Calliope Parte 1 Matteo stava camminando verso la stazione. Il calore ristagnava nelle strade, e l’asfalto sembrava vibrare nell’accecante luce d’Agosto. L’aria era ferma, ma i suoi capelli biondi galleggiavano ritmicamente nell’aria, conferendogli una buffa area puerile che male si sposava con le lunghe gambe coperte dalla altrettanto bionda peluria adolescenziale. Nonostante il sudore impregnasse la t-shirt di cotone e la gola fosse secca per la sete, queste gambe procedevano a tamburo battente, senza dare alcun segno di volersi fermare. Con un area estremamente rilassata Matteo proseguiva la sua celere marcia, incitato dal peso del piccolo zaino che portava alle spalle, che ad ogni passo sobbalzava leggermente, ricordandogli il contenuto. Ogni volta che pensava di rallentare o fermarsi sotto l’ombra di uno dei grandi alberi del vialone, per far calmare i giramenti di testa che lo assalivano in fitte intermittenti, bastava un colpetto dello zainetto per ricordargli la sua missione e che doveva concluderla al più presto. Solo per una cosa si fermò: un vecchio sudato e grinzoso era seduto vicino ad una fontanella e chiedeva l’elemosina. Il cappello a terra era vuoto e il poverino sembrava molto sofferente nell’arsura. La vuotezza di quel cappello fece molta pena a Matteo, che senza esitazione infilò la mano nella tasca dei pantaloncini, estraendone una banconota da cinque euro tutta stropicciata che depose nel cappello a terra. La smorfia di dolore del vecchio si convertì in un sorriso di gratitudine che gli riempì il cuore di sincera e disinteressata gioia, e lo incoraggiò a proseguire lungo il suo percorso con nuovo entusiasmo. Appena il vecchio stabilì che il ragazzino era sufficientemente lontano, arraffò la banconota e la nascose in tasca, per poi riprendere la pantomima. Allontanandosi, lo zainetto riprese a dondolare, e il senso d’urgenza riprese possesso di Matteo. L’agitazione e il calore gli davano le palpitazioni, e gli rendevano la testa ancor più leggera di quanto già non fosse. Quando svoltando a sinistra sul fondo della strada emerse il marmo bianco della stazione, più brillante che mai, iniziò a pregustare la soave freschezza del milkshake alla fragola di McDonald’s che gli sembrava di aver sognato per ore. E perché solo un milkshake? Due milkshake, uno alla fragola e uno al cioccolato, uno da bere e uno per intingerci le patatine. Patatine formato large. BigMac, anche quello large. Forse due anche di quelli. Era da tempo che non sentiva una fame del genere, la testa era leggera come una nuvola, e di certo il calore non aiutava. Ormai era arrivato alla stazione. Anche se da quando era finita scuola faceva avanti e indietro in treno quasi tutti i giorni per andare in centro, non aveva mai imparato a memoria gli orari dei treni, quindi non gli restava che sperare che il treno dell’una non fosse ancora passato, altrimenti avrebbe dovuto aspettare un’ora in stazione senza far niente. Poi il pesetto nello zaino colpì delicatamente la schiena, ricordandogli che la stazione era piena di polizia, militari e controllori. Non proprio l’ambiente ideale per stare stare seduto a guardare il vuoto per un’ora gli sovvenne. E proprio in quel momento, come se qualcuno avesse letto nei suoi pensieri, una guardia si materializzò davanti all’ingresso della stazione. Sicuramente pensandoci se l’era tirata da solo. Peggio ancora, la guardia aveva un cane. Già normalmente Matteo non si sarebbe definito un vero cinofilo, in quella situazione poi proprio non ci voleva. Quando aveva sette anni un suo compagno di elementari gli aveva detto che i dobermann potevano fiutare la paura, e dieci anni dopo non solo Matteo viveva ancora religiosamente secondo quel precetto scolpito nella pietra, ma lo aveva anche esteso a tutti i tipi di cane. Lo zaino sembrava più pesante che mai. La guardia se ne stava al centro dell’ingresso, scrutando distrattamente la piccola folla di passanti che si accalcava nell’ombra proiettata dalla stazione. Un’improvvisa onda di ansia crebbe velocemente dentro di lui, turbando in modo incredibilmente veloce lo stato di assoluta serenità e imperturbabilità in cui si trovava fino a pochi secondi prima. Pur di non passare vicino al cane Matteo avrebbe preferito attraversare la massa di corpi sudati che accalcavano la parte, scivolandone fuori solo quando la guardia era a distanza di sicurezza, ma tutti quei turisti affaticati costituivano un’omogenea ed invalicabile parete. Per quanto provasse e riprovasse disperatamente, non c’era alternativa che passare vicino al cane. Però non si decideva a passare, e dovette aspettare per un bel po’ prima di avere l’occasione giusta. Questa venne quando la guardia raccolse da per terra un volantino del teatro e si mise ad esaminarlo
attentamente. Matteo cercò di passare il più velocemente possibile ma proprio mentre pensava di essersela cavata, sentì il naso del cane sniffare contro lo zainetto. In un attimo il sudore gli si congelò sulla pelle. Se la guardia gli avesse chiesto di mostrargli cosa portava in giro non si sarebbe messa bene per lui. Ma il cane non abbaiò, e la guardia non disse niente, evidentemente distratta. Camminò velocemente in linea retta verso le macchinette dei biglietti, senza girarsi mai neanche una volta, sebbene sentisse i piccoli occhi del cane attaccati allo zainetto. Tirò un sospiro di sollievo e riprese un po’ di fiato. Il panico se ne andò tanto velocemente quanto era venuto, ripiombandolo in quello stato di relax in cui era prima. Ringraziò la buona sorte perché passare davanti al cane senza che fiutasse la sua paura era stato un vero colpo di fortuna. Iniziò quindi a smanettare con la macchinetta per comprare un biglietto. Ovviamente, con tutto il tempo che gli ci era voluto per entrare nella stazione, aveva perso il treno dell’una, quindi selezionò il biglietto per le due. Al momento di pagare si rese però conto che la macchinetta non accettava contante, quindi si spostò a quella a fianco, e rifece tutto il processo da capo. Questa volta per pagare inserì la banconota, ma la macchinetta la sputò fuori. Riprovò. Di nuovo fu rifiutata. E così la terza e la quarta volta. In un attimo si sentì svenire. Come era possibile? “è perché le macchinette non accettano banconote da cinquanta” disse il bigliettaio dietro al bancone, che Matteo era riuscito a trovare solo attingendo a tutte le sue capacità d’orientamento. “C’è scritto proprio sulla bocchetta delle banconote. Scusa ma dovrò andare a controllare che sia vera, sai, cinquanta euro sono un po’ tanti per pagare un biglietto da tre euro e cinquanta.” “Oh okay, ma le giuro sulla mia parola d’onore che sono veri!” disse Matteo guardando le spalle del bigliettaio che si allontanava. Mentre aspettava, una ragazza con uno splendente sorriso gli si avvicinò chiedendo se voleva sapere il suo oroscopo e offrendo un volantino con delle stelline e delle scritte bianche in comic sans. “Stiamo promuovendo un nuovo servizio di astrologia, cercaci sui social.” Dopo aver esaminato il volantino per qualche istante disse “Oh, lo farò certamente! Io leggo spesso l’oroscopo...”, ma la ragazza era già in cerca di altra gente a cui rifilare volantini. “Sei stato fortunato,” disse il bigliettaio tornato dietro al bancone con il resto e il biglietto. “Questo è l’ultimo treno di oggi, essendo Agosto e domenica hanno cancellato un sacco di tratte regionali minori con pochissimo preavviso” “Effettivamente oggi mi sento proprio fortunato! Lo dice anche il mio oroscopo! Senti qua Venere in gemelli, preparatevi a possibili incontri speciali!” Ma proprio in quel momento qualcosa iniziò a vibrare molto rumorosamente. Per un attimo Matteo non capì e guardò il bigliettaio, supponendo che non potesse essere il suo telefono a vibrare, lui teneva sempre la suoneria accesa e rumorosa. Quindi rivolse al bigliettaio un largo sorriso sereno. Quella vibrazione aveva un effetto sorprendentemente piacevole e rilassante. Il bigliettaio, che aveva ancora in mano il biglietto e il resto, e che iniziava a spazientirsi per tutto il tempo che quel moccioso sudato ci stava mettendo a prendere quel santo biglietto disse, “Credo che il suo telefono stia vibrando.” Rendendosi conto della situazione Matteo si tuffò nello zaino, estrasse l’Iphone dorato che vibrava ferocemente e con dopo un paio di tentativi fallimentari riuscì a farlo tacere. Rivolse un sorriso apologetico al bigliettaio, che ormai guardava Matteo con plateale ostilità, prese il biglietto e se ne andò a comprare da mangiare al McDonald’s. Conquistata a fatica una panchina più o meno in ombra, vi ripose la grande busta di cibo che aveva comprato, dalla quale con la mano destra estrasse una porzione large di patatine fritte, afferrando con la sinistra il milkshake alla fragola. Gli sembrava di essere a digiuno da anni. Niente era meglio della consistenza delle patatine che si mischiavano al gusto di fragola in un trionfo di grasso e zucchero nella sua bocca unticcia. Ad un certo punto, sollevando il volto dal cartoccio di patatine, gli sembrò di avere una visione. Una figura etera si stagliava contro la luce proveniente dall’ingresso della stazione. Come se tutti i treni avessero deciso di tacere in onore dell’arrivo di quella creatura divina, tutto quello che gli sembrava di sentire era il rumore dei tacchi contro il pavimento. Riuscì appena a metterla a fuoco a fatica, distinse infantilmente corti e morbidamente mossi capelli biondi che ondeggiavano ad ogni passo, insieme ad uno spolverino beige semi trasparente e leggero, che a tratti svelava una canottiera nera infilata in dei pantaloni lunghi ed
aderenti anch’essi neri. Sebbene non si trattasse di un abbigliamento particolarmente fresco, neanche una goccia di sudore imperlava la pelle appena bronzea. Il volto armonico era appena velato da una sublime sfumatura di dolore. Sembrava camminare dritta verso Matteo, quando improvvisamente si abbandonò aggraziatamente sulla stessa panchina, con lo spolverino che per effetto della discesa la avvolgeva come le ali di un angelo caduto. Quasi contemporaneamente si portò le mani al viso, iniziando a singhiozzare vistosamente. Per circa un minuto intero Matteo non fece niente, con la bocca aperta, pronta a tuffarsi nel cartoccio di patatine. Mettere a fuoco gli risultava un po’ difficile, quindi si concentrò sulle cose semplici che gli passavano per la testa. Sebbene in seconda analisi lo spolverino avesse un taglio vagamente maschile e la cortezza dei capelli le desse un’area da ragazzino, la creatura davanti a lui era fragile, indifesa, puramente femminile. La vicinanza e la temperatura certamente non contribuivano a rendergli le idee più chiare. Ad un certo punto lei sembrò smettere di piangere, ma dopo che gli ebbe rivolto uno sguardo inquisitorio, i singhiozzi ripresero ancor più violenti di prima. Sentendosi chiamato in causa, Matteo le posò una mano unta sulla spalla e le chiese, “Va tutto bene?” Lei, come se non si fosse accorta della sua presenza fino a quel momento disse, “Oh… Scusami… Io mi sono seduta senza neanche chiederti...” e si abbandonò ad un altro virtuosismo di singhiozzi. “Ma che scherzi, mica l’ho comprata la panchina, eh. Ma che t’è successo?” “Oh… La mia povera sorellina… Tutta sola a casa… E io come farò a raggiungerla?” disse lei, strofinandosi gli occhi con le mani. Matteo, che sentiva ancora la testa molto leggera, era piuttosto confuso. Si prese un minuto per inquadrare bene la situazione e poi chiese, “Scusami come ti chiami?” La ragazza sembrò presa in contro piede “Cal-Cala” “Hai detto Cara?” “Carla, mi chiamo Carla” “Oh mi sembrava di aver sentito Cara” “Eh no, mi chiamo proprio Carla” “Beh Carla, è davvero un piacere conoscerti, io mi chiamo Matteo, come posso aiutarti?” disse lui, cercando di suonare sicuro e cavalleresco. “Beh vedi, devo prendere il treno subito… La mia sorellina è sola a casa… E… Oh, ma come farò?” e riprese a sussultare convulsamente. Matteo, che a ogni singhiozzo riceveva una piccola pugnalata al cuore disse “Ti serve una mano a fare il biglietto? Per favore lascia che ti aiuti” a questo Carla reagì subito dicendo “Sei davvero gentilissimo, odio dover approfittare di te ma vedi, il problema non è fare il biglietto, ma è che purtroppo non ho il portafogli con me, e la mia povera sorellina è rimasta tutta sola a casa… E io devo raggiungerla assolutamente...” “Non un’altra parola” disse Matteo fermamente, vedendo che la voce di Carla s‘incrinava di nuovo. Si alzò, ficcò patatine e milkshake nella busta che poi prese sotto un braccio, poi offrì l’altro a Carla per aiutarla ad alzarsi, e lei non esitò ad afferrarlo e a sorridergli, per poi dirgli “Ti sarò eternamente grata” “Che treno devi prendere?” “Quello delle due e tre minuti” “Ma non mi dire! È il treno che devo prendere anche io!” anche se lei non sembrò particolarmente entusiasta all’idea, s‘incamminarono insieme verso le macchinette. In un lasso incredibilmente breve di tempo Matteo si ritrovò di nuovo a parlare con il bigliettaio. “Ma sei sicuro di aver letto bene le istruzioni sulla macchinetta sta volta?” “Ti giuro che non mi fa comprare il biglietto! E ora ho anche il taglio giusto di banconota.” “Non era quello che avevo chiesto ma andrò comunque a dare un’occhiata, aspettate qui”. Quell’attesa metteva Matteo leggermente a disagio. Voleva procurare a tutti i costi il biglietto a Carla, si rendeva conto che a tipi come lui non venivano concesse molte occasioni per fare colpo su tipe come Carla, in più aveva preso davvero a cuore la causa, e sebbene non capisse bene tutta quella storia della sorellina, percepiva l’ansia di Carla come se fosse la sua. L’intesa fra loro era incredibile. Ma non era solo il silenzio la causa del disagio. A prima vista gli era sembrata più bassa,
ma nonostante lui fosse perfettamente nella media per altezza, e anzi potesse essere ritenuto sufficientemente alto, lei gli dava un notevole stacco. Lui si diceva che senza tacchi lei sarebbe sicuramente stata più bassa, ma in quel momento si sentiva leggermente sopraffatto da quella presenza così potente. Per colmare il silenzio disse “Vorresti un po’ di cibo spazzatura del Mc? Cioè, è uno schifo eh, per niente raffinato, poi io volevo un bigmac, ma la cassiera mi ha consigliato quest’altro menu, che cioè, non è male eh, però il bigmac non si batte, comunque i milkshake non sono niente male alla fine dei conti…” Con un sorriso mite e delicato Carla rispose “No grazie, ho già mangiato”. Era incredibile come il silenzio fosse così pesante in una stazione dei treni. “Uh!” disse finalmente Matteo “Vorresti sapere il tuo oroscopo? Io sono un sacco in fissa ...”, un’ombra di curiosità (o forse perplessità?) velò il volto di Carla “Ehm … Sì certo, sicuro, anche io sono un sacco in fissa con … con queste cose” Ma proprio in quel momento tornò il bigliettaio. “Sembra che alla fine tu non avessi sbagliato niente, in effetti è che non ci sono più posti disponibili sul treno. Anzi guarda, il tuo mi sa che è stato proprio l’ultimo biglietto”. L’espressione commossa e fiduciosa di Carla svanì, e una nuova tensione si appropriò del suo volto. Matteo non aveva notato quanto fossero scuri gli occhi di Carla fino al momento in cui, guardandolo dritto negli occhi, questa gli rivolse un sorriso tiratissimo che in un secondo si sciolse in una maschera di disperazione. Parte 2 Nella sua vita aveva imparato a non aspettarsi nulla, a non dare niente per scontato, essenzialmente a non credere a nulla se non in una cosa sola. E al contrario di tutto il resto, questa costante non era mai cambiata. Il primo Agosto era una giornata di sole, ed era stata una giornata di sole per ventisette anni. Incidentalmente, il primo Agosto era anche il suo compleanno. Calliope si svegliò quella mattina molto presto e si assicurò di uscire di casa prima che il marito se ne accorgesse. Non amava celebrare il suo compleanno e, coerentemente non si crucciava del fatto che pochissimi lo ricordassero. Ma certamente le piaceva spendere del tempo da sola e quell’anno aveva la scusa perfetta. Fin dai tempi del liceo aveva portato i capelli neri, come erano naturalmente, e lisci, come permetteva la piastra. Il taglio era sempre lo stesso, lunghi fino alle spalle, anche se spesso era difficile determinare la lunghezza, dato che la maggior parte del tempo erano raccolti in un’impeccabile e professionale coda bassa. Recentemente aveva meditato di cambiare, ma era certamente una decisione difficile, quindi suo padre ci aveva pensato per lei, regalandole un appuntamento da un parrucchiere in centro, molto chic, molto costoso. Sebbene non si sentisse ancora del tutto convinta decise di andare comunque, quindi chiamò un taxi e si fece lasciare davanti ad un bar a poco meno di un isolato di distanza dal salone. “Ti sei appena svegliato?” disse Calliope con il tono più velenoso che poté produrre al cellulare, dopo aver accettato la chiamata del marito. “Ti rendi conto che ho provato a chiamarti ventidue volte? Ventidue.” “Tesoro! Tanti auguri?” “Ho bisogno che ti concentri, mi trovo in una situazione difficile...” “Ho appena visto la foto che hai mandato sul gruppo! È un cambiamento drastico eh? Stai benissimo, sembri un sacco più giovane” “Sembro una ragazzina, anzi un ragazzino, ma non è questo il punto, per favore ascoltami ...” “Tesoro senti ho bisogno che torni a casa subito.” La frustrazione era un sentimento con cui Calliope era abituata a fare i conti quando si trattava di parlare con suo marito, ma quest’ultima frase la condusse all’esasperazione. Cercando di mantenere un certo contegno, con voce assolutamente atona e irremovibile disse: “Devi stare zitto. Ho perso il portafogli. Sono a due fermate della metro dalla stazione eho i tacchi. Devi venirmi a prendere.” “Oh mio Dio ma come è successo? Mamma mia poi proprio il giorno del tuo compleanno, è davvero una sfortuna...” “Non esiste la fortuna, mi vieni a prendere?”
“Tuo padre non può venirti a prendere?” “Ho chiamato prima lui di te. Non rispondeva neanche lui.” “Tesoro mi dispiace tantissimo… Ma devi assolutamente tornare a casa il prima possibile.” “Ma hai capito che non ho il portafogli? Non ho soldi, né carte, al salone già non ce l’avevo più altrimenti l’avrei trovato, e al bar dove ho fatto colazione la tizia ha detto che non hanno trovato niente, che poi era affollatissimo quando ci sono tornata, quindi chiunque potrebbe averlo preso dal bancone … C’era anche il telefono di lavoro dentro, porca miseria.” “Potresti provare a chiamarlo no?” “Non credo risponderebbero...” “Vabbè, prendi il primo treno che passa.” “Ma sei tardo? Non ho soldi, e la stazione è lontana… Ma si può sapere che hai combinato?” “Non ti serve il biglietto per andare in treno, basta che superi i controllori ai tornelli e lì puoi passare anche con un biglietto della metro.” “Certo e poi una volta sul treno il controllore mi butta giù alla prima fermata con una multa di cento euro, e poi come mi dovrei procurare un biglietto della metro esattamente?” “Ma per terra in stazione sarà pieno, ai tornelli mica si mettono a controllare esattamente il biglietto, e poi sui regionali non passano mai i controllori, è davvero necessario che torni a casa, adesso.” Era preoccupazione quella nella sua voce? “Ma si può sapere che è successo?” “Ma niente di che… Cioè, per favore… Per favore torna a casa, il prima possibile.” “Ti giuro che se devo fare tutto questo per qualche cazzata che hai combinato è la volta buona che ti uccido nel sonno.” “Ti amo tesoro.” “Sì, sì, certo,” e attaccò. Era l’ora più calda del giorno. Dopo una serie di estati condotte fra studi refrigerati, palestre congelate, e macchine climatizzate, si era disabituata a vestirsi davvero stagionalmente, e adesso, mentre camminava sui tacchi lungo il marciapiede dissestato, lo spolverino beige che indossava le risultava ingombrante e soffocante, ma non si voleva concedere neanche un minuto per toglierselo. Voleva uscire da quella situazione il prima possibile. Cambiare taglio era stato già un errore, il colore poi era venuto orribile. Puntava ad un platino cattivo, e invece aveva ottenuto un color fieno marcito, senza contare che dopo dieci metri sotto al sole d’Agosto la piega se l’era già giocata e i capelli iniziavano ad assumere le loro onde naturali, che Calliope era solita sopprimere spietatamente a colpi di piastra. Ad un certo punto considerò davvero di togliere i tacchi, la trattenne solo il pensiero che il cemento era probabilmente incandescente. Ogni tanto chiudeva l’applicazione del navigatore (che aveva aperto solo per sicurezza) per chiamare il numero di lavoro, ma per le prime tre volte nessuno rispose, la quarta attaccarono. Non era sorpresa di aver ricevuto la conferma dei suoi sospetti. Durante il tragitto verso la stazione le sembrò di perdere più di una volta cognizione del tempo, anche se il navigatore le segnalava continuamente, con la sua voce elettronicamente irritante, che mancavano solo venti, dieci, quattro, due minuti alla sua meta. Ovviamente ci mise meno del previsto ad arrivare, ma non abbastanza per prendere il treno dell’una. Sconsolata si concesse un momento per riprendere fiato, per poi avviarsi verso le macchinette dei biglietti. Certamente il piano del marito non avrebbe funzionato (senza contare che per terra non c’era neanche un biglietto della metro), ma magari nei bocchettoni delle macchinette qualcuno aveva lasciato un po’ di resto. In fondo le servivano solo tre euro e cinquanta. Certo, che una ragazza in Louboutin dovesse competere con i barboni per racimolare un paio di monetine era un po’ umiliante, infatti dopo aver esaminato senza alcun successo un paio di bocchettoni decise di rinunciare. Si trovava di nuovo ad un punto morto, quando vide un ragazzino agitarsi tutto vicino ad una macchinetta, con una banconota da cinquanta euro in mano. Aveva un aspetto sgangherato e gli occhi un po’ arrossiti. Sebbene non volesse essere ricordata per quello, Calliope era ben cosciente del fatto che la sua presenza fisica poteva sortire un certo effetto sul prossimo, specialmente se il prossimo era un adolescente in piena pubertà in una calda giornata d’estate. Proprio quando aveva deciso di avvicinarlo il ragazzino si allontanò dalle macchinette.
Calliope iniziò quindi a seguirlo mantenendo una certa distanza, aspettando il momento più opportuno per colpire. Questo giunse quando il ragazzino si sedette da solo su una panchina mezza al sole a mangiare una quantità disgustante di cibo del MacDonald’s, ungendosi completamente faccia e mani. Ovviamente non poteva andare lì, mettere le mani inanellate d’oro a conchetta e chiedere tre euro e cinquanta. Serviva qualcosa di più plateale, che lo distraesse dalle parti più costose della sua mise. Era un momento che richiedeva tecnica e strategia, un’esibizione teatrale, non sarebbe servito niente di complicato, bastava solo metterlo nella condizione di poterle offrire il suo aiuto. Parte 3 A quanto pareva, tutto quello che aveva passato quel giorno non era abbastanza. Ovviamente non bastava aver cambiato completamente aspetto, perso il portafogli, aver convinto un ragazzino a comprarle un biglietto per il treno, ma ora doveva anche convincerlo a cederle il suo biglietto, lasciandolo con l’alternativa di o perdere l’ultimo treno o rischiare di essere cacciato dal treno nel bel mezzo di niente con una multa. Ripensandoci, era lo stesso bivio a cui si trovava lei, solo che lei stava cercando di scavarsi una terza strada. Praticamente l’unico modo per scappare dalla sua situazione difficile era metterci lui al posto suo. E in realtà non è che gliene importasse tanto eh, non le importava niente se quel ragazzino un po’ imbranato che si era così genuinamente prodigato ad aiutarla restava lì in stazione tutto solo per cedere il suo posto a lei. Era una questione di sopravvivenza, si disse, come nella giungla. E nella giungla conta solo la legge del più forte, non c’è fortuna, non c’è fidarsi o meno, chi si fa fregare è finito. E questo era il momento di concentrare tutte le sue abilità nell’ottenere quel biglietto. In fondo non sarebbe stato neanche troppo difficile, in quel momento, con l’area smarrita e un po’ confusa, come se non riuscisse a concentrarsi su niente, Matteo sembrava la preda perfetta. “la fine” disse Carla con un filo di voce. Negli occhi scuri di lei, che per un momento gli erano parsi pervasi da una forza furiosa, gli sembrò che improvvisamente fosse calato un velo di disperazione. La situazione era davvero difficile. Non c’era possibilità che Carla decidesse di parlargli di nuovo mai nella sua intera vita a meno che lui non le cedesse il biglietto. Allo stesso tempo se lui non avesse avuto il biglietto non avrebbero potuto fare il viaggio di ritorno insieme, e sarebbe stato tutto inutile ugualmente. A questo punto tanto valeva tenersi il biglietto. “Non è che magari c’è un autobus?” provò a dire, ma non appena furono pronunciate quelle parole gli sembrò davvero che Carla stesse per avere un mancamento. In un attimo si abbandonò ad un accesso di pianto, e con grande sorpresa di Matto, posò la sua delicata testa bionda contro la sua maglietta sudata. “Oh mi dispiace così tanto… La mia povera sorellina tutta sola a casa… Senza nessuno che se prenda cura… Nel giorno del suo compleanno.” Il contatto aveva fatto uno strano effetto a Matteo. Da una parte la testa sembrava girargli più forte di prima, dall’altra gli sembrava di sentire dei nitidi stimoli fisici provenienti da diverse aree del suo corpo. La gola era improvvisamente secca, ma invece di usare il braccio per avvicinare la cannuccia del milkshake alla bocca, decise di posarlo intorno a Carla. A causa della differenza di statura la posa risultava particolarmente scomoda ed impacciata, ma Matteo si poteva ritenere molto soddisfatto. Poi le parole di Carla iniziarono a mettersi ordine nella sua testa. “Su, su, spiegami cos’è questa storia di tua sorella”. Con la voce soffocata dal pianto e dal contatto con la maglietta di Matteo, Carla disse: “ il suo compleanno, compie appena… sette anni… E i miei genitori mi hanno detto che non potranno tornare in tempo… Quindi io devo prendermi cura di lei capisci? La gioia di una povera bambina di sette anni dipende dal fatto che io prenda quel treno. Non solo questo, ma anche la mia gioia, in quanto non potrei sopportare l’idea di aver deluso così profondamente mia sorella...” E si concesse un altro sfogo di pianto.
Matteo si sentiva davvero in conflitto, ma la bontà del cuore di Carla lo commuoveva davvero. Il suo fine era puro come il suo aspetto. Tanta era la commozione che gli sembrò di essere in punto di piangere anche lui. Solo al pensiero di salire su un treno senza biglietto nelle sue condizioni gli saliva un’ansia incredibile, ma allo stesso tempo lei era stata così sfortunata, e a lui invece quel giorno era andato tutto molto bene. Improvvisamente fu colpito da un’epifania: forse questo era l’universo che gli chiedeva di compiere una buona azione, in compenso per la fortuna di quella giornata; se avesse fatto ciò che l’universo chiedeva certamente sarebbe stato ricompensato! D’altronde se il cuore di Carla era davvero così grande, non si sarebbe scordata facilmente del ragazzo che aveva contribuito a salvare il compleanno della sorellina. Certamente se le avesse dato il nome di Instagram lei l’avrebbe cercato e si sarebbero rimessi in contatto. Infondo credeva profondamente che bisognasse credere nelle persone, e questo era il momento di mettere quel principio in atto. “Se solo ci fosse un modo in cui io ti potessi accompagnare, anche dandoti il mio biglietto” “Faresti davvero questo? Cederesti il tuo biglietto per la mia felicità? Questo è un atto di vera cavalleria… Uomini così non se ne trovano più...” Carla disse con voce commossa, stringendosi ancora di più a Matteo. “Ma è ovvio, come potrei permettere che la tua sorellina resti sola il giorno del suo compleanno? L’unica cosa che davvero mi disturba è che non posso accompagnarti...” “Beh… Forse c’è un modo… Ma non lo so…” “Che intendi?” una strana espressione si stava delineando sul volto di Carla, come se avesse detto qualcosa che non doveva. “Ehm, okay, era una cosa che faceva... il mio ex ragazzo… Praticamente bisogna passare ai tornelli con un biglietto della metro e poi si sale sul treno… Però capisci che io non sarei mai capace di fare niente del genere! Mi manca la forza, il coraggio! Poi quando mento si vede lontano un miglio!” “Ma è un piano geniale! Tu prederai il biglietto vero, io quello della metro, ci rincontreremo dietro ai tornelli e poi saliremo sul treno insieme!” Carla, che nel frattempo si era divincolata, non sembrava tanto entusiasta quanto Matteo si sarebbe aspettato, ma poi gli venne in mente che probabilmente stava pensando alla sorellina. “Oh ma guarda che ora che si è fatta! Ti dispiace se ti precedo? Così posso dire al capo treno di aspettarti qualora stesse per partire...” “In realtà abbiamo ancora qualche minuto...” ma l’espressione di Carla non ammetteva replica, era come se fosse esasperata e stesse per mettersi a piangere allo stesso tempo. Così Matteo prese il biglietto che aveva comprato prima e lo diede a Carla, spazzando via l’esitazione pensando che era quello che l’universo gli stesse chiedendo di fare. Quando si separarono Matteo rimase qualche momento immobile a vedere Carla allontanarsi. Non si girò neanche una volta. Lui si avviò allora a fare il biglietto per la metro, ma ovviamente proprio in quel momento c’era fila. Effettivamente iniziava a farsi un po’ tardi, poi il treno partiva sempre dal binario più lontano, quindi ci avrebbe messo un po’ a raggiungerlo. Iniziava a temere che avrebbe perso il treno. Il panico lo rendeva molto irrequieto e l’agitazione lo fece ricominciare a sudare. Alla fine quando riuscì a fare il biglietto dovette correre verso i tornelli sfruttando il poco fiato che gli era rimasto, ed incespicando nelle sue stesse gambe un paio di volte. Passò i rulli senza problemi e a quel punto riprese la corsa matta verso il treno, con lo zainetto che lo colpiva sulla schiena ad ogni passo. Alla fine arrivò appena in tempo, mentre la capo treno stava chiudendo le porte degli ultimi vagoni, un vero colpo di fortuna. Carla non l’aveva aspettato sulla banchina, e ora non aveva idea di dove si fosse seduta. Iniziò a camminare attraverso le carrozze, quando il treno partì e l’alto parlante avvertì i passeggeri di sedersi. In quel momento Matteo si ricordò di essere un clandestino su quel treno, e che forse sarebbe stato meglio stare fermo e cercare di dare nell’occhio il meno possibile. I suoi pensieri erano rallentati da una strana nausea, e ancora doveva riprendere il fiato per la corsa che aveva dovuto sostenere. Attraversò un’altra carrozza, senza risultato. Neanche arrendersi gli era concesso, dato che il treno era gremito e sembrava non ci fossero più posti a sedere. Ad un certo punto di sedette per terra, un po’ per il mal di testa e un po’ per la disperazione, e neanche si accorse delle occhiatacce dei passeggeri. Poi però riprese la sua ricerca, e avrebbe
attraversato l’intero treno se non fosse stato per il fatto che nella carrozza in cui approdò c’era la capo treno che controllava i biglietti, la quale appena lo vide in piedi si diresse dritta verso di lui per dirgli, “I passeggeri devono stare seduti mentre il treno è in movimento”. Matteo era un po’ confuso, il movimento del treno gli stava aumentando la nausea, con la campagna che scorreva fuori i finestrini che si mischiava nei suoi occhi in un’unica vibrante onda verde. La capo treno aveva un’area autoritaria e Matteo si sentiva molto intimidito e spaventato. “La prego di sedersi e di mostrare il documento di viaggio” lo incalzò la capo treno, con tono sempre più impaziente “Documento di viaggio?” “Il biglietto, sai che se non hai il biglietto dovrai scendere alla prossima fermata e ti becchi pure la multa no?” Tutte le confuse sensazioni che stava provando in quel momento vennero annientate dal panico e dalla disperazione. Era la fine, voleva solo mettersi a piangere. Come avrebbe spiegato ai suoi tutta quella storia? Sicuramente la capo treno si sarebbe accorta che non era tutto regolare, aveva uno sguardo che poteva leggere nell’anima, e l’anima di Matteo in quel momento non voleva essere letta. Pensò che le gambe non l’avrebbero retto più, quando inaspettatamente sentì una mano delicata posarsi sulla sua spalla “Matteo! Non ti trovavo più! Mi hai fatto prendere un colpo, non devo più lasciarti andare in giro da solo,” disse Carla con un tono molto diverso da quello di prima. Era comparsa proprio come un angelo venuto a salvarlo. Matteo vide Carla mostrare il suo biglietto alla capo treno, e poi avvicinarla, quasi come per dirle un segreto. Poté sentirla dire, “Mi dispiace molto per il disagio, non è che potrebbe fare un’eccezione per il mio fratellino? Vede, non è che ci sta proprio tutto di testa” Evidentemente anche la capo treno non poteva restare indifferente alla presenza fisica di Carla e dopo un attimo le disse “Solo per questa volta, la prossima dovrò multarlo come chiunque altro.” “Grazie mille!” esclamò Carla dolcemente mentre la capo treno si allontanava. “Carla sei tu?” riuscì in fine a dire. “Il mio nome è Calliope, su siediti qui”. Il fatto che l’unico posto rimasto su tutto il treno fosse proprio quello vicino a lei non poteva essere niente più che una coincidenza. Non ci aveva pensato che il biglietto che Matteo le aveva dato era anche l’ultimo che era stato venduto, e che quindi necessariamente qualcuno si sarebbe dovuto sedere vicino a lei. Si ricordò però che Matteo non era lì con un biglietto venduto regolarmente, e che quindi nessun posto in teoria doveva essere destinato a lui. Il che significava che qualcuno aveva perso il treno, e che lei aveva scelto di condividere il posto proprio con quell’unica persona che aveva perso il treno. E adesso lì c’era seduto Matteo. Niente più che una coincidenza, si disse, mentre guardava Matteo sedersi goffamente, con un’espressione di grande confusione stampata in viso. “Scusa ma ero sicuro di aver capito che ti chiamassi Carla.” “Penso che qui sia io a doverti le mie scuse. Il mio nome è Calliope e ti ho mentito su un bel po’ di cose” “Oh… Quindi non è il compleanno della tua sorellina?” “In realtà non esiste alcuna sorellina… Però è il mio compleanno.” “Ah sì? Tanti auguri! Magari poi possiamo andare a prendere qualcosa insieme per festeggiare...” “Compio ventisette anni.” “Oh.” “In realtà non ti ho mai detto quanti anni avevo, quindi su quello non ho proprio mentito.” “Certo. Quindi questo è il tuo hobby preferito? Andare in giro il giorno del tuo compleanno a rubare i biglietti del treno a la gente?” “Okay, questa era cattiva ma ci stava. Mi dispiace, davvero, ma mio marito ha combinato qualche guaio di cui non mi vuole parlare, quindi non solo nel giorno del mio compleanno devo tornare a casa a sistemarlo per lui, ma devo anche tornarmene a casa da sola...”
“Oh, mi dispiace. Dai non fa niente. Alla fine avresti potuto lasciarmi in balia di quella terribile donna, e hai deciso di usare i tuoi super poteri per aiutarmi” “I miei super poteri?” “Beh insomma, tutti pendono dalle tue labbra quando parli. Sei la ragazza più bella che io abbia mai toccato e sono sicuro che molti la penserebbero come me” “Cosa?” “Quello che voglio dire è che sei forte, e che alla fine mi hai aiutato a restare sul treno. In un certo senso sei una super eroina.” “Certo.” “Poi non hai paura di parlare con le persone. Ad esempio adesso, nonostante tu mi abbia ingannato, mentito, ammaliato, manipolato, raggirato...” “Abbiamo capito.” “Vedi? Nonostante tutto hai ancora la faccia tosta di parlarmi! Molti si arrabbierebbero con te, ma non io, io ti ammiro sinceramente, e non solo per il tuo aspetto, ehm, fisico.” “Grazie, anche tu non sei tanto male.” “Io a confronto con te sono una pippa! Cioè, se non avessi fatto tutta quella scenata non sarei mai riuscito a parlarti. E lo stesso mi succede con tutti gli altri, i miei compagni di classe, quelli di calcio, i miei amici. Faccio un sacco di cose stupide solo per farmeli buoni. Cioè, molte delle cose che faccio le faccio perché alla fine mi diverto, però magari non le avrei mai fatte se non ne avessi sentito la necessità. Per stare con gli altri, intendo.” “Wow. Davvero non mi sarei aspettata un pensiero del genere da te. Scusami, che cosa sciocca da dire. Comunque non dovresti cambiare come sei per gli altri.” “Non pensi che sia un po’ una frase fatta?” Calliope si mise a ridere, questa volta sinceramente. “E insomma che ha combinato tuo marito?” disse Matteo, colmando un cheto silenzio in cui erano piombati da qualche minuto. “Non ne ho idea, davvero, fa sempre così, si caccia in cose più grandi di lui e io devo raccogliere i cocci. Parlo di cose grosse.” “Non pensi che forse abbia organizzato una festa a sorpresa per il tuo compleanno?” “Cosa?” disse Calliope, che stava per mettersi a ridere per quanto fosse ridicola l’idea “no no no, io non festeggio il mio compleanno, e lui di certo non si prenderebbe la briga di mettere in piedi una cosa complicata come una festa a sorpresa. Non sa neanche fare la carbonara, troppi ingredienti.” “Però pensaci bene, alla fine dei conti tutto tornerebbe. Si spiegherebbe perché insiste tanto che tu vada a casa subito, e anche perché non voglia venirti a prendere.” “No guarda, hai sbagliato proprio il tipo di persona. L’anno scorso ha provato a farmi una torta di compleanno, ha rischiato di bruciare l’intero palazzo. Ovviamente prova ad indovinare chi ha dovuto sistemare tutto?” Dopo una breve riflessione Matteo disse “forse dovresti dargli più fiducia. Io cerco sempre di vedere il meglio negli altri, così sono sempre aperto alle piacevoli sorprese che il mondo potrebbe serbare per me!” “Hai proprio ragione, porre fiducia negli altri è un’idea geniale. Seguirò il consiglio di quello che oggi si è fatto fregare il biglietto dell’ultimo treno per casa.” “Ma alla fine non mi ero sbagliato su di te! Mi hai aiutato e forse se non ti avessi ceduto il biglietto ora non saremmo qui a parlarne, e nonostante il fatto che tu sia una spregevole manipolatrice sono ben contento di essere qui a parlare con te.” Calliope si mise a guardare il paesaggio verde e luminoso scorrere placidamente oltre il finestrino, pensando che forse non sarebbe stato male avere una festa a sorpresa, per cambiare un po’. Poi disse: “Forse sei stato solo fortunato” “A proposito di fortunato! Il mio oroscopo oggi lo diceva che oggi avrei fatto un incontro straordinario! Beh certo questo non è il tipo di incontro che mi aspettavo, ma forse c’è ancora spazio per rimediare...” e si avvicinò un po’ a Calliope.
“Scordatelo ragazzino, poi l’oroscopo è solo un mucchio di stupidaggini.” Deluso Matteo si allontanò “Beh mi ritengo comunque fortunato! Sta sera ho in programma di fare una grande festa, ma una cosa proprio in grande. Cioè, sta notte io e i miei amici ci sfasciamo proprio, sarà fighissimo, e sia chiaro offrirò tutto io, perché sono un ospite onorevole.” “Un gruppo di teenager che vomita in piazza nella calda notte d’Agosto, non posso pensare a di niente di più figo. E dimmi, che si celebra?” “Ma la mia fortuna ovviamente! Sai dovresti passare a trovarci. Non puoi rifiutarti dopo tutto quel discorso sulla fiducia che ti ho fatto! Poi è il tuo compleanno, dobbiamo festeggiare anche quello.” “Ti senti così fortunato da doverlo celebrare con una festa?” “Beh, oggi ho incontrato te, che comunque resta la più grande fortuna della giornata, ho mangiato al McDonald’s, ho ricevuto un oroscopo positivo. Già così mi sembra abbastanza per dare una festa, ma aspetta non hai ancora sentito il pezzo forte.” “In che modo mangiare al McDondald’s è da ritenersi una fortuna?” ma quest’ultimo intervento fu del tutto ignorato da Matteo, che aveva cominciato la sua narrazione. “Vedi sta mattina mi è capitato uno di quegli eventi che cambiano la vita. Un’occasione vera, un evento che può fare o distruggere un uomo. Se prima di sta mattina ero un semplice poraccio miserabile come tutti, adesso mi ergo alto fra la massa informe, praticamente sono un super uomo, e la mia gioia è ancora più dolce perché non ho dovuto faticare neanche una goccia di sudore per raggiungerla, cioè a sudare ho sudato ma non per lo sforzo.” “Non credo si possa essere super uomini senza essere neanche uomini.” “Per chi credesse che la fortuna non esiste, e che non bisogna porre fiducia nel mondo, beh beccati questo dico!” Matteo prese lo zainetto, lo mise sulle ginocchia e molto lentamente iniziò ad aprirlo, come se ci fosse dell’esplosivo dentro. Calliope iniziava a sentire puzza di bruciato in tutta quella faccenda e adesso era davvero curiosa di sapere che cosa ci fosse dentro a quello zainetto. Ma proprio quando Matteo aveva finalmente aperto lo zainetto il treno si fermò. In pochissimo tempo tutta la gente ammassata nel treno iniziò a spintonarsi verso l’uscita. Matteo chiuse repentinamente la zip, e fece per alzarsi. “Ma stai scherzando? Hai alzato così tanto le aspettative e adesso neanche mi fai vedere che tieni là dentro?” Matteo si portò l’indice destro alla bocca. Poi si chinò verso di lei e sussurrò “Non posso mica dirtelo in mezzo a tutta questa gente” poi si avviò verso l’uscita anche lui e disse “è stato un piacere viaggiare con te”. Calliope si alzò repentinamente e si buttò in mezzo alla folla. Qualcosa proprio non le quadrava rispetto a tutta quella storia dello zainetto. Così, lottando ferocemente riuscì ad uscire dal treno, ma Matteo era già uscito dalla stazione. Riuscì ad intercettarlo, mentre s’incamminava nel parchetto appena fuori dalla stazione. Ovviamente adesso le toccava anche correre con i tacchi sull’erba, come se non ne avesse già avuto abbastanza per quel giorno. Matteo camminava tranquillo a pochi passi di distanza, e lei, troppo stanca per proseguire, gridò “Ehi! Matteo!” Questi, si girò a guardarla con uno sguardo leggermente sorpreso ed allarmato. I rami degli alberi proiettavano ora strane orme sul suo viso. “Guarda qui non c’è nessuno, fammi vedere cos’hai nello zainetto.” “Ma certo che sei proprio un’impicciona!” disse Matto, in tono leggermente irritato, “sto pensando di non fartelo vedere solo per il gusto di farti soffrire un po’.” Calliope, senza pensarci seguì il suo primo istinto, sorrise innocentemente e disse con voce mielosa, “Ma no, è solo che ora sono così curiosa!” Matteo apparve interdetto. Gli aveva mentito di nuovo, non era stata una scelta cosciente, si era solo sbagliata, era il modo più facile per ottenere ciò che voleva. Solo che questa volta Matteo ne era cosciente. Era una questione di quanto era stata convincente in quel lasso, in cui aveva agito senza neanche pensare. Matteo sembrava sul punto di parlare, quando corrugò la fronte e disse “No, credo
proprio che non te lo dirò. Alla fine dei conti non è niente di che, e questa è la possibilità per te di provare a mostrare un po’ di fiducia negli altri. Ti prometto che non c’è niente di pericoloso qui dietro” disse, accennando alla schiena con il pollice. Matteo ormai conosceva il trucco. Calliope capì che questa volta non le aveva detto bene. Sbuffò in una mezza risata e distolse lo sguardo da Matteo. Ma proprio mentre questo riprendeva ad allontanarsi, un’idea le balenò in mente. Aveva il modo perfetto per farlo parlare. Però forse quello che aveva detto non era del tutto falso. Forse le serviva davvero cercare di dare un po’ di fiducia al prossimo. Se l’avesse lasciato andare avrebbe potuto provarsi capace di dare fiducia anche ad un completo sconosciuto. Matteo però si stava allontanando sempre più e l’idea di perdere quell’opportunità era troppo da sopportare dopo quella giornata. Sicuramente in un’altra occasione avrebbe potuto mostrarsi molto più fiduciosa. “Se mi fai vedere che cosa c’è nello zainetto verrò sta sera.” Neanche lei poteva credere di aver pronunciato quelle parole, ma lo aveva fatto impeccabilmente, un tono convinto ma non esagerato. Se ci avesse pensato non lo avrebbe fatto altrettanto bene. Matteo sembrava congelato. Se ne stette fermo per qualche secondo. Poi si girò verso Calliope, si avvicinò a lunghi passi con l’indice puntato contro il petto di lei, “Dammi la parola d’onore”. Ormai aveva fatto la sua scelta, tanto valeva andare fino in fondo, “Giuro, sta sera ci sarò certamente” Matteo era ancora diffidente, ma comunque sfilò lo zainetto dalle spalle, lo aprì e ne estrasse con molta cura un portafogli crema di Yves Saint Laurent.
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