Hurricane Ringrazio i miei amici, averli vicini dei momenti più duri mi ha permesso (indirettamente e direttamente) di andare avanti nello scrivere questa storia. 1 Si era appena svegliata, il cuscino le sembrava di marmo ed il lenzuolo era per terra. Lentamente si alzò ed andò alla finestra, spalancò le ante e fu subito accarezzata da una fresca brezza marina, che in parte la rincuorò: sarebbe stata una giornata dura in ogni caso, ma almeno il caldo non era soffocante come nei giorni precedenti. Si vestì velocemente e scese le scale, dirigendosi nella grande cucina per la colazione. La casa era già affollata, si era quasi dimenticata che i dipendenti si svegliavano sempre molto presto, ormai erano mesi che non era più tenuta a farlo dato che ora era lei la dirigente della fattoria, quindi poteva benissimo svegliarsi più tardi, anche se ciò la faceva sentire un po’ in imbarazzo. In più la possibilità di dormire di più era sicuramente una magra consolazione considerando tutte le responsabilità che erano ricadute sulle sue spalle da quando il padre era morto. Si era semplicemente addormentato, e i dottori avevano detto che non aveva sofferto. Sicuramente se lo era meritato: un ritiro pacifico, nella sua vecchia baracca di legno vicino alla scogliera; dopo i sacrifici che aveva fatto per rimettere in sesto la fattoria era il minimo che l’universo potesse concedergli. In quel momento però lo avrebbe voluto al suo fianco come non mai, si sentiva inadatta nei panni di dirigente, aveva sempre saputo che sarebbe stato il suo compito, e ovviamente era anche il suo sogno, dirigere la fattoria, ma con la perdita del padre, la crisi, e il calore che soffocava le piante non sapeva cosa fare. Anche quando sua madre era morta, e tutte le responsabilità erano ricadute sul padre, lui era stato una roccia: non solo aveva continuato a dirigere da solo la fattoria, ma era anche rimasto un ottimo padre, che aveva saputo sostenere la figlia in quel momento così difficile. Ora era il suo turno di farsi carica di quel ruolo e non poteva assolutamente tirarsi indietro, lo doveva ai suoi genitori, ai suoi dipendenti e a quella terra. Se avesse venduto che cosa sarebbe stato di quel golfo meraviglioso, con l’acqua azzurra, la sabbia fine e bianca e i campi di coltivazione biologica per cui il padre e la madre avevano lottato tanto? Probabilmente qualche ricco imprenditore avrebbe fatto costruire un hotel di super lusso di cemento bianco, la spiaggia sarebbe stata riempita di ombrelloni e avrebbe perso tutta la sua naturale bellezza, finché alla fine il golfo avrebbe perso la sua selvaggia bellezza, senza contare che dei sacrifici dei suoi genitori, del lavoro dei suoi dipendenti, e della sua stessa casa non sarebbe rimasto nulla. Iniziò a sorseggiare il caffè, era caldo e amaro, senza neanche un cucchiaino di zucchero. Era così che si prendeva secondo lei; era stato suo padre ad insegnarglielo e bevendo quel caffè poteva sentirlo più vicino a lei … Era sulla terrazza sul retro della casa che dava direttamente sulla spiaggia. In pochi passi si poteva arrivare direttamente in acqua e li c’era una piacevole aria di mare che le scompigliava i boccoli castani e le lasciava sulla pelle ambrata dei piccoli granelli di sale. L’ingresso invece, la parte che dava sui campi, era un’ampia aia circondata da un portico, che brulicava di persone al lavoro e di contadini venuti a rinfrescarsi un pochino prima di riprendere a lavorare. Al centro del porticato c’era una fontanella e i figli dei dipendenti si divertivano a Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
schizzarsi con l’acqua, anche lei aveva passato la sua infanzia in quel cortile e ne aveva dei ricordi che la riempievano di nostalgia. I bambini aspettavano impazientemente per tutta la mattinata, quando poi fosse finito il turno di lavoro dei genitori avrebbero potuto magiare tutti insieme nella spaziosa sala da pranzo della casa. I loro schiamazzi raggiungevano anche i campi intorno, e in qualche modo allietavano il cuore dei contadini, e rendevano il loro lavoro meno duro. Anche Ginger si mise a lavorare, andò nel vecchio ufficio del padre e iniziò a cercare nuovi acquirenti per i sui prodotti, ascoltò le lamentele di qualche grossista che chiedeva il ribasso dei prezzi e ascoltò qualche dipendente che chiedeva un piccolo aumento per andare avanti. Il problema era sempre lo stesso: i soldi erano pochi. Con il caldo che era arrivato molte piante erano morte, e non potevano permettersi un nuovo impianto di irrigazione; avrebbero potuto dare dei concimi chimici alle piante sopravvissute in modo da produrre di più ma sarebbe stato contro l’etica della fattoria, e comunque non potevano permettersi nulla del genere. Non poteva diminuire gli stipendi ai dipendenti perché la loro situazione economica non era migliore di quella della fattoria, e non era assolutamente giusto togliere dei soldi a chi ne aveva bisogno per sfamare i bambini che stavano giocando nell’aia. Guardò la foto dei suoi genitori che si stringevano davanti al portico: lui era bello, non particolarmente alto, con gli stessi capelli ricci della figlia, indossava una camicia e dei pantaloni lunghi; lei invece era poco più bassa di lui, con un sorriso energetico, pieno di vita, sembrava quasi emanare gioia dalla fotografia, indossava un semplice vestito senza maniche, stretto in vita da una fascia, la gonna arrivava morbida fino poco oltre le ginocchia, aveva i capelli intrecciati e portava una coroncina di fiori: era il giorno del loro matrimonio. Aveva partecipato quasi tutto il paese ai festeggiamenti, e per far posto a tutti erano stati portati dei lunghi tavoli nel cortile e tutti avevano mangiato, bevuto e ballato finché il cielo non si era ricoperto di milioni di stelle. Era una storia che il padre le raccontava spesso quando andavano a passare la serata sulla scogliera, in un rifugio di legno tanto piccolo che a stento ci entravano entrambi. Quando il celo iniziava ad imbrunire si arrampicavano sullo sperone , e dopo averle raccontato quella storia il padre le dava sempre un bacio sulla fronte, e poi rimanevano in semplice silenzio ad osservare le stelle che apparivano timidamente quando il cielo passava dal violetto tenue al cobalto intenso. Poco più tardi di mezzogiorno, smise di lavorare, scese le scale di assi di legno, e si diresse verso la grande sala da pranzo, dove si era già radunata una piccola folla di contadini affamati. Si sedette vicino a Sofia, una dipendente della sua età circa, che però era già sposata e aveva due figli. Si sedeva sempre con loro, le piaceva vedere una famiglia unita come quella che lei aveva sempre desiderato ma che non le era mai stata concessa. Sofia era molto diversa da lei, era decisa, sapeva quando alzare la voce ma poteva essere anche molto gentile mostrando il suo lato più dolce, come quando stava con i suoi bambini a tavola. Come sempre la accolse cordialmente al tavolo e la salutò con un solare sorriso. Iniziarono a parlare del più e del meno mentre aspettavano che arrivassero anche gli altri. –Sai oggi anche l’acqua del mare era calda, mia nonna mi raccontò che quando l’acqua del mare si riscaldava arrivavano terribili tempeste … Però non c’è d’avere paura, lei veniva da un’isola molto a sud di qui-‐ era un discorso un po’ strano, ma provò lo stesso a mostrarsi interessata. Consumarono un pasto abbastanza abbondante seppur semplice; tutti i pasti erano preparati dalle “nonne”, chiamate così perché erano anziane, e come delle vere Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
nonne, passavano molto tempo in cucina a preparare il cibo per tutti: erano loro le vere padrone di casa lì, quando un bambino si faceva male nel cortile erano pronte ad accudirlo, ma potevano essere anche molto severe quando ad esempio rompevano una finestra; in più tenevano in ordine la casa, preparavano i pasti e tutto senza mai pretendere nulla in cambio. Ginger da piccola non capiva perché lo facessero, ma il padre le diceva sempre che era il loro modo di “contribuire”. Ora che era più grande il concetto le era meno oscuro: la fattoria era come un organismo vivente, e tutti contribuivano ad alimentarlo e a far il modo che non andasse in malora. La fattoria rappresentava l’anima, tutti lavoravano uniti per un bene comune, rispettando la natura che li circondava. Tutti, anche le anziane appunto, facevano la loro pare. Alcune volte addirittura i bambini aiutavano i genitori a caricare i furgoncini di cassette. Grazie al duro lavoro che aveva fatto suo padre tutto ciò era possibile, e nessuno chiedeva di meglio, ma in quel momento la terra, arida e sofferente offriva pochi frutti e c’era sempre meno bisogno di manodopera. 2 Se ne stava seduto senza saper bene cosa fare, continuava a rigirare il caffè nella tazzina come se fosse vino, pensando che così avrebbe perso il suo forte sapore che lo disgustava. In quel momento avrebbe davvero desiderato che si trasformasse in vino, il caffè era troppo amaro per i suoi gusti … Sospirò sconsolato, appoggiò la tazzina sul tavolo ed iniziò a riempirla lentamente di zucchero. Nel frattempo il suo contabile stava discutendo con i rappresentanti di un’azienda (o qualcosa del genere) che voleva acquistare la sua villa e tutti i sui territori circostanti. Aveva sperperato tutti i soldi che gli erano stati concessi dal padre -‐non che a lui importasse qualcosa, non si parlavano ormai da più di sei anni-‐ e ora doveva vendere. Il suo contabile lo aveva avvertito che avrebbe dovuto regolarsi se voleva mantenersi in uno stato dignitoso, ma non gli aveva dato assolutamente ascolto, il suo obiettivo era diventare come il grande Gatsby, ma quella non era New York, e lui non era un investitore. Così si era in breve ritrovato senza soldi, e aveva iniziato ad accumulare debiti, e quando gli era stato impossibile fuggire era stato costretto a vendere; non sarebbe stato un grande problema, non aveva un gran senso dell’onore e ritrovarsi per strada era solo uno dei minimi problemi che lo avrebbero turbato, ovviamente non sarebbe stato comodo come stava nella villa, ma sarebbe sopravvissuto. Il vino invece, quello si che gli sarebbe mancato molto. Dopo un po’ il contabile smise di blaterare, e gli acquirenti, due uomini molto diversi fra di loro, con il vestito gessato che avevano parlato poco e niente per tutto l’incontro, conclusero con poche frasi e si congedarono. A lui non erano piaciuti per niente, uno era più piccolo e ansioso, l’altro era colossale, e la cosa che più lo aveva divertito in tutto l’incontro era stato provare a sostenere il suo sguardo irremovibile. Qualche volta era addirittura riuscito a fargli scostare il volto, molte altre volte aveva avuto la meglio il rappresentante. Quando fu sicuro che fossero usciti dal piccolo caffè con le pareti di carta da parati gialla sbiadita e consunta, il contabile disse: -‐ Bene Carry! Hanno detto che devono valutare i pro ed i contro ma penso che siano già nostri! Vedrai che nel giro di massimo una settimana faranno un’offerta concreta-‐ Tutto quell’entusiasmo accentuava ancora di più l’astio che provava nei confronti del suo contabile: sembrava contento del fatto che dovesse vendere la sua casa, e non faceva altro che lanciargli occhiate che gli dicevano “povero sciocco, io te l’avevo detto che saresti finito sulla strada.” In più era un irrimediabile lecchino, e lo chiamava Carry. Aveva preso questo odiabile vizio da suo padre, Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
quando lo aveva spedito a chiedere altri soldi; non che si aspettasse alcun risultato positivo, fra l’incapacità del contabile e la perfidia del padre era sicuro che l’impresa sarebbe miseramente fallita. Con suo grande ribrezzo strinse la mano a quell’individuo odiabile e andò a recuperare la sua macchina. Quando uscì dal bar però non trovò traccia della sua Roll Royce gialla, no, non era possibile che fosse successo anche quello, non poteva essere vero! Si guardò intorno, alla disperata ricerca della sua amata macchina. Niente, sparita nel nulla. Gliela doveva aver rubata qualche pezzente. Non riusciva neanche ad immaginare che costa stesse succedendo adesso al suo gioiello. Cazzo, fu tutto il resto che si condensò nella sua mente –CAZZO!-‐ vomitò la sua rabbia a pieni polmoni nella quiete del pomeriggio riempiendo la strada con il suo impeto, che sembrò restare sospeso nell’aria per qualche secondo. Tutte le persone che stavano passeggiando lungo quella strada, che era una delle poche riparate dal sole grazie alle pensiline dei bar e dei negozi, si girarono verso di lui, e non gliene fregò proprio niente. Così sconsolato si avviò a piedi verso la sua villa, che era piuttosto lontana dal punto in cui si ritrovava in quel momento. Il sole stava già tramontando quando iniziò a vedere la sua magione bianca sulla costa, arrampicata sulla spiaggia, in mezzo ad una distesa di natura selvaggia. Decise che per quella sera non ci sarebbero state feste. Entrò dal portone principale e come sempre trovò un gran disordine, e poi fra le bottiglie, mezzo nudo, vide Will, ancora addormentato dalla fine della festa cominciata la sera del giorno precedente e finita dopo l’alba di quella mattina. Quando era uscito di casa, con sole tre ore di sonno, e con le tende chiuse che creavano un buio pesto, non lo aveva notato. Fuori stavano ormai spuntando le stelle e Will aveva già passato la notte a casa sua altre volte, dato che era uno degli unici veri cari amici che avesse... Forse era il suo migliore amico. Il pensiero che il suo migliore amico fosse un alcolizzato lo inquietò un po’, poi però lo coprì con un tappeto e se ne andò a dormire anche lui. Si affacciò alla finestra della sua camera. La brezza accarezzò i suoi capelli scuri. Il panorama era fantastico: il golfo era immerso nell’oscurità. Le stelle sembravano milioni di diamanti sparsi in quell'immenso velo nero, e la luna, sorta ormai già da un po’, era bianca e maestosa e si specchiava nell’acqua nera della notte. Provò ad addormentarsi, ma le lenzuola lo opprimevano, sembravano volerlo soffocare. Era stanco ma non riusciva a dormire. C’era qualcosa che gli impediva di mettere fine a quella terribile giornata, la sua agonia non era destinata a finire. Era in momenti come questi che la sua mente lo portava esattamente dove non voleva: iniziava chiedersi quale senso avesse la sua esistenza, se avesse davvero senso continuare quella vita fatta di feste ed esagerazioni. Durante il giorno colmava questi vuoti con il vino, con le sue auto di lusso, con la sua villa, ed il benessere superficiale che gli davano quegli oggetti distoglieva la sua attenzione da quelle domande ed inibiva la sua coscienza; ma durante la notte era assalito dalle sue ansie, e il suo vuoto diventava giorno dopo giorno sempre più incolmabile. Si strappò le lenzuola di dosso e fece quello che faceva quando non trovava soluzione ai suoi dilemmi. Silenziosamente scese le scale, uscì e raggiunse la spiaggia. La sabbia sotto i suoi piedi era umida e fredda, gli si attaccava sotto la pianta del piede in modo alquanto spiacevole. Si spogliò velocemente e si tuffò nell’acqua, nera, avvolgente. A confronto con la fresca aria notturna risultava calda. Con quel rito, tentava di lavare via le preoccupazioni e tutto ciò a cui non trovava un senso: come mai nonostante fosse sempre circondato da persone si sentiva incredibilmente Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
solo? Perché non riusciva mai a colmare la sua cupidigia e continuava a comprare oggetti di lusso che gli sembravano in realtà privi di valore? S'immergeva completamente nell’acqua, tratteneva il fiato finché i polmoni non bruciavano, e allora soffiava fuori tutta l’aria. Si sentiva leggero, puro; come quando si nasce, lui riemergeva dalle acque. La sensazione era incredibilmente piacevole, anche se svaniva nel giro di poco tempo. Allora guardava l’orizzonte ed iniziava a nuotare, più forte che poteva, come se potesse fuggire da ciò che lo opprimeva, poteva sentire tutti i muscoli del suo corpo in contrazione. Nonostante fosse in acqua si sentiva andare a fuoco. Poi, quando era sfinito, si voltava e raggiungeva lentamente la spiaggia. Si asciugava velocemente e si buttava sul primo divano che trovava, sperando che la stanchezza fisica potesse aiutarlo a dormire. Era appena un ragazzo quando lo aveva fatto la prima volta, e da allora non aveva mai smesso. Nessuno ne sapeva niente, era un rito soltanto suo. Aveva cominciato la prima volta che i genitori avevano litigato sul serio. Erano volate le grida quella notte, e lui si sentiva impazzire nel suo letto, così era uscito dal balcone della sua camera ed era andato nella piscina nel grande giardino della villa del padre. Così tutte le volte che in casa si consumavano litigi, discussioni e altro che no n preferiva ricordare, lui si dirigeva alla piscina. Era per tutte le tristi storie e le grida che permeavano le mura della casa del padre che se ne era andato il prima possibile. E così ancora una volta era scappato, ancora una volta lo sguardo di delusione del padre si era soffermato nei suoi occhi e ancora una volta non era riuscito a gridare il rancore. Era un codardo, lo sapeva, tutto quello che poteva fare era fuggire, ed era quello che aveva sempre fatto. Avrebbe voluto fuggire anche questa volta ma non poteva. Cosa ne sarebbe stato di lui? 3 Dopo aver terminato di mangiare, i contadini andarono a riporre gli strumenti usati durante la giornata e a cambiarsi, per poi prendere le auto e tornare a casa. Così la fattoria rimaneva vuota, e il silenzio era rotto solo dal fruscio soffuso delle onde del mare. Era in quei momenti di solitudine che Ginger si sentiva finalmente in pace. Sembrava che i dipendenti portassero via con loro tutte le sue responsabilità. Ciò le lasciava, però in bocca un sapore agrodolce, non era giusto che provasse un tale sollievo, era una vigliacca, non poteva ignorare i suoi doveri, anche se chi dipendeva dalle sue scelte non era fisicamente lì a ricordarle di svolgere il suo incarico. Ricordava che spesso il padre continuava a lavorare fino a tarda notte per assicurarsi che anche quel mese tutto andasse come avrebbe dovuto, e mai si era lamentato con nessuno. Spinta dal senso di colpa, si trascinò verso l’ufficio, più si avvicinava più la sua forza di volontà era messa alla prova, ma riuscì a raggiungere quella porta bianca, con lo stomaco che si contorceva, e continuò a lavorare infruttuosamente per circa un’altra ora. Quando decise che i suoi sforzi non avevano senso comunque, e stava per abbandonare la scrivania (non senza il classico senso di gioia misto a biasimo verso se stessa), il telefono squillò, rompendo il silenzio irreale che l’aveva circondata mentre se ne stava lì seduta a fissare i registri. Alzò la cornetta e rispose alquanto inquieta. Non Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
aspettava alcuna chiamata per quell’ora, e quello era il numero di lavoro, di conseguenza, essendo una chiamata di lavoro inaspettata, non prometteva nulla di buono. A quella riflessione lo stomaco si contrasse violentemente di nuovo. Dall’altra parte del telefono, vi era un uomo vecchio fruttivendolo avvizzito ed aggressivo che costituiva uno dei loro maggiori acquirenti. Le sbraitò contro, imprecando e dicendole che se il suo ordine non fosse stato consegnato entro il mattino seguente, non avrebbe acquistato più nessun prodotto dalla fattoria, e riagganciò senza neanche dare a Ginger la possibilità di rispondere (non che avesse alcuna risposta efficace da dargli). Così si risedette e ricontrollò i registri degli acquisti. Le sembrò che solo quel giorno avesse letto e riletto quelle righe miliardi di volte senza una vera utilità. In effetti notò che già la sera precedente era stato inviato a quel vecchio isterico un carico considerevole di cocomeri, che erano diventati una vera rarità considerando la siccità. Era una delle consegne che avrebbero influenzato decisivamente l’andamento di quel mese, e se non fosse andato a buon fine, avrebbe sicuramente avuto gravi conseguenze. Era stato inviato Ronnie, con il furgoncino verde acqua, perché quello rosso era troppo piccolo. A pensarci bene quella mattina a pranzo non aveva visto il ragazzo, e questo la turbò un po’. Provò a chiamarlo ma non ci fu risposta, così provò a contattare la madre, che quel giorno era venuta normalmente alla fattoria. Lei le rispose che non si era sorpresa di non veder rincasare il ragazzo, dato che, ormai sempre più spesso e anche senza preavviso, passava la notte fuori, a casa della fidanzata, e proprio per quella stessa ragione non era stata sorpresa nel non vederlo la mattina a lavoro, probabilmente si era preso il giorno libero per passare un po’ di tempo con la ragazza, era sicura che prima o poi quei due si sarebbero sposati, e non vedeva l’ora che ciò accadesse. –Come mai, c’è qualcosa che non va?-‐ Chiese in fine la donna con un tono lievemente velato di preoccupazione –No non si preoccupi, ero solo curiosa, ecco tutto-‐ Ginger non voleva mettere in agitazione la povera donna senza avere risposte certe, ma c’era qualcosa che non quadrava. Giusto per sicurezza andò a controllare che il camioncino non fosse nella rimessa, ma lì non c’era. Così, non sapendo cosa fare, decise di ripercorrere l’unica strada che poteva aver preso Ronnie. Quando provò a mettere in moto il furgoncino rosso però, questo però s'ingolfò, ed incapace di farlo partire da sola, si limitò a dargli un calcio sul cofano, e poi si avviò a piedi. Mentre camminava lungo la costa, per quanto fosse ormai pomeriggio inoltrato, iniziò a sentire un fortissimo caldo. In quei giorni anche la notte poteva essere afosa. L’aria stessa sembrava trasudare calore, che si attaccava alla pelle come una patina aderente, soffocante. Per quanto provasse a pensare in modo ottimista, un po’ per la spossatezza, un po’ per il caldo, un po’ per l’agitazione, i sui pensieri iniziarono a soffermarsi sulle questioni più critiche: se questo ordine fosse andato perso, anche questo mese si sarebbe concluso in negativo, soltanto che si trattava di uno degli ultimi raccolti, la maggior parte delle altre coltivazioni era stata soffocata dal caldo e ormai rimaneva ben poco da vendere. Il sole si stava lentamente immergendo nell’acqua, e una luce arancionastra e soffusa copriva ogni cosa nel golfo. Sembrava come un assassino, che dopo aver mietuto le sue vittime si nascondeva lentamente. Ginger si accigliò. Quel caldo era davvero il suo nemico, le stava lentamente togliendo tutto. La temperatura era eccessiva per essere il tramonto. Il fiato cominciò a diventarle più affannoso, ogni passo era più pesante, come se un fardello imponente gravasse sopra alla sua testa. L’atmosfera era opprimente, il rosso purpureo Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
che aveva inghiottito l’arancione schiacciava ogni altro colore. In Ginger nacque uno stano sentimento di inquietudine misto al sospetto … Cosa stava succedendo? Che fine aveva fatto la consegna? A forza di avanzare in quel calvario, era ormai giunta alla parte più interna del golfo, dove vi era un’angusta insenatura, con la strada stretta e dissestata. Doveva girare oltre la duna, e avrebbe potuto ammirare il golfo per intero. Non fece in tempo ad essere affascinata da quella prospettiva che un odore acre la punse. Pochi passi e avrebbe passato la duna. Le stava crescendo dentro uno strano presentimento. Girò la collina di sabbia, rossa nella luce satura del tramonto ormai arrivato agli sgoccioli. Quando finalmente fu dall’altra parte, una vista davvero macabra si spalancò sotto i suoi occhi. Il camioncino era incagliato nella sabbia. Al posto di guida vi era Ronnie, contorto, quasi a coprire la ferita oscura che aveva nell’addome. Ormai però il sangue sul sedile era secco, ed il suo sguardo era vuoto. Il contrasto di quella scena orribile e la bellezza idilliaca del golfo, su cui ormai era emersa un’argentea falce di luna rendeva il tutto ancora più tetro e sinistro. Ronnie era stato uno dei migliori amici dell’infanzia di Ginger, ma per quanto poi se ne vergognò, il suo pensiero fu rapito da ciò che era sul retro del camioncino: i frutti erano stati esposti l’intera giornata al sole, e ora mille insetti banchettavano barbaramente dei pochi frutti della sua terra. Il carico era andato perso. 4 Fu svegliato all’improvviso da Will. Quel suo beffardo sorriso bianco sembrava quasi brillare nella semi oscurità che creavano le tende. Si sentiva tutto indolenzito, aveva dormito sul primo divano che aveva trovato. Si portò la mano al collo che gli sembrava un pezzo di cemento, e sentì l’umido ei capelli ancora bagnati. Gli sembrava che qualcuno gli avesse spezzato tutte le ossa, una ad una. Poi guardò l’amico che aveva iniziato a dargli dei colpetti con una bottiglia vuota per attirare la sua attenzione. Allora si girò, e con un sospiro fra il divertimento e il biasimo disse:-‐ Will, potresti, per favore, andare a vestirti?-‐ Will lo guardò un po’ confuso, e poi sgranando gli occhi come se si fosse ricordato in quel momento che era nudo, rispose:-‐ Il problema è che non li trovo più!-‐ Carry si portò un palmo sulla fronte, sbuffo, portò gli occhi al cielo e gli disse che poteva prendere i suoi vestiti. Liberatosi di Will, si diresse in cucina, anche lì c’era un disastro, come sempre nell’ultimo mese in realtà. Dopo le ultime feste non aveva potuto chiamare l’azienda delle pulizie e non aveva alcuna intenzione di mettersi a riordinare la casa che a breve gli avrebbero portato via, così viveva nel caos, guardando per terra mentre camminava stando attento a non acciaccare qualche bottiglia di vetro per sbaglio. Cercò qualcosa con cui fare colazione, trovò solo il fondo di una bottiglia di whiskey Jack Daniels, senza troppa riluttanza bevve quello. Non trovando niente di meglio, andò a cambiarsi anche lui. In camera trovò le camicie sparpagliate sul letto e i pantaloni sulla scrivania. Se c’era qualcuno meno ordinato di lui, era sicuramente Will. Dalla porta del bagno provenivano delle nuvolette di vapore, l’amico si stava facendo la doccia. Prese una camicia rossa e dei pantaloni cachi tra quelli scartati dal suo amico, e prendendo quest’ultimi da sotto al mucchio fece cadere delle carte che erano sulla scrivania di mogano. Si chinò a raccoglierle e fra queste ritrovò la bella edizione che aveva comprato qualche anno fa del Grande Gatsby. La prese in mano, ne sfogliò le pagine e ne sentì il profumo. Aveva letto pochi libri nella sua vita, ma era certo che non ci Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
fosse libro più bello di quello. Cercava in tutti i modi di emulare Gatsby, i vestiti, le macchine, le feste. Non c’era nessuno che rappresentasse il suo modello più di lui. E in quel momento si rese conto che Gatsby non avrebbe mai permesso che gli ultimi giorni della sua gloria passassero inosservati. Quella notte sarebbe stata la notte. Avrebbe usato tutte le sue ultime risorse per organizzare la più grande festa che avesse mai vista. In fondo gli restava ancora qualcosa, e preferiva di gran lunga utilizzarlo per una festa che per comprarsi una misera casetta senza neanche il piano bar. Aveva deciso. Prese la cornetta e organizzò tutto. Assunse una banda musicale, un gruppo di ballerine e un catering francese. Invitò chiunque conoscesse anche alla lontana, anche persone che disprezzava. Non gli importava chi fosse, ma chiunque doveva parlare di quell’evento. Anche il suo contabile, voleva dimostrargli che qualsiasi cosa lui pensasse del fatto che sprecasse i suoi soldi, a lui non interessava minimamente. Quella sera la villa era affollata più che mai, vi era gente di ogni tipo: modelle, artisti, investitori, avvocati, avevano tutti risposto alla sua chiamata. Nel suo profondo sapeva che erano solo sciacalli venuti a strappare l’ultimo pezzo di carne rimasto attaccato all’osso, ma per quella sera aveva deciso di sospendere il giudizio morale. Era tutto al posto giusto, in quel immenso caos di facce insignificanti. Voleva soltanto divertirsi, ballare, bere e festeggiare come se la sua ricchezza fosse eterna, come aveva sempre fatto insomma. L’alcol scorreva a fiumi, e non troppo tardi l’euforia iniziò ad inibirsi e a trasformasi lentamente in ebbrezza. Prese l’ennesimo bicchierino stracolmo, lo portò alle labbra, sentì scorrergli lungo la gola, come una fiamma, ma ormai l’effetto svaniva quasi subito, così per compensare, ne prese un altro. Era il momento che più preferiva delle sue feste. La sua testa era ovattata e ad ogni passo sembrava di volare; il bello era che non c’era bisogno di vergognarsi di niente, tutti gli altri erano nel suo stesso stato. Erano degli animali, in preda agli istinti più arditi, senza nessuna inibizione, e lui era il loro re. Alle sue feste non esisteva limite morale, erano pura celebrazione dell’eccesso e del superfluo. Tutto era sopra le righe, ciò che non lo era non meritava attenzione, infondo niente meritava attenzione se non il bicchiere in cui ti stavi per tuffare. Risate gracchianti, stupide, vuote, lo circondavano. In quella confusione trovava la pace e l’ordine che cercava. Non esisteva niente oltre il materiale, oltre l’aspetto, non c’erano freni, non c’erano maschere, tutto era vero e allo stesso tempo falso. La vera essenza delle persone emergeva dal profondo strato di menzogne. Quei colori erano colori e basta, quella musica non era che rumore di sottofondo. Era un mondo puro ed incontaminato dalle emozioni che non fossero l’eccitazione, euforia, inibizione. Le persone accanto a lui non significavano nulla, erano nulla, erano come lui. Si era seduto con un gruppetto di persone che sembravano non capire niente di niente, ridevano e basta, alcuni si baciavano, altri vomitavano. Rise sguaiatamente e buttò giù un altro bicchiere. Ormai una nebbia fitta offuscava il suo sguardo, ed era sicuro che qualcuno gli stesse parlando, forse, ma non ci provò neanche a capire cosa gli stavano dicendo. Rise forte, baciò una ragazza dall’aspetto smarrito che gli fece un po’ pena dopo, così decise di cambiare postazione, e ricominciò da capo. La festa durò fino all’alba. Quello era il momento strategico della ritirata. Sicuramente qualcuno si era perso qualcosa, qualcun altro aveva qualcosa di cui lamentarsi ed alcuni altri avrebbero iniziato a pentirsi di quella notte di follie, ma fintanto che erano tutti belli ubriachi non doveva dargli retta. Con una maestria che aveva acquisito festa dopo festa Carry schivò quel triste momento di Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
conclusione sparendo qualche momento prima, chiudendosi in camera per buttarsi sul letto, o per farsi un lungo bagno caldo, sarebbe tornato allo scoperto solo quando la folla si sarebbe dileguata, evitando le scocciature post festa e post sbronza. In camera sua però trovò Will, sdraiato fra le camice che dormiva. Si sedette sul materasso e lo svegliò lentamente. Notando che non si svegliava prese la bottiglia di birra mezza vuota che aveva abbandonato sul comodino e svuotò il contenuto in faccia a Will, che si alzò di soprassalto. Appena si rese conto che era giorno, smise di protestare ed iniziò a compiangersi :-‐ Come è possibile?! Mi sono perso il gran finale … -‐ gran finale forse era il nome giusto che meritava la festa, però tutta la festa era servita a dimenticare che non ce ne sarebbero state altre. Carry, con uno sguardo di autocommiserazione allo specchio, sospirò profondamente:-‐ Non preoccuparti, non ti sei perso niente di diverso dal solito … -‐ e con un sorriso amareggiato gli diede una pacca sulla spalla. L’amico, per risposta lo abbracciò vigorosamente:-‐ Carry, io ti resterò vicino … Non importa cosa succederà-‐. Carry provò uno stano sentimento. Quelle parole erano vere, quell’abbraccio lo stava davvero sostenendo. Sapeva che in realtà Will non aveva un quattrino (si era bevuto tutta la sua fortuna pochi anni dopo il loro incontro) e che non avrebbe potuto in nessuno modo attutire la sua discesa verso il baratro, ma quelle parole lo facevano davvero sentire più sicuro. Loro erano veri amici, oltre tutto, oltre le ricchezze e le stravaganze. Si erano trovati pochi anni prima: due giovani, irresponsabilmente ricchi, senza timori, e si erano visti perdere tutto a vicenda. Prima era toccato a Will, e ora era il suo turno. Una lacrima rigò il suo volto, non era triste, era amareggiato ed arrabbiato con se stesso. Trovò però la forza di parlare:-‐ Che ne dici se oggi andiamo a fare un giro in barca?-‐ Will lo liberò dalla sua presa, sulla sua faccia si arricciò il suo sorriso brillante:-‐Sarebbe fantastico! 5 Mario era un ragazzo sulla venticinquina che lavorava nella fattoria fin da quando era molto giovane. La madre, Sarah, era stata a sua volta una contadina, e come tutte le altre aveva spesso lasciato il figlio a giocare nel cortile con tutti gli altri. Lì lui aveva stretto una grande amicizia con Ronnie. Gli era stata riferita la notizia della sua morte poco dopo che Ginger l’ebbe scoperto. Era stato come sentire un macigno cadergli sul capo. In quel periodo niente andava per il verso giusto. La madre stava sempre peggio, e per pagarle le cure aveva dovuto spesso rinunciare alla cena. Ella, la vicina di casa ogni tanto lo aiutava, ma si sentiva sempre a disagio a farsi aiutare da lei, e anche se si era offerta spesso di sostenerlo economicamente, aveva sempre rifiutato. Ella era anziana, e sorda, non poteva prendere i suoi soldi. Aveva spesso implorato Ginger per un aumento, ma lei aveva sempre cercato di cambiare discorso, e quando le era stato impossibile gli aveva detto che non c’erano soldi per nessuno. E pensare che da piccoli avevano anche giocato insieme. Adesso al suo carico di dolori si era aggiunta la morte di uno dei suoi migliori amici. Era esasperato, non sapeva cosa fare, e quello che faceva non gli piaceva. Al contrario di tutti quelli che lo circondavano non provava alcun attaccamento a quella terra. Anzi la detestava, gli aveva solo portato mali. Odiava anche tutti coloro che giocavano alla “allegra fattoria della felicità”. Sua madre si era ammalata su quei campi, tutto quel tempo passato al sole le aveva fruttato solo un tumore alla pelle, e lui senza che se ne rendesse conto, dava la colpa a tutti coloro che lo circondavano. La loro felicità gli stomacava, non potevano essere felici con tutta quella crisi, fingevano, e chiamavano quella finzione pensare positivo. Certo, non poteva andare in giro a Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
sputare il suo astio come un serpente con il suo veleno, la fattoria era una società, un branco, chi rimaneva indietro periva, e quindi anche lui doveva fare quel gioco, mettere su quel sorriso e spaccarsi la schiena. Ci mancava solo che dovesse pure dire grazie, ed era sicuro che c’era qualcuno che pensava che avrebbe dovuto. Ginger non gli aveva mai dato molta attenzione, da piccoli giocavano insieme, e forse aveva avuto una cotta per lui, come infondo tutte le altre bambine: era molto bello. Era alto, con la pelle bronzea e i capelli neri come la notte. Oltre a questo però, non sapeva molto altro di lui. In quel momento era però entrato nel suo ufficio, pensava che fosse venuto ancora una volta a pregarla per un aumento, ed il solo pensiero l’amareggiava, ma si era già preparata un discorso da fargli … Non sapeva che in realtà le sue intenzioni erano ben altre.
Mario si sedette sulla sedia davanti alla scrivania di legno dipinta di bianco, che con la poca cura che riceveva stava diventando grigia. Iniziò la conversazione:-‐Ginger io … Sono venuto a parlarti di una questione … -‐ non sapeva bene come porle la proposta, era sempre stato un abile conversatore, ma quando parlava con Ginger, che gli rivolgeva sorrisi artificiosi ogni volta che si impicciava, gli sembrava quasi di rivolgersi ad un fantoccio e le parole morivano nella sua bocca. Ginger percependo il disagio, e volendo concludere la conversazione il prima possibile decise di arrivare subito al punto senza troppi mezzi termini:-‐ Senti Mario, ne abbiamo già parlato tante volte … Io non posso far magicamente spuntare i soldi … -‐ Mario la interruppe bruscamente:-‐ Oh no! No,no, non sono venuto per chiederti un aumento … -‐ in ogni caso a che servirebbe? A te non importa nulla di noi poveracci, tu hai questa bella casa, e che te ne frega se gli altri arrivano a stento a fine mese pensò in quel momento, poi si decise a parlare:-‐ Ho una proposta che potrebbe cambiare molto la situazione.-‐ la rabbia lo rendeva più determinato:-‐ Sai, questo posto è un paradiso, basterebbe contattare qualche riccone di uno qualsiasi dei vicini e pagherebbe un occhio della testa per poter costruire … -‐ lo sguardo di Ginger si era contorto in una smorfia carica d’odio che sembrava quasi trasudare veleno, e le guance stavano velocemente passando ad un vivace color porpora:-‐ No, assolutamente no. -‐ allora Mario si affannò a rispondere:-‐Ma ho già sentito qualcuno! Dicono che con i soldi che ci darebbero ognuno di noi potrebbe … -‐ -‐Cosa hai fatto? Hai sentito qualcuno? Con quale autorizzazione?! In vece di tua direttrice ti proibisco assolutamente di parlare ancora di una proposta del genere!Chiaro?!-‐ Mario voleva sbattere la sedia per terra, dirle che era una dittatrice che non si preoccupava dei suoi dipendenti, ma la sua mente aveva già programmato un nuovo piano, era la sua ultima spiaggia, e la riuscita dipendeva da come avesse reagito in quel momento; sorrise e rispose:-‐Tranquilla, era solo una proposta-‐, allora anche lei si ricompose:-‐Si, scusami ho esagerato, sai tutto questo stress, la morte di Ronnie … -‐ Certo, perché la morte di Ronnie ha cambiato qualcosa pensava Mario mente usciva dalla fattoria per tornare al campo, poi però si ricredette, perché Ronnie non avrebbe voluto che lui pensasse una cosa del genere di Ginger. In segreto lui era profondamente ammaliato da lei,e lei non se ne era mai accorta, ed era finita per prendersi una cotta per Mario. Ronnie non aveva preso male la cosa, anzi non si era neanche arrabbiato, era solo stato un po’ deluso, ma dopo un po’ era tornato il solito di sempre. Era proprio un grande Ronnie. Mario fu sorpreso di ritrovarsi a sorridere nel Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
ripensare a quei ricordi, ma poi pensò che il suo amico non c’era più, e che la situazione alla fattoria stava degenerando. Lo pervase n moto di rabbia e tristezza che si condensò in una lacrima che scorse veloce fino alla bocca, nella quale i denti erano serrati quasi volessero spaccarsi gli uni contro gli altri. Si riprese velocemente e continuò a camminare come se non fosse successo niente. Era il momento di sfruttare l’infatuazione di quella bambina a suo favore, ed una volta che fosse caduta nelle sue braccia, ingenua e fragile come era, avrebbe potuto manipolarla come voleva. Era un metodo davvero sporco per arrivare al suo fine … Ma era l’unico modo. Il vero ostacolo a questo punto era trovare qualcun altro interessato a comprare quella fattoria, e a dargli abbastanza soldi per mandare avanti lui e gli altri contadini; almeno per il momento avrebbe dovuto disdire l’accordo di cui aveva parlato con il direttore del resort, e questo sicuramente non sarebbe stato disponibile una seconda volta. Su questo avrebbe dovuto pensare, comunque gli sarebbe servito del tempo per conquistare Ginger, ed avrebbe impiegato quel tempo per organizzarsi nei minimi dettagli. 6 Era davvero una bella giornata, il sole risplendeva nel cielo, solcato raramente da una nuvola tiepida e spumosa. L’acqua era cristallina, e si poteva vedere attraverso i riflessi della luce il fondo, colorato dalle piante, dai coralli e dai pesci, che si spostavano a scatti quando l’acqua veniva increspata leggermente dal lento passaggio dello scafo della Sirena. Il nome le era stato affisso non tanto perché dovesse essere registrata o qualcosa del genere (il conducente non aveva neanche la patente nautica), ma era il nome che le aveva dato l’uomo che l’aveva regalata a Carry nei suoi giorni di gloria: si trattava di un ricco inglese che era venuto nel golfo a passare gli ultimi mesi della sua vecchiaia; spesso aveva preso parte alle feste di Carry, e si era affezionato a quest’ultimo, era stato lui a fargli leggere il Grande Gatsby per la prima volta, e qualche volta lo aveva portato a fare qualche giro nel golfo, insegnandogli le principali manovre per governare una barca. Era un uomo davvero diverso da lui, aveva studiato molto, gli parlava di concetti filosofici che erano lontani dalla sua mente, ma allo stesso tempo non era un dotto arroccato sulla sua torre d’avorio, conosceva davvero la vita, e la sua esperienza e la sua conoscenza lo avevano reso il prototipo di guida agli occhi di Carry. In un certo senso era la figura paterna che non aveva mai avuto, il vecchio lo sapeva, e ne era felice. Fra loro si era instaurato un legame unico, e quando seppe che era stato ricoverato per un grave attacco cardiaco, Carry ne fu più rammaricato di quando aveva abbandonato la sua famiglia. Gli stette affianco fino al suo ultimo momento, e per dimostrare il suo affetto per lui, il vecchio inglese, decise di lasciargli la sirena in eredità; poi gli occhi divennero vitrei, il respiro divenne lentamente più pesante finché non si spense del tutto, e la prima persona verso la quale Carry aveva provato un affetto profondo che non fosse condizionato dal legame di sangue lo abbandonò, lasciandogli la Sirena, emblema di quel legame. Il commercialista ovviamente gli aveva consigliato mille volte di venderla, e se avesse seguito il suo consiglio probabilmente in quel momento non sarebbe stato con tutta quell’angoscia sullo stomaco, ma separarsi di quell’oggetto così carico di valore spirituale sarebbe stato molto peggio. Non avrebbe mai lasciato quella barca, infatti non l’aveva neanche inserita nel contratto di vendita. Quasi con certezza qualcuno a cui doveva dei soldi sarebbe venuto a prendersela con la Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
forza, ma lui avrebbe fatto il possibile per tenersela. In più era davvero una bella nave, dallo scafo di legno, e una cabina niente male, con i sedili bianchi da una parte che formavano un salottino, e una camera più piccola con la porta a scrigno, occupata quasi totalmente da un letto matrimoniale. La conosceva come il palmo della sua mano e non aveva alcuna intenzione di abbandonarla. Non si allontanava mai molto dalla costa, soprattutto quando c’era qualcuno con lui, e quel giorno c’era Will. Stavano passando una bella mattinata, era quasi mezzo giorno, si stavano avvicinando allo sperone destro del golfo, dove le rocce erano di uno stano colore rosa e azzurro, li avrebbero consumato un pranzo veloce, poi si sarebbero un po’ riposati al sole, avrebbero fatto un bagno e sarebbero tornati a casa. Una normalissima giornata in barca, una di quelle che amava di più. In quei momenti era lontano da tutti i problemi, con lui c’era solo Will, calma e tranquillità. Raggiunsero in breve l’estremità dello sperone; non tutti lo sapevano, dato che la scogliera si faceva molto alta in quella parte, ma alla base di questa c’era una rientranza, una specie di grotta, che dalla strada non si poteva vedere, ed era davvero bellissima. Per qualche strana questione geologica li le pietre passavano con una sfumatura dal grigio al celeste, e poi bruscamente al rosa. Sul fondo dell’acqua si potevano vedere i ciottoli dei tre colori, resi ancora più affascinanti dai riflessi dell’acqua, che poi si proiettavano sulle pareti della scogliera, creando giochi di luci ed ombre che davano origine un’atmosfera incantata ed unica. La situazione sembrava quasi un sogno, distante, impalpabile. L’acqua era fresca, ma al punto giusto, il sole baciava le loro pelli e riscaldava le pietre, fino a renderle quasi incandescenti. Will e Carry si persero in quello scenario surreale, e a poco a poco il sole cominciò a declinare a ovest. Era tutto perfetto, Carry voleva che quella giornata non finisse mai, ma purtroppo il tempo era inesorabile, e quando il cielo iniziò a tingersi di arancione, decise che dovevano rientrare. Erano stremati, Will era così stanco che nei pochi minuti che impiegarono a ritornare alla villa si addormentò e Carry dovette svegliarlo:-‐ Ehi, svegliati, devi scendere, va a farti una doccia, riporto la nave all’attracco e poi ritorno, va bene?-‐ Will, ancora un po’ assonnato, annuì, scese e raggiunse la gradinata della villa. Carry aspettò che fosse entrato e poi ripartì. Il sole era quasi sparito del tutto, e l’intero golfo era immerso in una calda sfumatura rossa. L’attracco era un molo che si trovava nascosto sullo sperone sinistro, nessuno tranne lui sapeva dove lasciasse la Sirena. Anche qui alla base della parete rocciosa c’era una piccola rientranza, nella quale aveva fatto costruire una passerella di legno che era sostenuta da alcune palafitte, e che poi conduceva ad un boschetto sulla terra ferma, non troppo distante dalla strada. Carry si stava avvicinando a quel posto, quando in lontananza scorse una piccola struttura che prima non c’era vicino al boschetto. Il sole si stava immergendo e senza luce non riusciva bene a mettere a fuoco di che si trattasse. Lasciò il timone e si diresse alla prua per vedere meglio. Niente non riusciva a capire. Si sporse dal parapetto, si sporse ancora di più, poi la barca urtò qualcosa, ebbe uno sbalzo, lui perse l’equilibrio e cadde in mare, battendo la testa contro lo scafo. L’acqua era fredda, voleva tirarsi su, ma non trovava le forze, ne fisiche ne psicologiche … Voleva davvero tirarsi su? In fondo cosa stava lasciando? … L’affogamento non era una morte tanto male, in più a breve sarebbe svenuto e quindi non avrebbe sentito niente … Diversi spettri delle sue Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
memorie riaffiorarono nella sua mente, lo fissavano fra le onde, intorno a lui si faceva sempre più oscurità … 7 Per quanto il tempo scorresse, il caldo sembrava non volersene andare, anzi l’intero golfo sembrava permeato dall’afa, e le giornate erano sempre più insopportabili. Il mese stava ormai per finire e come Ginger ben sapeva, avrebbe dovuto pagare i dipendenti della fattoria. Di soldi non ce n’era neanche l’ombra, e non bastavano neanche per rientrare nelle spese. Il suo animo era tormentato, e ormai anche il suono delle risate dei bambini non faceva che ricordarle il fatto che forse per colpa sua, avrebbero dovuto rinunciare a molte cose, forse addirittura ai pasti. Per fortuna c’era Mario, dopo il loro ultimo colloquio era diventato inaspettatamente gentile, ovviamente non aveva la soluzione a tutti i suoi problemi, ma già avere qualcuno con cui confidarsi era bello. Spesso restava alla casa fino a sera e passavano le notti a parlare e a guardare le stelle dalla terrazza. All’inizio tutte quelle moine l’avevano un po’ imbarazzata, quasi insospettita: il suo comportamento era davvero improvviso, ma infondo non poteva essere semplicemente gentile? Erano molti i problemi che non le facevano chiudere occhio la notte, e sicuramente c’era di peggio di un ragazzo carino che aveva iniziato ad avere delle attenzioni in più per lei. E poi era evidentemente sincero, lei ne era convinta. Mentre mangiava, anche se era seduta vicina a Sofia che come sempre voleva chiacchierare, non poteva far a meno di far cadere il suo sguardo su Mario, qualche posto più in là, e quando i loro sguardi si incrociavano, non poteva che sentire un senso di profondo imbarazzo, ed al primo sentore di calore sulle gote, si accorgeva di stare arrossendo e per non farsi scoprire distoglieva lo sguardo, poi istintivamente lo riportava a Mario, per capire come avesse reagito, e vedendolo sorridere, tornava a guardare Sofia, che la guardava con il solito sguardo che ti dice “ho capito tutto sai?”, e ancora più imbarazzata guardava il piatto. Ciò si ripeteva spesso, e tutte le volte finiva per sentirsi una sciocca, piena di imbarazzo e stizza. Non c’è niente da capire, rispondeva mentalmente allo sguardo di Sofia, mentre magiava ferocemente qualsiasi cosa ci fosse nel piatto in quel momento. Quella mattina venne svegliata dal forte profumo del caffè, e dal rumore del ribollire della bevanda calda nella caffettiera. Era musica per le sue orecchie. Il caldo l’aveva tenuta sveglia per l’ennesima volta e quando aveva finalmente trovato un po’ di pace, il mare in lontananza (che in quei giorni di caldo estremo sembrava piatto, quasi totalmente fermo) aveva già cominciato a farsi rosa per il crepuscolo. Scese pesantemente le scale, aveva gli occhi socchiusi che dovevano ancora abituarsi alla luce del giorno. Raggiunse la cucina, e senza grande stupore vi trovò Mario che preparava un vassoio per la colazione, e quando si accorse che era entrata la salutò con il sorriso più radioso che potesse arrangiare:-‐ Stavo per portarti la colazione a letto, come hai dormito sta notte?-‐ capitava non raramente che nell’ultimo periodo Mario restasse a dormire direttamente lì, e non le dispiaceva per niente. Le preparava la colazione, le chiedeva sempre come stesse, aveva per lei mille cure, e poi quel suo sorriso abbagliante la faceva sentire ogni volta come se fosse ancora una bambina. Scrollò la testa per liberarla in parte dalla nebbia del sonno, in parte dai pensieri da ragazzina:-‐Ancora niente, penso che di questo passo non dormirò mai più … -‐ Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
Quel giorno dopo pranzo andò a sdraiarsi al sole. Si sentiva stremata, erano giorni che non faceva una dormita che potesse definirsi tale. Provò a rilassarsi, ma il sole era così forte che le fece venire il mal di testa, avrebbe pagato per un po’ d’ombra … A tale pensiero le tornò in mente il padre che diceva molto spesso cose del genere. Il ricordo gli mise nostalgia, in un secondo si sentiva terribilmente sola. Mario a quell’ora doveva lavorare, e comunque non era la sua compagnia quello che cercava in quel momento … Non potava colmare con Mario il vuoto che avevano lasciato i genitori. Nel pomeriggio di quel giorno ci sarebbe stato il funerale di Ronnie, a cui avrebbero partecipato anche tutti gli altri contadini, quindi aveva lasciato a tutti l serata libera, tanto comunque i meloni non sarebbero spuntati dal terreno per magia quella sera, e che ci fossero trenta contadini nei campi o zero, non avrebbe fatto alcuna differenza. Il cimitero si trovava in linea d’aria esattamente fra la fattoria e il paese, ma si trovava oltre la pineta che si estendeva al di la delle dune, la strada però passava attraverso un boschetto, e quindi era piuttosto piacevole passeggiarci, e con pochi minuti sarebbe arrivata all’appuntamento con tutti gli altri. Mario si era offerto di darle un passaggio, ma lei aveva rifiutato nel modo più gentile che avesse trovato, il fatto che Mario restasse alcune notti nella casa era noto a ben pochi, quindi arrivare in macchina con lui, davanti a tutti, forse sarebbe stato un po’ inappropriato. Questa almeno era la scusa che aveva dato a lui, ed in realtà, anche a lei stessa. L’aria era più fresca sotto le piante, e poteva quasi sentirla frizzare sulla pelle. Era un vero toccasana rispetto al torrido golfo, che sembrava conservare il calore. Capì di starsi avvicinando al cimitero dall’odore: poco fuori il cancello in ferro battuto del campo santo infatti, vi era un fioraio che vendeva le più belle ghirlande e corone di fiori che Ginger avesse mai visto, che emanavano un profumo tanto dolce che anche alla distanza di qualche metro poteva risultare pungente. Ginger comprò un mazzo di fiori bianchi di cui non conosceva neanche il nome, per Ronnie, e mentre guardava tutti quei fiori così brillanti e colorati, pensò che forse avrebbe potuto lasciare una ghirlanda anche ai genitori, così ne fece realizzare una di Non ti scordar di me azzurri come il colore preferito della madre e di margherite arancioni, dato che era il colore che le faceva ricordare lo spirito felice del padre. Il risultato non era male. Si incontrò con gli altri poco dopo l’ingresso, vicino alla statua bianca di un angelo che piangeva. Il cimitero era un posto abbastanza bello: era un fazzoletto di terra ondeggiante coperto di erba verde, costellato da lapidi e sentieri bianchi, e al centro vi era un grande salice centenario, che con le sue foglie, poteva mettere in ombra un buon quarto del posto. Quel giorno Ginger aveva optato per un vestito del tutto nero, che le rendeva il corpo più sottile, e che rispettava l’etichetta dei funerali. In realtà era una dei pochi ad essere vestita totalmente di nero. Tutte le altre persone avevano semplicemente indossato il loro abito migliore. Forse non avevano qualcosa di più adatto da indossare a tale evento, e questo pensiero la fece sentire più in colpa. La funzione fu piuttosto breve, e quando fu il suo turno di offrire i fiori alla bara, vide per la prima volta Mario, che non si era fatto vedere per tutto il tempo. Aveva il capo chino, e non le rivolse neanche un saluto. Una stana sensazione si insinuò nelle sue membra. Come mai non le aveva neanche rivolto la parola? Il suo dolore crebbe ancora di più quando raggiunse la bara (che ormai era stata chiusa e coperta da Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
un mucchietto di fiori scomposti) e vide la madre di Ronnie con le mani al volto, che piangeva con violenti sussulti delle spalle. Si sentiva in qualche modo colpevole di tutto quel dolore, perché era stata proprio lei a ritrovare quel corpo? Non poteva capitare a qualcun altro? Lei non stava già soffrendo abbastanza? Poi rivide la donna che piangeva, e si sentì una stupida egoista, c’era chi stava soffrendo molto più di lei in quel momento. Quando la bara era ormai interrata, e la piccola folla di compiangenti si era dispersa, raggiunse le tombe dei genitori, erano una accanto all’altra, ed erano costituite da sue semplici lastre di marmo bianche lievemente rialzate. Ginger si chinò, depose nel mezzo delle lapidi la ghirlanda e lo sguardo le cadde sulla foto che era stata incastonata nella pietra. Erano giovani, e tutti e due avevano voluto che la foto fosse quella con la fattoria. Erano contenti nella foto. I pensieri di Ginger cominciarono a spaziare. All’inizio una lacrima le rigò la guancia, e a quel punto non fu più capace di trattenersi, pianse per tutto quello che le era successo, pianse per tutto quello che minacciava i frutti del duro lavoro dei genitori, pianse per tutto quello che si metteva fra lei e la sua felicità, e pianse fin tanto che gli occhi e la gola le bruciarono, e si sentì sfinita, fisicamente ed emotivamente. 8 Il sole penetrava dalla tenda che copriva l’ingresso del suo rifugio. Doveva essere una giornata molto calda, comunque lì dentro si soffocava. Scostò il telo, e diede un’occhiata al golfo. Era una giornata limpida, l’acqua era cristallina, il cielo era terso e il sole illuminava ogni cosa. Si sentiva molto stanco, la giornata precedente era stata terribile, non era riuscito neanche a mangiare qualcosa, e sentiva ancora i capelli incrostati di salsedine e sabbia. Iniziò a risalire lo sperone, voleva bere e sciacquarsi con dell’acqua dolce, e al ciglio della strada, sulla punta dello sperone, c’era una piccola fontanella. Quando la raggiunse era molto accaldato, come aveva previsto sera davvero una giornata particolarmente torrida. Chinò la testa, aprì il rubinetto e il fiotto d’acqua fresca che fuoriuscì gli diede quasi un brivido. La sensazione era piacevole, poteva sentire l’acqua che dai capelli colava sulla schiena e scendeva in un rivolo lungo la sua colonna vertebrale. Bevve un po’, si pulì il corpo e i vestiti per quanto fosse possibile, e poi si sedette sulla punta dello sperone, con le gambe penzoloni e la faccia al sole, ad asciugarsi. Con quella calura in breve si riformarono i suoi boccoli color miele, e fu così asciutto in circa mezz’ora, anche se a lui sembrò un eternità. Quando palpandosi la maglietta la trovò asciutta, decise di tornare al rifugio, e in quel momento buttò un occhio alla spiaggia e vide un ragazzo che sembrava addormentato bagnato dalle onde. Stranamente da sotto non l’aveva visto, non sapeva chi fosse, e in realtà non aveva nessuna voglia di scoprirlo, voleva solo che se ne andasse e che lo lasciasse in pace. Per fargli capire il concetto prima di svegliarlo prese il suo bastone, pronto a colpire se fosse stato necessario, poi si avvicinò al corpo. Si trattava in un ragazzo, quasi un adulto, con una camicia arancione e dei pantaloncini. Aveva i capelli corti e neri, e la pelle olivastra. Iniziò a darli dei colpi alla testa con il piede. Non si svegliò ma fece un verso di disappunto –Allora sei vivo!-‐ esclamò cominciando a colpire ancora più forte per svegliarlo. Il ragazzo si svegliò ed iniziò a lamentarsi e a dirgli di fermarsi:-‐ Si può sapere cosa ti è saltato in testa?-‐ osservando poi con più attenzione l’interlocutore disse:-‐ Chi sei e perché mi stai colpendo?-‐ questo cercò di dare un tono che fosse il Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
più minaccioso possibile alla sua voce:-‐Voglio che tu te ne vada, e poi chi sei tu?!-‐ il ragazzo si stese di nuovo per terra e disse:-‐ Mi chiamo Carmelo, questo posto è mio, non ho nessuna intenzione di andarmene, anzi se qui c’è qualcuno che deve andarsene sei tu!-‐ Si sdraiò e chiuse gli occhi. Improvvisamente sentì un forte colpo alle costole, seguito da un terribile dolore. Si alzò repentinamente, e vide il bambino con cui aveva parlato fino a quel momento stringere un bastone. Glie lo prese e lo buttò in acqua:-‐ Cosa hai intenzione di farmi moccioso, menarmi finche non me ne vado? Te l’ho già detto, questo molo è mio, togliti di mezzo e portati via quella specie di catapecchia che hai messo insieme lì giù o chiamerò la polizia-‐ il piccoletto lo guardò con quei suoi enormi occhi acquosi, che appena aveva parlato di polizia si erano venati di tristezza, e che in quell’esserino con i capelli tutti scarmigliati avrebbero fatto stringere il cuore a chiunque. E Carry non era diverso da chiunque:-‐ Perché ti sei venuto a mettere proprio qui?! Non hai visto la mia barca ormeggiata?-‐ il bimbo rispose:-‐ Ieri quando sono arrivato era mezzo giorno, faceva molto caldo e stavo cercando un posto all’ombra, poi ho visto la passerella e ho trovato questo posto piuttosto “accogliente”, così ho rimediato un paio di tavole di legno e un telo e ho fatto il mio rifugio.-‐ Carry ci rifletté un momento, poteva benissimo essere tutto vero, infatti la mattina precedente quando era venuto a prendere la barca non aveva visto nulla di strano, e poi era solo un bimbo, quando aveva buttato via il suo bastone si era quasi messo a piangere, non gli stava mentendo … Poi gli venne in mente un’altra cosa:-‐ Eri tu ieri notte che avevi una luce qui?-‐ il piccoletto entrò nella tenda, ne uscì con una torcia elettrica piuttosto rovinata e la mostrò a Carry –L’ho trovata un paio di giorni fa vicino a un bidone, in realtà funziona ancora, un po’ … -‐ Il ragazzo la prese in mano e la osservò attentamente:-‐ Sai che ieri stava per farmi affogare questa maledettissima torcia?-‐ il bimbo si accigliò:-‐La luce si vedeva fino a largo?-‐ -‐ Non ero molto a largo … -‐ -‐ Com’è possibile che stavi affogando, se hai una barca, e non eri molto a largo?-‐ -‐ è complicato, ok? E poi non so perché ne stiamo parlando, chi sei tu?-‐ il bimbo gli sorrise, e questo sembrò molto strano a Carry ed esclamò :-‐Mi chiamo Sammy, piacere di conoscerti!-‐ il ragazzo sempre più perplesso chiese:-‐ E dimmi Sammy non hai una casa a cui andare? Dei genitori da cui tornare?-‐ il sorriso evaporò dalla faccia del bambino, chinò leggermente il volto, e scosse la testa. Carry cercò allora di cambiare discorso:-‐ Sai dov’è finita la mia nave?-‐ Sammy ci pensò su un po’, poi si ricordò di aver visto qualcosa dalla punta dello sperone:-‐ Penso che si sia incagliata nella spiaggia-‐ Carry sbiancò:-‐Cosa?!-‐ questa era l’ultima goccia, sentiva l’odio montargli dentro, voleva distruggere tutto ciò che gli fosse capitato sotto tiro. Per colpa di quel moccioso aveva perso la cosa che gli era più cara in assoluto. Fu tentato di scaraventarlo in mare, ma poi, quando vide i suoi occhi enormi velarsi leggermente di un misto di dubbio e dispiacere si placò. –Era molto importante per te vero? Se la tenevi così nascosta … -‐. Ecco, non poteva dire cosa peggiore, di nuovo Carry fu attraversato da una potente onda di rabbia, che placò nuovamente. In fondo sembrava dispiaciuto, anche se era tutta colpa sua non era stato lui a farlo naufragare, poi forse la barca si era semplicemente arenata senza danni importanti, e se nessuno l’aveva ancora vista poteva essere che fosse ancora tutto a posto. Scrollò le spalle, più tranquillo, e rivolse un altro sguardo a quel bambino. Aveva qualcosa di strano … Era come se i suoi occhi fossero due pozzi senza fondo, e dicevano tutto di quello che pensava. In quel preciso momento in particolare era sollevato. Vedendo il veloce mutamento nel comportamento di Carry Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
anche lui si era adeguato a quella nuova situazione. Allora Carry provò ad abbozzare un sorriso, curioso di vedere la reazione nel bambino, i quale esibì un sorriso immenso pieno di buchi che sprizzava gioia da tutte le parti. Se la situazione non fosse stata così tragica Carry si sarebbe anche messo a ridere, era buffo, di sicuro era strano. 9 Era seduta vicino alla finestra, la luna, piena e candida si specchiava come tutte le stelle intorno a lei nelle acque oscure del golfo, che erano così placide che quasi non era possibile intravedere la linea dell’orizzonte, e l’occhio si perdeva in quell’universo infinito di stelle senza fine. Una leggerissima brezza accarezzava la pelle di Ginger. Indossava una leggera vestaglia di lino che le arrivava fino alle ginocchia. Era seduta lì, senza pensare a quello che stava succedendo intorno a lei. La sua mente volava in quell’universo in cui esisteva solo la luce o l’oscurità, molto più facile di quello in cui si trovava. Era stanca di dover sopportare tutto ciò che le succedeva, non poteva continuare in quel modo. Semplicemente non poteva, non si sentiva a suo agio a condurre quella fattoria, da piccola era stato il suo sogno, ma ora capiva che non era adatta a quel ruolo, non voleva tutte quelle responsabilità sulla sua testa, non voleva vedere tutte le mattine le facce di quelle persone che pensavano di poter trovare in lei la soluzione. Lei non aveva la soluzione. Suo padre in questo momento le avrebbe detto che arrendersi era da codardi, che doveva insistere, ma lei forse era una codarda, non poteva farci niente. Si alzò dalla sedia di legno, appoggiò le mani sul parapetto di ferro battuto, fresco, ruvido. Osservò il panorama, la spiaggia, la balconata sotto di lei. La brezza le sfiorò il volto, assaporò quell’odore di sale, sentì la testa leggera. Espirò. Proprio in quel momento si aprì la porta della camera, e una luce gialla e opprimente, tagliò l’ombra della stanza. Ginger si girò di scatto –Che fai ancora in piedi a quest’ora?-‐ chiese Mario entrando timidamente e poi regalandole il suo sorriso, splendente e caldo –Sai che potrei farti la stessa domanda?-‐ disse lei in modo un po’ ridicolo. Lui si avvicinò ancora di più. Indossava una maglietta scura, con i pantaloni neri, sembrava un po’ un ladro. Con una mano le toccò il braccio leggermente, ma con decisione, quel gesto diede sollievo a Ginger che lo accolse portando la mano dell’altro braccio a toccare quella di Mario –Non lo so … Questa notte non riesco a dormire, e volevo vedere come stavi te … -‐ Si avvicinò ancora, e la abbracciò, tenendola fra le sue braccia. Ginger poteva sentire in calore del suo corpo e delle sue braccia, solide come roccia, lui era la sua roccia, l’unico appiglio in quel mare in burrasca, si abbandonò nel suo abbraccio e lo strinse a se. Stettero così per qualche secondo, che sembrò essere eterno, e avrebbe voluto che fosse terno, solo loro, stretti, lontani da tutto il resto. Poi lui si staccò leggermente, le scostò un riccio dalla fronte, la guardò negli occhi e la baciò. Tutto stava andando secondo i suoi piani, aveva trovato anche un uomo interessato a comprare il terreno, voleva farci una fabbrica di qualcosa, e aveva addirittura acconsentito ad assumere come operai i contadini … Sicuramente avrebbe deturpato irrimediabilmente il golfo, trasformandolo in uno dei tanti posti dai quali si alzavano le colonne nere delle fabbriche che nessuno avrebbe Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
voluto visitare, e molti dei contadini non avrebbero voluto lavorare in un posto del genere, ma se ne sarebbero fatti una ragione. Il suo volto si contrasse istintivamente in un ghigno di auto compiacimento. Era sveglio già da circa trenta minuti, era stato un fascio di luce ad interrompere il suo riposo, passando attraverso un buco nella tenda. Ginger era stesa accanto a lui, ma non voleva svegliarla … Si erano addormentati stretti l’uno all’altra, si erano baciati fino a quasi l’alba, si erano sostenuti a vicenda. In quei giorni aveva scoperto molto della ragazza, era meglio di quanto i ricordasse: era simpatica e gentile, ed era anche molto timida, ma questo non era una cosa negativa ai sui occhi, la rendeva più tenera … In quel momento Ginger si mosse, interrompendo i suoi pensieri. Si tirò su con i capelli tutti scompigliati e gli sorrise dolcemente. I giorni seguenti passarono velocemente, cercavano di comportarsi come sempre, anche se era impossibile, ed i timidi sorrisi nascosti e gli inconsci sguardi eloquenti, fecero credere agli altri che fra di loro c’era qualcosa. E la verità era che c’era davvero qualcosa, anche se Mario cercava con tutta la forza di convincersi che non fosse così. Tutte le volte che guardava il sorriso di Ginger si sentiva esposto, disarmato, e non poteva mettere fine a quel calvario poiché pensare di proporle l’affare gli faceva ancora più male. Erano ormai due giorni che procrastinava il suo obiettivo, quella giornata non sarebbe stata migliore delle altre per parlarle. Era sera ed erano rimasti solo loro due. Mario sapeva che quella giornata non era stata migliore delle altre e sapeva che se doveva agire doveva farlo ora. Si recò nell’ufficio di Ginger, che proprio in quel momento stava riattaccando il telefono:-‐ Un altro affare fallito … -‐ sospirò tristemente la ragazza. Perfetto era il colpo finale doveva solo parlare e sarebbe riuscito nel suo intento:-‐Che peccato … Sai qualche giorno fa ho parlato con un uomo … -‐ La voce gli morì in gola. Era bloccato, non gli era mai capitato, era sempre stato bravo a parlare e a convincere gli altri, ma le parole non volevano uscire dalla sua bocca. Il suo corpo era contro di lui, doveva parlare, o adesso o mai più. –Cosa ti ha detto?-‐ Disse Ginger sorridendogli con dolcezza. Quando sorrideva le spuntavano delle fossette asimmetriche sulle guance che la facevano sembrare quasi una bimba. Mario sudava freddo, era rigido. Alla fine, con un estremo sforzo disse:-‐ Beh, mi ha detto che potrebbe essere interessato a comprare questa terra-‐ Il sorriso di Ginger appassì nel momento stesso in cui lui parlò. Lo sforzo a cui Mario si era sottoposto non era mosso solo dall’orgoglio, e dalla voglia di raggiungere il proprio obiettivo. Oltre a quei sentimenti, una forte componente era quella della paura: quando aveva conosciuto l’uomo che gli aveva proposto l’affare, solo all’incrociare i suoi occhi si era sentito pervaso da un senso disarmante di inferiorità, di impotenza. Nel modo in cui parlava, nell’atteggiamento che aveva, nel modo in cui era vestito, c’era qualcosa che intimava timore. L’accordo che era riuscito a strappargli (anche se in realtà non c’era niente di scritto a testimoniarlo) era davvero vantaggioso, l’unica condizione era che lui riuscisse a convincere Ginger. Mario in quel momento si era sentito insicuro (a causa dell’atmosfera pesante che aleggiava i quel ufficio) ed aveva chiesto cosa fosse successo se non fosse riuscito, se fosse andata male insomma. L’uomo, sfoderando i denti gialli in quel che doveva essere un sorriso, aveva risposto:-‐vedrai che riuscirai. Se fossi in te preferirei di gran lunga riuscire che fallire, ed affrontarne le conseguenze … -‐ quelle parole lo avevano inquietato, ma in quel momento non provava veri sentimenti per Ginger, quindi aveva stretto la mano dell’uomo, che si era avviluppata intorno alla sua come un cobra con un roditore, e se ne era andato dalla porta principale Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
dell’ufficio. La sera, come al suo solito, era andato in un bar, e rivolgendo la parola a diversi tipi di persone con cui avrebbe preferito non parlare, era venuto a scoprire che l’uomo con cui aveva parlato non era un imprenditore qualunque, ma che gestiva un ampia rete di piccole aziende, e che già in passato aveva provato ad acquistare la fattoria, e fallire era stato un brutto colpo, tanto che avrebbe mandato a menare il vecchio proprietario se questi non si fosse suicidato. Non sapeva se tutta la storia era vera, soprattutto perché non gli sembrava che il padre di Ginger avesse mai provato a vendere, ma comunque quelle informazioni si ingigantirono nella sua mente, fino a diventare quasi una paranoia. Tutte queste angosce però, si dileguarono dalla sua mente quando dagli occhi di Ginger svanì la gioia, e l’unica paura che rimase fu quella di aver visto quella gioia per l’ultima volta. 10 Carry, appena ripreso dallo shock, non voleva pensare che la Sirena fosse rimasta sulla spiaggia del golfo senza alcuna protezione. Probabilmente, senza custodia era già stata depredata, e forse si era anche rovinata la chiglia. Comunque cercava di mantenere il pensiero ottimista. Come mai lo stava facendo? Si chiese fra se e se. Tirò un’altra occhiata al marmocchio, era lui, aveva uno strano effetto … Strinse i denti con forza, quasi volesse spezzarli, poi prese un respiro profondo, e si rese conto che il bambino era ancora la fermo a guardarlo con quei due occhi enormi che sembravano continuamente sul punto di riempirsi di lacrime. Si schiarì un po’ la voce:-‐ Va bene, senti, io me ne devo tornare a casa, vattene da qui e non dirò niente alla polizia-‐ L’espressione che fece il bimbo palesava un misto di sorpresa e timore -‐E dove vado io allora?-‐ protestò –Non lo so, trovati un altro molo da occupare, ma non questo-‐ La faccia di Sammy si contasse in una smorfia piena d’odio, e poi disse:-‐Io me ne resto qui, tanto sei tu che devi andartene.-‐ Con quella frase lo aveva messo sotto scacco, sarebbe stato difficile contattare la polizia, dato che la stazione più vicina era ad almeno tre quarti d’ora di cammino, e comunque non si sarebbe rivolto a loro, dato che la Sirena non era registrata, e quindi gliel’avrebbero quasi sicuramente sequestrata, e aver sgombrato quel molo sarebbe stato del tutto inutile. Comunque non poteva lasciar stare quel bambino lì, sia perché stava occupando il suo posto, sia perché un bambino non poteva stare lì in quelle condizioni. Non trovava altra soluzione e quindi disse:-‐ Se è così che la metti ti porterò via di qui con la forza-‐ Lo prese per un braccio ed iniziò a risalire lo sperone, e l’operazione fu più complicata del previsto: per quanto il piccoletto non fosse difficile da tenere, continuava a lamentarsi ed a strattonarlo, in più i suoi vestiti, anche se erano asciutti, erano duri e pieni di sabbia e sale che gli prudevano sulla pelle. Il caldo era opprimente ed ogni passo sembrava una fatica titanica. Quando raggiunse la cima si sentiva stremato, e Sammy non la smetteva di frignare. Poi vide che c’era una fontanella, ed in quel momento avrebbe barattato la sua stessa villa per un sorso d’acqua. Questo però gli ricordò che stava per perdere tutti i suoi averi e gli sembrò quasi di aver masticato un chicco di pepe. Sempre tenendo il bambino per il braccio aprì il rubinetto e poi vi ficcò sotto la testa, bagnando i capelli e bevendo abbondantemente. Si sentì molto ristorato, e con più vigore iniziò a percorrere la strada, dalla quale poteva vere non troppo lontano la sua villa bianca, con mezz’ora sarebbe stato a casa. Stava camminando da un po’ quando si accorse di una cosa: Sammy aveva deciso finalmente di chiudere il becco, non lo sentiva lamentarsi e aveva anche Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
smesso strattonarlo! Si girò verso di lui, e vide che stava piangendo, mosso da un forte impulso di pietà chiese:-‐ Cosa succede?-‐ poi si pentì di essere stato così suscettibile. Il piccoletto lo guardò con quegli occhi che sembravano di cioccolato fuso, anche se in quel momento erano arrossati per il pianto :-‐ Per favore non portarmi dalla polizia-‐ Allora Carry si rese conto che non aveva capito che non stavano andando verso il paese, ma disse:-‐ Come mai hai così tanta paura? Sei solo un bambino cosa pensi che potrebbero farti?-‐ il bimbo rispose immediatamente:-‐ Potrebbero riportarmi in orfanotrofio, è successo già l’altra volta, ma questa volta pensavo di essere riuscito a scappare … -‐ Carry era molto stanco, e anche se in genere era bravo a conversare, quel giorno non riusciva proprio a riflettere prima di parlare:-‐ Quindi tu non hai i genitori?-‐ Pensava che lo sguardo di Sammy non potesse crucciarsi più di così, si sbagliava:-‐ Non ho mai conosciuto i miei genitori, sono stato cresciuto nell’orfanotrofio, e tutto quello che ho sempre voluto è stato andarmene da quel posto-‐ Così il ragazzo rispose:-‐ Non ti trattavano bene? In fondo ti davano un posto dove dormire e da mangiare, come mai sei voluto scappare?-‐ Il bambino provò ad asciugarsi le lacrime strofinando gli occhi con le mani:-‐ Quel posto non è casa mia, non mi sono mai sentito davvero a mio agio lì, tutti mi trattavano con freddezza e non mi consideravano … Non penso che tu possa capire … -‐ In realtà Carry poteva capire eccome, aveva provato la stessa sensazione anche lui quando era piccolo, e sarebbe scappato appena ne avesse avuto la possibilità, in effetti, era quello che aveva fatto, anche se per lui fuggire non era significato vivere in una baracca sotto ad uno sperone. Proseguirono il percorso pressoché in silenzio, e quando raggiunsero la casa il bambino esclamò:-‐ Ma tutto questo posto è tuo? Non ti sembra un po’ uno spreco per una persona sola? – Carry non gli diede ascolto, e dopo aver fatto sedere su un divano il bambino corse alla finestra della sua camera, si sporse ed’oltre la duna che segnava il centro preciso del golfo vide la sua barca incagliata nella sabbia, ed intorno a gesta c’era una piccola folla … Che fossero gli sciacalli? Se erano loro era ormai troppo tardi per qualsiasi cosa. Si sentiva distrutto, si cambiò i vestiti sporchi, e prese una macchina che teneva nel garage. Aveva deciso di lasciare Sammy a casa, lo aveva chiuso dentro a chiave, tanto non poteva combinare grandi guai: la casa era ancora sottosopra per la festa di due notti prima. Raggiunse il gruppetto e si accorse che non erano sciacalli, infatti tra le facce riconobbe quella di Will, che dal suo aspetto non doveva aver dormito molto quella notte. Scoprì però anche che la nave si era proprio arenata su un lato, e che quindi probabilmente lo scafo aveva subito gravi danni … Anche la Sirena era andata … Tirò un sospiro e scese dalla macchina, quando Will lo riconobbe gli corse incontro e lo abbracciò chiedendogli se si sentiva bene, e che cosa era successo. Gli disse anche che lo aveva cercato tutta la notte, e quando aveva trovato la barca aveva chiamato subito la polizia per fargli da guardia. Se c’era una possibilità di rivedere la sua amata barca era del tutto svanita, però sapeva che l’amico aveva agito in buona fede, e forse neanche sapeva che la nave non era registrata, quindi non gli disse niente. Lo avvicinò poi un poliziotto, al cui Carry spiegò in breve la storia, raccontandogli anche la storia di Sammy, per la quale non sembrò molto sorpreso (non era la prima volta che provava a scappare). Poi ovviamente gli vennero poste molte domande sulla barca, e dal momento che non poteva dare delle risposte, i poliziotti optarono per il sequestro del mezzo. Era da poco passato il mezzogiorno ed il sole ardeva caldissimo. Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
11 Mani grigie, putride, spuntavano ovunque, le afferravano le caviglie, le tiravano i capelli, le chiudevano la bocca. Doveva correre ma era impossibile, provava a liberarsi ma era tutto inutile. Voleva piangere, voleva gridare, ma le mani le coprivano il volto, e graffiavano la pelle. Provava ad arrancare ma non ci riusciva, iniziò a cadere, ma non c’era fondo, poi le mani la sopraffecero, non poté più respirare. Sentiva i polmoni scoppiare. Sobbalzò, prendendo più aria possibile in un sol respiro. Le coperte erano per terra, dalla finestra penetrava una lieve luce lunare che si posava delicatamente sui mobili della camera silenziosa. Si portò la mano sulla guancia e la trovò bagnata, così si sbrigò ad asciugarsi il volto, poi si distese, posando la testa sul cuscino, prese un profondo respiro. Stette li a guardare il soffitto per un tempo che le parve eterno, poi nella sua mente si condensò una frase “era solo un sogno”. Era da giorni che non faceva sogni del genere, in effetti, da quando era stata con Mario. Quando lui era con lei le giornate diventavano più brillanti, i sapori, gli odori, erano più colorati, e le notti non erano vuote come quella. Era la sua roccia, e pensare al suo sorriso era ossigeno per lei. Ma quella vista tanto bramata era allo stesso tempo amara. Come aveva potuto proporle qualcosa del genere? Ci aveva già provato, e aveva fallito. Per quanto volesse scacciare quel pensiero non le era possibile: aveva provato ad approfittarsi di lei per riuscire nel suo piano, che poi era distruggere tutto il suo lavoro e quello dei genitori. Era in crisi, e invece di aiutarla le spianava la via verso il baratro. Certo era la soluzione più immediata a tutti i problemi, e allo stesso tempo i contadini non avrebbero perso il lavoro, anzi avrebbero probabilmente avuto uno stipendio garantito, che era molto più di quello che lei poteva offrire. Ma a quale costo? Che fine avrebbe fatto il golfo? E sarebbe stata lei a spazzare via il sogno dei genitori? Non poteva sostenere tale colpa. Nella sua testa continuavano ad ammassarsi problemi che lei non era in grado di risolvere, che sembravano se possibile ancora più grandi a causa del dubbio che in tutto quel tempo Mario l’avesse solo presa in giro. Il solo pensiero la fece sentire umiliata, stupida, grassa, impacciata, brutta, una nullità, così sciocca da credere veramente che un ragazzo come lui si fosse innamorato di una ragazza come lei. In quel momento voleva solo nascondersi e piangere. Voleva scappare da tutti quei problemi, era una codarda, e non valeva neanche un unghia dei genitori. Non voleva quelle responsabilità, l’universo era stato crudele con lei, le aveva dato un destino che lei non poteva sostenere, sapeva perfettamente di essere una persona debole, se fosse dipeso da lei non avrebbe preso tale incarico, consapevole del peso che comportava. Si sentiva incapace, non riusciva a combinarne una giusta, tutto continuava a caderle addosso. Non riusciva più a sostenere quel peso. Voleva piangere, ma piangere l’avrebbe solo fatta stare peggio, e poi aveva già pianto tutto quello che poteva dopo aver mandato via Mario quella sera. Era come un tradimento, come aveva potuto pensare anche lontanamente che fosse una buona idea! Certo, in realtà aveva solo espresso un suo pensiero che male c’era se non condivideva lo stesso sogno dei genitori? Voleva veramente credere che non ci fosse altro dietro, infondo neanche lei lo condivideva figuriamoci se … Interruppe bruscamente il flusso di pensieri che l’aveva portata a quell’affermazione. Non condivido il sogno dei miei genitori. Lo aveva ammesso a se stessa, aveva cercato di tenere quella verità nascosta nei meandri della sua mente, ma era venuta a galla da sola. Si impose di non pensare, cosa che era evidentemente impossibile, ma comunque si impegnò il più possibile di non Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
grattare la parete mentale che tanto sapeva che le sarebbe crollata addosso da un momento all’altro. Provò ad addormentarsi, preferiva gli incubi a quella tortura senza fine, ma non aveva sonno, le era passato. Così stette nel suo letto, immobile, cercando di frenare ogni istinto, quasi di congelare la sua mente. Quello che ottenne fu solo un dolore lancinante nel petto. Non aveva idea di che ora fosse, ma il silenzio era inquietantemente profondo, assurdo, anche per quell’ora della notte. In genere si sentivano i versi degli uccelli notturni, o almeno il frusciare delle onde leggere, ma tutto taceva. Quasi con un sentimento di primitiva paura si avvicinò alla finestra, per vedere cosa succedeva. L’acqua era quanto mai ferma, sembrava un lago, e c’erano molte nuvole oscure, che oscuravano le stelle e le nuvole. Era come se tutta la nature fosse in tensione, quasi che l’aria fosse di cristallo, sul punto di rompersi. Tutto era molto strano, che lei si ricordasse non era mai successo niente di simile nel golfo. Poteva ancora percepire il calore, ma allo stesso tempo sentiva brividi gelidi corrergli come dita scheletriche lungo la schiena. Il silenzio era diventato insopportabile, sentiva il cuore battere nelle orecchie, sentiva che stava per esplodere. Sentiva come se l’intero golfo fosse sul punto di collasso. Come se un respiro avesse potuto rompere qualsiasi equilibrio rimasto. E poi, improvvisamente, le nubi si tinsero di viola, andò a vedere dalla finestra del bagno, ed oltre le montagne in lontananza si poteva intravedere un primo spicchio di sole sorgere. Era successo, qualcosa aveva rotto l’equilibrio. All’istante il mare riprese a muoversi, prima leggermente, poi sempre più velocemente, gonfiandosi spaventosamente, e contemporaneamente si alzò il vento, violentemente, con una forza che avrebbe potuto staccare gli alberi, forse la casa stessa, e che ululava in modo lugubre. Improvvisamente si era scatenato il caos, le nubi che si stavano dilatando mostruosamente, oscurando le prime luci del giorno, sembrava che stessero cadendo dal cielo, portando con loro l’acqua che avevano trattenuto per tutta la stagione. Il vento le portava a vorticare spaventosamente, ed il mare continuava ad imperversare sotto di loro, raggiungendo quasi la scaletta di legno che portava alla balconata della casa sulla spiaggia. Iniziò così a piovere pesantemente, sembrava che incudini d’acqua si abbattessero sulla sabbia e sulla casa, spaccando anche i vetri delle finestre. Intanto il mosto di vento e nubi che veniva dal mare avanzava imperterrito lungo la sua traiettoria, travolgendo alberi, sabbia e tutto ciò che incontrava. Il mare aveva davvero raggiunto la casa e stava per entrare nel salone dalle alte finestre che stavano per cedere sotto i colpi dell’acqua, sia dal cielo che dal mare. In tutto ciò Ginger si sentiva una creatura insignificante, e capì che sarebbe stata spazzata via con l’intera casa se non fosse scappata. Il vento rombava spaventosamente contro le pareti della casa e sembrava voler spaccare i muri, mentre flagellava con mostruosamente i campi intorno alla casa e la pineta che si estendeva oltre questi. Il rumore era assordante, il mare sembrava una montagna che crollava e si ricomponeva ogni due secondi. Una folata particolarmente violenta sembrò quasi stapparla dal parapetto. Si buttò così verso l’interno della stanza, ed in quel momento il tetto si aprì improvvisamente, e caddero dei pezzi di legno che sfondarono il letto su cui si trovava poco prima. Uscì dalla stanza, con il pavimento che sembrava sul punto di crollare ad ogni suo passo, scese le scale in tutta fretta, ma mentre correva giù inciampò su un gradino dissestato, scivolò giù e batté la testa su un gradino, sentì un improvviso calore al ginocchio, e poi un dolore lancinante. Il rumore delle mare sembrò attutirsi nelle sue orecchie, e non si accorse neanche di avere i piedi immersi nell’acqua. Voleva rialzarsi, scappare, Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
ma non sentiva le gambe, e a poco a poco anche le braccia sembrarono diventare di pietra, poi non vide nient’altro. Qualcosa di gelido la colpì in piena fronte. Si alzò di scatto, cos’era successo? Sentiva la fronte bagnata, stava sanguinando? Istintivamente portò una mano alla fronte, era bagnata, ma era solo acqua. Si guardò intorno, si trovava su ciò che era rimasto delle scale della casa, e sopra di lei c’era una parte di soffitto che probabilmente era crollata, ma che aveva resistito al resto della tempesta, proteggendola dalla violenza della tempesta. La sua mente si fermò di scatto su quel pensiero, la tempesta. Doveva essersi esaurita perché non sentiva più il rumore della pioggia o del vento o del mare, e dalle dissestate tegole del soffitto penetrava una soffusa luce solare. Voleva uscire da quel rifugio, ma non sapeva come dato che non voleva colpire il pezzo di tetto crollato, temendo che potesse crollarle addosso, poi vide che l’ultimo gradino della scala era mezzo immerso nell’acqua, e che c’era un piccolo spazio creatosi fra la scala ed il soffitto da cui passare, anche se si sarebbe dovuta bagnare, poi si accorse di essere già fradicia. Con un po’ di difficoltà scivolò fuori da quello strano nascondiglio, e si ritrovò in uno scenario selvaggio e primordiale. Il cielo era offuscato da rimasugli di nubi grigie, il mare si era ripreso gran parte della spiaggia e in mezzo alle onde Ginger poteva scorgere quello che un tempo era stato il parapetto della terrazza che era sul retro della casa, di cui ormai restavano solo macerie sparse intorno a lei e sui campi che la circondavano, anche essi distrutti dalla violenza della natura. Dalla boscaglia oltre la duna (che era ormai ridotta ad un cumulo di sabbia informe) proveniva un alito di vento fresco, che contro la sua pelle bagnata, ormai abituata al caldo opprimente, sembrava freddo. Era in uno stato del tutto confusionale, si sentiva smarrita. Quello non sembrava neanche il golfo in cui era cresciuta. Sentì che stava per svenire, ma cercò di trattenersi, perché doveva cercare aiuto, e con suo grande sollievo fu questo a presentarsi da lei dopo qualche minuto. Quella notte Sofia era stata svegliata dal rumore rombante di un tuono particolarmente forte, e appena si era affacciata alla finestra aveva visto il mostro di nubi e acqua che proveniva dal mare avanzare lentamente verso la costa. Velocemente aveva svegliato la sua famiglia e i vicini, che a loro volta avevano svegliato gli altri vicini, qualcuno aveva avvertito i pompieri e le altre autorità, e fra il panico generale ed il fracasso si erano ritrovati tutti quanti nella piazza del paese, difesi dalla facciata della solida chiesa, che proteggeva i più vicini anche dalla pioggia. In realtà Sofia non voleva restarsene lì, se fosse stato per lei sarebbe salita sulla prima macchina che avesse incontrato e sarebbe andata a recuperare Ginger, ma i vigili glielo impedirono, poiché ritenevano che fosse troppo pericoloso. In realtà alla fine si scoprì che tutta quell’evacuazione non era stata necessaria, poiché la tempesta aveva virato il suo percorso verso l’altro lato del golfo, e che gli unici danni consistevano in qualche cavo elettrico saltato e nell’abbattimento del salice del cimitero. Non c’erano state vittime apparentemente, ma Sofia sapeva che nella casa sul mare c’era una persona che era stata colpita in pieno dal nubifragio, e che per quanto fosse decisa ad accettare tale possibilità, poteva essere morta sotto il peso delle macerie. Appena le fu possibile, quando ormai il sole era sorto già da un’ora, aveva preso la sua macchina, e fra i rami caduti sulla strada e le crepe appena formate, era riuscita comunque ad arrivare lì dove un tempo c’era la fattoria, e là, con immensa gioia nel cuore, aveva visto Ginger, che si guardava intorno con Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
un’espressione di profonda paura negli occhi. Così era scesa dall’automobile, e con le lacrime agli occhi aveva abbracciato l’amica, che aveva iniziato a sua volta a piangere. Nei giorni che seguirono il clima rimase incerto, grigio, ancora un po’ turbolento. Ginger fu accolta a casa di Sofia come se fosse tutto normale, come quando si sedeva vicino a quella famiglia a pranzo, e questo le rese il soggiorno meno duro del previsto. In cuor suo sapeva però che stava gravando sulle spalle di una famiglia i cui genitori avevano entrambi perso il lavoro nel giro di una notte, e che già da un paio di mesi, per colpa sua, non percepivano alcuno stipendio. Sofia era davvero una persona eccezionale, nonostante fosse cosciente di tutto ciò la ospitava come un’ospite caro e riusciva anche a rincuorare gli altri contadini che incontrava inevitabilmente per il paese, ogni volta che usciva. Spesso Ginger la accompagnava, e anche se con grandi proteste da parte di Sofia si offriva di pagare la spesa e qualsiasi cosa potesse. Al livello di credito non è che stesse messa molto meglio, ma era certa che il padre avesse fatto assicurare la casa e che quindi a breve le sarebbero entrati dei soldi, in più era davvero il minimo che potesse fare per poterla ripagare per tutto l’aiuto che le stava dando. Proprio un giorno, tornando dalla spesa, nella piazza del paese dove si riversavano sempre più spesso i contadini rimasti senza lavoro, incontrarono Mario, con un aspetto ancora più sciupato di tutti gli altri. Si avvicinò con aria funesta a Ginger, che aveva cercato di fingere di non averlo visto, le si parò di fronte e le disse:-‐Dobbiamo parlare-‐ 12 Era tornato a casa a piedi. Non aveva accettato il passaggio offerto dalla polizia, e non aveva neanche salutato Will. Non gli voleva parlare in quel momento, sapeva che non era colpa sua se avevano portato via la “Sirena” ma sapeva anche che in quel momento era troppo scosso per frenare le sue reazioni, quindi aggirò il problema, come sempre. Era solo un vigliacco, avevano ragione gli altri, aveva ragione suo padre. Provò un forte calore riempirgli il petto, raggiungere le gote, le labbra. Si fermò di botto in mezzo alla strada, si morse la lingua, impiegò tutte le sue forze rimaste in quella lotta contro se stesso. Chiuse gli occhi, contrasse l’addome, finché non sentì calare improvvisamente la pressione. Nella bocca sentiva il sapore del ferro. Fece un respiro profondo e riprese a camminare, il sole continuava a seguirlo, rendendo uno strazio quel percorso. Arrivò alla villa che era già pomeriggio inoltrato. Aveva impiegato più tempo del previsto. Aprì la porta, e sul divano nell’ingresso c’era ancora Sammy. Tutta la rabbia riaffiorò, ma non poteva ripetere tutto il processo, quindi strinse i denti e tentò di abbandonare la stanza senza interagire con il moccioso che gli aveva fatto portar via la barca. Non gliene importava più niente di che fine faceva, basta, voleva solo raggiungere la sua camera, e farsi un bel bagno caldo. Era quasi fuori dall’ingresso, aveva addirittura preso il pomello della porta, quando quella detestabile voce squillante lo prese alle spalle, quasi come una pugnalata –Allora?-‐. Allora? Allora!? Cos’era quella presunzione che osava alzare? Cosa si aspettava? Cos’altro voleva da lui? Inspirò profondamente, si girò e guardò con disprezzo quegli enormi occhi che lo fissavano. –Dove devo andare? Cioè non che questo posto non mi piaccia, anzi è molto grande, potresti ospitare molte persone, sarebbe molto bello … -‐ Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
-‐Io ospitavo molte persone!-‐ lo stava davvero mandando su tutte le furie, non poteva sopportarlo oltre:-‐ Sai che c’è? Io non ti devo niente! Semmai tu devi qualcosa a me! Quindi per favore vattene da questa casa e trovati un posto che non abbia niente a che fare con me! Stai lontano da me!-‐ scandì queste parole quasi per imprimerle meglio in quella maledetta testolina. Sentiva il cuore esplodergli, provava un calore tremendo, l’aria era opprimente. La faccia del bambino sembrò quasi trasfigurarsi, per poi scoppiare in un pianto terribile. A quella vista Carry si sentì colpevole, non voleva questo, non voleva fare del male a quel bambino. Che cosa aveva fatto? Non è un problema mio. Si stava comportando come suo padre quando era piccolo. A quel pensiero sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Si avvicinò con cautela, pose la sua mano sulla spalla dei Sammy. Ma al contatto questo la scansò con violenza, corse verso la porta della casa ancora in lacrime e se ne andò. Carry si sedette, la testa gli scoppiava, sembrava che un uragano fosse appena passato e avesse distrutto tutto quello che gli rimaneva. Non ce la faceva a sostenere tutto quello. Raggiunse barcollando la camera da letto, si buttò sul letto, ma non era abituato a dormire a quell’ora, così restò in un devastante stato di dormiveglia durante il quale si accavallarono nella sua mente ricordi ed incubi. Si buttò giù dal letto che era il tramonto. Il sole tingeva tutto di rosso, dando all’aria un tono ancora più opprimente di quanto già non fosse. Si tolse i vestiti, andò nella vasca del bagno e aprì il bocchettone dell’acqua fredda. Lo scroscio che lo colpì risvegliò brutalmente tutti i nervi, gli fece contrarre tutti i muscoli, gli aprì i polmoni. Poi aprì l’acqua calda ed il getto si fece più tiepido, gli riscaldò le membra, rilassò il corpo. Se ne stava rannicchiato, cercando di liberare la testa dai suoi fardelli, ma non ci riuscì, si arrese e nella sua mente si riversò la rabbia e la paura che aveva. Non voleva perdere tutto, cosa sarebbe stato di lui? Era disperato, non trovava via d’uscita. Poi sentì un sapore inaspettato sulle labbra, era salato ma non come il mare, si accorse di avere il singhiozzo: stava piangendo. Erano secoli che non piangeva. Improvvisamente si sentì debole, si passò una mano sugli occhi e tenne il fiato per far passare il singhiozzo. Si alzò in piedi, chiuse l’acqua ed uscì dalla doccia, ormai era notte e le stelle splendevano nel cielo, prese l’accappatoio, si affacciò dalla finestra ed osservò quel velo oscuro costellato di gioielli che sovrastava il golfo, e si perse fra la bellezza delle stelle. Poi si asciugò ed andò a dormire, trovando finalmente un po’ di pace. -‐Ieri te ne sei andato senza neanche dirmi niente-‐ con queste parole venne svegliato. Aprì gli occhi ed ai piedi del letto c’era Will, che con la luce del sole mattutino sembrava ancora più biondo – All’inizio pensavo che ce l’avessi con me-‐ -‐No Will … Ieri io … -‐ Provò a dire Carry, ma venne subito interrotto –poi i poliziotti mi hanno spiegato, e ho capito che casino ho combinato! Scusami non volevo farti perdere la “Sirena”-‐ era molto sorpreso da quelle parole, pensava che si sarebbe offeso molto di più, invece era addirittura dispiaciuto!:-‐ Non ti preoccupare, era solo una barca-‐ 13 Diede la busta di vegetali che portava a Sofia e le disse che l’avrebbe raggiunta dopo, non voleva fare scenate in pubblico come una sciocca e non voleva che Sofia assistette, lo prese per mano e senza dire una parola lo portò fuori dalla piazza, verso una stradina laterale, e cercò di condurlo in Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
un locale mezzo vuoto che conosceva bene, era un posto di classe, lì se avesse deciso di comportarsi in modo scellerato lo avrebbero allontanato i camerieri. In realtà sperava proprio in quest’opzione. Non voleva assolutamente parlargli, già tenerli la mano le dava ribrezzo, considerando che si era preso gioco dei suoi sentimenti, in più pensava che in quei giorni avrebbe capito che lei aveva di meglio da fare che parlare con lui considerando che la sua casa non che lavoro erano stati spazzati via da un uragano. Poteva sentire la rabbia crescerle dentro. Mentre stava per entrare lui si fermò improvvisamente impedendole di proseguire e disse:-‐Non voglio entrare in quel locale!-‐ Lei non stava capendo perché si comportasse in quel modo, voleva forse litigare così, in mezzo alla strada? Lui invece, non voleva entrare in quel locale perché era il locale dell’uomo a cui aveva assicurato che avrebbe consegnato la casa che era stata spazzata via dalla tempesta, e che aveva già inviato pesanti minacce contro di lui, dato che aveva provato a vendergli un posto pericolante. Ginger si guardò intorno, era domenica, quindi molti dei negozi della strada erano chiusi, e non c’era nessuno che passeggiava come sarebbe stato normale. Si arrese e disse:-‐ Si può sapere cosa vuoi? Mi sembra che sia evidente che io non voglio parlare con te. -‐ Mario la guardava intensamente con i suoi occhi penetranti, ma lei era irremovibile, non aveva alcuna intenzione di lasciargli spazio, era stato disonesto con lei. –Devo confessarti una cosa … -‐ cosa c’era ancora? Perché esitava? Non era il Mario che conosceva lei quello, era solo un fantoccio, avrebbe voluto prenderlo a pugni:-‐ Su parla allora!-‐ Mario che non riusciva ancora a parlare liberamente con lei già normalmente, trovava ancora più difficile chiederle aiuto dopo averla usata e dopo che lei aveva perso la casa:-‐ Ecco io … Io ti ho tradito, sono stato … Mi sono avvicinato a te solo per convincerti che dovevi … -‐ Era come se qualcosa dentro di lei si fosse rotto, come un ultimo legame, un’ultima connessione. Ginger si sentiva andare a fuoco. Lo odiava, era tentata di spingerlo e buttarlo per terra, voleva distruggerlo, gli faceva schifo, come aveva osato!? Fino a quel momento non c’era stata la certezza che lui fosse un viscido verme manipolatore, adesso era lui stesso a dirglielo, e l’ultima speranza che quello che aveva detto era solo un’opinione si era spenta :-‐ Mi fai schifo-‐ quelle parole colpirono Mario come rocce, erano cariche di veleno, erano il frutto di una rabbia e di un disprezzo smisurato, e sapeva di meritarsi tutto quanto:-‐ Ma poi sono cambiato, tu mi hai cambiato! Io pensavo solo … Perdonami ti prego, io ti amo-‐ Lui la amava? Forse aveva un concetto contorto di amore pensò Ginger con sarcasmo, non voleva più niente a che fare con lui, iniziò ad allontanarsi da lui, e con sorpresa si rese conto di stringere ancora la sua mano:-‐Tu non vali niente, e se non te ne vai penso che … -‐ Non riuscì a terminare la frase dato che Mario si avvicinò con uno sguardo afflitto, e le disse:-‐ Ti prego devi perdonarmi, ho bisogno … Ho bisogno del tuo aiuto, non puoi capire … L’uomo che aveva fatto la proposta … è molto potente e … Lui ha … Ti prego aiutami, lui mi ha fatto questo-‐ e dicendo questo mostrò un terribile segno sull’addome. Ginger provò un terribile senso di ripudio, in che cosa era andato a cacciarsi? Sapeva che avrebbe dovuto provare della pietà, ma lui si era preso gioco della sua vita, di quello che era il suo impegno, il suo dovere, e si era preso gioco di lei:-‐ Ma che cosa hai combinato? Anzi, lasciamene fuori, non voglio essere trascinata verso il fondo da te. Non solo mi hai preso in giro, ma hai anche il coraggio di venire a chiedere il mio aiuto! E sai che io non ho più niente! Ti rendi conto che sono sopravvissuta per miracolo ad una tempesta?! Dov’è la tua dignità? Non hai onore, né orgoglio, sei un codardo. Io ti odio, non voglio parlarti mai più, non voglio sentire la tua voce, devi andartene, e se qualcuno ti minaccia vattene proprio da questo paese! Lascia proprio lo Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
stato, maggiore sarà la distanza fra noi meglio sarà.-‐ Così dicendo entrò nel caffè solo perché sapeva che lui non l’avrebbe seguita dentro, e sbatté la porta alle sue spalle. Era furiosa, non aveva mai provato tutto quell’odio per una persona, non poteva sopportare il solo pensiero della sua faccia. Era disperato, Ginger non solo non l’aveva perdonato, ma lo aveva anche detto di andarsene dal paese! Se fosse riuscito a scamparla dall’uomo dell’offerta, comunque non avrebbe potuto pagare le cure per sua madre, dato che anche se la fattoria fosse rinata lui non sarebbe stato il benvenuto, non c’era via di scampo. Osservò Ginger entrare nel caffè, e rimase per un minuto immobile, seguendola con lo sguardo oltre le vetrate, perso nel panico, sapendo di aver perso la sua ultima speranza, nonché la donna che amava. Poi da una strada laterale uscirono dei curiosi, alcuni, riconobbe, erano dei contadini, e forse ora pensavano che lui avrebbe voluto la fine della fattoria. Non poteva sopportare quello strazio, quegli sguardi che lo giudicavano, lui aveva solo cercato di fare l’interesse di tutti, ma aveva fallito, e tutto stava ricadendo sulla sua testa. Aveva paura, uscì dalla strada, se ne andò, ma non sapeva verso dove andare, a casa non voleva tornare, sapeva che se fosse andato lì avrebbe cercato la via di fuga nel fondo di una bottiglia, e come sempre avrebbe scoperto che non c’era via di fuga. Indietro non poteva tornare, la sua dignità era stata intaccata già fin troppo. Prese la macchina ed iniziò a guidare senza meta, si ritrovò senza rendersene conto sulla costa, con la strada piena di rami e dissestata, e quando passò di fronte alle macerie della casa, accelerò, cercando di fuggire da quell’immagine che gli dava soltanto più dolore. Continuò a guidare, finché non raggiunse la duna dove Ronnie aveva avuto il suo incidente, e anche quella memoria tornò a galla, aggiungendosi a tutte le sue sofferenze. Si sentiva come un animale in gabbia, non c’era soluzione, stava lentamente affondando, e sapeva di non poter tornare indietro. Gridò il suo dolore, ma non c’era nessuno ad ascoltarlo. Quando poi si fu finalmente stemperato, decise che doveva andarsene da quel posto maledetto. Così decise di tornare a casa, e dato che tanto non aveva niente da perdere, andò a controllare il fondo della bottiglia. Si sentiva come morto, ma forse morto sarebbe stato meglio, non c’erano sentimenti dopo la morte. Era in uno stato pessimo, era come un cane bastonato, spaventato, che brancola nella notte, fra le strade buie. L’alcol aveva soltanto peggiorato la situazione, ora iniziava tutto ad annebbiarsi, iniziarono quindi a riaffiorare i ricordi che aveva cercato di perdere, e arrivarono con maggiore violenza, e devastarono ancora di più Mario, che iniziava ad avere vere e proprie paranoie, ogni rumore lo spaventava, aveva paura che gli uomini dell’offerente potessero tornare, minacciarlo o fargli del male, e come se non bastasse ogni cosa lo rimandava a come era stato un mostro con Ginger, e sentiva che non avrebbe mai ottenuto il suo perdono, e questa era la sua paura maggiore. Ginger, che amava davvero, ma che lo aveva cacciato con violenza, e lui sapeva che era il minimo che si meritasse. Sofia aspettò con ansia che l’amica tornasse, e quasi un’ora dopo Ginger entrò dalla porta, con un’espressione sfinita. Le gote erano rosse, e gli occhi erano lucidi. Si vedeva che stava trattenendo il pianto a stento. Stava mordendo con forza il labro inferiore, e Sofia era certa di aver visto una goccia rossa scaturire dall’angolo della bocca. Poi però Ginger si era asciugata gli occhi con una manica, e rivolgendo un cenno con il capo a Sofia si era rifugiata nella stanza che le aveva riservato. Sofia voleva consolarla, ma allo stesso tempo sapeva che costringerla a parlare avrebbe Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
solo peggiorato la situazione. Si sentiva un’egoista, per tutto quel tempo non si era resa conto di quanto complicata fosse la situazione di Ginger con Mario, avrebbe dovuto aiutarla prima. Con un sospiro andò in cucina a preparare un tè, ne fece un po’ anche per l’amica, dato che era tutto ciò che poteva offrire per darle un po’ di conforto. Quando l’acqua fumante nelle tazze ebbe raggiunto il colore giusto, si ricordò che Ginger preferiva il caffè. Però ormai il tè era pronto … Prese la macchinetta e la riempì della polvere marrone, mentre sorseggiava il suo tè. Quando entrò nella camera con la tazza fumante trovò Ginger sdraiata sul letto con la faccia contro il cuscino. Non si muoveva, forse stava dormendo, e anche se stesse fingendo significava che non doveva disturbarla, così posò la tazza sul comodino, e uscì dalla stanza. Un sorriso comprensivo comparse sulla sua faccia quando dopo che ebbe chiuso la porta sentì le molle del letto cigolare, e qualche singhiozzo sommesso. Essere madre le aveva insegnato molte cose. Poi improvvisamente il telefono squillò e lei si affrettò a rispondere. Era Emma, una sua amica che lavorava alla fattoria, diceva che aveva visto Ginger e Mario litigare, e chiedeva se ci fossero novità rispetto alla fattoria. Sofia ebbe un moto di difesa verso la povera ragazza che stava piangendo nella camera infondo al corridoio, ma capiva anche le preoccupazioni di Emma, e le disse che non c’erano novità, ma che era sicura che avrebbe riavviato la fattoria. Sofia era una persona molto fiduciosa, e credeva profondamente nella fattoria, e per quanto Ginger sembrasse titubante era sicura che avrebbe usato i soldi dell’assicurazione per riavviare l’attività. Anche lei era molto stressata in quell’ultimo periodo ovviamente, ma compiangersi non sarebbe servito a niente, e in quel momento doveva essere forte anche per Ginger, che aveva perso tutto. 14 Era l’alba, un lieve riverbero rosato si spandeva sull’acqua piatta del golfo. Un gabbiano solitario volteggiava lentamente sulla baia, non era un esemplare particolarmente bello, e le sue condizioni erano pessime, era vecchio e spennacchiato, probabilmente vicino alla morte. Con onore apriva le ali contro le correnti salate, con cui aveva combattuto per tutta la vita. Senza una ragione apparente, si arrese, e iniziò a planare lentamente, verso l’orizzonte, fino a sparire nella lontana luce di un giorno che doveva ancora nascere. Carry era accovacciato in posizione fetale, osservando l’alba dalla finestra della camera. Quella notte non aveva dormito, era pervaso da un inspiegabile senso di apprensione. In realtà sapeva benissimo che la fonte di tale angoscia era il fatto di aver abbandonato un bambino che non aveva nessun posto a cui tornare, ma anche se si fosse deciso ad affrontare quella vocina nella sua testa, avrebbe sempre potuto dire che quel bambino gli aveva causato la perdita di uno dei pochi oggetti a cui teneva veramente, che lo aveva fatto quasi affogare, e che aveva occupato il suo molo, a cui quasi sicuramente era tornato. Erano passati due giorni da quando aveva conosciuto Sammy. Ormai aveva superato la perdita della barca, anche se c’era voluto un po’ di tempo da solo e una bottiglia di whiskey; il suo contabile poi si era deciso a fare qualcosa di veramente utile ed era riuscito a far rimandare l’incontro con gli acquirenti di una settimana, dandogli un po’ di tempo per riprendersi dallo shock causato dall’incidente. Così, per così dire, si godeva gli ultimi momenti nella villa. Però quella vocina c’era, e non aveva nessuna intenzione di andarsene. Scrollò le spalle, Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
si fece il più piccolo possibile e chiuse le palpebre. La lieve brezza mattutina gli accarezzò le gote, era carica di sale, ed odorava di mare. Alla fine si lasciò andare, sdraiandosi per terra, cercando il fresco del pavimento, poi si rialzò lentamente, e scese le scale. Qualche giorno prima risvegliandosi aveva trovato la casa in ordine, era stato Will, che aveva deciso che per ripagarlo si era messo a sua completa disposizione, e dato che Carry non aveva alcuna intenzione di accettare quell’accordo, aveva deciso di ripulirgli la casa, e l’impresa era stata veramente titanica (considerando le condizioni della casa ed il fatto che Will non avesse mai alzato un dito prima), ma il risultato ottenuto era piacevole. Per tutto quel tempo Carry aveva cercato di riempire quella casa il più possibile, con oggetti, persone, qualsiasi cosa, ma ora che sembrava vuota poteva apprezzarne la vera bellezza. La luce penetrava dalle ampie finestre, riempiendo di sfumature rosate ed arancioni le pareti bianche delle stanze. Scendendo le scale sentì uno scricchiolio fra le assi, e si accorse che c’era una crepa sull’ultimo gradino. Gli venne quindi in mente un’idea: se doveva abbandonare per sempre quella casa doveva almeno lasciare un segno del suo passaggio; prese quindi un pezzetto di carta ed una penna, disegnò un gabbiano con le ali spiegate molto stilizzato, poi arrotolò il foglietto e lo infilò nella fessura. Poi riprese a camminare. Si muoveva come un fantasma in una casa stregata. Era davvero una bella casa, molto ampia, sarebbe stato un peccato abbatterla, e sarebbe stato un peccato rovinare quel quadro perfetto di natura che era il golfo, ma non c’era altra scelta. Tutti quei colori, tutta quella vita, sarebbe stata annientata nel giro di un mese massimo, ridotta al grigio uniforme del cemento. Quel pensiero gli pesava sul petto, e quell’amarezza richiamò alla sua attenzione l’angoscia che in realtà non lo aveva mai abbandonato. Doveva fare qualcosa, ed il primo passo era rintracciare il bambino che aveva dato inizio a tutta quella storia. Non voleva farlo, tutta la parte cosciente e razionale del suo corpo gli diceva che non doveva farlo, eppure lo stava facendo. Si fece prestare la macchina da Will, ed in poco raggiunse l’orfanotrofio: un posto grigio e triste, condotto da una suora con una bolla orribile sul naso. Comunque non lo trovò lì, in realtà sapeva già dove si trovava, ma aveva sperato fino all’ultimo che non fosse tornato al molo. Accostò l’auto vicino allo sperone, scese abbastanza rapidamente, e trovò una piccola baracca di legno vicino al molo. Si chiese come avesse fatto a costruirla in così pochi giorni, e dove avesse preso il legno, poi notò che al molo mancavano delle assi, e in lui tornò quella rabbia che lo aveva spinto a cacciare Sammy da casa sua, in realtà era solo un moto di disappunto e stizza, insomma non è così che si tratta un molo! Comunque in realtà a lui non cambiava un bel niente di cosa succedesse a quella vecchia passerella di legno, ora che non gli serviva più a niente. Chiamò ad alta voce il bambino e non ci fu risposta, provò a cercarlo nella baracca ma non era neanche lì, sconsolato risalì lo sperone e tornò in macchina. Stava per mettere in moto, quando gli crebbe dentro un forte senso d’apprensione: che fine aveva fatto? Non era da nessuna parte? Che se ne fosse andato davvero? Per un momento terribile temette di averlo ferito a tal punto da farlo andare via davvero, e un forte senso di colpa lo ferì allo stomaco. Poi si rese conto che doveva essere da quelle parti, d’altronde nella baracca c’erano le sue cose, e poi era sicuro che Sammy non fosse il tipo da farsi scoraggiare dalle parole di chi che fosse. Preoccupato uscì dalla macchina, scese lo sperone con affanno, si avvicinò per controllare meglio, e poi però lo vide sguazzare nell’acqua. Era abbastanza a largo e non l’avrebbe sentito a causa del rumore delle onde che rimbombava sulle pareti della formazione rocciosa. Poi vide i resti di un Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
focolare davanti alla baracca, prese un pezzo di carbone, e scrisse su una roccia ben in mostra: “Devo darti qualcosa, vieni alla villa. Carry.”
Lo aspettò per un giorno circa, ma il bambino alla fine si presentò davanti alla porta. Sentendo bussare Carry era sicuro che si trattasse di lui, e fu felice di vederlo entrare quando aprì la porta, ma Sammy aveva lo sguardo arrabbiato. Che fosse ancora offeso? –Allora, senti, mi dispiace per quello che ti ho detto l’altro giorno … -‐ provò ad esordire –Non c’era qualcosa che dovevi dirmi?-‐ lo interruppe il bambino, con tono sostenuto, di nuovo Carry provò quel sentimento di stizza, che in realtà lo divertiva un po’:-‐ Dritto al punto, eh? Prima devo parlarti un po’, in fondo sei poco più che uno sconosciuto per me … -‐ fu fermato nuovamente -‐Okay, senti io non ci tengo tanto a parlare con te … -‐ questa volta fu però Sammy ad essere interrotto da Carry:-‐ Ma allora perché sei venuto scusa?-‐ chiese con un po’ di rabbia e sincera curiosità. Il bambino si guardò intorno, fece qualche passo nell’ingresso e disse:-‐ è che mi piace questo posto-‐, così Carry sfoderò un sorriso furbo e lo guardò dritto negli occhi:-‐ Beh, allora sarai felice.-‐ 15 Era entrato in casa sbattendo la porta alle sue spalle. Si sentiva depresso ma allo stesso tempo uno strano senso di rabbia stillava dal suo cuore. Si muoveva come un predatore verso la sua preda. Andò in cucina e si avvicinò al mobile che aveva promesso di non riaprire, ma infondo sapeva che l’avrebbe riaperto, per questo non aveva buttato il suo contenuto. Tante chiatte bottiglie lo salutarono. Con veemenza ne prese una che aveva preso in un locale tanto tempo fa, e conteneva un liquido torbido e cangiante sul verde. Come se non fosse niente portò il collo della bottiglia alle sue labbra e sentì con piacere il calore scendergli lungo l’esofago, e dar fuoco al suo corpo che non aspettava altro che il torpore che solo l’alcool sapeva dargli. Con piacere vide la realtà intorno a lui offuscarsi, e così buttò giù un altro sorso. Così proseguì la sua serata, finché non si ritrovò in un angolo buio della camera da letto, pieno di timore. C’era qualcosa che si muoveva sotto al letto. Strisciava nell’ombra, aveva fame, voleva portarlo via nell’oscurità. Cercava rifugio in un angolo della stanza, fra quello che ne restava di una sedia e le bottiglie vuote. I suoi occhi erano sgranati e si muovevano senza controllo nell’ombra alla ricerca di un appiglio, doveva scappare. Cercava di farsi sempre più piccolo contro la parete, tirando ogni tanto un calcio al buio solo per veder svanire il piede nell’ombra, e per la paura subito lo ritirava a se. Era sicuro, c’era qualcosa che voleva ucciderlo sotto a quel letto, lo stava osservando, aspettava il momento giusto, quando abbassando la guardia avrebbe lasciato scoperto il collo, e a quel punto sarebbe scattato e l’avrebbe preso. Erano forse passate ore, giorni, mesi, anni? Non ne aveva idea, ma ogni istante nella sua testa lo tormentava l’idea che forse avrebbe dovuto solo rigirare il letto, buttarlo giù e affrontare la bestia, ma se questa fosse stata più veloce di lui? Se lo avesse preso mentre buttava giù il materasso? Tutto sarebbe stato inutile. Era intrappolato, come poteva fuggire, non c’era via di scampo. Posò la mano per terra e si tagliò con il vetro di una bottiglia. Portò lentamente la mano davanti alla faccia, il sangue scorreva a fiotti, caldo e denso. Iniziò a tremare, sentì una stretta violenta allo stomaco, provò a gridare ma tutto ciò che uscì dalla Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
sua bocca fu un sommesso latrato. Lacrime iniziarono a scorrere con violenza contro la guancia, bagnandogli la bocca, l’istinto lo portò a toccarsi il volto, ma così si sporcò la faccia di sangue, e l’odore di ferro e la sensazione inaspettata di calore sul volto lo agitò ancora di più, il pianto si fece più violento. Il cuore gli rimbombava nelle orecchie come un tamburo. Respirava affannosamente, e sentiva lo stomaco contarsi violentemente. Si alzò con uno scatto, allontanandosi da quell’angolo, buttò per aria il letto, guardò lo specchio che aveva rotto quella stessa notte, (o forse era sempre stato rotto?) e vide il suo viso sconvolto dal terrore, sporco di sangue. Si avvicinò lentamente per osservare meglio. L’unica fonte di luce era un pallido raggio di luna che penetrava dalla finestra, ed illuminava la parete con lo specchio, rotto ed inclinato. Osservò la sua figura per qualche secondo, poi questa mostrò la mano, ed un dolore lancinante ed infuocato si sprigionò da essa, questa volta riuscì a gridare, e sentì la gola bruciare per lo sforzo. Nel frattempo l’immagine nello specchio aveva iniziato a ridere, a prenderlo in giro, a ricordargli che cosa aveva fatto, un impeto di rabbia lo gonfiò, e con un pugno mandò ancor di più in frantumi i resti dello specchio, che tagliò anche l’altra mano e cadde a pezzi sul pavimento. Indietreggiò con timore, poi sentì una voce agghiacciante ridere nella sua testa, gli sembrava che stesse esplodendo, la voce gridava nella sua testa con violenza, era la sua voce. Si buttò a terra, con le mani alla testa, sporcandosi ancora. Si batté la testa con i pugni, e la voce divenne improvvisamente quella di una donna, una donna che gridava contro di lui, che non lo amava, che voleva farlo soffrire: era Ginger. Cercò di risollevarsi, ma andò a sbattere contro la parete e ricadde per terra, le lacrime quasi lo soffocavano, andò a rifugiarsi lì dove un tempo c’era stato il letto, strisciando come un animale, ferito, tremante, e come un animale sentiva di essere in totale balia dell’istinto. Qualcosa lo stava aggredendo e lui doveva difendersi, ma come difendersi da se stessi? Dai mostri della propria mente? Le ombre lo graffiavano, lo colpivano, lo insultavano, e lui sentiva di meritare tutto ciò. Non sarebbe sopravvissuto se avesse lasciato le ombre prenderlo, doveva scappare il prima possibile o per lui sarebbe stata la fine, non sarebbe uscito da quella stanza, doveva uscire, non poteva lasciare così quel mondo, doveva ottenere il perdono della donna che amava, aveva un compito da portare a termine! Doveva scappare ora, doveva rifugiarsi. Si buttò nell’angolo in cui prima si era nascosto. Si rannicchiò come un bambino nelle braccia della madre. Ma li non c’era la madre ad aspettarlo, c’era qualcos’altro di molto peggiore. La creatura strisciante lo prese per le gambe, gli si avvicinò, prese forma, era Ginger! Era lì, e gli ripeteva ciò che gli aveva già detto quel pomeriggio lontano nella sua mente. Lui non era niente, non valeva niente per lei. Si morse il labbro fino a farlo sanguinare, sentiva che stava per vomitare, lo stomaco si contraeva in modo sempre più violento, il cuore batteva come un martello contro la sua tempia, poteva sentire il sangue scorrere nelle vene, respirava in modo sempre più affannoso. Lei preferiva che se ne andasse, doveva andarsene, lei non lo avrebbe mai perdonato, lei avrebbe preferito che le ombre lo prendessero, voleva cancellarlo dalla sua vita, dalla terra, dal mondo. Ginger si avvicinò lentamente al suo volto, quasi per baciarlo, poi gli si lanciò contro con violenza inaspettata, insultandolo, colpendolo, gridandogli contro. Ormai gridava dal dolore, straziato. Poi all’improvviso tutto si fece più buio, Ginger sparì, il dolore alle mani sparì, i crampi allo stomaco smisero. L’ultima cosa che vide fu un timido raggio solare rompere l’oscurità della notte e penetrare lentamente nella stanza, era bellissimo, pensò Mario, come il sorriso di Ginger, Ginger che voleva che lui se ne andasse. Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
La signora Ella abitava nell’appartamento sopra a quello di Mario. Quando era ancora lì, la madre di Mario era stata una sua grande amica, ma poi era stata ricoverata e lei aveva completamente perso l’udito, e senza l’aiuto di nessuno, l’unico tragitto che poteva compiere in quasi totale sicurezza era la strada che la portava alla piazza del paese, dove poteva fare la spesa e comunicare con le altre signore anziane. Molte di queste passavano molto tempo alla fattoria sulla costa, dove un tempo anche lei aveva lavorato e dove ora lavorava Mario. Le signore le riferivano come andavano le cose laggiù scrivendo su un quadernetto che Ella portava sempre con se, ed in particolare chiedeva di Mario, cosa combinava, come si comportava. Da quando sua madre non c’era più aveva sorvegliato su di lui come un angelo silenzioso, sapeva che per quel ragazzo doveva essere dura sopportare di rimanere dura, e lei sentiva la responsabilità di prendersene cura, per la sua amica. Tutte le mattine si affacciava all’uscio della porta per controllare che fosse tutto apposto, anche se spesso Mario non c’era dato che partiva quasi all’alba per andare a lavoro. Grazie alle chiavi che le aveva affidato anni ed anni fa la sua amica, entrava, faceva sparire un paio di bottiglie piene se le trovava, e poi richiudeva la porta, riprendendo il suo quotidiano itinerario. Poi però in quei giorni si era accorta che la mattina Mario non era uscito, e quindi non aveva voluto disturbarlo. Scese le scale come al solito, ma vi trovò molti poliziotti ed una piccola folla di condomini che si accalcavano per vedere cosa succedeva dentro all’appartamento. Poi vide il corpo del ragazzo trasportato da due uomini, sporco di sangue, esanime. La informarono che il decesso era avvenuto per attacco cardiaco, e che le ferite erano dei tagli che si era inferto da solo rompendo dei vetri, e che quindi era stata una morte improvvisa, senza spiegazioni. Ma lei sapeva quanto soffriva quel ragazzo, e aveva provato in tutti i modi ad aiutarlo, ma aveva fallito, il figlio della sua migliore amica, che poteva considerare anche un po’ suo figlio, era morto sotto il suo pavimento, e lei neanche se ne era accorta. 16 Ancora una volta si trovava a girare nella tazza quel liquido nero fumante, ancora una volta era seduto in quel bar con davanti quegli acquirenti, con al suo fianco il notaio, ma in realtà questa volta erano cambiate molte cose. Era così sicuro di se che decise addirittura di bere il caffè tutto di un sorso per poi rendersi conto che era stata una pessima scelta. -‐Bene, siamo quindi qui per concludere finalmente l’affare-‐ Esordì acido il rappresentante-‐ eravamo molto impazienti, questo lotto sembra perfetto per la costruzione di un impianto … -‐ Il contabile non lo fece neanche finire di parlare –In realtà c’è stato un cambiamento-‐ e Carry in quel momento ebbe la conferma che infondo quello era un buon uomo –vedete, il mio cliente non è più intenzionato a vendere, ed anche se volesse non potrebbe-‐ per un attimo sembrò che un fulmine fosse appena piombato fra le tazzine ed i pasticcini -‐Cosa vuol dire?-‐ si intromise nella discussione l’altro uomo con violenza, stringendo nel pugno il tovagliolo color canarino –Vedete, risulta che il signore qui presente-‐ (con un gesto ampio della mano mostrò Carry quasi che fosse un trofeo di caccia) -‐occupasse la casa illegalmente, dato che essa apparteneva in realtà al sign… -‐ ancora una volta fu interrotto, ma questa volta dall’altro uomo, più agitato:-‐ Ci deve essere un documento, ci mostri un documento-‐. Il notaio si asciugò una goccia di sudore sulla fronte, poi si chinò, sbruffò contro la ventiquattrore e ne estrasse un foglio di carta azzurrina che porse agli Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
offerenti. L’uomo agitato lo prese con veemenza e si mise a scrutarlo con attenzione, mentre l’altro sosteneva un confronto di sguardi con Carry –Ma qui c’è scritto che quest’uomo è morto!-‐ il notaio, un po’ a disagio si schiarì la voce e disse:-‐ Infatti, e l’unico erede è un ragazzino del paese, lo troverete forse nell’orfanotrofio.-‐ Così anche l’uomo con il documento in mano rivolse la sua attenzione a Carry –Come mai lei non è in prigione? O quanto meno in caserma, dai carabinieri?-‐ l’interpellato posò il bignè che stava azzannando voracemente sperando di togliesi l’amaro del caffè di bocca:-‐ vede è una notizia fresca di giornata, è stata una sorpresa anche per me-‐ disse con tono che sembrava tutt’altro che sorpreso –dopo questo colloquio mi recherò in magistratura con il notaio, ed entro domani dovrei trovarmi dietro alle sbarre-‐ aggiunse, con un sorrisetto beffardo. I rappresentanti erano allibiti, quello isterico disse:-‐ faremo dei controlli!-‐ ed alzò un indice tremolante per sottolineare il concetto –fate pure!-‐ lo stuzzicò Carry, ora si stava davvero divertendo –lei è sommerso di debiti, qualcuno verrà a cercarla … -‐ -‐dove? In carcere? E che cosa vorrà da me? Io non ho niente.-‐ stava esagerando, lo capiva dallo sguardo severo e preoccupato del contabile, così decise di porre fine al colloquio:-‐ Beh signori, è stato un vero piacere, ma preferisco vivamente il carcere ad un altro minuto a questo tavolino con voi, arrivederci.-‐ si alzò e se ne andò, con il contabile che annaspava dietro di lui per raggiungerlo. Uscendo dal bar il notaio si offrì di dargli un passaggio in macchina per riportarlo a casa, e Carry decise di accettare, anche se, se il clima non fosse stato così estremo, avrebbe preferito non accettare. Il tragitto fu perlopiù immerso in un imbarazzante silenzio, ma quando erano praticamente ormai arrivati, il contabile gli disse:-‐ Sai Carry, condivido veramente la tua scelta, e penso di avertelo già dimostrato falsificando il documento per te, ma sei sicuro di voler andare fino in fondo con questa storia? Adesso ti troverai non solo per strada, ma anche coperto di debiti fino al collo, qualcuno potrebbe venire a cercarti … -‐ Carry abbozzò un sorriso beffardo:-‐ Sei preoccupato per me? Fidati, sono sicuro che dove sto andando non mi prenderà nessuno-‐ ricadde il silenzio, e solo quando in seguito, vide la macchina allontanarsi, capì che il contabile era davvero in apprensione per lui. Entrò nella casa, e ripensò a quello che gli aveva detto Sammy l’ultima volta che si erano visti: “non devi farlo se non vuoi”. Per tutta la sua vita era stato il suo motto, e proprio quando aveva capito che fare solo quello che voleva non gli aveva dato nulla, un mocciosetto gli veniva a dire che poteva fare quello che voleva. Almeno, per una volta, dovere e volere erano combaciati. Svuotò la mente e si sdraiò sul letto. Ormai il sole scendeva, e così si alzò, si diresse alla scrivania, prese un foglio di carta e la penna stilografica ed iniziò a scrivere. Una volta finito, chiuse la lettera, ripose la penna ed estrasse dal cassetto una rivoltella piuttosto vecchia che teneva quasi più come accessorio alla scrivania che come arma. Era pesante nella mano, e l’impugnatura era fredda. Senza timore, la portò alla tempia e premette il grilletto. 17 Erano passati tre giorni dalla morte di Mario quando Ginger lo venne a sapere. Era stata una signora a dirglielo mentre passava per caso davanti al bar nel quale si era rifugiata per concludere qualsiasi suo rapporto con Mario. Per lei era stato come un pugno nello stomaco, i muscoli dell’addome si erano contratti violentemente facendole perdere il fiato, e l’unica cosa che era riuscita a dire era stato un sommesso “Oh”. In realtà si sentiva molto più dispiaciuta di quanto Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
pensasse, lui le aveva rotto il cuore, ma comunque sentiva la tristezza rigarle le guance. In quella giornata era tornata la calura, e come annunciava la voce maschile alla radio, ormai lo squilibrio termico si era riassestato. Negli ultimi giorni si stava interessando particolarmente alle cause della tempesta che aveva spazzato via la sua casa, e seguiva costantemente i notiziari cercando informazioni nuove, che le spiegassero la violenza della natura che le era stata mostrata orami qualche settimana fa. In quel momento però non riusciva a seguire la trasmissione, la testa le girava per la notizia ricevuta, e si sentiva, per qualche strana ragione, profondamente abbattuta. Decise improvvisamente di andarsene dal locale, ed altrettanto repentinamente si alzò dalla sedia, senza considerarne le conseguenze: per un secondo sentì la testa galleggiare nel vuoto, e tutto diventò bianco e soffuso. Afferrò forte la sedia per non cadere, prese un respiro profondo e si mise a sedere, con la testa fra le mani, ancora un po’ agitata. Espirò chiudendo gli occhi e rimase in apnea per qualche secondo. Quando riaprì gli occhi notò che aveva messo in agitazione un cameriere ed una coppietta del tavolo vicino. Profondamente imbarazzata uscì dal caffè e prese la macchina che le aveva prestato Sofia. Ora si sentiva meglio, riaccese la radio, e ascoltò l’intervista al meteorologo di turno. Per riprendersi ancora dallo strano calo di pressione decise di andare alla costa, dove l’aria marina le ricordava casa, la sua casa. La brezza che proveniva dal mare era completamente diversa da quella che attraversava i vicoli del paese, il suo sapore, il suo posarsi sulla pelle, la sua temperatura, erano tutte cose completamente diverse. Accostò li dove un tempo doveva esserci il portico, andato completamente distrutto, lasciò le scarpe nella macchina, così da poter affondare i piedi nella sabbia. Stette qualche secondo ad osservare il mare, poi incuriosita, andò a vedere quello che era stata la sua salvezza durante la tempesta. Le scale, con la parete adiacente e la parte di tetto crollata a coprirle erano ancora lì. Ritornare in quel cubicolo le fece uno strano effetto, era la prima volta che vi tornava. Scivolò dentro nello stesso modo con cui ne era uscita e si sedette su un gradino di legno. L’ambiente era angusto, e pochi raggi di luce penetravano dalle tegole mezze rotte. Rivolse lo sguardo verso il basso, seguendo le venature dell’asse di legno che costituiva il gradino sul quale stava poggiando i piedi. Quante volte era passata su quel gradino? Eppure non aveva mai notato quella piccola crepatura su cui si erano concentrati ora gli occhi. Quasi involontariamente vi portò la mano, e quando sentì qualcosa di ruvido a contatto con il polpastrello, istintivamente la tirò indietro. Osservò la fessura e questa volta con più decisione infilò la mano ed estrasse ciò che aveva sentito con il dito. Era un pezzettino di carta ripiegato su se stesso, e molto impolverato. Con curiosità lo spiegò, e vi trovò un elementare disegno di un uccello, forse un gabbiano. Il tratto era molto sbiadito e la carta era ingiallita, dedusse che doveva essere molto vecchio. Era incredibile che fosse sopravvissuto a quella tempesta, anche lui come lei era rimasto protetto dalle scale. Guardare quel foglietto di carta le scaldò in qualche modo il cuore, era un oggetto prezioso, importante. Lo portò al petto, vicino al cuore, poi lo stropicciò e lo mise in tasca. Quella sera era seduta al tavolo di legno della sala da pranzo dell’appartamento dell’amica, assortita nell’osservare il bigliettino del gabbiano quando sentì Sofia chiamarla:-‐ Ehi! Tutto bene, prima mi hanno raccontato che sei quasi svenuta al bar sulla strada principale, stai bene? Cos’hai lì?-‐ le sembrava quasi che non fosse passato neanche un minuto da quando era quasi caduta quella mattina, ma le sembrava di aver passato decenni ad osservare quel bigliettino, e rimase ad Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
osservarlo ancora qualche istante, per poi rispondere accartocciando il pezzetto di carta:-‐ Non ti preoccupare, posso aiutarti a preparare la cena?-‐ e cercò di abbozzare il miglior sorriso possibile. Poi lentamente si alzò e la seguì verso la cucina. Quella notte il caldo sembrava di nuovo insopportabile, la teneva sveglia, a guardare il soffitto grazie ad un raggio di luna che penetrava dalla finestra spalancata. La mente iniziò a viaggiare, e riaffiorò il dolore per la morte di Mario, ma perché la tormentava tanto quel pensiero? Lui era stato crudele con lei, aveva finto di amarla, era spregevole, non avrebbe mai potuto perdonarlo comunque. Ma era davvero così? Una parte di lei non voleva porsi quella domanda, e l’altra conosceva già la risposta. Si girò su un lato, quasi per scostare dalla vista quel pensiero. Non poteva negare che in fondo, lei lo aveva davvero amato, ed aveva amato amarlo. Condurre la fattoria e avere qualcuno che l’amasse al suo fianco era stato il suo sogno fin da piccola, era quello che si era sempre immaginata di fare, era lì che voleva arrivare. Continuò a rigirarsi, dato che la stessa domanda di prima era riemersa nella sua testa. Solo che non poteva più girarsi e basta, doveva affrontare quella parte di se. Strinse i denti nella semioscurità della stanza: era davvero quello il suo sogno? Era quello che lei voleva, o era quello che qualcun altro aveva voluto per lei? L’immagine del padre e della madre che si abbracciavano riaffiorò nitida nella sua mente. No, non era quello che lei voleva, voleva felicità e serenità, ed aveva sempre associato la gioia del padre a quel pensiero, ma lei non era suo padre, non doveva condividere il suo sogno, non doveva desiderare le sue responsabilità. Tutto ciò che voleva era serenità, e lì non l’avrebbe trovata. Si era resa conto ormai da tempo di non essere adatta a quel posto, ma in realtà era quel posto che non era adatto a lei, e non c’era niente di male in tutto ciò. Il fatto di aver partorito un pensiero simile le pesava sul petto, non poteva deludere le persone intorno a lei, non poteva deludere i suoi genitori. Ma i genitori erano morti, e le altre persone non potevano dire di essere migliori di lei, non sapevano cosa lei avesse passato in quei due terribili mesi da quando era diventata direttrice. Lei aveva avuto la sfortuna di essere incastrata in un futuro che non aveva scelto, ed ora non poteva più continuare a mentire a se stessa. Quello non era il posto dove voleva stare, e la vera ansia che l’assillava era di essersene accorta così tardi. Varie emozioni contrastanti la torturavano in quel momento, facendole tremare le mani. Aveva la fronte madida di sudore, e allo stesso tempo era come se sentisse una mano gelata stingerle lo stomaco. Mentre si alzava per andare al bagno a bere un sorso d’acqua si sentì avvilita per non aver realizzato prima che quello non era il posto per lei, se se ne fosse resa conto prima magari in quel momento non si sarebbe trovata in quelle condizioni. Ripensò a suo padre, amato da tutti, tutti lo chiamavano Sammy con quel tono vezzeggiativo che mai nessuno aveva rivolto a lei, anche lei lo aveva amato profondamente, era davvero un uomo per cui fosse davvero bello lavorare, ed essere figlia. Capì così in un istante che c’era una ragione per cui non aveva lasciato quel posto prima: c’erano delle persone che amava che la tenevano attaccata a quel posto. Il padre, la madre, Mario, erano persone a cui non avrebbe potuto rinunciare. Ma ormai che anche Mario non c’era più, era libera di volare via, come un gabbiano. Si sentiva molto leggera, e quando tornò a letto, nonostante il caldo, riuscì a dormire profondamente. 18 Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
Sammy se ne stava seduto sul letto della spoglia stanza dell’orfanotrofio, guardando fuori dalla finestra le foglie smuoversi appena al lieve tocco della brezza. Tornare da solo all’orfanotrofio era stato strano, in genere lo riportavano con la forza, e gli imponevano come punizione di restarsene da solo in camera tutto il giorno. Quella volta le suore erano convinte che avesse finalmente capito la lezione (come spiegare altrimenti il suo inaspettato ritorno?), così avevano deciso di non punirlo, ma un po’ per abitudine, un po’ per scelta, era rimasto chiuso in camera lo stesso tutta la giornata. All’improvviso, una suora entrò nella stanza, chiedendogli di seguirla, dato che c’era un signore che voleva vederlo. Fu molto sorpreso della notizia, e anche felice. Sperava vivamente che fosse Carry; non avrebbe mai potuto ringraziarlo abbastanza per quello che aveva fatto, anche se non aveva ancora ben chiari i suoi piani. Spesso si ritrovava ad immaginarsi a vivere in quella grande casa sulla costa, ampia, accogliente, con i pavimenti di legno liscio, e le ampie finestre con le lunghe tende. Ovviamente non avrebbe tenuto tutto ciò solo per se, in quel breve tempo che era passato dal suo ultimo colloquio con Carry aveva già immaginato uno scopo per quella casa: avrebbe accolto chiunque ne avesse avuto bisogno, in più aveva una mezza idea di utilizzare i terreni intorno alla villa per metterci delle piante, magari dei frutteti … Le sue fantasie vennero bruscamente interrotte, quando raggiunsero l’atrio, invece di Carry infatti trovò il notaio. Era un uomo buono, e con lui era stato gentile qualche giorno prima, ma non si aspettava di certo una sua visita. Aveva un espressione rattristata, e sembrava molto più vecchio di quanto non fosse realmente. Comunque lo salutò cordialmente, ed i due andarono a sedersi ad un tavolino vicino ad una finestra che dava sul cortile interno, dove si vedevano gli altri bambini giocare. Il notaio spostò il peso in avanti e indietro, mostrando il suo disagio sulla sedia di vimini. Poi cercò lo sguardo del bambino, ma quando lo trovò, girò subito il volto, quasi lo avesse punto una zanzara sul collo. In fine congiunse le mani sul tavolino, quasi a formare una barriera fra di loro, e si decise a rompere l’imbarazzante silenzio che aleggiava da ormai un minuto abbondante. Si schiarì la voce e disse:-‐ Sammy … Ho una notizia che ti dispiacerà … Ecco, Carry … Questa mattina in teoria la polizia avrebbe dovuto cacciarlo di casa … Io ero andato lì nella speranza di poterlo aiutare in qualche modo ma…-‐ ingoiò visibilmente, e tossì di nuovo:-‐ Carry … Carry è morto-‐ tirò un sospiro di sollievo, e si afflosciò contro lo schienale della sedia. Sammy aprì la bocca per dire qualcosa,ma le parole gli morirono in bocca per il profondo dolore che provò improvvisamente al centro del petto. Non poteva credere che era morto, come poteva essere morto?! Il notaio sembrò notare la sua domanda, ma girò la testa dall’altra parte. Sammy provò un forte senso di odio nei suoi confronti, poi girò la testa anche lui, perché iniziava a sentire qualcosa di caldo scendergli lungo le guance. Poi disse:-‐ Bé se è tutto arrivederci.-‐ e senza aspettare una risposta scese dalla sedia, e si diresse verso la sua camera, con il viso fra le mani, lasciando il notaio immerso in un profondo senso di vergogna. Non poteva credere che anche Carry lo avesse abbandonato! Era un’azione da codardi, morire senza lasciare niente, senza congedarsi in alcun modo. Pensava che fra di loro ci fosse dell’affetto, ma infondo cos’era per lui? Poco più che un estraneo, ecco cos’era. Il fatto che avesse lasciato a lui la casa non significava nulla allora, se non fosse andata a lui sarebbe andata a qualcun altro, magari a qualcuno con cui aveva dei debiti; glie lo aveva spiegato lui stesso il giorno in cui era andato a casa sua e gli aveva regalato quel posto. Lui e i suoi debitori erano allo stesso livello. Che Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
vigliacco! E che vigliacco il notaio che non aveva avuto neanche il coraggio di spiegarli come era morto. Ma infondo non doveva dirgli niente, lui e Carry erano soltanto poco più che estranei. Ma se era così perché ogni volta che ripensava al fatto che non c’era più, risentiva la forte fitta al petto che aveva provato prima? In quel momento la stanza sembrava ancor di più una prigione, e gli faceva venire ancora più voglia di scappare. Questa volta però sarebbe stato più difficile perché la finestra era troppo in alto, e uscendo avrebbe rischiato di farsi male … Poi si ricordò della promessa fatta a Carry, non doveva scappare da quel posto, doveva restare finché non fosse stato abbastanza grande da andarsene da solo, e a quel punto sarebbe potuto andare alla casa. Ma quanto valevano quelle parole a quel punto? Lui sperava che in tutti quegli anni Carry sarebbe venuto a visitarlo spesso, e avrebbero potuto parlare, giocare … In realtà era da un po’ che nella sua mente vagava il dubbio che se avesse veramente voluto tutto ciò lo avrebbe adottato; ma ormai era troppo tardi per qualsiasi cosa, era morto, punto e basta. Soffocò un grido contro il cuscino, e quando non resistette più, stacco il viso dalla tessuto e respirò affannosamente, per poi abbandonarsi alle coperte. Era ormai sera quando si risvegliò. Il sole iniziava a tramontare, tingendo il cielo di un colore prima rosato e poi violetto. La testa gli pulsava per il forte pianto, sentiva lo stomaco indolenzito, e le gambe erano pensanti come pezzi di legno. Si sentiva come se lo avessero investito, rompendogli tutte le ossa. Si passò una mano sulla guancia per asciugarla, poi si mise in piedi, e non sentendo nessun bambino gridare, capì che era ora di cena. Si unì agli altri nel pasto, e anche se il suo corpo era lì, la sua testa era da tutt’altra parte. Si sentiva come la prima volta che era arrivato all’orfanotrofio. 19 Lo zaino pesava sulla sua schiena, ormai era arrivata alla stazione. Prese un biglietto, di sola andata, ed entrò nel primo autobus che passava che la portasse lontano da quel posto. Era l’alba, ed il sole splendeva candido, alzandosi dalle lontane montagne. Si sedette vicino al finestrino, era agitata, andava incontro all’ignoto, i dubbi erano tantissimi, e si stava lasciando alle spalle una grossa fetta di vita, in realtà tutta la sua vita fino a quel momento. Spostò il peso da una spalla all’altra, un po’ a disagio su quel sedile scomodo. Improvvisamente si sentì prendere dall’angoscia, e per superare quel momento mise una mano in tasca, lisciò il foglietto che c’era dentro, osservò il gabbiano disegnato, sospirò e lo rimise in tasca. Fin dalla prima volta che lo aveva visto, quel gabbiano le aveva procurato una strana sensazione, una necessità di fuga, di libertà, e da quel momento, proprio per questa sua strana proprietà, era diventato il suo promemoria. Ogni volta che vacillava lo guardava, e si ricordava della pressione che sentiva in quel posto, che doveva essere casa sua. Lasciarla era stata la prima vera cosa buona che avesse fatto fino a quel momento, ne era convinta. Non poteva continuare quel lavoro, e con un dirigente più capace anche la fattoria sarebbe risorta, e le cose sarebbero iniziate a migliore, ed era certa di aver scelto la persona più adatta in assoluto per quel ruolo.
Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
Quella mattina si era svegliata alle quattro, quando le stelle erano ancora alte nel cielo, aveva preso il grande zaino da escursione che aveva comprato la giornata prima, vi aveva messo dentro il minimo indispensabile e poi si era vestita. Solo a quel punto aveva preso carta e penna, aveva acceso la lampada sul tavolino della piccola camera da letto, e si era seduta a riflettere su ciò che voleva lasciare scritto. Dopo una quarantina di minuti aveva finito, e con gli occhi che correvano da una parte all’altra del foglio, aveva riletto la lettera: Cara Sofia, quando starai leggendo, io sarò già partita, e tu non potrai fare niente per riportarmi indietro. Scusami per questo inizio così brusco, ma ormai ho deciso che devo partire, e non ritornerò. A nessun costo. Sento che questo è il momento di fare delle scelte, di seguire le mie idee, e penso già di intravedere una strada: non so perché un Uragano sia venuto a distruggere la mia casa, voglio capire cosa sia successo quella sera, quali siano le cause, e per quando possibile combattere perché eventi simili non capitino ancora. In più ho finalmente capito che questo posto non fa per me, semplicemente non sono la persona giusta. Già non so dirigere correttamente me stessa, figuriamoci una struttura così complessa, basta sullo stretto rapporto fra le persone, e su quel senso di dovere nei confronti della società, che io onestamente non ho mai sentito. In più, considerando gli ultimi eventi, penso che la fattoria abbia bisogno di un direttore degno di questo nome, forte e deciso. So che non sarai felice per questa mia improvvisa partenza (e a proposito mi scuso per non averti avvertito di persona, ma so che avresti provato a fermarmi), sono però convinta che con il tempo capirai che è stata la scelta giusta per tutti. In più voglio anche scusarmi per non averti interpellata su quanto riguarda la mia scelta in merito al mio “successore”: ora sei tu la nuova proprietaria della fattoria. Io ti conosco molto bene, e sono certa che tu sei tanto giusta per questo ruolo quanto io non lo sono. So già che gli altri ti accetteranno come dirigente senza tante storie, ma per sicurezza nella busta ci sono un documento in cui ti cedo tutti i terreni sui quali c’erano i campi e la casa, ed ovviamente il titolo ufficiale di direttrice, che ho fatto autenticare da un notaio ieri, e tutto ciò che ti servirà per avere accesso ai soldi dell’assicurazione (codici bancari e tutto). Vedrai, sotto la tua guida la fattoria si risolleverà. Tu la farai funzionare. Ti prego di riportare le mie scuse anche a tutti gli altri, sia per la mia improvvisa sparizione, che per il mio cattivo operato. Se solo mi fossi resa conto prima che questo non era il mio posto, molte cose sarebbero andate diversamente. Spero che oggi non nasca troppo scompiglio, ma sono sicura che sarai più che capace di gestire la situazione. Ho molta fiducia in te. Con amore, Ginger P.S La macchina è parcheggiata vicino alla stazione degli autobus. Non era una lettera molto lunga, ma essenziale, e spiegava ogni cosa. Aveva quindi preso una busta, vi aveva messo dentro il foglio, i documenti che aveva faticato tanto a mettere insieme dopo la tempesta, e aveva scritto sul retro, a caratteri molto ampi “per Sofia”. Poi silenziosamente, per non svegliare nessuno, si era alzata lentamente dalla sedia, era uscita dall’appartamento che Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
l’aveva ospitata così calorosamente in quel momento di importante transazione, e quando ormai le stelle erano cominciate a svanire all’orizzonte aveva detto addio al suo paese, e se ne era andata per sempre. In seguito rimpianse molte cose: non essersi ricordata di vedere in che stato fosse la baracca del padre, non essere passata a dire addio alle macerie della sua casa, non aver salutato Sofia di persona, ma con il tempo si rese conto che la strada che aveva intravisto l’avrebbe portata davvero lontano, a problemi che riguardavano tutto il mondo, e non solo il suo piccolo paese. Ciò che era successo a lei era davvero piccola cosa rispetto ad altre catastrofi terribili che si erano abbattute sulla terra in quegli ultimi anni. Tutte avevano un punto in comune, il surriscaldamento globale, e quando Ginger scoprì in cosa consisteva, fu davvero sorpresa dal fatto che persone come lei, che conducevano una vita umile, nel rispetto della natura, dovessero soffrire a causa di uomini che rispettavano solo i soldi, a discapito di tutti gli altri. 20 Carry aveva avuto fin da piccolo uno strano rapporto con il concetto di morte. Il suo primo contatto con essa era stato quando a soli cinque anni la zia a cui era profondamente legato era morta mentre teneva la sua mano. Era stata un’esperienza estremamente significativa nella sua vita: quando il rumore della macchina che la teneva in vita era diventato un unico e continuo fischio, e la stretta della mano della zia era diventata tanto debole da lasciar cadere la sua, aveva capito che non avrebbe più rivisto la persona che più di tutte amava. Poi però era stato subito portato via, nella stessa frazione di secondo in cui stava per scoppiare in lacrime, la stessa persona che lo aveva portato fuori (la cui faccia era lentamente svanita nella memoria) gli aveva detto che non doveva avere paura, che non doveva preoccuparsi. Quella era proprio un’affermazione strana, ritenne. Come mai non doveva preoccuparsi? Non avrebbe più rivisto la sua zia! Poi però si aggiunsero altre persone sempre a dirgli cose come: è andata in un posto migliore (quindi non era una cosa brutta che fosse morta?); aveva posto fine alle sue sofferenze (allora davvero non era una cosa brutta, se stava meglio … Ma avrebbe potuto rivederla?); la zia non c’è più, ma non è colpa di nessuno (eh no, la zia c’era, l’aveva vista lui, la stavano portando via, e poi che colpa c’era, non stava andando in un posto migliore a non soffrire più?). In quell’ultimo periodo la zia era stata molto male, anche se provava a nasconderlo, lui lo poteva vedere nell’espressione crucciata che velava la sua faccia ogni tanto quando andavano a visitarla, poi non aveva più le forze, e quello era evidente, e non sorrideva più come prima. Quell’idea distorta che la morte in fondo non fosse una cosa negativa aveva deviato per gran parte della sua infanzia la sua mente; quando poi si era reso conto che non c’erano certezze che la morte portasse a stare meglio, o peggio, o da qualsiasi parte, aveva provato un moto di odio verso quelle parole che gli erano state propugnate da piccolo, e con questo un senso di rigetto verso il concetto di morte. L’ignoto lo spaventava, ed il fatto che fosse definitivo ancora di più. Divenne quasi un’angoscia. Cosa era successo a sua zia? Dove era andato il loro vecchio cane? Cosa sarebbe successo a lui una volta che fosse giunto il suo momento? La vita era un dono così bello, perché allora doveva finire? Queste domande lo accompagnarono fino a quando non iniziarono i tipici scontri con i genitori che caratterizzano l’adolescenza. Al contrario della norma però questi portarono a vere e proprie crisi emozionali nel Marco Zuaro. Concorrente 1456779165489
giovane Carry, un po’ dovute alla sua istintiva emotività, un po’ perché le sue richieste di attenzione non erano infondate come quelle di tutti i ragazzi della sua età. Questo spaventoso carico di emozioni, instabile all’interno di una mente così inesperta, gli fece rivalutare la bellezza della vita, e così anche la paura della morte. L’ignoto poteva essere una valida alternativa se quello che si aveva era qualcosa di tanto orribile. Perché temere l’eventualità dell’oblio, quando era la vita che portava incontro alla sofferenza? E questa convinzione era rimasta abbastanza salda nella sua mente, finché non si era convinto che l’idea del suicidio fosse una vigliaccheria, come tutto ciò che faceva, come se significasse arrendersi al fatto che non si era riusciti a rendere la vita soddisfacente. Così appena aveva potuto se ne era andato, aveva costruito una nuova vita, ed aveva cercato di dare fondo ad ogni piacere che mai la vita potesse offrire, e quando era convinto di aver provato tutto, quello che gli era rimasto era un profondo senso di vuoto e smarrimento. Non era quindi quello il senso della vita? Non era quella la chiave della felicità? E allora qual’era? Esisteva? Un altro evento aveva poi cambiato la sua vita. Quando era ormai pronto a darsela a game come un vigliacco anche dalla stessa esistenza, convinto che la felicità non esistesse, l’universo lo aveva fatto collidere con quanto di più diverso da lui ci fosse: un bambino che emanava vitalità da ogni poro, che viveva per vivere, che aspettava il cambiamento, che voleva essere felice, e voleva che anche le persone intorno a lui fossero felici. Quel bambino gli aveva insegnato che la felicità si ottiene attraverso gli altri, come una malattia, che parte dal sogno di una persona e contagia tutti gli altri. Era triste che aveva capito solo a quel punto che forse così anche lui sarebbe potuto essere felice. Ma ormai per lui era troppo tardi, aveva ricordi che non poteva dimenticare e debiti sia morali che materiali che non avrebbe potuto ripagare. Così decise di essere coraggioso. Regalò speranza a quel bambino, gli regalò opportunità, gli regalò la felicità che lui comunque non avrebbe mai potuto raggiungere. Ed in fine, con onore, richiamò a se la morte, oscuro oblio, e mise finalmente fine al suo dolore, e a quello che aveva procurato agli altri. Per questo non vacillò quando sentì il freddo metallo della canna della rivoltella contro la tempia, era più che sicuro che fosse la cosa giusta per lui. Tutto ciò lo lasciò scritto al notaio in una lettera, scritta poco prima di morire, e a cui aveva anche aggiunto: “Lascio a te il compito di avvertire il piccolo Sammy, perché so che sei un uomo buono, e che non riempierai la sua mente con frasi fatte per proteggere te stesso dalla verità dei fatti. Per lui sarà dura, ma sarà sicuramente meglio che dirgli che “ho smesso di soffrire”, ho solo scelto l’oblio, ma è un concetto troppo difficile per un bambino della sua età. Per questa stessa ragione preferirei che non gli dicessi che sono stato io a porre fine alla mia vita. Scusami se sono stato così meschino a lasciarti un compito tanto ingrato, ma so che sei la persona giusta. Addio allora, Carry.”
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