Laboratorio SPL REF Ricerche - Contributo113

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FEBBRAIO 2019 rifiuti N°113

L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata? Laboratorio SPL Collana Ambiente

Abstract Le scelte in materia di assimilazione sono uno degli ingredienti per perseguire gli obiettivi di riciclaggio previsti dal Pacchetto Economia Circolare. Una soluzione di prospettiva per l’emanando decreto sulla assimilazione potrebbe essere quella di demandare l’individuazione delle linee guida alle Regioni e di affidare agli Enti di Governo d’Ambito la declinazione sulle specificità del territorio.

Choices in the matter of assimilation are one of the ingredients to pursue the recycle targets of the Circular Economy Package. A perspective solution for the awaited assimilation act could be to leave to the Regions the guidelines determination and to entrust the local government bodies with competencies on territorial specificities.

Gruppo di lavoro: Donato Berardi, Antonio Pergolizzi, Francesca Signori e Nicolò Valle

REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20123 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Utilitalia-Utilitatis, SMAT, IREN, Veolia, Acquedotto Pugliese, HERA, Metropolitana Milanese, CRIF Ratings, Cassa per Servizi Energetici e Ambientali, Cassa Depositi e Prestiti, Viveracqua, Romagna Acque, Water Alliance , CIIP, Abbanoa, CAFC, GAIA, FCC Aqualia Italia, A2A.


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Gli ultimi contributi n. 112 - Acqua - Le aziende multi-servizio: avamposto industriale nei servizi pubblici locali, gennaio 2019 n. 111 - Rifiuti - Economia circolare: senza gli impianti vince sempre la discarica, dicembre 2018 n. 110 - Acqua - Pdl Daga: l'acqua ha bisogno di "Industria", dicembre 2018 n. 109 - Acqua - Pdl Daga: rinunciare alla regolazione indipendente è una scelta sbagliata, novembre 2018 n. 108 - Acqua - Pdl Daga. Costo 20 miliardi: debito o tasse?, novembre 2018 n. 107 - Acqua - I fanghi della depurazione: l’acqua entra nell’economia circolare, ottobre 2018 n. 106 - Acqua - L'acqua del rubinetto: più sicura, controllata ed economica, ottobre 2018 n. 105 - Acqua - La regolazione del servizio idrico: quando l’allievo supera il maestro, settembre 2018 n. 104 - Rifiuti - Il ciclo dei rifiuti: tra ritardi e opportunità, settembre 2018 n. 103 - Acqua - Qualità tecnica: investimenti avanti adagio, luglio 2018

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La missione Il Laboratorio Servizi Pubblici Locali è una iniziativa di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese.

ISSN 2531-3215 Donato Berardi Direttore dberardi@refricerche.it

Editore: REF Ricerche srl Via Saffi 12 - 20123 Milano tel. 0287078150 www.refricerche.it

laboratorio@refricerche.it @LaboratorioSPL Laboratorio REF Ricerche


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FEBBRAIO 2019

L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?

PREMESSA A metà strada tra i rifiuti urbani e gli speciali si innestano i rifiuti speciali non pericolosi assimilati/ assimilabili agli urbani. Si tratta di quei rifiuti che, seppur prodotti da utenze non domestiche, hanno una composizione merceologica simile agli urbani e che per tale ragione possono essere gestiti negli stessi impianti e con gli stessi processi, garantendo standard tecnico-gestionali, controllo e tracciabilità equivalenti. Le scelte in materia di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani è storicamente demandata agli enti locali. Scelte di ampia assimilazione si legano tradizionalmente al desiderio di assicurare una gestione pubblica controllata, efficiente, incanalata in un ciclo integrato industriale e rispettosa dell’ambiente e della salute dei cittadini. Scelte in favore di una maggiore deassimilazione rispondono invece ad una focalizzazione sull’ambito domestico e urbano in senso stretto, e ad esigenze di semplificazione/standardizzazione del servizio. Da almeno due decenni si attende l’emanazione di un Decreto per armonizzare i criteri quali-quantitativi applicati dai Comuni. L’inerzia dei governi che si sono succeduti nel corso degli anni ha fatto sì che i Comuni e in generale gli enti territoriali di gestione si avventurassero in una selva di Regolamenti che hanno prodotto confusione e incertezza, a danno sia dei cittadini/contribuenti che degli operatori del settore. Un quadro normativo chiaro è necessario e dovrebbe servire da volano per gli investimenti nel settore, ancora oggi si fa riferimento a una babele di Regolamenti comunali in cui i criteri qualitativi e quantitativi sono combinati tra loro determinando condizioni di partenza differenti anche in territori contigui e con standard di servizi equivalenti, talvolta serviti dal medesimo gestore. L’assenza di un quadro normativo omogeneo ha implicazioni per le dotazioni impiantistiche e per la pianificazione dell’intero ciclo dei rifiuti, andando ad impattare sull’equilibrio tra il ruolo del pubblico e del privato, tra l’estensione della privativa e il libero mercato, sui bilanci dei Comuni, e quindi sui bilanci delle imprese e delle famiglie. Un intervento chiarificatore, che definisca un perimetro omogeneo del servizio pubblico, è condizione necessaria anche per l’avvio di una efficace regolazione economica.

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L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?

1. I RIFIUTI ASSIMILATI: NORME E DEFINIZIONI L’istituto dell’assimilazione viene introdotto dalla normativa italiana nel 1982

L’istituto dell’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani viene da lontano, previsto sin dalla prima normativa nazionale diretta a regolamentare la gestione dei rifiuti, il DPR 915/82. In quella sede già si prevedeva la competenza statale nella determinazione di “criteri generali per l'assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani”, nonché l’assegnazione ai Comuni delle relative competenze, da esercitare attraverso appositi regolamenti chiamati a stabilire “le norme per la determinazione dei perimetri entro i quali è istituito il servizio di raccolta dei rifiuti urbani”. 1.1 I rifiuti urbani e assimilati nel TUA Ancora oggi, secondo quanto stabilisce il Testo Unico Ambientale (d’ora in avanti TUA)1, la qualità di rifiuto non è definita da una intrinseca qualità merceologica, piuttosto si tratta di una scelta, in prima istanza del detentore, ed in secondo luogo dell’ente competente: una circostanza che lascia spazio ad un intervento di matrice discrezionale e tecnico-organizzativa2.

L’art.184 del TUA definisce cos’è un “rifiuto urbano”

L’articolo 184 del TUA definisce “rifiuti urbani”: a) i rifiuti domestici provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione3; b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi diversi assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità. La stesso rifiuto, quindi, cambia natura giuridica a seconda che sia prodotto in una utenza domestica cui si associa per definizione l’origine “urbana” – oppure in altro contesto, utenza non domestica, come un museo, un ufficio o un laboratorio artigianale: in questo secondo caso il medesimo rifiuto è classificato come rifiuto speciale4.

Lo Stato ha competenze nella determinazione dei criteri per l’assimilazione

L’articolo 195 del TUA, comma 2, lettera e) conferma che spetta allo Stato la “determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani.”

In attesa di un decreto che disciplini la materia spetta ai Comuni la definizione delle policy di assimilazione

In attesa che un apposito decreto disciplini la materia la Deliberazione del Comitato interministeriale sui rifiuti del 27 luglio 1984, cui fa riferimento la lettera dello stesso TUA, indica che i rifiuti speciali assimilabili devono avere caratteristiche tali da far sì che il loro smaltimento negli impianti per rifiuti urbani “non dia luogo ad emissioni, ad effluenti o comunque ad effetti che comportino maggior pericolo per la salute dell’uomo e/o per l’ambiente rispetto a quelli derivanti dallo smaltimento, nel medesimo impianto o nel medesimo tipo di impianto, di rifiuti urbani”. Nelle more del decreto, l’articolo 198 del TUA, comma 2, lettera g) assegna ai singoli Comuni le competenze in materia di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani. In generale, sono dichiarati assimilati ai rifiuti urbani tutti i rifiuti di imballaggio non espressamente vietati dal TUA5 e i rifiuti speciali non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi dalla civile abitazione e ottenuti dalle seguenti attività-lavorazioni: i rifiuti da attività agricole e agroindustriali (ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2135 C.c.), i rifiuti da lavorazioni artigianali, i rifiuti da

1 D.lgs. 3 aprile 2006, n.152. 2 Art.183, lett. a). 3 Rientrano tra gli urbani anche i rifiuti che originano dallo spazzamento, le giacenze di rifiuti nelle strade, gli scarti vegetali, le esumazioni e estumulazioni. 4 L’art. 184 comma 3 fornisce una definizione di rifiuti speciali (lettere da a) ad n). 5 Non possono in ogni caso essere assimilati agli urbani i rifiuti speciali pericolosi e gli imballaggi terziari di qualsiasi natura, così come eventuali imballaggi secondari non restituiti all'utilizzatore dal commerciante al dettaglio che possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata (art. 226, comma 2).

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L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?

attività commerciali, i rifiuti da attività di servizio e i rifiuti derivanti da attività sanitarie. 1.2 In attesa di un Decreto sull’assimilazione La stesura di una disposizione legislativa che sancisca l’uniformità sul territorio nazionale dei principi di assimilabilità dei rifiuti speciali agli urbani è attesa da decenni: i tentativi operati nel corso degli anni non hanno avuto l’esito auspicato. A riaccendere (temporaneamente) i motori per l’approvazione di un decreto sui criteri di assimilabilità ha contribuito una recente sentenza6, con cui il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da un’azienda attiva nel recupero della carta da macero7 che lamentava di essere danneggiata dall’eccessiva assimilazione dei rifiuti effettuata dalle amministrazioni comunali a causa dell’assenza di un’adeguata regolamentazione ministeriale. Una sentenza del TAR Lazio aveva intimato l’emanazione del decreto

Il Tar Lazio ha diffidato il Ministero, intimandogli di concludere il procedimento con l’emanazione del decreto sui criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani nel termine di 120 giorni dalla data della sentenza. Nonostante il richiamo perentorio il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, non è ancora stato emanato8. 1.3 Le conseguenze del mancato coordinamento In mancanza di criteri di assimilazione omogenei sul territorio nazionale si è consolidata la prassi di un regolamento per ogni Comune che non ha contribuito a fare chiarezza sul perimetro della privativa comunale. In questo quadro incerto, con geometrie molto variabili sul territorio nazionale flussi di rifiuti sono rimasti privi di un orizzonte chiaro, affidati al mercato, anche quando quest’ultimo non è in grado di assorbirli o abbandonati ai circuiti informali/illegali. I commercianti illegali sono uno degli attori non ufficiali in campo, capaci di controllare più di 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti9.

La mancanza di omogeneità nei criteri di assimilazione è causa di carenze impiantistiche

La disomogeneità nei criteri quali-quantitativi di assimilazione frutto di discipline, caso per caso, territorio per territorio, è la principale causa delle carenza impiantistiche nel trattamento, per la difficoltà nel quantificare i flussi degli assimilati che impedisce l’analisi dei costi e dei benefici. Una volta raccolti dai singoli produttori (utenze non domestiche) essendo in tutto e per tutto assimilati agli urbani risulta infatti difficile distinguerli dai rifiuti di origine domestica. Non a caso, l’annuale Rapporto rifiuti urbani dell’Ispra non ne fa praticamente cenno in termini quantitativi, considerando gli assimilati alla stregua degli urbani. Il portato di questo stato di cose è l’ampia variabilità di esiti in termini di tariffe e di costi che si scaricano sulle imprese, rapportate a coefficienti di calcolo diversi in ciascun Comune, che contribuisce a creare differenziazioni ingiustificate di trattamento tra attività economiche, anche in contesti contigui, serviti dal medesimo gestore e/o caratterizzati da standard di qualità del servizio equipollenti.

6 Sentenza n. 426/2017 del 13 aprile 2017. 7 Non sorprende che sia stata una azienda operativa nel mercato del recupero di carta e cartone a invocare l’eccessivo uso della privativa a discapito del mercato, posto che questa tipologia di rifiuto, soprattutto sotto forma di imballaggio primario e secondario, è tra quelle maggiormente soggette ad assimilazione. Rappresenta infatti una delle voci in attivo per i contributi CONAI per i conferimenti provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati. 8 Invero, nella precedente legislatura (XVII) era stata presentata una bozza di decreto che aveva attivato le consultazioni con le associazioni rappresentative delle imprese e dei Comuni (ANCI). 9 Come emerso nell’ambito di 54 inchieste giudiziarie svolte tra il 2017 e il 2018. Per un approfondimento si rimanda a Ecomafia 2018, a cura di Legambiente,

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L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?

LE DIFFERENZE DI SPESA PER AREA GEOGRAFICA

(5° - 95° percentile, euro/mq) Ortofrutta Supermercato Bar

0,5

5,7

0,2

2,2 0,5

Ristorante

0,3

Parrucchiere

0,3

Albergo

3,3 3,0 3,5

0,7

1,6

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

Limiti quantitativi: il caso del Consorzio Priula Il consorzio Priula e per il suo tramite il gestore Contarina Spa10, individua limiti quantitativi per i rifiuti assimilati in riferimento a ciascuna frazione omogenea di rifiuto. Si tratta di limiti misurati attraverso i volumi piuttosto che a peso, che si intendono vincolanti per quanto attiene al rifiuto secco non riciclabile. Per le altre frazioni esiste un limite derogabile laddove sia verificata la disponibilità di strutture e mezzi per l’esecuzione del servizio. In questo modo si configura una sorta di perimetro variabile in senso funzionale.

I LIMITI QUANTITATIVI PER FRAZIONE DI RIFIUTO Frazione omogenea di rifiuto

Rifiuto secco non riciclabile

quantità (Kg/anno) 12.000

Carta e cartone

40.000

Metalli non contaminati

100.000

Rifiuti ingombranti non pericolosi

N° 2 pezzi

Vetro

100.000

Vetro, plastica, lattine

100.000

Rifiuto organico

50.000

Rifiuto vegetale

50.000

Altre frazioni omogenee

Nei limiti del rifiuto secco non riciclabile e della possibilità di avviarle a recupero

Fonte: Regolamento Consortile per i servizi di gestione dei rifiuti urbani

10 Contarina Spa è una società in house providing a completa partecipazione pubblica, diretta e coordinata dal Consiglio di Bacino Priula, che detiene il 100% delle quote. Si occupa della gestione dei rifiuti nei 50 Comuni aderenti al Consiglio di Bacino Priula, all’interno della provincia di Treviso.

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La metodologia prevede che i rifiuti derivanti dalle attività agricole siano sempre considerati rifiuti speciali, fatta eccezione per quelli provenienti “dalla attività di vendita dei prodotti dell’attività agricola che possono essere assimilati ai rifiuti urbani”. I servizi alle utenze non domestiche, quindi destinate all’assimilazione, si caratterizzano per un elevato grado di personalizzazione con “l’obiettivo di ampliare la base imponibile degli utenti nell’ambito del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani”11. Il caso della regione Marche La Relazione Generale della Regione Marche12 sulla gestione dei rifiuti nell’anno 2014 sottolinea l’importanza dell’assimilazione per esercitare economie di scala e di densità dei singoli Gestori nell’ambito dei 11 bacini di conferimento istituiti dalla Regione. A titolo dimostrativo, cioè considerando solo il caso della raccolta della carta e dei relativi accordi con il consorzio di filiera COMIECO, se infatti il valore medio regionale pro capite di produzione di carta avviata a riciclo (somma dei codici CER 15.01.01 e 20.01.01) è di 49 kg/abitante anno, vi sono 10 Comuni in cui il dato pro capite supera i 90 kg/abitante anno, cioè più del doppio e non a caso 7 di questi Comuni superano l'obiettivo di raccolta differenziata del 65%. Nella tabella sottostante sono riportati i 10 Comuni con indicato, nell'ordine: provincia di appartenenza, numero di abitanti, percentuale di raccolta differenziata ottenuta nel 2013, valore netto del pro capite (calcolato al netto di spazzamento stradale e rifiuti della pulizia degli arenili), valore netto del pro capite (calcolato includendo lo spazzamento stradale) e valore pro capite di carta raccolta in modo differenziato. Come afferma la Relazione, in questi Comuni il risultato della assimilazione si traduce sia in una maggiore produzione pro capite di rifiuto, sia in livelli più elevati di incidenza della raccolta differenziata. E, non a caso, in alcuni di questi Comuni insistono notevoli aree industriali, come a Sassoferrato, Pesaro, Montelabbate, Colbordolo e Fabriano. Lo stesso ragionamento vale anche per le frazioni di rifiuti plastici, dove rispetto a una media regionale annua di produzione pro capite pari a 15 Kg, in alcuni Comuni, come Frontino (101 Kg/anno), Numana (68) e Monte Vidon Corrado (59) si raggiungono valori più elevati, accompagnati in tutti i casi tassi di raccolta differenziata più elevati per la medesima frazione merceologica (tra il 60 e il 75%). Rimane solo da aggiungere che in questa regione, e in particolare negli 11 bacini di gestione, gli impianti strategici sono costituiti dalle discariche e da qualche TMB, come quello di Tolentino; se si escludono le filiere delle raccolte differenziate nell’ambito degli accordi con il sistema CONAI, le altre frazioni da valorizzare emigrano fuori regione13. E’ proprio la scelta verso politiche estensive di assimilazione a fare della Regione Marche una tra le regioni a più elevata produzione pro capite di rifiuto, 527 Kg/ab/anno (a fronte di una media di 497) e una raccolta differenziata che supera il 60%14. 11 Regolamento Consortile per i servizi di gestione dei rifiuti urbani, Consorzio Intercomunale Priula. 12 Sezione Regionale Catasto Rifiuti c/o ARPAM, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche, Dipartimento di Pesaro (PU), “La produzione di rifiuti solidi urbani e gli indicatori di qualità della raccolta differenziata nelle Marche; andamento dei dati dal 2009 al 2013 e presentazione di studi sperimentali svolti da ARPAM: le analisi merceologiche del rifiuto”. 13 E’ questo il caso ad esempio dell’organico e degli sfalci e potature, che dopo essere raccolti in maniera differenziata vengono inviati in 9 regioni italiane (Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Abruzzo, Puglia, Umbria, Lazio, Lombardia e Veneto). 14 Ispra, Rapporto rifiuti urbani 2018.

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PRODUZIONE DI RIFIUTO E % RACCOLTA DIFFERENZIATA

(% RD e kg/ab/anno)

Pro capite spazz.

Procapite carta

603

631

122

75,9

1377

1422

106

750

60,1

457

457

104

Tavoleto

879

46,2

514

516

104

PU

Pesaro

94.615

67,3

685

743

101

MC

Sant'Angelo in Pontano

1.452

71,7

381

381

95

AN

Sassoferrato

7.499

79,9

452

475

95

AN

Fabriano

30.982

72,6

481

503

92

MC

Caldarola

1.836

77

406

406

91

Provincia

Comune

Abitanti

%RD

Pro capite

PU

Montelabbate

6.841

66,3

665

PU

Colbordolo

6.211

59,2

AN

Numana

3.675

FM

Monte Vidon Corrado

PU

679

Valore medio regionale

148

49

Fonte: Relazione Generale della Regione Marche sulla gestione dei rifiuti (2014)

1.4 Il Pacchetto Economia Circolare e la definizione di rifiuto urbano Un cenno a parte merita la recente approvazione del Parlamento UE sul Pacchetto sull’Economia circolare, che aggiorna la Direttiva 2008/98/CE – Framework Directive – e tutte le direttive correlate in materia di imballaggi, discariche, apparecchiature elettriche ed elettroniche, i cosiddetti RAEE, e i veicoli fuori uso, nonché pile e accumulatori15.

Le politiche di assimilazione saranno una delle leve per il raggiungimento dei target di riciclo del Pacchetto Economia Circolare

Le novità più rilevanti del Pacchetto Economia Circolare, anche in tema di rifiuti assimilati, riguardano i nuovi target di riciclo, che impongono agli Stati membri: - il riciclaggio di almeno il 55% dei rifiuti urbani e assimilati entro il 2025 (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035); - la riduzione dello smaltimento in discarica, che dovrà scendere al 10% entro il 2035; - il riciclaggio del 65% degli imballaggi, compresi quelli assimilati, entro il 2025 (il 70% entro il 2030); - la raccolta separata dei rifiuti domestici pericolosi (entro il 2022), dei rifiuti organici (entro il 2023) e dei rifiuti tessili (entro il 2025). Si tratta di obiettivi che potranno essere raggiunti anche attraverso politiche di assimilazione. Di più, le scelte in materia di assimilazione saranno una delle leve principali nelle mani dei governi nazionali e/o degli enti locali. Ad allargare potenzialmente il perimetro dei rifiuti urbani, assimilando de facto una frazione di rifiuto ad oggi considerata a tutti gli effetti come assimilabile e sottoposta alle scelte di policy dei Comuni, è la nuova definizione di “rifiuto urbano”.

15 Direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti. Dovrà essere recepita nell'ordinamento nazionale entro il 4 luglio 2020.

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La Direttiva quadro sui rifiuti introduce una nuova definizione di “rifiuto urbano”

Secondo la Direttiva sono “rifiuti urbani”: i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata; i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti equiparabili ai rifiuti do mestici per natura e composizione16. Le premesse della direttiva contengono un’ulteriore specificazione, al fine di fornire una definizione di rifiuto urbano che sia coerente con quella elaborata a fini statistici da Eurostat e che possa essere impiegata in modo uniforme dagli stati membri nel calcolo degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio. “I rifiuti urbani sono definiti come rifiuti domestici e rifiuti provenienti da altre fonti, come per esempio la vendita al dettaglio, l’amministrazione, l’istruzione, i servizi del settore della sanità, gli alloggi, i servizi dell’alimentazione e altri servizi e attività, che, per natura e composizione, sono simili ai rifiuti domestici”. E ancora “Occorre intendere i rifiuti urbani come corrispondenti ai tipi di rifiuti figuranti nel capitolo 15 01 e nel capitolo 20, a eccezione dei codici 20 02 02, 20 03 04 e 20 03 06, dell’elenco dei rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/UE della Commissione ( 1 ) nella versione in vigore il 4 luglio 2018”17. Si tratta degli imballaggi e dei rifiuti urbani, ivi compresi i rifiuti della raccolta differenziata, con l’esclusione dei materiali come la sabbia, la roccia, i fanghi e i rifiuti prodotti dalla pulizia delle acque di scarico.

La definizione di Eurostat a fini statistici considera i rifiuti urbani come i rifiuti riconducibili alle attività umane

Secondo questa interpretazione il rifiuto urbano dovrebbe ricomprendere tutti i rifiuti riconducibili alle attività umane che insistono su una certa Comunità, prodotti dalle famiglie, dalle imprese e dalle istituzioni, dunque oltre ai rifiuti di origine domestiche anche tutti i rifiuti provenienti da attività di somministrazione e alloggio, come bar, ristoranti, alberghi, o comunque alla presenza di persone, come uffici e servizi, al piccolo commercio e all’artigianato, come negozi, eccetera, simili per natura e composizione ai rifiuti domestici. Tutte queste attività sono oggetto di politiche di assimilazione che, possono agire in senso più o meno ampio, non facendosi riferimento a limiti di quantità. Al proposito si precisa che “Occorre che gli Stati membri provvedano a che i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali che non sono simili ai rifiuti domestici non rientrino nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani. I rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, della costruzione e demolizione, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento, e dei veicoli fuori uso sono esclusi dall’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani”.

Il Pacchetto Economia Circolare indica la “qualità” del rifiuto come criterio su cui stabilire il confine tra rifiuto urbano e speciale

In conclusione, la definizione di rifiuto urbano ricompresa nel Pacchetto Economia Circolare fornisce elementi su cui stabilire il confine tra rifiuto urbano e speciale. La discriminante è rappresentata non tanto dal produttore del rifiuto, quanto piuttosto dalla “qualità”, che deve essere simile a quella di origine domestica.

16 Si prevedono anche delle esplicite esclusioni: i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione. 17 Comma10 della Direttiva UE 2018/851 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti.

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2. UNA STIMA DEI RIFIUTI URBANI ASSIMILATI IN ITALIA L’assenza di regole omogene in materia di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani rende particolarmente difficile la quantificazione dei rifiuti speciali assimilati agli urbani in Italia. Le scelte sui criteri di assimilazione possono infatti risentire di valutazioni errate – da parte dei singoli Comuni o degli enti locali di regolazione – e/o assecondare logiche economiche e d’immagine (percentuali di RD e/o di rispetto degli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti) non sempre in linea con gli interessi pubblici e con criteri di efficienza del sistema.

Le peculiarità territoriali rendono difficile una quantificazione dei rifiuti urbani assimilati

Dai PEF emerge una ripartizione dei costi in equilibrio fra utenze domestiche e non domestiche

Se da un lato livelli elevati di produzione di rifiuto urbano pro capite possono indicare un grado di assimilazione più elevato, dall’altro le peculiarità regionali, a partire dall’andamento dell’economia e dei consumi fino alla morfologia del territorio e alla struttura del tessuto urbano, rendono molto complessa la quantificazione del segmento di produzione di rifiuto urbano generato da dinamiche di assimilazione. Un indicatore indiretto, che può essere una proxy della produzione di rifiuti urbani assimilati, è la ripartizione fra utenze domestiche e non domestiche dei costi del servizio pubblico, sulla base delle superfici e della distribuzione delle utenze. Il grafico seguente, costruito collezionando dai Piani Economico Finanziari (PEF) 2018 dei Comuni capoluogo di provincia le informazioni sulla ripartizione dei costi fra utenze domestiche e non domestiche, mostra come vi sia un sostanziale equilibrio fra le due categorie, con i costi fissi leggermente più sbilanciati sulle utenze domestiche ed i costi variabili su quelle non domestiche.

LA RIPARTIZIONE DEI COSTI FRA UD E UND

(%)

UD

49,7%

La ripartizione dei costi fra le utenze non può tradursi in una stima puntuale dei rifiuti urbani assimilati

UND

46,8%

51,2%

La ripartizione dei50,3% costi del servizio pubblico 53,2% fra utenze domestiche e non48,8% domestiche porterebbe a

Costi totali*

Costi fissi**

Costi variabili**

* Elaborazione costruita su 55 capoluoghi di provincia e copertura pop. del 61% ** Elaborazione costruita su 47 capoluoghi di provincia e copertura pop. del 53%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche su dati PEF Comuni

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pensare che i rifiuti assimilati in Italia rappresentino circa la metà della produzione di rifiuto urbano complessiva, o almeno in contesti di media e grande dimensioni, a maggiore densità di attività produttive e commerciali, quali sono tipicamente i Comuni capoluogo di provincia. Vista la difficoltà nel tracciare il rifiuto da parte dei Comuni, in molti casi la ripartizione dei costi fra utenze domestiche e non è basata su valutazioni presuntive, senza ricorso a misurazioni sulla reale produzione di rifiuto. I dati contenuti nei PEF consentono di cogliere la relazione fra l’incidenza delle superfici delle utenze non domestiche sul totale e la quota dei costi posti a carico di queste ultime. In media, nei capoluoghi di provincia, le utenze non domestiche, titolari di circa il 30% delle superfici tassabili, sostengono circa il 50% dei costi totali. Una evidenza che deve evidentemente essere interpretata alla luce si una presunta maggiore producibilità di rifiuto specifica.

I COSTI A CARICO DELLE UND E LE SUPERFICI AD USO NON DOMESTICO

(%)

% Costi totali

% superfici

80 70 60 50 40 30 20 10

Fonte: Laboratorio REF Ricerche su dati PEF Comuni

2.1 La stima dei rifiuti urbani assimilati: la metodologia L’elevata discrezionalità di cui i Comuni dispongono nelle ripartizione dei costi del servizio fra utenze domestiche e non, rende poco affidabile ogni stima della produzione di rifiuto speciale assimilato all’urbano che si basi su questi presupposti.

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L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?

La definizione di “rifiuto urbano” del Pacchetto Economia Circolare può essere il punto di partenza per una stima dei rifiuti urbani assimilati La stima dei rifiuti urbani e assimilati sottende una popolazione equivalente che comprende anche non residenti, turisti e pendolari

Appare dunque utile provare a indagare le regolarità presenti nei dati di produzione di rifiuti urbani su base comunale, come riportati dal catasto rifiuti Ispra18. Una prima stima dei quantitativi di rifiuto speciale assimilato può esser condotta a partire dalla definizione di rifiuto urbano del Pacchetto Economia Circolare. Ricadono infatti nel perimetro del rifiuto urbano i “rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti e che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici”, escludendo dunque i rifiuti provenienti da attività di stampo produttivo-industriale e dalla grande distribuzione. Per questa ragione, la stima dei rifiuti urbani assimilati qui presentata parte da un dato di produzione di rifiuto urbano pro capite che sottende una popolazione equivalente composta da abitanti residenti, abitanti non residenti, flussi turistici e pendolari, ovvero dalla quantificazione della popolazione sottesa ad ogni bacino di raccolta, a cui certamente si associa una produzione di rifiuto che per qualità è in tutto e per tutto di origine urbana. Coin riferimento all’intero territorio nazionale si tratta di una popolazione di circa 63 milioni di abitanti cui può essere ascritta una produzione di rifiuto urbano pro capite media di 463 kg/ab/anno.

LA PRODUZIONE DI RIFIUTO URBANO E POPOLAZIONE EQUIVALENTE

(Popolazione equivalente per area, kg/ab/anno) Area

Popolazione equivalente

Nord

28.788.473

Centro Sud e Isole ITALIA

Produzione di rifiuto urbano pro capite (kg/ab/anno) 478,0

12.656.833

516,8

21.782.284

413,5

63.227.590

463,5

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

A partire dai decili di popolazione costruiti sulla produzione di rifiuto urbano pro capite sono state ricavate delle soglie di bassa, media e alta assimilazione

Al fine di costruire dei valori soglia per la produzione di rifiuto urbano per abitante equivalente si sono calcolati i decili di popolazione cui corrisponde un certo valore di produzione di rifiuto urbano pro capite (normalizzato sulla popolazione equivalente). Così, ad esempio, il primo 10% di popolazione del Paese risiede in Comuni con una produzione pro capite di rifiuto urbano inferiore a 308 kg/ab/anno. A partire dai decili di produzione di rifiuto sono stati ricavati due valori “soglia” della produzione di rifiuto per abitante equivalente cui si associa un diverso grado di assimilazione, si tratta rispettivamente del 30° percentile, che lascia alla propria sinistra il 30% di popolazione che “gravita” su Comuni a bassa produzione di rifiuto pro capite (meno di 384 kg/ab/anno), e il 60° percentile, che lascia alla propria destra un 40% di popolazione che “gravita” su Comuni a elevata produzione di rifiuto (oltre 517 kg/ab/anno).

18 www.catasto-rifiuti.isprambiente.it

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Il primo gruppo di territori individua contesti a bassa produzione di rifiuto urbano, tenuto conto degli abitanti che vi insistono, e dunque può essere di buon grado definito come un territorio a prevalente o esclusiva produzione di rifiuto urbano e conseguente bassa assimilazione. Di converso, i territori caratterizzati da una produzione pro capite equivalente elevata identificano contesti a maggiore intensità di attività produttive e commerciali e/o con un grado di assimilazione elevato dei rifiuti speciali agli urbani19.

I RANGE DI ASSIMILAZIONE DEI RIFIUTI URBANI

(Percentili, kg/ab/anno) Assimilazione Bassa

Media

Alta

Percentili 10%

Produzione di rifiuto urbano pro capite (kg/ab/anno) 308,4

20%

343,9

30%

384,4

40%

411,5

50%

436,2

60%

473,2

70%

517,5

80%

561,5

90%

643,5

Fonte: Laboratorio REF Ricerche 2.2 Una prima stima dei rifiuti speciali assimilati agli urbani: i risultati Una produzione di rifiuto urbano pari a 384 kg/ab/anno è considerata lo spartiacque fra bassa e media assimilazione

Sulla base delle soglie individuate, il valore della produzione pro capite pari a 384 kg/ab/anno, collocato in corrispondenza del 30° percentile è da considerarsi lo spartiacque fra bassa e media assimilazione. Al di sotto di tale soglia, di fatto, l’assimilazione è assai contenuta, limitata alla presenza di attività strettamente connaturate alla dimensione urbana, e sempre presenti in tutti i centri (bar, uffici dell’amministrazione pubblica locale, uffici postali, scuole primarie, eccetera); di converso, i territori

19 Giova sottolineare come tra gli addetti ai lavori la “regola del pollice” vuole che ciascun abitante produca in media 1 chilogrammo di rifiuti al giorno. Una misura che si avvicina molto ai 384 kg/ab/anno proposti nel presente lavoro. Peraltro tra le poche misurazioni disponibili quelle condotte dall’Osservatorio regionale rifiuti della regione Veneto in alcune campagne presso le utenze domestiche hanno indicato valori di produzione di rifiuto compresi tra 636 grammi/giorno della famiglia monocomponente e i 2.138 grammi/giorno della famiglia con 6 o più componenti. E’ evidente che questa misurazione è una stima per difetto della reale produzione di rifiuto conseguente alla “normale” attività umana giacché non ricomprende i rifiuti prodotti dalle stesse persone fuori dall’ambito domestico, come ad esempio quelli del consumo di pasti fuori casa assai frequenti in contesti a elevato tasso di occupazione come il Veneto, nelle sedi di lavoro, nelle mense e nelle scuole, negli spostamenti casa/lavoro, nei viaggi di turismo o ancora nelle case di cura e degenza. Per un approfondimento si rimanda a ARPAV, “Linee guida per la gestione della tariffa dei rifiuti urbani”, 2002.

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con una produzione superiore ai 384 kg/ab/anno possono essere considerati a media e alta assimilazione, laddove si intensifica la presenza di attività commerciali e di servizio nei centri urbani, sino alle attività artigianali e produttive, come è il caso dei distretti produttivi. Seguendo questa lettura il 30° percentile corrisponde ad un perimetro “minimo” di rifiuto urbano, essenzialmente legato alle attività del domestico e a quelle commerciali e di servizio di sua derivazione diretta, in contesti a bassa intensità produttivo/commerciale/artigianale. Valori superiori indicano logiche di assimilazione più ampie. E’ in questo ambito di media e alta assimilazione che si esplica la discrezionalità degli enti locali nel definire perimetri più o meno ampi di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. I rifiuti urbani assimilati in Italia valgono per il 17% della produzione complessiva di rifiuto urbano totale 5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani in Italia originano da policy di media e alta assimilazione

Il calcolo delle quote dei rifiuti urbani assimilati per Comune, successivamente aggregate per provincia, regione e macro-area del Paese, mostrano come le politiche di media e elevata assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani conducano a ricomprendere all’interno del perimetro urbano un volume suppletivo di rifiuto speciale pari al il 17% della produzione di rifiuto urbano totale in Italia, con un massimo del 26% nelle regioni del Centro Italia ed un valore del 7% nel Mezzogiorno, dove la produzione di rifiuti in termini assoluti è più bassa e dove l’incidenza delle attività produttive/artigianali è minore. Su queste basi di a livello nazionale, si arriva a quantificare in almeno 5 milioni di tonnellate i rifiuti provenienti da scelte di media e elevata assimilazione, per un costo di gestione che supera gli 1,7 miliardi di euro all’anno. I RIFIUTI SPECIALI ASSIMILATI AGLI URBANI ITALIA (% sul totale della produzione di rifiuto urbano)

RU assimilati

MACRO-AREA (% sul totale della produzione di rifiuto urbano)

RU

20%

17%

26%

83%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

7% Fonte: Laboratorio REF Ricerche

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L’Emilia-Romagna è la regione con la quota più elevata di rifiuti speciali assimilati agli urbani

Su scala regionale, l’Emilia-Romagna è la regione con la maggiore assimilazione di rifiuti speciali agli urbani, che comporta un addendum di rifiuti gestiti dal servizio pubblico pari al 36%, seguita da Toscana (30%), Lazio (21%) e Marche (20%). Facendo un confronto regionale, l’addendum di rifiuti speciali assimilati del Veneto (11%) è circa 3 volte e mezzo inferiore a quella dell’Emilia-Romagna.

I RIFIUTI URBANI SPECIALI ASSIMILATI AGLI URBANI PER REGIONE

(% sul totale della produzione di rifiuto urbano) Emilia-Romagna Toscana Lazio Marche Umbria Liguria Lombardia Piemonte Veneto Friuli-Venezia Giulia Puglia Abruzzo Trentino-Alto Adige Campania Sicilia Sardegna Calabria Molise Basilicata

-25%

-13%

-7% -9%

3%

14% 11% 11% 10% 8% 7% 6% 6%

21% 20% 17% 17%

30%

36%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani in Italia originano da policy di media e alta assimilazione

Come detto le soglie di assimilazione individuate ci consentono di classificare le regioni sulla base di tre categorie: bassa, media ed alta assimilazione. Alla prima categoria appartengono quattro regioni del Mezzogiorno: Sardegna, Calabria, Molise e Basilicata, mentre le regioni ad alta assimilazione, ovvero con una produzione pro capite uguale o superiore ai 517 kg/ab/anno, risultano essere EmiliaRomagna e Toscana20. Le altre regioni, comprese tra il 40° ed il 60° percentile, appartengono ad una fascia di media assimilazione.

20 Nel calcolo non è stata inclusa la Valle d’Aosta per l’assenza di dati comunali sulla produzione di rifiuto urbano. Prendendo a riferimento il dato regionale Ispra (584 kg/ab/anno) e riparametrandolo sulla popolazione equivalente, otteniamo un valore della produzione di rifiuti urbani pari a 565,5 kg/ab/anno. Tale valore ci porta a concludere che anche la Valle d’Aosta apparterrebbe al fascia di alta assimilazione.

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IL GRADO DI ASSIMILAZIONE PER REGIONE

(percentili su distribuzione popolazione)

Alta >70° percent. Media 30°-60° percent. Bassa <30° percent.

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

Il 71% della popolazione equivalente del Lazio risiede in Comuni ad elevata assimilazione

Il grafico seguente mostra la ripartizione della popolazione per le tre fasce di assimilazione: alta, media e bassa, ordinato per le regioni che sottendono la fascia più ampia della popolazione in Comuni ad alta assimilazione. E’ interessante rilevare come il primato spetti al Lazio (71% di popolazione che risiede in Comuni ad elevata assimilazione), un dato da ascrivere in larga parte al Comune di Roma, primo Comune in Italia per popolazione, ricadente in fascia di alta assimilazione, sebbene su livelli più contenuti di altri Comuni dell’Emilia-Romagna o della Toscana21.

21 Dal calcolo emerge come il 26% dei rifiuti urbani della Capitale siano riconducibili a politiche di media e alta assimilazione.

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LA RIPARTIZIONE DELLA POPOLAZIONE PER GRADO DI ASSIMILAZIONE (% sul totale della popolazione equiv.)

Alta

Media

Bassa

Lazio Emilia-Romagna Toscana Marche Lombardia Umbria Liguria Veneto Piemonte Campania Abruzzo Trentino-Alto Adige Friuli-Venezia Giulia Puglia Sardegna Sicilia Molise Calabria Basilicata 0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

La provincia di Reggio-Emilia è la più “assimilata” d’Italia

Scendendo a livello di provincia, si conferma il trend già osservato sulle regioni. Fra le prime dieci province ordinate per quota di rifiuto urbano assimilato sul totale della produzione, sei appartengono all’Emilia-Romagna, e quattro alla Toscana. Su valori più elevati troviamo le province di Reggio-Emilia (46%), Ravenna (41%) e Forlì-Cesena (39%).

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LE PRIME 10 PROVINCE ITALIANE PER GRADO DI ASSIMILAZIONE (% sul totale della produzione di rifiuto urbano) Province

1.

Reggio-Emilia

2.

Ravenna

3.

Prato

5.

Ferrara

7.

Massa Carrara

10.

(ER)

39%

39%

36%

36%

(ER)

Livorno

9.

39%

(ER)

Rimini

8.

(ER)

(TOS)

Piacenza

6.

41%

(ER)

Forlì-Cesena

4.

46%

(ER)

(TOS)

35%

(TOS)

33%

(TOS)

Pistoia

33%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche I Comuni a forte propensione turistica presentano un grado elevato di assimilazione

Le elaborazioni effettuate a livello comunale mostrano invece un quadro più variegato, specialmente per quanto riguarda i Comuni a classe abitativa inferiore ai 100.000 abitanti. Se da un lato si registra la presenza di Comuni appartenenti alle regioni tipicamente ad alto grado di assimilazione (Sesto Fiorentino, Massa, ecc.), dall’altro la classifica è popolata da località a forte propensione turistica, come Lignano Sabbiadoro, Pulsano e Viareggio. I COMUNI CON IL GRADO PIÙ ELEVATO DI ASSIMILAZIONE

(% sul totale della produzione di rifiuto urbano, classe di abitanti eq.) < 5.000

1. 2. 3. 4. 5.

Roviano Castro Selci San Marcello Piteglio Livo

1. 2. 3. 4. 5.

Pulsano Casalgrande Marino Rubiera Fonte Nuova

1. 2. 3. 4. 5.

Ravenna Pesaro Forlì Prato Rimini

(LAZ) (PUG) (LAZ) (TOS) (TR)

10.000-50.000

(PUG) (ER) (LAZ) (ER) (LAZ)

> 100.000

(ER) (MAR) (ER) (TOS) (ER)

5.000-10.000

92% 91% 90% 89% 89%

1. 2. 3. 4. 5.

Lignano Sabbiadoro Albinea Montechiarugolo Quattro Castella Meldola

67% 66% 65% 65% 65%

1. 2. 3. 4. 5.

Sesto Fiorentino Giugliano in Campania Massa Viareggio Rho

(FVG) (ER) (ER) (ER) (ER)

50.000-100.000

(TOS) (CAM) (TOS) (TOS) (LOM)

81% 71% 70% 69% 69%

52% 46% 45% 42% 42%

40% 38% 38% 37% 34%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

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L'assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?

Emilia- Romagna, Lombardia e Veneto: tre modelli a confronto I dati sulla produzione dei rifiuti urbani rappresentano il primo segnale di politiche di assimilazione più o meno spinte degli enti locali. Considerata la bassa variabilità che caratterizza la produzione di rifiuto domestico una maggiore produzione di rifiuto urbano può essere di buon grado considerata indicativa di una perimetro quali-quantitativo di assimilazione più ampio. Emilia Romagna e Toscana sono tra le regioni con la maggior esperienza industriale e tecnico-organizzativa nel ciclo integrato dei rifiuti, e si sono caratterizzate storicamente per politiche votate all’assimilazione, in forza di una discreta disponibilità di infrastrutture e dotazioni impiantistiche. All’opposto, regioni come Veneto e Lombardia si sono affermate come territori più votati alla deassimilazione, lasciando meno spazio alla privativa nella fase di raccolta e gestione del rifiuto e consentendo un maggiore sviluppo del libero mercato, chiamato a rivestire un ruolo determinante nell’attuazione dell’economia circolare. In Emilia Romagna, secondo le stime dell’Agenzia territoriale regionale, i rifiuti prodotti dalle utenze non domestiche rappresentano il 34% del totale dei rifiuti urbani intercettati nel regime di privativa22. Ciò significa che dei quasi 3 milioni di tonnellate prodotte ogni anno (2.859.763 nel 2017) circa 1 milione di tonnellate rientra tra gli assimilati. Essendo il costo medio dello smaltimento in EmiliaRomagna di circa 114,3 euro a tonnellata23, si può ipotizzare un costo di circa 111 milioni di euro a carico dei gestori. Sembra ragionevole affermare che politiche generose di assimilazione permettono di raggiungere target più elevati di raccolta differenziata, interessando frazioni solitamente già differenziate all’origine. E’ evidente che se l’assimilazione da un lato conduce ad un incremento delle produzioni pro capite di rifiuti urbani, basti guardare all’Emilia Romagna dove nel 2018 si è superata quota 642 kg/ab/anno – a fronte di una media nazionale di 489 kg/ab/anno24 - una maggiore assimilazione può consentire di sostenere le performance gestionali, anche in tema di raccolta differenziata e recupero. All’opposto, politiche di deassimilazione più spinte consentono da un lato di contenere il dato sulla produzione di rifiuti urbani (476 kg/anno in Veneto, 166 kg in meno rispetto all’Emilia-Romagna) e di ridurre il quantitativo di rifiuto differenziato raccolto.

22 Deliberazione del Consiglio d’Ambito 2017/7 del 27 febbraio 2017: servizio gestione rifiuti – aggiornamento del regolamento di gestione e del metodo di calcolo degli abitanti equivalenti. 23 Ispra, Rapporto rifiuti urbani 2018. 24 Ispra, Rapporto rifiuti urbani 2018.

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PRODUZIONE DI RIFIUTI URBANI E RACCOLTA DIFFERENZIATA PRO CAPITE

(kg/ab/anno, 2017)

RD pro capite

RUR pro capite

642,3

232,3

476,0

466,9

141,9

125,4

325,0

350,6

Lombardia

Veneto

410,0

Emilia-Romagna

Fonte: Laboratorio REF Ricerche su dati Ispra

La correlazione fra assimilazione e andamento della raccolta differenziata è molto difficile da rilevare statisticamente, a causa del numero elevato di variabili che possono influenzare il tasso di differenziazione (es. densità abitativa, organizzazione del servizio, ecc.) Tuttavia, il grafico seguente, che mette in relazione la produzione di rifiuto in termini di popolazione equivalente per regione e le percentuali di raccolta differenziata, mostra un correlazione moderata fra le due variabili (ρ=0.4), che potrebbe rappresentare uno spunto per ulteriori studi. LA CORRELAZIONE FRA RACCOLTA DIFFERENZIATA E PRODUZIONE DI RIFIUTO

(Kg/ab/anno e % raccolta differenziata) 650 600

kg/ab/anno

550 500 450 400 350 300 250 200

15%

25%

35%

45%

% RD

55%

65%

75%

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

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Nel caso di Veneto e Lombardia, Regioni virtuose in termini di percentuali di raccolta differenziata (rispettivamente 74% e 70%) e assimilabili all’Emilia-Romagna quanto a contesto economico, sociale e produttivo, l’impatto della deassimilazione sui tassi di differenziazione risulta non chiaramente identificabile. Tuttavia, soffermandosi sui dati di raccolta delle singole frazioni, ed in particolare sui materiali che vengono tipicamente utilizzati per gli imballaggi (carta e cartone, legno, plastica, eccetera), appare evidente come un grado maggiore di assimilazione di frazioni che possono essere agevolmente raccolte contribuisce ad accrescere la produzione di rifiuto intercettata.

RACCOLTA DIFFERENZIATA PRO CAPITE PER FRAZIONE MERCEOLOGICA

(kg/ab/anno, 2017)

Lombardia

Veneto

Emilia-Romagna

87

55

58 42

35 19

Carta e cartone

25

24

45 36

31

14

Legno

Plastica

Vetro

Fonte: Laboratorio REF Ricerche su dati Ispra

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3. I DRIVER DELL’ASSIMILAZIONE E DELLA DEASSIMILAZIOne A definire il perimetro dell’assimilazione sono intervenute diverse pronunce giurisprudenziali, le più importanti delle quali sono a firma della Corte di Cassazione25, che ha attribuito valore inderogabile alle valutazioni quali-quantitative al fine di rendere legittima l’assimilazione, nella consapevolezza che l’allargamento della privativa ai rifiuti speciali non pericolosi, assimilati senza un limite quantitativo, non consente di valutare a priori l’impatto igienico-ambientale, oltre a tradursi in un onere eccessivo a carico dei contribuenti. La scelta sulle policy di assimilazione da implementare, e le rispettive valutazioni quali-quantitative, restano in capo ai Comuni, che sulla base di motivazioni di stampo economico-gestionale-ambientale optano per politiche di assimilazione più o meno spinte. 3.1 Assimilazione: perché? Dietro l’assimilazione spinta vi possono essere almeno cinque esigenze, non necessariamente alternative, potendo convivere, potenzialmente, tutt’e cinque: L’assimilazione spinta garantisce un introito maggiore della Tari/Tarip

Politiche di assimilazione spinte consentono maggiori proventi dal riciclo

Il tessuto imprenditoriale può influire sulle policy di assimilazione L’assimilazione consente alle imprese di gestire facilmente i rifiuti

1) il desiderio di allargare la platea dei contribuenti per sostenere le entrate della Tari/Tarip26. In generale, minore è il costo unitario per tonnellata di assimilato gestita più alto è il delta assicurato delle entrate della Tari e tanto maggiore è in linea teorica la convenienza ad allargare l’assimilazione. Storicamente, tale atteggiamento ha riguardato territori con caratteristiche opposte: da un lato, le Regioni con le gestioni più onerose (che spesso ha voluto significare gestioni più attente ai temi ambientali e sanitari) e industrializzate, al fine di realizzare economie di scala e di densità, facendo lavorare a pieno regime gli impianti di trattamento e recupero locali (es. Emilia Romagna e Toscana). All’opposto, territori meno industrializzati e con gestioni meno strutturate, che si sono trovate ad implementare politiche di assimilazione spinta per ragioni di bilancio. 2) L’incasso dei maggiori proventi derivanti dal riciclo, che nel caso degli imballaggi provenienti dal ciclo degli urbani è determinato dagli Accordi ANCI-CONAI: maggiori incassi per minori percentuali di impurità. È evidente che un Comune che gestisce in proprio il servizio, ad esempio attraverso un’azienda in house, operando in un contesto di consolidata esperienza sul fronte della raccolta differenziata, quindi con una capacità di intercettare frazioni separate e altamente pure (quindi ben remunerate), potrà essere spinto a privilegiare un approccio qualitativo che tende verso l’assimilazione ampia, soprattutto se ci sono impianti a disposizione per la chiusura del ciclo. 3) Nei Comuni di piccole dimensioni ma con una forte presenza di attività produttive – come è il caso dei distretti produttivi, come quello ceramico in Emilia Romagna, tecnico-industriale nelle Marche o delle conce in Toscana – la presenza di partite di rifiuti omogenei, facili da raccogliere (separatamente) e riciclare (soprattutto imballaggi primari e secondari), può spingere le amministrazioni ad allargare le maglie dell’assimilazione per raggiungere incidenza di raccolta differenziata più elevata. 4) Agevolare il tessuto produttivo e commerciale di piccole e medie dimensioni del territorio, sollevando gli operatori economici (artigiani, commercianti, etc.) dall’onere di gestire una parte importante dei propri scarti di lavorazione (Emilia Romagna, Toscana, Lombardia), sollevandoli dalle pratiche amministrative cui sono chiamati i produttori di rifiuti speciali.

25 Sentenza n.30719 del 30 dicembre 2011 e sentenza n. 9631 del 13 giugno 2012. 26 Peraltro in un contesto di tariffa corrispettiva puntuale, il grado di assimilazione viene nei fatti deciso dalle scelte degli utenti, chiamati a definire il quantitativo di rifiuti riciclabili conferiti al servizio pubblico o ceduti al mercato, contribuendo a risolvere il conflitto tra pagamento del tributo e servizio usufruito.

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Maggiore assimilazione vuol dire maggiore tracciabilità del rifiuto

5) Accrescere la tracciabilità e la trasparenza sui flussi ricomprendendoli nel controllo pubblico, in chiave di prevenzione da infiltrazioni eco-criminali. Attraverso le scelte di assimilazione di quote di rifiuto speciale agli urbani la pianificazione pubblica si fa carico di prevedere tipologie e capacità impiantistiche coerenti con i rifiuti speciali assimilati, con ciò garantendo economie di scala e sostenendo le gestioni industriali, in aderenza al principio di prossimità. Assai di sovente sono le stesse categorie economiche a domandare un intervento pubblico a sostegno degli impianti, al fine di assicurare un sbocco ai rifiuti prodotti nel territorio.

I ricavi ANCI-CONAI nelle logiche di assimilazione Se da una parte, dunque, i Comuni sono interessati dall’incasso della Tari per le utenze non domestiche, dall’altra devono in ogni caso mettere in conto, dal lato delle uscite, i costi netti del trattamento/ smaltimento al netto dei contributi definiti dall’Accordo ANCI-CONAI. È evidente che i Comuni, soprattutto quelli impegnati in una buona raccolta differenziata del multi-materiale (carta e cartone, vetro, plastiche e metalli), hanno interesse ad ammortizzare i costi di gestione includendo anche le frazioni provenienti dall’assimilazione, potendo contare sui contributi CONAI. E’ altrettanto ovvio che l’ampliamento del perimetro della privativa riduce lo spazio del mercato, penalizzando le imprese che operano al di fuori dei circuiti CONAI. Come mostra la tabella allegata in riferimento al Piano d’Ambito della Provincia di Modena (anno 2014), facendo riferimento a titolo esemplificativo della sola frazione della raccolta dei rifiuti cartacei, gli incassi derivanti dal contributo CONAI per l’insieme dei materiali cartacei ammontano a circa 411 mila euro l’anno, in luogo dei 215 mila euro di costi sostenuti per la raccolta e dei 947 mila euro a cui si giunge considerando anche i costi indiretti; rimanendo in questa provincia, complessivamente (considerando anche gli assimilati) i contributi incassati dal sistema CONAI sono stati 1,7 milioni, a fronte di 11 milioni di euro di costi totali (860 mila i costi da raccolta differenziata per le frazioni da cui si ricevono i ricavi CONAI).

RICAVI E COSTI DALLA RACCOLTA DIFFERENZIATA

(euro/anno) Tipologia

Ricavi CONAI

Costo smaltimento e trattamento

Materiali cartacei

410.784

215.752

Materiale vetroso

109.460

71.730

Materie plastiche

851.742

479.912

Materie metalliche

334.078

61.317

Legno

44.624

31.438

Totale

1.750.688

860.149

Fonte: Agenzia Territoriale dell'Emilia-Romagna per i Servizi Idrici e dei Rifiuti

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Il tema della congruità dei contributi riconosciuti dall’accordo ANCI-CONAI rimanda alla più ampia questione della responsabilità estesa del produttore. Giova ricordare che la direttiva quadro recentemente approvata dal Parlamento UE chiede agli Stati membri di assicurare che i regimi di responsabilità estesa assicurino la copertura di almeno l’80% dei costi delle raccolte differenziate degli imballaggi27. Questo tema per quanto stimolante va oltre gli obiettivi del presente lavoro e sarà oggetto di un successivo intervento. 27 art. 8bis, c. 4 “Gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che i contributi finanziari versati dai produttori di prodotti in adempimento ai propri obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore” e quindi “Nel caso di regimi di responsabilità estesa del produttore istituiti per raggiungere gli obiettivi in materia di gestione dei rifiuti e gli obiettivi stabiliti a norma degli atti legislativi dell’Unione, i produttori di prodotti sostengano almeno l’80 % dei costi necessari”.

3.2 Deassimilazione: perché?

Politiche di deassimilazione possono consentire di risparmiare sui costi di raccolta e gestione degli assimilati Una quota minore di rifiuto gestito consente di ridurre il dato sulla produzione pro capite di rifiuti urbani Un grado più elevato di deassimilazione si traduce in un maggiore spazio lasciato al libero mercato

In maniera speculare, i Comuni possono optare per politiche di deassimilazione facendo gravitare sotto il libero mercato ampi quantitativi di scarti, per almeno tre motivi: 1) Per ragioni economiche, improntate ad un risparmio sui costi di raccolta e gestione degli assimilati. Ciò avviene soprattutto quando le raccolte differenziate funzionano, per paradosso, malissimo o benissimo. Nel primo caso, per l’incapacità di gestire i flussi addizionali degli assimilati, nel secondo caso per sgravare la gestione da potenziali rifiuti assimilati di bassa qualità (evitare diseconomie nella raccolta e/o nel trattamento). Ovviamente questa considerazione non vale per filiere di facile raccolta e valorizzazione come gli imballaggi primari e secondari (carta e cartone, vetro, plastica e metalli). 2) Per esigenze reputazionali, abbassando i quantitativi di rifiuti prodotti pro capite è possibile vantare politiche più efficaci nella prevenzione. Talvolta riducendo il perimetro e concentrandosi su porzioni di rifiuto e territorio è possibile migliorare le percentuali di raccolta differenziata, con tutto ciò che ne consegue. 3) Per lasciare spazio al libero mercato, concedendo alle imprese produttrici di rifiuti potenzialmente assimilabili del territorio la possibilità di disfarsene, consentendo la migrazione su tutto il territorio nazionale (essendo rifiuti speciali, senza obbligo di prossimità), e all’estero di scarti (soprattutto laddove questi ultimi non possano trovano risposte nell’impiantistica presente nel territorio). Una maggiore domanda di deassimilazione si osserva tipicamente in fasi nelle quali le materie prime seconde (in particolare carta e cartone) trovano una collocazione di mercato. In fasi di bassa congiuntura delle materie prime seconde, al contrario, la deassimilazione è meno richiesta28.

IL BILANCIO ECONOMICO DEGLI ASSIMILATI Entrate

Uscite

Tari/Tarip

Costi fissi di gestione del servizio

Contributi Conai

Costi variabili di gestione del servizio

Incassi da vendita scarti/MPS Fonte: Laboratorio REF Ricerche 28 Sembra opportuno ricordare che la deassimilazione riguarda tutto il rifiuto prodotto e non solo le frazioni a recupero e/o a valore (anche l’organico, a recupero ma a costo, e l’indifferenziato, a smaltimento e a costo).

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Assimilazione-deassimilazione verso libero mercato Quasi tutti i Piani regionali di gestione dei rifiuti sottolineano il ruolo giocato dalle scelte in materia di assimilazione sulla produzione di rifiuto. Si prenda, ad esempio, l’analisi merceologica sui rifiuti prodotti nelle Marche nel periodo 2009-2013 a cura dell’Arpa Marche29, dove si segnala la relazione diretta e positiva tra aree con i più alti tassi di presenza industriale e una maggiore propensione all’assimilazione dei singoli Comuni. “Si nota così – si legge nel documento dell’Arpa Marche – che le aree più soggette alla produzione di questi rifiuti coincidono con i Comuni il cui dato pro capite risulta maggiore rispetto alla media regionale per l'anno 2012 e maggiore rispetto alle stime ufficiali di Ispra pubblicate nei rapporti rifiuti”. Nel Rapporto rifiuti Urbani 2015 dell’Arpa Umbria30 si comprendono meglio anche gli effetti delle scelte in materia di assimilazione-deassimilazione, che possono modificarsi nel tempo. Il Rapporto sottolinea come, in riferimento all’ATI 4, "il forte calo della produzione, con buone probabilità, potrebbe essere dovuto allo scorporo di quote di rifiuti provenienti da attività produttive (commerciali artigianali industriali) che fino al 2013 venivano computate nella gestione dei rifiuti urbani come rifiuti speciali assimilati”. Si riscontra invece “un generale arretramento (seppur modesto) dei quantitativi raccolti in forma differenziata di tutte le frazioni secche (carta, plastica, vetro, metallo, legno), presumibilmente a causa di minori quantità di rifiuti assimilati e della permanenza di cassonetti stradali per i rifiuti indifferenziati, che favoriscono il conferimento improprio di frazioni di rifiuti altrimenti differenziabili”. Parimenti si sottolinea come l’andamento dei quantitativi di rifiuti prodotti e differenziati per ciascun Ambito territoriale (ATI) risenta dei criteri di assimilazione. Si legge nel documento: “nell’ATI3 l’incremento della produzione complessiva di rifiuti (+2,24%) deprime il valore dell’aumento, pure significativo, della raccolta differenziata (+2,8%), presumibilmente dovuto proprio agli effetti di un alto grado di assimilazione di rifiuti speciali ai rifiuti urbani (l’estensione dei servizi di raccolta domiciliare potrebbe aver compreso anche utenze extra-domestiche). Analoga tendenza si può rilevare anche nell’ATI 1”. Dalle evidenze riportate emerge anche come la riduzione dell’assimilazione abbia riguardato, in modo particolare, il vetro e soprattutto il legno, che non sono le frazioni più appetibili da un punto di vista economico. È bene sottolineare che all’interno dei Piani di gestione integrata l’assimilazione si articola per filiere, nei casi più avanzati dedicando servizi su misura alle utenze non domestiche, potendo nei vari contesti assumere forme e dimensioni diverse a secondo del tipo di rifiuto. Nel caso della Provincia di FolìCesena, per esempio, si registra una elevata assimilazione di rifiuti metallici, ferrosi e non: quasi la metà delle 44.126 tonnellate di metalli ferrosi e non raccolte in maniera differenziata in Emilia-Romagna, per l’esattezza 21.448 tonnellate, originano da questa Provincia e vengono mandate a recupero direttamente dal produttore (ai sensi dell’art. 238, c. 10, del TUA)31.

29 Sezione Regionale Catasto Rifiuti c/o ARPAM, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche, Dipartimento di Pesaro (PU), “La produzione di rifiuti solidi urbani e gli indicatori di qualità della raccolta differenziata nelle Marche; andamento dei dati dal 2009 al 2013 e presentazione di studi sperimentali svolti da ARPAM: le analisi merceologiche del rifiuto”. 30 Arpa Umbria, Rapporto rifiuti urbani 2015. 31 Arpa Emilia Romagna, “La gestione dei rifiuti in Emilia Romagna. Report 2015.

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L’estensione dell’assimilazione verso alcune frazioni conferma che il soccorso del mercato può concentrarsi verso le frazioni economicamente convenienti, e dunque venire a dipendere anche dalla congiuntura dei mercati delle materie prime seconde e del recupero, lasciando sul campo le frazioni meno nobili, che finiscono per gravare sui bilanci comunali (il cosiddetto fenomeno del cherry picking). Per tale ragione la giurisprudenza Comunitaria si è espressa indicando che la sottrazione alla concorrenza di alcuni flussi in conseguenza delle politiche di assimilazione può essere giustificata dal desiderio di preservare l’equilibrio economico del servizio universale, compensando attività meno redditizie con attività più redditizie32.

32 Sentenza CGUE del 19 maggio 1993, caso C – 320/91, CORBEAU. Si veda anche lo studio Luiss per conto di Conai “La gestione dei rifiuti da imballaggio in Italia. Profili e criticità concorrenziali”, Roma 2017.

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CONCLUSIONI Ogni riflessione circa il perimetro dell’assimilazione non può prescindere da un inquadramento a tutto tondo della gestione dei rifiuti. Le scelte in materia di assimilazione sono uno degli ingredienti per perseguire gli obiettivi di riciclaggio previsti dal Pacchetto Economia Circolare. È infatti evidente che la gestione integrata del ciclo dei rifiuti in un quadro industriale consolidato e maturo rappresenta la condizione per incanalare i rifiuti all’interno di circuiti virtuosi. Buona governance e impianti adeguati a soddisfare il fabbisogno dei territori sono due condizioni che si sorreggono a vicenda, alimentando l’efficienza di sistema. Se da una parte, infatti, la dotazione impiantistica consente alle raccolte di trovare un facile e conveniente sbocco, dall’altro il buon “governo”, creando un mercato degli scarti, incentiva gli investimenti negli impianti. Ad oggi i Piani regionali e i regolamenti comunali emerge una incontrovertibile linea di tendenza che vede nei territori con distretti commerciali e produttivi di ampie dimensioni il prevalere di politiche di assimilazione estensive. La dotazione impiantistica e la consolidata esperienza di gestione di cicli integrati ha agevolato naturalmente politiche espansive di assimilazione, che sono spesso il modo per sostanziare economie di scala e di densità, garantendo migliori sistemi di tracciabilità e trasparenze delle filiere. Da questo punto di vista, l’assimilazione può essere un indice di gestioni industriali mature ed efficienti, sia nel recupero di materia ma soprattutto nel recupero di energia, dove l’esigenza di accogliere porzioni più ampie è ancora più marcata. Si tratta di una facoltà coerente con quanto affermato dal TUA laddove si ribadisce che i Piani regionali prevedono “il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi (…), nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti” (art. 199, comma 3, alinea g). Al contempo occorre riconoscere che le scelte in materia di assimilazione non possono prescindere da consolidati modelli di gestione, che hanno trovato spazio e forme concrete in determinati contesti, raggiungendo delicati equilibri gestionali. Territori che, per esempio, per tradizione hanno fatto maggiore affidamento sul mercato non si troverebbero oggi in condizione di ricondurre automaticamente quei flussi all’interno della privativa, né tanto meno si può affermare che questo debba essere un obbligo. Come coniugare queste diverse visioni? Una misura di contemperamento delle diverse istanze dei territori, in grado di coniugare garanzie per il controllo del territorio, la tutela dell’ambiente, il rispetto della trasparenza dei processi e in genere della legalità, con il contenimento dei costi in capo alle utenze non domestiche produttrici di rifiuti che possono trovare una collocazione di mercato, è quella di prevedere la possibilità di avvio a recupero diretto da parte del produttore, in cambio di un riduzione proporzionale della tariffa. Possibilità attualmente prevista in diverse aree del paese, che dovrebbe essere invece incentivata e estesa a tutto

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il territorio nazionale. E’ questa peraltro una facoltà espressamente prevista dal TUA che all’art. 238 indica che “alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi” (comma 10). Peraltro in un contesto di tariffa corrispettiva puntuale, il grado di assimilazione viene nei fatti deciso dagli utenti, chiamati a definire il quantitativo di rifiuti riciclabili conferiti al servizio pubblico o ceduti al mercato, contribuendo a risolvere il conflitto tra pagamento del tributo e servizio usufruito. Il produttore dovrebbe essere incentivato a valorizzare al meglio i propri rifiuti (carta/cartone, vetro, metalli, biomassa, eccetera), laddove questi ultimi hanno uno spazio di mercato (soprattutto nelle congiunture di mercato in cui rappresentano un valore), assicurando al contempo una contribuzione ai costi fissi. Condizione, quest’ultima, imprescindibile per finanziare la dotazione impiantistica necessaria ad assicurare il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti a costo (indifferenziato) per tutta la collettività, garantendo al contempo la possibilità di fare affidamento sul servizio universale nelle fasi di mercato avverso. Per il caso di una regione a tradizionale elevata assimilazione come l’Emilia-Romagna la quantità di raccolta differenziata avviate direttamente a recupero raggiunge il 10% del totale33. Considerate le possibili ricadute di scelte in favore di una deassimilazione più o meno spinta nei vari territori, una soluzione di prospettiva per l’emanando decreto sulla assimilazione potrebbe essere quella di demandare l’individuazione delle linee guida alle Regioni e di affidare agli Enti di Governo d’Ambito la declinazione sulle specificità del territorio. Alle Regioni compete infatti la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti (art. 196 del TUA): è questa dunque la sede nella quale le scelte sul grado desiderato o desiderabile di assimilazione devono coerenziarsi e orientare la pianificazione impiantistica regionale. Nei fatti la scelta circa il grado di assimilazione/deassimilazione rappresenta una delle possibili declinazioni del perimetro del rifiuto urbano, in particolare per la componente del secco residuo per la quale è esercitabile la privativa pubblica.

33 Regione Emilia-Romagna e ARPAE. La gestione dei rifiuti in Emilia-Romagna. Report 2017.

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