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cosa abbiamo imparato dall’emergenza sanitaria

La crisi sanitaria ha evidenziato alcuni problemi su Covid-19 e ciclo dei rifiuti. Tra i principali l’abbandono di rifiuti come mascherine e guanti nell’ambiente, l’interessamento delle organizzazioni criminali ai servizi ambientali, alle attività di risanamento e di bonifica nonché ad altri servizi connessi alla gestione dei rifiuti e la battuta d’arresto dell’economia circolare. L’emergenza epidemiologica ha ridotto il quantitativo di rifiuti prodotti. Si è avuta una decisa contrazione nella produzione dei rifiuti speciali di origine industriale ma anche dei rifiuti urbani assimilati provenienti da commercio, turismo e terziario. Si è registrato, invece, un aumento dei rifiuti urbani, anche di quelli organici. I dati forniti da Ispra alla Commissione Ecomafie che ha svolto un’interrogazione “Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”, sottolineano che i rifiuti urbani, nel loro complesso, sono diminuiti di circa il 10% (meno 500 mila tonnellate) nel bimestre marzo-aprile 2020. Sempre secondo le stime fornite da Ispra alla Commissione, in considerazione delle previsioni sulla riduzione del PIL, la produzione dei rifiuti urbani alla fine del 2020 potrebbe ammontare a circa 28,7 milioni di tonnellate, dato confrontabile con quello rilevato nel 2000. Relativamente invece ai rifiuti che si originano dall’uso quotidiano e diffuso di dispositivi di protezione come guanti e mascherine, ISPRA ha stimato, all’inizio di maggio 2020, una produzione complessiva di rifiuti a fine 2020 compresa tra 160mila e 440mila tonnellate, con un valore medio di 300 mila tonnellate. Queste quantità sono gestibili dal sistema impiantistico italiano senza squilibri, ma rimane auspicabile che, anche grazie all’intervento e al lavoro di sensibilizzazione svolto dalla Commissione, tali rifiuti diminuiscano. Purtroppo i presidi individuali di protezione dismessi, talvolta, vengono abbandonati in modo incontrollato nell’ambiente. Un ulteriore aumento è stato stimato nella produzione dei rifiuti sanitari, il quantitativo di rifiuti a rischio infettivo gestiti presso inceneritori o avviati a sterilizzazione, nel 2018, si è attestato a poco meno di 144.000 tonnellate. A fronte di questa produzione la potenzialità degli impianti è significativamente più elevata, pertanto non si evidenziano al momento elementi di criticità anche se, in ogni caso, l’impatto dell’emergenza sanitaria non risulti ancora stimabile con precisione. Il settore dei rifiuti sanitari pare che sia tra quelli verso i quali le organizzazioni malavitose hanno rivolto maggiormente le loro attenzioni. Il rapporto sottolinea come la criminalità abbia da sempre mostrato grande interesse per il settore della raccolta e della gestione dei rifiuti, come emerso da molteplici indagini nel corso del tempo. Dalle audizioni svolte dalla Commissione Ecomafie sono emerse alcune situazioni

che potrebbero risultare appetibili per la criminalità come, ad esempio, quelle legate all’aumento dei limiti quantitativi gestibili da alcuni impianti determinato con semplici ordinanze regionali derogatorie e la permeabilità a interessi illeciti mostrata da aziende, in difficoltà, che operano nel settore della gestione rifiuti. La legge n. 23 del 2020 ha inserito i servizi ambientali e le attività di bonifica nella lista delle attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione criminale, anche per questo la Commissione Ecomafie continuerà a monitorare i fenomeni di illegalità nel settore dei rifiuti, anche acquisendo informazioni dalle Autorità inquirenti e dagli enti di controllo. Nel settore del riciclo, il rapporto mette in evidenza che l’emergenza epidemiologica e il lockdown hanno comportato un “blocco dei mercati”, non inteso come effetto diretto di provvedimenti amministrativi, ma come cessazione o forte riduzione degli acquisiti dei mercati a valle delle raccolte, a causa della sospensione delle attività di molte aziende e dei consumi di materiali da riciclo.

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“La crisi ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale, che definisca in una prospettiva di sistema Paese i fabbisogni regionali sulla base di criteri omogenei e di strategie gestionali affidabili”. Lo ha detto Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, nell’audizione della Commissione Ecomafie sottolineando “che in questa emergenza epidemiologica i servizi di igiene ambientale hanno continuato a operare con continuità garantendo in sicurezza questo importante servizio pubblico essenziale per la salute pubblica con spirito di responsabilità e grande capacità di resilienza”. “Il settore - ha spiegato Brandolini - può fornire un contributo importante alla ripresa economica dopo la pandemia nell’effettuare quegli investimenti funzionali al raggiungimento degli obiettivi dati dal Pacchetto dell’Economia Circolare. La realizzazione degli impianti e l’infrastrutturazione delle filiere necessarie al pieno raggiungimento degli obiettivi del 2035 farebbero fronte al fabbisogno di trattamento della frazione organica per 3,2 milioni di tonnellate e di 2,5 milioni per il recupero energetico, per consentire l’autosufficienza con investimenti stimati in 6,6 miliardi di euro. Questi investimenti, oltre a contribuire alle ripresa economica e a ridurre la dipendenza dall’estero, sono indispensabili per la transizione all’economia circolare e forniscono un contributo per il rispetto degli impegni internazionali per la riduzione delle emissioni climalteranti”. Tra le azioni da mettere in campo per la ripartenza del settore, fondamentali per la transizione all’economia circolare, c’è il “sostegno al mercato delle materie prime seconde, che storicamente va in crisi con il calo della crescita economica e la diminuzione del prezzo delle materie prime”. E’ inoltre necessaria “una revisione sia del Codice Appalti sia dei Procedimenti Autorizzativi, con particolare riguardo alla semplificazione e alla riduzione dei tempi nei procedimenti previsti dalle norme in materia ambientale ai fini di una rapida ripresa

degli investimenti”. Va poi creato “un sistema di verifica per le Regioni che, a fronte della stima del fabbisogno impiantistico residuo necessario per raggiungere gli obiettivi delle direttive in tempi brevi, non provvedono alla realizzazione delle infrastrutture indispensabili, con la previsione di eventuali poteri sostitutivi”. Anche l’attuale disciplina dell’End of Waste va rivista “riducendo i tempi ed eliminando controlli ridondanti per le attività di riciclo che generano incertezza, aggravio di costi e disincentivo agli investimenti”. Importante è anche il ruolo di ARERA nel proseguire “l’azione di Autorità di regolazione forte e indipendente, a tutela degli utenti e a garanzia degli operatori del settore, per l’attivazione degli investimenti necessari a traghettare l’Italia verso un’economia circolare e decarbonizzata e a migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi ambientali per cittadini e imprese”.

La società di consulenza Althesys durante il lockdown aveva effettuato una prima analisi sul comparto che si occupa della gestione dei rifiuti dichiarando che: “partendo dai settori indicati dal DPCM del 25 marzo 2020 (che modifica l’elenco dei codici ATECO dell’Allegato 1 del DPCM del 22 marzo 2020) e distinguendo tra quelli soggetti a restrizioni diverse, ipotizzando che nel complesso si perdano due mesi lavorativi tra fermo e ripartenza, si avrebbero tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali in meno solo nelle tre regioni più colpite: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Con una stima grossolana, i due mesi di fermo delle attività ritenute “non essenziali”, comporterebbero per le imprese che gestiscono gli speciali una perdita di fatturato intorno al miliardo di euro”.

macchine movimento terra in soFFerenza nel 2020, ripartenza nel 2021

Sono dati critici quelli del mercato in Italia delle macchine per costruzioni del 2020. Da gennaio a giugno vendite a -20%, ripresa nel secondo semestre 2020 (-8,7%). Per una ripartenza bisogna attendere il 2021. A causa delle misure imposte dal lockdown nazionale, da gennaio a giugno 2020, il mercato italiano dei mezzi da cantiere e per l’edilizia ha registrato una contrazione complessiva del 20%. E non va meglio nel resto del mondo, con le vendite tornate ai livelli del 2017. Lo certificano i dati elaborati da Unacea - Unione Italiana Macchine per Costruzioni e CER - Centro Europa Ricerche, presentati nel corso della 7ª edizione del SaMoTer Day. Si tratta di numeri in linea con la caduta del prodotto mondiale causata dalla pandemia, ma si potrebbe già intravedere la luce in fondo al tunnel. Lo conferma lo studio Unacea-CER: il settore, in Italia, vedrà una ripresa nel secondo semestre 2020, contenendo le perdite e chiudendo l’anno, nello scenario più ottimistico, a quota -8,7%, pari a 1.414 macchine movimento terra vendute in meno. Simili le prospettive dei sollevatori telescopici (-9,7%) e delle macchine per il calcestruzzo (-10%), mentre le stradali potrebbero avere una riduzione di appena il 2,7%. La sintesi previsionale Unacea-CER calcola anche uno scenario peggiorativo in cui nuovi shock porterebbero i cali rispettivamente al -27,8% per le macchine movimento terra, al -23,4% per i sollevatori telescopici, al -22,8% per le macchine per il calcestruzzo e al -18,3% per quelle stradali. Intanto, nel Paese, da luglio si sarebbe già tornati in una fase di espansione, grazie alla fine del lockdown e all’azione stabilizzatrice messa in campo dalle politiche economiche. E la normalizzazione dovrebbe arrivare nel 2021. La filiera vale a livello nazionale oltre 3,5 miliardi di euro e nel 2019 ha visto una crescita a doppia cifra sull’anno precedente (+16,9%), con un totale di oltre 19.500 unità vendute.

Una crisi mondiale

In tutti i paesi, la diffusione del coronavirus ha creato condizioni economiche sfavorevoli e ha comportato, a causa delle misure di contenimento, un crollo delle attività dei beni, tale da portare a una recessione di particolare gravità. La caduta del prodotto mondiale, secondo lo studio effettuato dal CER, Centro Europa Ricerche, sarà infatti nel 2020 superiore a quella sperimentata nel 2009, fino a oggi il maggior episodio recessivo dai tempi della Grande Depressione (escludendo naturalmente i periodi bellici).

Downturn everywhere except China in construction equipment sales. Sharp rebound in 2021

At CECE Congress Chris Slight of Off-Highway Research presented the economic updates and the forecast of the construction equipment market. Construction equipment is a cyclical market. The industry featured synchronised global growth from 2016 to 2018 with a market peak in 2018 & 2019. In 2020 a downturn was initially foreseen at -5% in global equipment sales. However, Covid-19 has been accelerating the downturn and -15% in global equipment sales is expected at the end of 2020. Q3 and Q4 of 2020 will be crucial to understand exactly the extent of the downturn this year. In 2021 a sharp rebound is expected. In the next three years (2021-2024) the decline in global equipment is expected to hit small equipment <10 tonnes, as housebuilding and non-residential building will decrease because of the weak economic environment and confidence. Mid to large-sized equipment will be less impacted because they are used in infrastructures building, which is benefitting from long- term projects and economic stimulus from government. Infrastructures are usually more resilient than housebuilding and non-residential building. In Europe the market volume will shrink, though not as steeply as in 2009-2010. The area of Germany, Austria and Switzerland with the Nordic countries will be less impacted than UK-Ireland and southern Europe. In the UK and Ireland it is difficult to predict the extent of the downturn because of Brexit in addition to Covid-19. China is a different story. In spite of the initial decline of -9% we now foresee a 14% increase in equipment sales for 2020 with a peak to be reached at the end of the year. However, only companies present in China will benefit from the upturn, particularly indigenous OEMs including join ventures and wholly-owned Chinese brands. Globally Off-Highway Research sees a split between China and everywhere else. Other countries will see equipment sales fall by 15 to 35% in 2020, though the volumes will not be as bad as in 2009/2010. A sharp upturn is expected in 2021. However, it is difficulty to make predictions because of the high uncertainty and volatile conditions. Leaving 2020 aside, it is evident that in the medium-term, the economy will need continued support of jobs and businesses. For this large, longterm stimulus will be needed from government authorities.

“Allo stesso tempo, la natura esterna della recessione fa sì che, una volta rimossi i vincoli amministrativi alle attività di produzione e consumo, la ripresa manifesti un passo molto rapido, tale da accorciare i tempi di ritorno alla normalità. Inoltre, non essendoci patologie del sistema economico all’origine della recessione, le autorità possono invece dispiegare appieno gli strumenti monetari e di bilancio di cui dispongono, con l’esplicito obiettivo di evitare che imprese e famiglie subiscano danni persistenti dai provvedimenti di emergenza sanitaria” si legge nel rapporto presentato al SaMoTer Day.

The impact of COVID-19 forces to reschedule more than 50% of the European demolition projects

The European Demolition Association, EDA, has prepared a specific report to analyze the impact of the COVID-19 on the European demolition companies. This report was made with the participation of companies from 18 European countries through an online survey. The impact of the COVID-19 on demolition makes 63% of projects have had to be rescheduled in Europe, leaving only 9% of planned activity intact. Although between 5 and 20% of the projects have been canceled, this percentage represents only 28% of the total number of current projects of the companies. Particularly noteworthy are Denmark (where 56% of the projects have not been affected at all) and Finland (where 100% of the projects have been rescheduled but remain in force). In general the demolition industry has temporarily stopped its activity for some weeks (53%), although there are several countries where activity has not stopped, such as Denmark, Finland, Sweden and the Netherlands. A significant percentage of companies from France and Russia, have been forced to close between 1 and more than 2 weeks. For the first half of May, nearly half of the European demolition sites are currently open, suggesting that the industry is continuing or has returned to a kind of normality. The only case where the proportion of open and closed sites currently is similar is in Greece. After getting through March and April, when several European countries had problems with the supply of personal protective equipment (PPEs), nearly twothirds of survey respondents now said they have sufficient material. Countries such as Denmark, Sweden, The Netherlands or Serbia showed hardly any incidence regarding PPEs. Asked about the reduction of staff, the numbers show how COVID has impacted in Europe in a social and economic way. A total of 64% of European demolition companies have been forced to reduce their staff, although 27% have been temporarily reduced. The economic incentives that National Authorities have implemented to mitigate the consequences of the crisis are particularly remarkable in Ireland, France and Finland where a significant percentage have reduced their staff only temporarily. The Netherlands, Denmark and Italy are the countries least hit by the layoff.

Il COVID-19 ha COstrettO la riprogrammazione di oltre il 50% dei cantieri di demolizione europei

L’impatto del COVID-19 sulla demolizione ha determinato che il 63% dei cantieri abbia dovuto essere riprogrammato in Europa, lasciando inalterato solo il 9% dell’attività pianificata. Lo sostiene l’Eda, European Demolition Association, la piattaforma europea che raggruppa le associazioni nazionali di demolizioni, i fornitori, le società di ingegneria e di consulenza. Sebbene tra il 5 e il 20% dei progetti siano stati annullati, questa percentuale rappresenta solo il 28% del numero totale di progetti in corso delle aziende. Le nazioni meno colpite dalla cancellazione o la riprogrammazione dei cantieri sono state la Danimarca (dove il 56% dei progetti non è stato affatto interessato) e la Finlandia (dove il 100% dei progetti è stato riprogrammato ma rimane in vigore). In generale l’industria della demolizione ha interrotto temporaneamente la sua attività per alcune settimane (53%), sebbene vi siano diversi paesi in cui l’attività non si è fermata, come Danimarca, Finlandia, Svezia e Paesi Bassi. Una percentuale significativa di aziende provenienti da Francia e Russia, sono state costrette a chiudere una o due settimane o più. Per la prima metà di maggio, quasi la metà dei siti di demolizione europei sono attualmente aperti, il che suggerisce che l’industria sta continuando o è tornata a una sorta di normalità. Nel questionario agli associati posto da Eda, alla domanda sulla riduzione del personale, i numeri mostrano come il COVID abbia avuto un impatto sociale ed economico in tutta l’Europa. Il 64% delle imprese europee di demolizione è stato costretto a ridurre il proprio personale, sebbene il 27% lo abbia ridotto solo temporaneamente. Gli incentivi economici che le autorità nazionali hanno attuato per mitigare le conseguenze della crisi sono state notevoli in Irlanda, Francia e Finlandia dove una percentuale significativa di aziende ha potuto ridurre solo temporaneamente il personale occupato. Paesi Bassi, Danimarca e Italia sono stati i paesi meno colpiti dalla cassa integrazione.

acqua: servono investimenti per Fronteggiare gli eFFetti del cambiamento climatico

L’Italia si conferma, tra i 28 Paesi dell’Unione Europea, quello con il maggior prelievo di acqua potabile con 34,2 miliardi di metri cubi, 9,4 dei quali per uso civile. Al contempo, l’inizio del 2020 ha segnato un -75% delle precipitazioni rispetto al 2019, con una temperatura superiore di 1,65 gradi rispetto alla media storica. A fronte di fenomeni climatici estremi sempre più frequenti, per garantire nei prossimi anni un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, sono necessari nel nostro Paese investimenti pari a 7,2 miliardi di euro: 3,9 nel Sud e nelle Isole, 1,9 al Centro e 1,3 al Nord. Lo evidenzia Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche nel “Manuale Siccità”.

Situazione della rete e riuso delle acque reflue

l numero di investimenti infrastrutturali che dovrebbero essere realizzati per contrastare i fenomeni di siccità sono 734, pari a 50 euro per abitante l’anno per un periodo di 4 anni: si tratta di serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti. Tra gli investimenti già pianificati, il 75% sono destinati a interventi per la costruzione di collegamenti di schemi idrici (3,1 miliardi) e per la riduzione delle dispersioni (2,3 miliardi). Seguono gli investimenti per nuovi approvvigionamenti (606 milioni), per serbatoi e invasi (359 milioni), per dissalatori (202 milioni) e per il riuso delle acque reflue (43 milioni). La realizzazione di tali interventi comporterebbe una maggiore quantità di acqua disponibile – intesa come acqua recuperata o come acqua supplementare prodotta - stimata in 1,7 miliardi di mc/anno. Restano comunque elementi di criticità rispetto allo stato delle infrastrutture, dovute in prevalenza alla vetustà delle reti e degli impianti: le perdite di rete sono superiori al 42%, mentre il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani). Negli ultimi anni gli investimenti realizzati dagli operatori industriali sono saliti fino a 44 euro annui per abitante (con un aumento vicino al 30% negli ultimi 7 anni), ma per raggiungere i migliori standard europei bisognerebbe salire a 80 euro. Al momento il tasso nazionale di rinnovo della rete si attesta a 3,8 metri per chilometro, il che vuol dire che al livello attuale di investimenti occorrerebbero 250 anni per sostituire l’intera rete. Una soluzione per compensare periodi siccitosi che dovrebbe diventare strutturale, è il riuso di acque depurate in agricoltura. Specialmente quando la sofferenza maggiore riguarda l’approvvigionamento da acque superficiali - cioè fiumi, laghi, bacini,

e sorgenti – esposte al caldo e in generale ai cambiamenti climatici. Ogni anno in Europa vengono “trattati” nei depuratori più di 40 miliardi di metri cubi di acque reflue, ma ne vengono “riusati” soltanto 964 milioni.

In Italia – dove si trattano e si riusano ogni anno solo il 2% delle acque reflue – in attesa del recepimento della direttiva

UE il quadro normativo del riuso impone ancora restrizioni alla sua diffusione, dal momento che è ancora vigente il DM 185/2003 che impone limiti molto restrittivi per il riuso.

E invece secondo Utilitalia andrebbero applicati all’acqua gli stessi principi dell’economia circolare per ottenere effetti virtuosi.

“Siccità invernale” e resilienza rispetto al clima che cambia

L’Italia ha visto negli ultimi anni il susseguirsi di situazioni climatiche estreme, in termini di temperature raggiunte nonché di scarsità di precipitazioni. Ciò ha causato diffusi regimi idrologici di magra, la mancata ricostituzione delle scorte naturali (nevai, ghiacciai, falde, laghi) e una maggiore richiesta di acqua per qualunque attività umana. A causa della sua particolare collocazione geografica, l’Italia è molto esposta agli effetti dei fenomeni climatici estremi; di conseguenza, è necessario investire in infrastrutture che favoriscano l’adattamento delle città al clima che cambia. Una parola chiave per gestire con un approccio innovativo il ciclo dell’acqua è resilienza, nell’ambito di un processo che collega cittadini, associazioni, enti istituzionali e aziende.

L’acqua elemento trainante del Green New Deal

Nel settore idrico gli investimenti delle utilities, che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi annui, oggi ammontano a 3 miliardi annui e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi 5 anni (cifra che comprende in parte anche i 7,2 miliardi necessari a fronteggiare la siccità).

Per la Federazione Utilitalia è necessario ragionare su una riorganizzazione del settore idrico che parta dalla consapevolezza dell’importante sviluppo del servizio per i cittadini registrato in alcune aree del Paese grazie alla presenza di operatori industriali qualificati; per il Sud, in particolare, serve un grande piano che favorisca l’aggregazione delle imprese pubbliche esistenti sul territorio, per attrarre i privati e le grandi utilities del Centro-Nord nel capitale e nello sviluppo dei progetti.

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