OTTOBRE 2020 rifiuti N°163
UNA TASSAZIONE AMBIENTALE POCO GREEN
Laboratorio SPL Collana Ambiente
Abstract La tassazione ambientale in Italia serve solo a fare cassa: solo l’1% delle risorse viene speso in protezione dell’ambiente. Un ripensamento della tassazione ambientale è necessario, a partire dall’ecotassa, ove il gettito va vincolato a sostenere gli impianti che non sono mai stati realizzati. Un disegno che aveva ispirato il legislatore sin dalla metà degli anni ’90. Sistematicamente disarticolato e disatteso dalle regioni. Environmental taxation in Italy is only used to make cash: only 1% of the resources are spent on environmental protection. A rethinking of environmental taxation is necessary, starting from the landfill tax, where the revenue needs to be bound to support the plants which have never been built. A design which had inspired the legislator since the mid-90s. Systematically disrupted and disregarded by the regions.
Gruppo di lavoro: Andrea Ballabio, Donato Berardi, Nicolò Valle
REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20123 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Utilitalia-Utilitatis, SMAT, IREN, Siram, Acquedotto Pugliese, HERA, Metropolitana Milanese, CSEA, Cassa Depositi e Prestiti, Viveracqua, Romagna Acque, Water Alliance, CIIP, Abbanoa, CAFC, GAIA, FCC Aqualia Italia, Veritas, A2A Ambiente, Confservizi Lombardia, FISE Assoambiente, A2A Ciclo Idrico, AIMAG, DECO, Acque Bresciane, Coripet, Acqua Pubblica Sabina
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Gli ultimi contributi n. 162 - Acqua - Riduzione dei tempi delle opere idriche: quali orientamenti?, ottobre 2020 n. 161 - Rifiuti - La tracciabilità dei rifiuti: un nuovo paradigma di efficienza e legalità, ottobre 2020 n. 160 - Acqua - L'acqua. Conoscerne il costo e il valore per un consumo consapevole, settembre 2020 n. 159 - Rifiuti - Quale mercato? Il caso del rifiuto organico, settembre 2020 n. 158 - Acqua - Riuso delle acque depurate in agricoltura: una scelta indifferibile, settembre 2020 n. 157 - Rifiuti - EPR imballaggi: la "copertura" dei costi, agosto 2020 n. 156 - Acqua - Il servizio idrico nel post Covid-19, luglio 2020 n. 155 - Acqua - Microplastiche, microinquinanti e responsabilità estesa del produttore, luglio 2020 n. 154 - Rifiuti - Economia circolare: cosa cambia nella gestione dei rifiuti?, giugno 2020 n. 153 - Acqua - Sostenibilità e aziende critiche: un ritardo da colmare, giugno 2020
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La missione Il Laboratorio Servizi Pubblici Locali è una iniziativa di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese.
ISSN 2531-3215 Donato Berardi Direttore dberardi@refricerche.it
Editore: REF Ricerche srl Via Saffi 12 - 20123 Milano tel. 0287078150 www.laboratorioref.it
laboratorio@refricerche.it @LaboratorioSPL Laboratorio REF Ricerche
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OTTOBRE 2020 Una tassazione ambientale poco green
PREMESSA Le imposte ambientali nascono come strumento pensato per correggere le esternalità negative1 , cagionate dall’attività di un soggetto sul benessere altrui o della collettività, senza il pagamento di un prezzo o un indennizzo per il danno arrecato. Rientrano in questa casistica gli impatti sull’ambiente riconducibili alle attività produttive. L’inquinamento, ad esempio, può essere visto come l’esito di un’adeguata valorizzazione delle conseguenze ambientali nel processo produttivo. L’idea sottesa all’impiego di imposte ambientali, la cui base imponibile è costituita da una grandezza fisica che ha un impatto negativo provato e specifico sull’ambiente, è quella di correggere questi comportamenti dannosi veicolando opportuni segnali di prezzo. Le imposte ambientali sono alternative a obblighi o divieti, ma mirano comunque a guidare in maniera virtuosa le scelte dei cittadini, fornendo gli opportuni incentivi/disincentivi affinché il mercato interiorizzi l’impatto ambientale, ristorando il danno ambientale arrecato. La modulazione dell’imposta ambientale riflette, dunque, l’importanza che la collettività attribuisce alla correzione di un certo comportamento nel corso del tempo e in funzione del contesto sociale. Così, lo smaltimento dei rifiuti, bruciati o sotterrati fuori dalle città, ha rappresentato una modalità accettabile di chiusura del ciclo dei rifiuti per lunga parte della storia della civiltà umana, divenendo meno preferibile, e financo deprecabile, man mano che la quantità e la qualità dei rifiuti hanno reso evidenti gli impatti ambientali. Progressivamente, prevenzione e recupero si sono affermati come alternative preferibili, sia dal punto di vista ambientale sia economico. La tassazione ambientale è una delle leve di policy disponibili dotata di maggiore efficacia, da coordinare ed adeguare nel rinnovato contesto di lotta al cambiamento climatico postulata dal Green Deal2 . L’effetto desiderato è tanto maggiore quanto più le risorse reperite vengono utilizzate per mitigare i costi della transizione, ovvero trasformate in incentivi economici a sostegno delle alternative. In Italia, ad oggi, appena l’1% del gettito delle tasse ambientali è destinato alla protezione dell’ambiente. Ciò fa sì che le imposte ambientali rappresentino al momento una modalità per fare cassa, senza incidere sul ristoro dei danni ambientali. La recente esperienza della cosiddetta Plastic Tax 3 italiana conferma questo orientamento: rivela la mancanza di un disegno della tassazione chiaro, dal comportamento che si intende correggere, alla valutazione dei costi della transizione e alla mancanza di un sostegno ai “protagonisti” della transizione, con la conseguenza di penalizzare uno dei settori di punta dell’industria nazionale, con benefici ambientali incerti e un danno economico apprezzabile. Ancora una volta si è scelto di derubricare l’imposta ambientale a mero strumento per fare cassa. Partendo da una disanima generale circa lo stato dell’arte delle imposte ambientali in Italia, il presente Contributo intende approfondire quelle connesse alla gestione del ciclo dei rifiuti. In particolare, il focus verrà posto sull’ecotassa, analizzandone le principali criticità e offrendo indicazioni su come rendere lo strumento coerente con le logiche che ne hanno informato l’adozione. 1 2 3
La loro ideazione risale al pensiero e agli studi dell’economista inglese Arthur Cecil Pigou (1877-1959) e per questo sono anche dette imposte pigouviane. Si rimanda, per maggiori dettagli sul tema, al Contributo n.141 “Green Deal. Cose da fare nell’acqua e nei rifiuti” del Laboratorio REF Ricerche, gennaio 2020. Ai sensi della Legge n.160 del 29 dicembre 2019. Prevista entrare in vigore dal 1° gennaio 2021, e fissata a 0,45 euro/kg.
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LE IMPOSTE AMBIENTALI IN ITALIA Lo stato dell’arte Le imposte ambientali valgono 58 miliardi, l’80% relativo all’energia
Nel 2018, le imposte ambientali in Italia hanno garantito un gettito complessivo di 57,8 miliardi di euro, ripartito come segue: 46,3 miliardi di euro ascrivibili all’energia (80%), 10,9 miliardi derivanti dalla tassazione sui trasporti (19%) e i rimanenti 0,6 miliardi da imposte ambientali sull’inquinamento (1%). Dal raffronto con gli altri Stati europei, si nota come la componente energia in Italia (80%) risulta ancora più preponderante rispetto alla media UE (78%)4 . Di converso, sono le imposte ambientali sull’inquinamento ad essere ancora più marginali nel caso italiano, con un’incidenza relativa di circa 2 volte inferiore. Se ne desume che sino ad oggi in Italia la tassazione ambientale si è concentrata prevalentemente sulla correzione delle esternalità ambientali che originano dalla produzione e dal consumo di energia.
Tra le imposte ambientali, il 90% del gettito è riconducibile alle seguenti imposte: • L’imposta sugli oli minerali e derivati, inclusiva anche dell’imposta sui consumi di carbone, pari a 25,9 miliardi di euro (45% del totale). • L’imposta sull’energia elettrica e gli oneri di sistema delle fonti rinnovabili, per 14,2 miliardi di euro (25% del tutto). • Le tasse automobilistiche a carico delle famiglie corrispondenti a 5,3 miliardi di euro (9% dell’insieme). • L’imposta sul gas metano, con un gettito di poco inferiore ai 4 miliardi di euro (7% sul totale). • L’imposta sulle assicurazioni RC Auto, che eccede i 2,2 miliardi di euro (4%). 4
Dati EUROSTAT (2020), riferiti all’anno 2018.
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La Tassazione Ambientale e la Protezione dell’Ambiente Ai sensi del nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali - SEC 2010 - come definito dal Regolamento UE n.549/2013, le statistiche sulle imposte ambientali vengono diffuse in modo aggregato con riferimento a tre ambiti: energia, trasporti e, infine, inquinamento e uso delle risorse. Per quanto concerne l’energia, queste comprendono tutte le imposte sui prodotti energetici, siano essi utilizzati per finalità di trasporto (benzina e gasolio) ovvero per usi stazionari (soprattutto oli combustibili, gas naturale, carbone ed elettricità). Nel novero, sono incluse anche le imposte sulle emissioni di anidride carbonica (CO2 ), che vanno spesso a sostituire altre imposte sull’energia. Circa le imposte sui trasporti, si tratta di quelle legate principalmente alla proprietà e all’utilizzo dei veicoli automobilistici, come esemplificato anche dallo spaccato sulle imposte ambientali italiane più rilevanti. In aggiunta, rilevano quelle imposte relative ad altri mezzi di trasporto, come gli aerei o le imbarcazioni. Le imposte sull’inquinamento ricomprendono le imposte sulle emissioni atmosferiche o sui reflui, quelle sulla gestione dei rifiuti e sull’inquinamento acustico. Come detto, sono escluse le imposte sulle emissioni di anidride carbonica che vengono conteggiate nella categoria delle imposte sull’energia. La gestione dei rifiuti appartiene alla categoria in quanto le esternalità negative dei comportamenti sbagliati di produzione e consumo in tema di rifiuti sono piuttosto evidenti. Basti pensare all’impatto del conferimento in discarica dei rifiuti, in termini di danno ambientale e di mancata valorizzazione degli stessi.
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Le imposte ambientali dovrebbero essere una leva di politica economica utilizzata per correggere i comportamenti dei cittadini-utenti e dei produttori e guidarli al pieno rispetto della gerarchia dei rifiuti. Per quanto afferisce alle imposte sulle risorse, queste includono gli strumenti che gravano sul prelievo di risorse naturali, con l’eccezione dell’estrazione di petrolio e gas. In riferimento a tale categoria non risulta alcuna applicazione in Italia. In ossequio alla loro impostazione, le imposte ambientali vedono nelle spese per la protezione dell’ambiente un punto naturale di ricaduta. In uno scenario ideale, l’ammontare di risorse incassate dalla tassazione ambientale dovrebbe poi essere investito per proteggere l’ambiente. La protezione dell’ambiente comprende tutte le attività e le azioni il cui obiettivo principale è la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale. Nello specifico, si hanno tutte le attività comprese nella classificazione internazionale CEPA (Classificazione delle Attività e delle Spese per la Protezione dell’Ambiente): 1. Protezione dell’aria e del clima. 2. Gestione delle acque reflue. 3. Gestione dei rifiuti. 4. Protezione del suolo e delle acque del sottosuolo. 5. Abbattimento del rumore e delle vibrazioni. 6. Protezione della biodiversità e del paesaggio. 7. Protezione dalle radiazioni. 8. Ricerca e sviluppo per la protezione dell’ambiente. 9. Altre attività di protezione dell’ambiente. La tassazione ambientale in Italia è superiore alla media UE
Complessivamente, la tassazione ambientale in Italia non è bassa. Anzi, come mostra il grafico sottostante, l’incidenza sul totale di imposte e contributi sociali, pari al 7,8%, è superiore alla media UE (6,0%) e a quelle delle maggiori economie europee, come Regno Unito (7,0%), Spagna (5,3%), Francia (5,1%) e Germania (4,5%).
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La rilevanza della tassazione ambientale in Italia si conferma osservando la sua incidenza sul PIL. Il dato italiano, che vede un’incidenza del 3,3% sul PIL, si attesta su valori superiori alla media UE (2,0%) e ai principali Paesi europei, come Francia (2,4%), Regno Unito (2,3%), Spagna e Germania (1,8%). Appurato il peso relativo del gettito delle imposte ambientali in Italia, sia sul totale tassato (definito dalla somma di tasse e contributi sociali) sia sul PIL, un elemento da analizzare è la destinazione di tale gettito, così da trarne una valutazione circa l’efficacia o meno dello strumento. Al riguardo, fondamentale è la seguente categorizzazione. Appena l’1% delle imposte ambientali è destinato a spese per la protezione dell’ambiente
Quando il gettito viene impiegato per finanziare spese per la protezione ambientale, si parla di imposte specifiche o “di scopo”. Viceversa, quando il gettito non ha un vincolo di destinazione, le imposte sono classificate genericamente come altre imposte ambientali. In tal senso, il dato italiano è piuttosto peculiare. Come si può osservare dal grafico sottostante, infatti, solamente l’1% delle imposte ambientali in Italia è catalogabile come imposta di scopo. A fronte di appena 561 milioni di euro destinati alla copertura di spese per la protezione dell’ambiente, ben 57.214 milioni di euro sono destinati al finanziamento di altre spese. La dimensione trascurabile delle imposte ambientali per le quali esiste un vincolo di destinazione dei relativi proventi sembra suggerire l’esistenza di un ampio margine di manovra da cui attingere per finanziare la transizione ecologica nel nostro Paese, come delineato dal Green Deal europeo, anche in virtù della ritrovata sensibilità ambientale dei cittadini.
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Sarebbe auspicabile un maggior vincolo di destinazione...
I numeri, del resto, lasciano poco adito a dubbi. A saldi invariati di tassazione complessiva, se si potesse assicurare a finalità di scopo anche solamente il 5% del totale (un valore comunque di circa 5 volte di più rispetto all’attuale), le imposte ambientali potrebbero garantire ben 2,9 miliardi di euro per il miglioramento o la mitigazione dell’impatto ambientale, ad esempio sostenendo gli investimenti in direzioni alternative coerenti. Un ammontare equivalente a quanto stanziato complessivamente per iniziative a favore dell’ambiente, grazie alla tassazione ambientale, nel quinquennio 2014-2018, e di circa 2,3 miliardi di euro superiore agli attuali 561 milioni5 . Non occorre, pertanto, aumentare le tasse per accrescere la spesa ambientale. Basta vincolare le risorse già disponibili. Sembrerebbe, dunque, auspicabile invertire la rotta, cercando di accrescere la specificità della tassazione ambientale. Si eviterebbe, così facendo, che le imposte ambientali rappresentino unicamente una fonte di prelievo fiscale analoga alle altre, perdendo la loro natura di imposte destinate alla correzione delle esternalità ambientali. È, infatti, solo guardando agli esiti dell’imposizione sui comportamenti che se ne può desumere qualcosa riguardo alla congruità o meno. Una tassazione ambientale sganciata dalla misurazione delle ricadute ambientali e dei benefici in termini di loro mitigazione, oltre che di impiego del relativo gettito a sostegno dei comportamenti più costosi e sostenibili, equivale ad una operazione di prelievo mascherato.
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Fonte: Conti Ambientali ISTAT.
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La componente “rifiuti” delle imposte ambientali Le imposte ambientali da rifiuti valgono 603 milioni
Come ribadito in precedenza, nell’ambito dei Conti Ambientali ogni forma di tassazione sul ciclo dei rifiuti è annoverata tra le imposte ambientali sull’inquinamento. Il gettito complessivo per il 2018, riportato anche nel grafico successivo, è articolato come segue: 1. 342 milioni di euro del tributo provinciale per la tutela ambientale. 2. 101 milioni di euro della tassa sullo smaltimento in discarica (ecotassa). 3. 160 milioni di euro da tassazione assimilabile all’ecotassa. 4. 8 milioni di euro della tassa sulle emissioni di anidride solforosa e sugli ossidi di azoto. 5. 8 milioni di euro dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. Insistono sulla gestione del ciclo dei rifiuti le prime tre voci, per un gettito complessivo di 603 milioni di euro nel 2018. Con un’incidenza del 97%, la tassazione sui rifiuti esaurisce pressoché la totalità delle imposte ambientali sull’inquinamento in Italia. Pertanto, non è sbagliato affermare che la tassazione sull’inquinamento in Italia è equivalente alla tassazione sui rifiuti.
Per quanto concerne l’andamento temporale, le imposte ambientali da rifiuti sono cresciute del 19% negli ultimi dieci anni, passando dai 508 milioni di euro attualizzati del 2009 ai 603 del 2018. La crescita, particolarmente accentuata negli ultimi cinque anni, è ben visibile nel grafico allegato.
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IL TRIBUTO SPECIALE PER IL CONFERIMENTO IN DISCARICA DEI RIFIUTI (ECOTASSA) Genesi e obiettivi Ecotassa: un tributo ”circolare”
Voluto dal legislatore con la Legge n.549 del 28 dicembre 1995, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti, noto anche come “tributo speciale discarica” o, più semplicemente, “ecotassa”, viene introdotto dal 1° gennaio 1996 al fine di scoraggiare la produzione di rifiuti e favorire il recupero di materia ed energia. L’ecotassa avrebbe dovuto affrancare il ciclo dei rifiuti dal ricorso alla discarica, riducendo contemporaneamente la produzione dei rifiuti e finanziando alternative impiantistiche preferibili da un punto di vista ambientale. Una impostazione moderna e allineata con i più recenti dettami dell’Economia Circolare che, tuttavia, non si è poi tradotta in un’efficace modulazione del tributo stesso. Nella sua formulazione originale, al netto di un 10% del prelievo destinato al finanziamento dell’attività delle Province, la legge postulava l’impegno a impiegare il 20% del gettito rimanente al finanziamento delle iniziative di riduzione della produzione di rifiuti e per l’avvio di impianti preferibili alla discarica da un punto di vista degli impatti ambientali, dunque orientati al recupero di materia e di energia. Rendere, pertanto, la discarica meno conveniente, da un lato, e sostenere alternative impiantistiche, dall’altro. Una logica, quella dell’ecotassa, che offre al policy maker una leva economica addizionale per allineare gli incentivi economici alla gerarchia dei rifiuti e per perseguire gli obiettivi di riciclaggio. Uno strumento antesignano nei suoi presupposti, che diventa prezioso alla luce dei recenti obiettivi di minimizzazione del conferimento in discarica codificati nelle Direttive UE del c.d. Pacchetto Economia Circolare6 . 6
Allegato IV Bis della Direttiva UE 851/2018.
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Coerentemente con la natura stessa del tributo, una sua migliore “calibrazione” permetterebbe di traguardare almeno un paio di questi obiettivi. In particolare, l’adozione di tasse e restrizioni, per il collocamento in discarica, che incentivino la prevenzione e il riciclaggio rendendo la discarica l’opzione di gestione dei rifiuti meno preferibile, da una parte, e sostenere la pianificazione degli investimenti nelle infrastrutture per la gestione dei rifiuti, dall’altra.
Presupposto impositivo, aliquote ed evoluzione nel tempo Il presupposto impositivo del tributo è il deposito in discarica dei rifiuti, ivi inclusi i fanghi palabili. Il soggetto passivo tenuto al pagamento è il gestore dell’impresa di smaltimento, obbligato a rivalersi nei confronti di chi effettua il conferimento all’impianto, laddove la base imponibile è identificata dalla quantità di rifiuti conferiti7 , corretta in base al peso specifico, alla qualità e alle condizioni di conferimento dei rifiuti. Il tributo è dovuto alle Regioni, alle quali viene demandata la determinazione degli importi applicabili, definiti mediante legge regionale entro il 31 luglio di ciascun anno a valere per l’anno successivo. Attualmente, il tetto massimo consentito dalla normativa statale è pari a 25,82 euro/tonnellata, a fronte di un valore minimo di 5,17 euro/tonnellata8 . Sin dalla sua prima adozione l’ecotassa ha sempre previsto come tetto massimo il valore di 50mila lire a tonnellata, poi divenute 25,82 euro con l’avvento della moneta unica.
Dal 1996, l’ecotassa ha perso 1/3 del suo valore reale
Come mostra efficacemente il grafico allegato nei 25 anni trascorsi dalla sua prima introduzione, il tributo per il conferimento in discarica ha perso circa 1/3 del suo valore reale, eroso dall’inflazione, in chiara controtendenza rispetto all’importanza che questo segnale di prezzo avrebbe dovuto acquisire, in coerenza con il ruolo di modalità meno preferibile e residuale che tale modalità riveste nell’ambito della gerarchia dei rifiuti, codificata nelle Direttive europee9 e recepita nell’ordinamento nazionale nel Testo Unico dell’Ambiente da oltre un decennio.
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Sulla base delle annotazioni nei registri tenuti in attuazione degli Artt.11 e 19 del Decreto n.915 del Presidente della Repubblica del 10 settembre 1982. Ai sensi dell’Art.26 della Legge n.62 del 18 aprile 2005. Art.4 della Direttiva CE 98/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008.
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L’andamento del gettito del tributo Per quanto concerne l’andamento temporale del gettito, il trend dell’ecotassa è sostanzialmente decrescente per tutto il periodo, come si può osservare dal grafico sottostante.
Il decremento del gettito è consistente
In termini attualizzati, il gettito del tributo speciale passa, infatti, dai 470 milioni di euro del 1996, ai 101 milioni del 2018, facendo segnare un decremento complessivo del 79%10 . L’andamento calante del gettito è una riprova dell’inefficacia dello strumento nel disincentivare il conferimento in discarica, a fronte di quote di smaltimento sul totale dei rifiuti prodotti ancora elevate e, nel caso dei rifiuti urbani (22%), assai distanti dall’obiettivo di conferimento indicato dalle Direttive UE al 10% nel 2035. La riduzione delle quantità non è stata progressivamente accompagnata dal robusto aumento del tributo da parte delle Regioni, che avrebbe potuto e forse dovuto veicolare un segnale di prezzo coerente. Basti pensare che, con riferimento al 2018, il ricorso alla discarica per i rifiuti urbani è inferiore o uguale all’1% per Svezia, Finlandia, Germania e Belgio, superiore all’1% per Danimarca e Paesi Bassi, di poco superiore al 2% per l’Austria e pari al 3,2% per la Norvegia. Come si può osservare dal grafico che segue, la quota di rifiuto urbano smaltita in discarica sfiora il 10% per la Slovenia, laddove nel Regno Unito raggiunge il 15% e in Francia il 21%.
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Un approfondimento è doveroso per il dato 2015. Questo è stato calcolato come valore medio tra quelli del 2014 e del 2016, in quanto il numero originario pari a 249 milioni risulta anomalo. La distorsione è ascrivibile a quanto comunicato dalla Regione Calabria, che accerta un tributo speciale discarica pari a 141 milioni di euro. Tale cifra è con ogni probabilità imputabile ad un errore di contabilizzazione che fa sì che - unitamente al tributo speciale discarica - venga associata della tassazione assimilabile all’ecotassa, rendendo così il valore di quest’ultima decisamente elevato. Segnatamente, si tratta delle “Tariffe versate, da parte dei soggetti tenuti al pagamento, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani relativo al conferimento in impianto e a quello in discarica”, ai sensi dell’Art.1, comma 3, della Legge regionale n.2 del 13 gennaio 2015 e dell’Art.6 della Legge regionale n.12 del 27 aprile 2015.
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Meno virtuose dell’Italia, che si colloca poco al di sotto della Media UE (22,6%), quanto meno tra i principali Paesi europei, risultano essere Polonia (41,6%), Portogallo (48,6%) e Spagna (51%).
Sono ancora troppi i rifiuti conferiti in discarica
Come detto, dunque, ad oggi risultano ancora eccessive le quantità conferite in discarica. L’ecotassa è, infatti, applicata a circa 6,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e da trattamento di urbani11 e a 13,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, relativi alle operazioni D1 “Deposito sul o nel suolo (ad esempio discarica)” e D10 “Incenerimento a terra”12 . Appare evidente come il mancato innalzamento del tetto massimo non ha giocato a pieno la sua missione di correzione dell’esternalità ambientale, lasciando che la discarica continuasse ad assolvere al ruolo di soluzione impiantistica di riferimento e imprescindibile in molte aree del Paese. Al contempo, da più parti si lamenta la mancanza di investimenti sufficienti ad assicurare lo sviluppo di impiantistica finalizzata al recupero e al riciclaggio. Da questo punto di vista, l’utilizzo di strumenti economici per disincentivare la discarica è ribadito anche nel recente Piano d’Azione per l’Economia Circolare13 , adottato dalla Commissione Europea nel marzo 2020, che riporta tra gli obiettivi della strategia comunitaria l’incentivo all’”applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati, come la tassazione ambientale che include imposte per il conferimento in discarica e l’incenerimento”. Ad oggi infatti, occorre ribadirlo, la discarica non solo è una tecnologia imprescindibile per alcune aree del Paese sprovviste di ogni alternativa impiantistica, ma rimane parimenti anche la soluzione impiantistica economicamente più vantaggiosa, con questo consolidando un equilibrio vizioso fatto di impatti ambientali e un sistema di gestione lineare che distrugge valore.
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Rapporto Rifiuti Urbani (2019), ISPRA, dati 2018. Rapporto Rifiuti Speciali (2020), ISPRA, dati 2018. ”Circular Economy Action Plan, for a cleaner and more competitive Europe”, marzo 2020.
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Modulazione del tributo e sua destinazione L’ecotassa dovuta è differenziata per tipologia di rifiuto, con un ampio margine discrezionale in capo alle Regioni - non solo in termini di importo unitario, ma anche di casistiche contemplate e di formulazioni normative - consentito dalla Legge statale. La categorizzazione tipica ruota attorno alle seguenti categorie: 1. Rifiuti urbani e da trattamento degli urbani. 2. Rifiuti inerti. 3. Rifiuti speciali non pericolosi. 4. Rifiuti speciali pericolosi. In alcune regioni, sono poi previsti meccanismi premianti/penalizzanti in funzione del livello raggiunto di raccolta differenziata (Abruzzo, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto) e della quantità di rifiuto secco pro capite prodotta (Lombardia, Provincia Autonoma di Bolzano)a . Una modalità incentivante prevede una riduzione del tributo a partire dal 30%, salendo di decina in decina fino al 70%, a seconda che il livello di raccolta differenziata sia superiore a quello della normativa statale fino al 10%, del 10%, del 15%, del 20% o del 25%b . A queste, si aggiunga che l’ecotassa è dovuta nella misura del 20% della tariffa ordinaria per i rifiuti smaltiti tal quali in impianti di incenerimento senza recupero di energia, o comunque classificati esclusivamente come impianti di smaltimento mediante l’operazione D10 “Incenerimento a terra”, per gli scarti ed i sovvalli di impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio e per i fanghi anche palabili. Tale modulazione è catalogabile come Sussidio Ambientalmente Dannoso (SAD), poiché si tratta di un’agevolazione dannosa che incentiverebbe lo smaltimento di rifiuti tal quali in impianti di incenerimento senza recupero di energia con risvolti negativi sull’ambiente, sebbene in Italia non risultano esistere impianti di incenerimento senza recupero di energia, almeno per quanto afferisce ai rifiuti urbani. Tuttavia, occorre precisare che nella categoria delle operazioni di trattamento-smaltimento di cui al codice D10 ricadono anche impianti che pur non essendo autorizzati come R1, classificazione che in Italia è tipicamente riferita agli impianti di trattamento degli urbani, oltre ad assolvere a funzioni ambientali, assicurano comunque il recupero energetico: caratteristiche che li rendono preferibili allo smaltimento in discarica. L’ecotassa dunque, se prevista, andrebbe graduata in funzione delle prestazioni degli impianti piuttosto che alla mera classificazione tra attività di recupero e smaltimento. Per quanto concerne la destinazione del gettito, una parte viene assegnata ai Comuni, ove sono ubicati gli impianti di incenerimento senza recupero energetico o le discariche, e ai Comuni limitrofi, per realizzare interventi di miglioramento ambientale del territorio interessato, di tutela igienico-sanitaria dei residenti, di sviluppo di sistemi di controllo e monitoraggio ambientale e di gestione integrata dei rifiuti urbanic .
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L’assegnazione della quota ai Comuni avviene seguendo criteri generali come le caratteristiche sociali, economiche ed ambientali dei territori interessati, la superficie comunale, la popolazione residente nell’area interessata e il sistema di viabilità asservita. La restante quota del gettito affluisce in un apposito fondo regionale deputato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia. Destinatari in via prioritaria delle risorse sono dunque quei soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, così come la bonifica di suoli inquinati (comprese le zone industriali dismesse), il recupero delle aree degradate, il supporto alle attività delle ARPA e la manutenzione delle aree naturali protette. All’impiego delle risorse disposto dalla Regione, fa eccezione ciò che deriva dalla tassazione dei fanghi di risulta, dal momento che questa parte del gettito viene destinata inderogabilmente ad investimenti di tipo ambientale riferibili ai rifiuti del settore produttivo soggetto al predetto tributod . a b c d
Dossier “Rifiuti zero, impianti mille” di Legambiente, 2019. D.Lgs. 152/2006, Art.205, comma 3-bis. In ottemperanza della Legge n.205 del 27 dicembre 2017. Nel caso dell’Emilia-Romagna, a questo si aggiunge l’istituzione di un fondo d’ambito presso l’ATERSIR, finanziato anche con il gettito dell’ecotassa. Tale fondo va a premiare i Comuni più virtuosi, ossia quelli che riducono il secco residuo conferito in discarica, e a incentivare le Amministrazioni a mettere in campo tutte le azioni necessarie per minimizzare l’avvio a smaltimento del rifiuto indifferenziato.
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Le differenze territoriali e la distanza dalle migliori esperienze europee L’ecotassa è un tributo che presenta una forte differenziazione tra territori. I 101 milioni di euro si ripartiscono su base regionale, come riportato nel grafico che segue. La Puglia è la regione dove il gettito del tributo è più elevato, pari a 21,9 milioni di euro. Seguono la Lombardia, dove l’ecotassa si attesta a 14,4 milioni di euro, e la Toscana, dove il tributo speciale discarica ammonta a 10 milioni. In coda, si hanno Trentino-Alto Adige (0,5 milioni di euro), Valle d’Aosta (0,4 milioni) e Molise (0,2 milioni).
Le aliquote medie sono differenziate, ma ancora troppo basse
Incrociando il gettito e i volumi conferiti è possibile desumere una aliquota media, espressa in euro/tonnellata14 , i cui valori sono descritti dal grafico allegato. Occupano le prime posizioni, Calabria (11,4 euro/tonnellata), Puglia (11,1 euro/tonnellata) e Liguria (9,6 euro/tonnellata). I valori più bassi sono quelli di Friuli-Venezia Giulia (1,8 euro/tonnellata), Lazio (1,3 euro/tonnellata) e Molise (1,1 euro/tonnellata)15 . Il tutto, alla luce di una Media Italia pari a 5,2 euro/tonnellata.
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Il dato è stato ricostruito tenendo conto delle tonnellate di rifiuto urbano e di rifiuto urbano da trattamento smaltiti in discarica e dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi gestiti con le operazioni D1 e D10. Ai fini dell’analisi regionale, occorre ricordare che le quantità di rifiuti smaltite in regione sono strettamente legate ai corrispettivi medi. Pertanto, non deve stupire che il Molise, che presenta l’aliquota più bassa dell’ecotassa, presenta un tasso di smaltimento in discarica dei rifiuti urbani pari al 102%. Un vero e proprio dumping impiantistico a discapito dei territori confinanti.
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Benché differenti tra di loro, le aliquote del tributo per lo smaltimento in discarica risultano ancora troppo basse, non rappresentando un reale disincentivo allo smaltimento, che dovrebbe essere l’intento coerente con l’istituzione stessa del tributo. Il tetto massimo (25,82 €/Ton.) è ben lontano...
Da un lato, nonostante si registri una crescita generalizzata negli ultimi anni, le aliquote del tributo sono ancora ben lontane dal tetto massimo di 25,82 euro/tonnellata, dovuto solo per alcune tipologie di rifiuto in talune regioni, come si può ben vedere dalla tabella allegata. Dall’altro lato, le molteplici modulazioni in essere riducono sensibilmente il corrispettivo da versare associato ai diversi flussi di rifiuto, facendo sì che l’aliquota massima sia un valore puramente teorico.
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A guidare la riduzione del conferimento in discarica, quanto meno per i rifiuti urbani che vedono ridursi le tonnellate ivi smaltite dai 18,6 milioni del 2004 ai 6,5 del 2018, è stata più che altro la progressiva diffusione della raccolta differenziata, dunque un effetto di quantità più che di prezzo, come visibile dal grafico allegato. Benché gli obiettivi di raccolta differenziata, da ultimo il 65% da raggiungere entro il 2012, non siano stati centrati appieno, essi hanno comunque fornito un’indicazione più consistente del segnale di prezzo mal veicolato dall’ecotassa.
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L’ecotassa italiana è tra le più basse in Europa
Dal raffronto con i principali Paesi europei, si ha una ulteriore conferma dell’inefficacia dell’ecotassa rispetto agli obiettivi per cui è stata istituita. Osservando i limiti massimi di legge del tributo speciale sullo smaltimento in discarica, l’Italia si trova nelle ultime posizioni nel panorama europeo. Con riferimento all’anno 2017, come si può leggere nel grafico successivo, i corrispettivi a tonnellata più elevati sono quelli di Regno Unito (98,2 euro/tonnellata)16 , Austria (87,0 euro/tonnellata) e Belgio (84,5 euro/tonnellata)17 . In coda si hanno Paesi Bassi (13,1 euro/tonnellata), dove comunque la discarica ha un ruolo residuale, la Slovenia (11,0 euro/tonnellata) e il Portogallo (7,7 euro/tonnellata). La situazione italiana, che vede l’ecotassa oscillare tra i 5,17 e i 25,82 euro/tonnellata, è peggiore sia rispetto a quella spagnola, dove il tributo speciale si colloca in un intervallo di variazione più elevato (7,00-41,19 euro/tonnellata), sia nei confronti della Francia, Stato in cui il valore di riferimento ammonta a 32 euro/tonnellata ma che prevede corrispettivi anche di 40 euro/tonnellata. L’assenza della Germania, come quella di altri Paesi, non deve stupire dal momento che in questi Paesi vige un divieto di conferimento in discarica, eccezion fatta per alcune tipologie di rifiuto18 . In molti Stati, in particolare quelli dove i valori dell’ecotassa sono più bassi, un percorso di aumento del tributo è stato comunque avviato negli anni recenti. La Lettonia, ad esempio, il Paese con l’ecotassa più vicina in valore a quella italiana, ha previsto di elevare l’aliquota media del tributo a 35 euro/tonnellata nel 2018, a 43 euro/tonnellata nel 2019 e a 50 euro/tonnellata nel 2020.
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Il dato britannico risente inevitabilmente del tasso di cambio. Nello specifico, dalle 86,1 sterline di partenza si è arrivati alla cifra di 98,2 euro, applicando il tasso di cambio medio pari a 1,14 euro per sterlina, registrato nel 2017, al fine di fornire valori comparabili tra tutti gli Stati. Il dato belga è una media tra i valori registrati in Vallonia e nelle Fiandre, dove talune tipologie di rifiuto sono vessate da una tassa di smaltimento che eccede i 100 euro/tonnellata, laddove nella regione di Bruxelles non risultano essere attive discariche. La piena implementazione del divieto in Germania risale al 2005. Fonte: Confederation of European Waste-to-Energy Plants (CEWEP), 2017.
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Al contempo, anche il Regno Unito stesso, il Paese in cui l’ecotassa è più elevata, ha ormai consolidato la prassi di innalzare progressivamente ogni anno le aliquote. Il corrispettivo dovuto è passato da 84,4 sterline/tonnellata nel 2016 a 94,15 sterline/tonnellata nel 2020. Una logica di aumenti graduali nel tempo che può essere assorbita e interiorizzata dal mercato senza scossoni, in un’ottica di progressivo aggiustamento: una prospettiva che appare coerente e auspicabile anche per il caso italiano.
Perché occorre aumentare il valore dell’ecotassa La gestione dell’ecotassa necessita di una decisa inversione di rotta. Innanzitutto, da un punto di vista ambientale, poiché le emissioni di metano delle discariche rappresentano il 75% delle emissioni, in anidride carbonica equivalente, di gas climalteranti emessi in Italia nel 2018 dal settore dei rifiuti19 . Una “bomba ecologica” da disinnescare rendendo più virtuoso e sostenibile il ciclo di gestione. Incrementare l’ecotassa per ”prezzare” l’esternalità ambientale...
Due sono gli obiettivi che la legislazione comunitaria prescrive e che riguardano più da vicino lo strumento dell’ecotassa, in quanto già previsti dalla genesi del tributo stesso: per poter traguardare compiutamente l’intento di rendere la discarica l’opzione gestionale meno preferibile, anche perché più costosa economicamente oltre che meno green, e poter programmare in maniera solida gli investimenti pubblici nei rifiuti, garantendo un afflusso costante e vincolante di risorse come finanziamento, il passo da compiere è quello di incrementare progressivamente l’ecotassa.
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“Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2018. National Inventory Report”, ISPRA, 2020.
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...e sostenere gli investimenti impiantistici per riciclo e recupero
L’incremento che deve portare, da un lato, a contenere il ricorso alla discarica veicolando un prezzo che rifletta efficacemente l’esternalità ambientale, e, dall’altro, a sostenere gli investimenti per gli impianti di riciclo e di recupero, potendo contare su finanziamenti certi aggiuntivi, appare essere una leva di policy più che mai appropriata.
Ciclo dei rifiuti: investimenti pubblici ridotti al lumicino Gli investimenti pubblici nel ciclo dei rifiuti sono crollati negli ultimi 10 anni, passando dai 469 milioni di euro attualizzati del 2009, ai 131 milioni del 2018. Un decremento del 72% in appena un decennio. Un sostegno, quello agli investimenti pubblici, non più derogabile nel rinnovato contesto europeo del Green Deal che intende sviluppare l’economia europea in una prospettiva circolarea . Il ruolo ridotto e residuale della componente pubblica sugli investimenti nel ciclo dei rifiuti, pur in un settore a forte carattere di universalità, rappresenta di per sé un punto di criticità: circa il 12% su un totale di oltre 1,1 miliardi di euro nel 2017b .
Anche la distanza dai principali Paesi europei è ragguardevole, a testimoniare la peculiarità del caso italiano.
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Occorre intervenire a livello legislativo e regolatorio
Si rimanda, per maggiori dettagli sul tema, al Contributo n.141 “Green Deal. Cose da fare nell’acqua e nei rifiuti” del Laboratorio REF Ricerche, gennaio 2020. Fonte: Conti Ambientali ISTAT.
La necessità di una riforma dell’ecotassa era stata indicata anche della Legge n.117/19, che aveva la funzione di delegare al Governo per il recepimento delle Direttive europee e per l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea. Tra i principi e criteri direttivi per l’attuazione delle Direttive 851/2018 e 852/2018, troviamo infatti all’Art.16, punto 3 la dicitura “riformare il tributo per il conferimento in discarica di cui all’articolo 3, commi 24 e seguenti, della legge “28 dicembre 1995, n. 549”. Tale riforma non si è poi concretizzata nei decreti di recepimento del Pacchetto Economia Circolare, pubblicati in Gazzetta Ufficiale lo scorso 17 settembre 2020. ARERA stessa, nella Memoria per l’audizione relativa all’esame degli schemi di decreto legislativo di recepimento del “Pacchetto Economia Circolare”20 , con riferimento alla riforma dell’ecotassa enunciata all’Art.16, punto 3 della Legge n.117/19, aveva richiamato la necessità di un coordinamento con l’Autorità che, “in considerazione delle competenze in tema di individuazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento, può certamente contribuire in maniera efficace all’individuazione di adeguati segnali di efficientamento e di sostenibilità della tassazione eco-ambientale”. Una spinta nella direzione che prescrive la gerarchia dei rifiuti potrà arrivare proprio dalla nuova regolamentazione ARERA delle tariffe “al cancello”21 . Occorre evitare che la costruzione di una tariffa incardinata su logiche di full cost recovery e RAB-based (ovvero fondate sul pieno recupero dei costi di capitale e di gestione) conduca a ridurre i prezzi di accesso alle discariche, sostenendo indirettamente lo smaltimento.
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Memoria 179/2020/I/RIF. Si fa riferimento alle funzioni assegnate all’Autorità dall’Art.1, comma 527, lettera g), della Legge n.205/17.
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Una evenienza che potrà essere scongiurata solo valorizzando a pieno tutti i costi di gestione postmortem delle discariche, ivi inclusi quelli delle bonifiche dei terreni e dei siti attualmente contaminati, oltre ai costi ambientali e a misure di compensazione per i territori che ospitano questi impianti. Un’inversione di paradigma coerente con la gerarchia dei rifiuti è necessaria, riportando la discarica al ruolo di soluzione impiantistica residuale, di ultima istanza e transitoria, meno preferibile, ambientalmente ed economicamente scoraggiata: un percorso nel quale anche un incremento dell’ecotassa potrà giovare. Modulazioni a partire da un livello minimo uniforme
Un’ulteriore possibilità è quella di valutare un’estensione delle forme di modulazione dell’ecotassa sulla base dei risultati raggiunti. A partire da un livello minimo del tributo uniforme per tutte le Regioni (level playing field), l’innalzamento avviene progressivamente in funzione della distanza dall’obiettivo di conferimento in discarica previsto dal Pacchetto Economia Circolare.
Un gettito potenziale di 475 milioni
Le indicazioni di policy sono piuttosto chiare: grazie ad un’ecotassa rivista, si possono destinare risorse aggiuntive al sostegno degli investimenti per sviluppare l’Economia Circolare. Nello specifico, la proiezione elaborata, applicando uniformemente l’aliquota pari a 25,82 euro/tonnellata in ciascuna regione italiana alle tonnellate conferite in discarica, porta ad una quantificazione di 475 milioni di euro, quale misura del gettito ricavabile dal tributo speciale.
Sebbene tali risorse non costituiscano il punto pivotale dell’analisi, in quanto la finalità ambientale è in ogni caso primaria, è altrettanto evidente che le cifre in gioco rafforzano l’indicazione di policy, poiché identificano compiutamente le modalità di finanziamento degli investimenti necessari. Perché tardare ulteriormente nell’applicare la ratio di un tributo in vigore da 25 anni?
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I requisiti per il conferimento in discarica La recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. 121/2020, che ha recepito la Direttiva 850/2018 sulle discariche per rifiuti, ha aperto nuovamente il dibattito sui requisiti per il conferimento in discarica dei rifiuti. Un argomento tecnico che, per questa ragione, passa talvolta in secondo piano, ma che è invece di primaria importanza in termini di impatto ambientale. Se da un lato il presente position paper mostra come l’ecotassa dovrebbe indirizzare il sistema di gestione dei rifiuti verso alternative ambientalmente preferibili alla discarica, dall’altro non si può negare che ad oggi il ruolo della discarica in molte regioni è ancora necessario per assicurare la chiusura del ciclo dei rifiuti nel rispetto del principio comunitario di autosufficienza dei territori. Pertanto, un’attenta calibrazione dei requisiti per il conferimento in discarica dei rifiuti dovrà coniugare il desiderio di minimizzare l’impatto ambientale dello smaltimento, con l’autosufficienza nella chiusura del ciclo dei rifiuti. A tal proposito, nel recepimento della Direttiva discariche viene introdotto l’IRDP (Indice di Respirazione Dinamico Potenziale) quale parametro per misurare la stabilità biologica del rifiuto previo conferimento in discarica, nel limite di 1.000 mgO2kgSV-1h-1. Lo stesso indice che, non senza qualche obiezione, era stato richiamato anche dalle Linee guida ISPRA 145/2016 sui “Criteri tecnici per stabilire che quando il trattamento non è necessario ai fini dello smaltimento dei rifiuti in discarica”, sebbene la circolare del Ministero dell’Ambiente del 14 dicembre 2017 ne contenesse gli effetti nel caso specifico dello smaltimento dei fanghi di depurazionea . L’introduzione dell’IRDP nel D.Lgs. 121/2020 va nella direzione condivisibile di ridurre lo smaltimento in discarica del Rifiuto Urbano Biodegradabile (RUB) e dei fanghi di depurazione, ma sembra non tenere in considerazione il fatto che la transizione dallo smaltimento in discarica a soluzioni ambientalmente preferibili non può prescindere dall’esistenza di una reale alternativa impiantistica e, dunque, dall’esigenza di autorizzare e realizzare nuovi impianti di trattamento. Il rischio è che un nuovo giro di vite dei requisiti di conferimento possa condurre a nuove emergenze nella chiusura del ciclo dei rifiuti in alcuni territori del Paese, sebbene permanga la possibilità di applicare alcune deroghe ancora per qualche anno. a
“la conferibilità dei rifiuti identificati dal codice 190501 in discarica dipende disgiuntamente e autonomamente dal soddisfacimento di una delle due condizioni di cui alle lett. a), e g): sarà dunque sufficiente che sia soddisfatta una sola di tali condizioni perché il rifiuto sia conferibile in discarica.”, dove la lettera a) si riferiva al fatto che i rifiuti derivanti dal trattamento biologico individuati dal codice 190501 potessero essere conferiti in discarica “purché trattati mediante processi idonei a ridurne in modo consistente l’attività biologica, quali il compostaggio, la digestione anaerobica, i trattamenti termici ovvero altri trattamenti individuati come BAT per i rifiuti a matrice organica dal d.m. 29 gennaio 2007”, mentre la lettera g) prevedeva che i rifiuti derivanti da trattamento biologico dei rifiuti, individuati dal medesimo codice 190501, potessero essere conferiti in discarica “purché sia garantita la conformità con quanto previsto dai programmi regionali di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 36/2003 e presentino un indice di respirazione dinamico (determinato secondo la norma UNI/TS 11184) non superiore a 1.000 mgO2/kgSV”.
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CONCLUSIONI Una tassazione ambientale consistente e superiore alle medie europee, ma poco finalizzata allo scopo, se è vero che l’Italia destina alla protezione dell’ambiente solamente l’1% del gettito delle imposte ambientali prelevate: 561 milioni di euro, a fronte di un gettito totale delle imposte ambientali che sfiora i 58 miliardi. Istituito nel 1995 allo scopo di favorire la prevenzione nella produzione di rifiuti e sostenere gli impianti di recupero e riciclaggio, il tributo speciale sullo smaltimento in discarica ha negli anni perso gran parte del suo potere disincentivante. Con aliquote massime mai adeguate e rimaste ferme ai valori di metà anni ’90 e che hanno perso con il passare del tempo 1/3 del loro valore; un valore medio nazionale, ponderato sui flussi in ingresso, di poco superiore ai 5 euro/tonnellata, e aliquote inferiori ai 2 euro in regioni come Lazio e Molise, il tributo sullo smaltimento si è trasformato in uno dei tanti balzelli del sistema tributario italiano, il cui solo obiettivo è continuare ad assicurare un impercettibile flusso di cassa: uno dei tanti rivoli con i quali finanziare gli Enti locali. Con un peso trascurabile sul costo degli smaltimenti e che non incide sui comportamenti, veicola il messaggio distorto che sia possibile continuare ad inquinare, corrispondendo una modica cifra a titolo di indennizzo. Ad oggi, l’ecotassa con il suo tetto a 25,82 euro/tonnellata non garantisce neanche un apporto apprezzabile alle entrate pubbliche. Il suo gettito si attesta poco sopra i 100 milioni di euro all’anno, cifre lontane da quelle dei maggiori Paesi europei, alcuni dei quali - come la Germania - sono andati addirittura oltre il disincentivo economico, introducendo divieti più o meno espliciti al conferimento in discarica. In questi anni, nel sostenere la riduzione dello smaltimento, hanno fatto molto di più i progressi della raccolta differenziata (RD), con un obiettivo del 65% sui rifiuti urbani prodotti che pur codificato in legge è stato anch’esso sistematicamente disatteso. Le regioni che non hanno raggiunto gli obiettivi di legge per la RD sono anche quelle che continuano a fare ampio ricorso alla discarica, Sicilia in testa. In questi territori la discarica è assurta a infrastruttura strategica, stante la mancanza di alternative impiantistiche, sia nel riciclaggio sia nel recupero energetico. Attualmente, continuano a finire in discarica circa 19,6 milioni di tonnellate di rifiuti, tra urbani e speciali. È evidente che occorre un ripensamento dell’ecotassa. Un progressivo innalzamento del tributo che passi, in primo luogo, per l’allineamento delle aliquote vigenti al tetto massimo di 25,82 euro/tonnellata e per la chiusa dei divari che ci separano della migliori esperienze europee: un fisiologico riequilibrio, senza giungere ai casi estremi quali i 90 euro/tonnellata dell’Austria o ai divieti della Germania. Così facendo, si ricostruirebbe quel segnale di prezzo coerente con la gerarchia dei rifiuti che, al momento, è assente e si garantirebbe un flusso di risorse certe per finanziare gli investimenti e sostenere la transizione ecologica. Similmente, ogni forma di tassazione ambientale, inclusa la Plastic Tax, dovrebbe essere pienamente di scopo, ovvero dovrebbe destinare il gettito al ristoro dell’esternalità negativa arrecata all’ambiente per cui è stata introdotta.
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L’allineamento delle aliquote reali effettive verso i 25,82 euro/tonnellata consentirebbe di aumentare il gettito, e finanziare investimenti per 475 milioni di euro: circa 4 volte gli investimenti pubblici correnti che si fermano a 131 milioni di euro. Un passo necessario per avviare gli impianti nel recupero di materia e nel riciclo di cui il Paese ha bisogno, in particolare al Sud22 dove occorre ogni strategia di rilancio non può prescindere da un ripensamento del ciclo dei rifiuti23 .
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Si rimanda, per ulteriori dettagli, al Contributo n.147 “I distretti e la gestione dei rifiuti: la simbiosi industriale per chiudere il ciclo” del Laboratorio REF Ricerche, marzo 2020. Si rimanda per ulteriori dettagli al Contributo “Rifiuti e Mezzogiorno. Ovvero come trasformare un “fardello” in un’opportunità”, Collana Ambiente, di prossima pubblicazione.
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ALLEGATO. IL TRIBUTO PROVINCIALE PER LA TUTELA AMBIENTALE Il Tributo provinciale per l’Esercizio delle Funzioni di tutela, protezione ed igiene Ambientali (TEFA)1 è un tributo istituito a favore delle Province per l’esercizio delle funzioni amministrative riguardanti l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, il rilevamento, la disciplina ed il controllo degli scarichi e delle emissioni e la tutela, la difesa e la valorizzazione del suolo. Il TEFA viene determinato in misura non inferiore all’1%, ma non superiore al 5%, della tassa/tariffa per unità di superficie vigente ai fini della gestione dei rifiuti urbani. Il tributo è commisurato alla superficie degli immobili e viene versato dal gestore del servizio, in caso di TARI puntuale o di tariffa corrispettiva, o direttamente dal Comune, in caso di TARI tributo, alla tesoreria provinciale, previa deduzione di un aggio per la riscossione (0,3%).
Nell’ultimo decennio, il gettito del TEFA denota una crescita reale del 13%, passando dai 304 milioni di euro equivalenti del 2009 ai 342 milioni del 2018. Il trend è ascendente anche con riferimento agli ultimi vent’anni, evidenziando un incremento complessivo in termini reali del 77%. Tale andamento riflette il costo crescente del servizio rifiuti e del relativo gettito.
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Ai sensi del D.Lgs. n.504 del 30 dicembre 1992.
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