Genitori si diventa

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leggendo di Antonio Fatigati

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E’ in arrivo la seconda edizione di “Genitori si diventa”, un libro “storico” della nostra associazione. Vi proponiamo di seguito l’introduzione di Antonio Fatigati e un contributo di Francesco Marchianò. Dieci anni dopo Dieci anni sono tanti. Un arco temporale nel corso del quale si cresce (i figli) e si matura (i genitori). Ci si ritrova qualche filo bianco in più nei capelli e guardandosi indietro ci si rende conto che la strada percorsa non è poca. Dieci anni sono tanti anche per un libro, soprattutto per un libro come questo che ha l’ambizione, premiata dai numerosi lettori, di raccontare l’adozione in un percorso lineare fatto di competenze e di vita vissuta. Inevitabilmente, rileggendo ciò che si era scritto dieci anni prima ci

si rende conto che qualcosa necessita di un aggiornamento. Non tutto però. Alcuni testi hanno mantenuto valore e freschezza. Un bene? Qualche volta sì, perché significa che siamo di fronte a riflessioni radicate in pensieri profondi, testati da esperienze precedenti. E il tempo trascorso non ne ha scalfito il valore. Altre volte invece no, non è un bene, perché significa che ciò che rappresentava un problema dieci anni fa è rimasto insoluto. Certo è che in questi anni molte cose nell’adozione sono cambiate e se do- vessi rifarmi alla mia personale esperienza familiare (che si appresta a tagliare il traguardo dei vent’anni…) mi verrebbe difficile cogliere similitudini. Occorre allora che anche queste pagine si aggiornino, che raccontino di com’è

oggi adottare, di come è cambiato il mondo della scuola, dei progressi fatti nelle relazioni tra genitori e figli, tra genitori e scuola, tra genitori e associazioni di volontariato, tra associazioni di volontariato e istituzioni. Buona lettura.

Il tempo dell’attesa. L’esperienza del gruppo di mutuo aiuto Parliamone nell’Attesa in Genitori si diventa Onlus 1 di Francesco Marchianò* Introduzione Il percorso proposto negli incontri dedicati al tempo dell’attesa, basato sui contenuti tipici della preparazione all’adozione, concentra l’attenzione sulle sfide maggiori che questa fase, lunga e cruciale, pone alle coppie. Il Parliamo-


ne nell’Attesa è una delle attività più importanti di Genitori si diventa onlus al fine di creare reti di sostegno per le famiglie che durino nel tempo. La cura della fase prima dell’adozione è considerata delicata e importante perché è la fase in cui si passa dalla ricerca spasmodica di notizie a una riflessione sulle proprie ragioni per adottare, perché in adozione nazionale è spesso periodo di solitudine, perché in adozione internazionale è spesso periodo di ansie, dubbi e incidenti di percorso, perché l’attesa è lunga, perché l’attesa talvolta si “riempie” con abbinamenti che non arrivano a conclusione, con incontri con fu-

turi figli che poi arrivano solo molto “dopo”, perché un buon percorso prima è “preventivo” e crea quelle basi che possono aiutare a evitare difficoltà in abbinamento, incontro e difficoltà post adozione, perché chi ha trovato compagnia nell’attesa poi ha le risorse per non restare solo dopo aver adottato. Il Parliamone nell’Attesa è il gruppo di mutuo aiuto dedicato a chi desidera diventare genitore ed ha già superato la fase di incontro con Servizi territoriali e Tribunale per i minorenni. Parliamo dell’incontro con le paure e tutte quelle emozioni che solo in questo periodo e per la prima volta, dopo l’iter con i Servizi territoriali e

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l’incontro con il Tribunale, hanno l’opportunità e il modo di emergere e riprendersi il loro protagonismo. Si tratta di sperimentarsi in un tempo e uno spazio in cui proprio le paure sono invitate delicatamente a uscire con la promessa, certo, di un’accoglienza adeguata e non giudicante. Lo sforzo importante di chi partecipa a questo tipo di lavoro sull’attesa è proprio quello di capire come condividere queste esitazioni, questi timori trovando la strategia più giusta per comunicarli, in quest’ambito, sia al proprio partner che agli altri componenti del gruppo. I concetti principali intorno ai quali si costruisce questo percorso

Il Parliamone nell’Attesa è una delle attività più importanti di Genitori si diventa onlus al fine di creare reti di sostegno per le famiglie che durino nel tempo. La cura della fase prima dell’adozione è considerata delicata e importante perché è la fase in cui si passa dalla ricerca spasmodica di notizie a una riflessione sulle proprie ragioni per adottare, perché in adozione nazionale è spesso periodo di solitudine, perché in adozione internazionale è spesso periodo di ansie, dubbi e incidenti di percorso, perché l’attesa è lunga, perché l’attesa talvolta si “riempie” con abbinamenti che non arrivano a conclusione, con incontri con futuri figli che poi arrivano solo molto “dopo”, perché un buon percorso prima è “preventivo” e crea quelle basi che possono aiutare a evitare difficoltà in abbinamento, incontro e difficoltà post adozione, perché chi ha trovato compagnia nell’attesa poi ha le risorse per non restare solo dopo aver adottato. Il Parliamone nell’Attesa è il gruppo di mutuo aiuto dedicato a chi desidera diventare genitore ed ha già superato la fase di incontro con Servizi territoriali e Tribunale per i minorenni. * Psicologo/Psicoterapeuta collaboratore di Genitori si diventa Onlus.

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sono molto semplici e solo apparentemente scontati. Non si tratta, infatti, soltanto di presentare dei contenuti specifici, o di trattare gli argomenti sensibili dell’attesa, ma soprattutto di assicurarsi che le modalità con cui questo avviene siano quelle adeguate alle persone che si hanno davanti. È necessario soprattutto creare un clima che permetta a ciascuno di “sentirsi comodo”, ivi compreso il conduttore e infatti, uno degli obiettivi principali è davvero quello di riuscire ad “investire se stessi”, accogliendo le proprie e le altrui emozioni. Prepararsi, nell’attesa, all’accoglienza di un figlio, implica predisporsi ad accogliere e a concedersi misurandosi col fatto che con un bambino non si può non avere una relazione che non sia sincera. Provare a

essere veri nella relazione con se stessi all’interno di incontri di questo genere, può aiutare alla creazione, può contribuire alla costruzione di uno spazio dentro di sé che predispone ancora di più all’incontro con l’altro. È tranquillizzante, per affrontare al meglio le complessità che l’adozione pone sia nei primi momenti sia dopo, più avanti, quando i figli crescono, che i futuri genitori siano sanamente timorosi e capaci di non dar nulla per scontato. Il loro desiderio di diventare genitori, di incontrare un figlio attraverso l’adozione, ha, sin dal momento dell’attesa, la possibilità di crescere insieme alla voglia di evolvere, trasformarsi e cambiare come esseri umani diventando consapevoli che solo aprendosi all’esterno, alla possibili-

tà di accogliere chi è altro da sé, di ascoltare la storia di chi è altro da sé, di riuscire a contenere il suo impegnativo racconto, si può scoprire come lanciarsi in avanti nell’adozione. È proprio a contribuire al raggiungimento di questa dimensione consapevole che punta il lavoro realizzato nei gruppi che si dedicano all’attesa. Obiettivi e ruolo del conduttore La creazione di un clima, che favorisca l’espressione dei propri sentimenti, non dimenticando mai il ruolo della coppia e delle singole individualità è l’obiettivo imprescindibile e forse più importante di un gruppo di mutuo aiuto dedicato al tempo dell’attesa. E per questo si usano gli effetti di stimolo del lavoro di gruppo. Creare il clima favore-


vole diventa determinate per assicurare il successo e l’efficacia del percorso. Durante il primo incontro è importante stabilire quelle che saranno le proposte formative degli incontri successivi per cominciare a condividere il percorso che si farà insieme. Già in questa fase è importante introdurre il concetto di limite. Cerchiamo di capire, tuttavia, bene di cosa parliamo. Il limite è ciò che ci accomuna è la percezione e il contatto che abbiamo con noi stessi, è quella cosa che ci permette di affrontare con un buon margine di successo qualunque progetto o sfida vogliamo intraprendere. Solo quando lo conosciamo per davvero e ne siamo consapevoli, ce

lo riconosciamo, possiamo sfidarlo e, se fatto con rispetto, sfidare il proprio limite può essere una buona strategia per “crescere”. La consapevolezza di sé, dei propri bisogni aiuta a valorizzare, nel percorso dell’attesa, il confronto. Il punto di vista di chi ci sta accanto diventa una risorsa, un’occasione per riflettere, si tende a creare una comunicazione nel gruppo che permette ai partecipanti di mettersi in gioco senza preoccupazione entrando così in una dimensione sperimentale, tutta da scoprire nella quale i presenti potranno cooperare e dove il contributo di ciascuno sarà determinante e arricchente. Il lavoro del conduttore, quindi, si

basa prevalentemente su un metodo, che favorisce la condivisione di emozioni, attraverso una metodologia di attivazione. L’idea che ispira il percorso è di dare voce al “non detto”, cioè alle emozioni vissute e a volte non espresse nemmeno con il proprio partner2 . Realizzare una specie di viaggio nelle emozioni inespresse è l’intento cercando di creare un luogo e un tempo in cui i preconcetti e i pregiudizi lascino posto alla spontaneità e all’immediatezza del sentire. Il conduttore ha molte sfide davanti quando avvia un percorso di questo tipo e, tra queste, le maggiori sono: proteggere i singoli e la coppia, normalizzare ciò che sembra incompren-

Stimolare nella coppia la voglia, la curiosità, la disponibilità a parlarsi, a conoscersi per come ci si immagina genitori e specificamente per come ci si immagina genitori attraverso l’adozione permette di allenarsi al confronto con l’altro (le sue paure, i suoi pudori, i suoi silenzi) ma permette soprattutto di approfondire sin dall’attesa una complicità ed una sintonia, un’abitudine a fermarsi e dirsi cosa si prova che potranno essere utili dopo l’arrivo dei figli. 2

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sibile e unico, “usare” il gruppo per far vivere l’esperienza dell’accoglienza. L’atteggiamento protettivo del conduttore è un tassello imprescindibile che si agisce soprattutto attraverso l’ascolto. Valorizzare, accogliere quanto detto dai partecipanti è il modo più efficace per prendersi cura e proteggere le emozioni vissute durante la trattazione di temi difficili3 . Normalizzare significa permettere ai partecipanti di uscire dalla sensazione di solitudine causata spesso dal non autorizzarsi a dire per paura di non essere compresi, ben sapendo che questa solitudine, questo non poter dirsi, può succedere anche nella coppia. Per creare una possibilità maggiore di condivisione si condividono regole di funzionamento del gruppo che prevedono la massima apertura all’ascolto, niente dovrà essere vissuto come scontato o poco importante. Tutto ciò

altrui paure Quando in gruppo si comincia a parlare delle proprie paure individuali, si scoprono una quantità di cose inaspettate, sia di se stessi che del proprio partner. Il gruppo può allora essere “utilizzato” per superare la naturale difficoltà di ammettere e di condividere le proprie paure ed è proprio grazie all’esperienza degli altri, e ascoltando la ricchezza e la diversità di ciascuno, che si può giungere alla conclusione che il percorso di gruppo in questa fase del percorso adottivo sia un’esperienza utile e arricchente. Le affermazioni e le confidenze dei partecipanti in relazione alla “paura dell’adozione” inevitabilmente si ripetono nei vari gruppi4 , ma, ogni volta, contengono sfumature e variazioni sempre nuove e devono essere ogni volta contestualizzate. Negare o nascondere a se stessi le paure Accogliere le proprie e le tipiche del periodo dell’atche si prova sarà accolto, è a carico del conduttore mediare e rendere efficace il confronto. Così, anche attraverso il lavoro in gruppo e sul gruppo si creano le condizioni per prendersi cura della coppia. Capita che uno dei partner ascolti, per la prima volta durante questo viaggio, alcune emozioni nascoste dell’altro. Si scopre, piacevolmente, una dimensione “sociale” del partner, anche in questioni delicate. In sostanza il gruppo, a volte, si rivela capace di far emergere la specificità della singola persona, meglio di quanto riesca a fare la dimensione di coppia. È in questa maniera che l’obiettivo centrale e finale, consistente nell’attivare processi dì cambiamento e di apertura verso l’esterno per creare il terreno fertile per l’accoglienza del bambino, comincia sempre più a diventare protagonista.


tesa è molto frequente. In primo luogo, spesso non si ammette l’esistenza dentro di sé di un bambino “ideale”, che deve essere necessariamente depotenziato se si vuol fare posto al bambino reale (si veda il par. successivo). Spesso si tende a sottovalutare la necessità e l’opportunità di mettersi in contatto con il proprio dolore personale, prima dell’arrivo del bambino. Mettere a fuoco le proprie paure e debolezze, come anche quelle del partner, risulterà di grande aiuto quando si dovrà conoscere, toccare e accogliere le paure e debolezze del nuovo arrivato. Un altro tassello importante è quello riguardante il riu-

scire ad affrontare il tema del rapporto con il proprio essere “bambino”. Saper riconoscere di avere bisogno di essere accolti nelle proprie fragilità fanciullesche è un altro passo determinante per un incontro sereno con un bambino o una bambina veri. La trattazione di queste paure ed emozioni in un gruppo di persone “in attesa” implica sempre uno scambio di vedute e una profonda analisi introspettiva. Lo scambio, infatti, permette di comprendere che le paure sono normali e fanno parte integrante del percorso. Esse stesse possono essere accolte all’interno della coppia e diventare una fonte di arricchimen-

to e stimolo che consolida il rapporto e la complicità. Spesso le coppie quando si isolano vivono una grande fragilità, è come se non avessero le energie e le risorse necessarie per accogliere e normalizzare le paure del singolo partner o di entrambi. Il lavoro di confronto e di apertura all’interno del gruppo può dare un grande contributo alla gestione della solitudine. Quando ci si accorge che tutti hanno bisogno di confrontarsi con la propria fragilità e i propri timori si instaura immediatamente una maggiore condivisione e complicità. Nessun libro o trattato sull’adozione potrà mai offrire ciò che offre l’accoglienza e l’a-

Stimolare nella coppia la voglia, la curiosità, la disponibilità a parlarsi, a conoscersi per come ci si immagina genitori e specificamente per come ci si immagina genitori attraverso l’adozione permette di allenarsi al confronto con l’altro (le sue paure, i suoi pudori, i suoi silenzi) ma permette soprattutto di approfondire sin dall’attesa una complicità ed una sintonia, un’abitudine a fermarsi e dirsi cosa si prova che potranno essere utili dopo l’arrivo dei figli. 3 Il tempo dell’attesa sovente percepito come pieno di “vuoti” è altrettanto denso di sentimenti, ansie, timori e spesso anche di eventi: proposte di abbinamenti (che non sempre diventano realtà), convocazioni in Tribunale, incontri con gli Enti Autorizzati, ragiona- menti sulle disponibilità, sugli “special needs”, ecc. 4 Tra le riflessioni più frequenti troviamo frasi molto illuminanti come: “L’attesa da un certo punto di vista mi rassicura perché in questo periodo sono piena di dubbi”, “L’idea del bambino è cambiata tanto durante il percorso”, oppure “Mio marito, è cambiato moltissimo ora è completamente concentrato, diversamente da prima sull’adozione”. 2

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scolto di qualcuno che vive la stessa esperienza. La paura di non riuscire ad adottare. La paura di un bambino che non si riesce a gestire, di un bambino problematico. La paura di un bambino con problemi di salute. La paura di un bambino con una patologia importante. La paura di non farcela, di non essere in grado. La paura del “fallimento”. La paura di non essere amati. La paura di non riuscire ad amare. La paura per l’integrazione con dei primi figli. Aprirsi alla condivisione è un passaggio importante per creare lo spazio e prepararsi all’arrivo di un bambino. I “compagni di attesa”, rimarranno, quasi sicuramente, nei ricordi di tutta una vita. Aprirsi al mondo e includere il bambino che arriva I nostri vicini hanno ap-

pena adottato un bambino che urla e urla. Il padre è sempre più esasperato e mi ha anche detto che spesso non ce la fa più, non riesce a capirlo. Questo mi fa paura! Questa paura ci interroga perché ha il sapore della realtà. Quanto siamo preparati ad accogliere dentro casa – una casa magari con inferriate, barriere e paletti, una casa dove i vicini non si salutano – un estraneo? Come capire la storia di questo bambino? Il suo venire da un mondo e da un passato diverso? La sua difficoltà ad accettare una carezza, a lasciare il controllo? Il “bambino dei vicini” rappresenta davvero quello che succede nella vita reale. Si può far fatica a capire un bambino nato in un Paese lontano, vissuto in una parte di mondo in cui abitudini e modi di comunicare sono

profondamente diversi dai nostri. Certo che può essere percepito inizialmente come un “estraneo”, tutto l’amore del mondo non può azzerare le diversità. Le coppie adottive devono fare i conti con questa realtà e con il suo corollario, e cioè: non si potrà mai “sentire” come proprio un bambino appena adottato se prima di iniziare a conoscerlo non lo si riconosce. All’inizio il bambino è un estraneo, qualunque sia lo spazio creato per lui. Anche il figlio o la figlia biologici lo sono, tuttavia, per cultura, il figlio biologico è immediatamente incluso, si cercano subito le somiglianze, finanche nella famiglia allargata, non lo si può “rifiutare” né lo si può “sentire un estraneo”. Occorre quindi chiedersi quanto ci si senta pronti ad accogliere un figlio di altri nella propria fami-


glia. Il bambino, sia quello perduto (mai avuto e desiderato o proprio perso in una gravidanza non conclusa) che quello che si adotterà, è il portatore di un fattore di cambiamento tangibile nella vita della coppia. Per questo nella fase iniziale dell’adozione occorre imparare a distinguere e riconoscere entrambi. È insensato pensare che non siano collegati e cercare di separarli in modo asettico è davvero una follia, ma nello stesso tempo, accomunarli troppo e non distinguerli è come non vedere nessuno dei due. Il lavoro intrapreso nella fase precedente, ovvero aprire il proprio animo, predisponendosi al confronto è propedeutico a predisporsi all’accoglienza vera e propria del bambino o della bambina che verranno. In questa fase si affronta il tema del-

la diversità, partendo dal superamento della “cultura delle somiglianze”. Il nostro sistema culturale, come detto, ci abitua a basare il primo approccio con i bambini in base al meccanismo delle somiglianze, impedendo così di sviluppare appieno la valorizzazione e accettazione delle diversità, a completamento di un più equilibrato riconoscimento del bambino come “altro da noi”. Questo sistema deve essere analizzato e discusso dalle coppie che si preparano alla genitorialità adottiva, affinché si creino le condizioni che permettano ai futuri genitori di rapportarsi alla diversità dei loro bambini adottivi, riconoscendola come risorsa e non come “mancata somiglianza”. Allenarsi alla diversità, quella vera, che mette in discussione, diventa un apprendimen-

to fondamentale che può tornare utile anche in fasi differenti della vita dei figli, soprattutto quando, in adolescenza trasformeranno l’intera famiglia attraverso il loro divenire, la loro ricerca di un’identità e saranno una volta di più differenti, immagine fisica dei loro genitori di origine, in un susseguirsi di cambiamenti spiazzante per loro stessi e per i genitori di nuovo alle prese con quanto potrà affiorare, anche solo nella fantasia, di una storia differente. La discussione su questo tema all’interno del gruppo punta a fare uscire i partecipanti dal proprio essere al centro per favorire una predisposizione maggiore a rapportarsi a bambini adottivi, portatori di mondi, culture e concezioni di vita diverse. La consapevolezza di sé e delle proprie paure, sulla quale si

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lavora fin dal primo incontro, è lo strumento principale attraverso il quale si può arrivare a conoscere l’altro. Avere questa consapevolezza permetterà di avvicinarsi con maggiore serenità a quelle del bambino. Le paure dell’adulto e del bambino, che non sono molto diverse, potranno essere “ravvicinate”, e ciò permetterà una migliore comunicazione e conoscenza reciproca. Se il bambino adottivo ha il timore di non essere accolto e accettato dalla sua nuova famiglia, così anche i genitori adottivi hanno paura di essere inadeguati e di non essere accettati dal proprio figlio. Se il genitore adottivo, spesso, si sente incapace di sostenere il bambino nel suo dolore per essere stato abbandonato, allo stesso modo il bambino non riesce a esprimere il suo dolore perché sa che i genitori adottivi potrebbero non sopportarlo. Essersi preparati a riconoscere e a esprimere all’altro il proprio dolore permette di entrare più facilmente in contatto con se stessi e con il mondo dell’altro. Abituarsi e incuriosirsi all’esplorazione della diversità, in questo il gruppo è una risorsa immensa, può aiutare a ridimensionare la paura dell’incontro. È successo!

Sconfiggere il bambino idealizzato e incontrare quello vero La genitorialità è un’esigenza innata che deve essere analizzata e sviscerata soprattutto nella fase di attesa del bambino. Quando questa viene dilatata troppo nel tempo, la coppia corre il rischio di perdersi tra dubbi, paure e idealizzazioni incontrollate. Nel percorso dell’attesa si incontrano tre bambini diversi che vanno conosciuti: il bambino biologico, il bambino fantasticato e il bambino reale. L’incontro con il bambino biologico di solito avviene nella fase iniziale del percorso adottivo, anche se non è scontato che sia così. Occorre sempre considerare la possibilità che nella fase dell’attesa l’idea del bambino biologico sia ancora irrisolta nella coppia. Abituarsi a confrontarsi con la possibilità che l’assenza di un figlio voluto e non arrivato possa riemergere di tanto in tanto, riconoscere i segni che questo ha lasciato nel corpo, nel cuore e nella mente, abituarsi ad ammettere questo possibile senso di vuoto, riuscire a immaginarlo come un dolore appoggiato in qualche luogo ben riposto dell’anima, è una palestra importante perché permette

di affrontare, con maggior pacatezza, anche le percezioni di estraneità che si possono sentire sia nelle fasi iniziali, sia quando i figli hanno possono marcare in modo anche dirompente il loro essere altro dalla famiglia, più avanti negli anni. È proprio allora, quando si attraversano momenti di grande crisi e conflitto e tutti hanno paura (i figli di non appartenere per davvero e i genitori di non esserlo mai stati per davvero) che ci si confronta di nuovo con ciò che poteva essere e non è stato e ci si misura per davvero con le differenze, le delusioni, i dolori del passato. Essere abituati a farci i conti aiuta. È proprio lì che si può imparare a lasciare che dolori antichi stiano, posati e fermi, come vecchi compagni che ci hanno insegnato qualcosa. Poi arriva il bambino fantasticato, certamente quello più presente nella fase dell’attesa, soprattutto nei primi incontri quando le coppie prendono coscienza per la prima volta delle loro proiezioni verso un bambino ideale nel confronto con gli altri. Il bambino fantasticato è il risultato dei desideri, delle fantasie, ma anche delle informazioni e della conoscenza di bambini incontrati che si sono accumulati negli anni


e che arrivano a dare vita a un’idea di bambino con fattezze fisiche e caratteriali fin troppo definite. Accade che all’interno della coppia ognuno abbia il proprio bambino idealizzato. Il bambino fantasticato può ingombrare lo spazio del bambino in carne e ossa che arriverà, e quindi, va da sé che deve essere “messo da parte” per fare spazio a quello reale. Il processo di superamento del bambino ideale dovrebbe avvenire nel massimo rispetto di quest’ultimo, lei o lui è espressione diretta e inequivocabile dei desideri e delle aspirazioni dei futuri genitori. Questo bagaglio arricchente del bambino ideale va conosciuto e trasformato in capacità di accogliere l’altro, indipendentemente dalle sue caratteristiche. Il depotenziamento del bambino fantasticato non è facile perché implica innanzi tutto ammetterne l’esistenza. Comprendere che si tratta di un passaggio obbligato è di per sé difficile, ma necessario se si vuole incontrare e accogliere il bambino reale. Il pensiero del bambino fantasticato è rassicurante, a volte fa compagnia, lo si può depotenziare accogliendolo e lavorando sulle proprie emozioni e trovando rassicurazioni in particolare

in sé stessi e nel partner. Attraverso questa fase di crescita il genitore adottivo può prepararsi ad accogliere un bambino reale, magari con un vissuto doloroso, ma con un’infinità di risorse e di cose da scoprire e da offrire. L’attività di simulazione Quest’attività (sperimentata nei gruppi di Parliamone nell’Attesa cui ho lavorato) ha come obiettivo proprio di favorire e valorizzare nel genitore adottivo la capacità di superare il proprio dolore, di far da parte il bambino fantasticato, appropriandosi o recuperando la capacità di sostenere l’altro e di avere fiducia nelle risorse del bambino adottivo. La simulazione di situazioni che si possono verificare, e che con tutta probabilità si verificheranno, è di grande aiuto. Calarsi nell’altro, e in particolare nel bambino che si avrà di fronte, qualunque siano le sue caratteristiche, serve a predisporsi alla sua accoglienza, ad avvicinarlo, a imparare a “sedersi” idealmente accanto a lui per condividere e affiancare le sue emozioni e iniziare un cammino insieme. Prime conclusioni Attraverso un viaggio di gruppo nelle proprie e nelle comuni paure si tenta

di far emergere il bambino che è in ogni adulto e che scalpita per essere visto, riconosciuto, accolto e perdonato. Questo serve a creare lo spazio dentro per prepararsi all’incontro con il bambino da adottare per vedere e toccare il suo dolore, affiancarlo e accoglierlo all’interno delle proprie fragilità, rendendolo così un “membro della famiglia”. Il lavoro condotto sulle emozioni all’interno del gruppo può ritenersi efficace quando i partecipanti mostrano una maggiore attitudine e disponibilità ad aprirsi dal punto di vista emozionale ma anche alla diversità culturale, nonché a sentirsi a proprio agio anche davanti alle ipotesi adottive più complesse e più diverse. Pertanto, il percorso dell’attesa ha come fine ultimo quello di favorire un’esperienza virtuosa ed emotivamente stimolante, di apertura verso gli altri per prepararsi alle infinite possibilità ed evenienze che un adozione può generare.

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Indice Presentazione, di Anna Guerrieri 1. Dieci anni dopo 2. Ma esiste una cultura dell’adozione?, di AntonioFatigati Nonni, vicini e parenti vari: condividere un’avventura Una storia diversa da raccontare in classe 3. Superare la sterilità, prepararsi all’adozione, di Daniela Serturini Adozione: significati e motivazioni Guardiamo dentro all’adozione: diversità e uguaglianza Preparazione Quale compito per il genitore adottivo? Sterilità, abbandono e storia • Testimonianza 4. Il tempo dell’attesa. L’esperienza del gruppo di mutuo aiuto Parliamone nell’Attesa in Genitori si diventa Onlus, di Francesco Marchiano Introduzione Accogliere le proprie e le altrui paure Aprirsi al mondo e includere il bambino che arriva Sconfiggere il bambino idealizzato e incontrare quello vero L’attività di simulazione Prime conclusioni • Testimonianza. Guardare indietro per comprendere il presente, di Antonella Avanzini 5. Il post adozione: accompagnare chi si prende cura, di Roberta Lombardi Il ‘mondo al rovescio’ Sostegno post adottivo come dovere o diritto? Sostenere un progetto speciale di genitorialità Sostenere la normalità di un progetto speciale Sostenere per dare forza al legame Sostenere le relazioni sin dall’arrivo del bambino Sostenere le relazioni nei momenti di crisi Sostenere il linguaggio del corpo Sostenere ovvero accompagnare Conclusioni Bibliografia 6. Per una scuola aperta all’adozione, di Anna Guerrieri e Monica Nobile Le Linee di Indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati: un successo delle famiglie adottive Italiane Scuola dell’infanzia: lo spazio per esplorare e ritrovarsi Scuola primaria: il tempo per crescere e raccontarsi Scuola secondaria: il tempo per cambiare Le medie Le superiori Bibliografia • Testimonianza. Avversari, di Emanuele Gianturco • Testimonianza. Una valigia pesante

7. Lo stato di salute del bambino straniero adottato, di Roberto Marinello Il nuovo concetto di salute Il bambino, i genitori, il pediatra Il primo contatto Vaccinazioni Consigli e considerazioni conclusive 8. Gli effetti sul feto e sul bambino del consumo di alcol in gravidanza, di Raffaele Virdis Conclusioni Bibliografia 9. Il problema della pubertà precoce nelle bambine adottate da paesi in via di sviluppo, di Raffaele Virdis Possibili cause Altri aspetti e conclusioni • Testimonianza. Il sorriso ritrovato 10. L’Adozione Nazionale, di Angela Serpico La tutela della riservatezza nell’adozione Il riconoscimento della famiglia omosessuale • Testimonianza. Parla tu per me… 11. L’adozione internazionale, di Joyce Manieri Dalla “patria” potestà alla responsabilità genitoriale: ovvero della rinascita del bambino da oggetto a soggetto di diritti La tutela dei minori tra legge, etica e realtà Divenire genitori, divenire figli per adozione internazionale. Tante famiglie, tutte con una storia speciale e preziosa! Il vertice dei genitori adottivi Sulla motivazione ad adottare e le aspettative rispetto alla futura relazione adottiva Il vertice dei bambini adottati L’adozione internazionale oggi: attualità e questioni aperte L’adolescenza adottiva e la questione identitaria nelle generazioni 2.0 Considerazioni generali a uso degli operatori: il percorso adottivo tra isomorfismi e dicotomie difficili da superare Bibliografia • Testimonianza. Navigare nell’attesa, di Alessandro e Daniela 12. Quale padre?, di Simone Berti Paternità e la scelta di adottare Padri nell’attesa e nell’incontro Paternità e narrazione famigliare Infine • Testimonianza. Due esperienze di paternità 13. Fecondazione assistita e adozione: una convivenza possibile?, di Donatella Cantù Il figlio che arriva da strade diverse La fatica della PMA Lo spazio mentale per il bambino • Testimonianza

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