Re-Cycle Veneto

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14 RE-CYCLE VENETO

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Re-CyCle Veneto

A CURA DI loRenzo fabian stefano munaRin ettoRe DonaDoni

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978-88-548-6267-8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: luglio 2015

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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%

Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino

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INDICE

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Re-Cycle Veneto Lorenzo Fabian, Stefano Munarin

PRIMA PARTE: RICICLARE I TERRITORI DEL PIAVE E DEL PEDEMONTE

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Esercizi di riciclo post-metropolitano Mauro Berta

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Paesaggio e infrastruttura del Pedemonte Matteo Aimini

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Le energie della Valle del Piave Elisa Beordo, Stefano Munarin

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Dalle retrovie ai campi di battaglia Andrea Iorio, Claudia Pirina

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Paesaggi fluviali in produzione Carlo Magnani, Margherita Vanore, Francesca Zannovello

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SECONDA PARTE: RICICLARE I TERRITORI DEI FIUMI E DELLE INFRASTRUTTURE

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Paesaggio: così è se vi pare Franco Zagari

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Esplorazioni progettuali e ricerca Chiara Merlini

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Ri-ciclare spazi e forme della mobilità Lorenzo fabian, Ettore Donadoni, Luca Velo

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L’Ostiglia fra lo Zero e il Dese Flavia Pastò

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Trama pubblica lungo il Marzenego Maria Chiara Tosi, Viviana Ferrario, Claudia Faraone, Cristina Renzoni, Andrea Bortolotti

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TERZA PARTE: RICICLARE I TERRITORI DELLA PRODUZIONE

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Riciclo come progetto/progetto come riciclo Mosè Ricci

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Riciclare i territori della produzione Ezio Micelli

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Veniceland Sara Marini, Sissi Cesira Roselli, Vincenza Santangelo, Giuseppe Piperata, Micol Roversi Monaco

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Tessile pedemontano e temporary hosting Mario Lupano, Ethel Lotto

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Urbs in Horto. Nuovi cicli di vita per le placche industriali nella città diffusa Paola Viganò, Andrea Curtoni, Giulia Mazzorin

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QUARTA PARTE: LA NARRAZIONE DEL TERRITORIO COME STRUMENTO DI PROGETTO

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All that jazz Renato Bocchi

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Pubblicare Ve.Net: appunti per un manuale di progettazione da viaggio Giulia Ciliberto

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Il modello territoriale Ve.Net. Mapping, delayering, relayering Giuseppe Caldarola

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Territori contesi. Il progetto tra razionalitĂ tecnica e performativitĂ narrativa Irene Guida

268

Viva i paesaggi post-belli (ci) Claudio Bertorelli (direttore Fondazione Francesco Fabbri)

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NETWORK Ricerca Elisa Beordo Giuseppe Caldarola Giulia Ciliberto Ettore Donadoni Claudia Faraone Irene Guida Antonella Indrigo Andrea Iorio Emanuel Lancerini Ethel Lotto Giulia Mazzorin Flavia Pastò Claudia Pirina Sissi Roselli Sebastiano Roveroni Luca Velo Supervisione Aldo Aymonino Renato Bocchi Fernanda De Maio Lorenzo Fabian Alberto Ferlenga Enrico Fontanari Luigi Latini Mario Lupano Carlo Magnani Sara Marini Stefano Munarin Maria Chiara Tosi Paola Viganò Partner operativi Altevie Technologies S.r.l (Villorba, TV) Ikos Costruzioni S.r.l. (VE) Il Prato Publishing House (Saonara, PD) La Quercia (Scorzé, VE) Lago S.p.a. (Villa del Conte, PD) Marcello Faggin S.a.s. (PD) Marzotto S.p.a. (Valdagno, VI) P. R. Consulting S.r.l (PD) R.E.M. S.r.l. (Livenza, TV) Sartori BlueHiTech S.r.l. (PD) Sinergo S.p.a. (Martellago, VE) Sive Formazione S.r.l. (Marghera, VE) Zintek S.r.l. (Marghera, VE)

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RE-CYCLE VENETO* Lorenzo Fabian Stefano Munarin

Un workshop, una ricerca Le pagine che seguono riassumono gli esiti del lavoro svolto da alcuni docenti, assegnisti di ricerca e studenti della laurea magistrale dell’università Iuav di Venezia che, nell’ambito della più vasta ricerca Recycle Italy, si sono organizzati in dieci “tavoli di lavoro” per indagare le possibilità di riciclo del territorio Veneto e al contempo utilizzare questo contesto per indagare alcune possibile articolazioni dell’idea di riciclo. Le ricerche e le sperimentazioni progettuali che nelle pagine seguenti sono illustrati esplorano così da angolazioni differenti i concetti base e condivisi della ricerca, ossia la possibilità di avviare nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture esistenti, dismesse o obsolete, entro strategie di progettazione che si interrogano su diversi temi, che vanno dalle questioni ambientali, energetici e della mobilità alla percezione e fruizione di alcuni specifici paesaggi o alla riflessione intorno al concetto di patrimonio. Questo specifico progetto, della durata di un anno e intitolato Re-Cycle Veneto Lab1, si è concluso con il workshop di progettazione Ve.Net2, tenutosi nell’ottobre 2014 all’Università Iuav di Venezia e presso la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo. Al progetto hanno partecipato insieme ai docenti, studenti e ricercatori dell’università Iuav i rappresentanti di associazioni di categoria, amministrazioni, aziende e imprese, coinvolti in una comune ri* Questo testo è frutto della collaborazione tra gli autori, tuttavia esso è stato redatto da Stefano Munarin per i paragrafi "Un workshop, una ricerca" e "Ricicli", Lorenzo Fabian per i paragrafi "Un nuovo ciclo di trasformazione" e "Re-Cycle Veneto".

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fino al 1950

Parete in pietra (intonaco, pietra, intonaco): con pietre squadrate grossolanamente nelle zone montane, in prossimità dei corsi d’acqua, veniva utilizzato del pietrame avente forma irregolare e leggermente arrotondata

1956

1955

1954

1953

1952

1951

Muratura in mattoni pieni

1950

1930

1920

Cicli di vita del mercato delle costruzioni inItalia Fonte: L. Fabian con M. Barucco, rielaborazione da Bellicini L et al., (2011), Il mercato delle costruzioni 2011, XXII rapporto congiunturale e previsionale Cresme. 2010-2015 l’avvio del VII ciclo edilizio. VOL3 CRESME

fino al 1910

1940

genreazioni edilizie

flessione volta ad esplorare le possibili ricadute economiche e strategiche di una ipotesi di radicale trasformazione del territorio veneto. Nel workshop, come nella pubblicazione, i dieci tavoli sono stati suddivisi in tre parti, cui corrispondono anche differenti ambiti tematici e geografici. La prima parte, “Riciclare i territori del Piave e del pedemonte”, fa riferimento agli ambiti compresi fra le Alpi e l’alta pianura asciutta, territori dinamici, oggi interessati dai cambiamenti indotti dalla realizzazione dell’autostrada pedemontana e alla ricerca di una nuova e più chiara definizione. La seconda parte, “Riciclare i territori dei fiumi e delle infrastrutture”, fa riferimento al deposito di acque, strade e ferrovie regionali che hanno strutturato la pianura e la città diffusa veneta, al loro necessario ripensamento alla luce dell’emergere di nuovi temi ambientali, del welfare e della valorizzazione del paesaggio. La terza parte, “Riciclare i territori della produzione”, fa riferimento alla conclusione di un lungo ciclo economico-produttivo e al necessario ripensamento, anche concettuale, dei suoi spazi. Infine un’ultima parte, cui corrisponde anche un ultimo tavolo di lavoro, è dedicata, fra storytelling e processo, alla narrazione del territorio come possibile forma del progetto.


Un nuovo ciclo di trasformazione Anche in Veneto, come in altri territori contemporanei, è sempre più chiara la percezione che un lungo ciclo di costruzione della città si stia chiudendo. Nel rapporto sul mercato delle costruzioni del centro studi CRESME3 tale percezione si rende manifesta in un grafico che illustra il susseguirsi dei cicli del mercato immobiliare in Italia dal 1950 ad oggi. Il grafico, che mostra l’alternarsi dei momenti di espansione e di contrazione del mercato, si conclude con un ultimo grande ciclo edilizio – il sesto in ordine di tempo – iniziato a metà degli anni Novanta del XX° secolo e che oggi è in fase conclusiva e di intensa deflazione. Caratterizzato dalla dirompente crescita dei volumi edilizi e del suolo urbanizzato, esso fa luce su una strategia di trasformazione che, nei quindici anni a cavallo dei due millenni, ha applicato al territorio le tipiche dinamiche del mercato di consumo: una trasformazione senza riciclo, avvenuta perché ciò che esisteva non sembrava più adeguato a rispondere alle esigenze di una società in rapido e profondo cambiamento o al fine di alimentare artificialmente la crescita “squilibrata” di un mercato delle costruzioni ormai saturo. Naturalmente il processo non è stato senza conseguenze. L’ultimo ciclo

17,5%

-9,8% -20% del mercato

7° ciclo 2023

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13,2%

6,92%

emissioni Co2

15%

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5° 1984

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3° 1972

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1963

1962

1961

1960

1959

1958

1957

consumo EI

-5,9% -5,4%

della trasformazione fra il 2008 e il 200le domande per ristrutturazione crescono del 14%

2011

-7,2%

1994-2010 2010 6° ciclo / 16 anni 7° ciclo / ...

della nuova costruzione / espansione compravendite +64% prezzi + 63% condoni, politiche di sostegno

2010

ciclo della trasformazione compravendite + 44,3% prezzi + 67,9%

recupero centri storici (non in veneto)

nuova generazione di edifici

2009

1985-1994 5° ciclo / 9 anni

compravendite + 84,7% prezzi + 26,5%

inizio abusvismo

2003

consolidamento: casa di proprietà, seconde case

cicli mercato costruzioni

1977-1985 4° ciclo / 8 anni

1966-1972 1972-1976 1951-1966 1° ciclo / 15 anni 2° ciclo / 7 anni 3° ciclo

ciclo della ricostruzione: espansione ricostruzione e boom economico

dal 2005

fino al 2005

A partire dal 1976 e fino al 2005, si afferma la realizzazione di edifici con struttura a pilastri in cemento armato con murature di tamponamento con doppia parte in doppia parete in laterizio, isolante nell’intercapedine e rivestimento in intonaco sia all’interno che all’esterno.

2008

fino al 1976

Per l’edilizia residenziale privata predominano le strutture a pilastri in cemento armato completate con murature di tamponamento con doppia parte in laterizio faccia vista, Per l’edilizia residenziale pubblica vengono impiegati sistemi industrializzati per la realizzazione di pareti e solai in cemento armato In alternativa viene realizzata un’intelaiatura in travi e pilastri in cemento armato,

2002

fino al 1960

Muratura in mattoni pieni a tre teste faccia a vista. Muratura in mattoni pieni con intercapedine.


Abbandono, sottoutilizzo, disuso nell'area centrale del Veneto Mappa del Dross dell'area centrale veneta PATREVE (30x30km); in rosso gli spazi abbandonati, in nero gli spazi sottoutilizzati, in grisio la morfologia del costruito. Fonte: osservazione diretta, C. Furlan, Dottorato di Rocerca in Urbanistica, Iuav.

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edilizio, oltre ad aver consumato nuove consistenti porzioni di territorio sottraendole all’agricoltura, ha depositato sul suolo scarti di forma e dimensioni differenti che oggi, anche alla luce dei rischi ambientali e della crisi economica, rendono evidente le fragilità del territorio e introducono ad alcuni possibili slittamenti di senso dei temi del progetto. Ricicli Anche alla luce di questi problemi, recentemente, e in particolare a partire dalla crisi del 2007, si è cominciato a guardare anche al territorio Veneto mettendone in evidenza i processi di abbandono e dismissione edilizia. Se si prova però a rilevare il fenomeno, a costruire delle mappe dell’abbandono ci si trova nella necessità di articolare le categorie analitiche, riconoscendo che se si cerca ciò che è completamente e univocamente abbandonato si trova poco mentre diventa assai più interessante segnare ciò che è solo parzialmente utilizzato, ciò che è momentaneamente vuoto, sottoutilizzato o sta cambiando destinazione, ciò che è in attesa di diventare altro, ecc. La dismissione, la chiusura e l’abbandono cioè, qui nel Veneto, appaiono come fenomeno articolato, sia spazialmente (con situazioni economiche ed insediative che reggono, altre che si trasformano ma continuano e altre ancora che soffrono e chiudono) sia nelle forme e nei processi. Se si cammina nelle zone industriali del veneto osservando i processi di dismissione ci si trova spesso di fronte a situazioni spurie, dove accanto a pochi eclatanti ed univoci abbandoni si ritrovano tante altre situazione intermedie. Se si osserva l’area di Bassano, la valle del Chiampo o la grande zona industriale di Vittorio Veneto si nota che il capannone e la zona industriale cambiano, si evolvono, diventano altro, ma assai più raramente vengono semplicemente abbandonati. La dismissione qui appare fenomeno opaco, micro, frammentato, richiedendo sguardi più attenti e progetti e politiche più articolati e mirati. Un ingente patrimonio immobiliare sottoutilizzato o dismesso si scopre invece se si osserva l’edilizia residenziale. I due idealtipi prevalenti – la casa isolata e la piccola palazzina – che pervadono il territorio veneto costituendo quasi la nota di base, oggi sembrano improvvisamente subire un precoce invecchiamento, appaiono obsoleti e non più congrui rispetto alle nuove domande sociali. Allo stesso modo, spesso obsoleto, male utilizzato o abbandonato appare quel vasto supporto costituito dalle reti di acque, strade e ferrovie minori

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che nel tempo lungo ha reso estensivamente abitabile il territorio, permettendo di attraversarlo e stabilirsi praticamente ovunque. I canali, i fossi e le scoline che, come i fossati di cui ci parla Richard Mabey, sembrano "vocaboli superstiti dell’antico idioma della terra… e anche se l’antico tracciato è interrotto in più punti… sembrano criptiche trincee scavate in ere remote per assolvere a molteplici funzioni… Di sicuro, un fossato non è mai un fossile, una cosa inerte, ma è l’elemento di una narrazione della terra, tenace e adattabile come una buona storia tramandata da generazioni"4. Allo stesso modo, le ferrovie minori e le piccole stazioni, le strade bianche, le carrarecce, le rive dei fiumi, i “trosi”, appaiono come tante piccole opere che, come ci ricorda Robert Macfarlane parlando in modo particolare dei sentieri, costituiscono una sorta di "labirinti di libertà, supporto mondano nel senso migliore del termine perché appartengono al mondo, sono aperti a tutti", e come i sentieri, spesso, sono "tracce di esperienze collettive (che) senza manutenzione collettiva e collettivo impiego spariscono"5. Questo elenco aperto di infrastrutture, edifici e attrezzature ci invita ad andare a fondo sul concetto di “crisi”, dismissione e possibili scenari di “riciclo”, ricordandoci subito che diventa interessante e necessario riconoscere vari gradi di dismissione, che l’idea di riciclo se applicata ai sistemi insediativi rinvia all’idea di “ciclo di vita”6. Ai processi di continuo cambiamento che attraversano la città e il territorio, al grado di disponibilità alla trasformazione che i diversi materiali urbani consentono, alla malleabilità del patrimonio esistente, che se vogliamo continui ad essere veramente patrimonio dobbiamo continuamente reinventare e riadattare e quindi alla possibilità di prospettare nuove interessanti visioni di cambiamento senza utilizzare ulteriore suolo libero, senza “urbanizzare” nuovo suolo agricolo ma facendo diventare diversamente abitabile ciò che abbiamo fin qui già edificato. Tra l’altro, ricordando che proprio attraverso un continuo processo di riciclo dell’esistente nei secoli scorsi abbiamo prodotto i centri antichi che ora tanto ci affascinano. Più in generale le trasformazioni in atto nel territorio veneto ci segnalano che il sesto ciclo edilizio ha qui prodotto una competizione non solo tra attività produttive e tendenze speculative, ma anche tra le parti di territorio che richiedono operazioni di recupero e quelle dove sono ancora possibili nuove urbanizzazioni di suolo agricolo: se nel prossimo futuro lasceremo che le nuove energie economiche e sociali (gli investimenti e le idee imprenditoriali) producano nuovi edifici in territori agricoli (operazioni

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facili) difficilmente troveremo altre energie in grado di rilavorare l’enorme quantità di edifici e spazi che hanno concluso un loro primo ciclo di vita e richiedono l’avvio di nuovi processi d’uso e attribuzione di senso. Muovendo dal presupposto che il sistema insediativo contemporaneo non rappresenta lo stato conclusivo di un lungo processo di modificazione e stratificazione ma solamente una sua fase, appare evidente come proprio a partire dalla “crisi” che stiamo vivendo si possa avviare un nuovo sforzo di immaginazione volto a definire futuri assetti territoriali. Nuovi assetti che devono certamente rispondere a criteri di sostenibilità (anche economica) ma dimostrarsi al contempo maggiormente inclusivi, garantire sicurezza idraulica ed ambientale, essere capaci di rispondere alle domande espresse da nuove popolazioni (immigrate e non) immaginando un nuovo ruolo sia per gli innumerevoli edifici e spazi dismessi sia per il patrimonio costituito dagli spazi del welfare, elementi che nell’insieme possono diventare nuovi assi portanti dell’assetto territoriale complessivo. Occorre domandarsi quindi come un vasto insieme di manufatti e spazi costruiti nel corso di più di mezzo secolo possano costituire oggi il punto di partenza per una grande trasformazione del territorio veneto, per l’avvio di nuovi cicli di vita basati sulla reinterpretazione e riconcettualizzazione dell’esistente, sulla logica delle 3R (riduci, riusa, ricicla). Osservando il territorio veneto ci troviamo di fronte ad un sistema insediativo dinamico, che certamente sta attraversando e deve affrontare sfide assai rilevanti: è un territorio nel quale il tumultuoso processo di sviluppo economico dei decenni passati ha lasciato un ingente patrimonio di spazi in disuso o comunque potenzialmente riusabili; è un territorio che si scopre sempre più spesso a rischio idraulico, nel quale occorre tornare ad osservare attentamente lo spazio occupato dall’acqua e il suo ruolo nella formazione del paesaggio sotto molteplici forme (dal grande fiume fino al più piccolo fosso, dalle aree depresse e umide agli ambiti di risorgiva, ecc.); è un territorio non sempre e non da tutti facile da abitare, nel quale la mobilità è privilegio degli adulti in possesso dell’automobile; è un territorio che si deve confrontare con l’arrivo di nuove e diverse popolazioni con il relativo sviluppo di tensioni e innovazioni sociali; è un territorio in cui si assiste all’incessante processo di trasformazione della sua base economica e produttiva, con i distretti in continuo mutamento, spesso capaci di ripresentarsi sotto forme nuove, sorprendenti, proprio mentre se ne sta studiando la presunta fine. Un territorio abitato, caratterizzato dalla compresenza di diversi sistemi

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3. Ricicli delle aree produttive in Veneto Attraversando le zone industriali ed entrando nei capannoni è possibile riconoscere situazioni assai differenti e articolati processi di trasformazione. Dal grande capannone inutilizzato e mai finito perché probabilmente realizzato solo per beneficiare della cosiddetta “legge Tremonti” (1) al piccolo spazio intensamente utilizzato da vecchi e nuovi makers (2); dal vasto spazio inizialmente pensato per attività manifatturiere ed oggi riutilizzato per attività che all’edifico e alla zona industriale probabilmente chiedono altre prestazioni (3) fino al capannone “scatola da scarpe” riciclato come palestra, discoteca o sala giochi (4). Tanti capannoni simili, spesso anonimi e apparentemente “muti” se osservati lasciando scorrere lo sguardo dall’automobile ma che in realtà raccontano diverse storie e cicli di vita. Fotografie di Brando Posocco

4.

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insediativi, certo non immune da difetti e limiti ma dinamico, che appare ai nostri occhi dotato di una buona resilienza, capacità di mutare, “adattarsi” al cambiamento, un sistema insediativo “intrigante” proprio perché difficile da ridurre entro un’unica immagine riassuntiva (positiva o negativa che sia). Un sistema insediativo interessante perché formato da diversi “modelli urbani” posti vicino l’uno all’altro e che consentono stili di vita diversi: dalla città antica, che ha in Venezia l’esempio esemplare, all’abitare nella rada “città inversa” che si è sviluppata lungo le strade della centuriazione romana; dai quartieri di edilizia residenziale pubblica, troppo spesso criticati sulla base di pregiudizi mentre invece con la loro ricca dotazione di servizi costituiscono una sorta di “isole del welfare” cui fanno riferimento anche gli abitanti delle lottizzazioni private di case su lotto spesso prive dei servizi elementari, alle parti di città compatta costruite a partire dal secondo dopoguerra attorno ai nuclei antichi, parti che grazie alla loro relativa alta densità permettono lo sviluppo di “strade corridoio” con i negozi al piano terra e servite dal trasporto pubblico. Un sistema insediativo nel quale diventa interessante prestare attenzione al contempo agli spazi, ai diversi materiali che vi si sono depositati e alle pratiche, ai soggetti e ai processi sociali che li attraversano reinterpretandoli. Osservare gli spazi riflettendo sul concetto di “capacità”, sulle possibilità che questi offrono, misurando il benessere sulla base di ciò che gli individui possono fare ed essere, piuttosto che su ciò che possiedono. Pensando che anche di fronte ai problemi e alle crisi del territorio, sia utile cercare di ridurre le forme di ingiustizia (che limita ciò che possiamo fare ed essere) piuttosto che puntare alla realizzazione di un mondo perfettamente giusto (finendo con il riflettere più sulle forme istituzionali che sulla concreta giustizia). Un atteggiamento pragmatico ed incrementale forse, che si alimenta anche di più suggestive ed ampie immagini utopiche ma che ci sembra interessante perché non parte dalla condanna preventiva di ciò che stiamo osservando (cioè modi di abitare il mondo, qui ed ora). Interpretando il deposito materiale realizzato e più volte riscritto nel corso del tempo come lascito imprescindibile, “supporto” fisico a partire dal quale è possibile sviluppare nuove immagini e idee, nuovi “modi di stare al mondo” che non devono necessariamente fare riferimento all’idea tradizionale di città o di campagna, ma ad inediti spazi di civitas che consentano lo sviluppo di forme di “democrazia sostanziale”7.

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Le conseguenze del nuovo “ciclo di trasformazione dell’esistente”8, se applicate al territorio veneto, implicheranno una revisione radicale dei modi d’uso dello spazio, degli stili di vita, delle forme della mobilità, dei sistemi di produzione delle merci, delle principali razionalità energetiche. E’ anche su queste sfide, sulla necessità di immaginare un prossimo ciclo futuro del territorio basato sulla radicale riconcettualizzazione dell’esistente, che può essere interpretata la domanda di progetto che è implicita nelle esplorazioni progettuali delle pagine che seguono. Re-Cycle Veneto Pochi dei temi esplorati in questa pubblicazione sono inediti per i gruppi veneziani coinvolti nella ricerca. Molti di essi precedono la ricerca ReCycle Italy e, probabilmente, proseguiranno anche oltre ad essa. In questo senso, le numerose ricerche condotte sul territorio Veneto e che in queste pagine sono sintetizzate, con le loro differenti angolazioni, ambiscono attraverso le ipotesi e le esplorazioni progettuali a produrre nuova conoscenza sul tema della “trasformazione dell’esistente” declinando in diverse forme e prospettive il tema generale del riciclo. Le ricerche indagano il territorio Veneto e, attraverso il concetto di riciclo, ne osservano i materiali costitutivi, il suo deposito e le attrezzature. Parafrasando Max Black, possiamo dire che, attraverso il paradigma del riciclo, i progetti illustrati consentono di “versare nuovo contenuto in vecchie bottiglie”. Grazie al riciclo è infatti possibile traguardare alcuni temi e luoghi già esplorati producendo nuova conoscenza per il territorio veneto e la città diffusa e, contemporaneamente, proprio grazie al lavoro sui casi studio il concetto di riciclo può assumere nuovi significati e legittimità. Considerando che “una metafora efficace ha il potere di mettere due domini separati in relazione cognitiva ed emotiva usando il linguaggio direttamente appropriato all’uno come una lente per vedere l’altro” e che “le implicazioni, le associazioni, i valori costitutivi intrecciati nell’uso letterale dell’espressione metaforica ci permettono di vedere un nuovo argomento in un nuovo modo”9, agendo sul territorio come una metafora, il riciclo ci permette di vedere cose nuove. Il riciclo è così un paradigma che consente di illuminare il territorio alla ricerca di cicli di vita in fase di conclusione e di ipotizzare per essi una nuova e profonda concettualizzazione. Prese singolarmente le ipotesi di ricerca e le esplorazioni progettuali avanzate dai dieci tavoli di lavoro, rilevano dei tanti modi attraverso cui il riciclo diventa metafora radicale, capace di parlare della trasformazione

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dell’esistente e delle sue tante prospettive progettuali. Il riciclo può, ad esempio, diventare un modo per attribuire valore ai tanti oggetti ordinari che compongono il paesaggio della città diffusa veneta: case, fabbriche, campi coltivati, l’immenso armamentario di elementi che attraversano il territorio veneto sono in questa prospettiva, un deposito di fatiche e energia grigia, risorse rinnovabili di una urbs in horto che idealizza lo spazio del quotidiano ed aspira ad un riciclo completo delle sue parti. Spostando parzialmente il punto di vista nello spazio e nel tempo, adottando lo sguardo del militare e osservando il deposito delle tante rovine e macerie con cui la Grande Guerra ha inciso le montagne, il riciclo diventa anche una modalità di reinvenzione del paesaggio veneto. Lo sguardo strategico in questo caso, da un lato, proiettivamente, prova ad avviare un nuovo ciclo per i teatri della Grande Guerra e, da un altro lato, retrospettivamente, consente di imparare dalla tattica del militare: un albero e un campanile possono diventare punti di vista per l’esplorazione del paesaggio, le corrugazioni della terra possono diventare punti di attestamento, i fiumi un ostacolo all’avanzata delle truppe, le colline i possibili presidi. Se invece oggetto della ricerca sono i temi energetici, il riciclo diventa lente per il radicale ripensamento delle infrastrutture che innervano la regione, un tempo supporto alla diffusione insediativa e oggi emblema di un modello energetico e della mobilità inadatto a rispondere agli obiettivi di riduzione delle emissioni e alla realizzazione di eque politiche economiche e di accessibilità. Riciclo in questo senso può significare un nuovo ciclo della mobilità della città diffusa che, attraverso la valorizzazione dei tessuti reticolari di strade bianche e ferrovie, può offrire attraverso l’uso integrato della bicicletta e del treno una valida alternativa all’auto di proprietà. Può anche essere la reinvenzione dei paesaggi di alcuni grandi fiumi, come il Piave, profondamenti manomessi nei decenni passati e che oggi appaiono mondi sospesi, in attesa di un nuovo ciclo e di nuove prospettive. Oppure riciclo può essere il ripensamento di alcune ferrovie ormai dismesse, come nel caso dell’Ostiglia o della vecchia linea ferroviaria ai piedi del Montello, un tempo supporto della prima modernizzazione della Regione e oggi potenziali infrastrutture ciclabili di scala territoriale. Traslando ancora poco lo sguardo, mettendo a fuoco i temi ambientali e delle tante fragilità che attraversano la Regione, riciclo diventa reinvenzione di un deposito spugnoso e capillare di acque, grandi fiumi, fossi e scoline che oggi, oscillando fra abbondanza e carenza, appare inadeguato o insufficiente a fare fronte alle sfide poste da una efficiente gestione della

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risorsa idrica, dalle mutazioni del clima e dal crescente dissesto idrogeologico. Un supporto che, alla luce di questi elementi può essere riciclato, come nei casi qui indagati del Marzenego o del Piave, attraverso nuovi processi e prospettive capaci di valorizzare nello stesso quadro sinottico, la condizione di risorsa e di rischio, la domanda di nuovi spazi del welfare, la dimensione di trama pubblica e di paesaggio fluviale in produzione. La metafora del riciclo può infine essere ulteriormente deformata per essere connessa a quella degli archivi dello scarto: ciò che rimane dell’isola storica di Venezia o degli spazi del tessile pedemontano, la discrasia che esiste fra i tanti edifici abbandonati e le poche risorse a disposizione, una strategia per tornare a progettare patrimoni. L’esperienza della comune ricerca e del workshop hanno tuttavia permesso di aggiungere qualcosa di più che non il semplice accostamento di ipotesi. L’accostamento, a volte la sovrapposizione di temi ed esplorazioni progettuali, ha infatti permesso di individuare alcune grandi cornici di senso che ambiscono ad aggiungere conoscenza alle singole ricerche. Una prima è legata ad un’idea di progetto inteso come processo di natura incrementale. Il riciclo suggerisce infatti che la politica territoriale non si faccia solo attraverso la realizzazione di alcune grandi opere infrastrutturali il cui progetto e realizzazione è affidata a pochi soggetti e operatori. Il progetto di radicale riciclo del Veneto si può realizzare invece anche attraverso un diffuso, minuto e continuo e processo di trasformazione dell’esistente, affidato a una moltitudine di soggetti le cui istanze sono spesso differenti, a volte confliggenti. La realizzazione di un grande plastico comune ai dieci gruppi è stato in questo senso una sorta di terreno condiviso per l’esplorazione di un immenso progetto di riciclo immaginato come processo incrementale, additivo, frutto della somma di tante piccole mosse discrete. Attraverso il grande plastico i temi del riciclo hanno mostrato come questo elenco aperto di infrastrutture, attrezzature e paesaggi antropizzati, nel tempo lungo supporto fondamentale dello sviluppo regionale, possano essere oggi ripensati entro progetti integrati e non settoriali, capaci di assorbire entro la stessa cornice di senso i temi sociali, ambientali, energetici e di rivalutazione, anche spaziale, del paesaggio veneto. Il riciclo consente di rendere visibili alcuni fenomeni, come l’abbandono, i disuso e il sottoutilizzo di parti di territorio e di inquadrarle entro una nuova prospettiva progettuale capace di attraversare le scale del progetto. Più in generale, forse diversamente da quanto avvenuto in altre unità di ricerca, i diversi casi studio qui illustrati guardano al rici-

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clo entro una prospettiva che intende il territorio come palinsesto, deposito di fatiche e razionalità di elementi che non necessariamente sono abbandonati ma che devono essere radicalmente ripensati. Il territorio è così inteso quale elemento in continuo divenire, mai fisso, nel quale sono sempre compresenti e occorre intrecciare parti e materiali che stanno attraversando diverse fasi di vita, dove si tratta di lavorare non solo con ciò che è completamente dismesso, vuoto, abbandonato, ma con tutto ciò che è sottoutilizzato, marginale, inadeguato, obsoleto, dimenticato. Interpretando il territorio come supporto e “patria artificiale”, che offre resistenze ma al tempo stesso è plasmabile e adattabile ai nuovi cicli e agli orizzonti di senso che le esplorazioni progettuali di queste pagine indicano. Note 1 Recycle Veneto Lab, TURISMO, TERRITORIO, RICICLO: riciclo di reti ferroviarie e infrastrutturali dismesse e di fabbricati abbandonati a favore dello sviluppo di itinerari turistici a percorrenza “lenta” nell’area veneta (marzo 2014 – marzo 2015), è un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Veneto, con i finanziamenti erogati dal Fondo Sociale Europeo, nell’ambito del programma operativo 20072013 della Regione. Le ricerche del Recycle Veneto Lab si fondano sulla trasformazione dell’offerta turistica nel territorio veneto, in rapporto ad un’idea di riciclo come pratica virtuosa: sia in considerazione della presenza di infrastrutture ed edifici dismessi sia rispetto a una idea di turismo compatibile e di sostenibilità ambientale. 2 Il workshop di progettazione Ve.Net, (3 -12 ottobre 2014, Venezia, Pieve di Soligo) organizzato dall’Università Iuav di Venezia con la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, ha coinvolto tredici aziende Venete, tredici docenti, sedici assegnisti di ricerca e ottantasei studenti della Laurea Magistrale in Architettura dell’Università Iuav di Venezia. Il programma del workshop ha in particolare previsto un seminario inaugurale a Pieve di Soligo cui sono stati invitati i rappresentanti di tutte le aziende coinvolte, cinque giorni di lavoro collettivo a Venezia nella sede Iuav dell’Ex-Cotonificio Veneziano, e infine un seminario di illustrazione degli esiti e di

dibattito generale con la partecipazione di ricercatori della rete nazionale Recycle Italy, di esperti, associazioni e amministratori locali. 3 L. Bellicini et al., Il mercato delle costruzioni 2011, XXII rapporto congiunturale e previsionale Cresme. 2010-2015 l’avvio del VII ciclo edilizio. VOL1 CRESME 2011. 4 R. Mabey, Natura come cura, Einaudi, Torino 2010 (2005), pp. 105-106. 5 R. Macfarlane, Le antiche vie. Un elogio del camminare, Einaudi, Torino 2013 (2012), pp.17-20. 6 P. Viganò, Re-cycling Cities. In P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. MondadoriElecta, Milano 2011. 7 A. Sen, The Idea of Justice, Belknap Press/ Harvard University Press, Cambridge 2009 8 Il CRESME indica il ciclo che si sta aprendo e che caratterizzerà il mercato della costruzione dei prossimi anni come una nascente fase di “trasformazione dell’esistente”, di essa nel rapporto si intuiscono i temi prevalenti – la ristrutturazione del patrimonio edificato, la manutenzione del territorio, l’adeguamento infrastrutturale ed edilizio al rischio sismico e idrogeologico – ma non ancora l’intensità o la durata. Si veda Bellicini, cit. 9 M. Black, Modelli, archetipi, metafore. Pratiche editrice, Parma 1983

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PARTE PRIMA: RICICLARE I TERRITORI DEL PIAVE E DEL PEDEMONTE

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Ve.Net , dettagli del plastico di studio

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ESERCIZI DI RICICLO POST-METROPOLITANO Mauro Berta

Tre nuove infrastrutture, seppur collocate attualmente a livelli molto diversi dei relativi processi attuativi, stanno ridisegnando in questi anni la geografia degli spostamenti nell’arco pedemontano alpino tra Piemonte, Lombardia e Veneto. L’Autostrada Pedemontana Piemontese, quella Lombarda e la Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta – concepite nel quadro infrastrutturale nazionale come archi di un unico sistema distributivo pedemontano est-ovest – sebbene poste in contesti territoriali, sociali ed economici molto differenti, sono opere che sollevano di fatto problematiche sostanzialmente analoghe. Al di là delle questioni meramente tecniche – e soprattutto dell’apparente inappellabilità dei dati previsionali quantitativi, cui è demandato di volta in volta il compito di suffragare le posizioni pro o contro – a confrontarsi sugli scenari di questi progetti sono spesso due visioni del territorio e dell’infrastruttura sostanzialmente antitetiche. Da un lato vi è l’idea veterofunzionalista di un’infrastruttura “senza territorio”1, che ha condizionato a lungo le politiche infrastrutturali del nostro Paese, particolarmente adeguata alle logiche settoriali delle competenze tecniche e alle razionalità frammentarie dei sistemi di appalto; un’idea che identifica l’infrastruttura principalmente con i suoi punti estremi da connettere – o al più con i suoi pochi accessi intermedi – con l’obiettivo primario di minimizzare la variabile del tempo di percorrenza, mantenen-

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dosi sostanzialmente indifferente rispetto al territorio attraversato. Dall’altro vi è viceversa un’interpretazione inclusiva del progetto infrastrutturale, che non può prescindere dalla geografia e dalla forma dei luoghi, che utilizza il nuovo collegamento come occasione per riconnettere le reti locali e riscriverne le logiche insediative e che – soprattutto – al paradigma della velocità e dell’autonomia dell’infrastruttura di scorrimento oppone il principio della porosità e della convivenza di differenti velocità d’uso del territorio; che ai “tubi”, in altre parole – per utilizzare una felice metafora maturata da tempo nel gruppo di ricerca dello IUAV – sostituisce o affianca le “spugne”2. È in questo secondo modello che si inscrivono, a vario titolo, le sperimentazioni condotte all’interno del seminario Ve.Net, le quali evitano accuratamente di cavalcare il conflitto sulla legittimità della nuova infrastruttura e sulla sua reale o presunta utilità, ma ne usano piuttosto la cornice come pretesto per ripensare larghe parti di un territorio che è spesso considerato un emblema della pesante eredità della stagione della dispersione insediativa. Dal Vicentino alla Marca Trevigiana, il grande arco di circa 100 km della nuova infrastruttura raduna e mette in tensione i tasselli sparsi della piana veneta settentrionale e consente di immaginarne operazioni di recupero e di messa a sistema, in cui reti e manufatti appartenenti a logiche e storie radicalmente differenti si ricombinano in un progetto di riciclo alla scala del territorio. Dal patrimonio immobiliare abbandonato sul suolo dalla crisi del microcapitalismo veneto alle architetture idrauliche del sistema idrografico, dalle linee ferroviarie dismesse o sottoutilizzate alla riscoperta dei manufatti e dei teatri di guerra, i progetti maturati nel seminario attraversano la scala territoriale ma coinvolgono parallelamente anche la “grana fine” dei tessuti insediativi e paiono accogliere quella dimensione propriamente transcalare e variabile che ancora recentemente Edward Soja3 ha riconosciuto come carattere peculiare di un nuova forma di regionalismo postmetropolitano. Una condizione che, proprio poiché pone in crisi i consueti riferimenti spaziali della dimensione urbana, richiede la capacità di adeguare gli strumenti del progetto urbano ad un’azione multiscalare, incorporando gli sguardi della geografia fisica e sociale, dell’economia ecc.4. Le parole chiave che sottendono queste esplorazioni sono molteplici e fanno riferimento a buona parte delle posizioni più recenti della ricerca. Tra esse, soprattutto, quattro paiono emergere con particolare evidenza. Produzione: il territorio non è semplicemente ridisegnato nelle forme e

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ripensato nei sistemi distributivi, ma è anche e soprattutto riattivato negli apparati produttivi, immaginando un futuro dominato da una forte impronta agropolitana, ma capace al tempo stesso di coniugare alla dimensione neorurale tutti i molteplici livelli di declinazione del paradigma tenologico-informativo della smartness. Energia: accumulata nei salti d’acqua del bacino del Piave e convertita dagli impianti idroelettrici, oppure estratta direttamente dal sole, la componente energetica di questi scenari è diffusa e capillare, più vicina ai concetti di smart grid o di virtual power plant, piuttosto che ai tradizionali sistemi di produzione e distribuzione. Ma l’energia cui qui ci si riferisce è anche al tempo stesso la metafora di un territorio che ha conservato immagazzinato nei propri tessuti insediativi, produttivi e rurali un notevole potenziale trasformativo, in attesa di essere riciclato e riattivato. Memoria: gli itinerari di riscoperta dei siti bellici non sono semplicemente una celebrazione statica di una immane tragedia, ma divengono strumenti di conoscenza e riscoperta del territorio. I militari, come insegna il “Partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio, furono spesso i più profondi conoscitori dei territori presidiati e il traslato che veste il turista con i panni del soldato diviene un potente strumento di appropriazione e comprensione del territorio. Traduzione: lo slogan volutamente ambiguo della “città tradotta” ci suggerisce infine l’immagine di un territorio reinterpretato attraverso il recupero della ferrovia come strumento di trasporto locale, ma ci dice anche di più. Tradurre è semanticamente affine a “tramandare”, accogliere cioè qualcosa che ci proviene dal passato, farcene carico e trasmetterlo a chi verrà dopo di noi. Ma tradurre – come spesso è stato ricordato – comporta anche sempre un certo grado di “tradimento” un inevitabile scarto interpretativo rispetto all’originale; questa è la responsabilità che sta in capo a coloro che si assumono il compito di progettare il futuro del territorio.

Note 1 A. Lanzani, A. Longo, Un’autostrada senza territorio, in A. Lanzani et al., Quando l’autostrada non basta. Infrastrutture, paesaggio e urbanistica nel territorio Pedemontano Lombardo, Quodlibet, Macerata 2013. 2 B. Secchi (a cura di), On Mobility. Infrastrutture per la mobilità e costruzione del territorio metropolitano, Marsilio, Venezia 2010.

3 E. W. Soja, Regional Urbanization and the End of the Metropolis Era, in G. Bridge, S. Watson (a cura di), New Companion to the City, Chichester, Wiley-Blackwell 2011. 4 P. Arabindoo, Urban Design in the Realm of Urban Studies, in M. Carmona (a cura di), Explorations in Urban Design. An Urban Design Research Primer, Ashgate, Farnham (UK) 2014.

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coordinamento: Renato Bocchi Matteo Aimini Elisa Beordo studenti: Benedetta Scarella, Nicola Russolo, Adelmo Manovani, Alberto Giacomin, Francesco D’Aurelio, Francesco Russo aziende partner: Sartori bluehitech e Bluecogen

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PAESAGGIO E INFRASTRUTTURA DEL PEDEMONTE

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Riappropiazione spontanea Parte del tracciato ferroviario dismesso Montebelluna -Susegana

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PAESAGGIO E INFRASTRUTTURA DEL PEDEMONTE Matteo Aimini

I territori compresi tra Montebelluna e Conegliano sarebbero da considerare come le “porte della nuova Pedemontana Veneta”, interessanti cerniere intermodali e potenziali nodi di accesso situati sulle vie di scorrimento veloce tra la regione Veneto ed il Friuli Venezia Giulia, verso la fitta rete secondaria dedita al turismo della Alta Marca Trevigiana. Un insieme di situazioni territoriali ed ambienti costruiti molto eterogenei. A partire dalla grande pianura agricola erosa dai noti fenomeni della città diffusa colma di molteplici tipologie dell’abitare. Alla miriade di capannoni talvolta utilizzati ed il più delle volte avvolti in un temporaneo stato di sospensione. Alla fitta viabilità secondaria, dedalo strutturale abbastanza congestionato dall’imponente e quotidiano traffico veicolare. Nonostante tutte le note ed evidenti problematiche, queste zone offrono incredibili ed interessantissimi squarci di paesaggi dal valore unico e irripetibile, come ad esempio le fantastiche oasi lungo i corsi dei fiumi di risorgiva, alla complesse articolazioni collinari dei vigneti, solo interrotti dall’imponente e sinuoso alveo del fiume Piave.

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ferrovia dismessa ferrovie esistenti

UD

strada statale esistente pedemontana veneta - prevista

BL

CO

Montello

Piave PD

VE

TV

Schema dei tracciati viari

Mappa delle attivitĂ ricettive

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Opportunità Le occasioni di riuso e di recupero, al fine di agevolare la fruibilità di quelle parti del territorio che si è accuratamente scelto di valorizzare, possono orientarsi su tematiche concrete in grado di rendere nuovamente agibili manufatti che per loro stessa vocazione lavorano già in questa direzione. Un esempio concreto potrebbe essere rappresentato dalle linee ferroviarie dismesse che lambiscono situazioni di potenziale risviluppo, sia dal punto di vista programmatico funzionale sia per l’evidente valore paesistico. I tracciati ferroviari con i propri spazi dilatati, le situazioni interstiziali, i manufatti di servitù in stato di abbandono e le connessioni con i tessuti urbani che lambiscono aree industriali anch'esse in disuso possono rappresentare per il turismo e per la cittadinanza una grande opportunità. Inquadramento Il tracciato ferroviario dismesso che coinvolge gli insediamenti di Montebelluna, Susegana ed in parte Conegliano, fu concepito in un periodo di grande fervore infrastrutturale nel nord-est del paese, come itinerario alternativo al trafficato nodo di Treviso per i treni provenienti dal sud e dal nord ovest e diretti verso il confine est dell’allora Regno d’ Italia. Attivata il 25 maggio 1916 durante il conflitto della prima guerra mondiale per il rifornimento del fronte, la ferrovia divenne in breve tempo una linea cruciale dopo la ritirata di Caporetto. Successivamente al secondo conflitto mondiale, il traffico diminuì sensibilmente e la linea venne privata di gran parte del traffico merci che in passato ne aveva favorito la costruzione. Il braccio ferroviario assunse un'importanza secondaria e fu pienamente coinvolto nella crisi del sistema dei trasporti su ferro degli anni sessanta, decretandone nel 1984 la sua ovvia soppressione. Il risultato fu il suo smantellamento ad eccezione del tratto Giavera- Susegana (circa 8 km) ove i binari oggi sono ancora presenti. I fabbricati delle stazioni sono in genere in buone condizioni ed il tracciato, seppur ormai invaso dalla vegetazione e da alcuni manufatti non permanenti rimane ancora evidente. La linea corre ai piedi del Montello e affianca silente diversi insediamenti urbani, tra cui per esempio Nervesa della Battaglia e alcuni piccoli borghi che potrebbero trarre un evidente beneficio da una connessione “lenta” e puntuale, volano per un rinnovato inserimento nella rete metropolitana ed infrastrutturale di servizi ed attività, di piccola e media intensità.

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Proposta planivolumetrica per l'area ex Zanussi di Conegliano Veneto. Estratto della tesi di laurea Iuav "Re-cycle Conegliano", di Mario Cusin e Emanuele Lessi, relatore R.Bocchi 15,5 Km

19 Km

Itinerari agricolo produttivi Filiera del gusto Centro enogastronomico 9,5 Km Itinerari Storico Culturali Centro storico Piave-Montello Museo della Grande Guerra

5,5 Km 0 Km

3 Km Itinerari sportivi Centro polisportivo Aree ricreative Itinerari Ville Venete Laboratori di studio Centro Artistico - Culturale

Esempio di programma per il tratto ferroviario dismesso Montebelluna-Susegana Estratto della tesi di laurea Iuav " Pedemontana Veneta come SmartLand,", di Alberto Giacomin, relatore R.Bocchi, correlatori M.Aimini, E.Beordo

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Esperimenti La possibilità di una progetto per una infrastruttura “lenta”, che ne ricalchi il tracciato, interpretato come uno strumento di attraversamento e di conoscenza dei paesaggi e dei contesti urbani presenti, potrebbe essere pensato per reinventare la capacità di accoglienza e attrattività dei luoghi e della loro qualità spaziale, aumentando così l’offerta di possibili servizi annessi. Un caso interessante, per esempio, può essere rappresentato dallo studio sul futuro dell’area, al secolo Zanussi Zoppas, a Conegliano Veneto. Dove la strategica posizione di prossimità al centro urbano e alla linea ferroviaria mostra un'evidente possibilità di ricucitura e rifunzionalizzazione dagli esiti non scontati.1 Una linea attrezzata, lungo la quale sperimentare diversi tipi di mobilità, come ad esempio l’interazione tra un possibile trasporto metropolitano leggero, ed un mezzo di locomozione dolce come la bicicletta, rivedendo di conseguenza il rapporto tra le stazioni, possibili generatrici di nuove polarità ed il sistema insediativo esistente. Esplorare inoltre la possibilità di prevedere nuovi ed inattesi sviluppi mediante l’uso di dispositivi architettonici puntuali, come evidenziano alcuni lavori di ricerca progettuale applicata,2 capaci di sfruttare le diversificate risorse presenti sul territorio, quali ad esempio la presenza di numerose ville venete di indiscutibile valore artistico-culturale o la produzione di eccellenze del territorio in merito alla qualità enogastronomica ed ancora le numerose attività sportive tra cui il ciclismo che invade le prese del Montello e la non meno importante storia dei luoghi legati alla Grande Guerra. “[...] Un paesaggio apparentemente “noto” ma per lo più sconosciuto, in “attesa” non perché celi le proprie bellezze ma perché esse devono trovare nuova sintesi a partire dai segni che le generazioni precedenti hanno consegnato a noi in una forma pressoché intatta. Un paesaggio fatto dall’uomo, in ogni sua parte, uindi vivo, in cui sono in atto secoli di stratificazioni che solo adesso cominciano a sovrapporsi in modo visibile. il luogo in cui affiorano oggi importanti eccellenze da valorizzare [...]”.3

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Ritratti di un territorio

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2. Nervesa della Battaglia

1. Ponte della Priula

3. Montebelluna

Ambiti di intervento

SCENARIO: La cittĂ -lineare del Pede-Montello. Inquadramento e schema territoriale

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Luoghi Nell’esercizio progettuale svolto dal gruppo di progettazione durante il workshop, sulla linea ferroviaria che affianca i diversi centri urbani presenti, si è cercato di impostare il lavoro mediando tra un tipo di connessione “lenta” e lineare ed una visione a pettine che si dimostrasse più inclusiva verso il territorio agricolo e i vari sistemi ambientali presenti, tra cui il Montello ed il fiume Piave. Gli ambiti nodali che si sono privilegiati per sperimentare tale ibridazione riguardano : a) Il ponte della Priula e l’attraversamento del Piave mediante un percorso ciclo pedonale, favorendo così una promozione di nuovi itinerari ed un aumento dell’accessibilità al sistema. b) Nervesa della Battaglia, ove la presenza di manufatti come l’ex stazione, i binari smangiati dal bosco ed il rapporto con i corsi d’acqua suggeriscono degli scenari in cui è possibile lavorare sul tema della riappropriazione da parte della natura nei confronti dei contesti antropizzati. c) La stazione di Montebelluna come testa del sistema e possibile cerniera intermodale. Scenari Per ognuna di queste località si è tentato di produrre un sistema di visionislogan, nel tentativo di stabilire un raccordo tra le preesistenze, i nuovi programmi funzionali e le visioni specifiche che ognuno di questi possibili scenari si trascinano dietro. Entrando quindi nel merito delle proposte progettuali, possiamo parlare di: Città Lineare del Pede-Montello, Agropolis, La Città Tradotta. La città-lineare del Pede-Montello La trasformazione della ex-linea ferroviaria in pista ciclo-pedonale (infrastruttura “lenta”, un dispositivo capace di mettere in relazione e di promuovere percorsi, mappature, tematismi che valorizzino la specificità del territorio e ne aumentino il valore aggiunto e quello percepito) è il dispositivo-chiave per la trasformazione dell’insieme policentrico degli insediamenti “pede-montelliani” fra Montebelluna, Giavera, Nervesa, Ponte Priula, Susegana in un modello di città lineare che può pensarsi come il rinnovamento di schemi utopici dell’avanguardia degli anni ’20 e ’30.4 La città lineare prefigurata presuppone la distinzione di traffici veloci di

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scala territoriale: la nuova Pedemontana; semi-veloci di scala urbana: la S.P. Montebelluna-Susegana; lenti: l’anello costituito dall’esistente strada a traffico locale in fregio al Montello e dalla nuova pista ciclabile lungo l’ex-ferrovia, con punti attrezzati di intescambio fra i differenti traffici e, d’altro lato, la formazione di un sistema insediativo policentrico che alterni aree costruite e aree agricole o di parco agricolo, con specializzazione funzionale dei singoli nuclei insediativi, produttivi e di servizio, e con una efficiente rete di mobilità interna, a favore del concetto di città-paesaggio. L’anello di mobilità lenta si presta a “portare” e “servire” sia i movimenti interni della popolazione residente (relazioni di prossimità) sia i movimenti del turismo locale del tempo libero, della scoperta naturalistica e della memoria, collegato al patrimonio “speciale” del Montello. A scala più ravvicinata, lo scenario-modello della città lineare si esplicita in dispositivi architettonici atti a favorire la riscoperta attraverso movimenti “lenti” dei caratteri geografici e dei valori identitari dei territori. L’esemplificazione riguarda il passaggio ciclo-pedonale sul fiume Piave in fregio al ponte ferroviario di Ponte della Priula, nelle sue possibili connessioni con la riscoperta dell’alveo fluviale e delle sue potenzialità paesaggistiche e di loisir, con l’attraversamento e innervamento delle aree produttive-industriali, con la riconnessione con il patrimonio agricolo e con le presenze-testimonianze architettoniche di matrice rurale, di memoria della guerra o di archeologia industriale e così via. L’opportunità data dal correre in rilevato da parte della linea ferroviaria consente di istituire interessanti rapporti di visibilità con il territorio della piana e delle stesse aree insediative, possibili discese alla scoperta dello strato profondo costituito dal fiume e dalla rete idrografica, definizione di crinali e macchie arboree capaci di disegnare le linee di forza del paesaggio della pianura e del fiume.

Sezione tipo Ponte della Priula

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Fotomontaggi del percorso ciclo-pedonale

Sezioni di progetto

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Sezione tipo del rapporto tra il percorso e l'agricittĂ

Fotomontaggio del tratto ferroviario in abbandono

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Agropolis La riappropriazione paesaggistica dei tratti della linea ferroviaria dismessa (–uno strumento di attraversamento – di conoscenza dei paesaggi anche all’interno di un contesto urbano, pensato per reinventare la capacità di accoglienza e attrattività di un luogo, la sua qualità spaziale (con attenzione e innovazione dei materiali, dell’illuminazione, ecc.) e l’offerta di possibili servizi annessi è il -dispostivo- chiave per la trasformazione del sistema insediativo disperso del Pede-Montello in una “agropolis”, con valori sia paesaggistici sia produttivi sia turistici a cui si accede dalla nuova infrastruttura pedemontana. Ciò significa mettere in secondo piano la “portanza” del sistema insediativo costruito, disperso e policentrico, per sottolineare la costituzione di un sistema alternativo a macchie o a pettine fondato sui valori sia funzionali sia formali del residuo territorio agricolo (il riferimento è a “utopie” agrarie come quelle proposte da Andrea Branzi, dagli agro-parks tedeschi, o dalle farm di Aldo Cibic) e di alcune polarità (condensatori di attività a km zero, agro-alimentari, eno-gastronomiche, ecc.) ottenute attraverso il riciclo di manufatti abbandonati e dismessi. Anche in questo caso la messa in valore del territorio agricolo sottende la triplice possibilità di impiego in termini produttivi, paesaggistici e turistici. Il dispositivo è testato a scala più dettagliata nell’area di Nervesa, dove la linea ferroviaria trova una connessione più diretta con gli appezzamenti agricoli, con la rete idrica di drenaggio e irrigazione e con la presenza di manufatti abbandonati legati sia alla stessa linea ferrovia sia al patrimonio industriale in disuso. Anche in questo caso la natura “arginale” della linea ferroviaria favorisce il suo utilizzo in termini di corrugamento territoriale e quindi di attrattività in termini visivi.

SCENARIO AGROPOLIS. Inquadramento e schema territoriale

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SCENARIO La cittĂ tradotta. Inquadramento e schema territoriale

Sezione tipo per la nuova stazione intermodale di Mntebelluna

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La città tradotta L’ipotesi di ripristino della linea ferroviaria come linea di trasporto su ferro di tipo metropolitano (people mover, o monorotaia, o simili) può costituire il dispositivo-chiave per una metamorfosi della città del Pede-Montello in una città-tradotta (giocando sull’ambiguità fra tradotta come “translated” e tradotta come riedizione del mezzo di trasporto delle truppe in onore alla Grande Guerra). Fuor di metafora, significa una città che immette prepotentemente nel sistema di mobilità interna della città diffusa veneta, fondata sull’uso pervasivo del mezzo privato, il mezzo più negletto e cioè il trasporto pubblico collettivo. L’affiancamento alla linea stradale territoriale (pedemontana) e locale (strada provinciale), di una linea di trasporto pubblico su ferro di taglio metropolitano tende a consentire una riaggregazione in senso urbano (di città-paesaggio) del sistema policentrico esistente, simile per approccio al modello della città-lineare del PedeMontello, ma con le dovute differenze per quanto concerne la previsione di una gerarchia di percorsi e di mezzi e quindi di una serie di nodi di interscambio (come ad esempio fra trasporto su ferro e navette su gomma oppure i vari punti di bike-sharing, ecc.). In questo scenario diventa preponderante l’assetto lineare della nuova rete di trasporto e l’attrezzatura dei due grandi poli di interscambio di testa a Susegana e soprattutto a Montebelluna, da considerare attrezzature nodali per la riaggregazione urbano-territoriale. Il dispositivo a scala architettonica è pertanto testato sul polo di interscambio della stazione di Montebelluna, favorito dalla presenza in situ di un largo patrimonio edilizio industriale abbandonato. Il concetto del progetto si fonda sulla costruzione di un pattern a filtro, disegnato secondo una maglia-foresta “palificata” estensiva e costruita a partire dai ruderi preesistenti (disegnata da pilastri, lampioni, alberi e quant’altro) che definiscano una infrastruttura verticale, cui poter agganciare a più livelli sia sopra che sotto il suolo, tutte le funzioni necessarie: dai parcheggi ai percorsi di collegamento alle piattaforme di servizio e molto altro.

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Fotomontaggio

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Note 1 M.Cusin, E. Lessi, Tesi di laurea: Re-cycle Conegliano. Riattivare luoghi dismessi, IUAV , Venezia 2015. 2 A. Giacomin, Tesi di Laurea: Pedemontana Veneta come SmartLand, IUAV , Venezia 2015, relatore R.Bocchi, correlatori M.Aimini, E.Beordo. 3 F. Zagari. C. Bertorelli, Il valore dell'acqua : tutela, gestione e innovazione nell'ambiente e nel paesaggio del Veneto orientale/alto Veneto orientale, Papergraf, Padova 2009. 4 A. Kopp (1970), Town and Revolution: Soviet Architecture and City Planning, 1917-1935, Braziller, Paris 1970.

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coordinamento: Stefano Munarin Elisa Beordo studenti: Roberta Vettorato, Riccardo Mior, Francesc Baquer Font, Laura Plana Ferres, Ilaria Canavese aziende partner: Sartori bluehitech e Bluecogen

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LE ENERGIE DELLA VALLE DEL PIAVE

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La Val Lapisina - una paesaggio sotto-valutato

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LE ENERGIE DELLA VALLE DEL PIAVE* Elisa Beordo Stefano Munarin

Questo esercizio progettuale sviluppato all’interno del workshop Ve-Net 2014 ha preso avvio dall’intreccio di due programmi di ricerca. Da un lato lo studio sul ri-ciclo della ferrovia Venezia-Cortina seguito da Stefano Munarin; una ricerca che ipotizza la possibilità di avviare nuovi cicli di vita lungo la valle del Piave a partire dalla riqualificazione della suddetta ferrovia intesa come possibile motore per uno sviluppo diverso da quello seguito in questi anni, e capace di riattivare energie sopite lungo la valle. Dall’altro la ricerca Re-Cycle interessata ad indagare le relazioni tra la riqualificazione di linee ferroviarie dismesse e lo sviluppo di nuove forme di turismo che, anche grazie all’innovazione tecnologica, si inserisca all’interno di scenari di autosufficienza energetica. Il nostro sguardo quindi da un lato abbraccia un territorio ampio e diversificato, che va dalla Laguna alle Dolomiti dall’altro però durante il workshop abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su un ambito particolarmente problematico di questo lungo tracciato e per esso abbiamo immaginato processi di “riciclo”: l’ambito definito come Val Lapisina, che si estende per circa 10 Km tra Serravalle e il Lago di Santa Croce e che un tempo era chiamato anche Canale di Fadalto. * Questo testo è frutto della collaborazione tra gli autori, tuttavia esso è stato redatto da Elisa Beordo per i paragrafi "La valle delle energie" e "Abbandoni e resistenze", Stefano Munarin per il paragrafo "Nuovi soggetti ed economie".

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La valle delle energie Percorrendo oggi questo territorio si possono osservare alcuni aspetti evidenti e peculiari. Seppur non attraversato dal fiume Piave, anche questo tratto, compreso tra Serravalle e Santa Croce, fa parte di quella che abbiamo chiamato “la valle delle energie” e cioè quella lunga valle caratterizzata dalla presenza di manufatti legati alla gestione delle acque e alla produzione di energia elettrica (dalla diga del lago di Centro Cadore, la galleria sotterranea in pressione che porta le acque ai serbatoi della Val Gallina e alla centrale di Soverzene, le dighe sul Boite e sul Maè, i ponte tubo, i canali di derivazione, la diga del Vajont, l’impianto del lago di Santa Croce e la centrale idroelettrica di Nove sul Lago Morto, arrivando alla chiusa di Serravalle e ai canali che infine ridistribuiscono l’acqua in pianura). Anche in questo tratto di valle, nel corso dell’ultimo secolo le infrastrutture legate alla produzione di energia hanno contribuito a un continuo cambiamento del paesaggio, rappresentano in maniera evidente la continua tensione tra uomo e natura e fanno tornare in mente le parole di Carlo Emilio Gadda che così scriveva recensendo nel 1940 l’allora nuovo atlante d’Italia: "Un immaginato paradiso di opere d’ogni maniera e destino, antiche e nuove: argini briglie, insellature gradoni, e serbatoi, e bocche efflusso, e canali con i loro labbri di sfioro e con le dighe delle prese, condotte nere giù dalla gronda del monte, bacini d’invaso, ribollenti scariche delle turbine, porte d’acqua, sifoni idrovore, pompe… (e la) sfolgorante solitudine delle centrali. L’idea… di tradurre la piena in chilowattore, di livellare il dramma idrografico nella proficua disciplina delle industrie…"1. Questa lunga e stretta valle (10 Km per poche centinaia di metri di larghezza) è da lungo tempo utilizzata anche come territorio di collegamento tra la pianura e la montagna e quindi attraversata da diverse infrastrutture di trasporto: dagli antichi sentieri e percorsi, alla strada statale, alla ferrovia, fino alla più recente autostrada. Proprio l’autostrada però ha decretato un profondo cambiamento perché, proponendosi come connessione veloce di fatto oltrepassa i centri urbani, scavalca con alcuni arditi viadotti la Val Lapisina e supera con due gallerie la sella di Fadalto e la zona del Lago di Santa Croce, diventando una più comoda direttrice per raggiungere le località turistiche delle Dolomiti. L’autostrada appare oggi un “corridoio appeso al cielo” e un elemento che ha “prosciugato” le energie vitali che prima animavano questo territorio, portando alla progressiva ma rapida chiusura di bar, ristoranti, stazioni di benzina, negozi ed alberghi. “L’ambito della Val Lapisina rappresenta la propaggine più a nord della

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IMPIANTI ALTO PIAVE

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provincia di Treviso. In passato una valle di pastorizia e di transito dal Cadore a partire dagli anni venti divenne un luogo di produzione energetica… oggi in tutta la valle è un susseguirsi di centrali, sale macchine ed ex edifici trasformatori, opere di presa e di scarico, condotte forzate e canali derivatori, griglie e imbocchi a sifone, paratoie e sbarramenti, bacini di carico, pozzi piezometrici, sfioratori e imbocchi in galleria. Dopo la notte del 9 ottobre del 1963, e il cambio di investimenti e insediamento di forza lavoro, la valle ha subito un declino sociale e urbano ed è considerata, con la costruzione del viadotto autostradale, un ‘comodo corridoio infrastrutturale’, un bypass veloce e non un pezzo di paesaggio fatto di laghi, percorsi naturali, borghi e campi antichi”2. La val Lapisina appare quindi oggi come un territorio attraversato da tubi (energetici e stradali), sul quale si trovano però sedimentati numerosi materiali che evocano storie del passato, presentandosi quindi come una sorta di “paesaggio desueto” che narra vicende passate e che, anche a causa dell’autostrada appesa al cielo e della ferrovia umiliata (chiuse le stazioni, abbandonati gli spazi annessi, utilizzata solo per far passare pochi treni al giorno, scarsa manutenzione) sembrano oggi sopite, spente, interrotte. Abbandoni e resistenze Distogliendo lo sguardo da ciò che appare più evidente (autostrada e centrali idroelettriche), osservando ciò che sta più vicino ed è più quotidiano, questo territorio appare evidentemente caratterizzato da un cospicuo patrimonio immobiliare abbandonato o sottoutilizzato. Gli edifici allineati lungo la strada statale (siano essi parte di un’antica cortina edilizia continua siano esse “villette su lotto” della seconda metà del Novecento) appaiono per lo più tristemente chiusi o solo parzialmente e periodicamente utilizzati, obsoleti, non più in grado di proporsi quale attraente spazio residenziale. Abbandonati o quasi, risultano essere anche molti negozi e attività commerciali (a volte c’è il bar, c’è la barista ma non ci sono i panini… e non perché siano stati consumati da precedenti avventori ma perché l’attività commerciale non sembra prevedere la presenza di avventori oltre gli abituali vicini di casa), l’albergo Posta (simbolo di quando questo territorio era attraversato da altri “flussi di energie”), case per le vacanze e colonie che vedevano in questi luoghi un contesto salubre e piacevole. Ci si trova di fronte ad un paesaggio di “finestre chiuse”, rilevato nelle pagine seguenti. Attraversando più lentamente questo paesaggio di finestre chiuse, rallentando il passo e spostandosi dalla strada statale, uscendo dalla linea retta

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Finestre chiuse ed abbandonate...

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la stazione di Nove, un paesaggio desueto...

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...materiale "resistente"

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Il Paesaggio da connettere

I Margini abitabili

Punti di accesso Borghi Orti esistent i Prat o Bosco Aree da recuperare tra bosco e prat

Mappa generale area di intervento - stazione di Nove

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Orti di progetto Aree di crescita potenzial

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che attraversa velocemente il territorio e guardandosi attorno, si inizia però a rilevare la presenza di numerosi altri “materiali resistenti”. Interessanti manufatti industriali (l’Italcementi a Serravalle, la cartiera nei pressi delle sorgenti del Meschio, i forni per la produzione della calce costruiti con sapienza ed arte) piccole chiese arroccate, muri e scalinate di pietra, le centrali idroelettriche e poi ancora sorgenti, laghi e paludi, sentieri, carrarecce, muri a secco, stazioni e depositi, ponti e gallerie, piccoli borghi dove l’auto non arriva. Elementi che, sommandosi, un po’ alla volta sembrano evocare altre nuove possibili storie, proponendosi come semi di resilienza oltre che di provvisoria resistenza. Nuovi soggetti ed economie Cosa succederebbe quindi se riuscissimo a mettere in relazione questa costellazione di “abbandoni e resistenze”? Quali progetti, dispositivi e soggetti potrebbero riattivare/riaccendere questo territorio? Le variabili in gioco sono molte - l’evoluzione delle competenze, delle tecnologie, la differenza delle realtà produttive di riferimento, ecc. - ma fra tutte forse quella più centrale è quella di tenere in considerazione gli aspetti sociali, relazionali e contestuali, focalizzando l’attenzione sui soggetti e le loro abitudini. Ricordando che la ferrovia Venezia-Cortina, se oggetto di un consapevole investimento pubblico può diventare un importante elemento di supporto per nuove pratiche e di attrazione di nuove economie, nel tratto oggetto di questo esercizio immaginiamo che accanto ed oltre ai soggetti più consueti (il lavoratore pendolare, lo studente universitario, il turista giapponese interessato alle nevi di Cortina, il villeggiante veneto alla ricerca di refrigerio estivo, le comunità locali, ecc.) vi possano essere in particolare due nuove figure sociali in grado di concorrere all’avvio di un nuovo ciclo di vita. Se lo sviluppo economico del Veneto nei decenni passati è stato caratterizzato dalla figura del “metalmezzadro” (lavoratore nell’industria che però dedicava parte del suo tempo anche ad altre attività nella propria piccola proprietà terriera: un po’ di agricoltura, un po’ di artigianato, ecc.) oggi esili segnali (la presenza di popolazioni immigrate che trovano qui alloggi a basso costo) suggeriscono che un nuovo tipo di “metalmezzadro 2.0” potrebbe trovare qui un fertile ambito di sviluppo. Un soggetto che risiede qui ma lavora in uno dei distretti posti a nord e a sud, si sposta in treno, raggiunge da casa la stazione con l’autobus o in bicicletta, riusa questo vasto e vecchio patrimonio edilizio, torna a coltivare la terra per ottenere un reddito integrativo o parte del proprio sostenta-

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Materiali resistenti

Viste di progetto

Plastico di studio

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mento. Innescando così una serie di comportamenti virtuosi che tutelano di fatto il paesaggio (si pensi alla necessità di limitare l’avanzamento del bosco o di consolidare il suolo) e lo potenziano, aumentandone il livello di attrattività turistica, la sua specificità, con la creazione per esempio di una rete di ospitalità diffusa di b&b (ricettività contestualizzata), mettendosi in gioco in prima persona. L’altra figura invece è quella che abbiamo definito come “backpackers delle antiche vie”. Da Wikipedia: "backpackers, un modo di viaggiare indipendente e non organizzato, a piedi, in bicicletta o a cavallo..., persone che si spostano in genere per periodi lunghi e con un budget limitato, che utilizzano i mezzi di trasporto locali, che cercano alloggi economici, che vivono il viaggio come un esperienza di conoscenza del luogo, della gente...e della cultura". Un soggetto cioè che attraversa il territorio con il proprio zaino o le borse appese alla bicicletta, proveniente da lontano (Monaco-Venezia in bicicletta) o da vicino (salgo in treno a Treviso e in 30 minuti mi ritrovo a camminare nei boschi) attratto da ciò che sul paesaggio si è sedimentato, dalle antiche storie che narra, dall’esperienza del viaggio più che dal raggiungimento di mete note e che però richiede alcune precise cose: la possibilità di fermarsi con la tenda o dormire in un alloggio economico (le vecchie stazioni allineate lungo la ferrovia potrebbero diventare altrettanti bivacchi, analogamente a quanto succede con i bivacchi arancione della Fondazione Berti allineati lungo i sentieri dell’Alta Via escursionistica n. 6 che va dalle sorgenti del Piave a Vittorio Veneto lungo la catena montuosa della sinistra Piave), un affidabile sistema di trasporto pubblico ed oggi apprezza anche quell’insieme di tecnologie che definiamo smart. Divenendo parte di un turismo basato sull’innovazione e la curiosità, nel quale il senso del paesaggio viene disegnato dagli eventi della scoperta, e in cui la propria identità matura prestando attenzione a segni che attivano nuovi riferimenti. Insomma un turismo legato ad una “serendipity” che molti ritengono connotato specifico della città e che invece viene ormai sempre più ricercata anche nel paesaggio aperto, attraversando il mondo come “paesaggio di sorprese”, capace di suscitare stupore e di riannodare connessioni con il territorio. La novità sta nello sguardo, nella riscoperta del territorio e della sua specificità. A partire da queste ipotesi abbiamo sviluppato un progetto esplorativo nell’area della stazione abbandonata di Nove, immaginando di riqualificare alcuni siti di archeologia industriale anche come spazio di accoglienza per i backpackers, spazio pubblico disponibile, senza destinazione d’uso

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rigidamente definita, area di sosta, luogo di incontro e fruizione turistica, convergenza di percorsi a luoghi di interesse e trasporto pubblico. Uno spazio che asseconda attività temporanee: qui il metalmezzadro 2.0 può vendere la verdura del suo orto, un volontario si propone a guida turistica, un altro gestisce un ostello. Ovviamente questi due soggetti idealtipici (qui stilizzati) non potrebbero fare tutto da soli, per attivarsi hanno bisogno che l’attore pubblico ritorni con decisione e precisione ad investire sul territorio, a fare scelte e spese pubbliche. Ad esempio, riattivare seriamente la ferrovia, immaginare una sorta di “Peep degli antichi borghi”, avviare politiche attive di riaccorpamento e ridefinizione del patrimonio edilizio e delle

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proprietà, proporre aiuti ed incentivi alla produzione agricola a Km 0, ecc. Nulla succederà per caso, ma un insieme di interventi puntuali messi a sistema e relazionati alle infrastrutture e ai servizi pubblici su rotaia ridefinirebbero una nuova immagine del territorio, con lo scopo di aumentare la sua competitività, articolare la struttura economica e sociale, pensando che il fattore di successo sia racchiuso nell’integrazione di diverse politiche e il recupero di un bene pubblico restituito all’uso collettivo. Note 1 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici, in Le Vie d’Italia, marzo 1940 2 F. Zagari, C. Bertorelli, Il valore dell’acqua. Tutela, gestione e innovazione nell’ambiente e nel paesaggio del Veneto Orientale, AATO Veneto Orientale, 2005

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coordinamento: Fernanda De Maio, Alberto Ferlenga Andrea Iorio Claudia Pirina studenti: Alessandra Amato, Federico Durigon, Gianluca Grignolo, Alberto Oliviero, Leonardo Spagnolo, Aleksandar Tkalec, Fiorella Zuanon azienda partner: P.R. Consulting

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DALLE RETROVIE AI CAMPI DI BATTAGLIA

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Mitragliatrice italiana lungo la ferrovia Montebelluna-Susegana presso San Mauro [da C. Meregalli, Grande Guerra sul Montello, Bassano 2000]

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DALLE RETROVIE AI CAMPI DI BATTAGLIA* Andrea Iorio Claudia Pirina

Memoria e tracce Il progetto propone una riflessione su due questioni parallele sovente richiamate per leggere e descrivere il territorio contemporaneo, eppure non sempre di facile composizione. Da un lato il carattere "atopico" che la memoria della Grande guerra ha assunto in luoghi in cui i racconti e le immagini delle vicende passate, seppur vividi, hanno allentato i propri legami con l’assetto attuale dei luoghi; dall’altro una consistente presenza materiale, incapace di rendere evidente la storia di cui è portatrice e che dimostra tutta la propria fragilità di fronte alle recenti dinamiche di trasformazione del territorio. In questa impasse il progetto ha individuato la questione fondamentale che si pone qualora si intenda avviare un processo di riattivazione di significati e relazioni all’interno del paesaggio, integrando attuali pratiche di utilizzo e rinnovate modalità di fruizione. In quest’ottica il concetto di trasformazione non comporta necessariamente la perdita di leggibilità della stratificazione e, al contempo, la pratica di un riuso basato sulla selezione strategica di segni dismessi, in primo luogo di natura infrastrutturale, può offrire inedite occasioni per riorganizzare tanto le dinamiche di insediamento quanto di fruizione del territorio. * Il presente articolo è frutto di un lavoro e di ricerche svolte in modo congiunto da parte dei due autori. La redazione dei paragrafi 1, 4, 7 e 8 è di Andrea Iorio; quella dei paragrafi 2, 3, 5 e 6 è di Claudia Pirina.

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SUSEGANA NERVESA

GIAVERA

MONTEBELLUNA

tracciato dismesso linee in esercizio stazioni case cantoniere linee fortificate

VOLPAGO

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La linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana All’interno della numerosa serie di tracce lasciate dalla Grande guerra nelle immediate vicinanze del Montello va iscritto anche un segno a prima vista non riconducibile alle vicende belliche: una linea ferroviaria oggi dismessa che, tra campi abbandonati e proprietà recintate, corre parallelamente al versante meridionale della collina, tra Nervesa della Battaglia e Montebelluna. Lunga poco meno di 21 km, questa ferrovia fu costruita nelle fasi precedenti la Prima guerra mondiale come itinerario in grado di portare i treni provenienti dalle varie parti del Regno verso la linea di confine orientale. Per la rilevanza nazionale del tracciato, la ferrovia fu costruita a cura diretta dello Stato per Regio Decreto del 1914 e inaugurata durante il conflitto, nel 1916. Il processo di munizione del Montello, con la realizzazione di linee fortificate che seguivano la riva del fiume, ma non solo, era già stato avviato e la costruzione della linea ferroviaria in posizione retrostante costituiva un’infrastruttura fondamentale per la movimentazione e l’approvvigionamento delle truppe. Il rapporto tra retrovie e prime linee si basava fondamentalmente sulla struttura viaria esistente, fatta di 21 “strade di presa”, una serie di strade parallele in senso nord-sud, che suddividevano la collina in settori regolari. Si trattava di una rete che affondava le sue origini nel tradizionale sfruttamento del Montello come riserva boschiva per la Serenissima, ma la cui finale configurazione si era definita soltanto nel 1892 con la ripartizione stabilita dalla legge Bertolini. Coinvolta e danneggiata in breve tempo dagli eventi bellici, la linea ferroviaria, a seguito della Battaglia di Caporetto, identificò la linea di confine tra i territori rimasti all'Italia e le terre occupate dal nemico. Fu ricostruita dopo la guerra e riaperta nel 1920, ma, a seguito di un progressivo smantellamento di numerose parti, venne dismessa nel 1966, se non per brevi tratti rimasti a servizio di un deposito militare e di un'industria locale e ufficialmente soppressa nel 1984. Nonostante la dismissione in atto da parecchi anni, il tracciato è ancora riconoscibile in molte sue parti e i manufatti – ponti, stazioni, case cantoniere, binari e traversine – sono ancora presenti. La convergenza degli interessi dei comuni attraversati da questo tracciato negli anni si è fatta sempre più chiara al punto di essere inserito nel P.T.R.C. come collegamento sovracomunale da tutelare e riconvertire ed è in atto l'accordo per verificare la fattibilità dell’acquisto del sedime per la trasformazione in percorso ciclo-pedonale.

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Itinerario Touring [da Sui Campi di Battaglia, 1929]

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Attraverso il paesaggio del Montello: nuovi itinerari del progetto dalle retrovie ai campi di battaglia Numerosi sono gli itinerari esistenti nei luoghi che furono teatro dei combattimenti, meno conosciuta è la storia delle trasformazioni fisiche del territorio, delle attività economiche, delle comunità. Il tentativo è stato quindi di osservare il paesaggio di oggi con occhi differenti, recuperando lo sguardo costruito negli anni subito a ridosso degli eventi nelle prime guide intitolate Sui Campi di Battaglia, edite sul finale degli anni '20 dal Touring Club Italiano, intersecandolo con i numerosi percorsi di visita sul Montello presenti nel panorama turistico attuale. Le recenti modalità di fruizione propongono innumerevoli itinerari, per lo più ciclabili, che toccano tra l'altro alcuni territori simbolo della Grande guerra, senza tuttavia chiarire il senso della percorrenza in quei luoghi e il loro significato. Il riciclo del sedime ferroviario, riconvertito in pista ciclabile o metropolitana leggera di superficie, offre l'occasione per la definizione di un nuovi percorsi capaci di ripercorrere le vie di merci e uomini dalle retrovie alle trincee di prima linea, fino al Piave: sezioni di territorio che raccontano le relazioni tra fronte e territorio circostante, in possibile collegamento con il sistema di itinerari turistici sul lato del fronte austriaco da poco inaugurato. Il riutilizzo di alcuni ex caselli, stazioni e case cantoniere in posizione strategica e la trasformazione in piccoli luoghi espositivi, ma anche di ristoro e bike sharing, consente lo sviluppo di un museo diffuso lineare, ma anche la ridefinizione di spazi adibiti alla fruizione delle comunità locali. Gli itinerari di visita sul Montello ricalcano il sedime storico delle strade che, fin dai tempi della Serenissima e dei lavori di manutenzione e gestione del territorio ottocenteschi, ne hanno costituito il sistema infrastrutturale e sono stati identificati attraverso un principio di narrazione, di organizzazione per temi, individuando lungo il percorso piccoli luoghi strategici in grado di rendere particolarmente manifesto il tema proposto. Nell'intento di modificare il meno possibile i luoghi, considerando che i manufatti bellici, siano essi edifici o infrastrutture, hanno ormai perso la loro funzione, constatando molto spesso l'impossibilità di immaginare per loro una nuova funzione e riconoscendo la capacità che la loro condizione di rovina ha di evocare tragici eventi, la proposta è stata di lavorare attraverso piccoli dispositivi di avvicinamento ai luoghi che, focalizzando l'attenzione su alcuni frammenti, marcando la distanza o costruendo diaframmi, possano attivare nuovi sguardi.

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L'osservatorio del Re

Lungo il Piave

Il villino della Guizza

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Primo itinerario. Sguardi e punti di vista Il primo itinerario si propone di raccogliere e organizzare le molteplici declinazioni assunte dallo sguardo durante il conflitto: l’occhio "civile", quello "dei comandi" e quello "dei soldati". L’inizio si colloca in posizione di retrovia, dove la vista del fronte è preclusa – l’occhio "civile" – e la sua percezione possibile solo per via indiretta. La stazione dismessa di Volpago viene recuperata come punto intermodale (stazione per metropolitana leggera, parcheggio, deposito biciclette, infopoint) e al suo interno si prevede l’allestimento di una piccola esposizione dedicata alle rappresentazioni del fronte sul Piave divulgate in tempo di guerra e alle principali tecniche di controllo visivo utilizzate nel conflitto. Da Volpago il percorso risale il versante meridionale del Montello seguendo la presa XIV fino all’Osservatorio del Re, un bunker di osservazione camuffato sotto l’immagine ordinaria di una vecchia casa contadina, al cui piano seminterrato, dalle feritoie strombate che inquadrano il lungo panorama del Piave, gli alti comandi controllavano gli sviluppi dei combattimenti a valle. Il progetto sceglie di non intervenire sul manufatto, proponendo la sistemazione del punto di attacco tra strada di presa e nuovo accesso all’osservatorio: un percorso semi-ipogeo, che chiude il campo visivo, fa perdere la percezione del paesaggio, per farlo riscoprire inaspettatamente soltanto all’interno del bunker, dalle profonde feritoie. La successiva discesa fino alle rive del fiume contrappone all’occhio "dei comandi" un punto di vista più vicino al suolo, analogo a quello "dei soldati" in trincea, che permette di leggere la lieve orografia del letto fluviale. Quella che dall’alto sembrava una distesa piatta e uniforme si rivela un luogo segnato da increspature dove la presenza di vegetazione è sufficiente a creare ostacolo a un campo visivo profondo. Nei periodi in cui il regime idrico lo consente è prevista una serie di passerelle mobili collocate in ordine sparso come piccoli punti di attraversamento del Piave per raggiungere l’altra riva in corrispondenza dell’Isola dei Morti. Sulla riva sinistra l’itinerario prosegue lungo la strada che da Falzè porta verso Pieve di Soligo: appena oltre il bivio con la provinciale, guardando verso Collato, è possibile scorgere il villino della Guizza, una postazione scelta dal Comando austriaco come osservatorio avanzato, analoga all’Osservatorio del Re. Dal momento che la villa è utilizzata oggi come residenza privata e che dunque non è facilmente ipotizzabile la sua visita, è prevista solo la definizione di un piccolo belvedere da cui "osservare un punto d’osservazione".

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La Valle dei Morti

Feritoia di bunker

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Secondo itinerario. Le trasformazioni del paesaggio Molteplici trasformazioni hanno modificato negli anni l'assetto dei luoghi mescolando e confondendo tracce, tempi e memorie. La morfologia naturale costituita da un sistema di doline si confonde con la nuova orografia causata dall'esplosione di innumerevoli bombe, la presenza di vegetazione spontanea e incolta rimbosca un'altura che nel periodo precedente la guerra aveva subito un radicale disboscamento non a fini bellici, ma per motivi di sfruttamento economico, le strade di presa preesistenti allo scoppio della guerra intersecano strade militari costruite per l'approvvigionamento delle truppe. Tracce sparse di bunker raccontano solamente una minuscola parte del fitto sistema di trincee che attraversava e lambiva il monte. La concentrazione di resti, cui va aggiunta una pari diffusione di piccoli monumenti, sacelli, capitelli, è straordinaria, ma versa infatti in una condizione di estrema frammentazione, tale da rendere spesso impossibile la lettura dei sistemi di riferimento e dei significati originari. Alle trasformazioni fisiche si affiancano quelle mentali: da bosco della Serenissima il Montello passa a essere ricordato come terra di confine, baluardo dell'estrema difesa del Regno. E la serie delle immateriali linee del fronte che si sono succedute e spostate nel giro di pochi giorni costituiscono un'importante, ma invisibile traccia nel passato di quei territori. L'inizio del percorso si attesta nell'ex casello di Selva, immerso in un brano della campagna, ancora una volta riconvertito in piccolo luogo museale, ma anche di servizio all'itinerario lungo l'ex ferrovia. Attraverso la campagna, oltrepassata la Strada Provinciale e il centro abitato, si sale lungo la presa VIII, fino a raggiungere la mitica Valle dei Morti, grande cimitero all'aperto, luogo di sanguinose battaglie, che sotto di sÊ accoglie i resti degli eserciti che si scontrarono violentemente in quel luogo. Nulla lo distingue dalle innumerevoli doline che punteggiano il Montello se non la presenza di una piccola stele, il monumento al Generale Giuseppe Penella e un piccolo sacello votivo. Il progetto ridefinisce il bordo della piccola valle, introduce un sistema porticato che marca una differenza e costruisce un luogo di osservazione privilegiata. Arrivati su via Riviera Piave si prosegue fino alla casa Serena che fu caposaldo italiano e che segnò il limite estremo dell'avanzata austriaca, dalla quale si gode di un ampio panorama, e alla casa De Faveri, luogo nel quale un'intera divisione austriaca perse la vita non appena oltrepassato il fiume sui barconi.

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Passerelle sul Piave

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Terzo itinerario. Infrastrutture di guerra Il terzo itinerario propone uno sguardo più approfondito sul sistema infrastrutturale che ha costituito uno dei maggiori elementi di sviluppo per l'area. Territori scarsamente popolati, in pochissimi anni necessitarono di ingenti sforzi per adeguare i luoghi alle mutate necessità di trasporto di uomini, merci, artiglierie; l'estesa dimensione del fronte e la complessa orografia del suolo comportarono la necessità di organizzazione di un efficace sistema di trasporti e l'allestimento di estesi servizi logistici. Da un lato quindi si rese necessario il reclutamento di un ingente numero di "operai borghesi" che da tutta la nazione accorsero in migliaia costituendo un vero e proprio flusso migratorio che modificò la geografia sociale delle popolazioni e che portò, in luoghi fino a quel momento poco abitati, un inatteso numero di abitanti; dall'altro donne, giovani e anziani rimasti lontani dal fronte andarono a formare un vero e proprio esercito costretto a occuparsi tanto delle abituali attività produttive, quanto dei rifornimenti ai campi di battaglia. Non solo quindi trincee, bunker e gallerie, ma anche strade, ponti, acquedotti, teleferiche, linee elettriche, ferrovie si resero necessari per preparare i territori al conflitto. L'itinerario inizia ai piedi del ponte ferroviario della Priula in un piccolo edificio riconvertito in punto intermodale, all'interno del quale organizzare un'area espositiva in grado di preparare il turista alla visita. Seguendo l'andamento dell'ex ferrovia, subito dopo l'incrocio con via Foscarini, ci si addentra all'interno della campagna lungo un nuovo percorso che ricalca il sedime di un sistema di trincee – non più visibile – che attraversavano quei luoghi, fino ad arrivare all'ex stazione di Giavera del Montello e proseguire lungo il viale della Stazione. Attraversato il centro abitato si arriva a imboccare la presa IV e attraversare il rilievo fino a giungere sull'ultima balza. Il percorso si biforca proponendo la visita di un doppio sistema di bunker sul bordo del Piave che, ancora una volta, modificano lo sguardo e ci portano ad una condizione in cui, lasciato alle spalle il rilievo, ci troviamo in una sottile striscia di terra, completamente invasa dalla vegetazione, compresa tra l'ultima balza e il fiume, proprio nel punto in cui vennero realizzate le teste di ponte e i punti di attraversamento dai quali gli eserciti oltrepassarono il Piave. I resti dei manufatti bellici e la loro specifica e strategica posizione rispetto all'orografia del luogo rendono la visita particolarmente efficace, nonostante la vegetazione in molti casi renda oggi illeggibili quelle relazioni.

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Sezione sul paesaggio e vista dal bunker

Abbazia di Sant'Eustachio

Verso il Castello di San Salvatore

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Quarto itinerario. Le stratificazioni della storia Sul Montello la capillare presenza di resti, molti dei quali ancora sepolti sotto la vegetazione, si spiega nel fatto che tra il novembre 1917 e il novembre 1918 in questi luoghi si concentrò la maggior parte delle tensioni belliche. Il valore strategico di quel luogo – un rilievo decisamente contenuto in termini assoluti, di soli 370 metri di altezza massima – si spiegava in ragione di una collocazione allo stesso tempo prossima alle Prealpi, ma sostanzialmente isolata, che ne faceva una sorta di estremo baluardo naturale in posizione dominante sulla pianura del medio corso del Piave. D'altro lato la particolare conformazione morfologica e la posizione strategica sia prima che dopo il conflitto hanno favorito la stratificazione di segni, significati e usi. Il quarto itinerario intende esplorare la possibilità di interpretare la Storia come stratificazione di lunga durata, profondamente legata alla geografia, proponendo la visita di alcuni dei monumenti più famosi del Montello: luoghi storici non immediatamente legati allo svolgimento del conflitto – come le rovine dell’Abbazia di Sant’Eustachio (pesantemente bombardata) o il sedime della vecchia Certosa di San Girolamo (completamente demolita già all’inizio del XIX secolo) – e luoghi della memoria – come l’Ossario di Nervesa che accoglie i resti di 9000 soldati e ospita un museo che raccoglie armi, munizioni, carte topografiche, documenti e fotografie. Il punto iniziale del percorso corrisponde alla vecchia stazione di Nervesa della Battaglia, ora in stato di abbandono. La dimensione delle due strutture esistenti (ex stazione passeggeri ed ex deposito merci), ma anche la collocazione "di testa" rispetto all’intero sistema, permettono di pensare a un riuso della stazione come spazio espositivo dedicato alle vicende della Grande guerra, ma anche al racconto della storia precedente e successiva del territorio. Se da un lato l’orizzonte temporale muta grazie all’inserimento di punti di interesse storico, dall'altro l’orizzonte spaziale coinvolto subisce analogo ampliamento. Attraverso la costruzione di una serie di piccoli punti di vista, lo sguardo è invitato in più occasioni a guardare lontano: verso il castello di San Salvatore che, a conferma del carattere strategico di quella topografia, era uno dei nodi dell’antico sistema di controllo militare del territorio, collocato sul rilievo opposto rispetto al Montello, a segnare il punto in cui il Piave entra definitivamente in pianura; o verso la pianura trevigiana, dove a volte, se il tempo è buono, sullo sfondo si riesce a vedere Venezia, antica origine del bosco del Montello.

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Conclusioni Il Montello, uno dei teatri più famosi della Grande guerra, luogo ancora oggi portatore di una memoria tramandata da innumerevoli resoconti storiografici, intrecciati ad altrettanti racconti mitici, di eroismo e di tragici sacrifici è anche un toponimo che nell’immaginario collettivo evoca immagini di assalti, battaglie, distese sterminate di caduti, che solo a fatica sono oggi ricollocabili nei luoghi cui si riferiscono. Dall’altro lato è presente ancora una grande quantità di tracce: a chi passeggi per i boschi di robinie o lungo le rive del Piave si offre sovente l’inaspettata esperienza di incontrare misteriosi spazi ipogei o strutture murarie in rovina. Le dimensioni piuttosto contenute del rilievo e della zona circostante – circa 12 chilometri di lunghezza per 6 di profondità –, sicuramente minori rispetto a quelle delle altre unità geografiche coinvolte nel conflitto, come l’Altopiano di Asiago o il Carso, fanno oggi del Montello un’area unica dove è possibile seguire integralmente la completa articolazione del fronte italiano: una sorta di sezione ideale incrocia i campi di battaglia, identificabili nelle vaste isole di ghiaia che caratterizzano il corso del Piave tra Vidor e Falzè, la sequenza delle principali linee fortificate concentrate soprattutto nella parte settentrionale del colle, oltrepassato il crinale, le zone di retrovia che costituivano una sorta di filtro complesso e caotico tra la fascia delle operazioni belliche e il territorio civile retrostante e che vedono oggi la memoria delle passate vicende basata su presenze materiali quasi completamente dissolte. Narrare questa sezione ideale del fronte, attraverso la costruzione di nuovi itinerari di visita è stato l'obiettivo che il progetto si è posto fin dal principio. Il lavoro, condotto in collaborazione con P.R. Consulting di Padova, ha tenuto insieme una serie di ricerche, condotte nel lungo tempo in seno all'unità di ricerca dello Iuav Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra, con l'ipotesi di provare a costruire, nel breve periodo del workshop, una tavola che tentasse di trasformare alcuni concetti astratti in dispositivi tridimensionali. Come raccontare gli itinerari, attraverso quali tecniche narrative, sono le domande alle quali abbiamo tentato di dare risposta, oscillando tra tempo passato, presente e futuro, proponendo un processo di riattivazione dei significati e di relazioni di brani del territorio, osservando con sguardo attento le trasformazioni del paesaggio, le stratificazioni della storia e il sedime delle vecchie infrastrutture di guerra.

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coordinamento: Carlo Magnani Margherita Vanore Francesca Zannovello studenti: Grazia Fiorillo, Ilaria Giurgola, Ilaria Gorghetto, Francesca Marconato, Stefano Longo, Alessandro Lovadina, Federica Scaggiari, Alessandra Trinca

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PAESAGGI FLUVIALI IN PRODUZIONE

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PAESAGGI FLUVIALI IN PRODUZIONE

UN NUOVO SGUARDO Carlo Magnani I sopralluoghi sono stati accurati nella forma dell’esplorazione, più che della verifica alla ricerca di conferme sulla base della cartografia storica o di conclusioni pregiudiziali. Gli sguardi si sono volti all’intorno all’esame di tracce e di segni, di misure, di salti di quota, del “piccolo” e dell’inusitato come orizzonte di senso, nel tentativo di condividere una visione generale e di trovarne i punti di possibile applicazione anche nel gesto minimo. Emerge una sorta di inventario che allude anche a potenzialità inespresse o dimenticate. Forse è questo un possibile significato del mutamento di sguardo che la ricerca evoca e chiede. Da un lato la sensazione che nei termini di una logica funzionalista di cui siamo eredi, cioè di distribuire territorialmente quantità di attrezzature, tutto o quasi sia già dato, già presente, ma dall’altro lato, come esplorando una vecchia soffitta, il ritrovamento di memorie di altre possibilità che sono state abbandonate, scartate, sopraffatte dall’incalzare delle cose: ciò che è avvenuto è stata solo una delle possibilità, non l’unica. Dunque muoversi nell’ottica del riciclo o della rigenerazione urbana e

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territoriale implica un mutamento dello sguardo e un conseguente mutamento della mentalità per non cadere in un inventario infinito o nella retorica dei buoni sentimenti. L’evidenza fisica delle cose, per noi il Piave, ha queste caratteristiche. Riscoprire i caratteri della geografia, anche nei suoi termini più elementari, significa confrontarsi con il tempo lungo e con le molte narrazioni e storie che si sono susseguite. Una memoria densa che racconta l’oblio, o meglio, il venir meno di una narrazione collettiva frammentata in un’infinità di storie locali sopraffatte dalle “ineludibili necessità del progresso”. Un nuovo sguardo che può contribuire a dare rappresentanza sociale a nuove sensibilità che stanno emergendo nel dibattito collettivo. Ma così facendo interroga lo stato delle cose, ne ricostruisce le genealogie e i processi morfogenetici, pone domande alle regole del diritto, all’astratto cumulo delle stratificazioni normative di “garanzia” che non hanno garantito la crescita di una cittadinanza responsabile e coesa attorno alle caratteristiche territoriali come insieme di risorse collettive, forse di carattere comunitario. Nuove sensibilità che si confrontano con una diversa concezione del welfare oggetto di continue erosioni nello spostamento dai diritti alle progressive tariffazioni, fino a misurarsi con la nozione di bene comune e a ricollocare le questioni della morfologia urbana e territoriale nell’ambito della condivisione di benessere sociale e territoriale all’unisono. Un nuovo sguardo che indaghi l’efficacia delle azioni anche disponendole in un tempo lungo delle trasformazioni senza perdere l’efficienza sistemica della visione complessiva. Un nuovo sguardo che evoca un rinnovato patto di patrimonializzazione delle risorse collettive ponendo con forza al centro della riflessione l’utilità sociale (come ricordato nella Costituzione Italiana) delle forme proprietarie, basate sulla semplificazione della contrapposizione pubblico/privato, e sulle loro regole di gestione.

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FORME TECNICHE DEL PAESAGGIO FLUVIALE Margherita Vanore La riqualificazione del paesaggio fluviale è un’esigenza ormai ineludibile per la messa in sicurezza del territorio e il necessario riequilibrio ambientale, parti di un processo di trasformazione che richiede sempre più una capacità inclusiva del progetto. Il paesaggio fluviale è però vasto e differenziato, va ben oltre i limiti fisici dell’alveo, riflette ambiti distanti per la ramificazione del bacino idrografico e dei corsi d’acqua secondari, riflette l’orografia della regione e la topografia dei luoghi attraversati. Eppure questi caratteri generali sono resi di maggiore evidenza proprio dalle numerose opere infrastrutturali che utilizzano le risorse del fiume, costruendo macchine, architetture e la stessa forma del corso d’acqua. I fiumi nei secoli hanno subito variazioni di tracciato, hanno visto la costruzione di argini, dighe, centrali, grandi bacini e casse di espansione. La loro forma si è quindi consolidata rispetto alle specifiche condizioni geografiche, ai processi di urbanizzazione, ai sistemi di produzione che utilizzano la via d’acqua e la sua energia in relazione alle altre risorse del territorio. Lungo il corso dei fiumi è del resto evidente che a connotare il paesaggio è in molti casi una forma tecnica, nata per controllare il corso d’acqua e innestare su di esso impianti produttivi. Difficile pensare che il paesaggio fluviale possa avere un carattere ed esprimere la sua forza strutturante senza questi grandi e piccoli impianti, infrastrutture e dispositivi, ormai parte essenziale di quei territori. A maggior ragione non avrebbe senso escludere quei luoghi da un processo di riqualificazione che ne comprenda la fruizione pubblica. I luoghi di produzione dell’energia idroelettrica, le diverse forme tecniche del fiume, sono e possono essere parti fruibili del paesaggio fluviale e fondamentali dispositivi di supporto a una tutela attiva del patrimonio culturale e naturale. La conoscenza delle reali potenzialità d’interazione dei territori con quelle diverse forme tecniche del fiume, oltre la loro specifica funzione, consente di immaginare il progetto del paesaggio come azione sostanziale di ricomposizione, messa a sistema, integrazione e inclusione di patrimoni, che vanno riconosciuti non solo per quello che sono oggi, ma anche per le loro capacità di generare nuovi sistemi infrastrutturali, in particolare nuove infrastrutture culturali.

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Oggi è sempre più necessario coordinare la riqualificazione ambientale con un utilizzo sostenibile della risorsa acqua a fini produttivi ed energetici, ma questo costituisce un fattore propulsivo per il progetto di trasformazione del paesaggio. Non è del resto più sostenibile mettere in sicurezza i luoghi del fiume senza una visione progettuale d’insieme, multidisciplinare e integrata, veicolata dal progetto del paesaggio fluviale a partire dalle aree di margine del corso d’acqua. Ripartendo dal fiume quindi, il progetto del paesaggio di fascia fluviale assume come risorsa il “patrimonio della produzione”, vale a dire quell’insieme di sistemi di costruzioni e forme tecniche, in gran parte in disuso, che possono essere riconsiderati, reinterpretati, riattivati con usi compatibili, convertiti, riutilizzati nella riqualificazione sistemica del territorio. L’attenzione quindi della ricerca progettuale si concentra innanzitutto sulla conoscenza e valutazione di questi luoghi in rapporto ad una visione del fiume come elemento conformatore del paesaggio, che non può limitarsi a un solo aspetto, essere indifferentemente specialistica, ma impone una lettura integrata e multidimensionale insieme all’interpretazione delle potenzialità che essa ha per la sicurezza e il benessere di chi abita quei territori. Il fiume Piave costituisce per questo tavolo di lavoro un ambito di sperimentazione progettuale di estremo interesse. La produzione di energia idroelettrica e l’infrastrutturazione del fiume configura molti luoghi, come parte integrante di una geografia artificiale, su cui si sviluppano derivazioni e sistemi idraulici di grande importanza per il territorio. L’impianto progettuale sviluppato nell’ambito del workshop Ve.Net, ha preso in considerazione due luoghi molto diversi del fiume Piave, per comprendere nella loro accentuata differenza alcuni indirizzi di trasformazione che derivano da un unico punto di vista. Nel tratto tra Fener e Pederobba, il Piave scorre ancora tra i rilievi montuosi prima di aprirsi verso la valle e dilatarsi, oltre il Montello, in un letto piuttosto ampio che si ramifica per delineare l’isola delle Grave di Papadopoli. Nel tratto ancora montano i luoghi d’interesse del progetto sono individuati dal sistema di produzione dell’energia elettrica, dal canale Brentella, dal sistema infrastrutturale che si insinua nella striscia di terra compressa tra il corso del fiume e le ripide pareti montuose. La presenza di piccoli centri urbani in prossimità del corso del fiume evi-

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denzia poi la scarsa possibilità di accesso alle rive. La distanza degli edifici da una risorsa del paesaggio è sostenuta dalla necessità di evitare il rischio costituito dal fiume, e le problematiche a esso legate sono riportate a fattori unicamente di messa in sicurezza. Eppure la dimensione produttiva dei luoghi del fiume, offre sistemi fortemente interrelati, che mostrano una struttura formale e potenzialità per attivare una fruizione pubblica, ai margini degli stessi sistemi produttivi attivi, o nell’ambito di un recupero di quelli dismessi. La scelta di integrare i luoghi di fruizione del fiume servendosi della sua forma tecnica, comporta un’adeguata conoscenza dei valori ambientali, culturali e materiali di quei contesti, ma anche la consapevolezza che quei luoghi siano ancora solo in potenza, da riconoscere come importanti opportunità per la realizzazione di azioni integrate. Tra Fener e Pederobba, la produzione legata alla costruzione di vasche di itticultura negli spazi interclusi tra il corso del fiume e la linea ferroviaria, come tra i binari e la strada, la vicinanza di aree di interesse naturalistico o di strutture ex produttive aprono nuove prospettive per ricomporre quei luoghi in nuovi itinerari, come parti significative di un paesaggio fluviale ancora da abitare. Diversa è invece la realtà delle Grave di Papadopoli, dove le infrastrutture di attraversamento del Piave sembrano poter essere solo tangenti a un luogo che l’acqua preserva e isola. Un’isola appunto, caratterizzata da vaste coltivazioni di vigneti, da aziende agricole e residenze rurali, che trova nella sua limitata estensione l’eccezione di una piccola aviosuperficie e alcuni potenziali supporti per attività sportive, proprie della particolare opportunità offerta dal riuso di luoghi conformati dall’estrazione di inerti, di percorsi, spazi e ambiti configurati dal fiume. Qui i ponti e viadotti che attraversano il Piave a nord delle Grave, consentono di pensare a una trasfigurazione su cui si agganciano alcuni percorsi ciclopedonali. Nuovi percorsi che danno accesso a una percezione del fiume e della sua capacità di produrre paesaggi; paesaggi ancora da riconoscere e abitare, avendo cura dei loro valori e delle loro molteplici forme.

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Fener

Valdobbiadene

Pederobba

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LE AREE DI INTERVENTO E IL PROGETTO DEL WORKSHOP Francesca Zannovello La ricerca e la sperimentazione del Tavolo Piave è stata programmata e coordinata con le ricerche concluse e in corso, elaborate presso il Dipartimento di Culture del Progetto, e si allinea con gli studi sviluppati attraverso le tesi di laurea seguite dai docenti dell’Unità di Ricerca Architetture e Paesaggi della Produzione. Il gruppo di lavoro ha preso in esame il paesaggio fluviale del Piave nella sua correlazione con il sistema turistico culturale, i cambiamenti infrastrutturali regionali, con l’obiettivo di individuare strategie di trasformazione sostenibile per la valorizzazione paesaggistica del fiume e delle sue forme tecniche di produzione. Nell’ambito dell'elaborazione di nuovi scenari, altro obiettivo è stata la costruzione di itinerari culturali e la riqualificazione dei luoghi di fruizione del paesaggio fluviale e delle sue specificità. Le aree di sperimentazione progettuale, di seguito presentate, sono state considerate come casi esemplificativi del più ampio sistema del fiume Piave considerato quale infrastruttura culturale. La portata simbolica di questo fiume per l’intera regione Veneto è amplissima, con i suoi duecentoventi chilometri unisce le zone alpine della sorgente con le coste del mare Adriatico della foce, tanto da collegare le Dolomiti bellunesi e i margini della laguna di Venezia costituendo luogo di sviluppo delle società e della cultura del territorio veneto. Sin dall’antichità, non solo in epoca storica ma anche in quella proto storica, è stato sede di opifici produttivi di diversi generi. Lo sfruttamento delle acque di questo fiume nei secoli è stato alla base di una continua evoluzione tecnica e di un assiduo rinnovamento nelle strategie economiche, e questo almeno fino alla metà del XX secolo. Risulta però sempre più evidente come la gestione frammentata dei territori lungo l’intera asta fluviale abbia generato, soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo, molti casi di discontinuità, scompensi e problematiche che hanno portato al depauperamento delle acque del fiume e dei suoi paesaggi circostanti.

L'area tra Fener e Pederobba Il territorio del Piave passa dalla zona montuosa a quella dell'alta pianura: in alto, (1) immagine satellitare. in basso, (2) il progetto generale elaborato durante il workshop.

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In tal senso, il ripartire dal fiume sta alla base dell’invenzione di nuove relazioni di progetto per il paesaggio fluviale. Ripartire dal fiume come metodologia di intervento per recuperare la forza creatrice dell’acqua che, assieme alla terra, ha generato la specificità del paesaggio fluviale, e tentare di ricucire così quella cesura spaziale e culturale che oggi è assegnata ai corsi d’acqua sia verso il territorio sia verso la sua antropizzazione. Ma per poter riformulare le qualità del paesaggio a cui il fiume appartiene, è necessario comprendere come esso abbia raggiunto la sua struttura e la sua composizione, osservando le sue componenti e rileggendo le sue forme. Tutto quanto alla ricerca di un nuovo equilibrio che si origina nella storia passata ma che tiene conto delle trasformazioni in corso e procede verso il futuro. I fiumi, ancora oggi, sono frequentemente luoghi di separazione, sede di limiti amministrativi di vario ordine che li riducono a linee, spesso più importati per il loro essere confini sulle mappe, privati del loro valore di infrastruttura culturale, e del loro essere vero e proprio luogo di comunicazione, scambio, transito e di unione tra le due sponde. Sono spesso considerati retri di altri fenomeni che accadono nei loro pressi con cui non vi è relazione e sono all’ordine del giorno per esondazioni, alluvioni o perché compromessi da fattori inquinanti. Ma, lungo il corso dei fiumi, ci sono luoghi che conservano un suolo particolare: si tratta di tutti i luoghi in cui sono presenti manufatti connessi all'acqua del fiume: questi sono i luoghi di passaggio, elementi di connessione, ambienti dove l’energia dell’acqua si trasforma, esce dal fiume per espandersi in altre forme dando vita a nuovi materiali e alla costruzione di nuovi paesaggi. Possono per questo essere considerate possibili porte di accesso al fiume, chiavi di lettura estremamente utili per riformulare relazioni e connessioni tra il fiume e i suoi luoghi. Questo aspetto è il punto di partenza dell’attività di ricerca e sperimentazione messa in atto dal tavolo di lavoro Piave / Paesaggi in produzione.

L'area tra Fener e Pederobba. Le foto a sinistra riguardano: 3. il Piave dal ponte di Fener (BL); 4. Il cementificio Rossi di Pederobba (TV); 5. La centrale Enel Green power di Quero (BL); 6. Particolare del cementificio Rossi visto dalla ferrovia; 7. La diga e la centrale idroelettrica di Fener (BL). a destra particolari di: 8. Kriegskarte 1798-1805; 9. tavoletta IGM 1890; 10. volo GAI 1954

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Cimadolmo

Isola delle Grave di Papadopoli

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I paesaggi d’acqua del Piave, manifesti in forme molteplici e diversificati usi, sono esemplificati nelle due aree di studio, occasione di reinterpretazione dei luoghi e del loro patrimonio della produzione: 1. il tratto dell'asta del Piave tra Fener (BL) e Pederobba (TV); 2. l'isola delle Grave di Papadopoli situata tra Maserada (TV) e Cimadolmo (TV). Area 1. Fener/Pederobba Il Fiume Piave tra Fener (BL) e Pederobba (TV) è caratterizzato geomorfologicamente dal passaggio tra la parte meridionale della fascia montana e l'ingresso nell'alta pianura veneta, e qui l'alveo del fiume passa da una sezione ridotta a quella più ampia e ramificata della pianura. In questa zona trovano sede numerosi edifici e infrastrutture della produzione: la diga di Fener connessa al sistema storico, ma ancora attuale del canale Brentella (di Pederobba), l'ampia area del cementificio Rossi a Pederobba nei pressi della stazione ferroviaria e il sistema delle peschiere per il recupero delle specie ittiche cadorine. Oltre il ponte di Fener, sulla sponda sinistra del fiume si innesta il percorso della strada provinciale n.36 di Valdobbiadene. Le sponde del fiume sono abbastanza alte da rendere distante il rapporto diretto con il corso dell'acqua. In un passo relativo alla Sezione XI.12 della Kriegskarte (1798-1805) questi luoghi sono quelli di un fiume che si presenta con il suo caratteristico regime torrentizio, irruente e vorticoso, tanto da modificare il suo letto anche due volte all’anno e tale da impedire il passaggio sicuro tra le due sponde, nemmeno in situazioni di grave magra, e viene così descritto: “La Piave che da Quero giunge fino a Fener, forma più un gran torrente che un fiume. Inoltre, annualmente il suo letto si modifica e qualche volta, anche due volte all’anno, cosicché il corso principale volge velocemente ora sul lato destro ora sul lato sinistro. Essa è – fintantoché sviluppa il suo corso in questa sezione sopra Onigo e verso Bigolin – estremamente difficile; è guadabile solo nei momenti di grande siccità e non si trovano guadi inoltre essa è troppo impetuosa per

L'area delle Grave di Papadopoli in provincia di Treviso In alto: 11. aerofoto che inquadra una parte del Piave nell'alta pianura, dove il fiume si ramifica per poi ricongiungersi formando l'ampia isola delle "Grave". In basso: 12 planimetria generale del progetto elaborato durante il workshop.

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poter rendere possibile il transito a cavalli e uomini"1. Area 2. Grave di Papadopoli E' l'area dell'isola delle grave, posta nella fascia centrale della pianura veneta compresa tra i due rami principali del Piave afferenti a Maserada di Piave (TV) sulla sponda destra, e Cimadolmo (TV) sulla sponda sinistra. Si tratta di una formazione geomorfologia recente, generata a seguito di una esondazione del fiume negli anni Cinquanta del Novecento. E' un'area di elevata qualità naturalistica dove sono presenti luoghi della produzione: la parte centrale dell'isola è coltivata per lo più a vigneto, nella sua parte settentrionale c'è un'aviosuperficie, sulle sponde sono presenti cave attive per l’estrazione della ghiaia, vi sono aree destinate al pascolo, luoghi del tempo libero dedicati alla balneazione e quelli della memoria della Grande Guerra. L’esperienza di studio e il confronto di gruppo hanno condotto ad un approfondimento delle conoscenze sulle ampie questioni che riguardano il Piave, sia per le specificità intrinseche di carattere naturalistico, economico, infrastrutturale, sia per il fatto di essere un caso esemplificativo del dibattito tra conoscenze e politiche di gestione del territorio, delle economie e del paesaggio. I due casi specifici hanno consentito agli studenti la sperimentazione progettuale utilizzando, quale materiale, i paesaggi del fiume e i luoghi produttivi, portandoli ad acquisire nuovi strumenti e strategie per la trasformazione dei paesaggi della produzione nelle aree fluviali. Nella costruzione delle idee di progetto è stata privilegiata la definizione di nuove relazioni visuali col fiume e nuove connessioni tra espansioni insediative e produttive. Si è inoltre tenuto in considerazione il fatto che il sistema-paesaggio può avere futuro solo se nuove economie mirate alla visita e alla fruizione dei luoghi, compatibili con le specificità del fiume,

L'area delle Grave di Papadopoli. Foto a sinistra: 13. particolare del ponte sul Piave a Maserada (TV); 14. ramo destro del Piave a Maserada (TV); 15. Area coltivata a vigneto nell'isola delle Grave; 16. argine del Piave a Salettuol sulla sponda destra.; 17. Riva nord, sul ramo sinistro del Piave, dell'isola delle Grave. A destra particolari tratti da: 18. Kriegskarte 1798-1805; 19. tavoletta IGM 1890; 20. volo GAI 1954.

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Tavola di sintesi progettuale elaborata dagli studenti per le due aree studio rispettivamente tra Fener e Pederobba e alle Grave di Papadopoli.

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interverranno nel processo di trasformazione rispettando l'identitĂ stessa del territorio. La proposta del nostro gruppo di lavoro ha svolto in sintesi una indagine progettuale sull'idea del paesaggio fluviale/produttivo, ma rappresenta anche un tassello del mosaico territoriale di riflessioni e idee degli altri Tavoli del workshop impegnati verso la rigenerazione del paesaggio veneto contemporaneo.

Note 1 M. Rossi (a cura di), Kriegskarte, 17981805. Il Ducato di Venezia nella carta di Anton von Zach/ das Herzogtum Venedig auf der Karte Antons von Zach. Fondazione Benetton Studi Ricerche-Grafiche V. Bernardi, Treviso-Pieve di Soligo 2005.

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SECONDA PARTE: RICICLARE I TERRITORI DEI FIUMI E DELLE INFRASTRUTTURE

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Ve.Net , dettagli del plastico di studio

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PAESAGGIO: COSÌ È SE VI PARE Franco Zagari

Il colloquio di Pieve di Soligo propone alcune interessanti novità. La collaborazione fra due soggetti un gruppo di 11 docenti dello IUAV e la Fondazione Francesco Fabbri entrambi di provata qualità nel campo della ricerca sul paesaggio, come ogni sinergia va salutata con favore ma, molto oltre il fatto certamente già rilevante che sono entrambi molto radicati nel contesto veneto, propone in questo caso delle prospettive di complementarietà per una loro diversa attitudine nel porsi fra teoria e pratica: se entrambi sperimentano vie del tutto originali Fabbri lavora su casi applicati, come il caso noto della Centrale del latte, mentre IUAV prefigura sistemi a tutte le scale con molta libertà di spingere ipotesi anche a un livello utopico. Ma entrambi si cercano, per un motivo di reciproca necessità, d’informazione, certamente, ma credo soprattutto per la volontà di riconoscersi come limite reciproco del loro pensiero, limite non tanto come costrizione, quanto misura, altro da sé, curiosità, stimolo.

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Una mappa per idee colta e stimolante: eleganza grafica e lucidità di esposizione Dai racconti che ho ascoltato, avendo preteso di trovarmi in affinità elettiva con più di un passaggio, pur nella differenza di linguaggi e poetiche, direi che le questioni qui si stanno ponendo in termini che sono molto vicini a quanto io definisco proprio del progetto del paesaggio nel mio sul Paesaggio. Lettera aperta1. Sono rimasto molto colpito dall’eleganza della mostra, eleganza non solo formale, disegni che sono come un abaco di un nuovo ordine urbano alla scala della città regione, significanti nuove centralità e principi di orientamento, ma anche di pensiero: alla chiarezza e levità dei disegni, corrisponde puntuale un’eleganza argomentativa non comune, che si verifica quando si lavora con alle spalle una scuola. Fra gli undici non saprei chi scegliere né tanto meno saprei affrontare un gioco della torre. Messe in sequenza queste esperienze disegnano una mappa di indirizzi, ogni posizione in Gps racconta una sua storia diversa, opportunità virtuose di intervento che potrebbero mettere in tensione tutto il territorio, generando risposte, tutto il contrario di quanto a suo tempo ha fatto il PTRC2, ogni sorta di costoso quadro diagnostico e nessun indirizzo. Di quell’esperienza ricordo altri bellissimi disegni, ma ciechi, rappresentazioni analitiche perfette in un perfetto vuoto di idee e di responsabilità, la mappa del radicchio rimarrà nella mia memoria come un esemplare capolavoro in questo senso. Ora invece i vari temi si enunciano con riscontro nel tempo in un ben calibrato equilibrio fra risorse umane e materiali. Verso uno stato nascente Stiamo subendo una crisi che da economica e finanziaria è diventata istituzionale, investendo un po’ tutti i valori della nostra società. Ma mi sembra inconfutabile che sia la crisi del paesaggio una delle cause della crisi generale, e non viceversa. Ecco perché è importante rilevare come un po’ in tutto il Paese dei fermenti di reazione originali dimostrino una nuova capacità di rigenerare il paesaggio con azioni progettuali diverse da quelle consuete, enzimi che forse non configurano ancora uno stato nascente, ma sembrano promettenti. In questo senso il grande modello di Ve.Net allestito a Pieve di Soligo è un sintomo significativo in questa direzione, in cui la forza dietro l’eleganza dei segni è proprio nella ricchezza di approcci diversi, che sanno trovare un dialogo comune. E un altro modello che

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da tempo seguo con interesse è proprio in una serie di esperienze che caratterizza la Fondazione Fabbri su basi fortemente innovative, dove si coglie la costanza di un parallelismo fra quanto si sta muovendo come nuova capacità di impresa e quanto si muove come nuova capacità creativa nel progetto di paesaggio. Il paesaggio è una componente essenziale della nostra cultura che va meglio capita anche nelle sue implicazioni sociali e economiche, potenzialmente un pianeta poco conosciuto tutto da esplorare, molto oltre il capitolo pur importantissimo dei beni culturali del turismo. Fra disciplina e realtà, gli architetti e il paesaggio Qualche episodio di questo vostro approccio forse prescinde troppo dal fare i conti con i poteri con cui dovrebbe poi trovarsi a ragionare, ma questo è umano, sarebbe molto interessante che questa fosse la mappa di una politica di progetti sperimentali di nuova generazione, secondo me la battaglia che dovremmo fare è questa, l’unica che sarebbe a portata di mano: il problema sono le procedure e le pratiche più che le leggi. Io sono più che mai convinto che riguardo al paesaggio una formazione universitaria e una professione autonoma prima o poi si attueranno anche da noi, il mio parere è che il progetto debba esserne l’asse cardanico e che solo gli architetti possano guidare questo processo, purché lo capiscano e lo vogliano, mentre sulla scena al momento sono presenti e attivi solo agronomi, forestali, geografi, geologi, ingegneri…

Note 1 F. Zagari, sul Paesaggio. Lettera Aperta, Casa Editrice Libria, Melfi 2013 2 Si veda in proposito il PTRC (Piano paesaggistico Territoriale Regionale di Coordinamento) del 2007.

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Ve.Net , dettagli del plastico di studio

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ESPLORAZIONI PROGETTUALI E RICERCA Chiara Merlini

Anzitutto un breve cenno alla formula del workshop, come occasione per alimentare la ricerca. I modi sono ampiamente sperimentati: un procedere veloce, con domande iniziali che possono concedersi una certa vaghezza, un dialogo serrato e a più voci, un intreccio tra il discorso accademico e qualche testimonianza che arriva dal territorio, il coinvolgimento di qualche interlocutore privilegiato come osservatore e commentatore, la necessità di sintetizzare i risultati in pochi prodotti ben confezionati e rapidamente comunicabili… Si potrebbe dire che occasioni di questo tipo valorizzano il ruolo esplorativo del progetto. Per loro natura, non puntano tanto a produrre progetti “veri”, legittimati attraverso la consapevole considerazione di attori e risorse in campo. Piuttosto, essi esaltano la capacità immaginativa e la messa a fuoco, attraverso le ipotesi trasformative, di temi progettuali rilevanti; sollecitano “reazioni”, dal territorio come dai soggetti. L’esito che ci si può aspettare dunque non è tanto nei termini di un concreto trattamento delle questioni, ma di una loro ben argomentata perimetrazione, nella evidenziazione, per mezzo di una “messa in tentazione” del luogo (per usare i termini di Giancarlo De Carlo), della loro malleabilità e trattabilità, delle scale di relazione in gioco, del campo pertinente e delle differenti dimensioni della trasformazione implicate. Questi caratteri del progetto sono particolarmente rilevanti, a mio parere, là dove un nuovo fronte di riflessione deve essere aperto, dove il territorio che si progetta è ancora ampiamente ignoto, dove è appunto l’esplorazione progettuale a costituire una rilevante forma dell’indagine.

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Ampiamente studiato negli scorsi decenni, il Veneto è oggi un laboratorio in cui riflettere su nuove condizioni e nuovi intrecci tra territorio, economia e società. Ancora un territorio, come in passato, per molti aspetti paradigmatico. La sua storia esemplare – la lunga stagione della mobilitazione individuale e del pulviscolo insediativo e la successiva dispersione di grana più grossa, l’estensione e l’inerzia di lungo periodo della trama infrastrutturale, la dotazione diffusa di servizi, ecc. – evolve ora con nuovi temi, ancora in forme nette: un tessuto produttivo in particolare sofferenza, una criticità sul piano ambientale per la crescente impermeabilizzazione del suolo e per le condizioni di rischio idraulico, una emergenza sul piano energetico, e così via. Si tratta di una fase che, nel dibattito attuale, è sovente richiamata nei termini di una profonda rottura. Questo pone da un lato, ancora una volta, un problema di ordine descrittivo. La distanza dal passato è in quella inversione tra crescita edilizia e lento e multiforme processo di stagnazione o ritrazione: un processo che, per sua natura, è difficilmente mappabile, che non è più afferrabile neppure con la consueta oscillazione di uno sguardo che, quando ravvicinato, si scontra con l’opacità di spazi e manufatti, con la difficoltà di afferrare la loro vitalità, il loro essere cose che hanno ancora senso o il loro ridursi a oggetti muti. Le rinnovate operazioni di layering - nuove mappe dell’energia, delle acque, ecc., - forse non incorporano la potenzialità progettuale che in passato hanno avuto alcune rappresentazioni prototipiche della diffusione, come ad esempio quella della morfologia del costruito. All’altro estremo, le microstorie perimetrano problemi specifici ponendo ben in evidenza spazi e soggetti; certamente importanti, esse parlano però di una contingenza, raccontano frammenti. Il dubbio è che, nella condizione attuale – che forse particolarizza i comportamenti, le domande, gli immaginari - sia più difficile dire, per loro tramite, qualcosa di più generale. Se vi è una nuova difficoltà descrittiva vi è però anche, per contro, un deposito di riflessioni, interpretazioni, studi e progetti sul Veneto davvero cospicuo. I nuovi temi si danno entro un territorio per molti aspetti ben indagato e si possono appoggiare al sapere accumulato. In questo quadro quale contributo di ricerca riescono a dare le esplorazioni progettuali condotte in occasione di un workshop? In cosa si misura la fertilità di questo modo peculiare di costruzione del progetto e della attività di ricerca? Gli esercizi discussi a Pieve di Soligo sono, nei casi che mi sembrano più

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felici, utili riflessioni su una nuova visione del territorio e sul contributo che ad essa possono dare microtrasformazioni da accendere localmente. Così, ad esempio, là dove si studiano le nuove relazioni tra una trama pubblica e una trama agricola, in cui quel sistema di attrezzature del welfare diffuse sul territorio – il campo sportivo, la scuola, la chiesa e l’oratorio, ecc.- può integrarsi con una struttura agricola di fossi, acque, campi, filari che, per parti, ha già incorporato una domanda emergente di spazio pubblico. O, ad esempio, nelle riflessioni su come rivedere forme e modi dell’accessibilità allargata al territorio ripensando una integrazione tra mobilità su ferro e uso della bicicletta. La sensazione è che tali riflessioni diano forma a una visione del territorio Veneto che assume nuovi connotati, e questo è certamente rilevante. Tale visione è chiamata però, proprio per la natura del cambiamento che registriamo, a misurarsi anche con le condizioni concrete determinate da soggetti, risorse, saperi tecnici. La questione che ancora attende una risposta riguarda le modalità con le quali gli scenari trasformativi immaginati si confrontino, ad esempio, con una popolazione che invecchia, con esigenze di accessibilità ampia funzionali al sostegno ad una economia in crisi, con il contrarsi delle possibilità di mobilitazione individuale da parte delle famiglie, con il ridefinirsi delle relazioni tra soggetto pubblico e privato, con una drastica riduzione di risorse, con la varietà dei meccanismi che possono attivare modificazioni spaziali, e così via. Il territorio del Veneto, proprio grazie al fatto che è stato oggetto di ricerche importanti, richiede forse anche riflessioni progettuali più lente, specifiche e approfondite, che prendano sul serio questi aspetti, che accompagnino le visioni con una consapevole presa d’atto di quali siano gli ancoraggi locali, i vincoli e le prese possibili per una azione trasformativa che possa indicare trattamenti locali ma individuando, nello stesso tempo, qualche indirizzo di ordine più generale. La ricerca “Re-cycle” ha certamente bisogno di alimentarsi attraverso progetti; i risultati però saranno tanto più rilevanti quanto più riusciranno a misurarsi a fondo con i soggetti e con le concrete possibilità trasformative che i disegni evocano, o perlomeno a indicare quali prestazioni e requisiti i progetti dovranno avere per aspirare non tanto a dare soluzioni, ma a costruire i problemi con la necessaria profondità.

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RI-CICLARE SPAZI E FORME DELLA MOBILITÀ + +

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coordinamento: Lorenzo Fabian Ettore Donadoni Luca Velo + +

studenti: Giulia Caporello, Ruben Castegnaro, Laura Dalla PietĂ , Sara Galesso, Giorgia Mai, Giulia Pelosato, Giulia Poles aziende partner: Faggin Bikes Girolibero La Mente Comune

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strade bianche fra Vicenza e Schio foto E. Donadoni

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RI-CICLARE SPAZI E FORME DELLA MOBILITÀ* Lorenzo Fabian Ettore Donadoni Luca Velo

I territori della dispersione in Veneto oggi incrociano condizioni di crisi differenti: socio-economiche, ambientali, energetiche e culturali. L’incremento degli spostamenti ciclistici declina pratiche del quotidiano e del tempo libero che intercettano politiche, economie locali e tendenze in contesti tradizionalmente legati all’eccellenza nella produzione di biciclette. È interessante domandarsi quale idea di spazio urbano ne derivi, anche sul lungo periodo. Temi come le difficoltà crescenti nel reiterare forme tradizionali di sviluppo urbano, dettate da criticità economiche e di governo del territorio e la costante domanda di intermodalità potrebbero convergere in un’apertura verso un concreto cambiamento di paradigma in materia di spostamenti. Ne emerge la traccia per una ipotesi di ricerca dove la bicicletta non sia più solamente un mezzo di spostamento ma anche, e soprattutto, una lente di osservazione di alcuni fenomeni ed il possibile indicatore di processi nuovi con inevitabili ricadute spaziali. * Questo testo è frutto della collaborazione tra gli autori, tuttavia esso è stato redatto da Lorenzo Fabian per la parte introduttiva e i paragrafi 1 e 2, da Luca Velo per i paragrafi 3 e 5 e da Ettore Donadoni per il paragrafo 4

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Il reticolo di strate bianche e idrografia minuta

Le aree esondate e gli interventi previsti per la messa in sicurezza del territorio

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1. Riciclare le infrastrutture territoriali. Scenari e progetti dal rischio idrogeologico alle nuove forme della mobilità lungo il corso del fiume Bacchiglione Le drammatiche devastazioni causate dal rischio idrogeologico, cui è oggetto in questi anni il territorio Veneto, mettono in evidenza le profonde inefficienze e il degrado in cui versa un vasto e millenario deposito infrastrutturale di acqua e strade che nel tempo lungo ha rappresentato l’ossatura portante della Regione. Tali eventi, i cui effetti distruttivi ogni anno incidono in modo considerevole sul prodotto interno lordo, partecipano a rendere manifesta l’eclissi del paesaggio italiano1 e la crisi di un territorio allo sfacelo 2. Anche alla luce delle politiche europee in materia di cambiamento climatico e contenimento delle emissioni, questi aspetti avranno una forte influenza sui rapporti tra città e territorio, sulle possibili nuove politiche della mobilità, sui temi del welfare e sul progetto di riciclo inteso come progetto territoriale in grado di coinvolgere, contemporaneamente stili di vita maggiormente attenti alla salute pubblica e al risparmio energetico, alla qualità dello spazio entro cui muoversi, trascorrere il tempo libero, allocare ed usare risorse. Un recente finanziamento regionale del fondo sociale europeo per uno studio sulla mobilità ciclistica nel Veneto3 ha rappresentato l’occasione per proseguire le ricerche dell'Università IUAV di Venezia sul riciclo delle reti territoriali del nord est nell’ipotesi che le infrastrutture dell’acqua, del ferro e le reti capillari per la mobilità lenta possano essere le attrezzature dalle quale partire per avviare un processo di profonda revisione e ristrutturazione del territorio della città diffusa, con importanti conseguenze per i temi idraulici, energetici ed ambientali4. Scopo della ricerca è individuare con le imprese partner del progetto, processi, strategie, progetti e dispositivi capaci di costruire le condizioni per una consistente riduzione dell’uso dell’auto privata in favore della bicicletta in ambito metropolitano ed urbano contribuendo, così facendo, a costruire o consolidare le nuove forme di imprenditorialità nel campo della mobilità sostenibile e, contemporaneamente, a raggiungere gli obiettivi ambientali ed energetici che le politiche europee attendono. Nei territori compresi tra la ferrovia regionale Padova-Vicenza-Schio ed il corso del fiume Bacchiglione, già teatro dell’alluvione che ha colpito il Veneto nell’autunno del 2010, l’uso della bicicletta, se integrata al treno,

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stanze

Centri storici Edifici di rilevanza turistica Eventi e fiere

SCHIO

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Vendita e riparazione biciclette

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Albergabici

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VICENZA

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Geografie della ciclabilitĂ : spazi e ambiti del pendolarismo fra Venezia e Schio

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Geografie della ciclabilitĂ : spazi e ambiti del cicloturismo fra Venezia e Schio

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consente di esplorare uno scenario estremo, alternativo all’uso dell’auto di proprietà e ai paradigmi che hanno governato lo sviluppo regionale degli ultimi vent’anni. Tale ipotesi di radicale revisione degli stili di vita può contribuire alla creazione di nuove forme di urbanità che associano usi inediti degli spazi della collettività agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, agendo sulla dimensione fisica e percettiva dello spazio. Le esplorazioni progettuali che nelle pagine che seguono sono illustrati non trattano della costruzione di nuove infrastrutture. Esse indagano le possibilità di riciclo di un vasto e millenario deposito di reti, ossatura portante della regione, che oggi deve essere profondamente ripensato. Le linee di acqua, di ferro e di terra, partecipano alla realizzazione di un progetto di radicale revisione della mobilità che coinvolge gli antichi tessuti spugnosi delle acque e delle strade bianche, integrati con la ferrovia regionale in una grande infrastruttura che può essere ripensata a servizio della mobilità ciclabile. Una infrastruttura che il progetto immagina resiliente e diffusa, capace di assorbire e quindi adattarsi al progressivo esaurimento dei combustibili fossili e al moltiplicarsi delle linee di desiderio di una società sempre più complessa e articolata5. Un progetto che trova nelle strade minori il nuovo fronte della città diffusa e nella bicicletta il principale dispositivo della mobilità individuale. 2. La bicicletta: the new (old ) thing6 Ci sono molteplici ragioni per posizionare la bicicletta al centro di questo progetto. La prima fra queste ragioni risiede nella speciale relazione che lega indissolubilmente la bicicletta al Veneto, alla conciliante orografia delle sue pianure e, in fondo, anche alla storia della sua industrializzazione. La bicicletta ha da sempre stabilito un rapporto simbiotico con la terra veneta. Fino a tutto il dopoguerra è stata il principale strumento della mobilità individuale per il mondo operaio e le migliaia di lavoratori del petrolchimico di Marghera e del distretto del tessile di Valdagno. Dagli anni cinquanta è diventata rapidamente il prodotto raffinato dei numerosi artigiani, telaisti e progettisti di componentistica insediati fra Treviso, Padova e Vicenza. Negli anni settanta è stata il mezzo delle imprese sportive dei campioni che su queste Alpi hanno scritto la storia del ciclismo. Tutto questo denso deposito di esperienze, tradizioni e conoscenza, di cui si possono trovare ampie tracce nella letteratura e nel permanere delle

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MICHE

SELLE ITALIA

Bassano BATTAGLIN CICLI

SELLE SAN MARCO

PINARELLO WILIER TRIESTINA

Treviso BASSOBIKES SELLA PIPA

REGGISELLA COLLARINO REGGISELLA

MANUBRIO

LEVE FRENI PINZE FRENI

PINZE FRENI

NIPPLI

CERCHIO CAMERA D’ARIA

FORCELLA

TELAIO

Vicenza

CATENA

CAMPAGNOLO RAGGI

MOZZO CAMBIO FULCRUM

2. Filiera della bicicletta in Veneto.

COPERTONE

GUARNITURA NASTRO PARANIPPLI

MOVIMENTO CENTRALE

Venezia BILLATO

FAGGIN

BONIN Srl

Padova

SELLE SMP MOSER

OLYMPIA

BOTTECCHIA Srl

Aziende produttrici di biciclette o componenti in Veneto

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abitudini, contribuisce a mantenere ben alimentato in Veneto il mito della bicicletta7. Una riconcettualizzazione della mobilità che metta al centro del sistema la bicicletta e le sue pratiche non rappresenta solo un processo di forte valorizzazione del capitale sociale che in Veneto è depositato ma, più in generale, la possibilità di intendere la mobilità individuale come possibilità collettiva, alla portata di tutti e di tutte le tasche, seguendo un principio che sappia combinare i temi energetici, di equità e giustizia sociale8. Oggi, anche alla luce dell’aumento dei costi dei carburanti e di una nuova coscienza ambientale, la bicicletta sta vivendo in tutto il mondo una seconda giovinezza. Essa sta contribuendo, con le molteplici pratiche legate al suo uso, in tutta Italia e con una particolare insistenza in Veneto, alla creazione di inedite forme di spazialità urbana – ciclo-officine, ciclo-stazioni, spazi e attrezzature per il bike-sharing – nuove forme di aggregazione tra abitanti ma anche forme di imprenditorialità d’eccellenza nel campo delle forme più innovative di turismo e nella costruzione delle biciclette. Tali esperienze hanno dimostrato di poter contribuire alla costruzione di ‘capitale sociale’ e sviluppo economico intorno ai temi della sostenibilità ambientale, di affermazione “dal basso” del diritto alla mobilità individuale, operando anche entro i processi di policy making9. Autocostruzione, riciclo, eccellenza artigianale sono solo alcune delle possibili parole d’ordine che, attraverso le storie della bicicletta, ci raccontano di un possibile progetto per la città e il territorio capace di ridefinire il capitale fisso sociale, attivare spazialità urbane, valorizzare il paesaggio, indicando nel contempo, una nuova prospettiva per lo sviluppo economico della città diffusa. 3. La bicicletta e il Veneto: spazi, economie e storie I temi socio-economici relativi alla bicicletta, se osservati in Veneto, dimostrano una marcata densità di forme, di norme e di processi. Alcuni di questi hanno mantenuto caratteri di eccellenza nel corso dei decenni affidandosi simultaneamente alla tradizione e all’innovazione, sapendosi spingere in forme di artigianalità evoluta10, altri si sono imposti in modalità di cooperazione sociale ed imprese private totalmente inedite sia sul panorama nazionale che europeo. Sono aspetti interessanti da descrivere entro quadri di riferimento processuali e progettuali. Infatti il valore ag-

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MAX

Fig. 1 Max, impiegato, possiede una bicicletta dal design accattivante che si è fatto costruire su misura e secondo il suo gusto, scegliendo per essa ogni singolo componente. La porta con sĂŠ in qualunque momento della giornata: dentro casa, sul posto di lavoro, durante il suo tempo libero e lo svago. Max vorrebbe poter accedere facilmente agli spazi e ai mezzi dell’intermodalitĂ : collegamenti verticali adeguati ed eliminazione di barriere, banchine complanari e accesso ai vagoni ferroviari entro una logica di uso combinato della bicicletta e del treno che gli consenta di non separarsi mai dal proprio mezzo.

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giunto legato al settore della bicicletta, in senso generale, si attesta su come de facto essa sia un mezzo indissolubilmente legato al territorio e a quello veneto in particolare. La normativa regionale11 riconosce un vero e proprio distretto della bicicletta capace di insistere nella sua concentrazione produttiva sul territorio. L’area di competenza del distretto si estende a cavallo delle province di Treviso (area di Castelfranco Veneto e Loria), Vicenza (area di Rossano Veneto e Bassano del Grappa) e Padova (area di Piove di Sacco e Padova). Ciononostante il percorso di tutta la filiera è più vasto e include anche altre aree di produzione e di commercializzazione di accessori, anch’esse per lo più collocate tra il Veneto, la Lombardia e il Friuli. A riguardo, si stima un distretto complessivo di circa 130 imprese e circa 4000 addetti che producono un fatturato intorno agli 800 milioni di euro, approssimativamente il 25% del mercato nazionale e, secondo i trend, questi dati sono destinati a crescere12. Nella ricerca, alcune tra le aziende d’eccellenza e le associazioni legate al mondo della ciclabilità sono divenute partner del progetto. Essi hanno permesso di riattualizzare alcune figure della mobilità13 (il bike lover, il turista e il pendolare) attraverso importanti specifiche economie, esigenze ed istanze spaziali sul territorio. L’impresa a gestione familiare, Faggin Bikes di Padova, fin dai primi anni del secondo dopoguerra produce telai per bicicletta in acciaio “cuciti”, come abiti, sul corpo del ciclista. La narrazione di Max, convinto bike lover, che fa della propria bicicletta una personale estensione, mentale e fisica, nello spazio urbano, rientra tra le forme più contemporanee di fl neurie14 (vedi fig. 1). L’esperienza di Faggin non rappresenta certo un caso isolato. Accanto ad essa si possono riconoscere imprese di componentistica e progettazione, come Campagnolo con sede a Vicenza o Pinarello con sede a Treviso, i cui marchi sono conosciuti e ricercati in tutto il mondo. Si può dimostrare come esista un Made in Veneto nella produzione di biciclette, perché sono numerose le imprese di eccellenza che operano nel settore a tal punto che risulterebbe idealmente possibile costruire mezzi interamente realizzati a livello regionale.

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SABINE

SABINE

Fig. 2 Sabine, ciclista tedesca, noleggia una bicicletta presso un tour operator e parte per una vacanza alla ricerca di itinerari e ritmi alternativi a quelli disegnati dal turismo di massa: percorre distanze variabili, ma raggiunge sempre luoghi da poter esplorare in sella. Sabine attraversa forme antropiche ed ambienti naturali, in uno spazio compreso tra il fiume e la ferrovia. Il suo itinerario potrebbe essere costellato da piccoli punti di sosta o di riparo attrezzati, chiudendo la propria giornata pernottando in un cicloalbergo collocato all’interno di una stazione rifunzionalizzata o in un vecchio edificio riciclato.

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Il tour operator con sede a Vicenza, Girolibero, si occupa di fornire tutto il supporto tecnico e logistico, dal noleggio delle biciclette alla prenotazione alberghiera, per realizzare in tutta Europa “vacanze facili in bicicletta” ed il resoconto della giornata di Sabine, turista tedesca, fedele appassionata delle bellezze artistiche e paesaggistiche del Veneto, lo dimostra (fig. 2). Tale esperienza è rilevante se si considera che il turismo rappresenta il settore più dinamico e generatore di reddito e di occupazione dell’economia veneta pari all’8,2 per cento del PIL regionale15. Ma la forza sinergica delle diverse economie che legano la bicicletta al turismo si spinge anche in altri contesti settoriali. Ciclocollezionismo, eventi ludici e sportivi del mondo della bicicletta, in Veneto, godono di una certa tradizione storica e culturale e si collocano non unicamente nella dimensione professionistica ma anche dilettantistica e amatoriale, allungando le filiere in termini di popolarità e riconoscibilità fino ai contesti internazionali. Il Veneto ancora una volta si offre come un campo di indagine privilegiato dove competizioni sportive, cicloraduni ed eventi temporanei costellano il territorio costruendo un’orditura variegata e, numericamente, in costante crescita. Ciclostoriche come la Ottavio Bottecchia (Vittorio Veneto, Treviso), l’Artica o la Vacamora “circuito dei lanifici” (Lonigo e Schio, Vicenza), la Gardesana e l’Ardita (Verona) sono tra le più famose occasioni dove ogni anno, autentici appassionati, in sella a biciclette d’epoca o fedeli riproduzioni, attraversano lo spazio costiero, pianeggiante o montano del Veneto mobilitando flussi economici ed iniziative, prevalentemente dal basso, in cooperazione con le amministrazioni locali. “In sella sull’anello dei Colli Euganei” ad esempio è un evento che da anni fa dialogare oltre una ventina tra: Enti Parco, associazioni, gruppi, Comuni e proloco. Altre manifestazioni non competitive raccolgono numeri di adesioni particolarmente elevati. La SellaRonda Bike Day, un circuito di 58 km con 1.800 metri di dislivello tra i passi dolomitici, nel 2014 ha registrato presenze da record, sull’ordine dei 22.000 partecipanti. Alcune associazioni, come La Mente Comune di Padova, perseguono i principi dell’upcycling16. La sua ciclofficina, La Stazione delle biciclette, rigenera vecchi telai, recupera componentistiche, restituisce all’uso originario mezzi altrimenti destinati allo smaltimento in discarica ed infine immette in circolazione “bici da palo” che pendolari come Cristina, per motivi di studio o di lavoro, quotidianamente utilizzano (fig.3). Nell’area centrale

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CRISTINA

Fig. 3 Cristina, studentessa pendolare di medicina a Padova residente a Mestrino. Per spostarsi usa la bicicletta ed il treno nei propri tragitti casa-lavoro. Cristina si serve di biciclette “da palo” riciclate, poco costose, che possono essere lasciate un’intera giornata esposte alle intemperie. Cristina possiede due bici: una nella stazione di partenza e l’altra in quella di arrivo. In stazione avrebbe bisogno di stalli comodi dove legare la bicicletta, al suo arrivo in facoltà di posteggi e di attrezzature che le consentano di cambiarsi e rinfrescarsi.

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del Veneto il tema della pendolarità risulta particolarmente rilevante se si considera che ogni giorno si muovono, per motivi di studio o lavoro, circa 235.000 persone.17 Leggendo strumentalmente queste storie di biciclette, persone ed economie, si scorge come i sistemi lenti di percorrenza territoriale, strade bianche, circuiti regionali o europei, diventano supporti presenti e disponibili, sempre più tributari della capacità di intercettare flussi che investono conoscenza, capitale umano e risorse locali. Le stazioni, specie se intermedie, sono direttamente elementi chiave dell'attrattività e dell'efficacia di questo modo di spostarsi, laddove una costellazione di piccole ciclofficine, bicipark, esercizi commerciali specializzati, associazioni ed eventi temporanei gravitano in modo sinergico attorno ad abitudini ed interessi in costante crescita.

Le stazioni intermedie e la loro possibile rifunzionalizzazione, soprattutto in relazione all’asta ferroviaria complessiva, rivestono una cruciale importanza nel poter riattivare o rafforzare economie di agglomerazione e mobilitazione di sistemi locali e territoriali. Non casualmente infatti, nella nostra ipotesi, si associano simili iniziative agli interventi di natura emergenziale per la messa in sicurezza idrogeologica. In quest’ottica, un intervento idraulico o il rinnovamento di una stazione non diventano solo progetti ed investimenti, ma rispondono, in termini tecnici e di integrazione d’uso, a processi produttivi e normativi direttamente collegati ai temi della mobilità individuale in bicicletta.

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NUOVE FUNZIONI PUBBLICHE

biblioteca guardia medica asilo posta

INTERMODALITA’ CICLOFFICINA E PARCHEGGIO SMFR

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BIKESHARING

bici / treno TAXI

PEDONE

riparazione biciclette custodia e parcheggio

RISTORANTE

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bici / bus

MICROMERCI

CARSHARING

bici / taxi

INTERMODALITA’

accesso diretto bus/ bici / treno / taxi SMFR

MICROBUS

TAXI

PASSERELLA CICLOPEDONALE

SMFR

MICROBUS

TAXI

ATTESA

SMFR

MICROBUS

RISTORANTE

BAR

attesa infopoint wi-fi point RISTORANTE

MICROMERCI TAXI

RISTORANTE

BIKESHARING

sovrappasso pensilina di attesa

PEDONE

BIKESHARING

PEDONE

CARSHARING

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MICROMERCI

INTERMODALITA’

CARSHARING

accesso diretto bus/ bici / treno

FIG 10. “Upgrade” del piccolo nodo ferroviario diagramma dei dispositivi e delle nuove funzioni di supporto alla stazione Fonte: Ricerca Bike, Nuove Strade. L. Fabian (coord), E. Donadoni, L. Velo, Università Iuav di Venezia 2014

Azioni di sistemazione delle stazioni NUOVE STRADE A NORD EST

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BAR

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CARSHARING

BIKESHARING

PEDONE


Questi elementi costituiscono una traccia implicita per una o più possibili piste di ricerca. Nello specifico, questa riflessione, complessivamente, definisce il profondo bisogno di conoscenza che il territorio veneto esprime. Una conoscenza che richiede uno studio accurato e mai scontato, in grado di restituire un prodotto costituito di esplorazioni progettuali e scenari, atti a tenere insieme visioni ed istanze di matrice sistemica che non temono né la radicalità, né il tempo. Si riesce così probabilmente a colmare un vuoto culturale attraverso la formulazione di posizioni critiche e confronti atti a produrre metodi innovativi di intervento sia sul piano fisico che processuale.

4. Tra il Bacchiglione e la ferrovia: spazi e luoghi della nuova mobilità Le storie e le economie della bicicletta attraversano il paesaggio modificandolo, individuando possibili luoghi e modalità d’intervento, tracciando anche alcune ipotesi di lavoro per una revisione dello spazio collettivo. Dall’alta pianura asciutta alla bassa pianura umida, si riconosce una lunga sezione territoriale dove il Bacchiglione e la ferrovia si muovono parallelamente, stabilendo fra loro relazioni molto differenti: se il fiume raggiunge la ferrovia fino quasi a toccarla a Padova, a Vicenza e a Schio, nei recapiti intermedi della linea ferrata, le due infrastrutture si discostano dai centri, definendo ambiti di maggiore articolazione. Le stazioni ricoprono un ruolo cardine nella revisione degli spazi della mobilità: nei casi dove esse si collocano all’interno del tessuto urbano, come nei centri maggiori, gli edifici ferroviari sono già stati investiti da processi di rifunzionalizzazione che integrano maggiormente la stazioni con l’immediato contesto. Laddove invece la stazione risulti eccentrica rispetto al tessuto urbano le esplorazioni progettuali verificano l’occasione di un riciclo del manufatto per ospitare attività legate alla manutenzione della bicicletta come le ciclofficine, oppure per l’introduzione di servizi pubblici o attività legate al tempo libero. Localizzate fuori dall’edificio sono immaginate le nuove funzioni strettamente legate al funzionamento del servizio ferroviario e i dispositivi fisici come passerelle o piccoli ponti specialmente dedicati al ciclista pendolare, che possono facilitare l’intermodalità, permettendo il superamento della linea ferroviaria e ricostruendo i tessuti minori che l’infrastruttura aveva sezionato.

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Linee guida #1, shared space e rete stradale

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Negli ambiti compresi entro una distanza di circa tre chilometri dalle stazioni, dove già oggi risiede più del 54% della popolazione è possibile immaginare la realizzazione di uno spazio NoAuto18. In essi saranno compresenti le forme alternative di spostamento rispetto all’uso dell’automobile di proprietà: shared spaces per la pedonalità e la ciclabilità pendolare e turistica, integrati a linee di trasporto pubblico che lungo il tracciato che va dalla stazione al fiume (pendolo) riconnettono i principali nuclei urbani. Questo tracciato attraversa ambiti di natura differente: spazi pubblici di matrice più urbana, luoghi per ospitare eventi collettivi temporanei, attrezzature sportive, emergenze ambientali e artistiche, ecc. Tali trasformazioni dello spazio urbano sono ipotizzabili, in particolare, attraverso la revisione di un modello ormai consolidato in alcune regioni del Nord Europa, ossia il woonerf e attraverso alcune tecniche di traffic calming19, in modo da potersi riappropriare di un suolo ora quasi totalmente dedicato alle automobili. Procedendo da sud verso nord, la sezione territoriale intercetta ambiti geografici differenti: la vasta pianura asciutta compresa fra i capoluoghi di Padova e Vicenza, caratterizzata ad est dalle maglie regolari della centuria patavina, ad ovest, dall’alveo del Bacchiglione, laddove nel progetto esso può assumere l’aspetto di un grande connettore della naturalità e del tempo libero, con una naturale vocazione alla mobilità ciclabile. Contemporaneamente, il fiume qui si trasforma, per pochi giorni all’anno, in infrastruttura del rischio e possibile devastazione: è questo infatti il territorio dove, nel 2010, ettari di suolo sono stati maggiormente colpiti dall’esondazione del Bacchiglione. Qui il progetto si struttura lungo uno spazio “anfibio”, dotato di una geografia mutevole e resiliente che dipende dal corso d’acqua e che ospita attività o abitazioni. Entro questo spazio si riconoscono una successione di ambienti differenti: aree umide, boschi, campi coltivati, prati permanenti, spiagge temporanee, alternati da interventi per la messa in sicurezza idrologica del territorio. Nello spazio anfibio, le aree per gli allagamenti programmati possono diventare, per esempio, parchi dotati di attrezzature leggere per la sosta e il riparo. Questa fascia, di spessore variabile, si relaziona in differenti modi con il pendolo che conduce alla stazione. Riconoscere e classificare questi approdi significa individuare i tanti potenziali luoghi attrezzati per favorire le diffuse pratiche di utilizzo del fiume.

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Linee guida #2, La rete idrografica e delle strade bienache

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Lo spazio anfibio è qui riconcettualizzato come un dispositivo che integra entro una stessa infrastruttura forme alternative di mobilità, spazi per il tempo libero e il turismo, dispositivi diffusi per il controllo delle piene. Più a nord, fra Vicenza e Schio, la ferrovia attraversa una larga valle circondata da catene montuose e il tratto ferroviario copre un dislivello di circa duecento metri. Il suolo di natura alluvionale è caratterizzato da una lieve pendenza costante, che corre perpendicolarmente alla tratta e che tuttavia non costituisce un fattore capace di inibire la percorrenza ciclabile. In questa ampia vallata, la rete idrografica principale si costituisce di corsi d’acqua relativamente piccoli, di carattere torrentizio senza una particolare distinzione gerarchica. Questa struttura territoriale è attraversata da una fitta e pervasiva rete di strade bianche e di corsi d’acqua minori. Questo ricco deposito di strade campestri e acque costituisce un supporto alternativo e, per certi versi, anche più efficiente rispetto alla maglia stradale, capace di offrire allo stesso tempo una diversa percezione del paesaggio. Tale rete può riconnettere entro una stessa cornice di senso i percorsi ciclo-pedonali, i parchi e le tante cave di prestito qui presenti, dismesse e convertite in luoghi per la laminazione delle piene e il tempo libero20. Le azioni progettuali da intraprendere per favorire l’utilizzo di questa rete pervasiva, dal punto di vista ciclopedonale sono di natura puntuale. Esse consistono nell’individuazione dei punti di discontinuità della rete cercando di ricucirli; nella proposizione di capisaldi riconoscibili all’interno della trama isotropa, capaci di orientare la fruibilità di queste strade; nella realizzazione di microattrezzature per la sosta, il ristoro e l’assistenza tecnica, e nell’introduzione di nuove piccole attività commerciali localizzate prevalentemente nei luoghi con maggiore intensità di frequentazione. L’intento è quello di attivare una rete potenziale agendo puntualmente, nella consapevolezza che il supporto fisico per la realizzazione di una fitta trama di spazi collettivi già esiste sul territorio.

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PADOVA

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tot (saliti+discesi) treni fermati

Un complesso intreccio di relazioni Le geografie dei luoghi che per diversi motivi si possono legare all'utilizzo della bicicletta disegnano un complesso intreccio di relazioni in cui sono riconoscibili storie di persone e di aziende che hanno costruito intorno alla bicicletta importanti attivitĂ economiche.

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3km stazioni ferroviarie aree produttive

Centri storici

Noleggio biciclette Vendita e riparazione biciclette

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stanze Albergabici

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5. Nuove Strade: verso un programma di ricerca La ricerca fino ad oggi condotta ha operato alla luce di un’agenda di azioni condivise a più mani, volta ad allontanare il pericolo di usare slogan che omologhino contesti e, nel contempo, tesa a non ricadere in luoghi comuni costituiti da best practices e progetti manualistici. Si è cercato di mettere in luce il fatto che la costruzione di uno “spazio della bicicletta” non sia solo una gestazione tecnica e burocratica, fatta di elementi e norme in nome della specializzazione. L’immagine progettuale rientra nella capacità di andare oltre assetti definitori, sfociando in visioni di territorio più complesse in grado di tenere insieme anche alcune forme di conflitto ambientale che il territorio veneto inevitabilmente ha registrato negli ultimi anni. I temi quindi hanno imposto questioni metodologiche. Si sono evidenziate alcune azioni come prioritarie nell’attività di ricerca: dagli approfondimenti sulle politiche europee e locali in materia di ciclabilità, alla costruzione di mappe comparative per illustrare i meccanismi territoriali che coinvolgono la bicicletta e le questioni spaziali, tecnologiche ed economiche che girano intorno ad essa. Sono prevalse alcune posizioni critiche rispetto le ormai consolidate questioni legate alla ciclabilità. Si è cercato di trascendere le retoriche riferite unicamente ai temi della sicurezza stradale e alla promozione turistica dei percorsi ciclistici. Si sono evitati gli atteggiamenti che riflettono ancora una volta visioni autocentriche e transitorie. Interviste e sopralluoghi si sono svolti direttamente sul campo. Buona parte del materiale prodotto ed un questionario on line sono confluiti all’interno di un un blog21, al fine di dare massima apertura alle informazioni ed allo scambio, in seno ad un tema della disciplina urbanistica, ossia quello relativo alla costruzione di uno spazio per la bicicletta, ancora in larga misura da esplorare.

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Note 1 L. Benevolo, Il tracollo dell’urbanistica italiana, Saggi Tascabili Laterza, Roma, 2012. 2 B. Secchi, per un'agenda urbana territoriale, in Antonio G. Calafati (a cura di) Città tra sviluppo e declino, Un’agenda urbana per l’Italia, Donzelli Editore, Roma, p.5. 3 Ricerca Bike. Nuove Strade: Università Iuav di Venezia, Dipartimento di Culture de Progetto, L. Fabian (coord.), E. Donadoni, L. Velo con gli studenti della Laura Magistrale in Architetture del Progetto: G. Caporello, S. Galesso, R. Castegnaro, L. Dalla Pietà, G. Mai, G. Pelosato, G. Poles. La ricerca è cofinanziata dal Fondo Sociale Europeo, nell’ambito del programma operativo 20072013 della Regione Veneto. Progetti: BIKE. La mobilità urbana dopo il picco del petrolio; TURISMO, TERRITORIO, RICICLO: riciclo di reti ferroviarie e infrastrutturali dismesse e di fabbricati abbandonati a favore dello sviluppo di itinerari turistici a percorrenza “lenta” nell’area veneta. 4 Le ricerche sulle infrastrutture dell’acqua e della mobilità nell’area centrale del Veneto sono iniziate con la ricerca Water and Asphalt, the project of isotrophy, coordinata da Bernardo Secchi e Paola Viganò in occasione della Biennale di Venezia del 2006; sono proseguite con la ricerca On mobility, coordinata da Bernardo Secchi e Paola Viganò (2007); con la ricerca Extreme City (2010) coordinata da Paola Viganò e Lorenzo Fabian; con la ricerca Energie et Recyclage (2013), coordinata da Paola Viganò e finanziata dal programma di ricerca IGNIS Mutat Res commissionato dalla Repubblica Francese e proseguono oggi, fra l’altro, con le ricerche sulle infrastrutture ferroviarie metropolitane e con le ricerche Bike, Nuove Strade (2014), coordinata da Lorenzo Fabian, sulla mobilità ciclistica. 5 B. Secchi, Fisiognomica della domanda, in A. Clementi (a cura di), Infrastrutture e progetti di territorio, Palombi, Roma 1999. 6 Il titolo del paragrafo fa riferimento a: L.A. Vivanco, Reconsidering the Bicycle. An Anthropological Perspective on a New (Old) Thing, Routledge, New York, 2013. 7 M. Augé, Il bello della bicicletta (2008),

trad. it. Bollati Borgherini ed., Torino, 2009. 8 I. Illich, Elogio della bicicletta (1974), trad. it. Bollati Borgherini ed., Torino, 2006. 9 P. Bozzuto e L. Fabian, Per una possibile “urbanistica della bicicletta” (Towards a possible town planning for the bicycle), in Territorio, n. 69/2014. 10 S. Micelli, Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, Marsilio, Padova, 2010. 11 Leggi Regione Veneto in materia di Distretti Produttivi L.R. n.8 del 4 aprile 2003, L.R. n. 5 del 16 marzo 2006 e L.R. n.13/2014. 12 R. Chahinian, Il distretto produttivo della bicicletta, in Notizie sull’Economia, Rubrica il Punto, Camera di Commercio di Treviso, 2013. 13 G. Martinotti, Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna, 1993. 14 G. Nuvolati, Le figure della mobilit , la percezione del paesaggio e l’interpretazione del genius loci, in A. Magnier, M. Morandi (a cura di), Paesaggi in mutamento. L’approccio paesaggistico alla trasformazione della città europea, Franco Angeli, Roma 2013. 15 http://statistica.regione.veneto.it/Pubblicazioni/RapportoStatistico2013/Capitolo2. html. 16 A. Fiocco, Scrap Story, luoghi dove crescono idee, Il becco giallo ed., Cierre Grafica, Sommacampagna, Verona, 2013. 17 L. Fabian, Nuove strade a Nord-est. Scenari e progetti per le infrastrutture della mobilità nella città diffusa, in Antonio G. Calafati (a cura di) Città tra sviluppo e declino, Un’agenda urbana per l’Italia, Donzelli Editore, Roma, p.277. 18 Alcune ricerche sviluppate ormai da anni all’interno dello IUAV si stanno interrogando sulla costruzione di uno scenario No-auto, di consistente riduzione dell’uso dell’automobile di proprietà in favore di altre forme di mobilità. 19 W. Lofvers, Het woonerf leeft/ The woonerf today, NAI Publishers, Rotterdam, 2010. 20 N. Leotta, Approcci visuali di turismo urbano, il tempo del viaggio, il tempo dello sguardo, Hoepli, Milano, 2005 21 http://www.bikenuovestrade.it

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L'OSTIGLIA FRA LO ZERO E IL DESE

coordinamento: Luigi Latini Giuseppe Caldarola Flavia Pastò studenti: Gianmarco Cisotto, Eleonora Dal Bo, Cristina Di Paola, Luca Mancin, Sabina Noro azienda partner: La Quercia R.E.M. S.r.l.

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La stazione abbandonata di Badoere lungo la ferrovia dismessa

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L'OSTIGLIA FRA LO ZERO E IL DESE Flavia Pastò

Ostiglia: un segno unitario territoriale scomparso A ridosso della Prima Guerra Mondiale nel territorio veneto viene costruita una linea ferroviaria lunga 116 km che collega le città di Treviso e Ostiglia, permettendo il trasporto di mezzi, uomini e armamenti. Disegnata quasi a tavolino, senza alcuna cura dei luoghi su cui si andava a inserire, è rimasta in funzione fino al secondo dopoguerra, finché, anche a causa dei pesanti bombardamenti subiti (di cui rimangono ancora indelebili tracce nel terreno), non fu più riattivata. Inizia così un lento declino che porta alla dismissione totale verso la fine degli anni ’80 di tutto il tracciato ferroviario, compresi i manufatti ad essa collegati. Negli ultimi decenni è stato messo in atto un processo di riconversione non organico di questa infrastruttura abbandonata, la più lunga d’Italia, con l’intenzione di trasformarla in una pista ciclo-pedonale che collega le diverse provincie e i trenta comuni interessati dal suo passaggio. Si tratta dei comuni di Treviso, Quinto di Treviso e Morgano (nella provincia di Treviso), Trebaseleghe, Piombino Dese, Loreggia, Camposampiero, Santa Giustina in Colle, San Giorgio delle Pertiche, Campo San Martino, Curtarolo, Piazzola sul Brenta, Campodoro (nella provincia di Padova), Grisignano di Zocco, Montegalda,

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Montegaldella, Castegnero, Nanto, Mossano, Barbarano Vicentino, Villaga, Sossano, Orgiano (Vicenza), Cologna Veneta, Pressana, Minerbe, Legnago, Cerea, Casaleone (Verona) e infine Ostiglia (nella provincia di Mantova).Grazie a petizioni, proteste e finanziamenti, nel 2011 il desiderio di dare nuova vita a questa strada ha finalmente cominciato a prendere con-

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sistenza nelle province di Treviso e Padova. Oggi è praticamente ultimata da Treviso (zona aeroporto) fino a Grisignano di Zocco (Vi), passando per Campodoro (Padova), per un totale di 55 km, ma manca il completamento della seconda parte, quella in provincia di Vicenza, Verona e Mantova. Il tratto da Treviso alla stazione di Levada (Piombino Dese) è stato il primo

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Mappa storica, Von Zach, 1805

Mappa I.G.M. ,1966

Corografia del tronco Grisignano di Zocco-Treviso

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ad essere completato con la posa del ponte “Cervara” sul Sile nell’agosto 2011; la pista è sterrata ma per lo più su fondo pedalabile e senza bisogno di particolari bici o mountain bike estreme. Un secondo tratto, da Levada a Camposampiero e San Giorgio delle Pertiche (in provincia di Padova), è stato inaugurato nell’ottobre 2012, poi nel corso del 2013 la pista è stata via via prolungata fino al comune di Campodoro, l’ultimo della provincia di Padova, prima di passare in quella di Vicenza, il cui tratto è stato ultimato nell’autunno del 2014. Il tratto padovano e vicentino, a differenza di quello trevigiano, è su sede asfaltata, eccetto gli ultimi chilometri a Pojana (frazione di Grisignano di Zocco), dove per il momento hanno steso del ghiaino. Tutto il progetto è stato quindi realizzato a piccoli step e senza un programma unitario, seppure spinto da buone intenzioni e in un’ottica di sviluppo territoriale virtuoso, legato al riuso e alla creazione di nuove occasioni turistiche. Oggi, attraversando la campagna veneta, si possono trovare solo poche reminiscenze di questa infrastruttura abbandonata, che si presenta come una intrusa in un paesaggio dalle chiare connotazioni agricole. E’ distinguibile nella sua interezza solamente dalle viste zenitali, come un segno netto che taglia il paesaggio, senza alcuna logica di inserimento nel reticolo della centuriazione romana che divide le diverse coltivazioni, come una formazione naturalistica, un lungo corridoio incustodito, inghiottito dalla vegetazione che è cresciuta fino ad oscurane la vista.

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Strategie progettuali nel tratto preso a campione

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La ferrovia come generatore di sistemi paesaggistici La ferrovia abbandonata trafigge il territorio in cui si è insediata: l’orditura dei fiumi che danno sostentamento alle colture, la parcellizzazione storica dei campi, la loro netta distinzione dai centri abitati e il sistema delle ville storiche e dei mulini ancora funzionanti. Le poche tracce leggibili del suo passato riaffiorano di tanto in tanto lungo il tragitto: stazioni passeggeri abbandonate, case cantoniere, caselli, pezzi di banchine in pietra, massicciate ancora presenti che si confondono nella vegetazione e che rimangono come monito di quello che un tempo questa infrastruttura rappresentava. Che fare oggi di questa strada abbandonata, di questa massicciata percepibile nella sua interezza solamente percorrendola dall’interno? Quale destino per questa infrastruttura dimenticata? L’Ostiglia si presenta come una spina dorsale, come un segno che potrebbe arricchire e qualificare il paesaggio della pianura, proprio in virtù della sua “alterità” rispetto alle regole e all’immagine dei luoghi nei quali s’insedia e che attraversa, ma è anche un percorso sommitale nascosto dalla vegetazione, che separa e divide il territorio fisicamente e visualmente. E’ possibile quindi considerarla come caposaldo di una strategia paesaggistica che fa leva sulla qualità dei margini, sulla connettività degli ambiti e dei luoghi di valore paesaggistico che si snodano attorno ad essa? Potrebbe essere la base di un sistema di regole che interessano alcuni dei fattori imprescindibili di ciò che riconosciamo come qualità paesaggistica, di tutto ciò che costituisce un fattore di percezione e di visuale dei contesti? E, viceversa, cosa succederebbe se questa colonna portante venisse a mancare, se sparisse per lasciare nuovamente spazio al sistema capillare dei percorsi, dei filamenti di vegetazione, dei coltivi e delle acque? E’ dunque possibile pensare ed immaginare un nuovo paesaggio, dove la figura tangibile che qualificava il territorio non c’è più? Sono queste le domande da cui siamo partiti durante il workshop, confrontandoci con i temi che accomunano e caratterizzano tutta l’unità di ricerca Re-Cycle Italy, ovvero Territorio, Turismo e Riciclo, e che corrispondono alle parole chiave del progetto Ve.Net. Un complesso progetto avente come scopo comune quello di proporre una fitta rete fisica di frequentazione turistica del territorio veneto e strategie progettuali comuni, all’interno del quale appunto si collocano i nostri ragionamenti riguardanti la ferrovia Treviso-Ostiglia, un corpo estraneo abbandonato in un paesaggio storicamente costruito. Durante i ripetuti sopralluoghi si è potuto constatare come questo lungo nastro, in parte di

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Punti

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asfalto in parte di terra battuta, presenti condizioni ricorrenti dal punto di vista delle caratteristiche del paesaggio che attraversa, delle relazioni che innesca con il territorio circostante, dell’interferenza con il sistema idrografico, e della percezione dell’intorno che si ha percorrendolo. Abbiamo perciò selezionato un segmento del tracciato, un tratto corrispondente ad un frammento significativo del paesaggio, compreso tra due fiumi, Zero e Dese, che presenta scenari facilmente ritrovabili lungo l’intera tratta. A partire da questa scelta sono state fatte considerazioni di utilizzo futuro di questa infrastruttura, con una accezione legata al recupero della qualità territoriale che distingueva questo paesaggio prima della sua introduzione forzata, in un’ottica di sviluppo turistico slegato al semplice riuso monofunzionale del sedime ferroviario inteso come ambito omogeneo (strada ciclabile, pedonale, tematica, ecc.). Sguardo ravvicinato: punti, linee, margini, piani e volumi Nel territorio questa strada ferrata appare come una linea tesa, caposaldo di un fitto sistema di reti e nodi cruciali, utili sia al turista o al ciclista che si appresta a percorrerla, sia alle attività agricole o di vendita che si attestano lungo il suo tragitto. Il paesaggio che questa spina dorsale segna può essere letto come insieme coerente di punti, linee, piani, volumi e margini che di volta in volta al suo passaggio si interrompono, lo attraversano, lo superano o lo seguono. Il disegno che si viene a creare è quello di un territorio articolato in una sequenza di stanze che si affacciano sulla ferrovia abbandonata, svelando di volta in volta sguardi diversi, giardini e campi coltivati, percorsi apparentemente interrotti dalla ferrovia, ma che in realtà possono riconnettersi e superarla, creando così una struttura compatta che pervade l’ambiente intero. In questo modo di guardare il paesaggio dell’Ostiglia, i punti rappresentano le entità singole che si incontrano lungo la strada: manufatti abitati, abbandonati o in condizioni di rudere legati all’attività ferroviaria quali stazioni passeggeri, depositi, caselli, magazzini merci, fabbricati viaggiatori, case cantoniere. Ma sono connessi anche a tutto il sistema di presenze architettoniche di pregio, come ad esempio villa Marcello, i mulini ancora funzionanti, i piccoli borghi percepibili in forma unitaria come Badoere. Alcuni di questi elementi puntuali si trovano direttamente a ridosso della ferrovia, altri invece leggermente defilati o addirittura staccati e non sempre ben collegati visivamente e fisicamente ad essa. Le linee, invece, sono le strade e le loro ramificazioni, come i

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collegamenti che accompagnano il territorio agricolo alle zone abitate, estese all’interno di un paesaggio e che, di fatto, la ferrovia spezza e ne sfrangia i margini. Sono considerati linee anche i segni della viabilità interpoderale, la fitta trama di percorsi che caratterizzano gli appezzamenti agricoli locali, i trosi, ovvero i sentieri battuti un tempo dai contadini per recarsi ai punti di aggregazione e i caresoni, cioè le stradine sterrate dove gli stessi transitavano con carri e attrezzi agricoli. E ovviamente i ponti che permettono alla ferrovia di attraversare i fiumi che scorrono obliqui rispetto ad essa, ovvero lo Zero e il Dese, e che attraversano l’intero territorio agricolo, alimentando con le loro acque il sistema agricolo dell’entroterra. Nati insieme alla Treviso-Ostiglia, e in buona parte ricostruiti dopo la guerra, questi ponti rappresentano oggi le uniche strutture che permettono al ciclista, al turista e a chiunque benefici di questi luoghi, di poter percorrere senza interruzioni tutta la lunga pista ciclabile. La percezione progressiva del paesaggio da una posizione in quota permette, inoltre, di godere della vista del paesaggio fluviale e agricolo che la circonda, e di sperimentare questo spazio come una sequenza di scene che costituiscono un dato caratterizzante della forma del territorio veneto. Tutto questo

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complesso insieme di linee oggi si può immaginare come un sistema che si articola partendo proprio dalla ferrovia stessa, per creare una struttura unitaria che permea il territorio circostante. Quest’ultimo appare quindi come disegnato dalla configurazione delle parcellizzazioni agricole che lo occupano: campi di mais, frumento e altri cereali, la cui forma geometrica risulta spezzata dalla presenza dell’argine della ferrovia. I volumi che possiamo osservare sono costituiti invece dalle trame vegetali individuano in forma diversa diversi “piani”. Segnano i confini tra gli appezzamenti agricoli, e, andando a calcare sul piano le divisioni geometriche del cardo e del decumano, individuano le diverse relazioni tra i percorsi e le “stanze” che si vengono a creare ai lati della stessa, e restituiscono così una sorta di quadro di riferimento spaziale. L’insieme di tutti questi elementi genera quindi un “nuovo” paesaggio dell’Ostiglia, considerato nella sua interezza, e comprendente il suo territorio di appartenenza, caposaldo di una strategia paesaggistica che fa leva su alcune questioni decisive: la qualità dei margini e la connettività degli ambiti e dei luoghi di valore paesaggistico che si snodano attorno alla linea ferroviaria. Le proposte emerse permetterebbero, grazie a un progetto di manutenzione e ad un corretto rapporto tra le diverse proprietà e le aree di pertinenza della ferrovia, di fornire al turista e agli abitanti nuove esperienze legate anche alla cultura del paesaggio agrario e urbano del veneto. Il turismo diventa un pretesto per migliorare il territorio e mantenerne attiva la memoria storica, proponendo un’esperienza percettiva del paesaggio precisa e coinvolgente. Il percorso ciclabile in quota fornisce al fruitore una visione dello spazio che varia a seconda dei punti di vista: l’altezza dello sguardo suscita conoscenza e suggestioni differenti lungo il tragitto, a seconda del mezzo con cui si percorre la pista (bicicletta o a piedi), generando di conseguenza rapporti diversi con i piani, i punti, le linee, i volumi e modificandone le visuali. Anche nel momento dell’attraversamento a “raso” del territorio esplorato, o del transito in quota sui fiumi, il paesaggio continua a offrire scorci e scenari differenti, soprattutto se vissuto nell’arco delle stagioni, durante le quali possiamo ammirare le diverse colorazioni del fogliame e i molteplici aspetti della vegetazione presente.

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La ferrovia dismessa come progetto di cura del paesaggio Il paesaggio va inteso come bene culturale e risorsa: il valore di un bene “non una propriet fissa e inerente delle cose. piuttosto una propriet variabile la cui grandezza non dipende solo dalla natura della cosa in s , ma anche da chi la valuta e dalle circostanze in cui valutata” (Archibugi, 2001), e come tale va quindi curato e mantenuto. Per permettere al turista e al comune cittadino di riconosce e vivere il paesaggio attorno all’Ostiglia è necessario mettere in atto strategie volte alla cura di questo territorio. Si tratta perciò di fare un esercizio di riappropriazione del territorio, immaginando per un attimo di togliere questo relitto invisibile, questo filo teso che collega i fiumi Sile e Po, e ragionare sulla qualità del territorio agricolo di appartenenza, cercando di capirne il funzionamento in un ottica di qualità paesaggistica. Una volta entrati nella percezione unitaria del sistema dei

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campi, degli orti, delle trame vegetali e di tutti i soggetti attori di questa natura, solo allora sarà possibile reintrodurre l’Ostiglia come caposaldo di un sistema ben più complesso, come motore per una nuova mobilità e per una nuova fruizione del territorio , come elemento riconoscibile al pari degli altri già presenti. Esso, infatti, rappresenta un’enorme opportunità sia in termini di qualità naturalistica, sia di attrazione turistica e area verde destinata ai cittadini. Per mantenerlo tale, però, occorre immaginare questo brano di paesaggio come un “giardino”, che necessita di azioni e lavori costanti, e proprio in questa ottica sono emerse alcune indicazioni per una corretta trasformazione e cura di questo paesaggio. Far proprie le tecniche base di potatura degli alberi, di manutenzione degli arbusti e delle piante infestanti che ricoprono la ferrovia dismessa e che la chiudono come un corridoio verde impenetrabile, consolidarne gli argini e le scarpate che ne disegnano le sezioni caratterizzanti, trasformare i manufatti idraulici, presenti sotto la massicciata ferroviaria, in corridoi ecologici per rane e rospi, realizzando così nuove vie di spostamento per numerose tipologie di animali che vivono nel paesaggio Veneto, caratterizzato da una massiccia presenza di terreni agricoli: sono solo alcune delle azioni da mettere in atto per una corretta gestione di questa complessa struttura. Un progetto generale che permetta il recupero non solo dell’infrastruttura dismessa, ma anche e soprattutto dell’ ambiente nel quale si è introdotta modificando tutta una serie di relazioni e sistemi naturali, come per esempio il mantenimento della biodiversità della vegetazione locale, ma anche proponendo nuove opere progettuali, come per esempio l’inserimento di una segnaletica comune per tutto il tratto della pista ciclabile e per tutto il territorio interno, indicando con precisione i gestori della pista, le progressive chilometriche, i manufatti e le presenze di interesse artistico-storico e architettonico nella zona, le diverse proprietà agricole, e le strade per raggiungerle. O la modifica di alcune visuali lungo la tratta, aprendo dei varchi nella fitta vegetazione che mura il sedime ciclabile e incanalando la vista a seconda di ciò che si presenta nel territorio. Il paesaggio, infatti, viene percepito in modalità differenti, legate al movimento e allo sguardo, pertanto il mezzo con cui il soggetto percorre un preciso paesaggio determina non solo la velocità di movimento del fruitore, ma, soprattutto, la dinamica di osservazione dell’ambiente intorno ad esso. La tratta Treviso-Ostiglia è stata caratterizzata per decenni dall’uso del treno e di conseguenza la visione del territorio su cui si snodavano i binari

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Relazioni con il territorio

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non interessava i passeggeri, poiché si trattava di una percezione molto veloce e distratta, pertanto non particolarmente degna di attrazione. Oggi, invece, la trasformazione di questa strada ferrata in una pista ciclabile, attira soggetti più sensibili a ciò che li circonda, permettendo un’esperienza visiva del paesaggio circostante più lenta, più precisa e pertanto più coinvolgente. L’apertura di queste finestre vegetali, pertanto, dovrà essere grande abbastanza da permettere al ciclista, che si sta muovendo ad una velocità diversa dal pedone, di vedere e trarre giovamento dalla vista, essendo la velocità di movimento direttamente proporzionale alla velocità di sguardo. L’alternanza di scorci e paesaggi differenti, la presenza di stanze vegetali, coltivi differenti, percorsi di diverse ampiezze e pavimentazioni, la cura della vegetazione, aggiungono valore ad territorio che, diversamente, sarebbe privo di una propria identità paesaggistica. Concentrandosi solamente nell’elemento pista ciclabile, l’ambiente che gli orbita attorno perderebbe credibilità: occorre ragionare con una strategia di manutenzione completa che si faccia carico di tutto il territorio e non solamente dell’infrastruttura Ostiglia. Coltivare il suolo come motore di sviluppo paesaggistico, ma anche turistico rappresenterebbe un importante risultato non solamente a livello locale: se non curiamo la nostra terra, come possiamo minimamente pensare di attrarre un turista? Quale tipo di offerta possiamo dare? E con quale qualità paesaggistica? Il ventaglio di “tratte turistiche” che negli ultimi anni vengono proposte per promuovere il territorio veneto ricadono quasi tutte nell’ottica di una tipologia di turismo enogastronomico, basato sulla produzione e vendita di prodotti tipici locali. Le “strade del radicchio” o i “percorsi del prosecco” non permettono al turista di riconoscere l’autenticità delle nostre terre: le agenzie di viaggi hanno trasformato la natura in “prodotto” (cfr. M. Augè), presentando luoghi “buoni” al posto di luoghi “belli” e questo rischia di confondere i fruitori. Riprogettare il sistema Ostiglia, con la sua pista ciclabile, i suoi campi coltivati, i fiumi che la attraversano, e i manufatti che si attestano lungo il suo corso, prendendo coscienza dei valori territoriali attorno alle ferrovia abbandonate. E’ quindi utile prevedere oltre a delle strategie turistico-territoriali adatte, anche delle indicazioni per curare questo manufatto verde e permettere ai cittadini di identificarsi nuovamente nella linea ferroviaria e nel suo nuovo utilizzo: ri-scoprire e ri-abitare i paesaggi, proponendo una nuova offerta turistica legata al recupero di un paesaggio che altrimenti resterebbe relegato sullo sfondo.

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TRAMA PUBBLICA LUNGO IL MARZENEGO coordinamento: Maria Chiara Tosi Andrea Bortolotti (Latitude), Claudia Faraone, Viviana Ferrario, Cristina Renzoni studenti: Andrea Babolin, Cristina Di Francia, Chiara Girardi, Elena Calafati, Giacomo Squaquara, Laura Spezzon azienda partner: Sinergo Spa, Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, Eco Ingegno

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Fiume Marzenego all'altezza di Robegano

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TRAMA PUBBLICA LUNGO IL MARZENEGO* Maria Chiara Tosi, Viviana Ferrario, Claudia Faraone, Cristina Renzoni, Andrea Bortolotti

Questo lavoro si interroga sul riciclo dei sistemi insediativi nella città diffusa. L’ipotesi avanzata è che nuovi cicli di vita per questo territorio siano possibili attivando una stretta collaborazione tra la disponibilità di spazi e attrezzature collettive, le problematiche legate alla fragilità idraulica e le opportunità di un’agricoltura multifunzionale capace di rinforzare la rete ecologica. Per dare forma a queste idee abbiamo elaborato scenari e strategie riconoscendo alla trama pubblica, intesa come quell’insieme articolato di edifici (scuole, palestre, centri civici e residenze pubbliche), spazi aperti (playground, parchi, aree sportive e naturali, piazze e luoghi di incontro informali) e percorsi (piste ciclabili, marciapiedi e strade bianche), un ruolo importante per diverse ragioni: per la sua capacità di riconnettere parti di un territorio sempre più frammentato garantendo una migliore accessibilità a servizi e attrezzature pubbliche, oltre che una fruizione lenta e attenta alle pratiche di vita quotidiana, ma anche per la capacità di interloquire con le prospettive di mitigazione del rischio idraulico e con la reinvenzione dello spazio agricolo e produttivo. Campo d’indagine è stata l’area centrale veneta, in particolare il bacino del fiume Marzenego esplorato ed interpretato a partire da tre diverse prospettive: trama pubblica, trama idraulica e trama agricola. * Questo testo è frutto della collaborazione tra gli autori, tuttavia esso è stato redatto da Claudia Faraone per la parte introduttiva, da Cristina Renzoni per le parti relative agli spazi pubblici, da Viviana Ferrario per le parti relative all'agricoltura, da Andrea Bortolotti per le parti relative all'acqua, mentre Maria Chiara Tosi ha coordinato il gruppo e rivisto e riordinato il testo nel suo insieme. I disegni sono stati realizzati da Andrea Babolin, Cristina Di Francia, Chiara Girardi, Elena Calafati, Giacomo Squaquara e Laura Spezzoni.

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Attrezzature scolastiche e sportive

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Parchi, spazi aperti e fruibilitĂ

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Trama Pubblica Il primo campo tematico indagato è relativo agli spazi del welfare la cui costruzione nel tempo ha seguito una pluralità di percorsi: da quelli più tradizionali di semplice realizzazione degli standard urbanistici fino a quelli più recenti e innovativi che, basati sulla crescente sensibilizzazione della società rispetto a istanze ambientali e sull’emergere di nuove pratiche sociali, hanno portato a trasformare porzioni di territorio in sistemi di spazi collettivi, assumendo il ruolo di nuove attrezzature ambientali che si estendono anche a scala territoriale. Le attrezzature parrocchiali presenti anche nei paesi più piccoli, i distretti scolastici, sportivi e ospedalieri, le o riveo dei fiumi usate come ampie palestre all’aperto, le molte ex cave di g g ne ne rze rze Ma Ma argilla ci o ghiaia trasformate in oasi faunistiche e aree per il tempo libeo bli cin ub m Ba i p costituiscono un t 3 k insieme diffuso di spazi, sovente frammentati e poco ro, t fa za nu en Ma rtin P e E accessibili da E p una mobilità lenta e frutto dell’azione di numerosi attori, ia eP gio iar Are rag rov ie | e pratiche sociali che nel tempo sono stati coinvolti nel procesfer r strumenti a a i e v e Lin rro nal i fe do sotazdi del territorio veneto. Quali scenari si aprono per ion infrastrutturazione -pe o l c i S c so r o questi sistemi di spazi e per il territorio entro cui si collocano? E’ possibile c Per immaginare che proprio a partire da questi spazi pubblici e collettivi, oggi spesso considerati anche come peso difficile da sopportare per le casse degli enti locali, si definiscano le condizioni di un nuovo ciclo di vita per il territorio contemporaneo, immaginandoli come “semi” di una nuova forma di città?

Spazi del welfare e accessibilità collettiva

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Trama Idraulica Nel territorio lungo il quale scorre il fiume Marzenego, il cui bacino drena le acque di altri numerosi canali secondari e di un fitto reticolo di acque minori, dove la presenza dell’acqua è pervasiva, un’altra questione fondamentale che ci spinge a ripensare nuovi cicli di vita è quella del rischio idraulico e della sicurezza. L’intervento sulla trama degli spazi collettivi che si snoda lungo e attorno all’asta del Marzenego, può diventare funzionale in questo esenso ad go o un ripensamento generale della gestione delle ne eg rz en Ma diMcultura arz acque, in termini diffusa fondata sulla prevenzione del rischio o cin te Ba n i t e gestione più accorta Es della risorsa. Aree verdi e permeabili in ambiente ve Ca urbano, campi e attrezzature sportive temporaneamente allagabili, oasi naturalistiche e connessioni lente accompagnate da nuovi canali e fossati te let che si fanno spazio attraverso sistemi lineari e che intrecciano relazioni na Ca con il paesaggio agrario: questi sono alcuni ambiti di interesse per soluzioni idrauliche integrate e diffuse. In particolare queste considerazioni coinvolgono il reticolo idrografico minore, che in questa porzione di pianura è spesso ancora accompagnato da siepi e filari che ne strutturano una qualità ecologica, oltre che paesaggistica. Si può ripensare questo spazio attraverso una stratificazione di usi e funzioni che dal fossato alla capezzagna, alla siepe e al filare ridia accessibilità pubblica, e al contempo migliori la capacità di ritenzione delle acque?

Sistema delle acque

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Vegetazione arborea e arbustiva

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Rete ecologica regionale

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Trama Agraria La riflessione sul territorio del bacino del Marzenego si interroga anche sul ruolo che lo spazio coltivato può svolgere all’interno di un diverso ciclo di vita. Poiché le scelte colturali sono fortemente orientate dalle politiche pubbliche (politiche agricole e di sviluppo rurale), ma si effettuano quasi esclusivamente all’interno di ciascuna strategia aziendale, cosa succederebbe se quest’ultime agissero non solo per rispondere alle proprie esigenze economiche, ma anche a quelle del territorio stesso? Considerando che le attività agricole producono impatti critici sulla qualità dell’aria e delle acque, sulla fertilità dei suoli, sul consumo di energia fossile e sulla diminuzione della biodiversità, cosa succederebbe se le politiche agricole concentrassero i finanziamenti sulle attività agricole volte al raggiungimento di obiettivi collettivi, quali ad esempio l’implementazione di reti ecologiche, l’aumento della biodiversità, la riduzione del rischio idraulico, la produzione di cibo entro filiere più razionali e sostenibili? Infine, se il processo di urbanizzazione ha occupato una quantità di suolo agricolo imponente, artificializzandolo, impermeabilizzandolo e inquinandolo, e oggi un ampio movimento di opinione a scala europea chiede di arrestare questo processo proponendo lo “stop al consumo di suolo”, possiamo accontentarci di fermarne il consumo, oppure dobbiamo anche porci il problema del recupero di nuovo suolo fertile. Dove?

Uso del suolo agricolo al 2006

167


Scenario Complessivo

Forti

Linea ferroviaria

Mulini

Percorso ciclo-pedonale

Parchi pubblici Cave Estinte/Oasi faunistiche

Aree con vincolo forestale Aree verdi attrezzate e collettive

Canalette da aggiungere e rafforzare

Aree verdi non attrezzate

Canalette pubbliche dalle quali può partire il progetto

Manufatti pubblici Fascia boscata

Aree PEEP

0Km

Biblioteche e scuole

Agro-forestazione

Giardini pubblici e playground

Colture da legno/biomassa

Impianti sportivi

Prato stabile

1Km

10Km

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Quale scenario è possibile? Considerando le trame descritte poco sopra come possibili leve cui ancorare il progetto, l’ipotesi generale che ci sembra utile avanzare per il territorio del fiume Marzenego è che si debba intervenire in maniera diffusa attraverso un generale processo di ricucitura e connessione che investendo l’intero bacino idraulico lo trasformi capillarmente, interessando il sistema di servizi e attrezzature, il sistema delle acque minori e quello delle aree coltivate, delle siepi e delle alberature. La definizione di reticoli di percorsi riservati alla mobilità lenta attraverso i quali connettere l’insieme dei servizi e delle attrezzature possono essere utilmente integrati con il reticolo delle acque minori soggetto a un processo di rafforzamento e per questo capace di infiltrare e accumulare quantità maggiori di acqua diventando esso stesso supporto di nuovi percorsi. Inoltre, con queste azioni può collaborare la messa a punto di un nuovo reticolo di siepi campestri, fasce tampone boscate, bande di seminativi arborati (agroforestazione) e sistemi di prati e pascoli. Infine, tali trasformazioni vanno nella direzione di rendere transitabili gli argini del Marzenego, anche se non estensivamente, ma solamente a chi vuole muoversi a piedi o con la mountain bike e a chi vuole sostare e godersi il paesaggio fluviale, rimuovendo le barriere

169


che rendono discontinua la percorribilità degli argini. La principale strategia di intervento suggerita investe l’insieme dei manufatti e delle aree collettive presenti in modo diffuso come capisaldi di una trama che li connette rendendo più accessibile l’intero territorio del fiume Marzenego. Si tratta di una trama pubblica di percorsi che dalla Laguna di Venezia, attraverso il parco S. Giuliano, il bosco dell’Osellino, attraversa il centro di Mestre e utilizzando le strade minori come via Toscanigo, via S. Elena, via Selvanese, via Villetta percorre le frazioni e gli insediamenti minori, connette i servizi e le attrezzature collettive di ciascun paese tra di loro e con i corsi d’acqua e le stazioni ferroviarie. Un’idea semplice e apparentemente banale: ogni abitante viene messo nella condizione di raggiungere a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, in un tempo ragionevole (15/20 minuti) scuole elementari e medie, parchi giochi, spazi naturali, presidi sanitari, spazi sportivi, centri anziani, biblioteche, ludoteche e municipi, la stazione ferroviaria, i corsi d’acqua e le oasi faunistiche adiacenti, e ciò avviene in tutta sicurezza e in condizioni confortevoli. L’accessibilità costituisce quindi un primo obiettivo imprescindibile, perché poter utilizzare gli spazi pubblici e collettivi senza percepire limitazioni al proprio diritto allo spazio, non accontentandosi della

rapporto fiume/strada

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segni territoriali

spazi del welfare

micro-hub ferroviari

trama agricola

Strategie trama pubblica

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loro presenza, lavorando per abbassare e ridurre le soglie di ingresso affinché essi siano visibili ed estesamente accessibili alle diverse popolazioni migliora la vivibilità del territorio. Entro questa strategia di ricostituzione della trama degli spazi pubblici, il trattamento delle acque è dunque a sua volta funzionale al recupero di alcuni spazi e nodi non risolti di fruizione e accessibilità al fiume, nonché di criticità idraulica del territorio. La seconda strategia riguarda azioni diffuse di risezionamento e allargamento dei canali attraverso le quali è possibile incrementare sensibilmente la capacità complessiva del bacino nel ritenere le acque in eccesso. Tale operazione potrebbe comportare anche azioni di ispessimento, ricucitura e razionalizzazione di siepi e filari esistenti, o nuovi impianti di agroforestazione in linea con gli obiettivi di incremento della biodiversità. La necessità di ricostruire il tessuto connettivo naturalistico a scala minuta tra i principali corridoi ecologici della Rete Ecologica Regionale e contemporaneamente la preservazione dei seminativi a scopo di produzione alimentare può spingere verso un’azione di agroforestazione su larga scala, articolata in fasce boscate con percorsi ciclopedonali, alternate con fasce agroforestate, dove i seminativi convivono con la presenza degli alberi, per

Zelarino - spina verde

171


la produzione di legno da opera. Tali sistemazioni, oltre agli effetti sul drenaggio possono contribuire ad aumentare le capacità depurative del reticolo dall’inquinamento diffuso, attraverso la fitodepurazione degli inquinanti di origine agricola migliorando la qualità delle acque nei ricettori finali. Questa rete dovrebbe in tal senso essere inspessita e ricucita andando a riempire le smagliature nel sistema delle siepi campestri con nuovi impianti diffusi di filari tampone lungo fossi e scoline proprio in quelle aree soggette maggiormente al rischio, per poi espandersi e trovare spazi per una migliore distribuzione e ritenzione delle acque su superfici maggiori. La manutenzione della rete potrebbe avere anche un ritorno economico nella gestione di siepi e filari a ceduo per la produzione di cippato destinato al mercato, oppure ad una valorizzazione in loco, tramite la dotazione, in edifici e reti pubbliche di teleriscaldamento, di caldaie a biomassa andando a potenziare questo tipo di produzione energetica da fonti rinnovabili. Poiché il 60% del bacino scolante del Marzenego è coltivato, entro la strategia complessiva di riconnessione sin qui delineata è evidente che l’agricoltura può contribuire in modo determinante alla costruzione di valori collettivi. Se le aspettative della società contemporanea nei confron-

Strategie

A_Reticolare

Dispersione | Infiltrazione A.1_Creazione di nuove canalette A.2_Aumento della sezione delle canalette (1m x 1m)

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2.1_Civile 2.2_Industriale

3_Cave Applicazioni A_1

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B_3

Strategie trama idraulica

172 SEZIONE 1


ti dell’agricoltura sono multiple e potenzialmente in conflitto tra loro e i ruoli che proprio per la sua natura di attività multifunzionale può svolgere sono molteplici, come produzione di cibo e fibre, produzione di energia, fornitura di servizi ambientali e sociali, risposta al rischio idraulico, spazio per il tempo libero, allora ci si chiede come questa multifunzionalità può tradursi nel territorio. La terza strategia tratteggia un possibile paesaggio agrario multifunzionale per il territorio del Marzenego, articolandosi in due parti integrate tra loro. La prima (recycle agriculture space ), propone di “riciclare” lo spazio coltivato entro un quadro di valori collettivi, quali la sicurezza alimentare e la qualità degli alimenti, la biodiversità, la sicurezza idraulica, la produzione di energie rinnovabili, lo spazio per il tempo libero. La seconda propone di recuperare suolo agricolo (recycle space by agriculture ) nelle aree dove altre attività si ritirano, ad esempio, nel caso del territorio del Marzenego, in alcune parti delle zone industriali e artigianali. Oltre alle azioni già delineate sopra, altri interventi suggeriscono le forme possibili del futuro paesaggio agrario multifunzionale del Marzenego. Per rispondere al problema della sicurezza idraulica e all’esigenza di razionalizzare le filiere alimentari, le colture compatibili con esondazioni di breve perio-

Noale - Chiavica a monte

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do vengono concentrate lungo i corsi d’acqua nelle parti meno elevate del territorio, andando così a formare nuove aree ad alluvionamento programmato ausiliarie rispetto alle aree di laminazione principali.I terreni sono tenuti a prato o pascolo, contribuendo così al necessario processo di estensivizzazione degli allevamenti, necessario soprattutto nella parte settentrionale del bacino del Marzenego. In queste aree possono essere concentrate anche le colture perenni compatibili con una moderata e saltuaria presenza di acqua. Per migliorare la sicurezza idraulica lungo le strade, vengono costruiti habitat potenziali andando a proteggere le colture dagli inquinamenti originati dal traffico veicolare: a questo scopo i bordi dei campi affacciati lungo le strade vengono risagomati e forestali, costruendo un filtro che può ospitare percorsi ciclopedonali. Infine, integrate a queste azioni abbiamo pensato anche alla grande opportunità dei 1.898 km lineari complessivi di reti di drenaggio esistenti: infatti, se solo ogni metro lineare di questa rete potesse raccogliere un metro cubo d’acqua con una piccola variazione della sezione, sarebbero necessari 425 km di fossi e canali e cioè il 22,4 % dell’intera rete per stoccare i 425.300 m3 di volume d’acqua drenato dall’intero bacino in caso di eventi di piena. Se a questi si aggiungessero le capacità d’invaso delle

concentrare prati e pioppeti lungo i corsi d’acqua critici

rimodellare il bordo campo delle aree coltivate come filtro

realizzare corridoi ecologici per la biodiversità

definire siepi lungo i corsi d’acqua secondari

Strategie trama agraria

174 SEZIONE 2


cave dismesse e gli spazi per l’acqua recuperabili in ambiente urbano, tale percentuale potrebbe assottigliarsi e comunque andare a rafforzare un sistema più vario e complesso di prevenzione del rischio generato dai fenomeni di allagamento. Di questa rete, 38,4 km sono ancora di proprietà pubblica, la restante di proprietà privata e soggetta a normative comunali. In uno scenario di coordinamento di queste azioni, il pubblico si potrebbe fare promotore degli interventi su capifosso e corridoi principali incentivando a replicare tali azioni sui fossi dei privati interessati ad accedere alle misure della nuova PAC1 per le operazioni di greening, in questo modo rafforzando la trama delle acque, la rete ecologica e contemporaneamente andando a preservare i seminativi a scopo di produzione alimentare.

Note: 1 si vedano in proposito le nuove politiche europee in materia di Politica Agricola Comune: L’agricoltura al centro. La riforma della PAC 2014-2020, Quaderno della collana di Europe Direct Veneto n.15, Veneto Agricoltura (http://www.europedirectveneto.com)

Noale - Campi sportivi

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TERZA PARTE: RICICLARE I TERRITORI DELLA PRODUZIONE

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Ve.Net , dettagli del plastico di studio 178


RICICLO COME PROGETTO/PROGETTO COME RICICLO Mosè Ricci

Troppo spesso la retorica del riciclo specula sull’etica del processo. Riciclare sinifica rimettere in circolazione, riutilizzare materiali di scarto, che hanno perso valore e/o significato. Riciclare preserva l’ambiente e conviene economicamente. È una pratica che consente di ridurre gli sprechi, di limitare la presenza dei rifiuti, di abbattere i costi di smaltimento e di contenere quelli di produzione del nuovo. Riciclare insomma vuol dire creare nuovo valore e nuovo senso. Dare inizio a un nuovo ciclo, a un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio. E’ un’azione ecologica che opera sul senso e spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco. In altri termini, come architetti non facciamo ricerca sul riciclo perché è un’azione buona e giusta. Lo studiamo perché fare riciclo è fare progetto. L’idea stessa di riciclare prevede una visione. A noi detective dello spazio in fondo interessa la possibilità di rimettere in gioco l’esistente, di risignificarlo, di creare nuove convenienze e nuova bellezza con il progetto di riciclo degli spazi costruiti che così rapidamente stanno abbandonando i propri connotati d’uso. Il boom edilizio degli ultimi 15 anni ha lasciato sul territorio parecchi cadaveri. In Italia tra il 1999 e il 2012 sono stati realizzati circa 300milioni 179


di mc/anno di nuove costruzioni. Su questi la percentuale di abusivismo è irrilevante. Con un gioco dove tutti credevano di vincere – i proprietari che mettevano al sicuro i loro risparmi, le imprese che lavoravano, le Amministrazioni che sopravvivevano con gli oneri di urbanizzazione, la politica che era continuamente premiata dal ritmo del ciclo edilizio – veniva perpetrata un’invasione cruenta e senza precedenti dei paesaggi italiani. I risultati sono evidenti a chiunque. Dal crollo del mercato immobiliare del 2007 i territori investiti dalla crisi economica e ambientale soffrono i disastri dell’abbandono e della dismissione spesso anche per le opere più recenti. In Italia ci sono almeno 6 milioni di case vuote su più di 10 milioni di immobili “sfitti”. 20milioni di mq di aree ferroviarie dismesse o in dismissione. Almeno 5000 km di linee ferroviarie non in uso. 20.000 Km di strade in abbandono di cui 2.600 inutilizzati. Non si conta il numero degli esercizi commerciali e dei capannoni industriali abbandonati. Le nuove infrastrutture, cardine dello sviluppo secondo il governo, spesso restano inutilizzate a gravare sullo sviluppo e i costi della loro insensatezza sono pagati da tutti. Gioia Tauro, Stazione Tiburtina, Bre-Be-Mi (e tra poco – potremmo scommettere – l’Expò) sono solo gli esempi più evidenti di una politica che spreca sempre due volte intestardendosi sulla costruzione di nuovi feticci della modernità passata e lasciando deperire il più grande patrimonio storico-paesaggistico, culturale e turistico del mondo per il quale non sono previsti né dispositivi di valorizzazione né investimenti strategici. La situazione non è diversa negli altri Paesi europei. In Spagna, ad esempio, tra Madrid e Toledo c’è una specie di nuova città per 300mila abitanti completamente realizzata fino ai cestini dell’immondizia e ai lampioni e completamente vuota e invenduta. E anche nei più ricchi Paesi del nord Europa il problema è ben presente. Il Padiglione Olandese alla Biennale di Venezia del 2010 era una sala vuota con la minaccia dei plastici sospesi al soffitto di tutti gli edifici vuoti del Ramstadt che gravano sulla testa del visistatore. Alla Biennale del 2012 sempre il Padiglione Olandese si chiamava Reset e quello Tedesco Reduce, Reuse, Recycle. Quest’anno è il Portogallo che solleva drammaticamente lo stesso tema. Ma la crisi non è altro che il detonatore di un cambiamento più profondo che sta modificando la geografia dei nostri desideri, i nostri stili di vita, le nostre attese di futuro. Nelle contingenze economiche e ambientali che tutti conosciamo stiamo

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sperimentando la rivoluzione delle tecnologie per l’informazione condivisa. E’ una rivoluzione sottile della quale quasi nemmeno ci accorgiamo perché il cambiamento avviene nelle nostre vite e nei nostri comportamenti in forma sussidiaria e molecolare. Giorno per giorno guardiamo il mondo da nuovi punti di vista e facciamo le stesse cose che facevamo prima in modo diverso. Impariamo a utilizzare strumenti di istantanea adiacenza artificiale sempre più potenti. Occupiamo spazi virtuali sempre più capienti. Per gestire le nostre vite e per passare il nostro tempo abbiamo sempre meno bisogno di luoghi fisici dedicati. C’è un filo sottile che lega indissolubilmente il riciclo e i sistemi smart. Forse la vera causa dell’abbandono degli spazi abitativi che coinvolge in maniera così sensibile le città e i paesaggi dell’Occidente del mondo sono i computers, gli smart phones, i tablet, le televisioni interattive, le nuove app … e tutti i sofisticati dispositivi e le tecnologie per l’annullamento delle distanze e dei tempi e per la condivisione delle informazioni, delle decisioni e delle azioni. Ci si può incontrare, stabilire una relazione, tenere una conferenza via Skype o altri social media senza essere fisicamente lì dove la cosa avviene. Ora tutto succede in video, ma prestissimo la nostra presenza potrà essere virtualmente espressa da ologrammi capaci di simulare anche fisicità, emozioni e senso. Oggi conviene comprare i generi di consumo, l’abbigliamento, i libri o i mobili in rete, come su Amazon, e sempre meno avremo bisogno di spazi di vendita nella città. Chiunque può diventare taxista par time e vendere i suoi viaggi su Uber o condividere l’auto con Car to Go o le scelte politiche con un clic su Avaaz. Tra pochi anni con una stampante 3D si potranno produrre componenti edilizie e interi fabbricati – come si vedeva quest’anno al Saie –. Si potranno realizzare a casa i pezzi di ricambio di qualsiasi oggetto d’uso comune e in un laboratorio basicamente attrezzato i frullatori e le lavatrici. Mentre emergono le nuove figure degli artigiani digitali le fabbriche di elettrodomestici in Friuli e in Veneto già stanno chiudendo. Il biglietto del treno si fa via internet e c’è molto meno bisogno delle stazioni come si è abituati a pensarle. L’edificio della Stazione Tiburtina a Roma appena realizzata, per esempio, ancor prima di essere in uso già non serve più e ci sono le guardie giurate per costringere la gente ad utilizzarlo. Ciascuno di noi può trovare migliaia di esempi simili che dimostrano come si ha sempre bisogno di meno spazi funzionali per vivere e lavorare perché molte degli usi che occupavano spazi solidi nella città sono stati trasferiti o si trasferiranno negli spazi 181


virtuali della Rete. Ma se tutto questo sta per accadere o già succede è chiaro che alcuni paradigmi essenziali del moderno, come quello della stretta relazione tra funzione e forma dell’architettura o della città, sono svuotati di senso. In definitiva voglio dire è che la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione condivisa spiazza le nostre moderne certezze progettuali e fa sembrare improvvisamente fuori dal tempo tutte le teorie e le pratiche che ad esse fanno riferimento. Pensiamo allo zoning, appunto, all’organizzazione funzionale degli spazi urbani o anche di quelli architettonici, alle teorie dei modelli, alla “buone pratiche”. Sembrano epifanie di una logica che appartiene a un’altra epoca, modelli teorici e comportamentali concepiti per gestire uno spazio solido tridimensionale che ora non è più il solo spazio di intervento progettuale possibile. Questo è il punto. L’azione contemporanea di tre fattori decisivi: la crisi economica, quella ambientale e la rivoluzione delle tecnologie per l’informazione condivisa sta così profondamente cambiando i nostri stili di vita e il modo in cui noi immaginiamo e desideriamo le forme solide del nostro futuro che tutto il nostro sapere progettuale ci sembra improvvisamente inadeguato sia come strumento interpretativo della condizione attuale sia come dispositivo in grado di generare nuove prestazioni ambientali, sociali, economiche e nuova bellezza. Volgendo al positivo gli effetti della rivoluzione tecnologica si potrebbe dire che quello che sta accadendo alle società più evolute per effetto dell’informazione condivisa è la possibilità di poter abitare molto più spazio fisico che in passato e non doverlo necessariamente conformare in base a destini specifici prefissati. Semplicemente, abbiamo a disposizione una quantità enorme di volume costruito che non serve più o che non si sa ancora bene come utilizzare. Ed è lo stesso per le infrastrutture e gli spazi aperti. Nulla di sorprendente. Nella storia dell’architettura e della città da sempre i grandi cambiamenti tecnologici hanno prodotto grandi trasformazioni nei modi e nelle forme dell’abitare e di conseguenza nei modi e nelle forme di progetto. Una delle principali questioni teoriche della modernità era quella della migliore possibile sintesi spaziale tra funzione e forma dell’architettura e dell’organizzazione della città in zone funzionali omogenee. Oggi con la rivoluzione delle tecnologie informative abbiamo il 182


problema opposto. Cioè quello di conferire senso, narrativa e usi – anche temporanei – a spazi che hanno forme già date. E trasformarli in luoghi abitabili attrattivi ed ecologicamente performanti. Questa fase di dismissione della modernità richiede nuovi paradigmi (come nuovi punti di vista sul futuro) e una nuova idea di progetto dello spazio fisico. Si tratta di una sfida importante per la cultura architettonica. Una sfida che mette in valore l’esistente con dispositivi concettuali che lavorano sullo slittamento del senso e sui nuovi cicli di vita degli spazi abitabili. Una sfida che consideri il contesto come progetto e il paesaggio come infrastruttura che produce valore ecologico e il futuro della città come un progetto collettivo e non autoriale. In questo quadro il riciclo diventa il principale spazio fisico e concettuale dell’azione dell’architetto. La pratica progettuale del riciclo è necessariamente contestuale e adattiva. Non si può attuare con tecniche stereotipate o con strumenti tradizionali. Ogni materiale architettonico, urbano o paesaggistico è diverso da un altro. Ogni luogo e ogni caso possono prevedere progetti differenti. Non ha senso parlare di “progetti guida” o di “buone pratiche”. Ci si potrebbe piuttosto riferire a diverse tattiche adattive e locali che rispondono sempre a strategie d’intervento orientate alla costruzione di nuovo senso e di nuove ecologie. Il workshop Ve.Net segna un momento importante per Recycle Italy perchè per primo sperimenta direttamente il progetto di riciclo all’interno delle azioni di ricerca. I suoi risultati sono incoraggianti e ci fanno riflettere. E’ bellissimo il modello che rimette insieme i diversi atteggiamenti progettuali e le diverse figure sul supporto topografico del Veneto. A me interessano di più quelle posizioni che lavorano sulla produzione di narrativa e senso (come i gruppi di Lupano, De Maio e Marini) più che sul trasferimento di pratiche disciplinari regolative consolidate a nuovi contesti, o sulla retorica del processo… Insomma anche tra di noi il dibattito sul progetto di riciclo, finalmente, è aperto.

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Ve.Net , dettagli del plastico di studio 184


RICICLARE I TERRITORI DELLA PRODUZIONE Ezio Micelli

I progetti e gli interventi che con passione ed energia sono stati presentati da studenti e docenti hanno affrontato il riuso dei luoghi della città esistente. Si tratta di un’operazione di grande interesse non solo per chi appartiene allo specifico ambito della progettazione, a qualsiasi scala, ma anche per coloro che affrontano lo sviluppo e le trasformazioni della città a partire dai diversi ambiti delle scienze sociali. Alcuni aspetti, tra gli altri, meritano di essere sottolineati per la ricchezza delle implicazioni che sollevano. In numerosi progetti il tema del recycle di luoghi ed edifici è stato interpretato come percorso che, dal basso, interviene attribuendo nuove interpretazioni e significati a manufatti e parti di città con un importante grado di libertà e di autonomia dei soggetti coinvolti. Se costruire sul costruito costituisce un vincolo inaggirabile, i possibili percorsi di trasformazione della città esistente appaiono, al contrario, molteplici e altamente differenziati, senza inibizioni nei confronti della scala: interni – come nel caso delle esplorazioni coordinate da Mario Lupano –, edifici, paesaggi – è il caso dei gruppi guidati da Paola Viganò – possono essere sottoposti allo stesso metodo di lavoro. 185


Con le categorie dell’economia, il progetto sul costruito sembra rappresentare una risposta originale alle ormai acquisite caratteristiche della nuova condizione dell’economia e della società italiana. L’assenza di crescita non rappresenta più un elemento congiunturale della vita del Paese, costituisce invece una cifra distintiva del new normal delle nostre economie e delle nostre città, a cui il progetto risponde attivamente con lo sfruttamento delle opportunità celate del capitale esistente, estraendone il valore residuo in tutte le forme possibili. La libertà e il disinibito atteggiamento nei confronti dei possibili percorsi del riuso riflettono un atteggiamento di modesta fiducia nei confronti della norma e dei tradizionali strumenti di regolazione. Se lo sprawl è figlio legittimo della pianificazione, come ha ricordato Mosè Ricci, allora è in interventi affrancati dal rigido dettato amministrativo che l’azione di riuso troverà le sue forme più interessanti di sviluppo. Lo zoning, per la stessa ammissione degli amministratori presenti, anche nelle sue varianti più evolute, non appare dunque capace di dare risposta a una domanda di città in trasformazione che sembra invece affidarsi, in particolare, alla capacità auto-organizzativa della parte della società maggiormente attrezzata a reagire con idee e progetti. L’azione di una società intraprendente deve trovare un soggetto pubblico capace di sostenerne l’azione. Alcuni progetti hanno evidenziato la necessità di intervenire sul capitale fisso sociale, assicurandone superiore funzionalità ed efficacia rispetto a nuove domande collettive. Stazioni minori trasformate in hub della mobilità metropolitana, infrastrutture della mobilità lenta integrate con i nodi del ferro e della gomma: simili interventi possono sostenere lo sviluppo della città diffusa, parte integrante dello spazio metropolitano, operando incrementalmente e selettivamente sul capitale fisso già oggi esistente, senza puntare a progetti insostenibili per complessità attuativa e ampiezza finanziaria. Non si tratta di accettare un downsizing delle aspettative di crescita della città, quanto di promuovere oculatamente lo sviluppo puntando al riuso delle infrastrutture come occasione di upcycle del capitale territoriale. Un rapporto tra costo ed efficacia di interventi in grado di creare le condizioni di nuovo valore a più scale: da un lato, determinando le condizioni per uno sviluppo dello spazio metropolitano attraverso una sua superiore integrazione; d’altro lato, ad una scala più puntuale, favorendo le condizioni di fattibilità per interventi di sviluppo edilizio e immobiliare 186


economicamente sostenibili. Un ultimo aspetto d'interesse riguarda l’intervento sui patrimoni pubblici e privati. Nei progetti coordinati da Sara Marini, con grande libertà e senza alcun a priori ideologico, il progetto mette in discussione sistematicamente i diritti proprietari generando soluzioni che, al di là del merito formale e compositivo, suggeriscono che spazio e assetto proprietario devono essere sempre sottoposti alla controprova del progetto per dimostrare la propria utilità collettiva. Se dunque a San Giacomo dall’Orio il progetto demolisce muri che separano spazi pubblici e privati, sottolineando come i diritti proprietari nella città costituiscano un problema aperto, non intoccabile perlomeno da un punto di vista prettamente conoscitivo, a San Lorenzo è attraverso la privatizzazione di uno spazio sottoutilizzato a dare la soluzione a inediti processi di riuso – una chiesa sconsacrata che si trasforma in spazio espositivo, ma anche in luogo di lavoro –, a ricordarci che la tragedia dei commons2 impone a volte soluzioni che vanno nella direzione diametralmente opposta a quella della dilatazione dello spazio pubblico. Sorprende nelle esercitazioni degli studenti la determinazione a non lasciare nulla di intentato nella relazione con la proprietà, quasi a sottolineare che il progetto trovi la sua ragion d’essere nella sfida a ciò che appare scontato e consolidato, nel pensiero corrente come nelle ragioni del diritto.

Note 1 Del resto, ricorda Ciorra: “una delle caratteristiche più forti della strategia di Recycle è la sua totale indifferenza alla scala”. E questo perché il riciclo “è perfettamente scaleless: funziona sia nella città che nel design di paesaggio, ha a che fare con corpi architettonici dal molto grande al molto piccolo”. P. Ciorra, Afterwor(l)d, in S. Marini, V. Santangelo (a cura di), Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del pasaggio, Aracne, Roma 2013, pp. 77-86. 2 G. Hardin, The Tragedy of the Commons in,«Science», vol. 162, nº 3859, 1968, pp. 1243–1248. 187


coordinamento: Sara Marini Sissi Cesira Roselli Vincenza Santangelo Giuseppe Piperata Micol Roversi Monaco studenti: Edoardo Brunello, Chiara Buccolini, Anna Sanga, Anna Ceccolin, Marta Dionese, Federica De Marchi, Monica Molinari, Maria Federica Tartarelli. azienda partner: Altevie Technologies S.r.l.

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VENICELAND

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VENICELAND

DENTRO VENEZIA Sara Marini Nuove terre per l’architettura sono ancora mostrabili a Venezia, nell’isola di Venezia. Dopo aver colonizzato, come inquieti pionieri sempre alla ricerca di un altrove, oltre la laguna e oltre i nuclei urbani della terra ferma si torna a costruire nuove realtà in città. Veniceland vuole così affermare il primo principio insito nella strategia del recycle: fare con quello che c’è già, tornare al centro, a ciò che è necessario, scegliere di investire sull’irrinunciabile. Il principio della scelta, dettato dal rapporto tra massa di materiale edilizio inutilizzato e ridotte risorse a disposizione, impone finalmente di ritornare a progettare patrimoni. Chiese sconsacrate o abbandonate, ex-laboratori o magazzini in disuso sono luoghi in attesa di nuova destinazione, anche stagionale, perché Venezia è una città attraversata da eventi ciclici che riempiono, alternativamente, di significati diversi l’isola. Campi sportivi punteggiano la città e possono essere letti come vuoti o spazi da collocare ad altre quote. Si torna a densificare il tessuto urbano, ad alternare sullo stesso suolo non solo possibili nuove architetture effi-

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mere ma anche le proprietà che le gestiscono. Venezia stessa è un laboratorio del recycle, del copy and paste di alcune situazioni: repliche di parti della città sono state costruite in altri luoghi, in altri continenti. Veniceland può essere una replica del Bacino di San Marco, con i suoi monumenti che lo trilaterano definendolo, da costruire nella nuova terra della Sacca San Mattia in prossimità dell’aeroporto. La replica, anche solo teorica, vuole aprire una riflessione concreta sull’originale. Venezia può tornare ad essere produttiva, ad ospitare spazi di produzione ad alta tecnologia di cose e saperi, factory dove arte, turismo e industria sanno incontrarsi (factory come quella discussa e definita con l’azienda partner del progetto Altevie Technologies). Dentro lo spazio che è già costruito va cercato e concretizzato il nuovo modello urbano. Per tornare in città vanno riviste le regole tenendo conto del fragile equilibrio della storia. Dentro il centro della città e dentro i suoi manufatti esistenti o nei suoi interni è presente lo spazio del progetto, il laboratorio in cui rimettere in gioco tecnologie, norme, usi e visioni. Si tratta di un laboratorio recondito che attende un diverso armamentario, qui solo in parte evocato: costruire nuove terre dell’architettura a Venezia equivale a continuare ad immergersi nello spessore della città. Servono allora archivi in cui catalogare l’esistente e in cui rendere palesi potenzialità e immaginari latenti di realtà date. Servono manuali in cui esplicitare le possibili modalità di riattivazione dello spazio o di convivenza di attività solo apparentemente conflittuali. Sicuramente serve un ritorno all’architettura effimera o a tempo determinato, senza fondazioni. Al progetto è demandato il compito di potenziare il testo trovato, commentandolo, traghettandolo verso altri possibili significati.

Archivio Venezia _ Chiesa di San Lorenzo _ Venezia 2015 foto di Sissi Cesira Roselli

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ARCHIVIO Sissi Cesira Roselli Il ricorso alla formazione di archivi coincide spesso con una volontà di ricostruzione storica della propria identità dettata da una necessità di legittimazione. La presenza di un archivio costituisce una fonte d’informazioni praticabili, organizzate secondo criteri evidenti. Questo permette di rendere una memoria in pericolo di estinzione consultabile e di continuare a farla vivere attraverso i nuovi progetti che all'archivio attingono. Come scrive Bourriaud ne Il radicante, l’archivio è uno strumento utile “a raccontare le discontinuità e a preservare le diversità”. Accostati secondo parametri uguali su una stessa mensola (non a caso, una delle origini etimologiche alla quale si fa risalire il termine archivio è àrca, ovvero armadio) una serie di oggetti si faranno conoscere attraverso le proprie somiglianze e, di riflesso, attraverso le rispettive differenze. L’accumulo e la meraviglia – che consegue l’uscita di un elemento dalla regola della collezione – sono quindi alcuni dei possibili processi della conoscenza. All’interno di queste modalità del pensiero, l’archivio dello scarto (ricerca portata avanti nell’ambito degli assegni FSE presso lo Iuav) applicato a Venezia, serve a costruire un cortocircuito tra domanda e offerta e a implementare alcune tipologie di archivio già presenti con nuove voci. Questo approccio archivistico è utile a predisporre e a catalogare materiali relativi a luoghi in disuso individuando dei parametri in grado di metterne in evidenza il potenziale di riutilizzo e la conseguente strategia di recupero. Assumendo la città di Venezia come paradigma di un modello alternativo a un paesaggio sempre più orfano dei propri abitanti, il centro storico diviene un laboratorio dove desumere le possibili strategie di recycle per la città della post-produzione e comprendere in cosa questa si stia trasformando. La catalogazione degli spazi in disuso a Venezia illustra il peso e la meraviglia di un’eredità storica e la ricolloca da limite a risorsa. L’obiettivo di un archivio dello scarto è quello di proporsi come un possibile strumento attraverso il quale poter interrogare il territorio e provare a fornirne diverse chiavi di lettura. Con questa operazione si pone l’accento su una delle caratteristiche più profonde degli archivi, che non risiede tanto o solamente negli oggetti che raccoglie, ma soprattutto nelle relazioni che tra gli oggetti esistono, provando a dare indicazioni sulle modalità di montaggio con le quali questi si possono riassemblare in una realtà nuova, oltre l’abbandono.

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MANUALE Vincenza Santangelo Ora più che mai gli scarti stanno mettendo in crisi il modo di guardare il territorio, di progettare gli spazi, di immaginare il futuro, reclamando un ribaltamento dello sguardo e uno scardinamento di economie e norme. Il dibattito sul recycle è sempre più denso, ma le coordinate per confrontarsi con questo patrimonio di scarti sono ancora incerte. Nel mare della bibliografia sul tema, dove volumi, saggi, articoli provano a circoscrivere le questioni teoriche e intercettare i molteplici fenomeni, proliferano i manuali che, con diversi approcci e declinazioni, cercano di dare “istruzioni” su come intervenire. Nonostante la varietà e la quantità, gli attuali manuali sul recycle segnano la persistenza di uno strumento che ragiona e restituisce logiche monodisciplinari; le scale del progetto lavorano o sulla grande dimensione o sul dettaglio, evidenziando un vuoto su ciò che sta nel mezzo; si interviene sugli oggetti scartati, piuttosto che sui processi e i cicli di vita a cui appartengono; il recycle entra in gioco solo dopo che è finito il ciclo di vita utile dell’oggetto, trascurandone le opportunità preventive in fase di progetto; i soggetti hanno contorni molto sfumati, altalenando fra gli incerti termini “pubblico” e “privato” ed escludendo le occasioni di azioni sinergiche. Per ripensare un manuale sul recycle (ricerca sviluppata nell'ambito dell'assegno Re-cyle Italy presso lo Iuav) diventa necessario in prima istanza ragionare sulla “distruzione” della logica granitica che caratterizza oggi questo strumento e degli approcci troppo tecnicistici dove numeri e norme diventano inutili al cambiare delle condizioni al contorno; provare a smontare la rigida monodisciplinarietà per recuperarlo come strumento di confronto e ibridazione disciplinare, dove il progetto si intreccia ad esempio con l’economia e il diritto, facendo emergere opportunità e paletti; verificare l’opportunità di riciclare gli attuali manuali sul tema per reinventarne uno in grado di individuare orizzonti più ampi per intervenire su architetture, città, paesaggi. La fragilità veneziana, dietro cui si nascondono precisi interessi e silenziose pressioni, non consente un recycle disinibito né un manuale generico. Se il recycle non è riuso o ristrutturazione, funzionando con logiche altre e non ingabbiato in un rigido registro normativo, allora diventa possibile pensare un manuale del recycle per Venezia che adotti uno sguardo obliquo per scovare nell’intricato labirinto veneziano le occasioni di scarto, che si infili con astuzia nelle smagliature normative per aggirare l’ostracismo burocratico, che metta in campo dispositivi capaci di costruire nuove visioni veneziane.

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RIUTILIZZI TEMPORANEI A VENEZIA Giuseppe Piperata, Micol Roversi Monaco I progetti di recycle sono, per il diritto, un banco di prova e l’occasione per riflettere su mancanze e necessità di aggiornamento. Infatti, sotto molti aspetti la disciplina urbanistica ed edilizia che limita gli usi e la disciplina di tutela dei beni culturali appaiono come un ostacolo. Ciò emerge dall’analisi di limiti, procedure da seguire e strumenti per la realizzazione pratica dei progetti di riutilizzo temporaneo della Chiesa di San Lorenzo e dei campi. Prima questione da verificare è se essi comportino mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, cioè un utilizzo dell’immobile diverso da quello originario e tale da comportare l’assegnazione dell’immobile a una diversa categoria funzionale tra: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale; mentre il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito (art. 23-ter del Testo unico in materia edilizia, d.p.r. n. 380/2001, applicabile direttamente nella Regione Veneto poiché manca una diversa previsione della legislazione regionale o degli strumenti urbanistici comunali). I progetti prevedono, infatti, la realizzazione nella Chiesa di San Lorenzo di studioli per ricercatori e restauratori e uffici, usi che si verrebbero ad aggiungere all’attuale utilizzo dell’immobile da parte dello Stato del Messico come sede della Biennale. Inoltre, nei campi si prevede la realizzazione di un campo sportivo e di una factory (con uso anche promiscuo). Ciò richiede la verifica della loro compatibilità con gli usi previsti dalle prescrizioni urbanistiche ed edilizie vigenti, e la verifica che questi usi possano rientrare nella stessa categoria funzionale di quelli originari; in alternativa, previa verifica della compatibilità con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie vigenti, sarà necessario richiedere apposito titolo edilizio. Seconda serie di ostacoli nascono dal vincolo cui la Chiesa di San Lorenzo, bene che riveste un interesse artistico e storico e appartenente al Comune di Venezia, è assoggettata in quanto bene culturale (art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. n. 42/2004). La strategia della temporaneità del suo utilizzo consente di evitare l’autorizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali al provvedimento di concessione dell’uso siccome “precario” (art. 107 del d.lgs. n. 42/2004). Tuttavia, la presenza del vincolo impone di comunicare il mutamento di destinazione

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d’uso alla Soprintendenza (art. 21, co. 4 del d.lgs. n. 42/2004), al fine di consentirle di controllarne la compatibilità con il carattere storico artistico del bene e l’assenza di pregiudizio alla sua conservazione (art. 20 del d.lgs. n. 42/2004). Inoltre, il Codice stabilisce che è necessaria l’autorizzazione del Soprintendente per eseguire opere e lavori di qualunque genere (art. 21, co. 4 del d.lgs. n. 42/2004), autorizzazione che sarà rilasciata entro 120 giorni, salvo indizione di conferenza di servizi, richiesta di chiarimenti o elementi integrativi, oppure necessità di accertamenti tecnici (art. 22 del d.lgs. n. 42/2004). E tali scelte delle Soprintendenze sono non facilmente prevedibili, poiché frutto di discrezionalità tecnica basata su scienze umanistiche, non empiriche, anche se il progetto segue la strategia della totale reversibilità, con strutture modulari assemblate a secco che mantengono inalterato il preesistente al fine di non porre in pericolo le esigenze di conservazione del bene e dei valori culturali. In terzo luogo, dal carattere demaniale dei beni deriva la necessità di chiedere la concessione dell’uso. La Chiesa, infatti, è bene demaniale in quanto bene immobile appartenente a un Comune e di interesse artistico (artt. 824, co. 1, e 822, co. 2, del codice civile). Pertanto, secondo quanto previsto dal Regolamento per la gestione dei beni immobili del Comune di Venezia, dovrà essere oggetto di concessione in uso temporaneo rilasciata dall’Ufficio Patrimonio, su conforme atto deliberativo della Giunta Comunale (art. 8, co. 2, del predetto Regolamento). Per la realizzazione delle opere all’esterno della Chiesa, su campo San Lorenzo, sarà invece necessario richiedere al Comune la concessione dell’uso del demanio stradale comunale (art. 3 del Regolamento per la gestione dei beni immobili del Comune di Venezia) secondo quanto previsto dal Regolamento canone di occupazione spazi e aree pubbliche del Comune di Venezia; e allo stesso modo occorrerà fare per realizzare il progetto di riutilizzo temporaneo dei campi (per la parte che ricade sul demanio stradale comunale). In una prospettiva de jure condendo pare dunque auspicabile una semplificazione delle pratiche necessarie per attuare la strategia del recycle, anche perché i “nuovi cicli di vita” possono rappresentare uno strumento per la stessa valorizzazione e conservazione del bene, obiettivi da perseguire da parte di tutti i soggetti pubblici.

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COSA SUCCEDEREBBE SE VENISSE ABBATTUTO IL MURO DEL

CAMPO AFFIANCATO DA UNA CALLE LARGA?

COSA SUCCEDEREBBE SE VENISSE ABBATTUTO IL MURO DI UN

CAMPO AFFIANCATO DA UNA CALLE STRETTA E DA UN RIO?

COSA SUCCEDEREBBE SE VENISSE ABBATTUTO IL MURO DI UN

CAMPO CONFINANTE CON UN CAMPO?

FUORICAMPO CAMPI PUBBLICI (CON VERE DA POZZI) E CAMPI (DA GIOCO) PRIVATI: NUOVE COMUNI OCCUPAZIONI Edoardo Brunello, Chiara Buccolini, Anna Sanga

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1. Campo affiancato da una calle larga 2. Campo affiancato da un lato da una calle stretta, dall’altro da un Rio 3. Campo confinante con un campo

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LO SPAZIO OLTRE IL MURO è DIVENTATO PUBBLICO

IMMAGINO CHE IN ESTATE CI SIA UNA PISCINA

IMMAGINO CHE IN ESTATE CI SIA UN CAMPO DA CALCIO E UNA FACTORY

IMMAGINO CHE IN ESTATE CI SIA UNA FACTORY

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IMMAGINO CHE IN INVERCI SIA UNAFACTORY

NO

IMMAGINO CHE IN INVERNO CI SIA UN CAMPO DA CALCIO E UNA FACTORY

IMMAGINO CHE IN INVERNO CI SIA UNA PISTA DA PATTINAGGIO

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San

Santa Giustina

San Lorenzo

Sa

Sant’Aponal Abbazia della Misericordia Santa Maria del Pianto San Maria dei Servi Santi Rocco e Margherita Santa Caterina

Santa Maria della Carità

San G

San Leonardo Santa Maria Maggiore

Santa Maria delle Penitenti

Santa Margherita

Sant’Andrea della Zirada

San eD

Santa Maria del Soccorso

Santa Marta Santa Teresa

PRESERVATION ECCLESIA UN SECONDO CICLO DI VITA SOVRA-SCRITTO SULLA E NELLA EX-CHIESA DI SAN LORENZO A CASTELLO Anna Ceccolin, Marta Dionese

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n Gallo

an Basso

Sant’Anna

Gregorio

nti Cosma Damiano

Questa storia è centrata sul concetto di Preservation e sulle ricadute operative di questa nozione. La mappa evidenzia tutti gli exedifici religiosi, dislocati nel tessuto urbano di Venezia. Alcuni di questi, dopo la sconsacrazione, sono rimasti chiusi ed inutilizzati, altri sono stati recuperati dalla municipalità di Venezia o da enti privati, conoscendo così un nuovo ciclo di vita.

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Scheda identificativa del bene Ai sensi dell’art. 12 del D. Lgs. 22.01.2004, n. 42. Luogo di collocazione Venezia, Sestiere di Castello 5069 Oggetto Chiesa di San Lorenzo Epoca X secolo Condizione giuridica Proprietà del Comune di Venezia, data in comodato d’uso allo Stato del Messico;

Soluzione giuridica per lo scenario di progetto Per realizzare il progetto si prevede, sul piano giuridico, un accordo tra le tre figure coinvolte: il Comune di Venezia (attuale proprietario dell'immobile), lo Stato del Messico e la Factory (individuati come gestori dello spazio). Allo Stato del Messico è affidata la gestione dello spazio espositivo, alla Factory la gestione dello spazio del lavoro e della produzione immateriale.

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VENEZIA/VENICE IL PROBLEMA DELL'ORIGINALE E DELLA COPIA NELLA CHAIN CITY Federica De Marchi, Monica Molinari, Maria Federica Tartarelli

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Sacca San Mattia è una nuova terra costruita a nord di Murano. In questa sacca e nello specchio d'acqua limitrofo viene innestata una "copia" del triangolo monumentale che definisce il bacino di San Marco. Venezia chiude a mezzanotte. Venezia è scenografia permanente. Venezia è assediata dal turismo. Venezia è caos. Venezia si spegne. A Venezia non si può usare l'auto. Venezia è in esposizione. Venezia è per tutti. Venice è sempre aperta. Venice è per chi vuole vivere da vicino Venezia. Venice è chiara, trasparente e tecnologica. Venice è attraversata da mezzi meccanici in continuo movimento: ascensori, scale mobili, macchine scenografiche.

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TESSILE PEDEMONTANO E TEMPORARY HOSTING

coordinamento: Mario Lupano Ethel Lotto studenti: Daniele Bellonio, Alessia Beraldin, Marta Busatto, Federico Cassani, Francesca Cifani, Monica Giovanna Evola, Giulia Geromel, Ludovica Imperato, Irene Miele, Francesca Piacentini, Ester Rigato, Tonia Salomè, Filippo Soffiati, Adriana Suriano azienda partner: Marzotto Group

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Ve.Net, dettagli del plastico di studio (foto di Mario Lupano)

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TESSILE PEDEMONTANO E TEMPORARY HOSTING

INTRUSIONI Mario Lupano Contatti ravvicinati con ciò che pulsa del sistema manifatturiero tessile, a Valdagno e nell’intera regione pedemontana del Veneto, ma anche con gli archivi e ciò che resta di un passato eroico. Incursioni tra i frammenti di una importante eredità. Intrusioni, soste temporanee per evitare di esserne catturati e per mantenere un vivo sguardo esterno e investigativo. Riflessioni su questioni identitarie – di marca, di capacità manifatturiere, di comunità e territori –, esercizi di storytelling svolti direttamente con gli strumenti del design del tessuto e della moda, ma non solo. Il workshop medesimo sperimenta la formula del temporary hosting per creativi, un modello “turistico” mutuato dalla residenza d’artista e inteso come acceleratore intensivo e flessibile di scambi fra realtà manifatturiere, scuole e università, istituzioni per la ricerca, talenti e idee innovative che si sviluppa secondo la modalità pulsante e intermittente delle incursioni temporanee. I lavori si sono svolti a contatto diretto con la realtà tessile di Valdagno, quella della produzione nella fabbrica Marzotto e anche quella dell’Isti-

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Museo delle Macchine Tessili. Vista del modello Museo delle Macchine Tessili. Sala della filatura pettinata (foto di Francesco De Luca)

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tuto Tecnico Industriale V.E. Marzotto, prestigiosa scuola per la formazione dei periti tessili, giunta alla fine di un ciclo di vita; e hanno avviato una riflessione sulle possibilità di collaborazione tra università e impresa nella prospettiva della formazione di eccellenza e della sperimentazione. Ugualmente si sono indagate le possibilità di innescare operazioni di riattivazione delle risorse conservate negli archivi, come i saperi e le tecniche manifatturieri abbandonati del tessile, ma anche degli spazi e dei luoghi dismessi o sottoutilizzati. E tali indagini si sono svolte attraverso esercizi progettuali che riattivano flussi di conoscenza mettendo la creatività al servizio del progetto di innovazione, e riflettendo anche sulle possibili diverse declinazioni del concetto di turismo. Affermando un modello comportamentale che si disloca negli spazi in-between, si propone di lavorare ai limiti – talvolta con la logica dell’evento ad alta intensità emotiva – e studia le possibilità di riutilizzo delle regole costituite. Un modello già sperimentato nel corso di ricerche precedentemente svolte nell’ambito di assegni FSE e in collaborazione con altri centri manifatturieri tessili del territorio veneto pedemontano. Ulteriori valutazioni riguardano la dimensione attuale della ricerca nell’ambito tessile e il confronto con la crisi della manifattura in Europa e la nuova articolazione della produzione a livello globale. Nell’epoca della caduta della centralità del tessile tradizionale, parallelo all’affermazione delle nuove tecnologie nella produzione dei tessuti, la riconsiderazione delle procedure tessili relative alle varie stagioni del macchinismo industriale assume il significato di una ripresa dell’analogico nell’età postdigitale. Di una riconsiderazione delle attitudini lente e di ricerca, in compresenza con le frontiere dall’alta tecnologia. I lavori del workshop sono proseguiti nella sede veneziana dell’università e nella sede del corso di laurea di Design della moda a Treviso, e hanno prodotto una serie di quaderni nei quali sono raccolte le differenti indagini, le riflessioni o anche solo alcune istantanee e puntuali considerazioni.

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I quaderni (foto Mario Lupano)

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Quaderni La riflessione sulle ipotesi progettuali e sulle metodologie di sviluppo del workshop ha individuato come modalità di restituzione del lavoro la costruzione di una serie di quaderni curati dagli studenti. Ciascun quaderno affronta un tema e sviluppa una proposta, circoscrivendo un argomento e mettendo a fuoco un’idea, o un nucleo critico. Alcuni riflettono sulle tecniche – anche in disuso – e ipotizzano la reintroduzione di macchinismi e tecniche dismessi nel nuovo ciclo della sperimentazione lenta. Altri considerano la progettazione del tessuto a partire dal design dell’abito e della modellistica e indagano nuove connessioni fra designer nell’industria tessile e designer nell’industria dell’abbigliamento, oppure lavorano all’ipotesi di una progettazione integrale, muovendo una critica alla estrema parcellizzazione che caratterizza le produzioni industriali globalizzate. Altri riflettono sull’identità di marca e ridiscutono alcuni ingredienti di una storia per ipotizzare un upcycle concettuale che determini un morphing al DNA di una produzione aziendale e l’apertura di nuovi percorsi. Altri ragionano sul confronto fra istituzioni che si occupano di formazione dei tecnici e dei creativi nel settore del tessile e dell’abbigliamento, fra modelli legati a una storia industriale primo novecentesca e altri legati alla cultura del design e della moda, misurando l’efficacia di nuovi comportamenti interstiziali, dinamici, temporanei, capaci di creare nuove relazioni tra mondo manifatturiero, università, territori, paesaggi e comunità.

ALTRA ARMONIA_Francesco de Luca Gli scatti fotografici tracciano un itinerario che percorre la Città dell’Armonia e attraversa le aule, i laboratori e i cortili dell’Istituto Tecnico Industriale Statale V.E. Marzotto, il Museo delle Macchine Tessili ospitato nei laboratori di filatura, preparazione e tessitura dell’Istituto, l’ex residenza del preside oggi in stato di abbandono, il parco della Favorita. Il modello in bronzo della Città dell’Armonia apre a percorsi alternativi. L’edificio della Fabbrica, impenetrabile, è raccontato dal suo perimetro esterno.

ANACROMIE _Monica Evola Il progetto parte dall’ordinamento e osservazione di alcuni tessuti di scarto forniti dall’azienda, e mette a punto un ipotetico campionario per la riattivazione degli stessi. Le palette di colori si ispirano ai closeup fotografici realizzati dagli studenti del workshop durante le visite allo stabilimento Marzotto e al Museo delle Macchine Tessili di Valdagno.

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BIT BIT_Roberta Colla Nel contesto della programmazione, il codice binario è un codice eseguibile da un processore, ovvero un programma scritto in linguaggio macchina. Nel contesto della rappresentazione dei dati, il codice binario può essere riferito a una rappresentazione di numeri interi corrispondente al sistema numerico binario o a un sistema derivato. L’espressione potrebbe essere usata anche in senso generico per riferirsi a un codice che utilizza un alfabeto composto da due soli simboli, zero e uno. Il telaio Jacquard, prima macchina che ha utilizzato una scheda perforata, è anche considerato l’antenato del calcolatore. Le schede forate del telaio Jacquard, che forniscono informazioni sull’armatura del tessuto, diventano pattern-etichetta che mappano la struttura intima di un capo.

CODICE BINARIO_Alessia Beraldin Nel Museo delle Macchine Tessili di Valdagno è conservato il quaderno di esercizi tessili di un ex studente, che con estrema diligenza, riporta in bella copia gli appunti delle lezioni di tecnologia tessile. Più che esercizi tecnici, sembrano esercizi formali condotti con abilità illustrativa intorno a misteriose regole geometriche. La tecnica si trasforma in ritmo ornamentale che risveglia i primordi del design nelle arti decorative e industriali primo novecentesche. Il textile design è una disciplina regolata da grammatiche che giocano con i vincoli dell’ortogonalità e della ripetizione. La logica geometrica dell’armatura tessile costringe il desiderio di figurazione illustrativa al confronto con l’astrazione geometrica. Le pagine del quaderno hanno stimolato suggestioni per la progettazione di pattern grafici contemporanei.

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DISSONANTE_Francesca Cifani Una riflessione sull’identità di genere del tessuto a partire dall’archivio delle collezioni donna Marzotto degli anni Cinquanta e una inversione di senso attraverso l’uso di un tessuto femminile per una collezione maschile. Maschile e femminile sono fusi restituendo suggestioni di ambiguità negli outfits, si sonda un immaginario già ampiamente indagato eppure ancora percorribile. Alcuni capi femminili selezionati dalla collezione Jolly degli anni Cinquanta, sono reinterpretati e indossati da una figura maschile il cui volto e gambe appaiono sovrapposti ora al corpo di una modella, ora a un quadro di Kirchner, per meglio sottolineare il tema dell’indefinito.

INCUBATRICE_Francesca Piacentini Dal 1935, nella Città Sociale di Valdagno, rigorose applicazioni dell’igienismo regolano la vita dell’asilo nido, dove i bambini trovano adeguata assistenza durante le ore di lavoro dei genitori. Intorno a chi lavora, “la serenità dell’oggi e la certezza del domani”. La pubblicistica della propaganda aziendale, in sintonia con quella del regime, ritrae neonati in grandi recipienti metallici e avvolti in biancheria immacolata. Igiene, nutrizione e protezione diventano le parole chiave del progetto che sviluppa l’idea di un tessuto accoppiato medico-ospedaliero che evoca i materiali per gli indumenti sani e non costrittivi della cultura Lebensreform. La funzione antinociva della lana e la capacità di stabilizzazione termica della tela metallina vengono combinati per ottenere un tessuto isotermico che imprime una direzione medicale allo storytelling della collezione Scudo Marzotto.

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LIM h-x_Giulia Geromel, Ester Rigato Il progetto riflette sul concetto di cimosa, margine terminale della pezza di tessuto che la delimita in senso longitudinale. Tradizionalmente considerata materiale di scarto, viene qui recuperata per essere integrata nel capo. La definizione di cimosa suggerisce l’idea di limite, e come se essa si potesse tramutare in ostacolo alla progettazione di un capo. Perciò il progetto è stato circoscritto all’interno dei seguenti limiti comportamentali: utilizzo di un solo telaio a navetta; due altezze di telaio: 40 e 80 centimetri; due tipologie di tessuto; un solo tipo di cucitura a taglio vivo; il ricorso alla cimosa parlante; lo sviluppo di quattro capi base. Il risultato è un’incognita (x): al variare dell’altezza del telaio/tessuto (h) si otterranno capi diversi e inaspettati.

MACCHINA CELIBE_Daniele Bellonio, Tonia Salomè Italo Castegnaro, operaio della Marzotto in pensione, realizzò con materiali di scarto una versione domestica dei macchinari che utilizzava in azienda, i quali dal 1999 sono conservati al Museo delle Macchine Tessili. Questa ingegnosa operazione di assemblaggio riproduce in miniatura una realtà aziendale totalizzante, che così si insinua letteralmente nella vita domestica. Essa è il segno tangibile che la realtà sociale di Valdagno appartiene alla presenza ineludibile e pervasiva della fabbrica. L’entità urbana si confonde con quella dell’azienda, della scuola che ospita il museo e i suoi macchinari dismessi. Questo reperto si può interpretare come emblema di un Museo che si presenta come un ambiente articolato, complesso e fragile, che conserva e dimentica allo stesso tempo ciò che contiene.

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MtoF_Federico Cassani MtoF, dal maschile al femminile. Il progetto sovverte le regole dell’immaginario Marzotto, ironizzando su alcuni stereotipi associati alla produzione dei tessuti classici, con la quale tradizionalmente si identifica il marchio. Gli stessi tessuti che identificano la divisa maschile si caricano di ammiccamenti al mondo femminile. Bruchi che diventano farfalle. La ricerca, a partire dai tessuti e dagli abiti della linea donna Jolly prodotta da Marzotto negli anni Cinquanta, reinventa il powersuit, inteso come “divisa neutra”. E tale denominazione si giustifica in un sistema a tre valori nel quale il neutro si distingue per essere appunto neuter, “né l’uno né l’altro”, né maschile né femminile.

NON SI SA PIÙ CHI È CAVALLO E CHI CAVALIERE_Filippo Soffiati Dall’incontro tra un figurino pubblicitario degli anni Cinquanta, che ritrae uno spavaldo signore in completo, e un eroe rinascimentale, un David a riposo dopo aver compiuto la sua fatica, nasce la figura ibrida oggetto di questa riflessione. A partire da suggestioni incontrate nella rivista “Marzotto. Rassegna di vita aziendale” degli anni Cinquanta, il progetto elabora un ideale di mascolinità contaminata: un uomo antico ed efebico, un cavalier servente. Le pose di figure maschili della pittura rinascimentale dialogano con la gestualità stereotipata della donna Dior. I tessuti della collezione donna di Marzotto del 1951 sono ripensati per un guardaroba maschile contemporaneo, accostando texture tradizionali a tessuti tecnici. Una virilità gentile ma potenziata dalla corporatura tonica di uno sportivo del dopolavoro Marzotto a Valdagno.

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RE-PRINT_Adriana Suriano, Irene Miele Lo studio si sofferma su 40 timbri – conservati nel Museo delle Macchine Tessili – utilizzati per riprodurre illustrazioni nelle dispense didattiche degli anni 30 e 40 in una scuola di tecnica tessile. Analizzando con attenzione, questi timbri sono matrici di figure riconducibili a tre ambiti: la meccanica (illustrazioni sul funzionamento delle macchine di filatura e di tessitura), la costruzione del tessuto (rappresentazioni degli intrecci di ordito e trama), la chimica (formule della composizione di fibre o di tinture). L’analisi di queste illustrazioni evidenzia le ambiguità insite nelle semplificazioni didascaliche di un sapere robusto. Da qui nascono interrogativi su quale sia la rappresentazione dei tre tradizionali ambiti del tessile nel panorama manifatturiero attuale. Quale impronta lascia il timbro tessile contemporaneo?

RIMESSA IN MOTO_Irene Miele, Adriana Suriano Il progetto combina immagini d’archivio che ritraggono la fabbrica Marzotto in piena attività, e immagini raccolte dagli studenti durante i sopralluoghi al Museo delle Macchine Tessili. A queste immagini si associano due tipi di narrazione: la prima è il racconto orale di Cirillo Crosara, ingegnere tessile e docente, svolto durante la visita al Museo; la seconda si sviluppa attraverso il disegno ed evidenzia il corpo nell’assimilazione delle informazioni e durante la loro riattivazione. La ricerca considera i diversi binomi che scaturiscono dall’accostamento di questi materiali: temporale, tra ieri e oggi; tecnico, tra attivo e spento; fisico, tra gesto dell’operaio e gesto dell’apprendimento; narrativo, tra racconto orale e racconto progettuale disegnato. Diversi livelli di restituzione di una realtà che è attraversata da temporalità e sensi molteplici.

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TESSILE INFORMALE_Marta Busatto Si considerano alcuni scatti fotografici pubblicati nelle riviste aziendali Marzotto e altre testimonianze visuali sul lavoro nella manifattura tessile tra gli anni Trenta e Sessanta che raccontano un’organizzazione fabbricacittà di vastità inusitata e quasi misteriosa agli occhi contemporanei. Il progetto cerca di stabilire connessioni fra due mondi e due tempi. Considera l’attività in fabbrica e l’abbigliamento da lavoro – camici, grembiuli, tute – di cui esalta la debole caratterizzazione di genere. Mantiene dunque il carattere “informale” di queste tipologie vestimentarie, e ne modifica la consistenza dei tessuti ricorrendo a trattamenti di spalmatura, che infine producono alterazioni ai volumi dei capi finali.

UNIVERSITÀ, MANIFATTURA, PAESAGGIO POSTINDUSTRIALE. DESIGN E TEMPORARY HOSTING_Ludovica Imperato, Ethel Lotto, Mario Lupano Il quaderno ordina e descrive le fasi del workshop di progettazione "Tessile Pedemontano e Temporary Hosting". Mette a fuoco i temi che hanno indirizzato le riflessioni progettuali degli studenti nonché il carattere del workshop stesso, inteso come esperienza di temporary hosting e come acceleratore intensivo e flessibile di scambi fra realtà manifatturiere, scuole e università, istituzioni per la ricerca, talenti e idee innovative che si sviluppa secondo la modalità pulsante e intermittente delle incursioni temporanee. Diagrammi e mappe concettuali descrivono un territorio di connessioni e legami inaspettati.

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CONFRONTI Ethel Lotto Il workshop, con l’obiettivo di costruire connessioni fra realtà manifatturiere, scuole e università, nel suo svolgimento ha maturato un confronto fra istituzioni che si occupano di formazione dei tecnici e dei creativi nel settore del tessile e dell’abbigliamento. Da un lato – attraverso l’esempio dello storico Istituto Tecnico Industriale V.E. Marzotto, con annesso Museo delle Macchine Tessili – ha analizzato un modello didattico legato a una storia industriale primonovecentesca per la formazione di periti e chimici del tessile. Dall’altro un modello legato alla cultura del design e della moda, come i corsi di laurea in Design della moda istituiti all’Università Iuav di Venezia. Un terzo modello, quello sperimentale del temporary hosting, è un agile strumento di connessione tra impresa e diverse realtà che si occupano di formazione. L’istituto Tecnico Industriale di Valdagno nasce nel 1933 come “Scuola tecnica industriale per tessitori e meccanici” e da trasformazioni della precedente “Scuola pratica festiva di disegno“ fondata nel 1898. Nel 1936 la scuola trova una nuova e moderna sede nell’edificio costruito nel quartiere dedicato alle istituzioni scolastiche della Città dell’Armonia, progettata da Francesco Bonfanti, e voluta da Gaetano Marzotto. Nel 1942 si trasforma in Istituto Tecnico Industriale V.E. Marzotto, il modello manifatturiero prevede che i comparti tessili abbiano annessi gli istituti per la formazione dei futuri tecnici delle manifatture medesime. Nella pubblicazione che celebra il venticinquesimo anniversario della fondazione dell’istituto1, è descritta l’articolazione degli spazi, i quali attraverso una serie di ampliamenti successivi arriveranno ad occupare un’area di circa 10.000 mq, dove oltre alle aule e agli spazi di servizio trovano posto numerosi laboratori: per la filatura cardata, per la filatura pettinata, per la tessitura con telai a mano e meccanici, per la tintoria industriale e chimica (questi ultimi introdotti nel 1962 per il nuovo indirizzo di Chimica industriale, nato con la trasformazione dell’istituto tecnico in istituto professionale). Il Museo delle Macchine Tessili, fondato nel 1999 con l’intento di testimoniare la storia tecnologica e la cultura materiale di un settore produttivo che ha segnato profondamente città e territorio, è allestito in una parte

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degli originari laboratori di filatura, preparazione e tessitura dell’Istituto Tecnico Industriale V.E. Marzotto, e in realtà è il luogo in cui si conservano le macchine dismesse dei laboratori didattici. I corsi di laurea in Design della moda dell’Università Iuav di Venezia sono attivi dal 2005. Tale proposta formativa nasce in un periodo di crisi della manifattura e di contemporanea ricerca di nuovi ruoli e attributi identitari nel quadro di una realtà postindustriale. All’interno dell’Università alcune esperienze didattiche e di ricerca sul design del tessuto istituiscono relazioni attraverso indagini d’archivio e a partire dal patrimonio delle manifatture dislocate sul territorio veneto. In questo quadro vanno ricordate le esperienze maturate nell’ambito del progetto “Archivi vivi” in collaborazione con il comune di Schio, come la mostra Elda Cecchele: In forma di tessuto, negli spazi del Lanificio Conte (2010), il workshop Under the Cover, in collaborazione con l’Archivio Lanerossi, e l’omonima mostra allestita a Venezia nelle Sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana; e anche i workshop e le mostre in connessione con il Lanificio Paoletti di Follina: Refuso Tessile (2013) e Storytelling-Storymaking (2014). Il punto di vista di una università del design si esprime anche attraverso un’attività di didattica e di ricerca capace di intercettare imprese disponibili al confronto e alla sperimentazione. Così potrà affiorare una geografia nuova, non più coincidente con quella dei distretti industriali rilevati attraverso valutazioni di timbro primariamente economico quantitativo.Per intercettare meglio queste realtà disseminate sul territorio e per attivare con esse connessioni di tipo temporaneo eppure efficaci nel produrre concatenazioni virtuose, per individuare nuove strade per la didattica e la ricerca sembra utile riflettere su modelli comportamentali quali le residenze d’artista, esperienze in cui l’artista o il designer fertilizza il territorio dove momentaneamente si stabilisce attraverso un lascito del suo lavoro e al tempo stesso egli si arricchisce degli umori e delle risorse del territorio in cui è stato invitato. Queste modalità si possono rivelare molto utili in contesti che esprimono il bisogno di flussi di innovazione e creatività. Le realtà laboratoriali collettive e site specific che spesso identificano una comunità temporanea si rintracciano anche nelle espressioni della cultura informale delle tribù metropolitane, oppure all’opposto si ritrovano

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Como GRUPPO RATTI

Mussolente RENATA BONFANTI TESSITRICE

Molvena LANIFICIO BONOTTO Schio ARCHIVIO LANEROSSI Spazio espositivo Lanificio

Galliera Veneta LABORATORIO ELDA CECCHELE STORYTELLINGSTORYMAKING 2014 Workshop e mostra Progetto di ricerca FSE

ELDA CECCHELE IN FORMA DI TESSUTO 2010-2011 Mostra e libro

Valdagno MARZOTTO TESSUTI Stabilimento produttivo _Fausto Brugnara Ufficio disegnatori _Franco Fabrello Ufficio risorse umane Marzotto Group _Massimo Lolli _Luca Vignaga

Vittorio Veneto LANIFICIO BOTTOLI

Follina LANIFICIO PAOLETTI

REFUSO TESSILE: RICICLO APERTO DI TESSITURE RESPINTE 2013 Workshop e mostra Progetto di ricerca FSE

FASHION AT IUAV 2012,2013,2014 Sfilata di fine anno

Valdagno ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE V.E. MARZOTTO _Afra Gecele, dirigente scolastico Valdagno MUSEO DELLE MACCHINE TESSILI _Cirillo Crosara, ingegnere tessile

Padova ISTITUTO STATALE D’ARTE P.SELVATICO

TESSILE PEDEMONTANO E TEMPORARY HOSTING Docenti _Mario Lupano _Assegnista _Ethel Lotto Studenti _Daniele Bellonio _Alessia Beraldin _Marta Busatto _Federico Cassani _Francesca Cifani _Monica Evola _Giulia Geromel _Ludovica Imperato _Irene Miele _Francesca Piacentini _Ester Rigato _Tonia Salomè _Filippo Soffiati _Adriana Suriano Interventi _Elda Danese _Riccardo Dirindin _Fabio Quaranta _Alessandra Vaccari

UNDER THE COVER 2013 Workshop e mostra

TEXTILE AND FASHION HUB 2014 Progetto di ricerca FSE

Treviso CORSO DI LAUREA IN DESIGN DELLA MODA Università Iuav di Venezia Biblioteca Spazi laboriatorali

ICHINOMIYA TEXTILE AWARD 2008-2014

Venezia ARCHIVIO PROGETTI Università Iuav di Venezia Fondo Francesco Bonfanti Venezia Ex-cotonificio Santa Marta, Aula O2 Università Iuav di Venezia

Mappa delle relazioni attivate dal workshop tra università, istituzioni per la formazione e la ricerca e manifatture, nel territorio veneto

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Ichinomiya (Japan) DISTRETTO TESSILE


in forme preordinate dalle istituzioni culturali e dalle imprese e vengono interpretate come efficaci strumenti per produrre riflessioni ad alta intensità energetica. A questi modelli si possono riferire anche le università quando diventa chiaro che i ritmi dei momenti formativi sono cambiati, oppure quando una didattica intensiva cerca rapporti con il mondo aziendale e progetta workshop dislocati sul territorio e in stretto contatto con la geografia delle imprese divenute consapevoli dell’efficacia di tali strumenti nel quadro della ricerca e dell’innovazione. Note 1 P. Colpo, F. Tizian, ITISVEM, Italgraf, Padova 1967

INCURSIONI PROGETTUALI E TEMPORARY HOSTING Mario Lupano Così possiamo ipotizzare un programma che lavora ai confini e che registra nuove modalità di produrre relazioni culturali e innovazione. Un programma che lavora all’affermazione di situazioni per il temporary hosting a Valdagno, presso il Museo delle Macchine Tessili e gli ambienti dei laboratori dell'Istituto Tecnico Industriale. Situazioni in cui l’ospitalità si intreccia con lo studio e la sperimentazione sul campo, secondo le consuetudini della formazione d’eccellenza e della ricerca, o secondo ritualità laboratoriali per esercitare l’artigianato più sofisticato. Situazioni con carattere agile e intermittente, site-specific e communit -specific. Il temporary hosting coltiva e favorisce gli sguardi obliqui, moltiplica le interferenze tra campi e comunità differenti. Spesso implica la costruzione di comunità temporanee, che condividono molti spazi comuni, facilmente adattabili e colonizzabili in modi differenziati, a seconda delle esigenze altamente specializzate che di volta in volta si rendono necessarie. Implica la costruzione di isole per comunità in scadenza. Isole dotate di molti punti d’attracco, che facilitano le interferenze fra comunità in transito e comunità locali. Il temporary hosting suggerisce processi di riattivazione e aperture ai paesaggi del possibile, oppure rivela la chiusura di un ciclo e la dismissione definitiva, senza rincrescimenti.

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coordinamento: Paola Viganò Andrea Curtoni Giulia Mazzorin studenti: Sabrina Cagnin, Luca Zanette, Tommaso Pietropolli, Alessio Tamiazzo Anastasia Angelidou, Carmen Van Maercke, Caterina Rosso, Marine Declève, Zhang_Yufei, Andrea Verni, Daniel Zelayarán Gámez, Nickee Lee azienda partner: Lago S.p.a.

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URBS IN HORTO

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Girolamo Tessari, Santuario del Monte, seconda metĂ del XV secolo.

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URBS IN HORTO. NUOVI CICLI DI VITA PER LE PLACCHE INDUSTRIALI NELLA CITTÀ DIFFUSA

URBS IN HORTO Paola Viganò La ricerca nazionale Re-Cycle Italy ha attraversato anni difficili per la società e l’economia italiane. Lo sguardo che essa ha posato sul territorio, attraverso esperienze di viaggio, di progetto, di discussione non si è limitato ad una ricognizione della crisi. A partire da una riflessione sulla possibile apertura di nuovi cicli di vita, e dunque della città come risorsa, ha messo in luce molte delle potenzialità contenute nello spazio, anche quando abbandonato, sotto o male utilizzato. Una riflessione in profondità ha riguardato alcuni brani della città diffusa e le innumerevoli aree produttive disperse che la compongono. L’ipotesi che ha guidato la ricerca avente per oggetto lo studio della riqualificazione e del riciclo degli spazi della produzione dell’area centrale del Veneto è che capannoni e territorio, nel loro farsi e disfarsi, possono essere immaginati come “risorse rinnovabili”. Entro un ambito limitato, ma esemplare, del territorio diffuso - il Camposampierese, luogo di sperimentazione istituzionale e di ambizioni politiche e sociali - abbiamo indagato gli spazi, le qualità del sistema produttivo e insediativo, effettuato lunghe campagne di rilievo sul campo, interviste, momenti di dialogo con i diversi attori; abbiamo individuato un insieme articolato di realtà produttive (nei termini di connessione o isolamento infrastrutturale, di scala, di prossimità e grado di mescolanza con i tessuti dell’abitare); abbiamo realizzato carte e immaginato scenari, progettato strategie e dispositivi spaziali aventi per oggetto la sua progressiva trasformazione e metamorfosi. Osservare la città diffusa dal punto di vista di una delle sue icone, il capannone, può generare l’equivoco che la crisi di questo territorio ed il

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progetto di riciclo della città diffusa possano essere immaginati a partire da quest’unico oggetto. Al contrario, la prima mossa compiuta dalla ricerca, per dare sostanza all’ipotesi di una città-territorio come risorsa rinnovabile, è stata quella di inserire il capannone in una reinterpretazione complessiva della città diffusa, in una riflessione sui suoi caratteri e sulle relazioni complesse che si definiscono tra ambienti eterogenei, dove agricoltura e produzione si toccano e interpenetrano. Abbiamo cioè collocato il capannone entro una visione e un’immagine, allo stesso tempo radicate e dense di possibili innovazioni: l’Urbs in Horto. All’interno di questa immagine, il progetto di luoghi del lavoro ripensati e riqualificati intende valorizzare il capitale spaziale e naturale che intercetta le piattaforme industriali e innescare un processo ampio di riciclo. Inserite sovente in un grande giardino coltivato, in un territorio solcato da acque e biodiversità, molte di esse potrebbero proporre una nuova ed altissima qualità ambientale valorizzando gli spazi ibridi e gli accostamenti inusuali che ne definiscono lo spazio. La nostra ipotesi è che un contesto meglio attrezzato e disegnato, il consolidamento di sinergie oggi non comprese o male interpretate possono rafforzare l’attrattività e la competitività di luoghi dispersi che si scoprono marginali dopo essere stati, per alcuni decenni, uno dei motori più importanti dello sviluppo italiano. Urbs in Horto propone una visione per la città diffusa. Essa è coerente e si alimenta di alcuni concetti esplorati nel corso di ricerche precedenti, integrandone i risultati principali: 1 Il progetto dell’isotropia: la densità del supporto infrastrutturale di questo territorio, le razionalizzazioni che si sono stratificate nel tempo lungo, costruisce possibilità di abitabilità diffusa, offrendo le stesse condizioni in tutte le direzioni (isotropia). Molte delle sfide ambientali, legate alla mobilità e all’accessibilità, alla distribuzione e localizzazione dei servizi, alla produzione di energia e alla riduzione del rischio idraulico possono essere affrontate entro uno schema d’ordine non gerarchico, entro una “sintassi isotropica”. Da questa prima ipotesi deriva il tema della valorizzazione del supporto diffuso, l’attenzione alle forme, diffuse, dell’acqua, della biodiversità, dello spazio pubblico, dell’accessibilità. 2 High Inten-city e Low Inten-city: lo scenario di una città diffusa non più dipendente dall’automobile apre nuove prospettive e permette una nuova articolazione dello spazio in relazione alla mobilità. Lo scenario

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immagina un investimento nel trasporto pubblico e innumerevoli modalità di mobilità lenta, dolce, condivisa. Da questa seconda ipotesi discendono strategie differenziate per le due città, ad alta e a bassa intensità (di riciclo, densificazione, trattamento delle piattaforme industriali, organizzazione dei servizi per anziani…). Nella prima città, ad alta intensità, il trasporto pubblico è strutturante e rafforza alcune organizzazioni lineari che si prestano a politiche radicali di riduzione dello spazio dell’automobile. Nella seconda città, a bassa intensità, sistemi di percolazione come bus a chiamata e taxi collettivi si aggiungono alla mobilità attiva che si appoggerà alla rete di strade bianche nelle aree più distanti e immerse nella campagna. 3 Urbs in horto: la terza ipotesi e visione d’insieme per la città diffusa affianca alle precedenti una riflessione sulla sua capacità di integrare la produzione nelle diverse forme, dall’agricoltura all’industria manifatturiera, costruendo paesaggi che includono la produzione di cibo e di energia (alle diverse scale: dal consumo familiare nell’orto di casa, alle forme industriali di agricoltura e di produzione energetica, e questo diversamente dalla città densa). La produttività diffusa non è certo un’invenzione recente in questo territorio, disegnato e manipolato in ogni sua parte, suddiviso, drenato, irrigato e coltivato. Grandiosa nuova natura, nella straordinaria citazione di Cicerone nel secondo volume di De Natura Deorum diventa “seconda natura”: “E’ opera nostra lo sfruttamento dei monti e delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i terreni con opere di canalizzazione e di irrigazione, che arrestiamo, che incanaliamo, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in ultima analisi, di costituire in seno alla natura una specie di seconda natura (altera natura)”. Questo periodo famoso, ripreso tra l’altro da John Dixon Hunt1, mette in primo piano uno spazio di natura espulso dal progetto della città moderna e quindi anche dal suo paesaggio. Di qui la necessità di riflettere sul progetto di un territorio interamente produttivo, sui processi di riciclo in corso, di selezione e di aggiustamento che interessano non solo le piattaforme industriali, ma il suolo e la produzione agricola, insieme al governo delle acque (rischio idraulico, tecniche di irrigazione e spazio pubblico), il sistema dei servizi e delle infrastrutture. Da questa riflessione nascono due ipotesi di ricerca: la prima riguarda l’iconografia dei territori diffusi, lo studio della loro nuova e variegata immagine, non semplice da decifrare ma dotata di grande forza e

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immagine promozionale tratta da Catalogo LAGO 2014

URBS IN HORTO , un'icona per la cittĂ del XXI secolo

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riconoscibilità: la città diffusa come icona della città del XXI secolo sosteneva Bernardo Secchi. La seconda ipotesi, a partire dalle tre nature, riguarda i nuovi cicli di vita dell’Urbs in Horto, un’immagine forse ancora allargabile all’intero nostro paese, da sempre definito il giardino del mondo. Urbs in Horto potrebbe essere l’inizio di un nuovo racconto e di un nuovo progetto urbanistico che non separa ma unisce. Note

1 John Dixon Hunt, Greater Perfections: The Practice of Garden Theory, Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2000

NUOVI CICLI DI VITA PER LE PLACCHE INDUSTRIALI NELLA CITTÀ DIFFUSA* Giulia Mazzorin, Andrea Curtoni 1. Partner operativo della ricerca è una delle eccellenze imprenditoriali locali, LAGO spa, produttore di arredi il cui design ha raggiunto notorietà internazionale. LAGO sperimenta, anche attraverso nuove strategie di marketing, la produzione di uno stile di design degli interni capace di influire profondamente sulla qualità della vita dei propri clienti anche attraverso il disegno complessivo degli ambienti interni in cui abitano. “It’s time to design the Interior Life” è il motto che ha stimolato una prima riflessione insieme a LAGO: come è possibile mettere in relazione il disegno e la produzione degli spazi interni con la pratica del disegno e della produzione dello spazio urbano? Possiamo cioè compiere una riflessione complessiva sugli stili di vita (interiore) senza prendere in considerazione ciò che sta fuori? “Come possiamo convincere i migliori designer del mondo a scegliere di lavorare qui piuttosto che a New York?” ci chiede Daniele Lago. Lo showroom e l'area produttiva LAGO è costituita da tre edifici che, nell’area industriale di Squizzato (Villa del Conte, Pd) si differenziano, per la qualità architettonica, dai capannoni industriali limitrofi, mantenendo esclusivamente all'interno dei limiti di proprietà la cura per la qualità dello spazio. L’area industriale, infatti, come le altre zone con la stessa destinazione d'uso , non sembra essere un luogo adeguato ad accogliere una dimen*Il contributo è frutto di una elaborazione comune e di una scrittura condivisa. Ai soli fini della riconoscibilità, la parte 1. è attribuita a Giulia Mazzorin, la parte 2. è attribuita ad Andrea Curtoni

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Alessandro YOBO AQUACOLTURA vendita prodotti ittici d'acqua dolce allevati in acqua di risorgiva

Azienda agricola LA FONTANA allevamento di 250 mucche per produzione di latte e formaggio un negozio per vendita diretta + 2 distributori automatici

Azienda agricola PEGORARO allevamento di 200 mucche per la produzione di latte 10 distributori automatici di latte collaborazione con l'universitĂ di veterinaria di Padova mercato provinciale

Sig. MARIO Orto urbano condominiale produzione di verdure per 3 famiglie

Percorsi ed incontri del sopralluogo di studio

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Azienda agricola GIOVANNI LORENZIN allevamento di 65 mucche per la produzione di latte per il mercato locale micro produzione di carne per una rete privata di conoscenti

Azienda agricola AL CEPPO allevamento di 90 mucche per produzione di latte e carne, 30 per il latte e 60 per la carne 80 campi coltivati per alimentazione animali Agriturismo con 7 camere da 4 persone

sig.ra MADDALENA Orto privato per autoproduzione produce verdure per 5 famiglie

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Fam. BALLAN abitanti dell'area industriale

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Osteria QUINTO VIZIO ristorante di pesce che non utilizza prodotti locali

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sione umana di incontro e scambio tra le persone, al contrario, lo spazio costruito appare incompiuto e casuale, completamente sordo alle qualità naturali che potrebbero attraversarlo e qualificarlo. Un primo obiettivo della ricerca è quello di produrre una maggiore integrazione tra spazio, tempi di lavoro, altre funzioni di uso pubblico ed una rinnovata attenzione alle problematiche ambientali. La prospettiva è quella di ricerca-azione, un processo empirico di costruzione di conoscenza attraverso il design e l’azione. Si tratta di stimolare un processo che diventa strumento di rinnovamento urbano per migliorare le condizioni di lavoro e promuovere una nuova immagine della "città diffusa" e dello spazio di produzione. Se il capannone è stato il punto di partenza per una "manipolazione simbolica" del modello economico diffuso negli anni passati, ora, dopo la crisi, la prima mossa che la ricerca si propone è quello di estendere questa manipolazione simbolica a tutto il territorio produttivo. Il workshop Ve.Net è stata l’occasione per esplorare una porzione di territorio produttivo Veneto per delineare nuove strategie di intervento a partire dal riciclo del patrimonio paesaggistico e infrastrutturale esistente. Può l'esperienza diretta attraverso questi spazi insegnarci come ripensarli? In che modo un viaggio attraverso questi territori può tornare ad essere trasformato di nuovo in una fondamentale esperienza educativa? Questa fase esplorativa della ricerca “Urbs in Horto” è stata condotta realizzando una serie di attraversamenti a piedi ed in bicicletta al di fuori dei confini della zona industriale, per mappare le criticità e le potenzialità dell'area attraverso una lettura accurata delle risorse e delle specificità locali. Nel fare questo si è data molta attenzione all'incontro con gli abitanti del luogo per registrare i bisogni della popolazione, le abitudini ed i modi di vivere il territorio in relazione agli spazi di cui si dispone. 2. L'area esplorata è compresa entro i limiti amministrativi della Federazione del Camposampierese, fusione per incorporazione dell’Unione dei Comuni del Camposampierese e dell’Unione dell’Alta Padovana, con i comuni di Borgoricco, Campodarsego, Camposampiero, Santa Giustina in Colle, San Giorgio delle Pertiche, Loreggia, Massanzago, Piombino Dese, Trebaseleghe, Villa del Conte, Villanova di Camposampiero. Undici comuni che nel 2011 si sono uniti con l'obbiettivo di sviluppare una nuova logica territoriale in grado di mantenere e migliorare il livello di competitività nella produzione e promuovere la promozione territoriale.

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La CittĂ nell'Orto produttivo, collage per la costruzione della base del modello

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Accanto al partner operativo LAGO è stato fondamentale coinvolgere i soggetti istituzionali interessati e impegnati nella promozione del sistema rurale dell’ambito locale e nel potenziamento dell’offerta turistica. “Valle Agredo” è il piano strategico per il turismo avviato dalla Federazione del Camposampierese che comprende diversi segmenti turistici: dai classici tematismi come quello religioso, storico-culturale, ambientale, enogastronomico, tra i quali il più rilevante è il turismo rurale, alla riscoperta e valorizzazione dei percorsi cicloturistici diffusi nella rete minuta delle strade bianche, al turismo d’impresa, con la possibilità di vistare le aziende. In questo senso la ricerca si muove dal capannone verso un vasto paesaggio produttivo, un orto per l'appunto, in cui molte delle piattaforme industriali potrebbero diventare esempio di un nuovo e alto livello di qualità ambientale, valorizzando le giustapposizioni ibride e insolite che definiscono lo spazio nella "città diffusa”. “Urbs in Horto” con il riciclo della città diffusa investe tutte le risorse territoriali e permette la creazione di nuovi dialoghi tra l’interesse privato (LAGO, “It’s time to design the Interior Life” ) e l’istituzione pubblica (Federazione del Camposampierese, “Valle Agredo” ) sfruttando la loro vicinanza e integrazione. Durante i primi tre giorni di workshop il gruppo di lavoro ha vissuto in un agriturismo a poche centinaia di metri dall'area industriale di Squizzato, percorrendo e riscoprendo la fitta rete di strade bianche ha incontrato i piccoli-medi produttori che vivono e lavorano nell'area, sostando nei luoghi di interesse ha conosciuto e assaggiato direttamente i prodotti che si possono trovare nella Valle Agredo. Dalle interviste con i produttori locali è emersa una criticità: l'utilizzo di alcune colture (mais, soya, sorgo ) per la produzione di energia (bio-gas) con la conseguente riduzione degli spazi per la produzione alimentare e per foraggiare gli allevamenti bovini. I dati raccolti rivelano un territorio in trasformazione verso l'accentramento della produzione entro grandi aziende, il costante aumento della dimensione media dei campi, il pervadere delle monoculture con la conseguente riduzione della complessità dell' assetto del paesaggio, della biodiversità e del suo valore ecologico.

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QUARTA PARTE: LA NARRAZIONE DEL TERRITORIO COME STRUMENTO DI PROGETTO

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ALL THAT JAZZ Renato Bocchi

“Un istante dopo, Alice scivolava giù correndogli appresso, senza pensare a come avrebbe fatto poi per uscirne. La buca della conigliera filava dritta come una galleria, e poi si sprofondava così improvvisamente che Alice non ebbe un solo istante l’idea di fermarsi: si sentì cader giù rotoloni in una specie di precipizio che rassomigliava a un pozzo profondissimo. Una delle due: o il pozzo era straordinariamente profondo o ella ruzzolava giù con grande lentezza, perché ebbe tempo, cadendo, di guardarsi intorno e di pensar meravigliata alle conseguenze. Aguzzò gli occhi, e cercò di fissare il fondo, per scoprire qualche cosa; ma in fondo era buio pesto e non si scopriva nulla. Guardò le pareti del pozzo e s’accorse che erano rivestite di scaffali di biblioteche; e sparse qua e là di mappe e quadri, sospesi a chiodi. Mentre continuava a scivolare, afferrò un barattolo con un’etichetta, lesse l’etichetta: «Marmellata d’Arance» ma, oimè! con sua gran delusione, era vuoto (…).E giù, e giù, e giù! Non finiva mai quella caduta? - Chi sa quante miglia ho fatte a quest’ora? - esclamò Alice. - Forse sto per toccare il centro della terra. Già saranno più di quattrocento miglia di profondità. (…) ma vorrei sapere a qual grado di latitudine o di longitudine sono arrivata. (…) Forse traverso la terra! E se dovessi uscire fra quelli che

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camminano a capo in giù! (…) - E sempre giù, e sempre giù, e sempre giù! (…) quando, patapunfete! si trovò a un tratto su un mucchio di frasche e la caduta cessò. Non s’era fatta male e saltò in piedi, svelta”. Perché mai compare qui l’Alice di Lewis Carroll con tutto il suo carico di esilarante non-sense ? - vi chiederete. La risposta è delle più banali: il solerte editor di questo libro ha usato Alice come “testo riempitivo”, in attesa della consegna del mio testo effettivo. Ma a me è sembrato subito che il caso mi offrisse una splendida occasione di riciclo letterario quale incipit del mio testo. (Mi è capitato appena pochi giorni fa, altrettanto casualmente, di citare – durante un dibattito all’Iuav con Nicola Emery - il non-sense di Lewis Carroll o di Edward Lear come un possibile esempio di paradossale fantasioso “senso delle cose”, accostandolo ai fenomenali procedimenti creativi proposti da Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia.) Si tratta di un esempio banale di procedimento creativo (o meglio ancora ri-creativo) di ri-ciclo, che è esattamente ciò che cerca la nostra ricerca: non certo riciclare per usare a tutti i costi gli scarti dei processi produttivi capitalistici o dei loro esiti edilizio-territoriali, con afflato ecologico-buonista; ma riciclare semmai per dare nuovo senso, nuova vita, a quelli - fra gli innumerevoli scarti - che possono servirci a disegnare appunto nuovi orizzonti di senso, sovrascrivendo , anche con un tocco di ludica ironia, il palinsesto dell’esistente patrimonio di “cianfrusaglie” (rubo il termine alla splendida Szymborska, spero mi perdonerà). Ma torniamo allora ad Alice: precipita da una conigliera in una specie di pozzo che attraversa il globo terracqueo, in un vero e proprio viaggio geologico - traversandolo come un neutrino dentro un tunnel verso il Gran Sasso (mi perdoni Maria Stella Gelmini) - e, vedi caso, sfila davanti a un’immensa biblioteca-pinacoteca borgesiana, quasi a cibarsi di tutto il sapere umano, e agli antipodi (il mondo capovolto non è forse la città inversa di cui continuiamo a parlare, il rovesciamento d’ottica che predichiamo per dare un nome nuovo alle vecchie cianfrusaglie riciclate?) atterra su un mucchio di frasche senza farsi miracolosamente alcun male, più vispa che mai e pronta a visitare il paese delle meraviglie.

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Provate a mettere il Veneto al posto del globo terracqueo, il “carotaggio” citato più sopra da Caldarola al posto del pozzo, i luoghi del welfare di Maria Chiara Tosi al posto dell’immensa biblioteca-pinacoteca, e al posto della squisita marmellata d’arance un cespo di radicchio trevigiano e un bicchiere di prosecco – poi magari, invece di volare giù, provate a pedalare su una bicicletta lungo il Piave, il Bacchiglione o il Marzenego – e… dalla conigliera della città diffusa potrete atterrare sani e salvi in una rediviva Venezia, piena di factories creative, oltre che di conigli bianchi. Il sogno è servito. … Già! le factories vanno assai di moda, a rappresentare l’unica vera forza vitale rimasta probabilmente al vecchio stanco continente Europa e ancor più all’Italia: la nostra residua energia creativa, in nome e per conto di quelle start up cui si affidano le speranze di futuro delle giovani generazioni. Start up sta in fondo assai vicino al concetto di “nuovi cicli di vita” che insegue la nostra ricerca: è in questa spinta che la tanto decantata (nel senso del celebrare), ma ormai altrettanto decantata (nel senso della decantazione), economia sommersa dei territori del Nord Est sta cercando il suo riscatto. Il tessuto produttivo che “tiene”, negli anni della crisi, è quello che si ricicla e si reinventa fondandosi su tale creatività o ri-creatività, che talvolta può sembrare talmente capovolta e azzardata da apparire addirittura insensata quanto la storia di Alice. (Di nuovo riecheggia la stretta consonanza del binomio creativo-ricreativo sollecitatami dall’ascolto di una lezione a proposito di teorie del riciclo tenuta a Venezia da Nicola Emery, in cui chiosava un aureo libretto, “Filosofia del rotto”, scritto nel 1924 dal tedesco Alfred Sohn-Rethel ad elogio dell’”arte dell’arrangiarsi” dei Napoletani: “per il Napoletano – scriveva Sohn-Rethel - l’essenza della tecnica sta nella messa in funzione del rotto. Nel trattamento dei macchinari difettosi egli è assolutamente sovrano e va ben al di là di ogni tecnica. Per la sua abilità di bricolage e per la prontezza di spirito con la quale spesso dinanzi a un pericolo riesce, con irrisoria semplicità, a ricavare da un difetto un salvifico vantaggio, egli ha più di qualche tratto in comune con l’americano. Ma in lui c’è la suprema ricchezza inventiva del bambino e tutto gli riesce, come al bambino. Come ai bambini, la ruota della fortuna gira volentieri a suo favore”. Nulla di

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meno tecnico-ingegneristico, bensì di prettamente creativo e in definitiva artistico, dell’italica ”arte di arrangiarsi” – vedasi più sopra le ricerche “di moda” di Lotto su Marzotto o le sofisticate ipotesi circa l’uso degli “archivi dello scarto” in ambiente lagunare di Sissi Roselli, peraltro studiosa per suo conto di un altro maestro d’ironia nella costruzione di visionarie macchine architettoniche, più o meno celibi: parlo di Cedric Price.) Le start up – dicevo – fanno il paio, in tema di ri-ciclo architettonico, con la manipolazione di manufatti ed aree dismesse o abbandonate a scopo reinventivo: in molti casi quel fenomeno socio-produttivo, anzi, abita manufatti fisici sottoposti a tale processo ri-generativo, facendo coincidere i due processi. Ma questo fenomeno, nella sua possibile diffusione capillare, sembra preludere anche ad un ruolo strategico-territoriale decisivo per i processi trasformativi del sistema insediativo su larga scala, unendosi alle politiche di rete (di mobilità lenta e di sostegno ad un tessuto produttivo e anche turistico “di prossimità”) che innervano i possibili scenari della Smart Land, ovvero di “quell’ambito territoriale nel quale sperimentare politiche diffuse e condivise orientate ad aumentare la competitività e attrattività del territorio con un’attenzione specifica alla coesione sociale, alla diffusione della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di movimento, alla fruibilità dell’ambiente e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini” (Aldo Bonomi, “La metamorfosi dei territori”, in: Bonomi A. e Masiero R., Dalla smart city alla smart land , Marsilio, Venezia 2014). La logica itinerante e “rabdomantica” (vedasi al proposito le “letture in movimento” della memoria profonda dei territori proposte da Mario Maffi nei suoi libri su fiumi e città e per ultimo nel recente Città di memoria, il Saggiatore, Milano 2014) con cui la nostra ricerca ha inteso mappare a mosaico e in prima ipotesi ri-progettare – con particolare attenzione alle potenzialità di un nuovo turismo “locale” - le relazioni territoriali fra rete idrografica, ondulazioni orografiche e arcipelaghi insediativi del Veneto – in primis quello pedemontano – va dunque esplicitamente alla ricerca di un’armatura affatto nuova dei tessuti produttivi e abitativi, che vuol sfruttare in positivo sia la presenza di molte infrastrutture obsolete o abbandonate sia la valorizzazione di telai ben più antichi di strutturazione del territorio, fondati sul suo stesso impianto geografico. Una rete che è materiale e fisica quanto anche immateriale e virtuale, ma che ambisce comunque a continuare a fondarsi, in nome dell’innovazione e della creatività, sulla

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conoscenza e la re-interpretazione in chiave storico-geografica degli “strati profondi” di tali terre. Il ri-ciclo si coniuga perciò strettamente con l’eredità del passato, al di fuori di qualsiasi istanza nostalgica, ma ricercando piuttosto in quell’eredità o “tradizione” germi di futuro, a favore di nuovi cicli di vita, appunto. In tal senso anche le “cianfrusaglie” più o meno inservibili, più o meno affettuosamente conservate – siano esse infrastrutture o edifici dismessi o abbandonati o obsoleti - possono rivelarsi spesso un patrimonio prezioso per il progetto. E’ essenziale tuttavia intuire le potenzialità innovative con cui tale riciclo può essere esercitato, e qui gli scenari o le visioni aperti dalla creatività e dal progetto diventano necessari punti di riferimento. L’esperienza Ve.net - che origina insieme dalla ricerca Recycle Italy e dal parallelo programma di 8 assegni di ricerca coordinati finanziati dalla Regione Veneto con il Fondo Sociale Europeo - si è voluta strutturare in modo plurale e aperto, offrendosi come una piattaforma dove far confluire e confrontare approcci ed esperienze diverse. Il quadro d’unione realizzato attraverso il grande modello o plastico interpretativo ha restituito del territorio e dei suoi problemi una mappatura non convenzionale e complessa, ma assai ricca di stimoli: una mappatura più vicina forse alle mappe urbane psico-geografiche dei Situazionisti o ad altre consimili “cartografie artistico-creative” dell’arte contemporanea (cfr. in merito l’interessante recente rassegna curata da H.U.Obrist per i tipi di Thames & Hudson nel 2014 al titolo Mapping It Out. An Alternative Atlas of Contemporary Cartographies) o anche alle narrazioni letterarie “rabdomantiche” di Mario Maffi che prima citavo, piuttosto che a una mappa tradizionale o a un semplice collage. Ma è esattamente questo il “viaggio endoscopico” nel corpo del Veneto che intendevamo intraprendere, giocando la carta difficile di articolare approcci e strumenti differenti, correndo il rischio di dissonanze e disarmonie. Nel concludere il seminario di confronto tenuto alla Villa Brandolini di Pieve di Soligo a fine-workshop, citavo un bell’articolo appena uscito in quei giorni (28.9.2014) sul Sole 24 ore, a firma di Arnold I.Davidson, intitolato “Dal Jazz una lezione di democrazia”, che individuava acutamente nell’atteggiamento di un ottetto di musicisti jazz (nella fattispecie quello di Steve Lehman) la capacità di mettere in campo “una straordinaria integrazione tra improvvisazione e composizione, tra gli assoli individuali e la performance collettiva” e quindi di offrire una modernissima lezione di democrazia: “una democrazia degli individui invece della solita democrazia di massa”, ove “la coesione ricercata non è quella dell’unità , ma una coesione interattiva, e più fragile, tra delle personalità singo-

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lari”. “L’interazione specifica tra questi musicisti – sottolinea Davidson - costituisce un nuovo modello di socialità: la sperimentazione legata alla tradizione non è in contrasto con la socialità.( … ) La più vitale tradizione democratica dovrebbe essere, per citare il titolo del primo disco dell’ottetto di Lehman, un insieme di lavoro, trasformazione e flusso (Travail, Transformation and Flow). Purtroppo, il nostro mondo sociale è spesso il contrario: oziosità, fissità e immobilità. Ci mancano creatività e coraggio. La storia del jazz è piena di creatività e coraggio”. La metafora jazzistica mi pare molto appropriata al taglio con cui può essere oggi affrontato - nella logica dinamica e creativa dell’”insieme di lavoro, trasformazione e flusso” - il riassetto e il rilancio del patrimonio insediativo-produttivo-storico-geografico del territorio veneto, entro una prospettiva che Bonomi e Masiero, in nome e per conto della Fondazione F.Fabbri, nostro partner nel workshop medesimo, hanno denominato Smart Land, nell’obiettivo di tenere assieme “una parola antica come comunità con l’ipermodernità dell’innovazione e della competizione” e sfruttando gli “esempi di ritorno nei territori dell’abbandono, dello spaesamento, per immettervi saperi, progetti, visioni di un futuro possibile”, coniugando valori connessi con i concetti di “cittadinanza”, “sviluppo”, “energia”, “mobilità”, “economia”, “identità”, “saperi”, “paesaggio”. Il lavoro corale che abbiamo sperimentalmente tentato di realizzare nel seminarioworkshop Ve.net, così come nel più vasto quadro di coordinamento delle relative otto ricerche propiziate dal finanziamento del Fondo Sociale Europeo, ha lavorato con questo spirito, tentando di farne rifluire i provvisori risultati anche in strumenti di comunicazione interattivi orientati a costruire quella sorta di “manuale di progettazione da viaggio” più sopra evocato da Giulia Ciliberto e Irene Guida (cfr al proposito l’esperimento di rivista elettronica ideato in continuità con tale esperienza da Giulia Ciliberto con l’editore Il Prato, di recente presentato al Salone del Restauro di Ferrara - http:// www.progettorecycle.net) . Il compendio di riflessioni e proposte ottenuto riflette di tale esperimento la complessità ma anche la ricchezza, realizzando infine una performance la cui musica non mi pare affatto sgradevole, nel segno del jazz.

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PUBBLICARE VE.NET: APPUNTI PER UN MANUALE DI PROGETTAZIONE DA VIAGGIO Giulia Ciliberto

Fin dalle sue premesse, il workshop Ve.Net è stato configurato come un esperimento didattico di particolare ambizione e complessità: dieci gruppi di lavoro, ciascuno dotato del proprio tema di ricerca da sviluppare nell’arco di poco più di una settimana, intenti a confrontarsi simultaneamente con una medesima grande area di intervento progettuale. Un esercizio corale dal comune obiettivo di delineare nuove opportunità di fruizione e percorrenza del Veneto a partire dal riutilizzo del ramificato palinsesto – ad oggi ampiamente sottoutilizzato – di infrastrutture naturali, artificiali e immateriali presenti sul territorio della regione. Alla differenziazione che ha contraddistinto il workshop dal punto di vista tematico è corrisposta un’altrettanto elevata eterogeneità a livello di composizione disciplinare: oltre che ai domini dell’architettura, dell’urbanistica e del progetto paesaggistico – le discipline cardine del Prin Re-Cycle Italy – Ve.Net ha fatto riferimento anche a diversi altri orizzonti metodologici, coinvolgendo docenti, ricercatori e studenti provenienti da ambiti culturali come il design, la grafica, la moda e le arti visive. Il workshop ha previsto inoltre la partecipazione di numerose realtà produttive attive sul territorio veneto, con rappresentanze di un ventaglio di settori che spazia dal campo delle energie rinnovabili a quello dell’industria tessile, passando per la mobilità ciclopedonale, l'impresa edilizia, l’arredamento di interni, le information technologies e il recupero ecologico di materiali da costruzione.

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Alla luce di un tale livello di articolazione, il gruppo di coordinamento editoriale ha esercitato il proprio ruolo nell’ottica di favorire quanto più possibile la circolazione di dati e informazioni di interesse condiviso, assecondando al tempo stesso un’inclinazione al confronto e alla cooperazione fra i diversi gruppi di lavoro. In un certo senso, l’insieme delle sue attività ha rispecchiato l’adozione di un punto di vista estremamente inclusivo in riferimento all’atto del “pubblicare”, intendendolo nella sua primaria accezione di pratica volta a “diffondere, divulgare, rendere qualcosa di pubblica conoscenza”1. In questo senso abbiamo ritenuto opportuno predisporre un plastico collettivo, funzionale a evidenziare sovrapposizioni e convergenze fra i vari interventi dal punto di vista sia spaziale che tematico: una grande bacheca di 3 metri per lato, attorno alla quale i dieci gruppi si sono avvicendati durante tutta la durata del workshop, scandendone il ritmo attraverso il graduale montaggio e assemblaggio dei rispettivi modelli. Di pari passo, si è tentato di effettuare un'accurata documentazione delle varie occasioni di incontro, dibattito e scambio di idee svoltesi nell'ambito del workshop, come le fasi di elaborazione del plastico e il ciclo di incontri seminariali tenutosi collateralmente al lavoro in aula; in una simile prospettiva, abbiamo provveduto anche a raccogliere una serie di opinioni e testimonianze in merito agli argomenti in esame, rivolgendoci a diverse tipologie di interlocutori: dai docenti responsabili del workshop ai coordinatori amministrativi delle realtà territoriali coinvolte. Un ulteriore aspetto ha interessato la gestione di un blog2 destinato a contenere, oltre ai suddetti materiali di documentazione, le testimonianze dei progressivi avanzamenti progettuali effettuati dai gruppi di lavoro, con l’obiettivo di registrare, archiviare e mettere in relazione fra loro insiemi singolarmente diversificati di dati e informazioni. Dal punto di vista metodologico, il lavoro individuale dei dieci gruppi si è indirizzato, più che sul progetto di interventi di vasta scala, verso azioni di carattere più circoscritto e puntuale, che ragionano in una prospettiva multidisciplinare sulle polarità che intercorrono all’interno di un sistema composto di nodi e segmenti trasversali. Nel suo complesso, affrontando casi studio diversi relazionati da problematiche comuni o, viceversa, tematiche affini declinabili in riferimento a casi studio differenti, l'operazione è stata tendenzialmente improntata all’impiego di un approccio modulare e incrementale alla pratica del progetto, espressosi attraverso una tendenza condivisa a scomporre il territorio in unità elementari da ricomporre

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e mettere reciprocamente in relazione. Tale approccio ha comportato la messa a fuoco di alcuni orizzonti di ricerca ricorrenti, fra cui rientrano, ad esempio, l’implementazione di tecniche di risparmio energetico, il rafforzamento delle reti di mobilità sostenibile, la predisposizione di itinerari volti alla riscoperta delle memorie locali, la valorizzazione del know how implicito nella tradizione della cultura d’impresa. Destinati a molteplici profili di utenza – dal residente del luogo al titolare di azienda, fino al turista “consapevole” –, gli scenari progettuali emersi denotano esplicitamente l’intenzione di estendere l’intervento di riqualificazione, oltre che ai luoghi fisici, anche ai comportamenti e alle mentalità degli utenti che ne popolano lo spazio. Riprendendo il filo della metafora editoriale, può essere interessante azzardare un parallelismo fra le metodologie di ricerca attuate durante il workshop e le mutazioni che, negli ultimi anni, hanno interessato la codifica di pratiche legate alla produzione di artefatti, contenuti e dispositivi nel settore dell’editoria. Daniel van der Velden ha rilevato come, in seguito all’avvento di Internet e delle tecnologie digitali, il baricentro del processo di progettazione relativo al medium del libro sia dovuto necessariamente slittare dalla messa a punto di strutture basate sulla formattazione di layout statici alla prototipizzazione di formati sperimentali derivanti dal coordinamento di una serie di impulsi interconnessi3. In una prospettiva più generale, Ve.Net appare riconducibile a un modello – condiviso fra diversi ambiti disciplinari – secondo cui le condizioni della contemporaneità richiedano l'introduzione di approcci progettuali più flessibili rispetto ai tradizionali paradigmi di stampo lineare e deduttivo, in grado di sintonizzare fra loro insiemi eterogenei di variabili tenendo conto delle vicendevoli interrelazioni e complementarità. E se accettiamo, come sostiene Matthew Stadler, che al giorno d’oggi il concetto di “pubblicazione” abbia primariamente a che fare con la determinazione e la configurazione di un pubblico4, è possibile interpretare Ve.Net come un efficace esperimento di scrittura collettiva nei confronti di un sistema territoriale che, per esprimere appieno le proprie potenzialità, presenta urgente necessità di essere “pubblicato” – o, in altre parole, scoperto, percorso e fruito da parte della comunità: da un lato attuando interventi progettuali finalizzati a valorizzare, facilitandone l'accessibilità da parte del pubblico, le numerose occasioni di carattere ricreativo, insediativo e produttivo che esso attualmente presenta allo stato virtuale; d'altro canto avviando strategie di comunica-

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zione utili a intercettare nuove potenziali categorie di utenza interessate a relazionarsi con i suoi spazi secondo un’ottica partecipe e informata delle problematiche che li caratterizzano. L’insieme di ricerche avviate nell’ambito di Ve.Net può quindi dare adito a molteplici orizzonti di sviluppo, sollevando sfide di grande impegno e attualità che il sistema editoriale è chiamato quanto prima a raccogliere. Come è dunque possibile “pubblicare” ulteriormente Ve.Net affinché la sua carica formativa non rischi di andare dispersa? Un primo importante risultato in questa direzione è rappresentato dalla pubblicazione del presente volume, che raccoglie all'interno dei Quaderni del Prin ReCycle Italy gli esiti del lavoro progettuale svolto durante il workshop da ciascuno dei dieci gruppi partecipanti. Affinché l'esperienza non rimanga senza seguito, tuttavia, è fondamentale che tali esiti vengano ulteriormente sviluppati, coerentemente con la volontà di offrire alle istanze progettuali emerse dal workshop un'effettiva possibilità di attuazione. E, in tale previsione, un'opportunità sensata apparirebbe quella di enucleare, a partire dagli scenari operativi messi a fuoco nell'ambito di Ve.Net, un insieme di coordinate metodologiche capaci di indirizzare opportunamente le scelte progettuali di coloro che in futuro – siano essi urbanisti, architetti, designer o artisti – avranno concretamente occasione di cimentarvisi, veicolando così la transizione da un modello di intervento sul territorio basato su grandi politiche di infrastrutturazione a uno, invece, guidato dal riconoscimento, la riqualificazione e la messa a sistema di un giacimento preesistente e diffuso di sinergie. Alla luce di queste considerazioni, un'ulteriore iniziativa volta a “pubblicare” efficacemente Ve.Net potrebbe riguardare, più che il ricorso alla struttura “chiusa” della forma tradizionale del libro, la predisposizione di un formato editoriale ad hoc in grado di incorporare, elaborare e restituire gli esiti dell'esperienza riflettendone adeguatamente l'impostazione pluralistica e comunitaria. Analogamente al blog che ha costituito la voce narrante del workshop, ciò dovrebbe avvenire anche in rapporto all'ottimizzazione di alcune delle principali prerogative offerte dall'impiego delle tecnologie digitali – quali lo studio di appositi criteri per la categorizzazione dei contenuti, la navigabilità delle informazioni secondo percorsi trasversali e non lineari, l'opportunità di integrare facilmente documenti e testi di carattere multimediale, la possibilità di prevedere di un'interazione attiva da parte del lettore –, funzionali ad agevolare la consultazione

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dei materiali a fronte della loro condizione di marcata diversificazione ed eterogeneità. Una sorta di “manuale di progettazione da viaggio”, quindi, che sappia far tesoro della propensione – implicita nell’architettura così come in altre discipline progettuali – a interpretare il riutilizzo dell’esistente quale parametro di confronto critico con la realtà, coniugando alla codifica di una nuova grammatica del progetto territoriale la prescrizione di nuove modalità di percorrere, dal punto di vista sia fisico che virtuale, il territorio stesso. Note 1 Vedi voce "pubblicare", Il Sabatini Coletti: dizionario della Lingua Italiana, ed. 2008, Rizzoli Larousse, Milano 2008. 2 Il blog è attualmente visitabile presso: http://www.recyclevenetolab.it/. 3 D. van der Velden, Content Economies, in I read where I am, Valiz -Graphic Design Museum, Amsterdam- Breda 2011 p. 156. 4 What is a publication? A talk by Matthew Stadler. Disponibile presso: http://vimeo. com/14888791.

Blog Re-Cycle VenetoLAB http://www.recyclevenetolab.it/

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Ve.Net , vista complessiva del plastico di studio

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Modello territoriale Ve.Net

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Il Modello terrItorIale Ve.Net. MappINg, delayerINg, relayerINg giuseppe Caldarola

Il workshop Ve.Net –dal nome, il focus tematico sul territorio Veneto- indaga differenti ambiti territoriali. Dieci, i tavoli di lavoro che intervengono su territori di varia natura; dieci, le diverse e alternative interpretazioni proposte; altrettanti, i lavori dei gruppi che suggeriscono luoghi, paesaggi e contesti con condizioni differenti come “occasioni” di progetto. I territori di Ve.Net, secondo le risultanze esposte nelle sezioni relative ai singoli ambiti territoriali, sono assai eterogenei: si tratta di luoghi di varia natura, pianeggianti o di crinale o in altura, di superfici con alterne condizioni di urbanizzazione e di naturalità e di filamenti naturali o artificiali, attivi o in via di dismissione o dismessi, spesso in bilico tra abbandoni e usi impropri o in “attesa” di una prima qualificazione o di una riqualificazione. Sono luoghi che, se immessi in cicli d’uso e fruizione virtuosi, divengono in grado di integrare le gerarchie territoriali esistenti, di suggerirne nuove e richiamare pratiche e progettualità “altre” rispetto a quelle già consolidate. Con questo obiettivo, i lavori del workshop provano a identificare ambiti, sedimi, tracciati, manufatti –tra i tanti, dismessi o ancora attivi o che hanno perso o mutato la loro funzione nel tempo, dislocati nel territorio veneto- in grado di porsi quali “risorse” per uno sviluppo sostenibile o “attiva-

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tori”, inneschi di possibili azioni di rigenerazione di brani di città come di paesaggi di varia natura e naturalità oltre che di nuova infrastrutturazione leggera dei luoghi e che si aprono a ulteriori approfondimenti possibili. Turismo, territorio, riciclo –cioè, i termini entro cui sono riconducibili alcune delle varie ricerche in corso (e in special modo quelle finanziate dal Fondo Sociale Europeo)- sono i paradigmi tematici che ricomprendono le prime esplorazioni progettuali condotte dai singoli gruppi di lavoro. Ciascuno di questi opera focalizzando l’indagine ed elaborando prime sperimentazioni progettuali su ambiti territoriali fisicamente identificabili, più o meno “perimetrati”, o su sistemi lineari (quali, ad esempio, i tracciati infrastrutturali -e specie le linee ferroviarie dismesse- o le aste fluviali) o puntuali (tra cui i nodi di sistemi territoriali o le intersezioni tra più sistemi infrastrutturali o tra ambiti di paesaggio differenti). In quest’ottica –e vale la pena ricordarlo- tra i territori di Ve.Net vi sono: i luoghi dei “teatri di guerra” del Montello (Ferlenga-De Maio) interessati, raccordati e per così dire “serviti” dalla ferrovia dismessa Montebelluna-Susegana, i differenti paesaggi intercettati dalle anche solo parzialmente dismesse linee ferroviarie Treviso-Ostiglia (Latini), Venezia-Calalzo-Cortina (Munarin) o Vicenza-Schio (Fabian); la “Smart Land lineare” –come nell’interpretazione suggerita dal gruppo di lavoro (Bocchi)- dell’area pedemontana veneta; i luoghi della “resilienza ecologica” e dell'”Urbs in Horto” (Viganò) del Camposampierese; le aree contermini ai filamenti naturali continui creati dalle aste fluviali del Piave (Vanore), del Bacchiglione e del Marzenego (Tosi); i luoghi sedimentari del riciclo, dalla Venezia storica (Marini) ai più recenti distretti della produzione (Lupano). Già la quantità di contesti, come anche le specifiche qualità di ciascuno di questi, rende conto della necessità di avvio di ragionamenti sistemici. E altrettanto sistemica è la strutturazione del workshop, come anche la trasmissione dei risultati raggiunti. In ciascuno di questi ambiti, i percorsi come anche le trame pubbliche e l’ampia disponibilità di patrimoni edilizi in attesa di rigenerazione si offrono parimenti come elementi del progetto, materia su cui operare in maniera “plastica” per la riconfigurazione territoriale. I progetti lavorano parimenti sulla materia “fisica” del territorio –in cui superfici, piani, crinali, scavi e rilevati divengono gli elementi del disegno spaziale- e sul “movimento” di merci e persone che suggeriscono usi e funzioni già attestate sui luoghi, dai paesaggi agrari a quelli della produ-

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zione: tutto ciò, nel filtro interpretativo della sostenibilità degli interventi e dell’attribuzione di nuova qualità ai luoghi, in sintesi, di una nuova qualità dell’abitare. Eterogenei i luoghi, come altrettanto eterogenei i temi e i conseguenti indirizzi progettuali proposti ed esplorati. Una tale varietà impone la necessità di confrontarsi con le questioni della ricerca di un linguaggio comune –e questo non è un aspetto legato alla sola rappresentazione dei risultati raggiunti!- ma anche del “montaggio” delle differenti sperimentazioni progettuali che spesso ricomprendono al loro interno gli stessi ambiti territoriali, pur suggerendone letture e ipotesi trasformative differenti (ma non alternative!). Si tratta infatti di individuare le più idonee modalità di composizione di una sorta di “archivio” vivo, dinamico, in continua evoluzione e aggiornamento, in cui potervi disporre dati conoscitivo-esperienziali di luoghi, di materiali, di documentazioni di base, dalle cartografie esistenti alle mappe, più o meno “concettuali”, esito di prime elaborazioni, ripensamenti e rimodulazioni fino agli esiti finali. E l’implementabilità di tale archivio tiene conto della natura “campione” dei territori di Ve.Net. La formazione di una base cartografica comune (mappa a cura di Ettore Donadoni), il blog del workshop (Giulia Ciliberto), l’uso del multimedia (Irene Guida), ma soprattutto il modello a scala territoriale dell’intera porzione di territorio veneto interessato dalle progettazioni divengono tutte “occasioni” di confronto. Sono piattaforme di condivisione, strumenti agili, plasmabili, modificabili, in grado di restituire –in molteplici modalità, non alternative ma complementari- la complessità dei territori indagati. Su questi aspetti, e sulla ricerca dei modi più idonei per integrare, confrontare, porre in dialogo “dialettico” i diversi tematismi e ambiti territoriali in oggetto delle progettazioni, si è concentrato il lavoro del gruppo di coordinamento “a-territoriale”, operando nella più generale finalità di “racconto” di possibili intersezioni/interazioni tra temi e luoghi di progetto differenti. Il modello territoriale diviene efficace momento di confronto in cui si evidenziano gli ambiti di intervento, ma soprattutto le condizioni di sovrapposizione dei diversi progetti: temi, ma soprattutto luoghi; perimetri definiti ma anche ambiti territoriali presi a campione, “carotaggi” (come nel termine emerso durante i lavori del workshop) e nodi di un sistema territoriale “altro” rispetto alle gerarchie consolidate. Vi emergono i luoghi che sono stati individuati quali utili casi esemplari

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per la costruzione del “racconto” del territorio veneto e dell’interpretazione, in chiave progettuale, di territori “spenti”, cioè di quelle parti della regione veneta che, ad oggi, risultano intercluse in itinerari e percorsi “veloci”, speditivi. Questi, nella loro natura di “connettori” tra emergenze territoriali –e non solo tra i luoghi monumentali o tra gli attrattori turistici ma anche tra i luoghi delle più alte concentrazioni e diffusioni residenziali o della produzione e della competitività strategica- scartano o attraversano luoghi indistinti, tutti accomunati da bassa caratterizzazione e altrettanto basso livello di valorizzazione. Il modello racconta di tre azioni, di cui al titolo di questo scritto, quali: mapping (l’attività di mappatura), delayering (la semplificazione delle gerarchie esistenti), relayering (i nuovi bilanciamenti territoriali mediante la revisione delle gerarchie esistenti o, ove imponibili, l’assegnazione di nuovi significati e la formazione di nuove). Nell’azione di mappatura rientrano non solo la preparazione delle basi cartografiche iniziali, ma anche il disegno di quelle di lavoro, intermedie, come anche di quelle più idonee alla trasmissione degli esiti interpretativi. La costruzione delle mappe attiene alle più generali questioni di rappresentazione. Emerge come necessità contestuale ad ogni avanzamento delle azioni di progetto. Si sostanzia non solo della raccolta delle mappe esistenti, ma anche dell’elaborazione di nuove, appositamente redatte in funzione della trasmissione dei contenuti interpretativi: non un’azione aprioristicamente data ma, appunto, contestuale ad ogni fase di progetto. L’azione di semplificazione delle gerarchie esistenti emerge già contestualmente alla costruzione della base cartografica come condizione ne-

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cessaria con l’obiettivo di estrapolare l’ossatura primaria del territorio e scomporne gli elementi. Si tratta, appunto, di una semplificazione mediante la quale fare risaltare le permanenze (i tracciati) e gli accadimenti (le architetture territoriali) e trarne indicazioni sull’operabilità di questi ultimi. L’azione di attribuzione di nuovi significati alle tracce esistenti sul territorio si lega agli esiti interpretativi. Ne è, per così dire, l’output finale ove si concentra la sommatoria delle letture e degli indirizzi progettuali. Un ambito, questo, aperto e versatile, sempre implementabile e caricabile di nuovi significati e nuove elaborazioni; un ambito che apre alla ricerca di una “scala” conforme al livello di definizione delle elaborazioni progettuali. È quello che emerge, ad esempio, nella porzione centrale del modello territoriale: una sommatoria di territori campione ove, in conseguenza della sovrapposizione di ambiti e temi differenti, si ritrova la maggiore concentrazione di intersezioni territoriali “possibili”, anche senza pretesa di completezza alcuna. La sommatoria e l’incrocio dei risultati interpretativi dei singoli gruppi di lavoro consentono ulteriori spunti di riflessione e nuove aperture tematiche, tutte attinenti a possibili e alternative ristrutturazioni territoriali. Una prima questione è sicuramente legata ai soggetti e alle rispettive competenze, a cui compete la “cura” di questi territori; una seconda è legata alle perimetrazioni e ai confinamenti amministrativi. Ambo gli aspetti denotano la necessità di lettura e azione sul territorio, in maniera “altra” rispetto a quella tradizionalmente più consolidata.

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"Uno dei nostri obiettivi è coinvolgere i turisti e i soggetti presenti sul territorio nella manutenzione delle aree protette" Irene Guida_still da video

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TERRITORI CONTESI IL PROGETTO TRA RAZIONALITÀ TECNICA E PERFORMATIVITÀ NARRATIVA Irene Guida

“So be careful. Stay on the Path. Never step off!” “I see,” said Eckels. “Then it wouldn’t pay for us even to touch the grass?” “Correct. Crushing certain plants could add up infinitesimally. A little error here would multiply in sixty million years, all out of proportion.” Ray Bradbury, A Sound of Thunder, 1952.

Secondo la teoria del caos, il battito di ali di una farfalla e un ciclone in due punti opposti del pianeta sono in relazione, sono fenomeni connessi. La teoria del caos e tutte le teorie della connettività ci invitano a ospitare l’inatteso, a non cercare di prevedere esattamente gli esiti di un’operazione pensata in un ambiente chiuso quanto ad accettare e accogliere le perturbazioni di un sistema aperto, cercando l’adattamento e la resilienza piuttosto che la resistenza e il controllo statico. Secondo questa teoria tutti i sistemi connessi, infatti, hanno una capacità adattiva direttamente proporzionale al loro grado di connettività; questo però aumenta anche la difficoltà di prevedere in maniera univoca la loro evoluzione. Prima che la teoria fosse formalizzata dagli scienziati, un racconto di fantascienza ne aveva reso familiari le conseguenze. Il racconto è di Ray Bradbury, si chiama “A Sound of Thunder”, scritto e pubblicato per la prima volta nel 1952. Una macchina del tempo porta un

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gruppo di cacciatori di dinosauri indietro nel tempo, dal 2025 alla preistoria. Uno di loro viola la sola regola esistente: non lasciare mai il sentiero metallico che fa parte della macchina del tempo, questo comportamento genera una perturbazione, un dinosauro viene ucciso. Al loro ritorno, il più reazionario dei governi è al potere e la specie dominante sul pianeta non è l’umana. Questo concetto oggi ci appare piuttosto banale, perché è diventato normale nei nostri modi di comunicazione e di costruzione del senso, perché facciamo uso di social network e non sappiamo nemmeno di utilizzare delle metafore di modelli matematici quando ne parliamo. Viviamo un momento in cui le condizioni generali di produzione della conoscenza, della circolazione dei suoi risultati sono in grande trasformazione. Allo stesso modo il valore etico del progetto di architettura e del territorio, la sua capacità di produrre una conoscenza che valga al di là del suo valore normativo sono messe in questione. Per questo motivo una delle mie preoccupazioni è stata comprendere il valore performativo delle condizioni del progetto. Una certa inquietudine mi spinge a pensare che senza la capacità di raccontare un progetto, in qualche modo esso perda valore. Non ne va della sua comunicabilità, ma della possibilità di significare. L’esperienza di ricerca svolta in altre occasioni, con Paola Viganò – video-interviste durante l’elaborazione del piano strutturale di Anversa, e durante una ricerca sulle trasformazioni infrastrutturali di alcune principali città europeee – e in particolare, quella svolta quest’anno con il gruppo di ricerca mi ha insegnato che non si dà valore etico del progetto senza essere in grado di metterlo in relazione con i soggetti coinvolti. D’altro canto, risolvere tutto con la progettazione partecipata intesa in senso riduttivo è un grande rischio. La banalizzazione della partecipazione e della capacità narrativa del progetto è la deriva populista. Le critiche al populismo sono riconducibili alla critica del regime governamentale delle società fondate sull’economia neo-liberista. Anche in questo caso si corre il rischio di due banalizzazioni: da un lato pensare di poterne restare fuori, come se si fosse estranei ai meccanismi di produzione e consumo del valore; dall’altro quello di sperare in forme ingenue di libertà ricavate da nicchie temporanee di vuoto di potere che però rimangono sempre tattiche e non possono raggiungere alcun significato strategico. Pertanto una riflessione sul valore sociale del progetto non può prescindere dalla comprensione dell’alterità del progetto, delle sue esternalità, delle condizioni contingenti in cui esso viene prodotto e che il

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progetto non può modificare perché esso ne è definito in quanto parte di un processo sociale più ampio. All’estremo opposto del rischio populista c’è quello dell’autoreferenzialità; un progetto raffinato e colto che non abbia interlocutori o che sia solo normativo è destinato paradossalmente a un palazzo enciclopedico del sapere architettonico che forse un archeologo dell’urbanistica e della progettazione potrà un giorno catalogare come opera d’arte o testimonianza documentaria di un certo grado di sapere disciplinare. Per questo pensare il progetto come una strategia complessa, fatta di saperi differenti e articolato in molti strati ciascuno rivolto a un altro da sé, richiede uno sforzo immaginativo che è in sé uno strato del processo di progettazione. Il rischio di banalizzare è sempre presente, ma allora occorre comprendere i diversi livelli di narrazione contenuti in un progetto. Dunque da un lato ho cercato di trovare delle strategie narrative, dall’altro mi sono preoccupata di entrare nella trasmissione delle notizie, di verificare la ricezione e di influenzare la divulgazione del lavoro svolto. Credo infatti sia molto importante non ridurre la trasmissione a pura comunicazione, mantenendo un livello alto di riflessione, essendo capaci di ridurne la complessità senza banalizzare e in modo opportuno rispetto agli interlocutori e ai mezzi utilizzati. Se il tema della nostra ricerca è la mobilità lenta, a piedi o in bicicletta, come occasione per un ridisegno sostenibile della rete minuta delle connessioni territoriali, dunque come una strategia di riciclo, allora prende corpo l’idea che il turismo possa essere una risorsa per raccogliere dati, diffondere conoscenza, sviluppare piattaforme per l’analisi e lo sviluppo di strategie di manutenzione. In una intervista svolta in occasione della stesura di questo testo, Maurizio Dissegna, dirigente del Servizio Parchi e Aree protette regionali, ha spiegato l’importanza della conoscenza che il turista può contribuire a produrre, per esempio nei casi del monitoraggio ambientale. Un esempio concreto di come utenti territoriali, che non siano scienziati ambientali, possano essere coinvolti nella raccolta e nel campionamento di dati utili alle ricerche ecologiche è già stato pubblicato, è il progetto ARVE, coordinato da Lucio Bonato, Marco Uliana e Stefano Beretta che hanno costruito, con la partecipazione di volontari, un Atlante distributivo della popolazione di farfalle in Veneto. La direttiva habitat dell’unione europea, infatti, obbliga a monitorare la salute e lo stato di conservazione ambientale; mentre la

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Disegni di studio e fasi di montaggio del modello, Zintek , Porto Marghera . Irene Guida_still da video

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distribuzione delle popolazioni di questi insetti ne è un indicatore importante, una ricerca basata sul campionamento estensivo dei dati, senza la partecipazione volontaria sarebbe stata molto più lunga e molto più costosa, oltre ad avere un valore sociale di consapevolezza ambientale molto più basso. Di fatto questa via è già stata perseguita da alcune imprese, in particolare lungo la Treviso-Ostiglia grazie al progetto Green Tour che interessa altre aree ed è in fase di sviluppo, con il partner imprenditoriale Zeppelin/Girolibero e lungo la gronda lagunare grazie al progetto 2KNTAG, con il partner imprenditoriale SELC Srl, per fare due esempi. Questi due soggetti non istituzionali, grazie alla loro attività economica e alla loro presenza capillare sul territorio, di fatto svolgono un’azione progettuale nella manutenzione di corridoi ecologici altrimenti difficili da manutenere. Lo sforzo è dunque quello di coniugare la gestione, la manutenzione e il turismo sostenibile, senza fare diventare la salvaguardia e la tutela dell’habitat un problema per le attività economiche. In questo contesto il mio lavoro è stato duplice, da un lato comprendere attraverso le interviste ai responsabili scientifici delle ricerche IUAV il lavoro essenziale a lungo termine svolto nella nostra università, dall’altro fare in modo che le interviste raccolte diventassero azione e parte viva della ricerca, documento per la sua diffusione e analisi critica, sfruttando tutte le sinergie offerte dalla piattaforma web sviluppata per il nostro progetto. Il risultato di questa idea è stato molto buono, misurabile con gli accessi alle interviste, sul canale dedicato You Tube, che hanno totalizzato per quarantacinque minuti di girato oltre cinquemila minuti di visione, senza spese ulteriori. Ho elaborato un formato che rendesse l’idea del dialogo, inquadrando gli attori territoriali che hanno volute rispondere durante il nostro workshop in controcampo rispetto alle interviste rivolte ai responsabili scientifici della ricerca che ne hanno spiegato le linee e la razionalità a lungo termine. Il secondo passo è stato lo sviluppo di un progetto con l’azienda partner, Zintek srl, leader nella realizzazione di coperture e facciate sostenibili in zinco titanio, con la prospettiva di svilupparne gli esiti in una fase successiva della ricerca. L’idea è che grazie all’"Internet of Things" si potrebbe realizzare una rete di dispositivi di avvistamento e residenze temporanee,

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sfruttando un tetto che si muove, trasformando una tettoia in una piccola casa estiva con sistemi passivi di accumulazione energetica e di acqua. Si tratterebbe di una rete i cui nodi si attiverebbero on-demand secondo le affluenze e gli usi. Una funzione primaria, quella di riparo al piano di calpestio sarebbe sempre garantita. La scelta del partner aziendale è dovuta al grande valore aggiunto in termini di know-how e di ricaduta positiva sulla filiera del comparto edilizio. Zintek srl infatti, è un'azienda molto attenta alle risorse del territorio veneto in cui opera e produce, ricicla rottami metallici a chilometro zero, non offre solo forniture di materiali, ma assistenza qualificata in tutte le fasi di produzione, dal progetto alla messa in opera, aumentando anche il grado di specializzazione delle maestranze che prendono parte alle realizzazioni. Inoltre l’impegno dell'azienda per la sostenibilità ambientale, la riciclabilità del materiale, la sua leggerezza rendono questa scelta opportuna. Riciclare know how, non pensare di partire da zero è una strategia che sembra qui essere appropriata, così come partire da ciò che funziona e ha mostrato capacità di visione nel lungo periodo. Il progetto porta alle estreme conseguenze l'idea di una casa-infrastruttura, dove la copertura e il blocco servizi sono casa; inoltre gioca con il paradosso funzionale di fare diventare un tetto una porta e una soglia. Le ridefinizioni di sfera pubblica, di giustizia spaziale dovrebbero includere anche lo strato dell’accesso alle informazioni e della capacità di comprenderne i meccanismi di trasmissione, oltre all'accessibilità fisica delle risorse territoriali. Dunque proporrei di sostituire il termine partecipazione con quello di performatività, intesa come uno strato della razionalità ecologica di un progetto, intendendo razionalità ecologica nel senso di Paola Viganò. Coinvolgere gli attori e comprendere le loro interrelazioni è altrettanto importante che progettare in modo efficace e pertinente; essere in grado di produrre significato per altri è la misura etica di un progetto.1

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Note 1 Si vedano: AAVV, Sviluppo in architettura, Zintek srl, Marghera 2013. AAVV, Le albere, Trento, Zintek srl, Marghera 2013. AAVV, Compan Profile, Zintek srl, Marghera 2012. L. Bonato, M. Uliana, S. Beretta, Farfalle del Veneto. Atlante distributivo, Regione Veneto – Marsilio editori – Fondazione Musei Civici di Venezia, Venezia 2014. G. Buffa, C. Lasen, Atlante dei Siti Natura 2000 del Veneto, Regione del Veneto, Venezia 2010. F. Ferrari, La seduzione populista, Quodlibet, Macerata 2011. I. Guida, L’acciaio tra gli ulivi. Linkiesta, Milano 2013. I. Guida, Corridoi. La linea in Occidente, Quodlibet, Macerata 2015 B. Secchi, Il racconto urbanistico, Einaudi, Torino 1984. B. Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza, Bari 2005. B. Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari 2013. P. Viganò, Urbanism and Ecological Rationality in S. T. A. Pickett, M. L. Cadenasso, B. McGrath (a cura di) Resilience in Ecology and Urban Design, Springer, London 2012, pp. 407-426.

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VIVA I PAESAGGI POSTBELLI (CI) Claudio Bertorelli (direttore Fondazione Francesco Fabbri)

Gli amici sanno quanto io abbia ritardato questo mio commento finale a Ve.net. Credo perfino di essere stato colpito da Oblomovismo acuto, tanto ho atteso di alzarmi dal letto per iniziare a radunare i pensieri che legano la ricerca alle attività di Fondazione Francesco Fabbri, orientate da qualche anno a promuovere azioni di riflessione territoriale e una concreta attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio con gli strumenti di lavoro che le sono propri. E’ nota infatti la crisi in materia che vivono molte rappresentanze ufficiali italiane, nazionali regionali e locali, vincolate come sono a proseguire il percorso di salvaguardia culturale e giuridica dei soli paesaggi storicamente consolidati. Esse ignorano il mandato (anch’esso culturale e giuridico) che la Convenzione ha trasmesso a tutti gli stati membri dell’Unione Europea: agire sui paesaggi con azioni combinate di tutela, gestione e innovazione, perché il suolo abitato registra i continui mutamenti e non può esser confuso con una scena fissa. Anzi, in certi casi sono proprio le rappresentanze a perseguire una cieca visione nostalgica in ragione di una supposta genetica incapacità dell’italiano medio di rispettare e valorizzare i luoghi che abita. Che errore!

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Si naviga senza vista quindi, immersi in questo grande equivoco di fondo che ho appena detto, capace di sclerotizzare anche le molte iniziative brillanti di questa lunga stagione ponte. Ad esso Fondazione Francesco Fabbri risponde da “corpo intermedio” innestato tra i mondi della produzione, della rappresentanza politica, del sociale, della ricerca, della cultura e della conoscenza, proponendo tavoli comuni sui quali depositare le posizioni più contrapposte e generare le buone pratiche di ripartenza. Fondazione Francesco Fabbri è stata costituita nel 2003 per ricordare Francesco Fabbri, Deputato al Parlamento, Senatore della Repubblica e Ministro di Stato, tramandarne l’alta testimonianza di uomo politico e il costante impegno per lo sviluppo sociale, economico e culturale della collettività regionale e nazionale. Dopo un triennio sperimentale, nel 2015 ha rinnovato il proprio percorso di lavoro dotandosi di una governance interna ancor più strutturata e individuando un percorso di azioni finalizzate a produrre processi e non più eventi: processi di valorizzazione dei territori, di formazione delle nuove classi culturali, di buone pratiche nei contesti amministrativi. I temi del paesaggio stanno al centro di questo mandato, perché in quanto tali consentono di entrare fino in fondo nei fenomeni che accompagnano il nostro tempo, la nostra politica e la nostra cultura dei luoghi. Nel 2017, anno del quarantennale dalla morte prematura della figura di Fabbri, si presenteranno gli esiti dei lavori con un grande cartellone nazionale di proposte. Condivido quindi la definizione di “viaggio endoscopico” che Renato Bocchi assegna a Ve.net leggendo la dimensione estetica dei lavori progettuali radunati nell’unico plastico finale. Esso contiene un potenziale di luoghi che non è rappresentabile secondo gli strumenti dell’urbanistica classica e nemmeno trova ancora codici di riferimento applicabili; eppure tutti gli esiti puntuali della ricerca collettiva proposta nell’ambito di Re-cycle Italy offrono già da subito nuove strade di riflessione ai soggetti decisori. Certo, nella misura in cui non vengano solo utilizzate per alimentare il sogno di Alice che si deposita in questi lavori. Infatti non può essere solo un sogno rinnovare il dibattito sulle nuove infrastrutture per la mobilità nei territori veneti, se esse sono secchianamente “tubo” o “spugna”, lente o veloci, se solo attraversano o anche innervano; perché è proprio da questo rinnovato equilibrio che può

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generarsi una narrazione per le tante terre di mezzo che il Veneto ha tra città montagna e mare. Una narrazione forzatamente metropolitana, che già esiste di fatto e produce flussi concreti, la cui definitiva affermazione viene però costantemente rimandata a causa di quella inettitudine oblomovica che, prima del sottoscritto, ha fortemente colpito la macchina pubblica. Altrettanto non può essere rimandata la riflessione sul futuro che aspetta i capannoni dopo l’onda di crisi, e bene fa Ve.net a tornare su uno dei temi più ricorrenti anche nelle attività promosse da Fondazione Francesco Fabbri. Va detto con chiarezza che manca ancora la soluzione, probabilmente perché manca quel tavolo di lavoro comune tra i soggetti complici nella filiera di produzione dei luoghi (appunto) della produzione: imprenditori (forse) proprietari del manufatto, istituti di credito (spesso) proprietari del manufatto, società di recupero crediti (cui ormai sempre più spesso si rivolgono gli istituti di credito), soggetto pubblico che autorizza (i Comuni) e soggetto pubblico che raccoglie le tassazioni (lo Stato). In questa diaspora delle responsabilità a perdere è sempre la Comunità locale che abita e che oggi aderisce più facilmente in massa alle culture consolatorie di un ambientalismo ignorante. E neppure può essere trascurato il contributo che Ve.net offre alla strategia di valorizzazione dei luoghi in vista del Centenario della Grande Guerra. Su questo tema deflagra ogni visione sinergica ed assistiamo alle proposte più sterili da parte della Politica regionale, di quella locale, delle rappresentanze economiche e del turismo. Chi come me ha vissuto in prima linea il disastro causato dalla totale assenza di strategia in occasione dei novant’anni dalla fine del medesimo conflitto ha il dovere di segnalare che la Storia rischia di ripetersi. In conclusione, fatichiamo a dotarci di un immaginario che traduca i paesaggi post-belli(ci) in nuovi luoghi del sogno. Preferiamo ancora dividerci in buoni e cattivi, in speculatori e filantropi, in pubblico e privato. Forse va ricordato che anche Oblomov alla fine della mattina (dopo centinaia di pagine …) scende dal letto e accetta di misurare il suo amore quotidiano per Olga. Da quel momento un nuovo processo di relazione ha inizio

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