editoriale
di Anna Guerrieri
Il ruolo sociale della famiglia che adotta Presto sarà di nuovo il 20 novembre, giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Si celebra, naturalmente, la data in cui la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia venne approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il 20 novembre 1989. In quell’occasione, in ogni paese, si farà di nuovo il focus su tutti i temi fondamentali riguardanti il benessere dei bambini e dei ragazzi nella società. Con questo pensiero nel cuore, come famiglie che adottano, abbiamo il dovere di dire che in questo istante si sta vivendo un momento veramente complesso, di grande confusione e sovente di smarrimento. Nel parlare ci sentiamo forti di una consapevolezza importante. Noi, infatti, sappiamo per vita vissuta che i bambini e le bambine hanno il diritto ad avere una famiglia in cui crescere, una famiglia capace di guardare con affetto ai loro bisogni e di crescerli rispondendo alle loro necessità e che è dovere degli stati intervenire quando ai bambini questo diritto viene negato, quando subiscono maltrattamenti e abusi. Quando i bambini e le bambine sono in stato di abbandono, quando non ci sono più margini per il recupero dei legami originari, la famiglia adottiva diventa lo strumento vivo attraverso cui si riconosce ai piccoli il loro diritto fondamentale. La famiglia adottiva, dunque, è una famiglia che svolge un ruolo sociale e tale ruolo le va riconosciuto in pieno. È famiglia a tutti gli effetti, ma certamente anche famiglia con una storia speciale e preziosa. Le famiglie adottive italiane adempiono a questo compito con generosità e disponibilità. Sono tante le coppie che si rendono disponibili all’adozione. Le coppie italiane adottano bambini che in media hanno dai sei anni in su, fratrie, bambini e bambine con grandi necessità di recupero psicofisico, bambini sovente con ritardi e disabilità su cui è necessario intervenire a lungo nel tempo.