sociale e legale
Ludovica Sartore Presidente di Famiglie Adottive Alto Vicentino
Kafalah... e dintorni anche in Italia? 44
La kafalah è un istituto di diritto islamico mediante cui una persona (kafil) accoglie nella sua famiglia un minore (mafkul) e s’impegna a mantenerlo, educarlo ed istruirlo solitamente fino alla maggiore età. Non dà origine a rapporti giuridici tra le parti e può trovare la sua fonte in un accordo ratificato solitamente da un notaio o in un provvedimento giudiziale emesso su istanza. Ogni singolo Paese di area islamica ha disciplinato in maniera più o meno dettagliata la kafalah e quindi i singoli ordinamenti possono presentare delle variazioni (peraltro non sostanziali) rispetto a quanto si dirà a breve. L’istituto è stato espressamente riconosciuto come strumento di protezione del fanciullo dalla convenzione di New York del 20 novembre 1989 (art.20).
Si tratta dell’unico istituto di protezione dell’infanzia previsto dal diritto islamico per minori orfani, abbandonati o comunque privi di un ambiente familiare idoneo alla loro crescita. Infatti, per la religione islamica il rapporto giuridico di filiazione è solo ed esclusivamente quello che scaturisce dal legame biologico di discendenza che derivi da un rapporto sessuale lecito, tant’è che il concepimento al di fuori del matrimonio non produce effetti giuridici rispetto al padre. Da tale presupposto consegue che l’istituto dell’adozione non è riconosciuto e che, in ragione del mancato sorgere di obblighi nei confronti del minore in capo al padre non coniugato, è molto frequente la situazione di abbandono totale o parziale dei minori. Ecco dunque le ragioni che
rendono numericamente importante il ricorso alla kafalah. La forte immigrazione oggi presente sul nostro territorio proveniente da Paesi Islamici, pone diverse questioni che meritano di essere esaminate e ciò soprattutto perché l’Italia (unico Paese dell’Unione Europea assieme alla Grecia) non ha mai ratificato la convenzione dell’Aja del 1961 che prevede l’ingresso nel nostro sistema di istituti di protezione del minore propri di altri ordinamenti. Anzitutto il problema dell’ingresso in Italia dei minori in kafalah e il loro ricongiungimento familiare. Proprio in ragione della mancata ratifica di cui si è detto, l’ingresso nel nostro Paese del minore affidato in kafalah non è “automatico”.
La Corte di Cassazione si è più volte espressa nel senso di ritenere rilevante la kafalah ai fini del ricongiungimento familiare di minori affidati ad adulti non italiani affermando che essa ne può rappresentare il presupposto. (Cass. 7472/2008,
Cass.
19734/2008;
Cass. 1908/2010; Cass. 4868/2010).
La Corte ha così voluto espressamente comprendere, nella sfera delle norme dirette alla realizzazione dell’unità familiare del cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante, posizioni assimilate all’affidamento familiare quale ritiene essere la kafalah. Diversa è la questione se a richiedere l’ingresso in Italia del mafkul sia un kafil cittadino italiano. In tal caso la Corte ritiene che per raggiungere l’obbiettivo di tutela di un minore orfano o in stato di abbandono, un cittadino italiano che non abbia un rapporto di familiarità con il minore straniero e voglia includerlo nella propria famiglia come figlio, abbia a disposizione gli strumenti che gli sono messi a disposizione dall’ordinamento italiano, ed in particolare lo strumento della l.184 del 1983 e le sue successive integrazioni (Cass. 19450/2011). La posizione sopra indica-
ta della Corte di Cassazione introduce il problema di quale sia il rapporto tra kafalah e adozione. Vale la pena essere subito chiari ed affermare che i due istituti non sono equiparabili ed anzi le differenze sono tali da differenziarli molto. Anzitutto, come si è già detto, tra kafil e mafkul non si instaura alcun rapporto giuridico cosa che invece è ben evidente nell’istituto dell’adozione: l’adottato con l.184/83 è figlio a tutti gli effetti equiparato in tutto ad un figlio nato nel matrimonio. Altro aspetto fondamentale che differenzia i due istituti è la natura prevalentemente “pattizia” della kafalah: essa cioè si fonda per lo più sull’accordo delle parti (genitore che abbandona e adulto che accoglie) mentre l’intervento del giudice ha un carattere solo marginale. Ciò significa che molto spesso mancano due elementi che sono invece imprescindibili ai fini della pronuncia di adozione e cioè l’accertamento oggettivo dello stato di abbandono del minore e dell’idoneità di chi accoglie il minore. Si noti inoltre che per la kafalah può accogliere il minore anche un singolo, mentre per il nostro ordinamento deve trattarsi di una coppia
sposata (salvi i casi particolari previsti dall’art. 44 l.184/83). Per questo motivo e su questi presupposti sembra davvero azzardato accostare i due istituti. Così del resto è anche la giurisprudenza della Corte secondo la quale ad assicurare ai cittadini italiani l’inserimento nella propria famiglia, come figlio, di un minore straniero che versi in stato di abbandono è la legge 184 del 1983 con le successive modifiche che regolamenta l’istituto dell’adozione e che rappresenta l’unico ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze di protezione dei minori stranieri abbandonati e la richiesta d’inserimento familiare dei cittadini (Cass. 4868/2010). Ciò che le nostre norme e le pronunce della Cassazione vogliono in sostanza evitare è che il ricorso alla kafalah possa rappresentare per il cittadino italiano una modalità per dare corso all’adozione internazionale senza il rispetto di quelle norme previste dal nostro ordinamento che talora paiono strumenti defatiganti e complicati, ma che sono, se correttamente applicate da tutti gli operatori coinvolti, presupposto e garanzia di tutela dei bambini che hanno diritto ad una famiglia.
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