di Simone Berti
Uno spazio aperto
editoriale
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A volte occorre che qualche avvenimento ci riporti con una certa brutalità, con fatica e dolore, di fronte a quanto continuiamo a non prendere sufficientemente in considerazione nella nostra vita e in ciò che ci riguarda. Il gesto di Habtamu - il ragazzo scappato a piedi per raggiungere il suo paese d’origine e ritrovato a Napoli spaventato e desideroso di fermarsi - ci spiazza, ci commuove e ci porta a riflettere ancora una volta sui troppi silenzi e le troppe ambiguità di cui spesso possono essere attorniate le storie delle nostre adozioni e le vite stesse dei nostri figli. Silenzi pesanti come macigni, silenzi affiancati da troppe parole, sempre le stesse, banalità ricorrenti, luoghi comuni pronti ad essere usati per ogni evenienza e che spesso funzionano come un denso schermo di retorica e ne coprono altre, più vere, impedendo che vengano dette, udite, ascoltate. Certo l’episodio di Habtamu ha dalla sua la forza del gesto eclatante, dimostrativo, che non è facile ignorare, mettere a tacere. Piuttosto ce ne difendiamo proprio sottolineandone il tratto straordinario come cercassimo di allontanarlo dalla nostra quotidianità intessuta di tanti altri piccoli gesti, segnali altrettanto significativi che però abbiamo l’impressione di riuscire a gestire, contenere, neutralizzare. E’ difficile a volte capire quello che stiamo vivendo. Quanta attenzione e cautela ci vuole per ogni storia che va costruendosi per non ridurla, non banalizzarla e rispettarne la complessità. Troppo alto però è il prezzo che le famiglie pagano nel tentativo di rincorrere il desiderio di un’integrazione rapida nel contesto sociale in cui vivono. Troppa la solitudine in cui si cerca di mettere a tacere una criticità così difficile da sostenere ed affermare. Ogni famiglia adottiva ha il compito di assorbire al proprio interno la storia dei propri figli e questo ci aiuta, ma ancor di più ci costringe, a capire qualcosa di più di noi, di loro, delle nostre storie che si compongono. Spesso siamo proprio noi adulti che non riusciamo a parlare di qualcosa, che non riusciamo a nominare, condividere gli aspetti problematici con cui facciamo i