se le due realtĂ non fossero coincidenti. CittĂ che si ritirano e lasciano enormi territori abbandonati e semiabbandonati, attivitĂ industriali che muoiono o migrano altrove, comunitĂ intere che si spostano lasciandosi dietro spazi non piĂš utilizzati, tutto questo costituisce l’occasione per progetti di riciclaggio che delineano ormai un paradigma del tutto nuovo per il progetto: dare un nuovo senso e un nuovo uso a quello che esiste giĂ , dare nuova vita ai materiali di scarto, rinaturalizzare invece che riurbanizzare. Le contraddizioni e i problemi affrontati dalla ricerca sono oggetto di un vero e proprio Viaggio in Italia che il vasto gruppo impegnato nel progetto si prefigge di fare con la collaborazione di diversi enti che si occupano di monitorare le discrasie del territorio. L’oggetto del viaggio sono tessuti urbani e costruzioni non conclusi, abbandonati anche prima di essere utilizzati, vissuti ma non piĂš congruenti con nuovi usi e nuove necessitĂ , che disegnano paesaggi ordinari del rifiuto all’interno delle cittĂ o a ridosso di strutture ambientali. La mappa dell’Italia costruita negli ultimi venti anni è necessaria a delineare: strategie per rispondere all’urgenza della trasformazione di questi territori critici; progetti alle differenti scale che direzionino, oltre il mero recupero, a nuova e diversa vita; un quadro strategico utile a rimettere in dialogo strumenti dell’urbanistica e modalitĂ operative dell’architettura con le altre competenze necessarie a definire un unico metabolismo urbano. La ricerca si orienta su finalitĂ proprie di Horizon 2020: fondare un’idea di sostenibilitĂ del sistema urbano e dell’urbanizzato a partire dal risparmio della risorsa primaria “territorioâ€?; ottimizzare il funzionamento energetico ed implementare l’inclusivitĂ sociale; definire strategie utili a razionalizzare il sistema della costruzione, convertendolo dalla realizzazione di nuove strutture alla modifica dell’esistente; concordare una linea di conversione e innovazione con le aziende verso strategie e tecniche di riciclo. Con l’obiettivo di aggiornare gli strumenti del progetto si vuole esplorare la possibilitĂ che la costruzione si converta da semplice pratica additiva a strategia complessa del rimettere in circolo, da incremento quantitativo a sviluppo qualitativo, e che da questo cambio di rotta tragga un nuovo impulso e un nuovo senso di necessitĂ . La ricerca è strutturata come conseguenza e necessaria prosecuzione di un percorso intrapreso in due esperienze pregresse: la ricerca PRIN 2007 Il progetto di paesaggio per i luoghi riÂąutati e la mostra Re-cycle. Strategie per l’architettura la cittĂ il pianeta presso il Museo MAXXI di Roma, che
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rappresentano anche momenti di formazione e consolidamento del gruppo di lavoro. I risultati e i prodotti che la ricerca si prefigge di costruire sono: alla fine del primo anno consolidare i rapporti con i partner internazionali attraverso il convegno Re-Cycle Mapping ¥ Geogra±e del riciclo per impostare nuove proposte di ricerca che partecipino alle call dei programmi europei; alla fine del secondo articolare una proposta di legge per l’Emilia Romagna; alla fine del terzo presentare progetti e prototipi in occasione della mostra finale Re-cycle Italy al museo MAXXI di Roma. Tre volumi (un Atlante delle strategie, un testo che riporta la proposta di legge per l’Emilia Romagna, un prontuario di teorie del riciclaggio) raccoglieranno i risultati del lavoro e si proporranno quali vettori di sensibilizzazione e strumenti operativi utili all’attuazione di nuovi cicli di vita per le città e i territori italiani.
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Fabio Mantovani, Stanze, Bologna 2012
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OBIETTIVI
Costruire un quadro inter-disciplinare Uno dei primi obiettivi della ricerca è costruire un quadro articolato di saperi intorno al tema del riciclaggio, un insieme di conoscenze e culture capaci di sviluppare e proporre sinergicamente modi norme e regole d’intervento sul costruito. Le discipline più presenti all’interno del progetto, attorno alle quali si è costruito il gruppo di lavoro, sono la progettazione architettonica e urbana (ICAR/14) e l’urbanistica (ICAR/21), due settori che tradizionalmente si occupano della costruzione della città e che ne definiscono i dispositivi di trasformazione ma che solo negli ultimi anni hanno ritrovato intorno al concetto di paesaggio un campo di lavoro comune, con l’apporto anche dell’architettura del paesaggio (ICAR/15). Si intende dunque anzitutto raccogliere le ricerche e le esperienze sviluppate in questi anni intorno alla questione del paesaggio, capaci di superare la mera distinzione di scala del progetto, di accogliere la complessità del reale e di rispondere alle emergenze che quotidianamente definiscono il rapporto tra sistema urbanizzato e ambientale, per impostare e precisare una strategia del fare città e architettura che si fondi sulla pratica del riciclaggio. Le tre discipline, che lavoreranno di concerto con gli altri saperi
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legati al processo di trasformazione del territorio (dalla tecnologia alla storia, dalla pianificazione all’agronomia, ecc.), sono chiamate a rivedere in primo luogo i propri strumenti analitici, per rileggere la realtà del territorio italiano con lo sguardo rivolto alle possibilità che ancora offre il patrimonio esistente: un viaggio in una nazione profondamente mutata negli ultimi vent’anni che deve trovare direzioni di sviluppo altre da quelle fino ad ora impostate sul continuo consumo di suolo. In secondo luogo si indirizzeranno all’individuazione di politiche, dispositivi operativi, pratiche e tattiche integrate tra loro capaci di disegnare scenari di mutamento compatibili con le nuove esigenze e sensibilità della contemporaneità e azioni di intervento sui materiali ereditati da un passato recente. Confronti con altre realtà europee Il tema del riciclaggio di architetture, infrastrutture e brani di città è diventato, pur a diverse velocità, una priorità europea, date anche la limitata estensione del continente, la sua tradizione costruttiva fondata sulla stratificazione e la volontà di convertire l’economia della costruzione in un sistema sostenibile ed ecologicamente attento. Le diverse Unità metteranno in campo i propri rapporti di collaborazione di ricerca, attivi da qualche tempo e strutturati su questioni prossime a quelle della trasformazione del modello urbano e della struttura territoriale, per disegnare una vasta rete internazionale, sia con sedi europee (per costruire confronti tra situazioni conformi, che pongono problematiche, tecnologie e normative non troppo dissimili), che con sedi extraeuropee (per verificare come la stessa strategia nasca da problematiche e approcci differenti: attuata su territori che si trasformano con grande velocità, come in Asia, o dettata da questioni legate alla disponibilità di materie prime, come in Sud America). Il confronto, teso anzitutto alla costruzione di un preciso aggiornamento dello stato dell’arte, che sarà particolarmente intenso nel primo anno di lavoro e si concluderà con il convegno allo Iuav Geogra±e del riciclo, ha come obiettivo finale quello di portare la rete delle università coinvolte nel progetto a sviluppare progetti di ricerca europei e internazionali. Enti, aziende, amministrazioni: lo scenario italiano Altro obiettivo prioritario del progetto è nutrire una ricerca congiunta e condivisa negli obiettivi con enti, aziende, amministrazioni. Le collaborazioni attivate dalle Unità con enti e istituti di ricerca sono finalizzate a pro-
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durre monitoraggi utili al Viaggio in Italia, che documenti le trasformazioni del territorio incorse negli ultimi venti anni, definisca il quadro nazionale della problematica e di conseguenza sottolinei la necessità della messa in atto della strategia del riciclaggio. Le collaborazioni con le amministrazioni dei territori interessati dagli approfondimenti progettuali delle diverse Unità sono strategiche a declinare la ricerca su un piano operativo e quindi a confrontarsi costantemente con gli altri attori delle trasformazioni del territorio. Le collaborazioni con Fondazioni e associazioni culturali intendono comporre un patrimonio di conoscenze e una sensibilizzazione diffusa sulle questioni legate al tema del riciclaggio, approfondendone le ricadute progettuali in senso vasto, per designarlo come prospettiva nazionale di trasformazione e non di mero congelamento del territorio. Infine il rapporto con le aziende intende cercare quell’integrazione tecnica necessaria all’operatività e alla messa in opera della strategia del riciclaggio come prassi costruttiva oggi impossibile data una cultura materiale fondata sulla costruzione ex-novo. L’interfaccia immaginata per il progetto è parte complementare e necessaria di una ipotesi di ricerca articolata in cui il ruolo dell’università torna ad essere quello di un attore propositivo all’interno del processo di disegno del territorio, nella costruzione di un percorso congiunto con le esigenze e le dinamiche reali, con la prassi quotidiana del costruire, condizione essenziale per trovare nuove direzione di sviluppo per il Paese. Definire strumenti per costruire la trasformazione Il riciclaggio delle costruzioni esistenti oltre a porre questioni teoriche e tecniche, oltre a implicare un’evoluzione culturale e tecnologica, chiede traduzioni sul piano normativo. Il gruppo di lavoro mette in essere la propria esperienza nel campo della ricerca e al tempo stesso accoglie la sfida di definire strategie e dispositivi per concretare il riciclaggio come pratica progettuale. Per ottenere l’obiettivo si prefigge una revisione critica degli strumenti legislativi e giuridici ed un loro possibile ripensamento. Come per quello dal progetto alla costruzione, la ricerca definisce tale passaggio come un punto di frontiera tra ricerca accademica e attori pubblici e privati, con la stessa volontà di disegnare aperture tra l’università e le altre strutture che governano il territorio. Intende affrontare la questione normativa, traducendo le strategie delineate in norma, in lineamenti di legge, in collaborazione con l’IBC della regione Emilia Romagna, mettendo in
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valore le rispettive competenze e al tempo stesso accogliendo la sfida che queste disegnino un percorso, una connessione non occasionale ma che si faccia prassi comune della ricerca progettuale. Esercizi di riciclaggio, sintesi e comunicazione Attraversa tutti gli obiettivi della ricerca la volontà di rendere attivo e propulsivo il lavoro e i suoi risultati, in un momento in cui il Paese cerca nuove prospettive, nuove economie. Il lavoro prodotto si presuppone che sappia parlare, raccontare i propri risultati. Il programma serrato nei tre anni di ricerca, e il numero di ricercatori interessati e coinvolti, danno la misura di un’urgenza e anche di una presa di responsabilità verso un territorio che non va semplicemente protetto ma progettato. Gli esercizi di riciclaggio delineati per i diversi casi studio affrontati (articolati a fissare situazioni specifiche ma anche problematiche ricorrenti) saranno restituiti in un atlante Re-cycle Italy. Atlante delle strategie. La proposta di legge per la regione Emilia Romagna sarà sintetizzata in un ulteriore volume così come le diverse teorie tracciate sul tema del riciclaggio e sulla trasversalità disciplinare. I diversi appuntamenti pubblici che cadenzano il lavoro saranno momenti di verifica della riuscita sintesi e comunicazione del lavoro, e dunque della capacità della ricerca di farsi progetto anche culturale.
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STATO DELL’ARTE
Due sono le questioni chiave che concorrono alla definizione dello stato dell’arte relativo al tema del riciclaggio dell’esistente: l’abbandono progressivo del costruito nelle città della post-produzione e la nuova dimensione ecologica urbana. Le due tematiche, fortemente connesse alla contingenza economica che caratterizza il nuovo millennio, sono esplorate in un apparato bibliografico che dagli Stati Uniti d’America arriva, con l’acuirsi della crisi europea, anche nel nostro continente. Mentre le applicazioni concrete, le realizzazioni di riciclaggi di strutture esistenti, si moltiplicano in alcuni contesti (innescate da normative favorevoli, come nella Convertible City tedesca, o accompagnate da una particolare attenzione sociale come nel caso della High Line di New York), risultano invece assenti sia un apparato scientifico-teorico articolato e coerente che una diffusione del tema nel mondo della costruzione. In termini bibliografici, la strategia del riciclaggio caratterizza soprattutto ricerche d’arte e di tecnologia: manca una sua sistematizzazione e soprattutto una chiarificazione di come possa opportunamente condizionare il modo di immaginare e costruire la città, traducendosi in legge, in un vantaggio economico, ecologico, sociale.
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I paesaggi dell’abbandono Negli ultimi anni l’impotenza manifesta del progetto a rispondere al moltiplicarsi di condizioni d’abbandono di città e territori – datati, ereditati da un recente passato o appena dismessi – rappresenta un tema che vede impegnate diverse discipline. Termini quali: “blanc”, “déchet”, “drosscape”, “espacesdélaisses”, “friches”, “garbage”, “junkspace”, “non-lieu”, “reste”, “ruines”, “terrains vagues”, “tiers paysage”, “vacant land”, “vides”, “wasting away”, sono solo alcune delle voci utilizzate nella ricerca e nella pubblicistica a testimonianza di una fenomenologia sempre più estesa. In questo contesto culturale s’innestano ancora gli studi sulla contrazione urbana, un processo multidimensionale che può interessare città, parti di esse o intere aree metropolitane, investite da specifici fattori di declino economico e sociale. Il progetto di ricerca più noto è Shrinking cities, curato da Philipp Oswalt e presentato in Italia nell’ambito della Biennale di Architettura di Venezia del 2006. Il tema è oggetto di studio anche di programmi internazionali che coinvolgono diverse istituzioni accademiche: un network di ricerche sta definendo una nuova geografia, il cui duplice obiettivo è incrementare la conoscenza del fenomeno e la sua spazializzazione, e stimolare una discussione intorno alle strategie e alle politiche per affrontarlo. È il caso di Shrink Smart. The Governance of Shrinkage within a European Context, ricerca finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del 7FP, o di The Shrinking Cities International Research Network (SCiRN™), consorzio internazionale di ricercatori fondato nel 2004 dall’Institute of Urban and Regional Development at the University of California, Berkeley e da CIRES, Cities Regrowing Smaller. Negli Stati Uniti, il caso Detroit rappresenta la condizione più estrema: da metropoli simbolo della produttività a caso emblematico di contrazione urbana, un “parco urbano” in cui il verde sta conquistando spazio grazie alla condizione di abbandono diffuso. Se Detroit viene riciclata malgrado se stessa, senza un preciso progetto ma in virtù di un fenomeno violento di ridefinizione dei suoi caratteri, la Rapid Re(f)use: Waste to Resource City 2120 di Joachim Mitchell affronta l’altra faccia dell’abbandono, ovvero il progressivo aumentare di rifiuti. La questione dello scarto viene interpretata nella proposta di Mitchell quale nuova frontiera della costruzione: il suo lavoro esplora la possibilità che nuove costruzioni sorgano dal riutilizzo di macerie e rifiuti, traducendo il problema in risorsa. Sul solco di questo filone di studi è stata impostata e condotta la ricerca
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PRIN 2007 Il progetto di paesaggio per i luoghi ri±utati, sviluppata dal 2008 al 2010 dalle Università di Genova (resp. naz. prof.ssa Annalisa Maniglio Calcagno), Venezia Iuav (prof. Renato Bocchi), Trento (prof. Claudio Lamanna), Reggio Calabria (prof. Franco Zagari, con Gianni Celestini), Napoli (prof.ssa Vanna Fraticelli). L’assunto della ricerca era leggere il progetto paesistico come processo, capace di tenere in conto fin dall’origine i dati progressivi dei fenomeni in atto e di possedere proprie capacità adattative rispetto all’evoluzione dei contesti. In questo senso il progetto considerava soprattutto gli scarti prodotti dalle trasformazioni pregresse o in atto e la loro inclusione nei processi in mutazione. La ricerca intendeva avvicinare i metodi e le tecniche del progetto ai processi biologici profondamente connaturati alle mutazioni del paesaggio, i quali prevedono il deperimento, lo smaltimento, la digestione, il riciclaggio, e trovano in questo la loro forza vitale e riproduttiva (al modo a suo tempo invocato e preconizzato da Kevin Lynch nel suo libro postumo Wasting Away). I risultati sono pubblicati in Maniglio Calcagno A., 2010 e in Bertagna A., Marini S., 2011. Il riciclaggio dell’esistente Le esperienze progettuali di riciclaggio dell’esistente caratterizzano un’idea di città che prende vigore in alcuni Paesi europei in virtù di problemi sociali legati alla condizione critica in cui versano alcune periferie o dell’istituzione di norme in materia di consumo di suolo. Nelle città francesi già negli anni ‘80 del ‘900 erano stati manipolati e trasformati profondamente i grandi manufatti delle banlieue (Banlieue 89). Nel 2004 il Ministère de la Culture et de la Communication – Direction de l’Architecture et du Patrimoine – incarica i progettisti Druot, Lacaton & Vassal di elaborare una strategia di riciclaggio dei grands ensembles per offrire più spazio, più tecnologia, più energia (PLUS). Nella Biennale di Architettura di Venezia del 2006 nel padiglione tedesco viene esposta Convertible City. Modes of Densi±cation and dissolving Boundaries che propone realizzazioni architettoniche su edifici esistenti e l’idea di una città che cresce su se stessa. La ricerca tedesca testimonia la conversione del sistema delle costruzioni a seguito di normative che limitano in termini quantitativi le costruzioni ex-novo (riflesso di una precisa politica in materia di tutela del suolo promossa nel 1998 dall’allora ministro per l’Ambiente Angela Merkel). Gli edifici esistenti vengono letti come materiale trasformabile su cui rinnovare l’idea di città. Nella Biennale di Architettura di Venezia del 2008
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nel padiglione italiano con l’esposizione L’Italia cerca casa (curata da Francesco Garofalo) diversi progettisti affrontano il problema normativo legato alla trasformazione della cittĂ , proponendo un uso piĂš consapevole della risorsa suolo attraverso l’occupazione di rovine di un passato recente per produrre nuovi spazi e nuovi cicli di vita urbani. Sul solco di questo filone di studi è stata impostata e condotta la ricerca PRIN 2008 Trasformazione rigenerazione valorizzazione architettonica urbana ambientale di tessuti abitativi marginali. Metodi strumenti progetti applicati al settore occidentale di Milano (prof.ssa Ilaria Valente resp. U.O. Politecnico di Milano; resp. naz. prof. Gianfranco Neri, Reggio Calabria). Con la mostra Re-cycle. Strategie per l’architettura la cittĂ il pianeta, curata da Pippo Ciorra con Reiner De Graaf, Sara Marini, Mosè Ricci, JeanPhilippe Vassal, Paola Viganò che rappresenta una premessa a questa proposta di ricerca, il tema del riciclo viene affrontato in modo trasversale e interdisciplinare: non è letto semplicemente nella sua accezione piĂš nota di riutilizzo di materiali scartati ma come strategia in senso vasto. L’esposizione riporta realizzazioni esemplari di riciclaggio di architetture, cittĂ , paesaggi, insieme a opere di artisti, fotografi, media producer ed evidenzia come in altri Paesi, pochi sono gli esempi italiani, il progetto si sia fortemente convertito ad una ridefinizione dell’esistente, trovando nuove modalitĂ fondate sull’idea di stratificazione, sul paradigma ecologico, sulla ricerca tecnologica. In questo senso la mostra si pone come una misurazione delle potenzialitĂ di una procedura che può rispondere propositivamente al problema economico e ambientale che investe il nostro mondo della costruzione. I materiali esposti e le teorie raccolte sono pubblicati in Ciorra P., Marini S. (eds), 2012. La cittĂ e il suo metabolismo Parlare della cittĂ come di qualcosa che può essere riciclato porta a considerarne ritmi, cicli di vita, metamorfosi. Ăˆ in questo senso che va interpretato il titolo del famoso libro di Jane Jacobs The Death and Life of the Great American City. La cittĂ non segue un percorso biologico immodificabile, ma ha la capacitĂ di rigenerarsi al suo interno, di superare un ciclo di vita e di declino reinterpretando se stessa. Il concetto di ciclo di vita ha una lunga storia nelle scienze sociali ed economiche: parla di mutamento opposto a staticitĂ ; di sequenze e avvicendamenti; di flussi, dinamiche e processi. Ăˆ nella lunga tradizione americana di studi sull’ecologia della cittĂ
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che troviamo dispiegata la forza dell’analogia tra ecosistemi e ambiente urbano. A partire dalla Scuola di Chicago di Burgess e Park, sociologi, geografi, planners ed esperti di real estate utilizzano concetti provenienti dalle ricerche di botanici ed ecologi per leggere la città e poi per costruire modelli interpretativi e normativi. Il testo Cradle to Cradle. Remaking the Way we Make è il manifesto di un’idea di città che è capace di rinnovarsi continuamente, il paradigma di una ecologia che caratterizza sempre più gli studi urbani accompagnando il passaggio dall’urban design all’urban landscape. Le conseguenze legate alla riduzione dei consumi di energia e agli effetti del cambiamento climatico sullo sviluppo dei territori non sono state sinora sufficientemente indagate. Se si pone al centro della ricerca l’energia grigia, oltre alle strategie ormai affermate di riduzione dei consumi energetici e di produzione di energia rinnovabile (incluso il riciclo di energia), allora le ragioni e la necessità di una trasformazione allargata e capillare della città esistente attraverso la presa in considerazione dei diversi cicli di vita che la attraversano emergono con forza. Le politiche in corso, le esperienze recenti di progetti territorali e costruzione di visions per le grandi aree metropolitane (le Grand Paris 2009; NewYork 2030; UE, Roadmap 2050) mostrano che gli obiettivi di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di C02 implicano una revisione profonda dei manufatti e tessuti esistenti, della loro grana e densità; una revisione dei sistemi della mobilità e dell’accessibilità, una ridefinizione del rapporto tra spazi urbanizzati, spazi dell’agricoltura, dell’acqua e dell’energia, un’idea di sistema costruito le cui dinamiche sono associate a quelle del sistema naturale. Nella consultazione internazionale Le Grand Paris, molte delle risposte dei progettisti, tra le quali si segnala quella del gruppo coordinato da Bernardo Secchi e Paola Viganò, si basano su una visione metabolica della metropoli, delineando la possibilità di “riciclare” il sistema urbano, una ipotesi di sviluppo “100% recycle”. Il team italiano ha indagato la possibilità di realizzare i nuovi alloggi richiesti da qui al 2030 nella metropoli parigina attraverso un progetto di riqualificazione e ristrutturazione dei tessuti esistenti, cercando di raggiungere l’autosufficienza energetica attraverso strategie di riduzione del consumo e la produzione di energie rinnovabili attraverso processi di densificazione del pavillonnaire, di ristrutturazione dell’habitat collectif e di mixité funzionale delle attività produttive (cfr. Secchi B., Viganò P., 2011).
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Shortcutting Material Flows. 010 publishers. WEINBERG A., PELLOW D., SCHNAIBERG A., 2000. Urban Recycling and the Search for Sustainable Community Development. Princeton University Press.
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Sissi Cesira Roselli, Archeologia scolastica, Milano 2013
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NETWORK > UNITÀ CASI STUDIO PARTNER
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> UNITÀ DI RICERCA 03 // POLIMI
04 // POLITO
01 // UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA 02 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
05 // UNIGE
03 // POLITECNICO DI MILANO 04 // POLITECNICO DI TORINO 05 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA 06 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” 07 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” 08 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO 09 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MEDITERRANEA” DI REGGIO CALABRIA 10 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI PESCARA 11 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
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02 // UNITN
01 // IUAV
11 // UNICAM
10 // UNICH
07 // POLIBA
06 // UNIROMA1 05 // UNIBAS 07 // UNINA
09 // UNIRC
08 // UNIPA
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Sissi Cesira Roselli, Venexia, Venezia 2012
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> UNITÀ // 01 UNIVERSITÀ IUAV [COORDINAMENTO]
Renato Bocchi [PO] coordinatore e responsabile scientifico Aldo Aymonino [PO] Agostino Cappelli [PO] Alberto Ferlenga [PO] Carlo Magnani [PO] Matelda Reho [PO] Mario Lupano [PS] Paola Viganò [PS] Roberta Albiero [PAC] Fernanda De Maio [PAC] Enrico Fontanari [PAC] Stefano Rocchetto [PAC] Margherita Vanore [PAC] Maria Chiara Tosi [PAC] Stefano Munarin [PANC] Giovanni Mucelli [RC] Sara Marini [RNC] Luigi Latini [RNC] Lorenzo Fabian [RTD]
Valerio Paolo Mosco [RTD] assegnisti Matteo Aimini Chiara Cavalieri Irene Guida Cristina Renzoni Vincenza Santangelo Alessandro Santarossa Fabio Vanin dottorandi Giulio Testori Martina Barcelloni Corte collaboratori Silvia Dalzero Emanuel Lancerini Alessandra Libardo Mauro Marzo [RNC]
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Re-cycle Veneto city L’Unità locale dello Iuav di Venezia in qualità di capofila è organizzata per orchestrare e sviluppare il progetto della ricerca Re-cycle Italy, nella sua interezza e per produrre strategie, procedure e prototipi di riciclaggio applicabili a specifiche realtà che insistono nei territori della regione Veneto. Il progetto di ricerca è strutturato in modo di restituire una sorta di Viaggio in Italia per registrare le evidenti trasformazioni che hanno modificato il volto del Paese: un’ingente quantità di nuove costruzioni, non sempre utili e in uso, a cui corrisponde il proliferare di spazi dismessi, dimenticati, impraticabili. A questa contraddizione fa eco una crescente conflittualità tra sistema ambientale e sistema urbanizzato, i cui risultati si concretano in vere e proprie emergenze (allagamenti, frane, esclusione sociale, deficit tecnologico e dispersione di energie e materie prime, ecc.). In risposta al malfunzionamento del sistema gli strumenti del progetto a tutte le scale (dal piano alle norme che regolamentano la trasformazione del singolo oggetto) insistono ancora su possibili incrementi della massa del costruito e le aziende del settore delle costruzioni necessitano di attivare una ricerca che coincida con un nuovo ciclo di vita economico e sociale più corrispondente allo scenario attuale. L’Unità indaga il riciclaggio di città e territori come possibile meccanismo di relazione tra le logiche dell’ambiente naturale e quelle dell’ambiente costruito, reinterpretando i processi di trasformazione urbana come veri e propri cicli di vita. Il rimando al riciclaggio viene assunto come tecnica per fondare strumenti d’analisi e procedure progettuali, andando oltre la pura suggestione metaforica. Individuata la natura del materiale (maceria, rifiuto, spazio in abbandono, ecc.), si cerca una concreta strategia di riciclaggio (assemblaggio, upcycling, rottamazione, ecc.) verificandone la fattibilità sulle realtà territoriali. La scelta dei casi applicativi, fortemente diversificati, è volta a dimostrare la pervasività della tecnica del riciclaggio, la sua efficacia rispetto alle urgenze del territorio e insiste su relazioni in essere e in fieri con amministrazioni, enti e aziende per denunciare la ferma volontà della ricerca di avere risultati applicativi, rispondendo a domande reali. La sperimentazione dei processi di riciclo si applica in particolare al patrimonio in disuso dei manufatti artigianali-industriali e quindi agli spazi del lavoro, al patrimonio in disuso di origine militare, alle reti infrastrutturali
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(idrografica e della mobilità). L’Unità Iuav, per rendere attivo il passaggio dalla ricerca teorica allo sviluppo di strategie di riciclaggio e alle sue possibili ricadute operative, si avvale della collaborazione dei laboratori del proprio Ateneo – lab. cartografico (Circe) per il monitoraggio del territorio, lab. multimediale (Me. La) per le tecniche di rappresentazione, lab. prove materiali (Labsco) per la sperimentazione di prototipi – nonché articola le proprie collaborazioni con soggetti esterni per garantire il confronto internazionale (reti di Università), sviluppare proposte di legge, modelli applicativi e valutazioni economiche (Audis), assicurare la discussione dei risultati col territorio (Fondazione Fabbri). Le collaborazioni sono strutturate con l’obiettivo di fondare la ricerca su questioni derivanti dal documento Horizon 2020: si vuol verificare come la strategia del riciclaggio (che concentra l’attenzione su punti, parti e aree già compromesse) sia necessaria per risparmiare energia e contrastare l’usura e la dispersione delle risorse ora in atto. Il Veneto si presta quale caso emblematico di processi di alterazione del sistema ambientale ai quali si associa lo scenario della post-produzione che attende di intraprendere un nuovo ciclo di vita, non più fondato sull’aumento delle quantità ma sulla circuitazione delle energie, per avviare una virtuosa fase di sviluppo.
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Autostrada A22, Trento
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> UNITÀ // 02 UNIVERSITÀ DI TRENTO
Giorgio Cacciaguerra [PO] responsabile scientifico Maurizio Costantini [PO] Corrado Diamantini [PO] Claudio Lamanna [PAC] Giuseppe Scaglione [PAC] Claudia Battaino [RC] assegnisti Cristina Mattiucci Chiara Rizzi Stefania Staniscia
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Smart re-cycle Strategie di riciclo per le architetture e la città distesa Il riciclo è un tema che nelle diverse scale viene affrontato da ricercatori e tecnici di diversa formazione che sono accomunati da un unico e specifico obiettivo che consegue uno sviluppo sostenibile in termini di manufatto, di aggregato e del territorio. La questione del riciclo inteso come rigenerazione urbana e territoriale viene oggi considerata prevalentemente in chiave di recupero e sostenibilità ambientale, nonché di risparmio energetico (la cosiddetta rottamazione) che trascura i parametri di sostenibilità sociale e qualità della vita. Nelle aree metropolitane, ove in Italia vive il 70% della popolazione, la rigenerazione sostenibile è l’elemento nodale per affrontare il decadimento dello stato delle città e dell’edificazione con l’adeguamento degli standard di sicurezza ed energetici, il recupero degli spazi pubblici e del verde, l’innovazione delle reti tecnologiche e delle infrastrutture. Si avvia così un processo di risparmio di risorse e di politica di rottamazione delle città che in Italia, secondo valutazioni della stampa non certo espresse in termini rigorosamente scientifici, porta ad un risparmio della produzione di 8 centrali nucleari di media entità. Gli spazi urbani dismessi, inutilizzabili, obsoleti ed irrecuperabili, vuoti o marginali, le aree periferiche rappresentano una risorsa progettuale per rivitalizzare pezzi di città e non impiegare improvvidamente ancora parti di nuovo territorio. Così il “riciclo” abbraccia un processo articolato che va dalle rigenerazioni urbane e territoriali dei vuoti come degli elementi e delle strutture fisiche, al riciclaggio di materiali fisicamente desunti dalle architetture e non. La presenza di molti edifici e le strutture urbane abbandonate o in dismissione caratterizza lo sviluppo della città contemporanea come una forma di urbanizzazione non occasionale piuttosto che strutturale: si tratta, da un lato, di una dinamica fisiologica della città contemporanea, dovuta ad una migrazione interna verso altri siti. Dall’altro lato dipende da un surplus di costruzione dovuto alla contrazione della domanda di edifici residenziali e commerciali, che sembra corrispondere ad uno stato generale di mancato sviluppo piuttosto che ad un reale regresso della popolazione. La situazione è diventata ancora più ampiamente percepita come un’im-
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magine di decadimento in alcune sacche urbane di molte città europee; l’abbandono dei siti e degli edifici è ancora più significativo come aspetto concettuale della città contemporanea, piuttosto che una caratteristica fisica delle aree rifiutate. Allo stesso tempo, in questo quadro è tuttavia ancora in corso l’urbanizzazione di nuove aree esterne, che consumano più del suo stesso uso, spianando la strada a nuovi abbandoni. Per questo patrimonio urbano, gli edifici e i siti in obsolescenza, architetti di tendenza sono chiamati a studiare le strategie per la riattivazione delle nuove dinamiche attraverso progetti integrati di riciclaggio. La ricerca si propone di ripensare quelle parti della città, risultato dell’urbanizzazione e della crescita nel recente passato ma tecnologicamente obsolete, “periferie interne”, modelli urbani che si conformano come sistemi chiusi, che mostrano segni di crisi e di disaffezione. In queste zone l’indebolimento dell’intensità d’uso è lo stato iniziale della crisi che viene associato solitamente ai vari problemi – come la scarsa efficienza energetica di edifici antichi, la perdita di socialità, ecc. – che porta alla cessione. L’idea di riciclaggio di tali parti è collegata al concetto architettonico del rifiuto ed implicitamente contiene il valore positivo dell’evoluzione, come un deposito di opportunità per la trasformazione in una nuova entità, socialmente ed economicamente utile. Questo è ciò che va trovato, il modo di riciclare siti in cui la città mostra chiari segni di crisi, riconsiderando la questione del consumo di risorse esaurite.
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Giovanni H채nninen, Chiesa, Milano 2012
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> UNITÀ // 03 POLITECNICO DI MILANO
Ilaria Valente [PO] responsabile scientifico Roberto Spagnolo [PO] Guya Grazia Bertelli [PS] Arturo Sergio Lanzani [PS] Gianfranco Becciu [PAC] Chiara Merlini [PAC] Gennaro Postiglione [PAC] Fabrizio Zanni [PAC] Andrea Di Franco [RC] Umberto Sanfilippo [RC] Andrea Gritti [RNC] Marco Bovati [RTD] Barbara Coppetti [RTD] Juan Carlos Dall’Asta [RTD] Federico Zanfi [RTD] assegnisti Simonetta Armondi Cassandra Cozza
Anna Moro Anita Raimondi Andrea Oldani dottorandi Michela Bassanelli Felipe Barrera Castellani Sara Impera Carlotta Lamera Sandra Maglio Mauro Marinelli Cristiana Mattioli Elsayed Doaa Salaheldin Ismail Elena Scattolini Giulia Setti Alisia Tognon collaboratori Francesco Curci Maddalena Falletti Giovanni Hänninen
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Ri-cicli produttivi Il progetto di suoli, tessuti e manufatti tra incerti destini e risorse operabili L'Unità di ricerca del Politecnico di Milano intende approfondire la definizione di strumenti progettuali e politiche di governo del territorio applicabili ai nuovi cicli di vita di tessuti, manufatti, suoli, caratterizzati da usi produttivi e presenti nel contesto nazionale e lombardo. La declinazione del tema verte sulla possibilità di determinare, attraverso operazioni di sottrazione, innesto, recupero, un nuovo ciclo di vita che assuma e modifichi la stratificazione di spazi, manufatti, usi, coinvolti nei diacronici processi di obsolescenza dei tessuti produttivi. Si vogliono, dunque, delineare nuove geografie dei luoghi della produzione ora riconoscibili per la povertà di contenuti tecnologici e articolazione spaziale, verificando la possibilità di promuovere fasi di sviluppo degli ambienti densamente abitati, progettualmente rinnovate, durevoli e sostenibili. La ricerca concerne la problematica posta dal patrimonio di tessuti urbani, reti e manufatti infrastrutturali, edifici e suoli che si presentano come residui di differenti tipologie produttive e che sono investiti da processi di abbandono, obsolescenza, sottoutilizzo. Questi corrispondono a un significativo livello di crisi nel modello di sviluppo dei territori più popolati e attivi del Paese che coincide con un cambiamento di fase nei processi di urbanizzazione. Tale dinamica investe ambiti e strutture spaziali commiste e frammentarie anche di recente realizzazione. Questi territori fragili continuano ad essere oggetto di operazioni di nuova urbanizzazione e consumo di suolo, cui si sovrappongono manufatti infrastrutturali esito sia di una politica di nuova e ordinaria infrastrutturazione (nastri autostradali, rotatorie, passanti, tangenziali, bretelle, ecc.) o anche rispondenti a una più incisiva politica di potenziamento delle reti (di teleriscaldamento, idrauliche…) che spesso manifestano conflitti con le trame e gli assetti preesistenti. Tra le criticità emerse da questi processi spiccano quelle con una dimensione marcatamente ecologica (come, ad esempio, gli effetti indotti sul ciclo urbano delle acque). Una particolare riflessione è, dunque, da dedicarsi alle attuali configurazioni del suolo, che si presenta come supporto innervato e spesso indebolito dai recenti processi di urbanizzazione. I suoli liberi frantumati dalle urbanizzazioni presentano un destino incerto, difficilmente possono essere recuperati all'agricoltura o individuati come parchi, né possono essere
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destinati allo spazio urbanizzato. L'abbandono e il sottoutilizzo di strutture e infrastrutture che si disperdono nei nostri paesaggi non è ammissibile a fronte della scarsità delle risorse territoriali e della necessità di intendere lo sviluppo sostenibile anche come applicazione di principi ecologici all'ambiente costruito. Il patrimonio di tessuti, reti, edifici e suoli sopra richiamato, è dunque da intendersi come risorsa operabile e suscettibile di cura (per la nozione di cura, cfr. scritti recenti di Nicola Emery, in part. Progettare costruire curare. Per una deontologia dell’architettura, Edizioni Casagrande, Bellinzona 2010) verso l'attivazione di un ulteriore ciclo di vita capace di mobilitare un vasto repertorio di interventi ispirati alla triangolazione concettuale che unisce riduzione, riuso e riciclo per un suo possibile risarcimento in termini di qualità sociale, spaziale, ambientale, architettonica. Gli obiettivi della ricerca coincidono con altrettanti prodotti scientifici: - un Atlante strategico della shrinking city lombarda e padana, esito di una pratica descrittiva-interpretativa, progettualmente orientata ed inerente le forme, gli usi, i caratteri spaziali e ambientali degli ambiti insediativi coinvolti; - la definizione di temi e questioni emergenti nei processi di riduzione/ riuso/riciclo dei luoghi della produzione a basso contenuto tecnologicospaziale presenti, in particolare nel territorio lombardo e padano, ma anche selezionati nel piÚ ampio contesto nazionale, con particolare riferimento alle relazioni con le altre componenti dell'insediamento e a valle di comparazioni con ricerche e progetti sviluppati nel contesto europeo e internazionale; - esplorazioni multidisciplinari che mettano in opera, nel progetto architettonico e urbano, la conoscenza dei vincoli economici, normativi, tecnologici, ecologico-ambientali, aperti al dialogo con gli attori delle trasformazioni e con differenti competenze, per una ridefinizione del processo attraverso cui il progetto prende forma nelle pratiche architettoniche e urbanistiche e nell'attuazione in contesti specifici.
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Mauro Berta, Andrea Delpiano, ProgettualitĂ reti e grandi telai, 2013
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> UNITĂ€ // 04 POLITECNICO DI TORINO
Antonio De Rossi [PO] responsabile scientifico
dottorandi Danilo Marcuzzo
Liliana Bazzanella [PO] Giovanni Durbiano [PO] Gustavo Ambrosini [RC] Michele Bonino [RC] Elena Comino [RC] Massimo Crotti [RC] Alessandro Armando [RNC] Mauro Berta [RNC]
collaboratori Paolo Antonelli Marco Barbieri Francesca Camorali Carlo Deregibus Mattia Giusiano
assegnisti Andrea Delpiano Roberto Dini borsisti Davide Rolfo
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RIVERFLOW (after the sprawl) Nuovi assetti per i capitali fissi territoriali La trasformazione territoriale, in uno scenario di forte contrazione di risorse come quello attuale, sembra diventare un tema difficile da cogliere. Legate ad un paradigma che interpreta la crescita come un’attività di consumo e colonizzazione di spazi vuoti dalla città verso il territorio, le discipline progettuali sembrano immobilizzate dalla fine di quella logica incrementale così spesso stigmatizzata, ma mai realmente abbandonata. Lo sprawl, le dinamiche di metropolizzazione dei territori estesi di matrice policentrica, si combattono con una “nuova densità” che si materializza tramite il compattamento di bordi, la definizione di “porte”, tecniche di in±lling. Si porta l’urbanità laddove non c’è aggiungendo nuovi oggetti che saturano i tessuti più porosi. Non esiste rimessa in gioco senza aggiunta di parti. L’idea di apertura di nuovi cicli di vita per le strutture geografico ambientali pare una sfida dai difficili contorni. Entro quale orizzonte concettuale ed operativo è possibile affrontare ancora il tema del “riciclo” delle strutturazioni insediative intese come situazioni territoriali che rinnovano i propri assetti? L’Unità di Ricerca indagherà la questione attraverso un’operazione sperimentale di rimessa in forma di alcuni capitali fissi territoriali che più di altri paiono poter ancora esercitare un ruolo di “telaio” (non soltanto dal punto di vista morfologico) su cui appoggiare ed orientare le attività trasformative che verranno. Tale operazione, passa attraverso un processo di selezione-abbandono-riciclo-reintreccio di materiali vecchi e recenti assumendo l’idea del riciclaggio cradle to cradle come dispositivo concettuale e metaforico. I tessuti che mostrano o che hanno mostrato in un passato recente condizioni di marginalità sembrano oggi avere una nuova vivacità. Sembrano poter uscire da una condizione di “spazio-rifiuto” per aprirsi a cicli di vita che sottendono una nuova idea di riequilibrio territoriale. Una mappatura critica di questi materiali consente di riflettere su come questi, proprio attraverso una continua ed estrema messa alla prova della loro fragilità e condizione di rischio ambientale, abbiano evidenziato la capacità di intrecciare diverse situazioni insediative ed infrastrutturali. Abbiano mostrato l’attitudine a porsi come utile dispositivo attraverso il quale dare forma ai conflitti, ridefinire regole comuni e dimensioni collettive. Proprio la lettura di alcune esperienze significative sembra poter portare ad assumere il Piemonte come caso studio da indagare per imma-
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ginare un atlante per il riciclo di strutture geografico-ambientali nel senso metaforicamente desunto dalla procedura proposta da McDonough. Le grandi continuità ambientali piemontesi appaiono oggi come capitali fissi che si rendono disponibili attraverso un impegno di risorse relativamente basso e supportato da esternalità positive legate al miglioramento delle condizioni ambientali. Inoltre, tali materiali mostrano una pervasività ed un intreccio talmente forte con il palinsesto da implicare necessariamente dimensioni di equilibrio in cui non viene generata ulteriore marginalità. In questo senso è possibile pensare ad essi come presupposti necessari ad operazioni più ampie di rimessa in gioco degli assetti insediativi. Per dare corpo a questa ipotesi si proporranno alcuni casi di studio utili ad intercettare nuove progettualità d’area vasta che sappiano dialogare con tracciati ferroviari dismessi, tessuti agricoli, sistemi di spazi aperti. Tali assetti dovranno porsi come luogo alternativo per la definizione di una diversa idea di sviluppo, capace di intrecciare opportunità economiche e pratiche sociali in modo multiplo e plurale.
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Massimo Strazzeri | Flickr, Listen to the Silence, Genova 2007
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> UNITÀ // 05 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Mosè Ricci [PO] responsabile scientifico Marco Del Borghi [PO] Jörg Schröder [PO] Hannover Fara Favia [PAC] UNIBAS Ina Macaione [PAC] UNIBAS Maria Valeria Mininni [PAC] UNIBAS Raffaella Fagnoni [PANC] Manuel Gausa Navarro [PANC] Adriana Del Borghi [RC] Biagio Perretti [RC] UNIBAS Andrea Vian [RC] Alberto Bertagna [RNC] Gabriella Gallo [RNC] Carlo Strazza [RNC] assegnisti Simona Arata Sara Favargiotti
Carmela Coviello / UNIBAS Cristina Dicillo / UNIBAS Cristina Gorzanelli Gaia Grossi Mathilde Marengo Chiara Olivastri Virginia Ortalli Lara Parodi Clarissa Sabeto Emanuele Sommariva collaboratori Nicola Canessa Maddalena Ferretti / Hannover Christian Haid / Hannover Kerstin Hartig / Hannover Sarah Hartmann / Hannover Ines Lüder / Hannover Emanuela Nan Teresa Pagnelli / UNIBAS Rosanna Rizzi / UNIBAS
dottorandi Jacopo Avenoso
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RE-CITYING Il riciclo come infrastruttura per la riattivazione della città Riciclare significa rimettere in circolazione, ridare allo scarto nuovo valore e nuovo senso. In una prospettiva di decrescita quale quella indotta dalla crisi globale cambia radicalmente il punto di vista di chi si occupa di architettura e di città. La strategia del riciclo è lo sfondo concettuale di una nuova cultura urbana contemporanea: il passaggio da un sistema di misure (il territorio) a un sistema di valori (il paesaggio). Con il termine “ri-attivazione” si intende il processo di ri-significazione degli spazi collettivi: RE-CYTING identifica un’impresa collettiva, non sporadica, che dimostra la possibilità e la convenienza di uno sviluppo urbano fondato su nuove coesioni sociali, nuove energie (materiali e umane) e nuove economie per la città. L’Unità di Genova si occuperà del riciclo degli spazi dismessi o sottoutilizzati delle infrastrutture ferroviarie, immaginati come spazi pubblici latenti, motori di relazionalità anche nelle loro prossimità, sistemici, diffusi e permeanti. Si tratta di immaginare un modello di sviluppo che restituisca valore agli spazi aperti, sempre considerati come un onere piuttosto che come una risorsa, per i quali impostare scenari, tattiche e politiche di conversione, rinnovandoli come catalizzatori urbani. Il sistema delle aree prese in esame si sviluppa secondo una direttrice che fa da scheletro all’impianto urbano, proponendo a sua volta una struttura per la ricerca: la Genoa BELT (Basic Ecologic Light Transformation/Transportation). La ricerca si concentrerà sulle azioni di rafforzamento dei processi di riattivazione, non solo delle attuali piattaforme logistiche in dismissione, dei distretti di trasformazione urbana, delle aree dismesse o sottoutilizzate delle ferrovie, ma anche dei contesti sub-urbani o periferici. Sulla scia della ricerca avviata nel 2008 con il progetto QVQC (Quali Velocità, Quale Città) per indagare le politiche della mobilità e del trasporto integrato in relazione alle trasformazioni urbane e agli impatti indotti lungo le direttrici ferroviarie, saranno approfonditi i temi legati alla riqualificazione e alla riorganizzazione dei nodi urbani attraversati dalle infrastrutture. La ricerca si propone una fase di sperimentazione e verifica pre-progettuale su casi studio selezionati con il supporto di enti territoriali per la promozione di attività di eco-innovazione, riconfigurando i nodi di trasporto in prossimità di aree dismesse, ispirandosi a criteri di sostenibilità ambientale.
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Il primo obiettivo è l’elaborazione del Recycle Footprint: una sorta di mapping parametrico, non solo un mosaico zenitale, ma un calco della città, un sistema di informazioni capace di mettere in evidenza valori a vari livelli (parametri legati al consumo, all’ambiente, alla dimensione conviviale e collettiva). Con il supporto del Centro di ricerca Cesisp la ricerca mira a inquadrare il ciclo di vita (LCA) delle aree oggetto di studio, attraverso possibili scenari di previsione e valutazione ex–ante, studiando un modello adeguato alla città, basato sull’esistente, con regole adattive. Obiettivo generale della ricerca è quello di proporre non tanto un tipo formale diverso ma delle performance, delle prestazioni, lavorando sui processi di trasformazione attraverso strategie e visioni declinate secondo paradigmi differenti (rigenerazione urbana, vivibilità, convivialità, responsabilità). La struttura del gruppo di ricerca genovese è collegata – per integrazione competenze e scambi di esperienze – con le sedi di Matera (Recycle Agriculture: il caso materano, in cui le strutture agro-paesistiche esistenti dei borghi della riforma agraria costituiscono ancora un riferimento importante, studierà le trame agricole suburbane al fine di sperimentare nuovi concetti di bonifica), Barcelona (Recycle Open Spaces: questo cluster esplora l’evoluzione e gli scenari futuri della città a partire dal riuso e dalla reinterpretazione dei propri spazi pubblici, intesi come spazi relazionali contemporanei, una Multistring City, con una forte configurazione multi-assiale, la cui forza si basa sulla densità e simultanea coincidenza tra corde direzionate con carattere e identità proprie e, comunque, in grado di essere attivate o semplicemente utilizzate a vari livelli di variazione, trasversalità e intersezione) e Hannover (Recycle Brown±eld: il contributo fornito dal cluster tedesco riunisce diverse esperienze che vanno dallo sviluppo e la crescita urbana equilibrata, alla tutela e la riconversione dei paesaggi, in relazione alle forze sociali ed economiche; temi che contribuiscono in diversa misura alla mappatura del Footprint del riciclo, un approccio concettuale che verrà applicato all’area industriale della Continental di Hannover per poi essere confrontati con altri contesti di riferimento).
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Piero Ostilio Rossi, Riciclare la memoria, Memento Park, Budapest 2010
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> UNITÀ // 06 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
Piero Ostilio Rossi [PO] responsabile scientifico Roberto Secchi [PO] Lucina Caravaggi [PAC] Orazio Carpenzano [PAC] Paola Veronica Dell’Aira (PAC] Fabio Di Carlo [PAC] Andrea Bruschi [RC] Alessandra Capanna [RC] Andrea Grimaldi [RC] Paola Guarini [RC] Dina Nencini [RC] Maurizio Alecci (TAB) Francesca R. Castelli (TAB) assegnisti Maria Clara Ghia Lina Malfona Gianbattista Reale Gianpaola Spirito
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Metabolismo urbano Nel nostro Paese il bisogno di controllo del paesaggio appare un’aspirazione sociale diffusa ma imprecisa e vaga nei suoi contorni; la contraddizione tra la nostalgia verso un passato indefinito nella sua collocazione temporale ma felice nella sua condizione di equilibrio e la convinzione che la società contemporanea sia fatalmente depositaria di un sistema di disvalori che non possono che corrompere e degradare il paesaggio, implode sempre più in una condizione di impotenza che consegna il paesaggio stesso o alla sfera delle cose che vanno in qualche modo “musealizzate” o all’ambito di ciò che è ormai definitivamente compromesso e sul quale non è più possibile agire. Tra queste due posizioni estreme si estende uno spazio intermedio di ricerca e di proposta nel quale l’Unità di Ricerca della Sapienza intende collocare la sua ipotesi di lavoro che si riassume nell’idea di saggiare la possibilità di attuare processi di qualificazione del paesaggio di tessuti urbani e insediativi di formazione recente e spesso abusiva, caratterizzati dalla presenza di attività che per loro intrinseca natura introducono elementi di forte deterioramento fino a costruire veri e propri “paesaggi-scoria”. I paesaggi e le figure dello scarto – i drosscapes di Alan Berger – intesi come spazi interstiziali costituiti da zone di stoccaggio delle merci, grandi aree di parcheggio, discariche, cave ormai esaurite, depositi di veicoli fuori uso, rivendite a cielo aperto di materiali edili – infestano infatti i paesaggi metropolitani. Pur necessarie alla vita della città e alla sua economia, queste attività costituiscono un fattore di degrado, determinano un importante detrattore della percezione dei paesaggi e provocano guasti alla salute dell’ambiente. Per loro natura, essi sono distribuiti in modo frammentario e sono sorti al di fuori di ogni strategia urbana obbedendo a ragioni di razionalità minima, senza un piano che ne definisca ubicazione, consistenza e dimensione, che ne massimizzi l’efficienza e ne minimizzi l’impatto ambientale e paesaggistico. In questi processi di qualificazione, le tematiche del re-cycle vengono assunte dall’UdR come linee strategiche di intervento in considerazione del fatto che le condizioni generali della società impongono ormai di operare per reimpiegare i materiali di scarto, per ri-costruire più che per costruire, per ri-naturalizzare piuttosto che per urbanizzare, per definire, insomma, una concreta risposta della cultura visiva e progettuale al tema pressante
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della sostenibilità. La tematica dell’«As found» (un termine coniato da Alison e Peter Smithson a metà degli anni Cinquanta) fa da cornice e da sfondo a questo progetto. «As found» è la capacità di guardare diversamente e dare nuovo significato a ciò che è ordinario, che attiene alla vita cosi com’è; è la capacità di progettare raccogliendo tracce e indizi, recuperando segni e significati che appartengono al quotidiano e al sentire comune: è insomma la base teorica di un atteggiamento dialettico tra strumenti disciplinari e realtà che ben si adegua alla dimensione progettuale del paesaggio e alla tematica del recycle. Il campo d’applicazione della ricerca interessa una particolare sezione della città di Roma: la “Coda della Cometa”, la conurbazione lineare che si sviluppa lungo il corso inferiore del Tevere tra il Grande Raccordo Anulare e il mare attestandosi su Ostia, l’aeroporto Leonardo da Vinci e Fiumicino. Questo territorio possiede peculiarità particolari e quindi specifiche potenzialità che meritano grande attenzione. La figura della Cometa richiama un’immagine che era stata proposta alla metà degli anni Trenta da Gustavo Giovannoni e ha poi fornito l’armatura del Piano del 1942 (mai approvato a causa della guerra) elaborato da Marcello Piacentini come Variante al Piano del 1931 dopo la decisione di realizzare l’E42 nel quadrante meridionale della città: un disegno che è stato in misura solo parziale recepito dal PRG del 1962, ma che negli anni successivi si è realizzato di fatto anche con processi spontanei, in maniera indipendente dalla redazione di Piani urbanistici. Per le caratteristiche del suo tumultuoso sviluppo, questo territorio ha prodotto una quantità rilevante di paesaggi-scoria: veri e propri sottoprodotti dello sprawl e di un’urbanizzazione troppo rapida, luoghi di concentrazione degli scarti di produzione o di produzione di scarti, aree sospese in una condizione di abbandono. L’UdR si propone di effettuare una capillare ricognizione, documentazione e censimento di questo genere di siti e di sviluppare riflessioni teoriche e operative per redigere le linee guida per la redazione di masterplan, di action plan e di progetti pilota volti a concentrare queste attività in aree idonee, appositamente attrezzate e di riconvertire le aree liberate nelle destinazioni più convenienti, per restituire qualità e valore ai territori e ai paesaggi coinvolti, potenziarne l’identità e promuoverne lo sviluppo.
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Alex MacLean, Cava pendici Vesuvio, 2004
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> UNITÀ // 07 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
Carlo Gasparrini [PO] responsabile scientifico Vito Cappiello [PO] Antonio Cavaliere [PO] Roberto Serino [PO] Michelangelo Russo [PS] Massimo Fagnano [PAC] Lodovico Maria Fusco [PAC] Fabrizia Ippolito [RC] UNINA2 Antonio Passaro [RC] Marina Rigillo [RC] assegnisti Nunzio Fiorentino dottorandi Libera Amenta Danilo Capasso Emanuela De Marco Cecilia Di Marco Davide Di Martino
Ottavia Gambardella Adriana Impagliazzo Sabrina Sposito Anna Terracciano collaboratori Francesca Borrelli Daniele Cannatella Salvatore Carbone Susanna Castiello Paola Galante Unità Aggregata POLIBA Nicola Martinelli [PAC] Spartaco Paris [PAC] Alessandro Reina [RC] collaboratori POLIBA Vincenzo Bagnato, Federica Greco, Maristella Loi, Giovanna Mangialardi, Francesco Marocco, Michele Mundo, Graziarosa Scaletta
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Recycling and re(land)scaping the drosscapes L’Unità di Ricerca intende esplorare una declinazione del Re-cycle connessa alla interazione tra spazi del drosscape, cioè paesaggi-scarto, e la costruzione di “nuovi suoli” da destinare alla formazione di una rete di spazi aperti multifunzionali per la città contemporanea. Gli spazi del drosscape disegnano una complessa geografia ambiti territoriali e aree dello scarto e del rifiuto, abbandonate e incolte, depauperate dalle scorie del metabolismo urbano e industriale, inquinate e comunque segnate da processi intensivi di modificazione ambientale, potenzialmente disponibili al riciclo dentro strategie trasformative a scala territoriale e urbana. Si tratta di una molteplicità di spazi urbani e periurbani di svariata dimensione, in forte relazione con gli insediamenti urbani consolidati e con lo sprawl territoriale; spazi potenzialmente oggetto di una specifica attenzione progettuale finalizzata a sostenere l’integrazione degli spazi aperti nei sistemi a rete del paesaggio urbano contemporaneo. La riconfigurazione morfologica e urbanistica dei drosscape rappresenta la forma di una strategia di rigenerazione urbanistica che assume i caratteri morfologici propri del “progetto di suolo” orientato alla costruzione di network paesaggistici a diverse scale, costituiti da spazi aperti abitati e caratterizzati da mixitè funzionale, capaci di dialogare con un’idea di città intesa a sua volta come sistema di relazioni multi-scalari. La ricerca intende definire un approccio cognitivo e progettuale alla rigenerazione degli spazi del drosscape, a partire da un modello di interpretazione del territorio capace di mettere in tensione tra loro le diverse componenti strutturali, con particolare riferimento ai valori e alle criticità dovute dalle incerte sovrapposizioni tra le reti. Una conoscenza interpretativa e valutativa della realtà territoriale in cui proliferano questi spazi deve riferirsi ad un ripensamento tecnico e procedurale del progetto di bonifica per andare oltre le pratiche settoriali: questi “territori dello scarto” possono essere identificati come un sostrato irrinunciabile per un progetto urbano e di paesaggio ecologicamente orientato. L’interazione che i problemi ecologico-ambientali, infrastrutturali e urbanistici posti dai drosscapes esprimono con le strategie di trasformazione urbana, la costruzione di paesaggi urbani innovativi, lo sviluppo di modelli economici alternativi e di cicli energetici sostenibili, è un campo di ricerca in cui l’urbanistica e la progettazione del territorio devono allinearsi (e integrarsi)
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con gli avanzamenti disciplinari delle scienze della terra, dell’ecologia del paesaggio, dell’urban ecology e del real estate development. Una dimensione, quella dei brownfields, che richiede strategie di riciclo multiscalari – dalla scala delle relazioni urbane territoriali, che questi frammenti potenzialmente sollecitano, a quella della scelta dell’intervento di bonifica – e modelli di verifica tecnico-amministrativa adeguati a contesti temporali e normativi ben definiti. Le ricadute ecologiche, ma anche urbane, di questo approccio vanno potenzialmente oltre la rigenerazione dei siti compromessi, coinvolgendo sia gli ecosistemi che i tessuti urbani. Allo scadimento delle prestazioni urbane ed ecologiche, corrisponde infatti la costruzione di un paesaggio di scarto, fortemente limitato nei suoi processi di integrazione con la città consolidata. Uno spazio di rifiuto che evolve con dinamiche proprie, socialmente pericolose e fortemente limitanti delle possibilità di crescita e sviluppo economico. In questo senso il riciclo dei drosscape interagisce strettamente con il mosaico degli spazi rurali urbani e periurbani e più in generale con le componenti strutturali del paesaggio urbano: le reti delle acque superficiali e profonde, le infrastrutture, i sistemi insediativi da riqualificare.
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La re-loaded city come nuovo paradigma di sviluppo urbano: installazione “Waste Landscape” di Elise Morin e Clémence Eliard al Centquatre di Parigi, 2011
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> UNITĂ€ // 08 UNIVERSITĂ€ DEGLI STUDI DI PALERMO
Maurizio Carta [PO] responsabile scientifico
Salvatore Di Dio Daniela di Raffaele Antonio Giovanni Minutella
Marcella Aprile [PO] Vincenzo Melluso [PO] Marcello Panzarella [PO] Ferdinando Corriere [PAC] Alessandra Badami [RC] Daniele Milone [RC] Valeria Scavone [RC] Flavia Schiavo [RC] Ignazio Marcello Vinci [RC] Daniele Ronsivalle [RTD] assegnisti Giuseppina Farina dottorandi Annalisa Contato Isabella Daidone
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Re-loaded city Strategie del riciclo per riattivare la città L’UdR di Palermo declina il tema-guida del RICICLO applicandolo alla rigenerazione degli insediamenti urbani e territoriali attraverso una immissione in nuovi cicli di vita dei complessi urbani, dei tessuti insediativi e delle reti infrastrutturali in dismissione, in mutamento o in riduzione funzionale. La città in contrazione produce “lacerti” urbani, “trucioli” funzionali e “rottami” di sviluppo che attraverso un processo/progetto di riciclo possono tornare ad essere infrastrutture di nuovi cicli di vita capaci di generare paesaggi urbani e peri-urbani fondati sull’abbandono, la dismissione, il declassamento o la modificazione d’uso di tessuti insediativi. La ricerca riguarderà sia i “materiali” abitativi che quelli produttivi, logistici e militari, lavorando sia sugli assets materiali sia su quelli legati alle risorse della memoria e dell’identità contenuti nelle aree da riciclare e in grado di produrre nuovo software urbano a partire dalla ricombinazione di “righe di codice” (funzioni, risorse, tessuti e architetture) ancora efficienti. La RELOADED CITY è una città “sostenibile, creativa e responsabile” capace di ripensare modelli di comunità urbana per reinventare le forme dell’insediamento a partire dalla “ri-attivazione” dei capitali urbani identitari o in dismissione e mutamento, per ridisegnare il modo con cui ci muoviamo, per ritessere rapporti creativi con l’ambiente e il paesaggio e per alimentare la produzione di culture insediative urbane capaci di attivare nuovi metabolismi urbani, ma anche di reagire agli scenari di declino. La ricerca agisce entro un “Capitalismo 3.0” che produca riusi, ricicli ed evoluzioni creative ed in una guida permanente dei processi insediativi attraverso una forte integrazione con la sostenibilità ecologica, con la pianificazione territoriale, con la gestione dell’uso dei suoli, con l’impatto energetico, con la progettazione di morfologie e con la produzione di valore. L’etica della “responsabilità del progetto” ci impone che vengano attivate azioni “recycle oriented” per il recupero creativo delle risorse aggredite o degradate dalle attività umane, attraverso la riattivazione dei loro potenziali latenti o esclusi da uno sviluppo dopato dalle politiche “debit driven”. L’UdR lavorerà nella prevalente dimensione degli insediamenti urbani e territoriali caratterizzati dalla “eccedenza” e “sovrapproduzione” (complessi urbani in mutamento, tessuti insediativi in dismissione e reti infrastrutturali in trasformazione), che verranno affrontati attraverso azioni
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di modifica, o di rimozione, o di reinvenzione. Le procedure progettuali si riferiscono al cosiddetto UP-CYCLING (rottamazione), attraverso cui le “componenti” vengono ricreate, senza distruggerle ma mutandone le funzioni perseguendo un’ottica creativa ed aumentando la loro “resilienza” rispetto ai mutamenti dello sviluppo. L’UdR lavorerà sulla “piattaforma nord-occidentale di Palermo”, per individuare politiche e progetti per ri-attivare metabolismi urbani capaci di tracciare una exit strategy dalla crisi attraverso azioni che incidano sul “software” dei luoghi, sul “sistema operativo” della città, sulla sua “intelligenza” piuttosto che solo sul riuso delle carcasse, dei lacerti, degli scarti. Senza, tuttavia, cedere a comode fughe verso la “rarefazione” dei tessuti urbani, ma sfidando con modalità nuove la “densificazione”.
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Vincenzo Gioffrè, Benvenuti a Reggio Calabria Città Metropolitana, 2012
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> UNITÀ // 09 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MEDITERRANEA” DI REGGIO CALABRIA
Vincenzo Gioffrè [RC] responsabile scientifico
personale ente straniero (NTUS) Giamila Quattrone (assegnista)
Vittorio Amadio [PAC] Gianni Celestini [PAC] UNIROMA1 Adriano Paolella [PAC] Rita Simone [PAC] Claudio Marcianò [RC] Consuelo Nava [RC]
consulente Franco Zagari
dottorandi Antonia Di Lauro Emanuela Genovese Venera Leto Elisabetta Nucera Nicola Sapone Giuseppe Giovanni Zumbo personale altro ente (CNR) Giuliana Quattrone (RC)
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Riciclare paesaggi dello scarto: progetti sperimentali per la città metropolitana di Reggio Calabria La pratica del riciclaggio è uno dei più grandi generatori d’innovazione creativa. L’Unità di Ricerca di Reggio Calabria interpreta RE_CYCLE come dispositivo progettuale multiscalare applicato alla risignificazione dei paesaggi dello scarto in contesti semi urbani/semi rurali. Intendendo per scarto quei paesaggi considerati inutili in quanto colpiti da perdita di ruolo e di significato a seguito di incessanti fenomeni di evoluzione dell’habitat. All’interno del gruppo nazionale il compito della UdR è proporre strategie progettuali, in conformità con gli obiettivi di Horizon 2020, secondo un approccio integrato multidisciplinare che consentirà di aggregare risorse e conoscenze provenienti da diversi settori, tecnologie e discipline che spaziano dalla progettazione sostenibile della città al paesaggio e all’architettura, dal ladscape urbanism, all’energy city, ai processi economici di governance territoriale partecipata. Obiettivo della ricerca è sperimentare strategie di riciclo nella chiave interpretativa e operativa del paesaggio, inteso in una accezione contemporanea, così come proposto della Convenzione Europea del Paesaggio, espressione della comunità che lo vive e lo modifica. Il progetto di paesaggio si concretizza in proposte operative multifunzionali che associano i grandi temi ambientali della riduzione del consumo di suolo e di risorse primarie mantenendo sempre viva la sperimentazione figurativa, estetica, spaziale. Il campo di ricerca applicata della UdR riguarderà i paesaggi dell’abbandono che si determinano ai lati, sotto, tra gli interstizi di sistemi autostradali, linee ferroviarie, in adiacenza di banchine portuali, in prossimità di cave dismesse, discariche; ma anche vuoti e spazi aperti accanto a sistemi fluviali e arenili, coltivazioni e sistemi di bonifica, contenimento dei terreni abbandonati o compromessi dall’espansione urbana: luoghi sensibili che disegnano nuovi scenari mediterranei e metropolitani, configurano “reti” di unità di paesaggio, di flussi energetici, di scambi produttivi, di usi e comportamenti degli “users” di tipo condiviso. La ricerca, attraverso la costruzione di un atlante di esperienze progettuali, fondato su nuovi paradigmi di scenario, costruirà – secondo un approccio operativo trans-scalare (urbano, edificio, dettaglio) – declinazioni utili alla risignificazione dei paesaggi urbani ed extraurbani dello scarto e del rifiuto. Si opererà una forte delimitazione dei casi in un contesto nazionale e internazionale che
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per obiettivi e modalità operative possono fornire prefigurazioni sostenibili per il caso applicativo della Città Metropolitana di Reggio Calabria. L’approfondimento consiste nella proposta di progetti sperimentali per quei contesti considerati emblematici dei processi di rapida trasformazione del paesaggio contemporaneo. Fenomeni spesso caratterizzati da pratiche spontanee, illegali hanno generato una grande quantità di “macerie”, spazi vuoti, terrain vagues, paesaggi dell’abbandono soprattutto in adiacenza di sistemi naturali e infrastrutture. L’ipotesi di lavoro è: a) attribuire nuovi ruoli, funzioni, significati e qualità ai paesaggi dello scarto per avviare un processo virtuoso di rigenerazione urbana, per valorizzare i contesti marginali quali luoghi potenziali per nuovi paesaggi della lentezza, della produzione sostenibile di beni primari e di energia da fonti rinnovabili, per esperire nuove pratiche sociali in natura; b) configurare scenari sostenibili di tipo “produttivo” capaci di declinare un nuovo glossario per la rigenerazione dei siti sensibili: scenari residenziali di ecohousing, distretti dell’agrourbano con modelli sostenibili di organizzazione, energy-zone di gestione di nuove reti energetiche a basso consumo, water-farm, sustainable community, energy park.
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Francesca Pignatelli, Edificio in rovina, Cocullo 2012
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> UNITÀ // 10 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI-PESCARA
Francesco Garofalo [PO] responsabile scientifico Carmela Andriani [PO] Cristina Bianchetti [PO] POLITO Rosario Pavia [PO] Lorenzo Pignatti [PO] Susanna Ferrini [PAC] Massimo Angrilli [RC] Stefania Camplone [RC] Giuseppe Di Bucchianico [RC] Paola Misino [RC] Piero Rovigatti [RC]
Mario Morrica Stefano Picciani Patrizia Toscano collaboratori Emilia Corradi Michele Manigrasso Francesca Pignatelli
assegnisti Raffaella Massacesi dottorandi Vincenza De Vincenziis Stefania Gruosso
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Il riciclo dei territori fragili L’altra faccia delle città che crescono, e che producono quello scarto edilizio e urbanistico sul quale vuole lavorare il programma di ricerca Re-Cycle, è l’abbandono di ampie zone del paese. Occorre individuare dove e come avviene che lo scarto si manifesti anche come contrazione e abbandono. Ciò implica innanzitutto un affinamento di un insieme di nozioni. - Della nozione di fragilità (entro un’accezione territoriale e temporale). - Per differenza di quella di patrimonio (che in quanto “dato” si suppone pronto ad essere “valorizzato” riportandolo ad una dimensione economicista). - Di quella di infrastruttura che non può più essere intesa in termini tradizionali, ma bensì nell’ottica di Stewart Brand (Whole earth discipline: an ecopragmatist manifesto, 2009) che propone una nozione di infrastruttura come supporto al servizio dell’ambiente alla pari delle reti naturali. - Di quella di progettazione inclusiva, in quanto la sola accessibilità fisica dei luoghi non è garante di una effettiva inclusione sociale e valorizzazione delle diversità tra gli individui. - E di quella stessa di riciclo (fuori da un’accezione generica e consolatoria) che si presta a qualche mistificazione ideologica (oltre che ad un’estensione poco operativa del proprio campo). L’Abruzzo ha un centro in parte “vuoto”, interessato da processi analoghi a quelli di altre regioni d’Italia, in cui la presenza del turismo non è in grado di diffondere sviluppo equilibrato, perché si localizza in punti concentrati, producendo anzi una nuova e specifica quantità di scarto. I centri minori, invece, presentano un patrimonio che chiede attenzione e risorse in base alla propria storicità e fragilità (non solo sismica), ma nel far questo conferma le ragioni di fondo del proprio declino e della propria esclusione. La politica dell’emergenza e della ri-costruzione rischia di provocare effetti indesiderati. Il programma di lavoro è dunque estraneo al binomio terremoto-ricostruzione, che esamina criticamente per la sua strumentalità e il suo essere risposta a breve termine. Il ri-ciclo significa invece avviare un nuovo modo di produrre e abitare lo spazio. Il ri-ciclo investe tutte le scale, ha bisogno di strategie di area vasta, di politiche d’intervento complesse e globali dall’ambiente, al territorio, al paesaggio, al sistema insediativo, alle reti infrastrutturali e ambien-
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tali, all’edificio, ai prodotti industriali, ai materiali, allo smaltimento dei rifiuti e al loro recupero e riutilizzo; la ricerca è per questo transcalare e interdisciplinare. Proporre il ri-ciclo significa confrontarsi con un processo continuo, programmare l’intero ciclo di vita di un sistema, sia esso una città o un oggetto di design. Dentro questo quadro, l’approccio al progetto proposto dal Design for All, intercettando nuove tipologie di individui di beni e servizi finora “esclusi” da una loro fruizione autonoma e consapevole, si rivela peraltro un formidabile strumento di rilancio competitivo dei territori meno sviluppati. La ricerca intende inoltre approfondire il ruolo strategico delle reti infrastrutturali-ambientali nella organizzazione dei sistemi territoriali, in cui sperimentare nuove modalità di produzione – distribuzione (dall’energia al riciclo dei rifiuti, all’industria, all’agricoltura, alla mobilità, ai servizi) e di consumo (intervenendo sui comportamenti dell’abitare). Attraverso la sperimentazione, alla scala di area vasta, dei singoli centri urbani, delle unità insediative ed edilizie, delle tecnologie, dei componenti e dei materiali, la ricerca si propone di predisporre indirizzi per una revisione sia delle attuali procedure e normative della pianificazione territoriale paesistica e urbanistica, sia dei criteri di progettazione architettonica ed edilizia (efficienza energetica, sismica, impiego di materiali e componenti certificati).
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Giulia Menzietti, Bulimia, 2013
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> UNITÀ // 11 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
Pippo Ciorra [PO] responsabile scientifico Umberto Cao [PO] Luigi Coccia [PANC] Piotr Bronislav Barbarewicz [RC] UNIUD Giovanni Corbellini [RC] UNITS Marco D’Annuntiis [RC] Anna Rita Emili [RC] Alessandra Marin [RC] UNITS Bianca Maria Rinaldi [RC] Lucia Nucci [RNC] UNIROMA3 Gabriele Mastrigli [RTD] collaboratori Alessandro Gabbianelli Emanuele Marcotullio Giulia Menzietti
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Scarti urbani della città adriatica L’ambito generale di ricerca della nostra unità è quello dei fenomeni urbani contemporanei, visti da un lato come strumento essenziale per il nuovo assetto fisico e sociologico della nuova Europa e dall’altro come questione centrale nella gestione “sostenibile” delle risorse, del paesaggio, della qualità dell’ambiente abitato. In particolare il contesto fisico e concettuale nel quale maggiormente si colloca l’impegno di ricerca dell’unità dell’Università di Camerino è la città lineare e costiera italiana, campo tradizionale di lavoro della nostra Scuola, e la sua prerogativa di offrire una quantità/ qualità sovradimensionata di materiale architettonico urbano e paesaggistico “da riciclare”. È ormai evidente infatti come il meccanismo di formazione stesso dei fenomeni urbani in questione sia in sostanza una premessa ideale per l’applicazione dei dispositivi di riciclo. O meglio, come si intende sottolineare in questa sede, di Up-cycling. Dove per Up-cycling si intende un’approccio alla pratica del riciclo che punta alla non cancellazione completa delle tracce e della fisionomia del “corpo” preesistente in un processo di riciclaggio simile a quello che utilizziamo per materiali e rifiuti. L’attitudine a riciclare mantenendo una memoria forte del “ciclo biologico” precedente (o dei vari cicli) dell’edificio o dello spazio ci sembra infatti più appropriato in un contesto disciplinare come il nostro, che punta sia all’individuazione degli strumenti di una “buona pratica” che alla definizione di un approccio tecnico ed espressivo all’altezza delle grandi tradizioni architettoniche europee, capace di intrecciare memoria e modernità. Il dispositivo di trasformazione dei territori in questione nell’Europa contemporanea (e soprattutto mediterranea) è semplice e lineare. Lo spazio è determinato dalla crescita (o decrescita) di quattro “elementi primari” essenziali, tra loro non necessariamente comunicanti e spesso non esattamente coordinati. Il primo è quello delle infrastrutture, che costituiscono una specie di struttura osteologica primaria. Il secondo quello residenziale, costituito dalla crescita per punti o minisistemi individuali che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni e che rappresenta ormai la cifra dominante dello sprawl costiero italiano e non solo. Il terzo è quello degli spazi del lavoro, capannoni, centri di uffici, poli tecnologici e terziari che rappresentano il layer più inquieto e dinamico del sistema, affetto da una continua alternanza di espansione e contrazione. Per sua natura, e per la congerie economica degli ultimi anni, è tra quelli che più producono “materiale” da
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riciclare. Il quarto “materiale” in questione è quello al quale per convenzione affidiamo il compito di tenere insieme il paesaggio (landscape) e le preesistenze architettoniche storicamente accreditate. Proprio i meccanismi non sincronizzati e molto influenzati da processi esogeni che portano alla crescita di questi quattro elementi primari – dalla cui giustapposizione nasce quella che ancora chiamiamo “città” – portano a una inevitabile sovrapproduzione di spazi destinati a un rapido consumo, all’abbandono, all’uso improprio, alla sottoutilizzazione, alla necessità urgente di un loro riciclo, o meglio up-cycling. Nascono così i caratteri di quella che generalmente identifichiamo come città contemporanea, caratterizzata appunto da luoghi incerti, programmi fugaci, spazi generici e presenza sovrabbondante di residui e scarti. Il che conduce a due considerazioni finali. La prima ha a che fare con l’ulteriore chiarimento dell’obiettivo di questo programma, vale a dire la ricerca di strumenti di lettura e intervento innovativi per la death and (new) life di questi territori. La seconda coincide invece con l’impossibilità di applicare le distinzioni tradizionali di scala sia ai problemi che intendiamo affrontare che agli strumenti di intervento che cerchiamo di elaborare.
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> CASI STUDIO parco del po
04>
parco gesso-stura
01 // UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA 02 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO 03 // POLITECNICO DI MILANO
genova
04 // POLITECNICO DI TORINO 05 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA 06 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” 07 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” 08 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO 09 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MEDITERRANEA” DI REGGIO CALABRIA 10 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI PESCARA 11 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
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05>
03> reti e paesaggi della produzione 01> veneto
11> la cittĂ adriatica
10> territori fragili
07>
06>
05> matera
coda della cometa
somma / vesuvio
distretto estrattivo apricena - lesina – poggio imperiale
07>
pianura del sebeto litorale domitio
piattaforma nord-occidentale siciliana
09>
08>
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cittĂ metropolitana di reggio calabria
> PARTNER NAZIONALI
01 // UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
04 > parco del po 04 > parco gesso-stura
02 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO 03 // POLITECNICO DI MILANO
02 > CNAPPC 05 > gruppo FS
04 // POLITECNICO DI TORINO
05 > associazione nazionale comuni italiani
05 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
05 > SIU 05 > CE.SI.S.P. 06 > ANCE
06 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
08 > ministero delle infrastrutture e trasporti 09 > WWF
07 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
09 > CNR 09 > IIA
08 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
10 > AITEC 11 > agenzia del demanio
09 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MEDITERRANEA” DI REGGIO CALABRIA
AITEC > Associazione Italiana Tecnico Economica Cemento
10 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI PESCARA
CE.Si.S.P. > Centro per lo Sviluppo della Sostenibilità dei Prodotti CERISDI > Centro Ricerche e Studi Direzionali IIA > Istituto sull’inquinamento atmosferico
11 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
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02 > autostrada del brennero
02 > provincia di trento
02 > castello buonconsiglio
02 > museo delle scienze
02 > EURAC
02 > volteco-ufficio ricerche
02 > fondazione bruno kessler 03 > confindustria, BG
01 > fondazione fabbri
03 > comuni di alzano lombardo, nembro, albino, castelli calepio
01 > VESTA
03 > comune di sesto san giovanni
08 > RECS 11 > IBC emilia romagna
01 / 03> AUDIS
03 > provincia di modena, comune di sassuolo 03 > terni energia 10 > parco naturale regionale sirente-velino 10 > comuni di: goriano sicoli, gagliano aterno, cocullo, popoli
11 > fondazione MAXXI 06 > roma capitale
07 > autoritĂ di bacino sarno 07 > autoritĂ di bacino liri garigliano volturno 07 > comune di napoli (dip. di urbanistica) 07 > CNR:IRC
08 > CERISDI 08 > confindustria/pa 08 > ANCE/pa 03 > CNR Itae, messina
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> PARTNER INTERNAZIONALI
01 // UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
03 > TU berlin 03 > mastricht university
02 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
11 > université de liège 03 > ENSAPB 08 > NOEMA 09 > ADGD
03 // POLITECNICO DI MILANO 04 // POLITECNICO DI TORINO
01 > parson - new school for design / new york
05 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
09 > AMB 07 > UPC 05 > UAB 01 > ETSAB
06 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
03 > ETSAV
07 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
01 > observatorio del paisaje de las islas canarias
08 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO 09 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MEDITERRANEA” DI REGGIO CALABRIA
01 > universidad nacional de la plata / argentina
10 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI PESCARA 11 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
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06 > ESA 10 > EIDD 01 > TU / delft 03 > HTWK leipzig 01 > katholieke universiteit / leuven 11 > technische universitaat dortmund 07 > saxion universities of applies sciences 05 > leibniz universität 02 > universität innsbruck 03 > ENSAM 08 > university of malta 02 > TU
04 > south china university of technology
04 > chinese university of hong kong
01 > universidad miguel hernández, elche
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Sissi Cesira Roselli, Instaproject, Brescia 2012
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ATTIVITÀ > LABORATORIO RE-CYCLE PRODOTTI CALENDARIO
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> LABORATORIO RE-CYCLE
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> LABORATORIO RE-CYCLE
Andrea Gritti [responsabile] andrea.gritti@polimi.it
Andrea Delpiano [responsabile] andrea.delpiano@polito.it
03 // POLIMI
04 // POLITO
01 // UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA 02 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Raffaella Fagnoni [responsabile] fagnoni@arch.unige.it
05 // UNIGE
03 // POLITECNICO DI MILANO 04 // POLITECNICO DI TORINO 05 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA 06 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
Francesca R. Castelli [responsabile] francesca.castelli@uniroma1.it
07 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” 08 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO 09 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MEDITERRANEA” DI REGGIO CALABRIA 10 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI PESCARA 11 // UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
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02 // UNITN
Chiara Rizzi [responsabile] chirizzi@gmail.com
01 // IUAV Sara Marini [responsabile] marini@iuav.it Stefano Munarin [responsabile] munarin@iuav.it
11 // UNICAM
Giulia Menzietti [responsabile] giulia_menzietti@libero.it
10 // UNICH
Francesca Pignatelli [responsabile] pignatelli.f@gmail.com
06 // UNIROMA1
Fabrizia Ippolito [responsabile] fabrizia.ippolito@unina2.it
07 // UNINA
Francesco Marocco [responsabile]
Daniele Ronsivalle [responsabile] daniele.ronsivalle@unipa.it
08 // UNIPA 09 // UNIRC Consuelo Nava [responsabile] cnava@unirc.it
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> PRODOTTI PUBBLICAZIONI E MOSTRE
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Tre volumi RE-CYCLE ITALY. Atlante di strategie RE-CYCLE ITALY. Proposta di legge regionale per l’Emilia Romagna RE-CYCLE, SUB-CYCLE, IPER-CYCLE. Teorie da un concetto nomade Mostra finale RE-CYCLE ITALY / Museo MAXXI di Roma Tutte le U.O. si attivano a redarre testi, a produrre elaborazioni utili alla concretizzazione del testo Re-cycle Italy. Atlante di strategie, in cui confluiscono tutti i materiali prodotti nella verifica delle procedure del riciclaggio applicate a città e territori. Il testo restituisce il lavoro intrapreso nel primo anno su scala nazionale, riporta l’aggiornamento dello stato dell’arte costruito con gli enti internazionali coinvolti nel progetto, i lineamenti di riciclaggio declinati sui cinque programmi e le rispettive ricadute sul piano analitico e su quello progettuale nelle singole applicazioni. Parte di questo materiale viene selezionato e integrato con il racconto multimediale delle diverse iniziative intraprese nei due anni precedenti e redatto per essere allestito nella mostra Re-cycle Italy che si terrà al Museo MAXXI al termine dei tre anni del lavoro di ricerca. La redazione dei materiali per l’Atlante e per la mostra è coordinata da un gruppo di ricercatori dell’U.O. dello Iuav. Un gruppo intersede si dedica, con il coordinamento di alcuni rappresentanti dell’U.O. dello Iuav, alla restituzione e all’ulteriore approfondimento dell’apparato teorico sviluppato nei due anni di lavoro o desumibile da questi. L’obiettivo di tale gruppo è la messa in valore dell’interdisciplinarietà del progetto e dei possibili contributi di tutte le discipline coinvolte, per esplorare le possibili declinazioni teoriche del concetto di riciclaggio e per la verifica della trasdisciplinarietà di un concetto che investe, con le proprie procedure, campi distanti del sapere. Il gruppo restituisce i risultati dell’indagine svolta nei tre anni da tutte le U.O. e quelli di questa fase di approfondimento nel volume Re-cycle sub-cycle iper-cycle. Teorie da un concetto nomade. Un ulteriore gruppo intersede, sempre coordinato da una parte dell’U.O. dello Iuav, si dedica alla redazione della proposta di legge regionale in collaborazione con l’IBC dell’Emilia-Romagna, alla sua elaborazione e stesura a partire dai risultati della ricerca ottenuti nei due anni di lavoro. Il gruppo si avvale di nuovo della collaborazione degli enti nazionali e internazionali coinvolti, questa volta incentrando il dialogo sul piano normativo.
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Il risultato di tale discussione viene restituito come materiale integrante e fondante la proposta di legge e presentato nel testo Re-cycle Italy. Proposta di legge regionale per l’Emilia Romagna indirizzato in particolare ad aprire un dibattito nazionale in materia di gestione e trasformazione dei territori. Sarà perciò volta particolare attenzione alla modalità di comunicazione dei risultati affinché il volume sia rivolto ad un pubblico vasto, non solo comprensibile agli addetti ai lavori ma oggetto di coinvolgimento anche della società intera. I tre volumi prodotti, pur avendo una veste comune che li rende riconoscibili come parti di un unico percorso di ricerca, sono costruiti su impianti differenti a cui corrisponde anche una modalità di comunicazione specifica, declinata sulla struttura del testo al fine di esplorare ambiti distinti della stessa strategia e così colmare precisi vuoti rilevati nello stato dell’arte attuale.
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> CALENDARIO 2013-2016
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>2013
>2014
14-15 Febbraio Seminario di apertura ricerca [VENEZIA]
Gennaio Convegno di chiusura primo anno di ricerca RE-CYCLE MAPPING / Geografie del Riciclo [VENEZIA / TORINO]
Settembre/Ottobre Seminario chiusura prima tappa del Viaggio in Italia + Viaggio in treno PescaraSulmona [ASCOLI / PESCARA]
Marzo/Aprile Workshop internazionale [PALERMO] Luglio Workshop internazionale [GENOVA] Settembre/Ottobre Confronto internazionale [NAPOLI]
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>2015
>2016
Febbraio Forum LANDSCAPE OF RECYCLE / Paesaggi del Riciclo presso IBC Bologna e Evento in contemporanea in tutte le sedi [BOLOGNA]
Febbraio Mostra e convegno finale al MAXXI Seminario conclusivo [ROMA]
Settembre/Ottobre Seminario di sintesi delle esperienze di campo e dei rapporti con i partner nazionali [MILANO]
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Finito di stampare nel mese di settembre del 2013 dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
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Il testo è strutturato in tre parti: l'introduzione disegna gli assunti della ricerca, in Re-cycle Italy i coordinatori delle undici Unità di Ricerca definiscono, in una sorta di giro d'Italia, gli accenti e le accezioni di un progetto di revisione del ruolo del progetto. Nella terza parte del volume sono precisati: la struttura della ricerca, il network di ricercatori, partner nazionali e internazionali coinvolti, i casi studio e le attività che verranno svolte in questi tre anni di lavoro.
Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio
Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio è il primo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell'omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l'esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. La ricerca è fondata sulla volontà di far cortocircuitare il dibattito scientifico e le richieste concrete di nuove direzioni del costruire, di palesare i nessi tra le strategie di ridefinizione dell'esistente e gli indirizzi della teoria, di guardare al progetto quale volano culturale dei territori.
Re-It 01
isbn 978-88-548-6267-8
Aracne
euro 24,00
01 Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio