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Virtualità reale

Se la natura fosse confortevole, l’umanità non avrebbe inventato l’architettura, diceva Oscar Wilde. Provate però a immaginare una dimensione dove la necessità di avere un tetto sulla testa, o i vincoli di natura statica e normativa non esistano. Tutta l’attenzione finirebbe per rivolgersi al progetto di spazi che permettano di orientarsi, di trasferire un significato, di rappresentare contenuti. Era questo in sintesi il discorso di Patrik Schumacher, quando per la prima volta mi citò il progetto di spazi virtuali interattivi quale campo di innovazione principale per l’architettura nei prossimi anni. Non immaginavo che questo tema, emerso in architettura dai tempi di City of Bits (1996) di William J. Mitchell, e tuttora considerato radicale, fosse al centro dell’interesse di chi, con mentalità pragmatica, è alla guida di uno dei più famosi studi di architettura del mondo. Ma arrivavo in ritardo. Negli ultimi due anni tutto il mondo si è riversato online. La richiesta e l’offerta di digital twins e di contenuti 3D interattivi è letteralmente esplosa, insieme all’interesse verso aziende del calibro di Nvidia, Unreal Engine o Amazon Web Services. E anche se il termine metaverso, venuto alla ribalta in un libro cyberpunk del 1992, è più presente nelle chiacchiere che nei fatti, il potenziale è, enorme. Refik Anadol lavora sul tema della rappresentazione di realtà digitali con installazioni sviluppate all’interno di spazi architettonici tramite sistemi di intelligenza artificiale. Maxim Zhestkov, un altro artista, sviluppa opere basate sull’interpretazione di modelli di comportamento della materia all’interno di ambientazioni digitali. E per quanto riguarda gli aspetti pratici del progetto, immaginate di fare shopping online entrando in un negozio virtuale la cui architettura – dato che nel mondo digitale non esistono né vento, né pioggia – anziché un ovvio progetto di interni, potrebbe essere una meravigliosa, interattiva, architettura di un paesaggio irreale. Siamo di fronte ad una svolta molto vicina, dove anche astrazioni impossibili, simili a quelle anticipate dalla cinematografia – con la memory maker di Blade Runner o le topografie deformate di Inception – potrebbero presto diventare, oltre all’ambientazione comune della nostra vita online, un magnifico tema di architettura. Negli ultimi due anni il mondo si è riversato online rendendo sempre più presente l’esistenza di un mondo virtuale. Scenari irreali potrebbero presto diventare, oltre che un’ambientazione comune, un magnifico tema di architettura.

Refik Anadol

Pioniere dell’estetica legata all’Ai, produce installazioni audio-visuali dinamiche traducendo in forme le nostre memorie virtuali. IoArch 89/2020 - bit.ly/3zNeRXl

Maxim Zhestkov

Media artist. Produce commercial digitali in equilibrio tra natura, materia e fisica per brand internazionali come Adobe e Jimmy Choo. IoArch 85/2020 - bit.ly/39nWhdp

Patrik Schumacher

Laureato in architettura, matematica e filosofia, è alla guida di Zaha Hadid Architects, dove entrò nel 1988. Ha coniato il termine ‘parametricismo’. IoArch 93/2021 - bit.ly/3MBsuLX

Eric de Broche des Combes

Fondatore di Luxigon, studio di visualizzazione architettonica, studia le possibili applicazioni della tecnologia del computer gaming al mondo dell’arte, dell’architettura e dell’urbanistica. Insegna alla Graduate School of Design di Harvard. IoArch 93/2021 - bit.ly/3QqU6Xg

Quale opera di architettura pensi che rappresenti meglio lo spirito del tempo?

Joshua PrinceRamos (rex), progetto di concorso per la Shenzhen Opera House, terzo classificato, 2020 (img. courtesy Luxigon).

“Il progetto di Joshua Ramus è come un orologio, apparentemente semplice, molto complesso internamente. Radicale. Moderno. Semplice”

Eric de Broche des Combes

Per Eric de Broche des Combes, fondatore di Luxigon, una delle realtà più significative nel campo della Computer Generated Imaging (cgi) applicata all’architettura, teorico e docente all’Harvard Graduate School of Design della nuova dimensione per l’architettura rappresentata dall’universo digitale, credo sia stato spontaneo nominare, anziché un’opera un progetto, non realizzato, ma di particolare intelligenza. L’autore, Joshua Prince-Ramus (rex), architetto di straordinaria lucidità metodologica ha firmato, a pari merito con oma, opere incredibilmente e sinceramente innovative. Come la Seattle Library che, prendendo consapevolezza di un’epoca in cui i libri sono ormai solo un tassello nell’universo documentario trainato dall’internet, rivoluzionava completamente il concetto di biblioteca. Le opere di Joshua Ramus risultano da un serio lavoro sui processi e sulla tecnologia, fino al punto di proporre revisioni alla tipologia: una situazione che in architettura si verifica solo eccezionalmente. Il progetto di concorso di rex per il nuovo Teatro dell’Opera di Schenzhen riprende coerentemente il filone delle opere precedenti. È una torre di oltre 100 metri di altezza, che si impone come un vero e proprio landmark nella Baia di Guangdong. Gli elementi del programma vengono composti in un insieme unitario. Sfidando la tendenza inaugurata con il Teatro dell’Opera di Sidney, dove i volumi erano avvolti da un incredibile ma costosissimo “lenzuolo iconografico”, ogni elemento non necessario viene eliminato a favore della disposizione verticale dei quattro principali elementi funzionali. «Affermare che l’idea è tutto sarebbe come dire che copulare per qualche minuto valga di più che nove mesi di gravidanza» è una frase di Joshua Ramus riferita all’attuale squilibrio tra composizione puramente formale e capacità di controllo da parte dell’architetto di ogni aspetto tecnico che riguarda la realizzazione di un’opera. È una frase di grande buonsenso, che si rivela in ogni sua opera, anche nel progetto della Schenzhen Opera House.

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