ottobre 2015
Acqua N°50
La legge siciliana sul servizio idrico: un’intera Regione ripiomba nel caos Laboratorio SPL Collana Acqua
Abstract L’ Assemblea siciliana ha recentemente approvato il riordino del servizio idrico integrato. La nuova legge disconosce il ruolo dell’Autorità e le buone regole che in questi anni hanno faticosamente riportato la fiducia degli investitori nel servizio idrico. Un intero settore industriale ripiomba nel buio e AEEGSI non può fare altro che prenderne atto. Saranno ancora una volta i cittadini a farne le spese. Sulla Regione Sicilia pendono sanzioni comunitarie per 185 milioni di euro per i ritardi nella depurazione, le perdite di rete hanno raggiunto il 46%, 1,1 miliardi di euro di fondi CIPE destinati a interventi nella depurazione giacciono inutilizzati, il 46% delle famiglie non si fida a bere l’acqua del rubinetto, le interruzioni nell’erogazione e i disservizi non si contano: è in questi pochi numeri che si misura la “cifra politica” dell’autonomia. La Sicilia è una terra straordinaria con tanti problemi: ma per l’Assemblea siciliana non sono evidentemente abbastanza. The Sicilian Regional Assembly has recently approved the reorganization of the integrated water management. The new law disregards the role of the National Authority (AEEGSI) and the good rules, which in recent years have gained back, with difficulty, the investors trust. An entire industrial sector seems to be left in a moment of darkness and AEEGSI can’t but acknowledge that. Once more citizens will bear the burden.
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Acqua N°50
La legge siciliana sul servizio idrico: un’intera Regione ripiomba nel caos
La legge regionale siciliana e il dietrofront dell’Autorità Delibera 474/2015/R/IDR: riflettori accesi sul conflitto di competenze
Il conflitto istituzionale davanti alla Corte Costituzionale
La riforma del servizio idrico in Sicilia: un nuovo casus belli
Legge siciliana esautora AEEGSI
Un recente provvedimento dell’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (Delibera 474/2015/R/IDR) ha riacceso le luci sulla governance “alta” del servizio idrico integrato, e in particolare sul ruolo delle Regioni a statuto speciale e delle provincie autonome di Trento e Bolzano.
Le competenze legislative in materia di ambiente sono da sempre organizzate su molti livelli: lo Stato e le Regioni, in primis, e più di recente anche gli Enti di Governo d’Ambito (EGATO), senza che siano chiaramente definiti i rispettivi ambiti di azione. La riforma costituzionale del 2001 ha reso ancora più complesso il quadro di riferimento, distinguendo tra la “tutela” dell’ambiente, di competenza esclusiva statale, e la sua “valorizzazione”, di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. La giurisprudenza della Corte Costituzionale, chiamata a dirimere i conflitti di attribuzione in materia ambientale, si è pronunciata in modo non sempre coerente: quella che in uno stadio iniziale era un’impostazione possibilista e ispirata alla convivenza dei diversi livelli legislativi, anche e forse soprattutto per la eccessiva litigiosità delle controparti, è divenuta negli anni un orientamento di maggiore separazione di ruoli, che prelude, nei fatti, alla più netta distinzione cui il legislatore sta approdando con l’attesa riforma del Titolo V della Costituzione, in questi giorni approvata al Senato1.
L’ennesimo casus belli è offerto dalla recente legge di riforma del servizio idrico approvata dalla Regione Sicilia (legge 19/2015) negli ultimi giorni di agosto u.s., attraverso la quale l’assemblea siciliana, chiamata dopo la diffida dell’esecutivo a recepire le prescrizioni dello “Sblocca Italia”2, ha inteso delineare un assetto normativo e regolatorio che si pone in aperto contrasto con la disciplina nazionale. L’intervento legislativo della Regione Sicilia disciplina diversi aspetti: dai criteri per la determinazione della tariffa, all’approvazione delle proposte tariffarie, alla durata delle concessioni, alle decurtazioni della tariffa riservate ad alcune destinazioni d’uso, alla previsione di un quantitativo minimo vitale la cui erogazione non può essere sospesa, alle modalità di affidamento.
In alcuni passaggi la legge siciliana introduce varianti rispetto alla regolazione nazionale, in altri giunge ad esautorare il ruolo di AEEGSI prevedendo l’approvazione da parte
1 Si veda il Contributo n. 34 - Acqua - Riforma della Costituzione: sull'ambiente decide lo Stato, marzo 2015. 2 Si rinvia al Contributo n.22 - Acqua - Lo "Sblocca Italia" e l'inerzia delle Regioni, settembre 2014 e al Contributo n.24 Acqua - “Sblocca Italia”: tempi certi, poteri sostitutivi e responsabilità erariale, la via al consolidamento del settore, ottobre 2014.
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La legge siciliana sul servizio idrico: un’intera Regione ripiomba nel caos
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AEEGSI dichiara la decaduti i propri provvedimenti
Una richiesta di chiarimenti all’esecutivo
della giunta regionale delle proposte tariffarie formulate dagli EGATO. Accanto a questo introduce alcune previsioni chiaramente discriminatorie nei confronti delle gestioni non pubbliche che manifestano la volontà politica di tornare alle gestioni dirette da parte dei Comuni. La legge regionale ha cagionato una presa di posizione da parte di AEEGSI che ha annunciato la decadenza dell’efficacia dei propri provvedimenti sul territorio siciliano a far data dall’entrata in vigore della legge, oltre alla possibilità di revoca degli effetti dei provvedimenti già adottati in precedenza: si tratta in particolare di provvedimenti di approvazione delle tariffe, di determinazione d’ufficio delle stesse o di esclusione dall’aggiornamento, adottati in conformità al Metodo Tariffario Transitorio (biennio 20122013) e al Metodo Tariffario Idrico (2014-2015)3. L’azione di AEEGSI si presta a diverse letture, ma può verosimilmente essere interpretata alla stregua di un invito all’esecutivo a riportare la necessaria chiarezza in merito alla legittimità costituzionale della legge di riforma del servizio idrico in Sicilia.
Al di là dei risvolti giurisprudenziali che l’intervento di AEEGSI potrà eventualmente comportare appare utile soffermarsi su alcuni aspetti della legge siciliana.
La riforma del servizio idrico della Regione Sicilia: cui prodest ? Si abbandona il metodo nazionale: quali criteri per la tariffa ?
18 mc/anno a testa di acqua gratuita. Chi pagherà ?
In materia di regolazione tariffaria la legge lascia ampi spazi di discrezionalità alle singole EGATO siciliane nella determinazione delle tariffe. Il generico richiamo a quanto disposto dal Codice dell’Ambiente (art. 154 D.Lgs. 152/06) rischia di creare non solo un distacco rispetto ai criteri nazionali stabiliti da AEEGSI ma anche una eterogeneità di scelte, assetti e interpretazioni sul territorio siciliano. Una disposizione che si pone in contrasto con le più recenti pronunce della Consulta laddove si stabilisce che l’organo regionale è comunque tenuto a uniformarsi alle direttrici della metodologia tariffaria statale.
La legge prevede altresì una riduzione della tariffa del 50% nei casi in cui l’acqua non sia utilizzabile per fini alimentari e l’erogazione giornaliera destinata a soddisfare il fabbisogno minimo vitale (alimentazione e igiene), pari ad almeno 50 litri per persona (circa 18 mc/ anno a testa). Se la decurtazione della tariffa in ragione della scarsa qualità della risorsa idrica può essere in linea di principio condivisibile, qualche perplessità è sollevata dalla previsione di un flusso gratuito di acqua alle utenze finali in aree del territorio nazionale caratterizzate da elevati livelli di morosità endemica. Il gestore dovrebbe infatti assicurare l’erogazione di un quantitativo minimo di acqua indipendentemente dalla presenza o meno di condizioni di disagio economico, potendo esclusivamente tutelarsi con l’installazione di un limitatore di flusso. 3 Per l’elenco dettagliato dei provvedimenti AEEGSI riferiti al territorio siciliano si veda Allegato A alla Delibera 474/2015/R/ IDR.
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Organizzazione del servizio: le gestioni private o miste non sono gradite
Sembra abbastanza chiaro che una siffatta previsione, calata in contesti nei quali il servizio idrico paga già oggi il prezzo di forti squilibri economici e finanziari, è suscettibile di condurre all’impossibilità di una gestione economica, rispettosa del principio comunitario che prescrive la piena copertura dei costi di gestione e investimento, preludendo ad un ritorno alle gestioni pubbliche in economia laddove il costo del servizio è annegato nel bilancio degli enti locali. Andando oltre il versante tariffario, si riscontrano ulteriori criticità in merito alle scelte in materia di organizzazione del servizio. In particolare, gli interventi prospettati in materia di affidamento del servizio sono chiaramente indirizzati ad assicurare la proprietà pubblica delle gestioni, con un trattamento discriminatorio nei confronti delle gestioni private o miste.
La legge regionale prevede che la gestione del servizio idrico integrato possa essere affidata ad enti di diritto pubblico (aziende speciali, aziende speciali consortili, consorzi tra Comuni, società a totale partecipazione pubblica) a condizione che i Comuni componenti le assemblee territoriali esercitino il controllo analogo. Qualora invece gli affidatari della gestione siano privati, individuati attraverso procedura pubblica, la concessione potrà avere una durata massima di 9 anni e in tale periodo le condizioni economiche dell'affidamento non potranno mutare. Un limite temporale molto ristretto, che stride con i 30 anni indicati nello Sblocca Italia.
Interruzione del servizio: per il privato può condurre a risoluzione dell’affidamento
In dubbio anche il principio della “gestione unica”: riabilitate le gestioni dirette
Inoltre, per i gestori privati le condizioni economiche dell’affidamento non possono mutare per l’intera sua durata, restando a carico dell’affidatario gli oneri relativi ad eventuali varianti, per qualsiasi causa necessarie, ove funzionali all’espletamento del servizio.
Diverso appare anche il trattamento in caso di interruzione del servizio. Per il soggetto privato il contratto di affidamento sarà risolto qualora si verifichino interruzioni del servizio per oltre 4 giorni, se l’interruzione interessa oltre il 2% della popolazione; mentre nel caso di interruzioni di durata superiore al giorno il gestore sarà comunque chiamato a sostenere una penale per ciascun giorno di interruzione. Per il soggetto pubblico, invece, si prevede una riduzione delle tariffe a carico degli utenti finali proporzionale alla durata dell’interruzione.
Sono questi aspetti che si pongono in aperto contrasto con i principi di parità di trattamento e che sembrano trovare fondamento in una precisa volontà politica. Per quanto riguarda l’assetto organizzativo del settore, se da una parte la Regione mette mano alla riforma delle ATO suddividendo il territorio in 9 ambiti, dall’altra lascia facoltà ai Comuni che non hanno consegnato gli impianti ai gestori del servizio idrico integrato di gestire il servizio in forma singola e diretta, in chiara contraddizione con la normativa
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Acqua N°50 La legge siciliana sul servizio idrico: un’intera Regione ripiomba nel caos nazionale (Sblocca Italia) che prevede che gli Enti locali o i gestori senza titolo concessorio giuridicamente valido debbano consegnare gli impianti al gestore d’ambito.
A chi giova questa riforma del servizio idrico in Sicilia ?
Non da ultimo la previsione che, per i gestori pubblici già titolari di affidamento, la gestione può proseguire a condizione che non siano cedute quote di capitale a soggetti privati, sempre che l'attività prevalente della società sia rivolta agli enti pubblici soci e che questi esercitino nei confronti della società il controllo analogo. Il possesso di tale requisiti dovrà essere verificato per le gestioni attuali affidatarie entro 90 giorni dalla pubblicazione della legge, dai consigli comunali degli enti soci, che potranno anche modificare la durata dell’affidamento. Le stesse società potranno ampliare il proprio perimetro di gestione all'interno dell'ATO di riferimento stipulando appositi contratti di servizio con gli Enti locali interessanti o mediante il loro ingresso nella compagine sociale. Queste ultime previsioni sembrano promuovere un’idea di gestione unica d’ambito purché però sia affermata la natura interamente pubblica della proprietà del soggetto gestore. Accanto alle scelte di autonomia rispetto alla determinazione della tariffa, che sono discutibili ma che come vedremo rientrano con ogni probabilità nelle facoltà riconosciute alla Regioni a statuto speciale e alle provincie autonome, ciò che maggiormente perplime è l’opportunità di una legge che chiude le porte ad ogni sviluppo industriale del servizio idrico siciliano. Una legge che “rottama” ciò che di buono la regolazione AEEGSI ha fatto in questi anni, con regole che agli occhi di tutti gli osservatori hanno avuto il pregio di riportare la fiducia degli investitori e creare le condizioni per migliorare la qualità del servizio, realizzare depuratori e reti fognarie, ovvero quelle infrastrutture che particolarmente deficitano ad una regione, come la Sicilia, dove le condutture perdono quasi metà dell’acqua (il 46% in media), un quarto dei residenti lamenta interruzioni e disservizi nell’erogazione dell’acqua e quasi metà della popolazione non si fida a bere l’acqua del rubinetto (il 46%). A ciò si aggiunga, che a differenza del caso Valdostano o della Provincie autonome trentine, che vantano una tradizione di pubblica amministrazione efficiente, nel caso siciliano la situazione è ben diversa: lo testimonia la mancanza di capacità e organizzazione che impedisce di spendere gli 1,1 miliardi di fondi CIPE disponibili per realizzare i depuratori, a fronte di sanzioni comunitarie per 185 milioni di euro in arrivo per violazione delle direttive sulla depurazione stessa. Ciò che perplime è dunque l’opportunità di una siffatta legge nel contesto in cui si trova la Regione Sicilia: l’Assemblea siciliana si assume una grande responsabilità con la sua decisione, giacché i primi danneggiati saranno i cittadini.
Autonomia speciale e riforma del servizio idrico: i precedenti I precedenti della Provincia autonoma di Trento e della Valle d’Aosta
Nel recente passato la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PdCM) ha già impugnato in almeno due occasioni i provvedimenti delle autonomie regionali dinanzi alla Corte Costituzionale (Consulta): si tratta nello specifico delle norme approvate dalla Provincia
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Acqua N°50 La legge siciliana sul servizio idrico: un’intera Regione ripiomba nel caos autonoma di Trento, prima, e dalla Regione Valle d’Aosta, poi.
Le recenti sentenze della Consulta sanciscono una competenza esclusiva delle Regioni a statuto speciale sulla regolazione del servizio idrico, facendo conseguentemente decadere le funzioni attribuite dallo Stato ad AEEGSI.
E’ necessario fare chiarezza
Sembra opportuno ricostruire l’intersecarsi tra le leggi approvate delle autonomie locali, le sentenze della Consulta e il processo di riforma costituzionale in corso, anche per prefigurare la direzione più promettente degli sviluppi sulla materia.
Appare chiaro sin d’ora che la questione, che sta causando nuovi sconvolgimenti in contesti territoriali già provati da lunghi anni di inerzie e inadempienze, non potrà che essere risolta da un intervento chiarificatore del legislatore nazionale, che forse in passato, e sicuramente in occasione della precedente riforma costituzionale del 2001, ha sacrificato le tematiche ambientali, e con esse i destini del servizio idrico integrato, sull’altare dell’autonomia, e in particolare degli spazi di manovra riconosciuti alle Regioni a statuto speciale. Anche il testo della Riforma del Titolo V della Costituzione attualmente in discussione in Parlamento non sembra esente da controindicazioni.
La recente pronuncia della Consulta sul caso Valle d’Aosta Un precedente illustre: il caso Valle d’Aosta
Respinti i rilievi di illegittimità costituzionale
Potere alla Giunta regionale di determinare i modelli tariffari
Quello del conflitto di attribuzioni tra l’autorità di regolazione indipendente e le Regioni a statuto speciale si è arricchito di un precedente illustre nel luglio u.s. quando la Corte Costituzionale si è espressa sul ricorso promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (PdCM) nei confronti della legge regionale di disciplina del servizio idrico integrato adottata dalla Regione Valle d’Aosta (legge regionale 30 giugno 2014 n. 5) approvata nell’estate del 2014.
In questo caso, la Consulta4 ha rigettato i rilievi di illegittimità costituzionale promossi dalla PdCM per presunta violazione delle competenze statali esclusive in materia di tutela della concorrenza e dell’ambiente, tra le quali rientrano pacificamente, come in più occasioni riconosciuto dalla Corte Costituzionale, la materia tariffaria e la regolazione del servizio idrico integrato.
In discussione era dunque il passaggio della legge regionale valdostana che conferiva alla Giunta regionale la competenza di “determinare i modelli tariffari inerenti al ciclo idrico dell'acquedotto e della fognatura, tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, nonché della copertura dei costi diretti d'investimento e di esercizio, nel rispetto dei vigenti principi comunitari e statali in materia”5.
4 Sentenza n. 142/2015, pubblicazione in G. U. 15/07/2015 n. 28. 5 Art. 5, legge regionale Valle d’Aosta 30 giugno 2014 n. 5.
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Per la PdCM la determinazione della tariffa spetta allo Stato anche nelle Regioni a statuto speciale
Le regioni autonome hanno competenza primaria sul servizio idrico, se previsto dallo statuto La riforma del 2001 non ha ristretto competenze delle regioni a statuto speciale
Le regioni sono comunque tenute a conformarsi alla metodologia tariffaria statale
Secondo il ricorso della PdCM infatti spetterebbe allo Stato e, in particolare, ad AEEGSI, la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, come anche le funzioni di approvazione delle tariffe proposte dalle EGATO e la verifica sul rispetto dei criteri tariffari adottati. In particolare, per la PdCM la sottrazione del potere di regolazione tariffaria ad AEEGSI attraverso la normativa regionale avrebbe comportato l'impossibilità di garantire uniformità sul territorio nazionale dei livelli minimi delle prestazioni, secondo quanto prescritto dalle norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità6 , con l'effetto di privare gli utenti residenti nella Regione autonoma di quelle tutele previste per tutti gli altri residenti nel resto del Paese; in questo senso, la PdCM aveva anche richiamato una precedente sentenza nella quale la stessa Corte aveva sancito che «l'istituzione di un'Autorità indipendente è tesa a ridurre le criticità che potrebbero derivare dalla commistione, in capo alle medesime amministrazioni, di ruoli tra loro incompatibili, introducendo una distinzione tra soggetti regolatori e soggetti regolati»7.
Per la Corte la questione non tiene in dovuta considerazione le prerogative delle Regioni ad autonomia speciale, ovvero del fatto che alla Regione autonoma Valle d'Aosta deve riconoscersi “una competenza primaria in materia di organizzazione del servizio idrico, comprensiva dell'individuazione dei criteri di determinazione delle relative tariffe, che ne costituiscono il corrispettivo”.
In altre parole, la Corte ha riconosciuto una diversa ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni in funzione dell’ordinarietà o meno degli statuti regionali; in particolare, la Corte ritiene che alle Regioni a statuto speciale sia attribuita una competenza primaria e non concorrente a quella dello Stato nelle materie contemplate dai rispettivi statuti regionali, ricordando che persino il decreto che ha individuato le funzioni di AEEGSI ha previsto la “salvaguardia” delle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano8. Secondo la Consulta la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 non ha sostituito la competenza regionale con quella esclusiva dello stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente in quanto tale riforma, in forza del principio ricavabile dalla stessa legge costituzionale9, non ha ristretto l’autonomia riconosciuta alle regioni e alle province a statuto speciale.
Un giudizio che ricalca per analogia quanto affermato dalla Corte in un precedente ricorso della PdCM nei confronti della Provincia autonoma di Trento10.
Inoltre la Corte precisa, sempre riguardo al caso della Valle d’Aosta, che la norma regionale impugnata dalla PdCM richiama espressamente il rispetto dei principi europei e statali vigenti in materia tariffaria, con ciò intendendo che l’organo regionale è tenuto a conformarsi alle direttrici della metodologia tariffaria statale: per tale via risulta salvaguardato l’interesse statale a una regolazione stabile e idonea a garantire gli investimenti, l’efficienza
6 Legge 481/1995. 7 Sentenza n. 41/2013 8 Art. 4 del DPCM 20 luglio 2012. 9 Art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2011, n.3. 10 Sentenza n.233/2013.
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AEEGSI non menziona le precedenti sentenze della Consulta La legge siciliana presenta evidenti tratti discriminatori tra pubblico e privato
Su queste basi la semplice trasposizione delle precedenti pronunce della Corte al caso siciliano suggerisce che la risposta sulla questione vada ricercata nello statuto speciale della Regione Sicilia, laddove “le acque pubbliche”11 sono espressamente previste tra le materie che ricadono nella legislazione esclusiva dell’assemblea regionale. Pur tuttavia, il fatto che AEEGSI non menzioni espressamente le precedenti sentenze della Consulta tra i suoi considerando, sembra suggerire che la stessa AEEGSI ritenga necessario che la Consulta torni ad esprimersi anche sul caso siciliano.
In questa eventualità occorrerà tenere presente che, a differenza del caso della Valle d’Aosta, la legge siciliana presenta chiari tratti discriminatori, laddove prescrive un trattamento differenziato per le gestioni pubbliche rispetto a quelle private, che si pongono in contrasto con il mantenimento dell’equilibrio economico e finanziario, e che palesano la volontà di “scalzare” le gestioni non pubbliche dal territorio siciliano.
Rimane il fatto che dopo due pronunce della Corte Costituzionale la questione sembra prendere una direzione assai poco coerente, dove lo Stato, e per il suo tramite AEEGSI, hanno piena giurisdizione sul servizio idrico integrato nelle Regioni a statuto ordinario, mentre una giurisdizione separata, seppur coerente con le direttrici del metodo tariffario nazionale, è riconosciuta alle regioni a statuto speciale e alla province autonome, laddove prevista dai rispettivi statuti.
Ambiente e autonomie nella Riforma del Titolo V della Costituzione L’ambiente è competenza (quasi) esclusiva dello Stato
Ancora confusione nelle competenze di Stato e Regioni
A partire dalla situazione attuale sembra importante capire se la riforma costituzionale attualmente in discussione in Parlamento, nel testo approvato in prima lettura al Senato e alla Camera, contenga elementi utili a chiarire la questione. La nostra argomentazione è sviluppata lungo due direttrici: la declinazione delle competenze in materia ambientale tra Stato e Regioni, da un canto, e le prerogative riservate alle regioni a statuto speciale e alle provincie autonome, dall’altro.
L’ambiente, sia nel testo proposto dal Governo sia nelle versioni approvate in Commissione e quindi votate in prima lettura al Senato e alla Camera, è confermata materia a competenza esclusiva dello Stato12. Pur tuttavia, quando si passa a declinare le materie di competenza delle Regioni, l’ambiente, che nel testo proposto dal Governo non è mai citato (a rafforzare la competenza esclusiva dello Stato), nella versione approvata in commissione al Senato torna ad essere menzionato con la dicitura di “valorizzazione dei beni ambientali”, per divenire “promozione dei beni ambientali” nel successivo passaggio in aula al Senato, ed 11 Art. 14, comma 1, lettera i) dello statuto della Regione Sicilia: “Acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d’interesse nazionale”. 12 Art. 117 – Potestà legislativa (e regolamentare) di Stato e Regioni, comma 2, lettera s).
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In 10 anni oltre 200 pronunce della Consulta
Manca chiarezza sul perimetro di applicazione delle nuove norme costituzionali
In assenza di un’intesa tra Stato e Regioni a statuto speciale rimarranno in vigore i vecchi statuti
essere infine approvato con la stessa formulazione nel primo passaggio alla Camera dei Deputati.
L’ambiente che nel corso degli ultimi dieci anni è stato oggetto di oltre 200 pronunce della Corte Costituzionale in ragione della poca chiarezza fatta in occasione della precedente riforma Costituzionale del 2001, rischia di rimanere terreno di conflitto tra Stato e Regioni. Vi è poi un ulteriore aspetto che riguarda nello specifico le Regioni a statuto speciale e le provincie autonome.
Tra le disposizioni transitorie, nel testo proposto dal Governo, si legge che le disposizioni che prevedono l’immediata applicabilità delle disposizioni contenute nella nuova legge costituzionale non sono applicabili alle Regioni a statuto speciale e alle provincie autonome di Trento e Bolzano sino all’adeguamento dei rispettivi statuti. Pur tuttavia, già dal primo passaggio in Commissione al Senato, viene aggiunto al testo un passo che recita: “sulla base di intese con le medesime Regioni e Provincie autonome”, al quale nell’ultimo passaggio alla Camera dei Deputati viene aggiunto un periodo che recita: “sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione” (che istituisce e disciplina i casi di esercizio dei Poteri sostitutivi del Governo nei confronti di Regioni, Città metropolitane, Provincie autonome e Comuni). Un passaggio non chiarissimo quest’ultimo, che sembra rimarcare che in assenza di intesa tra Governo e Regioni a statuto speciale e provincie autonome continuino ad essere applicati gli statuti stessi. In tale eventualità il ricorso ai poteri sostitutivi sarebbe limitato alle casistiche disciplinate dall’articolo 120 della Costituzione ovvero:
• il mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria; • un pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica; • ovvero ai casi in cui l’intervento sia motivato dall’esigenza di assicurare l'unità giuridica
o l'unità economica, e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
In sintesi, con un siffatto testo di riforma costituzionale si corre il rischio che le Regioni a statuto speciale e le provincie autonome si chiudano dietro la mancanza di un’intesa per opporsi alla revisione dei rispettivi statuti, eventualità rispetto alla quale l’esecutivo avrebbe, allo stato attuale delle cose, armi assai spuntate.
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