Intervista_Mennillo

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sociale e legale

Luigi Bulotta

Intervista a Francesco Mennillo 34

Continuiamo ad ascoltare la voce dei rappresentanti delle associazioni familiari per sapere chi sono e cosa si propongono di fare in seno alla Commissione Adozioni Internazionali nei prossimi tre anni. Questo mese è la volta di Francesco Maria Mennillo, presidente del Coordinamento Famiglie Adottanti in Bielorussia, il secondo nuovo membro nominato a luglio dal ministro Riccardi.

Dr. Mennillo, ci parli del Coordinamento che presiede: come e quando è nato? Com’è strutturato e quali finalità perseguite? Da quanti soci è composto? Il 2004 rappresenta un punto di svolta nella politica bielorussa sulle adozioni internazionali, in quanto, a seguito di uno scandalo legato alle adozioni con gli USA, un minore bielorusso, figlio di una coppia ameri-

cana, era purtroppo finito nel giro del mercato illegale dell’espianto degli organi, causando una forte pubblicità negativa sulle adozioni internazionali e facendo sì che il Presidente bielorusso Lukashenko congelasse i procedimenti adottivi aperti con tutti i paesi, anche quelli vicini al completamento. Il 14 giugno 2005 si tiene a Roma la prima riunione delle famiglie adottanti in Bielorussia che decidono di costituirsi nel Coordinamento Famiglie Adottanti in Bielorussia. Il Coordinamento nasce da un gruppo di famiglie italiane che, in rappresentanza di un vasto movimento di famiglie diffuso in tutta Italia, rivendicava il diritto all’adozione negato a circa 600 bambini bielorussi. Queste famiglie, come tante altre in Italia, attraverso l’opera di associazioni umanitarie e di istituzioni locali,

avevano aperto la propria casa ed il proprio cuore ai “bambini di Chernobyl” per accoglienze temporanee di risanamento e lo avevano fatto per puro spirito solidaristico, se non per aiutare dei bambini che vivevano in emergenza ambientale. Man a mano che l’ospitalità in famiglia si rinnovava, quell’amore che aveva cominciato a legare questi bambini alle famiglie che li ospitavano in alcuni casi aveva fatto sorgere l’esigenza di dare stabilità ad un rapporto di carattere affettivo per quei minori che vivevano in istituto. In alcuni casi, le famiglie avevano avuto conferma dalle autorità bielorusse preposte (Centro Adozioni di Minsk – CNA, equivalente della Commissione Adozioni Internazionale italiana) che si trattava di bambini adottabili. Prima del 2004 le adozioni inter-


nazionali verso l’Italia si erano attestate su di un valore pari all’1% per cento del numero totale di minori bielorussi ospitati. Il fenomeno dell’ospitalità si attestava in quegli anni su circa 30.000 accoglienze l’anno. Di conseguenza, nel corso del 2004, le famiglie - che ne avevano i requisiti secondo la normativa italiana - avevano presentato le domande di adozione corredate da tutta la documentazione richiesta dalle leggi bielorusse ed italiane. Le famiglie del Coordinamento iniziarono questo percorso nella convinzione che alla base di esso ci fosse fondamentalmente un incontro: quello tra un bambino, ormai “grande”, cui la vita ha tolto l’elementare diritto naturale di avere una famiglia che si prenda cura di lui, ed una famiglia che tali cure è disposta a dargli. Le famiglie avevano creduto

possibile dare a questi bambini ciò che essi stessi chiedevano: una famiglia nella quale crescere ed essere amati. Lo abbiamo creduto perché le leggi lo rendevano possibile, perché era già stato possibile in passato per alcuni di loro; i bambi-

ni lo volevano, le famiglie lo volevano, i decreti di idoneità emessi e timbrati. Cosa poteva impedire a questi genitori ed a questi figli di riunirsi? Da allora, iniziò un lungo, faticoso cammino tra un’altalena di speranze e © roberto gianfelice

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delusioni; tra la gioia di un rapporto d’amore e l’angoscioso timore che il percorso iniziato non riuscisse mai a trovare una sua fine, ma nel 2009, grazie al lavoro incessante di relazione, di supporto al dialogo tra gli stati, si è giunti allo sblocco di ben 508 pratiche di adozione. Il Coordinamento ha nel suo DNA l’azione di sensibilizzazione del mondo politico verso i temi dell’adozione e quello della costruzione di ponti di amicizia tra popoli. L’adozione internazionale, seppure pienamente legittimante, di fatto è un’apertura completa ad un nuovo mondo e ad una nuova cultura e questo è tanto più vero quanto più i ragazzi in adozione diventano “grandicelli”. Sulla base di queste considerazioni occorre probabilmente ripensare l’adozione come non ad uno sradicamento del minore dalla propria realtà d’origine, ma ad una opportunità che inserita in un’operazione di cooperazione, consenta la costruzione di ponti tra stati e popoli. Il Coordinamento, al di là dei numeri dei soci, ha di certo un seguito e simpatizzanti tra tutte le famiglie che accolgono i minori bielorussi e che di per sé hanno a cuore la cura di tanti minori colpiti dalla tragedia di Chernobyl.

I soggiorni terapeutici sono nati per dare un’opportunità di salute ai bambini che subivano, e subiscono tuttora, le radiazioni dovute all’incidente di Chernobyl. Negli anni, oltre agli innumerevoli benefici che hanno portato a coloro che ne hanno usufruito, numerose sono state le polemiche legate alla modalità con cui vengono effettuati i soggiorni, alla mancanza di preparazione delle coppie ospitanti, al fatto che spesso vengono considerate come succedanee dell’adozione, con tutte le conseguenze del caso, compresi casi ben noti alla cronaca. Pensa che la regolamentazione attualmente esistente sia sufficiente a garantire al meglio i bambini coinvolti in questi progetti? Cosa potrebbe essere fatto per migliorare le regole e la preparazione delle coppie? Premetto che la legislazione italiana consente l’ingresso di minori accompagnati nell’ambito di programmi terapeutici o solidaristici e la legge affida al Comitato Minori Stranieri compiti di tutela nei confronti dei minori stranieri non accompagnati e dei minori stranieri accolti temporaneamente in Italia. Nel corso del tempo questi soggiorni sono stati impiegati anche in aree geografiche non legate a Chernobyl (le zone colpi-

te riguardano Bielorussia, Russia, Ucraina e Lituania), sulla base delle emergenze paese che si venivano a presentare. Dall’anno scorso, ad esempio, vengono in Italia minori provenienti dal Giappone (zona di Fukushima). Nel caso bielorusso i soggiorni terapeutici sono organizzati da associazioni italiane di accoglienza sotto il controllo del Comitato Minori Stranieri ed operanti sulla base di un protocollo sottoscritto nel 2007 dalle istituzioni italiane e bielorusse. I minori sono da considerarsi minori accompagnati, sotto la tutela di un tutore bielorusso che ha il compito precipuo di verificare l’andamento del soggiorno terapeutico del bambino. Ovviamente tutto è perfettibile e vanno compiuti tutti gli sforzi per la tutela degli interessi dei minori. Ad esempio, sono in corso contatti tra Governo Italiano e Bielorusso per garantire standard più elevati di sicurezza per i minori ospiti in Italia dopo i recenti eventi luttuosi (anni 2011 e 2012) che hanno coinvolto due minori bielorussi. L’accoglienza è da distinguersi dall’adozione e rappresenta un percorso distinto. Le accoglienze si tramutano in adozioni solo nell’1% dei casi e nella realtà bielorussa riguardano minori con un’età media di


14,8 anni (fonte pag. 12 rapporto statistico CAI http:// www.commissioneadozioni. it/media/115090/d&p%20 2_2011_170512.pdf). Altrove questi minori verrebbero definiti “very very special needs”. In questi casi è il minore che esprime la volontà di essere adottato. Nel futuro, se richiesto, il Coordinamento è pronto a dare il proprio contributo alle istituzioni per la tutela dei minori, ma la tematica delle accoglienze è in primis in carico al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e agli enti di accoglienza. Come siete organizzati? Avete sedi e attività sul territorio o siete sostanzialmente accentrati? Siamo organizzati con dei rappresentanti a livello territoriale sull’intero territorio nazionale e per origini storiche siamo presenti soprattutto laddove è più forte il fenomeno dell’ospitalità di minori bielorussi. Nell’attuale contesto ritengo che la famiglie accoglienti debbano fare rete con le famiglie adottive. Ai fini della rappresentatività in CAI, stiamo lavorando come avevamo già operato nel passato, mettendo a disposizione la nostra esperienza anche nei confronti delle famiglie di altri paesi, espandendo la nostra rete di famiglie di-

sponibili a fornire supporto ad altre, grazie alla esperienza acquisita. Parliamo della sua recente nomina all’interno della CAI. Come ci si è arrivati? Ci contavate? Incontrammo il ministro Bindi appena insediatosi, per rappresentarLe il problema delle adozioni in Bielorussia. Il ministro comprese subito la particolarità della situazione e, quando decise di riformare la struttura e l’organizzazione della CAI, pensiamo che abbia tenuto conto anche delle nostre proposte e dell’esperienza “bielorussa”, elevando la presidenza della Commissione ad un rango politico. In quell’occasione si paventò anche la possibilità di entrare nella CAI, ma in quel momento non eravamo organizzati per poter affrontare quel passo. Nel 2012, la nostra esperienza pluriennale è stata ben considerata dal ministro Riccardi e dal suo staff, anche in virtù del lavoro fatto a supporto della riapertura delle adozioni insieme a funzionari del precedente Governo e soprattutto con il ministro Franco Frattini ed il sottosegretario Gianni Letta. Il nostro lavoro di collaborazione con quattro Governi italiani, con la Commissio-

ne Bicamerale per l’infanzia e con la delegazione parlamentare presso il consiglio d’europa e presso l’OSCE non è mai stato sbandierato, ma abbiamo sempre operato con riservatezza per il fine ultimo della tutela del minore. La notizia della sua nomina all’interno della CAI ha sollevato le critiche di alcuni enti autorizzati che vi hanno definiti portatori di una visione parziale e quindi insufficiente dell’ambito adottivo. Cosa pensa di queste reazioni e delle osservazioni che sono state mosse alla decisione del ministro Riccardi? Le adozioni internazionali richiedono persone che sappiano operare per il bene ultimo del minore, che intendano lavorare non per la divisione ma per l’unità: unica via atta a rafforzare la posizione italiana nel mondo. Le divisioni e coloro che le alimentano, non fanno del bene alla causa, soprattutto quando le critiche non sono costruttive. Le “accuse” immotivate o peggio con secondi fini, possono infatti danneggiare bambini e famiglie adottanti. Vanno fatte, certo con democratica libertà, ma allo stesso tempo con attenta responsabilità.

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che consentissero il lavoro da remoto per i membri della Commissione, anche per poter rispondere in tempi rapidi ai mutamenti che impone il contesto internazionale. Inoltre amplierei l’organico della segreteria tecnica Le modalità di lavoro della a supporto dell’attività dei Pubblica Amministrazione commissari introducendo sono estremamente diverse modalità di lavoro per sotda quelle del mondo privato tocommissioni al fine di da cui provengo ed occorre prendere delle decisioni più rifarsi ai principi di diritto rapide. amministrativo con i quali Dal punto di vista esterno opera e si muove una istitu- occorre lavorare sul piano zione come la Commissione. dell’informazione al fine di Il contesto professionale ed consentire alle famiglie di operativo da cui provengo poter prendere delle deciè di natura internazionale sioni riguardanti il loro fue sono di conseguenza abi- turo su basi oggettive. tuato da anni a convivere con differenti mentalità, Qual è per lei il ruolo delusi e costumi che possono le associazioni familiari in diventare dei baluardi alla CAI? Quale sarà, in concrecomprensione e al raggiun- to, il suo impegno all’intergimento degli obiettivi che no della Commissione nei i prossimi tre anni? Quali le ci si prefigge. Questa esperienza, accom- priorità? pagnata da un sano prag- matismo ed un lavoro di La presenza del punto di relazione, sono necessari vista delle famiglie è stata soprattutto quando ci si vacante per troppo e lungo confronta con le istituzioni tempo. In qualità di cittatecniche degli altri paesi dino voglio portare quella per risolvere questioni ed sensibilità che la Pubblica ostacoli che hanno degli im- Amministrazione dovrebpatti su minori e famiglie in be avere nei confronti dei attesa di adozione, richie- finanziatori ultimi dei serdendo di conseguenza una vizi, ossia delle famiglie, orestrema flessibilità e capa- ganizzate in associazioni familiari che, con le loro tasse, cità di adeguarsi. Dal punto di vista interno consentono l’erogazione di introdurrei delle modalità servizi per il bene comune. A tre mesi dalla nomina, che idea si è fatta sulle modalità operative della Commissione? Che giudizio esprime su come è organizzata e sul suo funzionamento? Intravvede l’esigenza di cambiare qualcosa?

© roberto gianfelice

In qualità di padre adottivo porto quella sensibilità ed esperienza di situazioni di blocco e la conoscenza professionale nella conduzione di servizi per clienti di respiro internazionale. Inoltre, possiamo portare il vissuto dell’adozione di bambini già grandi infatti per molte coppie un bambino è “adulto a 7 anni”. Io e mia moglie abbiamo adottato i nostri figli all’età di 12 e 18 anni. La priorità consiste nel rendere il processo adottivo il più rapido possibile; l’ideale dovrebbe essere l’equiparazione del periodo dell’attesa con quello della gestazione di una madre. Quali sono le criticità che vede nell’attuale sistema delle adozioni internazionali? Come dovrebbe evolvere per adattarsi ai cambiamenti sociali e meglio assolvere alla sua funzione? Le principali criticità sono le divisioni tra gli attori coinvolti. Unità di intenti, analisi, verifica e controllo dei processi adottivi e dei costi relativi, applicazione delle best practice internazionali e, soprattutto, ridurre l’eccessiva burocrazia che di fatto può bloccare i procedimenti adottivi.

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