di Luigi Bulotta
Diritti vecchi e nuovi
editoriale
4
La sentenza della Corte Costituzionale che sancisce il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini anche nei casi di “madre naturale che ha scelto di non voler essere nominata”, apre un dibattito sociale e politico tra i sostenitori di tesi divergenti. Molti sostengono che ricontattare oggi quelle madri che hanno scelto di partorire in forma anonima per verificare il perdurare della loro scelta dell’anonimato, sia una intrusione nelle loro vite, una violenza che fa riemergere un passato che avevano chiesto di archiviare per sempre, con un concreto rischio di sconvolgimento dei loro rapporti familiari. Gli stessi ritengono che per il futuro, la possibilità che sulla decisione di partorire in forma anonima non cali l’oblio previsto attualmente dalla nostra legislazione (99 anni), e che è stato il motivo principale di tanti parti anonimi, possa aumentare il rischio di aborti e di abbandoni selvaggi, quando non di peggio anche di infanticidi. Di sicuro una madre che decide di partorire e di non voler essere nominata opera una delle scelte più difficili e dure che una donna possa fare, una scelta che merita tutto il nostro rispetto. Altrettanto rispetto però merita chi, non riconosciuto alla nascita, vive con sofferenza la privazione di una parte di sé e della propria identità e arriva alla determinazione di ricercare le proprie origini. Si tratta di una decisione che richiede senz’altro una notevole introspezione, l’accettazione dell’impatto che questa ricerca avrà sui rapporti familiari esistenti, la delusione a cui una scelta del genere inevitabilmente espone. Anche questa è una scelta che si compie non senza fatica e che merita tutto il no-