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Le Storie di LPP | VENTURINO VENTURA
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VENTURINO VENTURA un architetto da riscoprire
di Luigi Prestinenza Puglisi illustrazione di Roberto Malfatti
Di Venturino Ventura si sa poco e nulla, nonostante le decine di edifi ci, tutti di grande valore, che ha realizzato. Sappiamo che era nato a Firenze nel 1910, si era laureato a Roma nel 1936 alla Regia scuola di Architettura, era stato allievo di Enrico Del Debbio, aveva lavorato con importanti architetti del regime, quali Ballio Morpurgo, e stava per ottenere fama e successo: aveva infatti vinto, nel 1938, a soli due anni dalla laurea, l’importante incarico per la Torre alla mostra d’Oltremare a Napoli. È il 15 settembre del 1938, proprio nel momento in cui il Fascismo sta varando le leggi sulla razza. La costruzione di un edifi co così importante da parte di un progettista, non ariano e non napoletano, scatena sicuramente vivaci reazioni. Ventura però non viene licenziato. Forse perché gode di protezioni. I tempi peggiorano e l’Italia entra in guerra. Tra il 1941 e il 1942 si trasferisce a Chieti. Un esilio probabilmente autoimposto. Ventura deve essere stato un uomo che sapeva tenere le relazioni. E che fosse un personaggio accorto e affascinante e quindi in grado di salvarsi la pelle, lo capiamo anche dalla sua successiva fortuna professionale.Nel dopoguerra inizia il ciclo delle palazzine. Due – e forse sono le uniche a godere del favore della stampa specializzata – sono segnalate dall’occhio infallibile di Bruno Zevi che le pubblica nel numero 10 del 1956 de L’architettura. Cronache e storia. Le sue palazzine, se le osserviamo a distanza di decenni, sono tra le più belle romane: reggono il confronto con i capolavori di Luigi Moretti e Ugo Luccichenti. Ventura si fa prendere poco dal linguaggio fi ne a sé stesso. Le sue costruzioni risolvono, infatti, problemi economici o funzionali ma sempre ricorrendo a un linguaggio raffi nato e innovatore, che attinge ai grandi esempi dell’architettura organica, razionalista e anche espressionista. Guardando a tutte queste opere che così bene reggono il tempo, viene da pensare a quanto il livello dell’edilizia, soprattutto a Roma, si sia oggi abbassato. Nessuna altra rivista si accorgerà di lui se non episodicamente, nessun critico lo citerà. Ventura è anche un sognatore: scrive un testo di cinquecento pagine, dall’inquietante titolo “La città condannata”, dove racconta la sua utopia per le metropoli del futuro, in cui mostra di ben conoscere le architetture delle macrostrutture e del Team X. Il saggio non viene stampato, il manoscritto è andato perso e non ne sappiamo più nulla. Il resto del materiale progettuale pare sia in gran parte andato distrutto a causa di un incendio. Qualcuno invece dice – ma la notizia non ha alcun riscontro documentario – buttato dal fi glio che non aveva buoni rapporti con il padre. Sarei felice se qualche dottorando, invece di perdere tempo con illeggibili e mal digeriti saggi sulla teoria dell’architettura, si dedicasse a un’importante opera di riscoperta e di risarcimento di questo grande architetto che più di tutti, per tragica sorte o forse per autoimposizione, di tutti i protagonisti dell’architettura italiana appare essere stato il più dimenticato, il più trasparente ■
Nell’illustrazione, la Torre d’Oltremare di Napoli, che Venturino Ventura disegnò a soli 28 anni, e una delle sue palazzine romane.