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La nuova kunstbau
Il signor Joseph Paxton era innanzitutto un giardiniere, ma non solo. Era anche un inventore, un architetto e un membro del Parlamento britannico, Insomma, una specie di Leonardo da Vinci della Prima Età delle Macchine. Nell’Esposizione Universale del 1851, Paxton realizzò il Crystal Palace, un padiglione, si fa per dire, alto quasi quaranta metri ed esteso su una superficie di circa dieci campi di calcio. La tecnica applicava soluzioni per quei tempi quasi fantascientifiche: lastre di vetro, componenti in acciaio, perfino le “flushing toilets” che, incredibile a dirsi, più di ogni altra cosa scatenavano la meraviglia dei contemporanei. Facendo le debite proporzioni, sarebbe come se uno dei padiglioni della prossima Expo fosse una grande opera di architettura capace di autocostruirsi secondo logiche simili alla messaggistica cellulare presente in qualsiasi organismo, studiate dai pionieri della biomimetica come Janine Benyus, Steven Vogel o Julian Vincent e teorizzate nella loro applicazione in architettura da Michael Pawlyn. Sono principi che trovano espressione in architetture di grande eleganza come Galaxia di Arthur Mamou Mani, nelle opere di Nader Tehrani /Nadaaa o nelle installazioni di aspetto paradossalmente neo-barocco di Michael Hansmeyer. La crescente ed esponenziale capacità dei computer permette oggi di modellizzare su base algoritmica leggi e comportamenti secondo procedure in precedenza impossibili, se non probabilmente inimmaginabili. I software Soft Kill Option, ad esempio – messi originariamente a punto dall’ingegnere tedesco Klaus Matteck sulla base di un principio che caratterizza la struttura degli alberi – progettano in modo semi-automatico manufatti estremamente efficienti in termini di solidità e leggerezza. Difficilmente realizzabili con metodi convenzionali, possono essere costruiti tramite procedure di stampa 3D. Nell’era che Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, rispettivamente di Stanford e Mit, definiscono la Seconda Età delle Macchine, possiamo decifrare la natura, emularne i processi, ricombinarne i codici generativi, inseguire il sogno di strutture che, anziché alterare e contrastare l’ambiente, ne siano un armonico complemento. La crescente ed esponenziale capacità di calcolo dei computer permette di modellizzare su base algoritmica leggi e comportamenti secondo procedure in precedenza impossibili, con sviluppi inediti.
Michael Pawlyn
Noto per il suo lavoro nel campo dell’architettura biomimetica, per l’Eden Project e per avere avviato il movimento Architects Declare. IoArch 12/2007 - bit.ly/3Ouaq7R
Michael Hansmeyer
Architetto e programmatore, usa algoritmi e strumenti di arte generativa per produrre strutture complesse. IoArch 65/2016 - bit.ly/3N4WP5w
Nader Tehrani
Co-fondatore dello studio Nadaaa. Già docente in numerose università, attualmente è preside della Scuola di Architettura della Cooper Union. IoArch 71/2017 - bit.ly/3bfPRxG
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Arthur Mamou-Mani
Laureato all’Architectural Association, Arthur Mamou-Mani guida uno studio la cui attività è rivolta ad nuovo genere di architettura progettata e realizzata digitalmente. Docente all’Università di Westminster, possiede il laboratorio di fabbricazione digitale Fab.Pub che consente a ricercatori e aziende di sperimentare con grandi stampanti 3D e macchine a taglio laser. Con il progetto Wooden Waves, installato presso la sede di BuroHappold, ha vinto il Gold Prize all’American Architecture Prize e il Rising Stars Award del Riba Journal nel 2017. IoArch 89/2020 - bit.ly/3O7Ed5T
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Chris e Fei Precht, progetto Farmohuse, render e moduli costruttivi.
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Quale opera di architettura pensi che rappresenti meglio lo spirito del tempo?
“The Farmhouse di Studio Precht perchè: è una torre in legno, materiale carbon neutral; è un sistema modulare a circuito chiuso per il fabbisogno alimentare degli abitanti; non è costruita ma è influente sui social. L’architetto pratica ciò che predica e si nutre di ciò che coltiva” Arthur Mamou-Mani
«Penso manchi una connessione fisica e mentale con la natura e questo progetto potrebbe essere un catalizzatore per una riconnessione con il ciclo di vita del nostro ambiente». È questa la frase fondativa del progetto della Farmhouse: una sintesi progettuale di un’attualità e di una completezza sorprendente, e una possibile risposta ad alcune delle principali tematiche che caratterizzano il mondo di oggi. Dalla sovrappopolazione, tema ben esplorato da Alan Weisman, alla necessità di riconnessione con l’ambiente naturale, fino alla totale perdita di consapevolezza del nostro rapporto con il cibo. Si tratta di un progetto che riprende, portandola in un contesto urbano, l’esperienza personale di Chris e Fei Precht che, dopo essersi trasferiti dal centro di Pechino alle Alpi austriache, hanno costruito una casa off-grid e, per quanto possibile, autosufficiente dal punto di vista alimentare. La Farmhouse è un organismo edilizio nel vero senso della parola. Funziona a circuito chiuso, ogni processo ne alimenta un altro. Il calore prodotto dall’edificio viene utilizzato per riscaldare le serre, le acque grigie per l’irrigazione, i rifiuti per produrre compost, il tutto riportando a livello locale catene di produzione e distribuzione di alimenti la cui scala con la globalizzazione è andata ormai completamente fuori controllo. È come se i principi ispiratori di quartieri come Friburgo Vauban e quelli della Biophilia di Edward Wilson fossero condensati all’interno di una singola idea architettonica: una torre verde, incredibile, progettata secondo criteri parametrici, realizzata con una struttura in legno prefabbricata, formata da una stessa matrice che, combinata e ripetuta, forma l’intero l’edificio. A ben pensarci, un concetto soft tech dove materiali e tecniche a basso contenuto tecnologico vengono progettati e trasformati in unità abitative modulari composte e assemblate attraverso tecniche di fabbricazione digitale. E soprattutto è una foresta sospesa che, andando oltre la presenza di una vegetazione puramente decorativa mette in pratica un autentico principio di interazione simbiotica.
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LA NUOVA KUNSTBAU
The Farmhouse Studio Precht (2019)
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Chris e Fei Precht, progetto Farmohuse, 2019, render.
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