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La progettazione illuminotecnica | JACOPO ACCIARO
Jacopo Acciaro
Jacopo Acciaro si laurea in architettura al Politecnico di Milano. Collabora per alcuni anni con Piero Castiglioni prima di fondare Voltaire Lighting Design, uno studio professionale che si occupa di progetti di illuminazione per l’architettura, l’interior e l’urbanistica, oltre a progettare corpi illuminanti custom made. www.voltairedesign.it
VENT’ANNI DI PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA
di Jacopo Acciaro
EVOLUZIONE TECNOLOGICA E NUOVE POSSIBILITÀ ESPRESSIVE
Per questo numero speciale di IoArch ho deciso di ripercorrere l’evoluzione che il mondo della progettazione illuminotecnica ha vissuto negli ultimi vent’anni, sia dal punto di vista tecnologico che dell’approccio al progetto. In merito al primo, un cambiamento radicale che ha rivoluzionato la produzione mondiale di strumenti per il mondo illuminotecnico è stato l’introduzione della tecnologia a Led. Il suo utilizzo ha infatti incrementato l’offerta di soluzioni tecniche e ha consentito così a noi progettisti e amanti del mondo della luce di moltiplicare esponenzialmente le strade creative. Non sono mancati, tuttavia, anche i momenti di difficoltà rispetto a questo tema: spesso di fronte a cambiamenti così radicali si generano step di sviluppo in continua evoluzione che non consentono di usufruire appieno del potenziale della tecnologia stessa. Oggi siamo in una fase di consolidamento del Led, che sta ancora mostrando l’enorme capacità espressiva che può avere. Oltre all’avvento di questa tecnologia, il settore ha vissuto momenti diversi che hanno caratterizzato questo ventennio di grande fermento. Negli anni intorno al Duemila abbiamo assistito alla massima evoluzione delle tecnologie illuminotecniche che hanno preceduto la rivoluzione del Led: mi riferisco alle sorgenti alogene a filamento, alla fluorescenza lineare e compatta e alle sorgenti a scarica con alogenuri metallici. Per caratteristiche proprie, ogni famiglia tecnologica aveva il proprio ambito applicativo specifico e la progettazione era caratterizzata dall’utilizzo di tecnologie specifiche destinate a specifici temi progettuali, al di là di qualche utilizzo trasversale. Naturalmente le nuove tecnologie hanno fortemente orientato lo sviluppo dei prodotti e influenzato il modo di progettare la luce. Questo storico periodo ha sancito definitivamente il concetto di integrazione tra architettura e luce; abbiamo visto nascere corpi luminosi e collezioni più orientate all’aspetto della percezione della luce che non all’oggetto luminoso. Proprio il tema della non visibilità dell’oggetto luminoso e della necessità di lavorare con una luce fortemente integrata al progetto ha segnato una grande svolta e la conseguente evoluzione della figura del lighting designer, che è portato sempre più ad esprimersi attraverso la tecnica della luce oltre che con il design dell’apparecchio. Alcuni prodotti in particolare hanno accompagnato questo percorso evolutivo, rappresentandone i principali step di sviluppo. Partirei, in questo senso, da una soluzione che ha rivoluzionato l’approccio al progetto in diversi ambiti ma soprattutto nel museale e nel retail: parlo di Cestello de iGuzzini, declinato nelle molteplici varianti che sono state sviluppate nel tempo. È una soluzione nata dalla collaborazione tra Piero Castiglioni (capostipite dei lighting
Nella pagina accanto, una sala di Palazzo Grassi, Venezia. Architetti Gae Aulenti, Piero Castiglioni e Aantonio Foscari. Ph. courtesy Piero Castiglioni. Qui sopra, il Cestello de iGuzzini. Apparecchio nato dalla collaborazione tra Piero Castiglioni e Gae Aulenti. Photo Courtesy iGuzzini.
Sopra, il sistema Tagliatella di Viabizzuno illumina il negozio Max Mara di Londra e quello di Kith a Parigi, foto in basso. Ph. courtesy Jamie McGregor Smith.
designers italiani) e Gae Aulenti per il Museo di Palazzo Grassi di Venezia. L’apparecchio prevedeva l’inserimento di numerosi giroscopi predisposti per ospitare lampade alogene all’interno di un unico telaio in metallo; consentiva di unire in un determinato punto di installazione diverse sorgenti e, grazie al meccanismo del doppio giroscopio, ne garantiva l’orientabilità in maniera estremamente flessibile. Questo sistema è stato declinato in tutte le tipologie di installazione possibili (a parete/plafone, da incasso, a sospensione, a piantana) ed è stato inizialmente pensato per sorgenti alogene ma poi adattato anche per sorgenti a ioduri metallici, garantendo maggior performance e una durata della vita media decisamente più elevata. L’elevata flessibilità unita alla semplicità costruttiva ha reso il sistema Cestello un punto di riferimento per la progettazione illuminotecnica.
Nel settore dell’Office, la tecnologia monolastra a microprismi di Zumtobel ha rappresentato un’importante innovazione.
Un’altra tappa significativa è stata segnata dall’introduzione da parte dell’azienda Viabizzuno del sistema Tagliatella, disegnata da Mario Nanni: un nome curioso che identifica una soluzione lineare da incasso, nello specifico un canale a sviluppo lineare predisposto nel controsoffitto atto ad ospitare e nascondere le sorgenti luminose. L’integrazione con l’architettura in questo caso rappresenta un connotato determinante in quanto la soluzione illuminotecnica nasceva dalla volontà di progettare il sistema luce insieme all’architettura, diventando essa stessa a sua volta anche un segno molto caratterizzante e identificativo. La soluzione ha avuto notevole sviluppo attraverso differenti declinazioni del concetto di taglio nel controsoffitto, diventando anche elemento in grado di accogliere, oltre a soluzioni illuminotecniche, anche predisposizioni per la diffusione dell’aria e sorgenti sonore. Cambiando ambito ed entrando nel mondo dell’office, il ventennio trascorso ha visto l’introduzione della tecnologia monolastra a microprismi, di cui Zumtobel è stata una delle protagoniste assolute; una grande innovazione sul tema della distribuzione e del controllo dei flussi luminosi in grado di consentire un innalzamento del comfort generale con un’elevata riduzione dell’abbagliamento (UGR-Unified Glare Rating inferiore a 19) e una maggior flessibilità nella distribuzione dei corpi illuminanti. Questa tecnologia ha sostituito gli apparecchi dotati di schermi lamellari in alluminio che obbligavano ad una distribuzione dei corpi illuminanti estremamente vincolata, in modalità ortogonale rispetto alle postazioni lavoro. Le lastre, essendo dotate di microprismi a base quadrata, consentivano un controllo degli abbagliamenti a 360° e quindi una libertà assoluta nella distribuzione dei corpi illuminanti.
Il sistema Wallwasher di Erco è stato scelto per illuminare il Museum of Art di Pudong. ©Erco 2022 Ph. by Jackie Chan.
Inoltre, le performance raggiunte da questa tecnologia in termini di rendimento luminoso e di precisione nel controllo delle luminanze (abbagliamenti) hanno creato nuovi riferimenti per l’ambito office diventando uno standard sempre più diffuso. In ambito museale nell’ultimo ventennio abbiamo visto l’illuminazione proiettiva ricoprire un ruolo da protagonista e Erco è il brand che, secondo la mia opinione, meglio ha saputo interpretare questa tematica realizzando strumenti illuminotecnici di notevole efficienza e precisione. Erco, infatti, è stata un punto di riferimento per una specifica tipologia di corpi illuminanti, i Wallwasher che, come si può comprendere dal nome stesso, nascono per illuminare in modo uniforme le superfici verticali. In questo senso ha aperto una nuova strada e ha dettato scuola in merito alla precisione e all’efficacia nella distribuzione uniforme della luce sulle superfici verticali: posizionando gli apparecchi a incasso nei soffitti in maniera corretta, il ‘lavaggio’ della parete verticale partiva dallo spigolo di intersezione tra il soffitto e la parete stessa, per mantenere gli stessi valori di illuminamento su tutta la superficie di riferimento. Ritornando al grande cambiamento che abbiamo vissuto con l’introduzione della tecnologia Led possiamo affermare che questo rivoluzionario componente ha moltiplicato in maniera esponenziale le tematiche progettuali illuminotecniche su cui lavorare (prestazioni ottiche, efficienza, miniaturizzazione, interazione con dettagli architettonici, senza trascurare gli aspetti gestionali e di interaction design) ma da questo breve excursus negli ultimi vent’anni di luce emerge anche in maniera chiara e costante l’importanza della cultura del progetto luminoso, un percorso progettuale complesso, finalizzato al raggiungimento di un risultato integrato e unitario con il progetto architettonico ■
L’ORNAMENTO NON È UN DELITTO
Parte dell’attività editoriale dell’Accademia di Belle Arti di Roma, l’idea del volume nasce dall’incontro di Danilo Lisi con Santiago Calatrava in occasione dell’inaugurazione, avvenuta lo scorso anno, dell’intervento di decorazione totale dell’architetto spagnolo nella chiesa di San Gennaro nel Real Bosco di Capodimonte, ampiamente descritto nel volume da un puntuale intervento di Giovanna Cassese, già direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Impegnato da anni in progetti e opere di edilizia di culto – cinque le chiese realizzate, in Italia e all’estero – attraverso contributi di grande interesse Lisi nel volume sottolinea il legame inscindibile tra liturgia, arte e architettura nel progetto dello spazio sacro. In questo senso l’ornamento non riveste un semplice ruolo di completamento e arricchimento ma è parte di un progetto integrale. Due esempi bastano a confermarlo: la Sagrada Familia di Gaudi, in cui tutto è ornamento, e l’ossessione quasi maniacale di grandi architetti, da Le Corbusier a Carlo Scarpa, da Gio Ponti a Alvar Aalto, di accentrare in sé stessi la figura di artista totale, curando fin nel minimo dettaglio le opere che formano lo spazio sacro. Nella prima parte un’ampia documentazione analizza le opere e il pensiero di maestri della modernità; la seconda parte (sulle orme di Matisse) presenta invece studi, progetti e realizzazioni dei giorni nostri. Tra le introduzioni, anche un intervento di Ugo La Pietra.
Il volume di Skira approfondisce su carta la mostra omonima tuttora in corso (fino al 28 settembre al campus Bovisa del Politecnico di Milano, in via Candiani 72): quasi una meta-mostra, dedicata a 32 progetti espositivi sviluppati negli anni da Pierluigi Cerri, co-fondatore nel 1974 dello studio Gregotti Associati e poi, dal 1998, dello Studio Cerri & Associati, che gli autori Yuri Mastromattei e Lola Ottolina hanno smontato uno ad uno per comprenderne le intenzioni progettuali. Due le questioni principali che riguardano il progetto di allestimento, per definizione effimero: la prima riguarda la capacità dell’architettura di stabilire un canale di comunicazione con il visitatore, trasformando lo spazio in un racconto (e ben venga anche l’aggettivo ‘emozionale’ se aiuta la scoperta delle intenzioni e delle invenzioni oggetto della mostra); la seconda è nella profonda differenza tra un allestimento temporaneo e un’esposizione museale. Innanzitutto per il luogo: i musei sono architetture edificate allo scopo mentre la maggior parte degli allestimenti si sviluppa in ambienti fluidi, spesso costruiti per altre funzioni, come nel caso dei Venti progetti per il futuro del Lingotto (1984), uno dei 32 allestimenti presi in esame. In secondo luogo per l’approccio statico tuttora alla base della maggior parte delle esposizioni museali e non a caso oggetto di ripensamento proprio nella direzione dell’allestimento come narrazione, di cui Pierluigi Cerri è stato precursore.
Danilo Lisi (a cura di) L’ornato liturgico e l’architettura cultuale Gangemi Editore, Roma, 2022 144 pp, 28 euro ISBN 978-88-492-4152-5
TEORIA E PRATICA DEL MOSTRARE
Yuri Mastromattei, Lola Ottolini Pierluigi Cerri Allestimenti. Idee, forme, intenzioni Skira editore, Milano, 2022 180 pp, 45 euro ISBN 978-88-572-4797-7
IL SACRO QUOTIDIANO
Le opere esposte nella mostra dedicata a Maria Lai Ricucire il dolore, tessere la speranza, organizzata l’anno scorso presso lo spazio espositivo delle cantine Antichi Poderi di Jerzu (Nuoro), a cura di Micol Forti, sono raccolte in questo catalogo accompagnate da testi che aiutano a comprendere quanto la ricerca artistica di Maria Lai sia sempre stata sistema di relazioni, bacino di memorie individuali e collettive, deposito di tradizioni, valori e conoscenze. A darle notorietà internazionale, nel 1981, fu la performance Legarsi alla Montagna – primo intervento di arte partecipata in Italia – dove un nastro azzurro legava le case di Ulassai tra loro e poi al sovrastante monte Tisiddu. Quel nastro è il filo che annoda la natura, le case e le vite, le amicizie e i dissapori e che trova espressione – filo di cotone bianco su carta vellutata nera – nelle 14 stazioni della via Crucis realizzata lo stesso anno per la chiesa parrocchiale di Ulassai, tre delle quali in mostra a Jerzu. Perché in quanto oggetto di devozione, la rappresentazione del sacro è la prima genuina espressione di comunità. «Ciò che resta di Cristo nel vangelo – scriveva Maria Lai (1919-2013) – non è la sua presenza fisica o umana, è il suo morire e la sua resurrezione. Ciò che resta dell’arte, nel mondo non è la sua fisicità che costruisce l’opera, è il silenzio, il vuoto di uno stupore. Da quel silenzio ogni lettore dà voce a un sé stesso che gli era sconosciuto e che risorge in quel momento». Così in un’altra sua opera lo stesso filo, questa volta di lana beige, penetra la trama di un’altra tela facendo emergere una forma ispirata a ciò che per la tradizione cattolica è l’impronta per eccellenza, la Sindone, esposta per la prima volta a Jerzu.
Micol Forti (a cura di) Maria Lai. Ricucire il dolore, tessere la speranza 5 Continents Editions, 2021 96 pp, 51 ill, 25 euro ISBN 979-12-5460-001-6