Ce la puoi fare - Libri e autostima

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leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

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L’autostima è la considerazione che un individuo ha di sé. Come per tutti i miei scritti, quando ho deciso di dedicare questo articolo al tema dell’autostima ho iniziato a cercare libri sull’argomento e testi che potessero essermi di supporto. In quasi tutti i manuali ho letto, con un po’ di trepidazione e anche di sgomento, che l’autostima dei figli rispecchia in modo inequivocabile l’autostima dei genitori. Quindi, se i genitori trasmettono un’immagine positiva di se stessi ed evitano di inviare messaggi pessimistici e di lamentarsi continuamente, aiutano i bambini a crescere sereni e sicuri. Ma chi aiuta i genitori a essere un buon esempio? Chi insegna ai genitori ad accompagnare i loro figli nel complesso processo di

costruzione dell’identità? Chi aiuta i genitori ad avere una buona autostima? Subito ho cercato nella sezione della biblioteca dedicata agli albi illustrati un piccolo libro che alcuni anni fa è stato pubblicato su questo delicato argomento: Il punto di Peter H. Reynolds. Non si tratta di un manuale per genitori e, anche se ufficialmente è consigliato a bambini dai 5 anni, io lo propongo a insegnanti, educatori e a tutti coloro i quali hanno bisogno di rafforzare la propria autostima. Ancora una volta i libri che presento hanno l’obiettivo di fornire a genitori ed educatori uno strumento di aiuto per incoraggiare i bambini a coltivare le proprie potenzialità, ma anche un aiuto per coltivare le proprie inclinazioni.

C’è un fenomeno noto come effetto pigmalione o profezia che si autoavvera: poiché le aspettative giocano un ruolo fondamentale sulla vita delle persone e derivano dalle proprie convinzioni, qualunque cosa ci si aspetti, riguardo a se stessi e alle persone che ci circondano, in positivo o in negativo, si è predisposti a realizzarla. Anche se non si dichiarano apertamente ai propri figli o ai propri allievi, le aspettative che si hanno nei loro confronti giocano un ruolo molto importante; ogni giorno, in base a come ci si comporta e a come si parla, i bambini si creano un’immagine di cosa gli adulti pensano di loro; tale immagine li porta poi a comportarsi in modo da adeguarsi all’immagine che gli viene fornita.


Era convinta di non saper disegnare. Così quando la sua insegnante di disegno le ha messo davanti un foglio bianco su cui esprimere la propria arte, la piccola Vashti ha disegnato un punto. Un punto lasciato sul foglio più per dispetto che per la voglia di disegnare qualche cosa. Ed era certa che l’insegnante le avrebbe confermato di essere incapace a disegnare. Ma non è stato così. La saggia maestra le ha detto che un punto è sempre un inizio. E da quel punto la bambina ha capito di poter fare qualche cosa di più: una serie di punti, punti più grandi, punti colorati, una cornice di punti. Il punto è un libro che con poche frasi lancia un messaggio ben preciso e che racchiude in poche pagine una storia semplice ma profonda. La lezione di disegno è finita e Vashti è ancora seduta al suo banco davanti al foglio di carta bianco. Le parole della sua maestra sono un invito a cercare di esprimersi. Ma Vashti non riesce proprio a disegnare. Vashti dice di non saper disegnare. La sua maestra invece non la pensa così. «Fai un punto, un semplice punto e poi guarda dove ti conduce». Lei sa che c’è un impulso creativo in ognuno di noi. E

infatti quel piccolo punto, dovuto a un gesto di rabbia, segnerà l’inizio di un modo nuovo di affrontare le difficoltà. Alla fine la bambina mostra al pubblico i suoi disegni, che piacciono a tutti, e lei stessa aiuta un altro bambino, che dice di non saper disegnare, a superare la sua difficoltà. Vashti è una ragazzina che non crede nelle proprie possibilità, che ha una bassa autostima. Vashti

ha però la fortuna di avere un’insegnante che la incoraggia, riuscendo a stimolarne la creatività. Il libro può essere uno strumento di riferimento per gli insegnanti affinché imparino a riconoscere l’impulso creativo dei loro allievi, ma anche uno strumento per far capire ai bambini che noi adulti vogliamo rispettare le loro difficoltà e le loro insicurezze. I bambini apprezzano molto se raccontiamo di quando anche noi ci siamo trovati nelle stesse difficoltà, abbiamo

avuto i loro stessi problemi, abbiamo provato le stesse paure e le abbiamo affrontate. In questo modo si relativizzano le situazioni puntando soprattutto sulla possibilità di miglioramento e di risoluzione dei problemi con il tempo e l’esperienza. Tutti possono sbagliare, ma tutti possono migliorare. Abbiamo una immagine che corrisponde a ciò che siamo veramente? Ci stimiamo a sufficienza? Possiamo migliorare il nostro rapporto con noi stessi? Quale valore e quali abilità ci riconosciamo, quali pregi e quali difetti? Quanto siamo consapevoli dei nostri limiti, ma soprattutto delle nostre capacità? Una scarsa autostima ha delle conseguenze fondamentali per la crescita e quindi va rafforzata dando ai bambini gli strumenti per crescere come individui autonomi e sicuri di sé. Sia i bambini che gli adulti si creano un’autostima personale confrontando ciò che pensano di essere e ciò che vorrebbero essere. Spesso in questo confronto si sottovalutano le proprie attitudini e potenzialità ponendo l’attenzione piuttosto a ciò che non si è e a quello che non si riesce a fare. La visione di noi stessi va continuamente rinforzata, non solo

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da bambini ma anche da adulti. Per coltivare l’autostima è necessario prima di tutto essere consapevoli del proprio valore e dei talenti che ciascuno di noi ha. I bambini non nascono con una precisa percezione di sé, ma se la costruiscono piano piano; sin da piccolissimi i bambini costruiscono una immagine di sé che dipende soprattutto dal modo in cui gli adulti si pongono nei loro confronti e dal modo in cui gli altri reagiscono di fronte ai loro comportamenti. I bambini cercano l’approvazione degli adulti, soprattutto dei genitori, degli insegnanti e delle persone con le quali trascorrono più tempo; capiscono se gli altri sono contenti di quel che fanno e questo li aiuta a costruire un’immagine di sé armonica. Nel corso della crescita ci sono tre elementi che, se in accordo tra loro, permettono al bambino di crescere serenamente; in caso contrario il bambino si sente inadeguato e non accettato: il sé reale, cioè quello che il bambino crede di essere, il sé ideale, cioè quello che vorrebbe essere e il sé imperativo, cioè quello che sente di dover essere. Nel libro Ippolita. La bambina perfetta la protagonista percepisce soprattutto

la discrepanza tra quel che crede di essere e quel che dovrebbe essere. La bambina cerca amici tutti uguali e perfetti ma poi scopre che amici tutti diversi la possono rendere più felice. Ci sono tanti amici con cui Ippolita potrebbe giocare, però alcuni hanno gli occhi troppo a mandorla, altri i capelli troppo ricci e neri, altri sono grassottelli e altri più bravi di lei ad andare sui pattini, a fare le gare

di corsa o a giocare con i dadi. Insomma, Ippolita, la bambina perfetta, cerca degli amici perfetti e così il mondo si restringe intorno a lei. Un giorno finalmente capisce che invece di ricercare un modello inesistente di perfezione per lei e gli altri, è meglio accettare se stessa e apprezzare le differenze come una ricchezza. Si può modificare il pensiero negativo in pensiero positivo ricordandosi che


Tutti hanno una idea diversa di Greg: il padre lo vorrebbe più sportivo, la madre lo vorrebbe più formale ed educato, il fratello maggiore si crede l’esempio da seguire e il fratellino più piccolo gli addossa tutte le colpe. In quasi ogni situazione qualcuno vorrebbe che il ragazzo fosse in un modo ben preciso senza tenere conto di ciò che Greg è realmente. Non tutti hanno apprezzato Diario di una schiappa, che si è rivelato a volte cinico e crudele ma che comunque è un libro che ci può far riflettere su come possono diventare i ragazzi in una società senza dialogo, confronto e rispetto. ragioni di tanto successo La mancanza di autostiho voluto addentrarmi in ma deriva dal percepire la questa cronaca delle av- mancanza di amore inconventure quotidiane di una dizionato da parte dei genisorta di imprevedibile e tori. Dimostrare ai figli di simpatico antieroe. Il pro- amarli incondizionatamentagonista deve confrontar- te significa dimostrare loro si giornalmente con tutti i di amarli solo per il fatto problemi di un undicenne: che esistono e non per quella scuola, i ragazzi e le ra- lo che fanno: indipendenteStrettamente collegato al gazze, gli amici e i nemici mente dai risultati sportivi concetto di autostima è ... sempre alle prese con o scolastici, indipendenquello di autoefficacia, cioè ciò che vorrebbe essere e temente dalle apparenze l’idea che una persona ha ciò che genitori e coetanei e dai canoni che la società di riuscire a superare gli vorrebbero che lui fosse. vorrebbe imporre. Per queostacoli. Nel libro Diario Si tratta di un giornale di sto è molto importante sedi una schiappa, Jeff Kin- bordo a vignette che a trat- parare l’essere dal fare. Se ney racconta come essere ti mi è sembrato banale e un figlio si comporta in un un ragazzo sia un mestie- stereotipato, ma a volte mi modo che il genitore non re complicato. Nessuno lo è parso ironico e dissacran- ritiene opportuno, non va sa meglio di Greg, che ha te, soprattutto nei confron- attaccato il suo essere, ma iniziato la scuola media e ti del concetto di famiglia. il suo comportamento. quello che ci fa star male e a disagio o avere una bassa autostima, non è tanto l’avere o il possedere certi tratti di carattere o aver vissuto determinate esperienze negative del passato, quanto piuttosto l’interpretazione che ne abbiamo dato e che continuiamo a mantenere. Ad esempio, se Ippolita è da sempre convinta che è necessario essere perfetta e impeccabile, dovrà cominciare a convincersi che è impossibile non sbagliare mai. Si tratta quindi di reinterpretare in modo completamente nuovo e realistico l’idea che la bambina ha di se stessa, vedendola come un insieme più o meno organizzato e armonico di tendenze e di pulsioni. Le aspettative influiscono fortemente sul comportamento delle persone, con il risultato inequivocabile che esiste il potere di far sì che gli altri diventino ciò che ci si aspetta da loro.

si ritrova in mezzo a compagni ben più alti di lui, ragazze improvvisamente grandi e amici con cui è difficile andare d’accordo. Ero molto scettica quando è stato pubblicato questo libro. Non mi piacciono molto i termini come schiappa poiché catalogano in modo irreversibile bambini o ragazzi che sono invece il risultato di molte sfumature. Cercando di non essere prevenuta e per capire le

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in­fatti, accetta di sé solo le qualità e gli aspetti positivi. Troppo facile amarsi quando si hanno solo bei voti, successi e gratificazioni. All’apposto ci vuole un bel coraggio ad amarsi ed accettarsi, nonostante delusioni e frustrazioni. A volte mi succede di non riuscire ad accettarmi, di non riuscire ad accettare i miei limiti e di voler essere una Supermamma, una Supermoglie e una Superlavoratrice! Per provare ad accettarmi allora ho cercaBibliografia to di liberarmi dalle illusioni che ho costruito su me Il punto. P.H. Reynolds, Ape Junior, 2003 stessa, lasciando andare gli stereotipi con cui sono crePiccolo Re e Grande Re. N. Cinquetti, D. Vignoli, Arka, 2009 sciuta e vivendo le piccole Un vero leone. M. Gubellini, Bohem, 2009 cose dell’essere mamma e L’oritteropo che non sapeva chi era. J. Tomlinson, Feltrinelli, appassionata educatrice. 2009 Sarebbe bello accettarsi Ippolita la bambina perfetta. G.Caliceti, M. Cerri, Arka, 2005 con tutto ciò che sta dentro Diario di una schiappa. J. Kinney, Il Castoro, 2008 di noi, non solo con i nostri punti forti, ma anche con Io e te. N. Ammaniti, Einaudi, 2010 le nostre debolezze. Si dice Il mio brufolo e io. I. Einwohlt, Sonda, 2009 che ha un sano senso di auAiutare i bambini... con poca autostima. Attività psicoeducative tostima solo chi si permette con il supporto di una favola. M. Sunderland, Erickson, 2005 di guardare con umorismo Le fiabe per sviluppare l‘autostima. Un aiuto per grandi e alle proprie debolezze. Per piccini. E. Benini G. Malombra, FrancoAngeli, 2009 ora, spesso immersa in una quotidianità frenetica fra famiglia e lavoro, faccio un errori e non ad avere pau- ma di chiunque subirebbe po’ fatica a mettere in pratica queste belle parole, ma ra del fallimento. I bambi- un forte contraccolpo. molte letture mi aiutano a ni che hanno ricevuto elogi e amore incondizionato Accettarsi significa quin- ridimensionare le illusorie hanno maggiori possibili- di accettare tutto di sé: il aspettative. tà di non dover cercare in bene e il male, il positivo e Il processo di auto-accetogni circostanza e in ogni il negativo. momento l’approvazione È un passo difficile: la mag- tazione non è qualcosa che degli altri. Possiamo sup- gior parte delle persone, si raggiunge una volta per Quante volte abbiamo sentito dire o ci siamo fatti scappare frasi del tipo «Fai il bravo» o «Sei proprio un bambino capriccioso». Queste frasi implicano che quando il bambino sta semplicemente esprimendo le esigenze di un qualsiasi bambino, venga considerato cattivo o capriccioso. Un bambino che sbaglia non è cattivo; gli adulti possono insegnare ai bambini a crescere imparando dagli

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portare i bambini e i ragazzi con critiche costruttive che sottolineino sempre la possibilità di trovare una soluzione, una strada positiva; la critica può contenere un riconoscimento e una lode come «sei stato coraggioso a provarci!» e va rivolta all’azione e non alla persona. Se la critica diventa un rimprovero si comunica astio e una insopportabile irrevocabilità; in questi casi l’autosti-


sempre. È un percorso che dura per tutta la vita. Accettarsi significa riconciliarsi con la propria storia di vita e con tutte le ferite che l’hanno costellata: accettare e comprendere le ferite del proprio passato ci rende capaci di comprendere gli altri e di accompagnarli. Accettarsi significa far pace con se stessi, riscoprendo la propria unicità. Anche nel libro Io e te di Niccolò Ammaniti si affronta il tema del bisogno da parte di un adolescente di soddisfare le aspettative degli altri. Il protagonista si chiama Lorenzo, ed è un ragazzo di quattordici anni molto introverso. Se potesse, passerebbe le giornate leggendo e giocando con i videogiochi. Lorenzo, dato che i suoi genitori sono molto preoccupati per lui, dice di essere stato invitato in montagna. Ma il ragazzo non è stato invitato da nessuna parte e ha inventato una bugia per accontentare le aspettative della famiglia. Decide di chiudersi in cantina dove trascorrere alcune giornate. Lorenzo si sente diverso, incompreso e non apprezzato soprattutto dalla famiglia.

Da qualche parte, ai tropici, vive una mosca che imita le vespe. Ha quattro ali come tutte quelle della sua specie, ma le tiene una sull’altra, così sembrano due. Ha l’addome a strisce gialle e nere, le antenne e gli occhi sporgenti e ha anche un pungiglione finto. Non fa niente, è buona. Ma, vestita come una vespa, gli uccelli, le lucertole, persino gli uomini la temono. Può entrare tranquilla nei vespai, uno dei luoghi più pericolosi e vigilati del mondo, e nessuno la riconosce. Avevo sbagliato tutto. Ecco cosa dovevo fare. Imitare i più pericolosi. Mi sono messo le stesse cose che si mettevano gli altri. Le scarpe da ginnastica Adidas, i jeans con i buchi, la felpa nera con il cappuccio. Mi sono tolto la riga e mi sono fatto crescere i capelli. Volevo anche l’orecchino ma mia madre me lo ha proibito. In cambio, per Natale, mi hanno regalato il motorino. Quello più comune. Camminavo come loro. A gambe larghe. Buttavo lo zaino a terra e lo prendevo a calci. Li imitavo con discrezione. Da imitazione a caricatura è un attimo. Durante le lezioni me ne stavo al banco

facendo finta di ascoltare, ma in realtà pensavo alle cose mie, mi inventavo storie di fantascienza. Andavo pure a ginnastica, ridevo alle battute degli altri, facevo scherzi idioti alle ragazze. Un paio di volte ho anche risposto male ai professori. E ho consegnato il compito in classe in bianco. La mosca era riuscita a fregare tutti, perfettamente integrata nella società delle vespe. Credevano che fossi uno di loro. Uno giusto. Quando tornavo a casa raccontavo ai miei che a scuola tutti dicevano che ero simpatico e inventavo storie divertenti che mi erano successe. Ma più inscenavo questa farsa più mi sentivo diverso. Il solco che mi divideva dagli altri si faceva più profondo. Da solo ero felice, con gli altri dovevo recitare. Nella ricerca del sé, a volte ci si vuole nascondere o omologare agli altri. Ma negando se stessi si va incontro solo a delusioni. Sentirsi giusti dovrebbe essere il poter esprimere se stessi con serenità e non l’essere come gli altri vorrebbero.

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