La responsabilità delle scelte: i fabbisogni impiantistici e il ruolo delle regioni

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GENNAIO 2020 rifiuti N°140

LA Responsabilità DELLE SCELTE: I FABBISOGNI IMPIANTISTICI E IL RUOLO DELLE REGIONI Laboratorio SPL Collana Ambiente

Abstract La gestione dei rifiuti nel Paese va ripensata, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione. Le regioni sono chiamate a monitorare i fabbisogni e a sostenere le iniziative industriali per la chiusura del ciclo dei rifiuti: un atto di responsabilità per superare la sfiducia e le resistenze ideologiche che trovano terreno fertile nelle sindromi NIMBY. Rethinking waste management is an urgent need in Italy; in particular, overcoming the dualism between municipal/ industrial waste and building management plants are key necessities. The Regions are required to monitor the needs and to support industrial initiatives aimed to complete the waste cycle: an assumption of responsibility necessary to overcome mistrust and ideological resistance which create a breeding ground for the NIMBY syndromes.

Gruppo di lavoro: Donato Berardi, Nicolò Valle

REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20123 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Utilitalia-Utilitatis, SMAT, IREN, Veolia, Acquedotto Pugliese, HERA,Metropolitana Milanese, CRIF Ratings, Cassa Depositi e Prestiti, Viveracqua, Romagna Acque, Water Alliance , CIIP, Abbanoa, CAFC, GAIA, FCC Aqualia Italia, GORI, Veritas, A2A Ambiente, Confservizi Lombardia, FISE Assoambiente, A2A Ciclo Idrico, AIMAG


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Gli ultimi contributi n. 139 - Acqua - Concorrenza per il mercato nel servizio idrico: a Rimini la prima vera gara dall'avvento di ARERA, gennaio 2020 n. 138 - Rifiuti - Metodo Tariffario Rifiuti: un "salto di qualità" per il futuro settore, dicembre 2019 n. 137 - Rifiuti - La responsabilità estesa del produttore (EPR): una riforma per favorire prevenzione e riciclo, dicembre 2019 n. 136 - Acqua - Dialogo e informazione: gli ingredienti della partecipazione n. 135 - Rifiuti - Decarbonizzazione a “costo zero”: il caso del combustibile da rifiuti n. 134 - Acqua - MTI3 tra efficientamento e sostenibilità ambientale: il servizio idrico entra nell'economia circolare, novembre 2019 n. 133 - Acqua - Il Codice degli appalti pubblici: eterna riforma?, novembre 2019 n. 132 – Acqua - Aziende idriche e cittadini: un'alleanza da (ri)costruire e coltivare, novembre 2019 n. 131 - Acqua - Gestione unica e governo del servizio idrico: qualcosa si muove al Sud, ottobre 2019 n. 130 - Acqua - Cambiamento climatico e resilienza: una responsabilità collettiva, ottobre 2019

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La missione Il Laboratorio Servizi Pubblici Locali è una iniziativa di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese.

ISSN 2531-3215 Donato Berardi Direttore dberardi@refricerche.it

Editore: REF Ricerche srl Via Saffi 12 - 20123 Milano tel. 0287078150 www.refricerche.it

laboratorio@refricerche.it @LaboratorioSPL Laboratorio REF Ricerche


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PREMESSA Il dibattito politico e mediatico sulle politiche di gestione dei rifiuti si concentra usualmente sui rifiuti di origine urbana, la cui produzione annua si attesta intorno ai 30 milioni di tonnellate. Per questi la pianificazione impiantistica regionale è chiamata a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e la prossimità dello smaltimento e del recupero dei rifiuti urbani indifferenziati (art. 182bis del TUA). Si tende spesso a sottacere che esiste un’altra faccia della medaglia rappresentata dai rifiuti speciali, ovvero i rifiuti prodotti dalle attività economiche non assimilati al servizio pubblico e dalle attività di recupero e smaltimento di rifiuti, la cui produzione annua è un multiplo di quella urbana attestandosi a poco meno di 140 milioni di tonnellate/anno. Tra questi ultimi circa 11 milioni di tonnellate sono rappresentati da rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani (EER 191212), ovvero rifiuti urbani che perdono la loro qualifica di rifiuto urbano e con essa si svincolano anche dai principi di autosufficienza regionale nello smaltimento. I rifiuti speciali possono infatti circolare liberamente sul territorio, allo scopo di essere avviati a recupero in impianti idonei. Il Testo Unico Ambientale (TUA) formula dei distinguo per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalle imprese: • l’art. 182-bis stabilisce che lo smaltimento dei rifiuti, tutti, speciali e urbani, deve essere attuato attraverso il ricorso ad una rete di impianti adeguata al fine di ridurne la movimentazione (principio di prossimità)1 ; • l’art. 199 del TUA stabilisce i criteri guida per la redazione dei Piani Regionali di Gestione del Rifiuto e indica espressamente che in sede di pianificazione occorre esplicitare i fabbisogni impiantistici necessari ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali per quanto possibile in prossimità del luogo di produzione2 . L’intera lettura del TUA se da un lato suggerisce che per lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali vale un principio di libera circolazione di mercato, dall’altro ribadisce che anche per gli speciali vale un principio di gestione in prossimità del luogo di produzione, laddove in particolare non si rinvenga la necessità di impianti specializzati. Il presente lavoro si propone di offrire una mappatura regionale dei fabbisogni impiantistici di smaltimento, considerando per la prima volta il rifiuto nel complesso, urbano e speciale. I deficit impiantistici sono la principale causa delle emergenze rifiuti e dell’aumento dei costi di smaltimento per le imprese.

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“Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti (…) al fine di permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti”. “I piani regionali di gestione dei rifiuti prevedono inoltre: g) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari (…) ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti”.

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LA RICOGNIZIONE DEI FABBISOGNI IMPIANTISTICI La produzione e la gestione dei rifiuti speciali in Italia La produzione di rifiuti speciali in Italia ha fatto registrare una crescita importante negli ultimi cinque anni. La produzione di rifiuti speciali è in crescita: +12% fra il 2013 e il 2017

La ripresa economica e del settore manifatturiero che ha caratterizzato il Paese dopo la recessione del biennio 2012-2013 è la principale determinante dell’incremento della produzione dei rifiuti industriali. Fra il 2013 e il 2017, le tonnellate di rifiuti speciali in Italia sono aumentate del 12%, un percorso di crescita che ha accompagnato sia i rifiuti non pericolosi sia i rifiuti pericolosi (rispettivamente +12% e +10%).

La stretta relazione tra produzione di rifiuto e crescita dell’economia testimonia come quest’ultima sia la prima causa dell’aumento del fabbisogno di smaltimento e avvio a recupero energetico nel Paese. Nonostante gli obiettivi di prevenzione indicati dalle istituzioni pubbliche, non ultimo il Ministero dell’Ambiente, che con il “Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti” ha individuato nella riduzione del 10% dei rifiuti speciali non pericolosi e del 5% dei pericolosi per unità di PIL i target da raggiungere al 2020, il percorso di decoupling tra attività economica e produzione di rifiuti speciali è assai lontano dal potersi dire realtà. La produzione di rifiuti speciali è correlata con la crescita economica

Il grafico seguente mostra la correlazione tra la produzione di rifiuti speciali al netto dei rifiuti da costruzione e demolizione, i cosiddetti inerti, e il PIL misurati in modo trasversale tra le regioni italiane. L’indice di correlazione, seppure costruito su un numero esiguo di osservazioni, è pari a 0,93 . La Lombardia si distingue nel grafico quale regione a più elevata produzione economica e come primo produttore di rifiuti speciali.

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Un coefficiente di correlazione lineare superiore a 0,7, in un range compreso tra 0 e 1, è indice di una correlazione intensa tra due variabili.

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Le regioni, chiamate ad articolare gli obiettivi nella pianificazione regionale, hanno assai di sovente dimostrato tutta l’inadeguatezza dei loro strumenti. Alle prese con la carenza di impianti per la chiusura del ciclo degli urbani hanno in molti casi preferito fare affidamento sul ruolo salvifico del mercato degli speciali, disarticolando il principio di autosufficienza regionale e sfruttando per lo smaltimento impianti siti in altre regioni. La pianificazione regionale non ha offerto risposte ai problemi sulla chiusura del ciclo dei rifiuti

La pianificazione regionale ha dunque fallito nel suo compito di offrire risposte, divenendo al contrario la sede nella quale i problemi e le opportunità dell’economia circolare vengono “derubricati” piuttosto che affrontati o colte.

Lombardia ed Emilia-Romagna hanno realizzato gli impianti necessari alla chiusura del ciclo

Fanno eccezione in questo panorama alcune regioni, come Lombardia o Emilia-Romagna, nelle quali in una fase storica quasi “eccezionale” gli impianti sono stati pianificati e realizzati. L’EmiliaRomagna è peraltro tra le poche regioni ad aver misurato per prima i fabbisogni che originano dalle attività produttive, valutando la coerenza dell’impiantistica rispetto al complesso dei rifiuti prodotti, e utilizzando logiche di assimilazione estensiva come manifestazione del desiderio di assicurare lo smaltimento e l’avvio a recupero energetico in prossimità.

Emblematico, in questo senso, è il caso della regione siciliana, che con uno smaltimento in discarica al 73% dei rifiuti urbani ed una raccolta differenziata ferma al 22%, ha di recente inviato al Ministero una bozza di Piano regionale di gestione dei rifiuti che non prevede la realizzazione di impianti per il recupero energetico.

Una leadership industriale che tuttavia rischia di esaurirsi, in ragione della difficoltà a coniugare la politica del consenso con il pragmatismo delle scelte4 .

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La stessa Emilia-Romagna in occasione dell’ultima revisione del PRGR (approvata nel maggio 2016) ha mutuato come scenario centrale gli obiettivi del Piano di prevenzione del Ministero dell’Ambiente, che prospettavano un calo della produzione di rifiuti speciali del -4,4% tra il 2013 e il 2020, affiancando anche uno scenario più ambizioso di contenimento della produzione di rifiuti speciali.

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Recupero, smaltimento e stoccaggio dei rifiuti speciali La produzione dei rifiuti speciali è rappresentata per il 40% dai rifiuti da costruzione e demolizione: questi ultimi, insieme alle buone pratiche di recupero di cui il Paese vanta un primato europeo, sono le principali spiegazioni degli ottimi risultati conseguiti. Il 67% dei rifiuti speciali prodotti viene sottoposto a operazioni di recupero

Tra i rifiuti speciali, secondo Ispra, il recupero si attesta su livelli più elevati di quelli della frazione urbana. Il 67% dei rifiuti speciali è sottoposto a procedure di trattamento che consentono un riutilizzo dei materiali, percentuale che sale al 69% per i rifiuti non pericolosi. Il 59% dei rifiuti non pericolosi recuperati è costituito da rifiuti da costruzione e demolizione, che per loro natura si prestano al riutilizzo nel settore edile e allo stoccaggio presso cantieri e aree adibite alla messa in riserva. A seguire, viene recuperato il 13% dei rifiuti in uscita da impianti di trattamento e da attività di depurazione (EER 19). I rifiuti identificati con il codice EER 19 rappresentano il 45% dei rifiuti speciali non pericolosi a smaltimento: un ampio ricorso alla discarica che trova una spiegazione nella bassa disponibilità di spazi negli impianti per il recupero energetico dei rifiuti speciali, pari all’1% sul totale delle tonnellate gestite nel 20175 . E’ evidente peraltro come questa categoria di rifiuto rappresenti una quota prevalente del fabbisogno di smaltimento e avvio a recupero energetico dei territori.

Nel 2017 sono state stoccate 6,6 milioni di tonnellate di rifiuti

Nel complesso, le attività di smaltimento e di recupero energetico incidono per circa un terzo del totale della gestione dei rifiuti speciali. Giova sottolineare come una quota pari all’11% dei rifiuti speciali gestiti, corrispondenti a circa 16,6 milioni di tonnellate, sia stata destinata nel 2017 a operazioni di messa in riserva e deposito preliminare, propedeutiche sia al recupero sia allo smaltimento. Se lo stoccaggio è in parte fisiologico in un ciclo industriale che presenta strozzature nella fase del recupero e dello smaltimento, un volume di questa dimensione, peraltro in crescita negli anni recenti (+33% l’aumento dal 2017 al 2013), è indicativo della difficoltà a trovare un destino finale ai flussi di rifiuto prodotti, che trova nello stoccaggio un primo seppur non risolutivo accomodamento6 .

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Nel computo dei rifiuti speciali gestiti in impianti di incenerimento con recupero di energia non rientrano 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti in uscita da impianti di trattamento di rifiuti urbani (EER 19) e destinati ai termovalorizzatori, in quanto contabilizzati da Ispra fra le attività di gestione dei rifiuti urbani. Come vedremo meglio nel seguito l’aumento dei tempi di ritiro da parte degli smaltitori, unitamente all’aumentato costo del servizio, sono una delle questioni più di frequente lamentate dalle imprese.

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Il sistema di gestione dei rifiuti speciali è estremamente fragile

Sono queste le evidenze che documentano tutta la fragilità del sistema di gestione dei rifiuti speciali quando sottoposto a forti sollecitazioni. E’ altresì chiaro che un sistema di gestione e un mercato che lavora senza margini di flessibilità o con margini irrisori rimane esposto ad ogni fonte di incertezza, sia essa di origine tecnica, come è il caso dei fermi nella manutenzione degli impianti, sia di origine logistica o ancora di origine regolamentare, come è il caso della limitazione alle esportazioni verso i mercati asiatici o ancora dello stop allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione. Questi eventi, in contesti già esposti ad un fenomeno di scarsità di offerta, diventano peraltro facile terreno per operazioni “illegali”, in grado di offrire soluzioni a buon mercato a operatori economici in “stato di necessità”.

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Una stima dei rifiuti a recupero energetico e a smaltimento La “macro” stima dei deficit di smaltimento e di avvio a recupero energetico dei rifiuti nelle regioni ha la funzione di individuare le coerenze o le non coerenze dei binomi produzione-gestione dei rifiuti nei territori. La quantificazione di deficit “nominali” è propedeutica ad una valutazione sulle macro grandezze. Una fotografia dei bilanci regionali di gestione dei rifiuti è utile a capire le cause degli squilibri

Tale esercizio consente di offrire una prima fotografia dei surplus e dei deficit delle regioni, mostrando come le carenze impiantistiche di alcuni territori creino ingenti squilibri sull’intero sistema di gestione. Pur tuttavia occorre precisare che, trattandosi di rifiuti speciali che notoriamente si muovono secondo logiche di mercato, le macro grandezze presentate anche laddove conducono a quantificare deficit che possono apparire trascurabili, non necessariamente sottendono un bilanciamento dei fabbisogni di smaltimento e recupero energetico nei singoli territori, giacché la capacità teoricamente presente può essere assorbita o dedicata a flussi che originano da altri territori, o ancora a causa della mancanza o incapienza degli impianti in grado di accoglierli7 . È comunque assai probabile che tanto più un territorio evidenzia un deficit impiantistico “nominale” più elevato, tanto maggiori siano le tensioni che si ripercuotono sulle imprese di quel territorio, in particolare laddove si concentrino volumi e/o tipologie di rifiuto speciale con caratteristiche specifiche per il cui trattamento finale è necessario il ricorso a impianti a tecnologia complessa.

Due dati da cui partire: la produzione dei rifiuti del manifatturiero e i rifiuti speciali a smaltimento

Al fine di dimensionare i deficit di smaltimento e recupero energetico che hanno determinato un gap tra domanda e offerta nello smaltimento dei rifiuti industriali ed una conseguente ascesa dei prezzi, occorre partire da due dati presenti nell’annuale Rapporto sui rifiuti speciali dell’Ispra (dati 2017): 1. la produzione di rifiuti speciali dell’industria manifatturiera è quantificata in 29,9 milioni di tonnellate/anno (di cui 26 milioni di rifiuti non pericolosi e 3,9 di pericolosi); 2. la gestione dei rifiuti speciali a smaltimento è quantificata in 30 milioni di tonnellate/anno. In riferimento al secondo punto, sono necessarie alcune precisazioni.

Produzione e gestione dei rifiuti speciali non sono direttamente confrontabili

Come specificato dall’Ispra, produzione e gestione di rifiuti speciali non sono direttamente confrontabili in unico anno di riferimento, in quanto tra le attività di smaltimento ve ne sono alcune di trattamento intermedio (D8, D9, D13, D14), che potrebbero prevedere un avvio di rifiuti a recupero o a stoccaggio, preludendo ad uno smaltimento in discarica o a un recupero effettuato in anni successivi rispetto a quello di produzione. Tale forme di gestione si quantificano nel 2017 in oltre 16 milioni di tonnellate. A queste, si aggiungono i rifiuti speciali destinati a smaltimento ma provvisoriamente stoccati (635 mila tonnellate). Nel computo della capacità di smaltimento e avvio a recupero energetico, al fine di evitare il doppio conteggio derivante dalle attività di gestione intermedia, sono stati considerati i dati di gestione riferiti alle attività D1 (discarica), D10 (incenerimento senza recupero di energia), D15 (stoccaggio) e i volumi di rifiuto soggetti al commercio transfrontaliero (export-import)8 . Come certificato da Ispra, 7

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Come vedremo meglio più oltre è questo il caso, ad esempio, di alcune tipologie di rifiuto speciale pericoloso (i.e fanghi di depurazione pericolosi di origine industriale) la cui possibilità di smaltimento è confinata agli inceneritori dotati di tecnologia a tamburo rotante (6 impianti sul territorio nazionale), la cui capacità installata risulta molto al di sotto del fabbisogno nazionale. Per questi flussi la via obbligata rimane quella dell’export. Nelle attività di smaltimento rimanenti, D2 e D4, non sono stati contabilizzati rifiuti nel 2017.

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l’Italia esporta ogni anno 1 milione di tonnellate/anno di rifiuti a recupero energetico e a smaltimento e ne importa circa 200 mila. È stato costruito un indicatore per minimizzare l’effetto dei flussi di rifiuti fra regioni

Al fine di ricostruire una mappatura regionale dei rifiuti a trattamento finale e minimizzare l’effetto dei flussi fra una regionale e l’altra, è stato costruito un indicatore per entrambe le tipologie di rifiuto speciale, pericoloso e non pericoloso. Si tratta di un rapporto fra la capacità di smaltimento e avvio a recupero energetico nazionale e la produzione di rifiuti speciali nazionale, al netto dei rifiuti da costruzione e demolizione. P ROD RS Smalt =

RSGest RSP rod

× 100

Tale indicatore, associato al dato di gestione di ciascuna regione, consente di stimare una produzione regionale di rifiuti speciali destinati a recupero energetico e a smaltimento, minimizzando l’effetto dell’import-export di rifiuti fra regioni. Per ricostruire la produzione dei rifiuti urbani a recupero energetico e a smaltimento, invece, ci si è limitati a riportare la produzione di rifiuti indifferenziati per regione. Nel 2017 sono state gestite oltre 30 milioni di tonnellate di rifiuti a recupero energetico e a smaltimento

Dalle stime condotte, basate su dati Ispra, emerge come in Italia nel 2017 sono state gestite oltre 30 milioni di tonnellate di rifiuti destinati a recupero energetico e a smaltimento che, al netto della componente dei rifiuti speciali pericolosi, concorrono per le medesima impiantistica di trattamento: smaltimento in discarica o incenerimento (con o senza recupero di energia)9 .

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Allo scopo di mantenere una coerenza fra l’anno di produzione dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani, non sono stati utilizzati ai fini del calcolo gli ultimi dati a disposizione sui rifiuti urbani, riferiti al 2018. Per un approfondimento sui rifiuti urbani e per un’elaborazione sugli ultimi dati Ispra si rimanda al box a pagina 15.

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Il dettaglio regionale ci fornisce un quadro di produzione strettamente legato all’attività economica, come discusso più approfonditamente nel paragrafo precedente. Nelle regioni a maggiore vocazione industriale, ovvero quei territori nei quali la produzione del settore manifatturiero ha un’incidenza maggiore sul Pil, si generano tipicamente quantitativi maggiori di rifiuti a recupero energetico e a smaltimento. Non è un caso, dunque, se ai primi tre posti della graduatoria per produzione di rifiuti speciali non pericolosi a trattamento finale si trovano Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che, secondo le stime, nel 2017 hanno prodotto rispettivamente 3,8, 1,8 e 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali destinati a recupero energetico o a smaltimento. Nelle regioni a forte vocazione manifatturiera il ruolo del decisore pubblico è ancora più rilevante

In queste regioni a forte vocazione manifatturiera, cui si deve aggiungere il Piemonte nel Nord, Toscana, Lazio nel Centro e Puglia, Sicilia e Campania nel Mezzogiorno, ci si aspetterebbe che il decisore pubblico si soffermasse sulla necessità di assicurare la chiusura del ciclo dei rifiuti in prossimità, valutando i fabbisogni impiantistici, sostenendo le iniziative imprenditoriali intenzionate a risolverli, o comunque, ove necessario, prevedendo una capacità di smaltimento “di riserva” in grado di fare fronte a crisi di mercato o strozzature nello smaltimento dei rifiuti speciali prodotti nel territorio. Alcune regioni si sono mosse in tal senso ma, come spiegato più approfonditamente nel paragrafo successivo, si sono trovate a dover scontare anche le conseguenze dei deficit di altri territori, a partire dalle carenze di gestione sul ciclo degli urbani.

La gestione dei rifiuti speciali negli impianti asserviti al ciclo degli urbani Nel 2017 gli impianti autorizzati al trattamento dei rifiuti urbani hanno gestito complessivamente 35,8 milioni di tonnellate di rifiutia , al netto delle frazioni differenziate diverse

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dall’organico destinate agli impianti di recupero sul mercato libero e non contabilizzate da Ispra. Preponderante è il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati (13 milioni di tonnellate/anno), che comprende lo smaltimento in discarica dei rifiuti di origine urbana in uscita dagli impianti di trattamento intermedio (10,1 milioni di tonnellate/anno) e dei rifiuti urbani avviati “tal quale” a recupero energetico (2,9 milioni di tonnelate/anno). La gestione del rifiuto organico (FORSU e verde) riguarda nel complesso 5,9 milioni di tonnellate. Insieme ai rifiuti urbani e speciali di origine urbana, negli impianti asserviti al ciclo di gestione dei rifiuti domestici sono stati trattati nel 2017 oltre 6,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui 3,9 milioni sono state smaltite in discarica, 846 mila gestite negli impianti di incenerimento e circa 1,5 milioni negli impianti di recupero della frazione organica. Il grafico seguente mostra l’intensità di gestione dei rifiuti speciali negli impianti asserviti al ciclo degli urbani per tipologia di impianto, mostrando come i digestori anaerobici, i coinceneritori e le discariche siano le tecnologie maggiormente impiegate ai fini del recupero e dello smaltimento dei rifiuti di origine non domestica.

Articolando la riflessione sul piano territoriale, si può notare come alcune regioni a vocazione manifatturiera, come Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana, ma anche Marche, Puglia e Veneto, siano anche territori nei quali l’incidenza di gestione dei rifiuti speciali negli impianti dedicati anche al ciclo degli urbani è più elevata. In Lombardia, in particolare, nel 2017 sono state gestite oltre 2,2 milioni di tonnellate negli impianti autorizzati al trattamento anche degli urbani, mentre in Emilia-Romagna si sfiora il milione di tonnellate. Non è un caso che si tratti delle due regioni maggiormente “dotate” dal punto di vista del recupero energetico, ove la presenza di impianti di termovalorizzazione hanno consentito sino ad oggi di assicurare l’autosufficienza nello smaltimento del rifiuto urbano non pericoloso. Di più, la presenza di capacità negli impianti a vocazione urbana, comunque confinata a situazioni eccezionali di tensione del mercato, ha contribuito ad attenuare seppur non neutralizzare gli aumenti di costo dello smaltimento. Al contrario, Campania, Lazio e Sicilia, che presentano evidenti difficoltà nella chiusura del ciclo degli urbani, hanno gestito complessivamente non più di 300 mila tonnellate/anno di ri-

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fiuto speciale negli impianti asserviti al circuito urbano, non essendo in grado di “intervenire” per assicurare uno sbocco a smaltimento ai rifiuti prodotti nel territorio. Trattandosi di flussi a mercato è chiaro che l’intervento pubblico deve essere a sostegno delle iniziative imprenditoriali e limitato al volume di rifiuti strettamente necessario a rispondere a situazioni di opportunità territoriale (supporto al tessuto locale produttivo in difficoltà di risposta in termini di spazi e prezzi competitivi) e situazioni contingenti ed eccezionali di aumento dei prezzi, al fine di non configurare una distorsione del funzionamento del mercato.

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Fonte: Catasto Rifiuti Ispra.

Gli “sbilanci” regionali nello smaltimento e nell’avvio a recupero energetico dei rifiuti La produzione di rifiuti a smaltimento, quantificabile in 30,1 milioni di tonnellate nel 2017 a livello nazionale e riportata a livello regionale attraverso una procedura di depurazione (almeno parziale) degli effetti di export tra regioni10 , è stata rapportata alla capacità di smaltimento e recupero energetico di ciascun territorio11 . Sulla base della produzione di rifiuti a recupero energetico e a smaltimento stimata e della capacità di gestione, sono stati costruiti dei bilanci regionali di trattamento finale dei rifiuti, riassunti nel grafico allegato.

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Si ricorda che tale dato potrebbe essere sottostimato in quanto esclude dal calcolo i rifiuti sottoposti a forme di gestione intermedie, identificate dalle modalità di smaltimento D8, D9, D13 e D14. La capacità impiantistica è stata ricostruita tenendo conto dei volumi di rifiuto effettivamente gestiti nel 2017 per modalità di smaltimento, come riportati da Ispra. Tale scelta consente di annullare il gap che frequentemente si presenta fra tonnellate di rifiuto autorizzate alla gestione e tonnellate effettivamente gestite, in quanto alcuni impianti si trovano per motivi di diversa natura, tecnici o di pressione delle comunità locali, a lavorare su quantitativi inferiori rispetto all’autorizzato. La capacità di gestione dei rifiuti speciali è stata ricostruita tenendo conto dei rifiuti smaltiti in discarica (D1), inceneriti (D10) e recuperati attraverso impianti di termovalorizzazione (R1). Sono stati esclusi, volutamente, i rifiuti stoccati destinati a smaltimento (D15), in quanto trattasi non di una reale capacità impiantistica, ma di una sorta di “cuscinetto” per ovviare all’assenza di capacità di smaltimento finale. Nel caso dei rifiuti urbani, la capacità impiantistica è stata determinata sulla base dei volumi di rifiuto gestiti nel 2017 in impianti di discarica, di incenerimento e di coincenerimento.

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Il bilancio tra produzione di rifiuti a smaltimento e capacità impiantistica chiude in passivo

A livello nazionale, nel 2017 il bilancio chiude in passivo per circa 2,1 milioni di tonnellate, dato coerente con la somma delle quantità di rifiuti a smaltimento e a recupero energetico esportate (circa 1,3 milioni di tonnellate, al netto dell’import) e di quelle stoccate e destinate a smaltimento (circa 700 mila tonnellate), che si aggira appunto intorno ai 2 milioni di tonnellate. E’ interessante notare come Lazio e Campania presentino un deficit complessivo di smaltimento e avvio a recupero energetico di 2,7 milioni di tonnellate, mentre la Lombardia, in virtù della dotazione impiantistica, ha capacità per accogliere rifiuti provenienti da altre regioni per oltre 1,3 milioni di tonnellate/anno. Peculiare è poi la situazione delle due Isole maggiori: la posizione della Sicilia, con un deficit a smaltimento e a recupero energetico di poco meno di 700 mila tonnellate/anno, è quasi speculare a quella della Sardegna, che vanta un surplus di oltre 600 mila tonnellate/anno.

I deficit impiantistici di Lazio, Campania e Sicilia sono la principale causa degli squilibri del Paese

Da un primo sguardo appare immediatamente chiaro come i deficit impiantistici nello smaltimento e nell’avvio a recupero energetico delle tre regioni a maggiore squilibrio, Lazio, Campania e Sicilia, siano essi stessi la principale causa delle tensioni e delle emergenze nella gestione dei rifiuti del Paese.

Distinguendo tra rifiuti speciali e urbani, la situazione si presenta più variegata.

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Un esempio è rappresentato dall’Emilia-Romagna che, forte di un’attenta ricognizione dei fabbisogni di smaltimento e avvio a recupero energetico, assicura la possibilità di gestire all’interno degli impianti della pianificazione le quasi 400 mila tonnellate di deficit nello smaltimento dei rifiuti speciali. Una buona prassi che, pur tuttavia, rimane confinata all’esperienza emiliano-romagnola e che invece meriterebbe di essere mutuata da tutti gli altri territori. Gli squilibri tra fabbisogni e disponibilità di capacità dei territori è la principale causa dell’aumento dei costi per le imprese osservati in tutto il territorio nazionale. Per questo motivo anche le imprese emiliano-romagnole non sono rimaste indenni dall’escalation dei costi dello smaltimento: vanno inquadrate in quest’ottica le difficoltà incontrate dalle imprese del territorio nello smaltimento dei rifiuti prodotti e l’intervento della Regione del dicembre 201812 . Una situazione di surplus nella gestione dei rifiuti urbani e di deficit sui rifiuti speciali è riscontrabile anche in Piemonte, dove l’elevato ricorso al trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani13 è propedeutico allo smaltimento in discarica14 , che dunque sottrae spazi ai rifiuti speciali non pericolosi delle attività produttive. La Lombardia, invece, presenta un dimensionamento impiantistico sufficiente ad assicurare il rispetto del principio di autosufficienza per i rifiuti urbani prodotti in regione ed uno spazio adeguato per i rifiuti speciali, tale da favorirne la gestione in prossimità. Per queste ragioni, in Lombardia vi sono le condizioni per un corretto funzionamento del mercato. Degna di nota è la situazione delle due regioni a maggiore deficit, Lazio e Campania: se per il Lazio le maggiori criticità originano dalla mancanza di capacità di smaltimento e avvio a recupero energetico dell’urbano, in Campania, dove è utile ricordarlo una quota pari al 50% circa dei rifiuti urbani a smaltimento trova accoglimento nell’unico impianto di termovalorizzazione di Acerra, le principali difficoltà si concentrano sui rifiuti di speciali (con un deficit di circa 800 mila tonnellate/anno). Nel Mezzogiorno i deficit impiantistici caratterizzano sia la gestione dei rifiuti urbani sia degli speciali

Nel Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, della Puglia e del Molise, i deficit di gestione appaiono caratterizzare da un contributo sia della componente urbani sia di quella speciale.

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In quell’occasione, a valle di un accordo fra i gestori degli impianti, le imprese e la Regione stessa, si stabilì di soddisfare in via prioritaria “i fabbisogni dei territori emiliano-romagnoli”. Inoltre, la Regione consentì un incremento delle quantità di rifiuti stoccabili fino a un massimo del 3%. Per un approfondimento si veda: “Rifiuti speciali, intesa Regione, imprese, gestori impianti: al primo posto le esigenze di smaltimento delle aziende dell’Emilia-Romagna”(www.regione.emilia-romagna.it/notizie/2018/dicembre/rifiuti-speciali-intesa-fra-regione-imprese-e-gestori-degli-impianti). In Piemonte sono 10 gli impianti di trattamento meccanico-biologico asserviti al ciclo dei rifiuti urbani. Rifiuti appartenenti al codice EER 191212.

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I bilanci di smaltimento e avvio a recupero energetico dei rifiuti urbani: l’aggiornamento 2018 L’aggiornamento dei dati Ispra sui rifiuti urbani, concomitante alla pubblicazione del Rapporto Rifiuti Urbani 2019, consente di effettuare una prima fotografia del bilancio di smaltimento e avvio a recupero energetico riferito all’annualità 2018. Dal Rapporto Ispra emergono due elementi che appaiono fondamentali nell’interpretare l’evoluzione dei fabbisogni impiantistici nel nostro Paese: la produzione di rifiuti urbani, che si attesta intorno ai 30,2 milioni di tonnellate, in crescita del 2% rispetto al 2017; il tasso di raccolta differenziata, in crescita di 2,6 punti percentuali, che raggiunge quota 58,1% della produzione. La crescita della produzione di rifiuto e del tasso di raccolta differenziata hanno un effetto contrastante sul quantità di rifiuto da avviare a smaltimento, a fronte di una capacità impiantistica di incenerimento, coincenerimento e smaltimento in discarica rimasta sostanzialmente invariata rispetto al 2017a . L’aumento del tasso di raccolta differenziata appare più che compensare l’aumento della produzione di rifiuto urbano, portando ad un calo di 519mila tonnellate delle quantità di rifiuto indifferenziato: da 13,1 a 12,6 milioni di tonnellate. Nonostante la riduzione delle quantità di rifiuti da avviare a recupero energetico e a smaltimento, il quadro regionale rimane sostanzialmente invariato, come mostrato dal grafico sottostante. L’aumento del tasso di raccolta differenziata porta ad accentuare i surplus impiantistici delle regioni più infrastrutturate, su tutte la Lombardia (da 683 mila a 824 mi-

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la tonnellate), e a calmierare leggermente il deficit delle regioni in condizioni di carenza impiantistica, come il Lazio (da 945 mila a 875 mila tonnellate). Il permanere di situazioni di deficit impiantistico in alcuni territori si accompagna alle evidenze che emergono dall’aggiornamento dei dati sulla gestione dei rifiuti urbani: lo smaltimento in discarica rimane la modalità prevalente (22% dei rifiuti urbani prodotti), in calo di un punto percentuale rispetto al 2017 ma a fronte di un aumento dell’incidenza dell’export fuori Italia, dall’1% al 2% dei rifiuti urbani prodotti. Invariata, invece, la quota dei rifiuti gestiti in impianti di incenerimento e di coincenerimento, rispettivamente pari al 18% e all’1%. Evidenze che dimostrano ancora una volta come l’aumento del tasso di raccolta differenziata, da solo, non sia sufficiente a compensare le carenze impiantistiche nella gestione dei rifiuti urbani indifferenziati, né a ridurre l’incidenza dello smaltimento in discarica dei rifiuti urbani prodotti.

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Il decisore pubblico dovrebbe concentrarsi sulla capacità di gestione dei rifiuti speciali pericolosi

Sono 120mila le tonnellate in meno trattate nel 2018 rispetto al 2017.

Scendendo a un maggiore livello di dettaglio, la lente di ingrandimento del decisore pubblico dovrebbe soffermarsi sui rifiuti speciali pericolosi, in deficit per oltre 700 mila tonnellate che, come indicato da Ispra, sono destinate a smaltimento e a recupero energetico in Paesi esteri, a costi elevati. In questo caso, insieme alle ricadute ambientali legate alla movimentazione di rifiuto, si pone anche una questione di “strategia industriale”, laddove la competitività dei cicli produttivi viene

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ad essere esposta al rischio di un blocco delle importazioni nei Paesi di destinazione, e comunque di una perdita di opportunità di creazione di crescita economica e occupazione nelle gestione dei rifiuti. In particolare, sono soltanto 6 in termovalorizzatori in Italia in cui è possibile incenerire rifiuti pericolosi. Questi ultimi, saturata la capacità disponibile, devono trovare collocazione oltreconfine.

Un’analisi della capacità residua di smaltimento in discarica Le quantificazioni sulla produzione di rifiuto urbano e speciale a recupero energetico e a smaltimento hanno consentito di effettuare un confronto con le capacità residue di smaltimento in discarica al 31 dicembre 2017, come pubblicate da Ispra, e di formulare per ciascuna regione uno scenario di saturazione della capacità autorizzata. Si è ipotizzata una produzione di rifiuti destinati a recupero energetico e a smaltimento costante sui valori del 2017, come riportati nel grafico a pagina 10. Dall’esercizio emerge come lo spazio in discarica disponibile nel Paese, tenendo conto anche dell’attuale capacità di incenerimentoa , sia sufficiente a soddisfare la produzione a smaltimento fino al 2021, anno in cui si esaurirebbero gli spazi a disposizione dei rifiuti urbani e speciali. A livello di regione, la situazione appare molto variegata, ma dalla linea del tempo riprodotta in questa pagina si osserva come 13 regioni su 20 esauriranno con ogni probabilità gli spazi in discarica ben prima del 2021. Tra queste, la Campania non presenta di fatto capacità di smaltimento, motivo per cui risulta versare in un deficit “permanente”. Alcune anomalie sono rappresentate dal Trentino-Alto Adige, dal Lazio e dal Veneto, per cui si registra uno scostamento fra gli spazi autorizzati in discarica e le tonnellate di rifiuto effettivamente smaltite. Il conferimento dei rifiuti in misura relativamente bassa rispetto alle capacità a disposizione denota la presenza di ostacoli tecnici o di opposizione delle comunità locali che ne impediscono la gestione effettiva. Per questo motivo, appare ragionevole considerare i volumi di rifiuto gestiti e non i volumi autorizzati ai fini di calcolare una capacità effettiva di smaltimento dei rifiuti in Italia.

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Al fine di ricostruire il dato, alla capacità residua di smaltimento in discarica è stata sommata la capacità di incenerimento (con e senza recupero di energia) e di coincenerimento, quale stock fisso di capacità nelle regioni ove presente.

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CONCLUSIONI La produzione annua di rifiuti di origine urbana si attesta intorno ai 30 milioni di tonnellate. Per questi la pianificazione impiantistica regionale è chiamata a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e la prossimità dello smaltimento e del recupero dei rifiuti urbani indifferenziati (art. 182bis del TUA). Si tende spesso a sottacere che i rifiuti prodotti dalle attività economiche sono un multiplo di quelli urbani, attestandosi a poco meno di 140 milioni di tonnellate/anno. A differenza degli urbani, i rifiuti speciali possono circolare liberamente sul territorio, allo scopo di essere avviati a recupero in impianti idonei. Per tutti i rifiuti, il legislatore chiede alle regioni di assicurare le condizioni affinché il recupero o lo smaltimento avvengano preferibilmente in prossimità del luogo di produzione, laddove in particolare sia necessario il ricorso a impianti specializzati. Nell’ottica di limitare la movimentazione del rifiuto appare chiaro come nelle intenzioni del legislatore il principio di prossimità dello smaltimento e dell’avvio a recupero energetico dei rifiuti speciali trovi attuazione nella necessità di una previsione di una ricognizione dei fabbisogni necessaria a sostanziarla. Nel presente lavoro, per la prima volta, si è tentato di ricostruire un consolidamento dei fabbisogni regionali di smaltimento e recupero energetico dei rifiuti urbani e speciali: un lavoro complesso, che ha richiesto inevitabilmente l’impiego di stime per minimizzare l’effetto dei flussi di esportazione di rifiuti destinati a smaltimento o a recupero energetico in regioni diverse da quelle di produzione. Dalla mappatura regionale dei fabbisogni impiantistici di smaltimento e avvio a recupero energetico ricostruita nel presente lavoro, emerge che a livello nazionale, nel 2017, il bilancio di gestione chiude in passivo per circa 2,1 milioni di tonnellate, dato coerente con la somma delle quantità di rifiuti a smaltimento esportate (circa 1,3 milioni di tonnellate, al netto dell’import) e di quelle stoccate e destinate a smaltimento (circa 700 mila tonnellate). È interessante notare come Lazio e Campania presentino un deficit complessivo di smaltimento e avvio a recupero energetico di 2,7 milioni di tonnellate, mentre la Lombardia, in virtù della dotazione impiantistica, ha capacità per accogliere rifiuti provenienti da altre regioni per oltre 1,3 milioni di tonnellate/anno: un dimensionamento impiantistico sufficiente ad assicurare il rispetto del principio di autosufficienza per i rifiuti urbani prodotti in regione ed uno spazio adeguato per i rifiuti speciali, tale da favorirne la gestione in prossimità. Distinguendo tra rifiuti speciali e urbani, la situazione si presenta più variegata. Un esempio è rappresentato dall’Emilia-Romagna che, a partire da un’attenta ricognizione dei fabbisogni di smaltimento, assicura la possibilità di gestire all’interno degli impianti della pianificazione le gestione di “tutti” i rifiuti, e dalla Lombardia, che attraverso il mercato assicura una gestione in prossimità del rifiuto. Due buone prassi che meriterebbero di essere mutuate da tutti gli altri territori. Gli squilibri tra fabbisogni e disponibilità di capacità dei territori, infatti, è la principale causa dell’aumento dei costi per le imprese osservati in tutto il territorio nazionale. Una situazione di surplus nella gestione dei rifiuti urbani e di deficit sui rifiuti speciali è riscontrabile anche in Piemonte, dove l’elevato ricorso al trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani è propedeutico allo smaltimento in discarica, che dunque sottrae spazi ai rifiuti speciali non pericolosi delle attività produttive. I deficit impiantistici, peraltro, andrebbero colmati tenendo conto dei princìpi sanciti dalla gerarchia dei rifiuti, che predilige l’incenerimento con recupero di energia,

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riservando allo smaltimento in discarica il ruolo di ”ultima istanza”, coerentemente con gli obiettivi di riduzione delle quantità conferite in discarica stabiliti dal Pacchetto Economia Circolare. Al contrario, Campania, Lazio e Sicilia, presentano evidenti difficoltà nella chiusura del ciclo degli urbani e hanno gestito complessivamente non più di 300 mila tonnellate/anno di rifiuto speciale negli impianti asserviti al circuito urbano: in questi casi la mancata chiusura del ciclo urbano si ripercuote sul mercato degli speciali, contagiando per questa via tutto il territorio nazionale. Se per il Lazio le maggiori criticità originano dalla mancanza di capacità di smaltimento e di recupero energetico del rifiuto urbano residuo (ma non solo), in Campania, dove è utile ricordarlo una quota pari al 50% circa dei rifiuti urbani destinata a smaltimento e a recupero energetico trova accoglimento nell’unico impianto di termovalorizzazione di Acerra, le principali difficoltà si concentrano sui rifiuti speciali (con un deficit di circa 800 mila tonnellate/anno). Scendendo a un maggiore livello di dettaglio, la lente di ingrandimento del decisore pubblico dovrebbe soffermarsi sulle oltre 700 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi che sono destinate ai Paesi esteri. In questo caso, alle ricadute ambientali legate alla movimentazione del rifiuto si pone anche una questione di “strategia industriale”, laddove la competitività dei cicli produttivi viene ad essere esposta al rischio di un blocco delle importazioni nei Paesi di destinazione (le scelte politiche cinesi hanno reso evidente, nel caso della plastica, i rischi di una dipendenza dall’estero), e comunque di una perdita di opportunità di creazione di crescita economica e occupazione nelle gestione dei rifiuti. Una maggiore attenzione e consapevolezza circa i fabbisogni di smaltimento e avvio a recupero energetico anche di rifiuti classificati come non domestici prodotti nel territorio consentirebbe: 1. di calmierare i prezzi del mercato dello smaltimento e di fare fronte a situazioni emergenziali derivanti da picchi di produzione o da cali temporanei sul lato dell’offerta; 2. di realizzare impianti di dimensioni coerenti con i fabbisogni, sostenibili da un punto di vista economico e ambientale, e efficienti; 3. di sostanziare una principio di “responsabilità” e presidio delle istituzioni sui rifiuti prodotti dal territorio; 4. di assicurare la tracciabilità del rifiuto; 5. di garantire un elevato grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica; 6. di supportare la competitività delle imprese manifatturiere nazionali con servizi di trattamento dei rifiuti efficienti, sia sotto il profilo dei costi sia della logistica ed organizzazione dei servizi. Occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne la movimentazione e i costi per il sistema delle imprese. Le regioni sono chiamate ad assicurare ai territori le risposte coerenti con la soluzione dei problemi: una strategia impiantistica, che è anche il presupposto per superare la sfiducia e le resistenze di matrice ideologica che trovano terreno fertile nelle tante sindromi NIMBY (“Not In My Back Yard”).

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