La Ballata di Nettlefield di Marco Zuaro
L’effetto Farfalla, in fisica e matematica, è una locuzione della teoria del caos. Questo effetto si basa sul concetto che anche la minima variazione nelle condizioni iniziali può causare drammatici effetti sul sistema a lungo termine. Turing sosteneva che lo spostamento di un singolo elettrone avrebbe potuto prevenire o causare una valanga l’anno successivo. Un grande equilibrio rotto da una minima incosciente variazione.
Preludio Gayle Myers attraversò velocemente il parcheggio della scuola, cercando dentro allo zaino le chiavi della mustang che le aveva prestato il padre. Per un momento il terrore di averle perse le attanagliò lo stomaco. Poi aprì la tasca davanti dello zaino. Che cosa avrebbe pensato suo padre se avesse perso le chiavi proprio il primo giorno che le aveva prestato la macchina? Ma non c’era tempo di godersi il sollievo, buttò lo zaino nel sedile posteriore, e uscì dal parcheggio il più velocemente possibile. Ovviamente tutti i suoi sforzi furono vani. Proprio mentre stava per attraversare lo stretto cancello il bus della scuola svoltò la curva e si avviò verso l’entrata. Provò a fare marcia indietro ma si era già formata una piccola coda di macchine dei ragazzi dell’ultimo anno, ed essendo lei la prima della fila era l’unica a non poter scaricare la tensione sotto forma di creative ingiurie contro la persona davanti. L’ingorgo non lasciò Gayle andare per un’altra mezz’ora almeno. La mustang ululava attraverso le desolate strade di Nettlefield mentre Gayle si slanciava verso il comune della città. Le basse, incolte e grigie palazzine si inseguivano oltre il finestrino. Il padre le aveva detto che se avesse fatto tardi a lavoro non le avrebbe prestato più la macchina, ma il desiderio di esercitare il da poco ottenuto diritto al voto era un prurito inestinguibile. Sembrava assurdo che dopo appena cinque mesi da quando aveva compiuto diciotto anni la cittadina di Nettlefield fosse stata chiamata alle urne. A detta di suo padre era da anni che non si votava su qualcosa che non fosse scegliere tra un sindaco conservatore e un sindaco leggermente più conservatore. Lui aveva saggiamente deciso di astenersi da una scelta che portasse una responsabilità così grande con se, e non avendo mai votato perché avrebbe dovuto cominciare oggi? Aveva perfettamente senso per Gayle, suo padre aveva sempre ragione su queste cose, ma era chiaro che l’universo le stesse dicendo che era giunto il momento per lei di decidere. Su una popolazione di neanche diecimila persone il suo voto avrebbe avuto un peso molto maggiore rispetto a metti, le elezioni presidenziali. In più si trattava di qualcosa di molto importante, si era fatta la sua idea da tempo ormai (per quanto suo padre volesse sembrare imperturbabilmente disinteressato lei era riuscita a carpirgli quello che le serviva). Lei doveva fermare i lunghi artigli delle grandi multinazionali dal piccolo angolo di nebbioso paradiso che era Nettlefield. Si trattava di proteggere il negozio che avrebbe ereditato dal padre. Si trattava di proteggere la sua famiglia e il suo futuro. Il suo voto avrebbe cambiato tutto. Gayle si crogiolava in queste idee mentre chiudeva goffamente lo sportello della macchina. Si avviò verso l’ingresso di pietra del municipio, l’unico edificio di una qualche rilevanza storica della città. Si diceva che una volta ci fosse passato anche Hamilton, lei lo diceva sempre ai suoi parenti di Harrisburg quando venivano a mettere in mostra le loro macchine che non emettevano neanche un miagolio, e a guardare lei e suo padre con quegli occhi celesti che sembravano dire “ah, poveri provincialotti”. E proprio in quel momento un diverso paio di occhi celesti incrociarono il suo sguardo. Sotto una piccola edicola piena di volantini verdi e spillette, fra le sue due ancelle, troneggiava su un instabile sgabello di Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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legno Klio Miller, con tutta la sua massa di ruggenti ricci biondi che le coronavano l’ampia fronte bianca. Gayle la riconobbe perché andavano allo stesso corso di economia domestica (effettivamente oggi non c’era, probabilmente era qui dalla mattina), altrimenti sarebbe stata soltanto un altro dei tanti nomi che periodicamente si ritrovavano sulle labbra degli studenti della loro scuola ogni qual volta si volesse parlare di qualcosa di scandaloso. Come fosse popolare una ragazza del genere Gayle non ne aveva idea. Neanche essere una sgualdrina avrebbe funzionato per una che indossava le magliette di Che Guevara o andava ai raduni femministi nel tempo libero. Eppure ecco che a scuola tutti parlavano solo di lei, con quel tono di critica che mal nasconde ammirazione. Probabilmente se fosse passata velocemente non l’avrebbe riconosciuta, ma era troppo tardi, avevano fatto contatto visivo, e la sua faccia si stava già contorcendo nella sua celebre smorfia felina. Gayle cercò di far finta di niente, iniziò a guardare qualsiasi cosa tranne il banchetto. Improvvisamente la pianta rinsecchita davanti alla cabina elettorale divenne interessantissima. –Ehi!- risuonò una voce chiara e vagamente minacciosa. Gayle ammise la sconfitta abbandonando la botanica per mandare uno sguardo il più inespressivo possibile a Klio, che le rivolse un feroce sorriso –Noi siamo nello stesso corso di diritto vero?- Gayle, che non era stata ammessa al corso di diritto, cercò di controllare l’acidità nella sua risposta, ma fallì –Economia domestica-Ah sì … Mrs Smith … Non credo esista una donna più sommessa, d’altronde era o quello o matematica … Comunque! Sei venuta a votare? Non pensavo avessi 18 anni! Ha ha ha, non fraintendere, non c’è niente di male solo che con quei maglioncini crema e le gonnelle della nonna … Gayle non riuscì a nascondere un’espressione di profondo disappunto e disapprovazione, e Klio non mancò di leggerla al volo. -Insomma, sei qui per salvare madre natura da questi capitalisti a cui piace troppo pulirsi il culo con i soldi per preoccuparsi della salute del pianeta e dei suoi abitanti, è questo quello che conta, potranno aver vinto nel resto d’America, ma non gli faremo mettere le mani sulla nostra terra eh?!Klio le rivolse uno sguardo di cameratismo, ma Gayle rimase stoica nella sua espressione di disappunto e disapprovazione. Come osava chiamare quella la sua terra? Era quasi certa che una volta avesse sentito dire che sua madre era californiana. I Myers abitavano quella cittadina da generazioni (in quel momento aveva deciso di dimenticare quei cugini che vivevano ad Harrisburg, e di certo non si chiedeva quale fosse il ramo predominante della famiglia) loro erano americani veri, quella sì che era la loro terra. Loro. Era venuta con l’intento di dire no alla centrale nucleare, ma era l’occasione d’oro per vedere gli angoli di quella bocca insolente scendere verso il colletto del giacchetto denim pieno di spillette ambientaliste. -Io voterò a favoreTre paia d’occhi si oscurarono come un cielo invernale e iniziarono ad esaminarla da capo a piedi come se fosse scesa da una navicella spaziale appena caduta dalla luna. Nel goffo tentativo di far risalire le mandibole delle scialbe amiche di Klio, aggiunse –Serve per l’economia della cittadina, non siete stanche di essere lo scherzo dello stato? La città ha bisogno di un cambiamento- dopo aver detto ciò fu molto soddisfatta dal tono che aveva usato, aveva convinto anche se stessa. Dopo un momento, in cui il suo sguardo di ghiaccio divenne incredibilmente pietoso, Klio disse –Rispetto il fatto che tu abbia un’opinione, ma non rispetto la tua opinione- le sue amiche annuirono come se avessero sentito una verità dalla bocca di un profeta. Gayle pensò che non aveva bisogno dell’ultima parola per vincere quella guerra, e che uno sguardo di condiscendenza sarebbe stato più che sufficiente. Si diresse verso la cabina senza rivolgere una seconda occhiata a quel gruppo di faraone, e consegnati i dovuti documenti venne indirizzata ad uno dei cubicoli. Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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L’operazione era molto semplice. Dopo una lunga pagina piena zeppa di parole insignificanti c’erano due quadratini, uno diceva sì, l’altro no. Doveva solo mettere la crocetta sul no e la centrale non sarebbe stata costruita. O forse non era così? Il dubbio invase il suo volto rendendo le guance incredibilmente calde. Aveva letto degli esempi di referendum europei dove il sì era no e il no era sì. Ma insomma non è che gli europei fossero particolarmente affidabili su queste cose, guidavano sulla corsia sbagliata della strada addirittura. O forse erano gli australiani quelli? E se gli europei avessero ragione? Sì, erano decisamente gli australiani quelli al contrario, e una vaga memoria di gente che parlava della scheda come se fosse stata scritta appunto per ingannarti si insinuò nella sua mente. Iniziò a leggere alcune delle parole sulla carta giallognola ma sembravano non volersi legare fra loro. Panico. La stavano ingannando. Non poteva sostenere tale responsabilità. Poi ripensò al fatto che diecimila persone votavano quel giorno, infondo cosa avrebbe cambiato il suo voto? Forse non sarebbe proprio dovuta venire, considerò andarsene senza fare niente, scheda bianca, ancor più facile che votare. Ma poi Klio avrebbe saputo che non aveva votato. Una sensazione viscerale le diceva che Klio avrebbe saputo, come se quegli occhi cobalto in quel momento fossero fissi sulla sua nuca, in quella pietosa espressione che Gayle proprio non riusciva a capire. Perché quell’espressione era pietosa? Prese la matita, mandò a quel paese gli europei e mise una croce sul sì. Era stato davvero molto semplice.
Contrappunto: L’ultimo cliente della giornata era un uomo grasso e vecchio. Il suo odore era anche peggiore del suo aspetto. Una classica essenza che si addice al tipo, un bilanciato estratto di urina e alcol. La strada era oscura, e il locale da cui era uscito ancor più oscuro. Lei si appostava in quella losca zona della città perché sapeva che era facile trovare uomini ubriachi, e uomini ubriachi erano clienti facili . Si era 3 Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
ripromessa che il prossimo sarebbe stato l’ultimo della giornata, sulla strada del ritorno non si sarebbe fermata neanche per il principe azzurro. Certo questo non l’aveva fermata dallo sperare che l’ultimo fosse davvero un principe azzurro. Infondo aveva imparato molto tempo fa che anche i principi azzurri frequentano certi posti. Invece le era toccato l’uomo grasso e vecchio. Entrò e basta, senza neanche dirle una parola, come se lei stesse aspettando soltanto lui. Il taxi cigolò sotto il peso dell’uomo grasso e vecchio. Lei provò a chiedere dove volesse essere portato, ma lui era troppo impegnato a strozzare un conato per poter rispondere. Non importava, lei l’aveva riconosciuto, era il vecchio del negozio per esche in centro. Si era sempre chiesta come facesse ad andare avanti quel negozio, e sinceramente era vagamente intimidita da quell’uomo nel migliore dei suoi giorni, figuriamoci in quelle condizioni. In quel momento pensò alla pistola di servizio nel cruscotto su cui era attaccata con il nastro adesivo trasparente una foto di un neonato grassoccio, e si sentì immediatamente più sicura. Un tempo aveva lottato così tanto per un controllo più rigido delle armi, aveva gridato alle manifestazioni per togliere le pistole anche ai poliziotti, e ora era lì ad accarezzare il pensiero di liberarsi di quell’uomo grasso e vecchio con un clic. Non che l’avrebbe fatto veramente, non avrebbe mai potuto uccidere. L’occhio andò istintivamente alla foto sul cruscotto. Okay forse in un caso avrebbe potuto uccidere. Alla fine l’ironia della sorte le fece risalire un po’ gli angoli della bocca, dove una vita impietosa aveva tracciato impietosi solchi. Sfrecciò verso il centro della città sulle strade di asfalto nuovo di zecca, passò davanti al vecchio municipio dal portone di pietra, soffocato dai nuovi palazzi dalle vetrate blu scuro. Mollò l’uomo grasso e vecchio sul marciapiede, alla luce gialla dei vecchi lampioni del centro. Lui giocò la carta dell’incoscienza e pescando dalla tasca un’unica banconota le diede metà del dovuto. Lei si morse il labbro. Non si sarebbe messa a litigare con quell’essere abominevole neanche se l’avesse pagata in gomitoli di lana, ma allo stesso tempo un profondo senso di ingiustizia crebbe dentro di lei quando realizzò che quell’uomo grasso e vecchio non solo le aveva dato era metà del dovuto, ma anche metà di tutto quello che aveva guadagnato oggi, nonché metà di tutto quello che aveva in assoluto. Non aveva tempo per pensare a queste cose, era già in ritardo. Parcheggiò occupando praticamente due posti nel cortile dello squallido motel ai confini della città che non avrebbe mai imparato a chiamare casa, e dopo aver spento la luce del segnale sul taxi, si avviò verso la sua stanza, cercando di ignorare la bottiglia di birra mezza piena sul gradino dell’ingresso. Seduta sullo spigolo del piccolo letto, con la cornetta già all’orecchio, compose il numero nell’oscurità e aspettò che qualcuno rispondesse dall’altra parte. Il tempo sembrava ristagnare tra un “tuu” e l’altro. Qualcuno rispose –Pronto? Chi parla?- Era la calda voce di suo marito, Neil. Di suo ex marito. Una voce calma ed imperturbabile, come il suo volto, sempre sereno. Lei era più giovane di lui, ma nessuno l’avrebbe detto, la mano sinistra si posò sul volto, un po’ per assicurarsi che improvvisamente la pelle non si fosse distesa e assodata. Un po’ per imitare una di quelle lontane carezze. Che sciocchezza. Ingoiò una serie di parole che un assurdo senso di dignità le impedì di dire e rispose flebilmente –sono io, vorrei parlare con Nat- il ricevitore dall’altra parte fu coperto, ma lei poté sentirle chiaramente dire – Nathaniel! Nathaniel! È KlioSentì passi soffusi veloci, e poi, come un fulmine: -Mamma!-Nat! Il mio ometto! Il mio piccino è diventato un adulto! Non ti credere che solo perché adesso puoi andare in giro con la macchina e comprarti da bere da solo non sarai sempre il mio piccino. Eri così
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piccolo! Ti potevo tenere in un solo braccio …- accentuò il concetto con un gesto che lui non poteva vedere, e un sorriso pieno d’amore si condensò sul volto stanco. - Hahaha mamma! Non vedo l’ora di vederti domani! Ci sarai alla gara no?-Certo che ci sarò tesoro! Come potrei mancare?! Il mio piccino un adulto e anche un campione, il mio unico orgoglio, tesoro mi dispiace così tanto di non essere lì con te in questo momento-Mamma, non ti devi preoccupare … -Tesoro ti ho comprato un regalo- e fermò le prime proteste del figlio con condiscendenza –no … no … tesoro, ho già mancato al mio dovere l’anno scorso, non potevo lasciar passare i diciotto anni allo stesso modo-mamma ti avevo detto che non fa niente, ti avevo detto che non mi serviva nulla …-sì ma farti un regalo non è soltanto perché ti serve, è per farti felice, e per fare felice me di conseguenzaAll’improvviso Nat ruppe la risata che era scaturita da quella perla – Mamma è venuto Andy a prendermi, devo andare, ma ci vediamo domani!-Oh … Va bene. Solo non fare cose di cui ti pentiresti, okay?-MammaaaaCon una fragorosa risata si concluse quella fin troppo breve chiamata. Klio sapeva da tempo della relazione del figlio con tale Andy, e per quanto amasse il figlio sempre allo stesso modo, non aveva ancora trovato la forza di incontrare questo fantomatico fidanzato. Pensò al fatto che probabilmente Neil non sapeva niente di quella relazione. Per quanto era stato inaspettato, quando quella sera, nella calda sala da pranzo della loro casa Nat gli aveva parlato della sua sessualità, Klio l’aveva accettato a braccia aperte, una parte di lei l’aveva sempre sospettato, e il suo amore era rimasto incondizionato. Neil invece non poteva mai accettare Nat per quello che era veramente. Non poteva accettare il fatto che fosse riccio come la madre. Non poteva accettare il fatto che il figlio avesse scelto l’atletica invece che il football. E quella sera non era stato capace di accettare la sua sessualità. Ovviamente divenne solo l’ennesima cosa su cui non andare d’accordo. Neil l’accusava di assecondarlo troppo in tutto, di dargliela sempre vinta, di non disciplinarlo e che alla fine era per colpa sua se adesso si era messo in testa strane idee. All’inizio, per il bene del figlio, lei aveva cercato di spiegargli che la sessualità non è una questione di educazione, ma quella era una battaglia che lei non sapeva combattere, Nat avrebbe dovuto convincerlo, un giorno, se avesse voluto. Alla fine fu solo un’altra scusa per litigare, e gridarsi addosso, e lanciarsi i piatti. Klio non avrebbe mai ammesso davanti a Nat che il divorzio era avvenuto a causa sua, ma la verità era che tutto era avvenuto per lui. Come poteva lei dormire nello stesso letto con un uomo che non poteva amare veramente suo figlio? Che versione superficiale ed spoglia di amore pensava Neil di poter dare a suo figlio se non voleva neanche andare alle sue gare di corsa? Ovviamente Neil era ricco, era potente, e lei era solo una casalinga con un problema con gli alcolici. Neil aveva vinto in corte, Neil aveva vinto qualsiasi cosa tranne quello che contava veramente. Klio si accontentava delle sue segrete vittorie, e si consolava al pensiero che ora che Nat era un adulto, aveva tutto il diritto di scegliere liberamente chi vedere e chi non vedere. Gli unici doni che il signore le avesse mai concesso erano un figlio e un divorzio, e doveva fare del suo meglio per farseli bastare. Questo era il suo mantra.
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Quando chiuse la chiamata, la voce registrata gracchiò nella cornetta “la chiamata sarà addebitata sul conto della camera”. Ovviamente. Klio si sdraiò sulla squallida trapunta, sopraffatta dai pensieri. Come avrebbe pagato il conto della camera quel mese? Pensò alle bottiglie vuote sotto al letto, e pregò che una si riempisse da sola, ma ovviamente erano tutte vuote. Pensò a quella bottiglia mezza vuota sul gradino dell’ingresso. Con un grande sforzo si convinse a non alzarsi. Non era più quella persona, non era più giovane e ingenua. Ed era anche quella una vittoria. L’ultima bottiglia che era stata nascosta sotto al letto, risaliva a tre mesi fa, e l’aveva bevuta saltuariamente per addormentarsi. Aveva risparmiato tutti i soldi che poteva per il regalo per Nat, che giaceva florido sul grigio tavolino all’angolo della stanza, e tagliare sull’alcool era la cosa più giusta, anche se non la più facile. Sembrava che i colori della carta da regalo emanassero una leggera aura luminosa di loro. Ne era valsa la pena. Fanculo la bottiglia e il conto del mese. Le lenzuola erano fredde e rigide come carta contro le dita intorpidite dal sonno. Le orribili tendine a fiori non coprivano perfettamente l’unica finestra della stanza, e un raggio di luce del sole tagliava il pulviscolo nella stanza, posandosi sul volto pallido e immobile di Klio, che iniziò a contorcersi disturbato. Riafferrata la più piccola scintilla di coscienza Klio spalancò gli occhi, il senso di panico e urgenza paralizzava il resto del suo corpo. Gli occhi esplorarono la stanza freneticamente finché non si fermarono al vecchio orologio digitale sulla parete. 8:01. Era in ritardo. Di nuovo. Afferrò i jeans per terra. Non c’era tempo per lavarsi i denti. Il traffico mattutino le sarebbe costato 3 minuti in più. Lanciò i resti del pigiama. Prese gli occhiali da sole dal comodino. Indossò il più velocemente possibile il suo vecchio giacchetto denim. Afferrò le chiavi del taxi e uscì dalla stanza. Il motore era già in moto quando se ne accorse. Chiuse la macchina. Si riavviò verso la stanza. Ovviamente aveva lasciato le chiavi della camera nel giacchetto che a sua volta aveva lasciato sul sedile passeggero. Tornò al taxi. Tornò alla stanza. Afferrò il pacco con entrambe le braccia, e proprio mentre stava per chiudere la porta il telefono iniziò a suonare dal comodino. La tentazione di non rispondere era fortissima, ma da tempo non la cercava più nessuno, se avevano quel numero e avevano deciso di chiamare lei, dovevano essere davvero all’ultima spiaggia. Posò il pacco. Si avventò verso il telefono. – Pronto?- disse in un tono sbrigativo che esigeva una risposta immediata e soddisfacente. –Mamma!-Tesoro sto arrivando, giuro, tra cinque minuti sono allo stadio. La gara comincia a e mezza no?-Mamma meno male che ho fatto in tempo! Mamma fammi parlare. Mamma ho un problema-Cosa devo fare?-Ho appena aperto la scatola con le mie scarpe da gara, sai che le tengo sempre al sicuro no? Ho scoperto cinque minuti fa che la sinistra si è scollata in punta. La suola non resta attaccata al resto della scarpa. Mamma non posso correre con queste scarpe! Andy non può usare il cellulare a lavoro e non voglio chiamare papà … Penserà che è solo che voglio che lui venga alla gara e non posso sentire la condiscendenza nella sua voce in questo momento …- Air blue, taglia 9.5-Sì! Mamma, ascolta se vai al … Ma Klio stava già chiudendo la chiamata. Non c’era tempo per altro, aveva una missione da completare in meno di mezz’ora. Ma ce l’avrebbe fatta. Sfrecciò con il taxi nella città. Parcheggiò davanti al negozio di esche e entrò nell’adiacente negozio di abbigliamento sportivo. Il commesso dietro al bancone era così concentrato a studiare il contenuto della Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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cassa che neanche si accorse del suo ingresso. Mentre si avviava al reparto scarpe, contò tutti i soldi che aveva nel portafogli, svuotandolo completamente, fino all’ultimo centesimo. 54 dollari e 42 centesimi. A sua memoria le scarpe si aggiravano sugli 80 dollari, ma questo non la fermò dallo sperare in una delle offerte che periodicamente il negozio faceva sui capi meno popolari. In più sapeva che i piccoli negozi del centro non se la passavano benissimo ultimamente, quindi la possibilità di fare un affare c’era sempre. Almeno questo voleva credere in quel momento. Le scarpe costavano 79.99 dollari. Controllò ogni singola scatola. C’era un numero 9.5. C’era un numero 9.5 ed era in offerta. Offerta del 20 per cento. Non abbastanza. Klio leggeva il cartellino sperando di aver letto male. Magari non vedeva bene e quel 20 era in realtà un 30. Magari 20 per cento era il prezzo totale e non lo sconto. Niente da fare, il cartellino rimaneva lo stesso. Le servivano più soldi, ma la carta di credito era bloccata, e quei 54 dollari erano letteralmente tutto quello che aveva in assoluto. Non poteva andare allo stadio a mani vuote, era la sua occasione per dimostrare che lei ci sarebbe sempre stata. Non aveva i soldi per pagare. Doveva provarci comunque. Andò alla cassa, e con una voce che non avrebbe convinto neanche lei stessa disse –Mi scusi, le air blue, sono soggette ad uno sconto?- il cassiere, con lo sguardo stranamente colpevole disse –ehm, sì, hanno il venti per cento in meno- lei si morse il labbro. Cercò di abbozzare un sorriso a labbra strette e disse –Certamente, mi chiedevo se ci fossero ulteriori offerte sul prodotto-. Sentiva l’inesorabile ticchettio dell’orologio alle spalle del commesso. Il tempo la stava mettendo con le spalle al muro. –I prezzi sono quelli esposti sugli scaffali, ogni prodotto è anche prezzato individualmente, come le ho detto ci dovrebbe essere una taglia in offerta-. Il tono spazientito la punse con veleno. Non era il modo in cui avrebbe voluto condurre quella conversazione. La sua voce uscì dalla bocca come un proiettile da una pistola –non potrebbero essere soggette ad un ulteriore sconto?- appena quelle parole si condensarono nell’imbarazzante silenzio che seguì, Klio si rese conto di quanto dovesse sembrare ridicola. Non si era neanche accorta di starsi sporgendo così in avanti contro il cassiere. Indietreggiò, si passò entrambe le mani sul volto mentre un profondo respiro usciva dalle sue labbra in lievi sussulti. Uscì dal negozio e rientrò nel taxi. Nathaniel avrebbe corso con le scarpe di riserva nello stadio. In fondo usava sempre lo stesso modello solo per una questione di scaramanzia. Lei non poteva aiutarlo. Fece per mettere in moto, ma mentre girava le chiavi il suo sguardo si posò sulla foto sul cofanetto. Quegli occhi di ghiaccio, identici ai suoi, la guardavano impassibili. Immaginare di vedere ancora una volta quel terribile sentimento in quegli occhi non le era possibile. Non era rancore, non era rabbia. Era delusione. Lei non poteva aiutarlo. Ancora una volta, lei non poteva aiutarlo. Ancora una volta lei avrebbe deluso suo figlio, e sarebbe stata cosciente di meritare quella delusione. Ancora una volta lei sarebbe stata una madre che non aveva potuto aiutare il figlio nel momento del bisogno. Appena le passò dietro agli occhi quella terribile immagine, rigirò le chiavi e le estrasse immediatamente facendole cadere sulla tappezzeria scura come se fossero bollenti. C’era solo una cosa che le restava da fare. Era molto semplice. L’aveva fatto centinaia di volte da giovane. Un gioco da ragazzi. Mentre stava per uscire dallo sportello la sua attenzione fu catturata di nuovo dal portaoggetti, ma questa volta non era la foto a cui stava pensando. Era pesante e fredda. A mala pena riusciva a nasconderla nella manica del giacchetto. Era solo un preventivo. Un’assicurazione. Sarebbe andato tutto bene. Non sarebbe stata necessaria, neanche come minaccia. Entrò nel negozio. Non guardò il commesso. Andò direttamente al reparto scarpe. Prese la scatola che le serviva. Andò verso l’uscita. Sette, sei passi e sarebbe stata fuori. Il commesso non si era ancora girato. L’orologio ticchettava. Tra trenta secondi si sarebbe trovata nel taxi. Tanto vicina alla porta. Alcune parole del commesso raggiunsero il suo orecchio. Il mondo divenne un tunnel mentre si girava verso il ragazzo. Paradossalmente solo in quel momento le parve di cogliere veramente l’aspetto del cassiere. Era follemente magro, con la pelle bianca che diventava viola intorno a quegli occhi grigi come l’oblio. Mentre faceva scivolare il freddo e pesante metallo contro la pelle del braccio sotto la manica del giacchetto, e mentre alzava con una presa Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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incredibilmente stabile la pistola, in quelle pozze nebbiose non vide neanche una goccia di paura, ma solo un inaspettato senso di offesa, come se gli fosse stato fatto un torto personale. In un’eco Klio si sentì pronunciare le parole –Non fare la scelta sbagliata- il giovane iniziò a sputare altre parole, le sottili labbra si increspavano ritmicamente, ma tutto quello che Klio poté carpire fu “polizia”. Un fiume di paura travolse le sue gambe, pensava che stesse per cadere, invece la corrente la portò davanti al ragazzo, con la pistola puntata contro il petto e di nuovo come in un’eco lontana sentì –Non ci devi neanche provare- e in un secondo realizzò che quelle parole erano le sue. In quel momento avrebbe potuto girarsi e uscire. Il ragazzo se la stava praticamente facendo sotto, non avrebbe rischiato atti avventati per un paio di scarpe. Ma due cose la colpirono in quel momento: la furia negli occhi del ragazzo e la cassa che aveva passato tutto il tempo ad osservare mentre lei era nel negozio. E in quel momento ebbe una visione di un futuro diverso. Era una follia. Ma tanto le uova non erano già rotte? Klio si saldò alla pistola come se fosse un pezzo di lei. Un senso si potenza le esplose in petto. Con un muto ordine costrinse il ragazzo a prendere i soldi dalla cassa e metterli sul bancone. Gli occhi di lui erano iniettati della folle rabbia dello schiavo che si ribella. Eppure la pistola creava fra di loro una differenza insormontabile. Lei era il padrone. Lui si doveva piegare. E alla fine si piegò. La lentezza con cui accumulava le banconote era esasperante. Moneta dopo moneta. Banconota dopo banconota. Ticchettio dopo ticchettio. C’era quasi. Un secondo. Un ticchettio. E in un folle istante le sue mani non erano le uniche a stringere la pistola. Un atto così disperato. Un atto così veloce. Klio ebbe paura. Ogni muscolo si contrasse. Incluso il dito indice. Un esplosione. Freddo che improvvisamente diventa caldo. Caldo che improvvisamente diventa freddo. Il commesso aveva ancora le sue mani intorno alla canna della pistola. Klio pensò di poter affogare in quegli occhi liberi da ogni espressione. Non capiva cosa stava succedendo. Le orecchie fischiavano. Le braccia raccolsero la pila di denaro sul bancone. Alcune monete caddero tintinnando. In un secondo era nel taxi. Le scarpe erano sul sedile passeggero, vicino al pacco regalo. Dirlo la prima volta fu molto difficile, ma una volta detto continuò a ripeterselo ininterrottamente. Non era un colpo fatale. Lasciò che il suo corpo entrasse in modalità automatica. Lasciò che le dita girasseo le chiavi della macchina. Non era un colpo fatale. Aveva le scarpe per Nat. Nat avrebbe corso. Non era un colpo fatale. Nat avrebbe corso e avrebbe vinto. Nat avrebbe corso e avrebbe vinto e sarebbero stati felici. Non era un colpo fatale. La strada scorreva veloce sotto le ruote. In un attimo sarebbe arrivata. Sterzò. Vide la macchina schiantarsi contro un palo. Ma il piede agì prima della mente salvandola per un respiro. Le era sembrato di vedere qualcuno seduto nel retro del taxi. Senza neanche concedersi il tempo di respirare si convinse a ripartire, ormai lo stadio era a vista d’occhio. Eppure aveva come la strana sensazione che qualcuno la stesse osservando. Sentiva due vuoti occhi di nebbia piantati sulla nuca. Che cosa avrebbe pensato la madre di quel ragazzo? Chi avrebbe sofferto per lui? Lei era la madre di Nat. Lei non avrebbe voluto che. Lei aveva dovuto. Sì, lei aveva dovuto. Nat era tutto quello che le restava, era tutto quello che aveva e che aveva mai avuto, doveva tenerlo stretto, era l’ultimo appiglio prima della deriva. No, di certo non era un colpo fatale. Attraversò il parcheggio verso l’ingresso per gli atleti. Una guardia provò a fermarla, ma prima che potesse iniziare a litigare fu stretta da una presa travolgente. L’istinto fu quello di lottare ma si accorse che era suo figlio ad abbracciarla, e mascherò il pugno che stava per tirare in una pacca affettuosa. -Tesoro! O mio Dio! Tesoro auguri!-Mamma non c’è tempo adesso, partiamo tra otto minuti. Mamma grazie mille! Appena in tempo! Mamma ma stai piangendo?Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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-Oh ma certo che no tesoro!Lui le stampò un bacio veloce sulla fronte, e per quanto lei non lo volesse lasciarlo, lui prese la scatola, e ringraziandola ancora sparì nell’ingresso per gli atleti. Essendo così in ritardo non provò neanche a sedersi sugli spalti, ma si avviò direttamente al parapetto che divideva gli spettatori dalle piste. Ignorò gli insulti degli spettatori davanti ai quali si era piazzata, e forse per il suo aspetto senile, o forse solo per un colpo di fortuna, nessuna delle guardi venne a farla spostare. Gli atleti si disposero ai blocchi di partenza. Le scarpe nuove del figlio luccicavano nella fresca luce mattutina. Sapeva che appena avrebbe sentito lo sparo la vita di suo figlio sarebbe cambiata. Non solo avrebbe vinto una decente somma di denaro, ma avrebbe avuto accesso alle gare nazionali. Suo figlio! Suo figlio alle gare nazionali! Lui era davvero un campione, lui avrebbe concluso qualcosa nella sua vita, e lei era sua madre, lei l’aveva tenuto nelle braccia quando era piccolo così! Lui era il suo piccino. Tutti gli sforzi, tutte le lotte, tutto, ne era valsa la pena. Ne era valsa la pena. Andrà tutto bene. Lo sparo risuonò secco. Nella manciata di secondi che servirono a suo figlio per vincere la gara quegli occhi grigi riapparvero nel retro della sua mente. Lo stadio era furente. Tutti applaudivano ferocemente. Appena Klio realizzò che era tutto finito, le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. Lacrime salate, lacrime dolci, lacrime amare. Appena fu a portata di mano, Klio stinse il figlio con tutta la forza che aveva. Il figlio la assecondò finché la implorò per un po’ d’aria. Lei smise di stringerlo, ma gli prese il volto con entrambe le mani, come se si potesse aggrappare alla sua bella faccia. -Mamma ho vinto! Mamma andrò alle gare nazionali! Oh mio Dio … Mamma non posso resistere … Avrei voluto aspettare lunedì, ma non ce la posso fare. Io e Andy. Io e Andy ci trasferiamo insieme! Con i soldi della gara e il suo ultimo stipendio possiamo finalmente permetterci l’ultima rata dell’appartamento dove Andy ha vissuto in affitto. Mamma ho una casa tutta mia! E potrai venire a trovarmi ogni volta che vorrai! E finalmente potrai conoscere Andy! … Aspetta, hai preso queste scarpe nel negozio in centro? Quello vicino al negozio di esche? Mamma avrei voluto dirtelo oggi ma tu hai attaccato subito, Andy ti avrebbe fatto lo sconto, anzi non ti avrebbe fatto pagare proprio! Mamma vi siete già conosciuti, solo che non lo sapevate! Andy è il commesso del negozio, e oggi lavorava per questo non c’era alla gara! Mamma?-
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Interludio: Andy era nella sua vecchia Yaris blu metallizzato, che quella sera partì al primo colpo. Doveva essere proprio una sera speciale. Aveva ancora addosso la polo celeste della divisa da commesso, ma non gli importava di puzzare di gomma e polvere, voleva vedere Nat il prima possibile, non c’era tempo da sprecare. Uscì dal vecchio centro della città, e sfrecciò verso i nuovi quartieri periferici. Era una notte senza luna e la fredda luce dei nuovi lampioni non permetteva di vedere neanche una stella. Ancor più oscura del cielo nero, la centrale nucleare incombeva sulla città, come una montagna di cemento. Andy raggiunse velocemente la casa di Nat, che emanava un inconfondibile odore di borghesia, con gli infissi delle finestre perfettamente verniciati e l’erba del giardino tagliata e innaffiata. Prese il suo cellulare a conchiglia, e componendo il numero senza neanche guardare il tastierino, fece partire la chiamata, per arrestarla dopo quattro squilli. Addirittura dal vialetto riusciva a sentire la suoneria del cellulare di Nat, che era sempre rigorosamente al massimo. Rifletté sul fatto che non aveva mai toccato il piccolo campanello a fianco alla porta bianca. Ora che ci pensava, non aveva neanche mai salito uno dei gradini davanti alla porta, non aveva mai attraversato il vialetto di sassolini. Non aveva mai conosciuto i genitori del suo fidanzato. Ma non era un problema. Da quello che aveva estorto a Nat, non aveva alcuna fretta di conoscere il padre, e quando si sarebbero trasferiti insieme, Nat avrebbe potuto passare molto più tempo con la madre, e a quel punto si sarebbero potuti conoscere. Forse alla fine della settimana successiva avrebbe già conosciuto questa fantomatica Klio. Ogni volta che Nat parlava di lei gli brillavano gli occhi, e ogni volta gli diceva che sarebbero andati così d’accordo, eppure per una ragione o per un'altra, ogni volta che le era stata offerta l’opportunità (e gliene erano state offerte di opportunità), a lei non era stato proprio possibile di presentarsi. Nat era sempre imbarazzato da questo 10 Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
ritardo, e si interrogava perché l’universo continuasse ad impedire quell’incontro, ma non avrebbe mai ammesso quello che Andy invece vedeva chiaramente, i suoi occhi erano troppo offuscati per capire che erano tutte scuse. Ma per Andy davvero non era un problema. Inoltre non poteva di certo lamentarsi, Nat non avrebbe mai incontrato i suoi genitori, e anche se aveva provato più volte a convincerlo a chiamarli, a riallacciare i rapporti, a non essere così cattivo quando parlava di loro, non aveva mai superato la linea, quindi era giusto che anche lui non la superasse. D’altronde, sapevano entrambi fin troppo bene cosa significasse non essere accettati dai propri genitori per permettersi il lusso di superare la linea. Nel giro di cinque minuti Nat stava correndo lungo il vialetto verso la macchina, con quel suo passo leggero e agile come un gatto. Entrò in macchina con un sorriso stampato in faccia, masticando chewing gum. -Hai intenzione di darmi un po’ di quella gomma?-Solo se te la vieni a prendere.Andy si girò verso Nat, sorpreso da una provocazione così aperta. La sua non voleva essere più che una semplice e onesta richiesta. L’espressione felina che si trovò davanti, coronata da un’eloquente alzata di sopracciglia, quasi lo fece scoppiare a ridere. -Tuo padre potrebbe vederci-Ho diciotto anni, sono un adulto, posso fare quello che voglio con il mio corpoDi nuovo le sopracciglia si inarcarono, di nuovo Andy dovette sopprimere il bisogno di scoppiare a ridere, ma alla fine si sporse in avanti e baciò avidamente le rosee labbra di Nat. -Hm mh … Fragola, la mia preferitaRisero gioiosamente e se ne andarono da quel quartiere di case con le porte bianche e i giardini tagliati e innaffiati. Erano seduti sulla carrozzeria della Yaris nel parcheggio di una vecchia tavola calda. La luce del vecchio lampione era gialla e calda. Dopo tutto questo tempo alcuni lampioni non erano ancora stati sostituiti, e solo per quella peculiare luce così vintage, drammatica e soffice allo stesso tempo, quello squallido parcheggio era diventato uno dei suoi posti preferiti in tutta la città, la maggior parte della quale invece appariva sterile sotto la luce asettica dei lampioni più moderni. Mentre mangiavano gli hamburger ridevano e si prendevano in giro, e indisturbati, nel silenzio del parcheggio semivuoto, facevano tutto quello che farebbe una coppia in una fresca serata primaverile. Finiti gli hamburger, Andy riaprì la macchina e dal retro estrasse una piccola scatolina avvolta in carta celeste. Senza dire una parola e senza distogliere il suo sguardo dall’oscurità che si estendeva oltre il loro cono di luce, la passò a Nat. Questo la soppesò per un momento, poi disse: –Non dovevi prendermi nulla, lunedì mi trasferisco nel tuo appartamento, quello è già molto di più di quanto avresti dovuto – -Anche solo grazie andrebbe bene – Nat ridacchiò e giocò con il leggero pacchetto, passandolo da una mano all’altra. -Che cosa mai potrai avermi regalato che non potrebbe avermi già comprato mio padre?Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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-Oh sono sicuro che tuo padre non ti farebbe mai quel regaloQuello era il massimo di malizia di cui Andy era capace, ma sorbì l’effetto desiderato. Con uno sguardo furbo Nat strappò la carta celeste, per rivelare un pacchetto di preservativi. Andy poté cogliere l’attimo di sorpresa nello sguardo di Nat con la coda dell’occhio, ma questo sparì subito mentre la sua mente metteva insieme i punti. -E la megera?Una domanda che sarebbe sembrata strana a chiunque tranne che Andy in quel momento. “La megera” era il vezzeggiativo con cui si riferivano fra di loro alla terribile padrona di casa di Andy. In realtà Andy pensò che forse erano ingiusti nei suoi confronti. Nessuno avrebbe deciso di dare una camera in affitto ad un sedicenne, e se non fosse stato per lei Andy si sarebbe ritrovato per strada, senza una casa, senza nessuno. Certo non l’aveva accolto per carità cristiana, nessuno con un minimo di rispetto per se stesso avrebbe preso in affitto una camera tanto piccola in cui neanche le poche cose che l’adolescente Andy era riuscito a portarsi dietro quando era scappato di casa sembravano accalcate. Andy avrebbe potuto giurare di aver visto sottoscala più spaziosi. Il tutto ovviamente illegalmente e senza nessuna garanzia che nel giro di una notte la vecchia scorbutica e lunatica com’era non l’avrebbe sfrattato. Eppure alla fine non era successo. Andy si era abituato al suo tugurio, aveva trovato un altro lavoretto di notte come lavapiatti per potersi permettere l’affitto e i beni di prima sopravvivenza, e quando aveva realizzato che non sarebbe mai tornato a scuola, aveva iniziato a lavorare anche la mattina come addetto alle pulizie in uno squallido motel. Alla fine le cose si erano messe meglio, aveva convinto la megera a dargli una camera più grande che comunque teneva inutilizzata, e accumulando lentamente i risparmi alla fine si era potuto permettere la vecchia Yaris e le lezioni per guidarla. In fondo la megera non dava ne più ne meno di quando Andy chiedesse, e sarebbe stata una perfetta padrona di casa se non fosse stato per un unico inconveniente. Il corridoio sul quale si snodavano le camere dell’appartamento era riccamente decorato da crocifissi e santi che giudicavano Andy dall’alto con i loro occhi severi e dolenti. Tutto quello che era riuscito a cogliere dalle poche occasioni in cui aveva potuto sbirciare nella camera della megera, era che la parete contro la quale era appoggiato il letto era interamente ricoperta di immagini divine, e una lignea croce si alzava proprio dalla testata, rendendo il giaciglio straordinariamente simile ad una tomba. Anche la cucina non era scampata alla santificazione: croci sembravano spuntare tra il pane e il burro e il frigo era completamente coperto di magneti con messaggi cristiani. Andy pensava che se la megera avesse rispettato metà dei suoi magneti, la sua vita sarebbe stata quanto meno diversa, ma molto probabilmente era semplicemente lui a dare l’interpretazione sbagliata. Fin da piccolo aveva avuto una naturale inattitudine alla spiritualità, e la lunga e persistente opera di indottrinamento che i genitori avevano messo in atto era fallita irrimediabilmente volta dopo volta. Quanto meno, essendo stato abituato a un certo tipo di immaginario fin dall’infanzia, la scelta stilistica d’arredamento della casa non lo disturbava troppo. Il problema era che ovviamente la passione per i santini non era guidata solo da un gusto estetico. L’unica volta che aveva rischiato davvero di essere sfrattato di casa era stato quando la megera aveva trovato lui e Nat dormire nello stesso letto. Solo l’intensa opera di convincimento che i due avevano messo in atto le fece credere che erano soltanto amici. Pensare al fatto che era scappato da una casa di bigotti ottusi solo per finire dritto nelle grinfie della regina dei bigotti ottusi quasi lo faceva ridere. Eppure, per qualche ragione, gli era molto più facile perdonare una vecchia sola e demente che i suoi stessi genitori. Comunque, tra poco, per la prima volta nella sua vita, avrebbe vissuto in una vera casa, una casa a cui tornare, una casa in cui sentirsi amato. Chi sa cosa si provava. -Ieri l’ho convinta ad iniziare a sgomberare la casa, purtroppo ha deciso di lasciare le croci per ultime, ma comunque in questo momento si trova a casa della sorella a cinquanta miglia da qui, ce l’ho portata
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io stesso- Guardando Nat negli occhi aggiunse –l’appartamento è tutto nostro.- Soffocarono le risa di gioia in un bacio. Dalla finestra entrava un velo di luce bianca. Andy cercò di convincersi che era la luce della luna, perché sarebbe stato molto più romantico se lo fosse stata veramente, ma era fin troppo familiare con il lampione davanti alla sua finestra. Nat era sdraiato sulla schiena, con la gabbia toracica che scendeva e saliva nell’affannato tentativo di riprendere un po’ di fiato. Andy si guardò intorno. La sua stanza era di certo migliore del vecchio tugurio, c’entrava uno scaffale su cui erano accalcati fumetti, dvd, quaderni di varie taglie e qualche graphic novel. C’era una cassettiera che era più che sufficiente per i pochi vestiti che aveva. E poi, sopra al materasso matrimoniale a terra che usava come letto, era appesa una stampa di un famoso murales di Bristol. Una volta liberato il corridoio da quel campo santo di crocifissi e edicole avrebbe potuto metterci altre stampe ed altri scaffali per i libri. Sarebbe stato davvero un bel posto una volta fatte le modifiche giuste. Quasi voleva andare a cercare su internet la tinta di vernice con cui avrebbe riverniciato la cucina. –Tra poco questo appartamento sarà il nostro appartamento- disse delicatamente, guardando il soffitto, rivolto quasi più a se stesso che a Nat. Una parte di lui sperava che Nat si fosse addormentato. Come quella volta che la megera era andata al matrimonio di una nipote lontana, e anche se sarebbe dovuto tornare dal padre prima delle undici alla fine era restato con lui tutta la notte e la mattina dopo avevano fatto i pancake. Ma sapeva benissimo che quella notte non era possibile. -Se vinco la gara di domani, lunedì sarò già qui- rispose Nat dopo un attimo, rompendo uno strano silenzio in cui le parole di Andy erano rimaste sospese nell’aria con la polvere nel fascio di luce del lampione. Andy non faceva affidamento sulla vittoria di Nat. Non perché pensava che non avrebbe vinto, ma perché non voleva illudersi che davvero lunedì avrebbero già dormito nello stesso letto. Nat avrebbe sicuramente vinto, come non poteva vincere? Eppure le cose non erano mai così facili. Ovviamente, nel peggiore dei casi avrebbero dovuto aspettare solo un altro mese per un altro stipendio di Andy per completare l’ultima rata, ma Andy aveva imparato a non sperare mai nella migliore delle possibilità, e il fatto che in questo caso proprio gli riusciva impossibile lo rendeva assurdamente irrequieto. C’era sempre qualcosa che andava storto. Non voleva sperare, ma non poteva non sperare. Nat avrebbe vinto la gara domani, e la vincita con lo stipendio del giorno dopo sarebbero bastati per pagare l’ultima rata. Era così vero. Era così vicino. -Sono sicuro che domani vincerai-E’ ottimismo quello che sento? A proposito della gara, che ore sono? Non posso fare tardi, domani devo essere fresco.La mattina Andy si svegliò di cattivo umore. Ieri notte, dopo aver riportato Nat a casa non era riuscito più a dormire. Quella mattina molte cose sarebbero state decise, e il fatto che lui non sarebbe potuto essere alla gara gli aveva messo l’ansia addosso per tutta la notte. Non c’era alternativa. Mancare quel giorno di lavoro significava mancare il giorno di paga, e l’unico modo in cui lui e Nat si sarebbero potuti trasferire insieme già da lunedì era che lui ritirasse il suo stipendio e Nat vincesse la gara. Era molto sciocco da parte sua ma pensava che se Nat avesse deciso di dormire da lui, quella notte sarebbe stato meglio. Era un desiderio infantile: passare la notte in bianco per Andy era un danno molto minore rispetto a rovinare la gara che avrebbe potuto cambiare la vita di Nat. Chi sa se stava ancora dormendo in questo momento, si chiese mentre indossava la polo azzurra. Certo era che la maggior parte della città ancora dormiva, come si poteva dedurre dalle brande ancora rigorosamente serrate che scorrevano Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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davanti ai suoi occhi mentre si dirigeva a lavoro. Perché un negozio di abbigliamento sportivo dovesse aprire così presto era per lui un mistero, in fondo chi aveva davvero bisogno di un nuovo paio di trainers prima delle nove? Ormai lavorava in quel negozio da più di un anno, quindi si sarebbe dovuto abituare agli orari già da tempo, eppure per lui il primo turno di lavoro era una tortura nuova ogni giorno, e soprattutto quella mattina si faceva sentire più che mai. La proprietaria del negozio paradossalmente era di simile avviso, ovviamente non l’avrebbe mai ammesso, ma dagli occhiali da sole indossati durante le stagioni sbagliate e dalle grandi tazze di caffè con cui si presentava nel negozio la mattina Andy poteva dedurre che anche lei avrebbe potuto apprezzare un’ora o due in più di sonno. Eppure preferiva sottoporre se stessa e il povero Andy a questa deliberata tortura. Ma oggi, la spiacevole vista del volto di Gayle rese Andy felice, in ricordo dell’imminente stipendio. L’imbarazzante rito di pagamento si svolgeva ogni mese allo stesso modo. Sia Andy che Gayle erano più che consapevoli di che giorno fosse, ma entrambi cercavano di comportarsi come se non ci fosse alcun elefante nella stanza, e quando Gayle chiamava Andy nel suo ufficio, lui mostrava sempre un’affettata sorpresa per quell’inaspettata convocazione. In genere la busta giaceva flaccidamente sulla scrivania, e Andy iniziava a guardare qualsiasi cosa nella stanza tranne quella, e quando Gayle, dopo un breve discorso denso di spiacevoli silenzi, finalmente gliela passava, lui, per non rompere la tensione scenica, faceva finta di non averla notata fino a quel punto, e senza quasi guardarla la nascondeva nella tasca dei jeans. Ogni volta, dopo essere stato congedato, Andy filava dietro alla cassa per esaminare il contenuto della busta, che era sempre lo stesso, ma meglio controllare, giusto per essere sicuri. Quel giorno Andy aveva tutte le intenzioni di seguire il suo ruolo senza neanche un errore. Per questo si preoccupò molto quando Gayle, passando davanti alla cassa con i suoi occhiali da sole e la sua tazza di caffè per dirigersi verso il suo ufficio, si fermò davanti ad Andy, prese un respiro. Era il classico respiro in necessario, spesso accompagnato da un minimo sollevamento delle spalle, che più che rifornire il cervello di ossigeno serviva ad aprire un discorso saltando i convenevoli. Era una strategia che Gayle aveva adottato in passato altre volte, senza che Andy ne capisse veramente la necessità. Se doveva dire qualcosa lo dicesse. Questa sarebbe stata a sua reazione in qualsiasi altro giorno, ma non oggi. Oggi dovevano solo rispettare le loro parti, non voleva interferenze. La catastrofe fu comunque scampata, perché Gayle decise di non trasformare quel respiro in parole, e proseguì lungo il suo percorso verso la pesante porta di legno che separava lo studio dal resto del negozio. Andy tirò un sospiro di sollievo, il rito non era stato infranto, si poteva proseguire regolarmente. Il fatto che si fosse sfiorato solo il rischio era però un importante segnale d’allarme. Che cosa poteva condurla a quasi infrangere la loro sacra istituzione? Andy osservò la cassa, e con un pulsante fece scattare il piccolo cassettino, che rivelò una piccola fortuna. Effettivamente proprio questo mese, il suo giorno di paga cadeva di sabato. Ogni sabato sera Gayle ritirava il guadagno dalla cassa per depositarlo, il che significava che tutte le entrate di quella settimana erano ancora nella cassa. Che le mancassero delle banconote per completare il suo stipendio? Sarebbe stato molto strano, considerando che era stato un mese assolutamente regolare nella vendita di articoli sportivi nella cittadina di Nettlefield, e già altre volte era capitato che il suo giorno di paga fosse caduto di sabato. Come mai quello strano comportamento allora? Probabilmente era solo un piccolo errore nel gestire il livello d’imbarazzo, e poiché Andy aveva seguito la sua parte alla perfezione, di certo non ci sarebbero dovute essere conseguenze sul suo stipendio. O almeno questo sperava. Andy richiuse con cura la cassa e si sedete sullo sgabello di plastica, dondolando impazientemente le gambe. La luce attraverso la vetrina si fece sempre più intensa. L’orologio ticchettò, e poi ticchettò ancora. In genere per le sette e trenta lui era già dentro. Erano ormai quasi le otto e non era ancora stato convocato. Cercò di convincersi ad aspettare altri trenta minuti, magari venti. Come mai stava infrangendo il rito ancora una volta? Avrebbe dovuto fare qualcosa e mettere fine a questa follia, allo stesso tempo però se fosse intervenuto, il rito sarebbe stato infranto nuovamente, e questa volta sarebbe stata colpa sua. Però due errori erano troppi proprio per quella mattina fra tante, questa Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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volta non poteva proprio lasciar scorrere. Se la montagna non va a Maometto, Maometto non lascia stare e va al mare, Maometto va alla montagna e si fa dare il suo stipendio. Andy bussò alla robusta porta di legno, con tutta la sicurezza che aveva, e il risultato fu che se Gayle non fosse stata ad aspettarlo, neanche in un convento di clausura si sarebbe sentita quella bussatina. Con grande sorpresa di Andy però la porta si aprì innaturalmente presto, rivelando un’irrequieta Gayle che si era tolta gli occhiali da sole rilevando degli inespressivi occhi cerchiati dalle occhiaie. Con un gesto quasi convulso lo invitò dentro, e per quanto Andy cercasse di non notarlo, mancava qualcosa di molto importante sulla scrivania di compensato. Ma il piano era di mantenere la calma, sorridere, comportarsi bene e portarsi lo stipendio a casa. Si sedette molto compostamente sulla sedia davanti alla scrivania, con la schiena dritta e le ginocchia unite, come se fosse in chiesa. Gayle chiuse pesantemente la porta e passandosi una mano sugli occhi si sedette sulla sedia girevole imbottita al lato opposto. Bevve un lungo sorso di caffè, si stiracchiò, prese un respiro profondo e poi finì le cose con cui poter posticipare il momento in cui avrebbe dovuto parlare. Andy poteva vedere nei suoi occhi che era alla disperata ricerca di qualcosa che avrebbe potuto tirarla fuori da quella spinosa situazione, ma nulla scese dal cielo. Alla fine disse: -Andy- e si concesse quasi mezzo minuto di silenzio come ricompensa per quell’efficace inizio. -Andy, purtroppo questo mese la tua paga è stata tagliata- e mente diceva questo, aprì il cassetto della scrivania per estrarne una piccola busta bianca, che spinse sulla superficie scabra verso Andy. Quest’ultimo si dimenticò di ogni rito e funzione e artigliò la busta paga senza alcun ritegno. Aprendola scoprì praticamente metà di quanto gli era dovuto. Sconvolto, rivolse uno sguardo implorante a Gayle, ma di nuovo incontrò quegli occhi inespressivi, e a quel punto percepì la sua stessa espressione mutare: -Avevi intenzione di dirmelo un po’ più tardi?Avrebbe voluto che Gayle fosse sorpresa dalla sua reazione, ma tutto quello che diceva il suo volto era “hai davvero intenzione di litigare con me?”, allora Andy provò cambiare approccio: -Ti prego Gayle, conosci bene la mia situazione, sai che sono una brava persona e un bravo commesso, per favore, non proprio questo mese, il mese prossimo mi potrai pagare un quarto dello stipendio se vuoi, ma questo mese mi serve tutto-Andy, conosco la tua situazione, tu conosci la mia, non rendere tutto questo …-Sai chi se ne frega di te e di tua figlia handicappata! Io ho bisogno di quei soldi!- e subito dopo Andy si rese conto di aver superato il limite. L’espressione di Gayle non lasciava trasparire nulla, ma lui sapeva bene di aver esagerato davvero questa volta. Prese la busta e uscì dalla stanza velocemente, senza sbattere la porta. Guardò l’orologio. L’incontro era durato meno del previsto, si rimise dietro la cassa e si appollaiò sullo sgabello. Tra poco Nat avrebbe vinto la sua gara, sarebbe tornato a casa e avrebbe iniziato a fare le valigie, solo che poi avrebbe dovuto disfarle. Ovviamente era stato sciocco a sperare che questa cosa sarebbe andata liscia, niente andava mai liscio. Lo sapeva che era stato sciocco a sperare, e adesso ne pagava le conseguenze, e ad un prezzo molto caro. Probabilmente avrebbe perso il lavoro, il che significava che se anche se il mese dopo avessero concluso l’acquisto non avrebbe potuto pagare bollette e beni di prima necessità per due persone. La rabbia gli strinse la bocca dello stomaco, e per liberarsi da quella morsa diede un calcio al bancone. La vecchia cassa a quel punto scattò con un sonoro ding. Improvvisamente, un’originale idea si fece prepotentemente spazio nella mente di Andy. Una piccola parte di lui provò ad opporsi a quest’istinto, ma decise di ignorarla apertamente. In quel momento il rispetto dell’etica lavorativa non era di certo il suo problema principale, tanto a breve Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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sarebbe stato licenziato comunque, non aveva molto da perdere. In quella cassa c’era certamente più di quello che gli serviva, ma certo non poteva afferrare la pila di banconote da cinquanta e fare finta di niente, doveva studiare quanto gli sarebbe servito effettivamente e quanto avrebbe potuto prendere senza farsi notare. La porta dell’ufficio di Gayle era ben chiusa, e certamente Gayle non sarebbe uscita da un momento all’altro per fare conversazione sul clima. Un fugace pensiero andò alla figlia di Gayle, e si sentì in colpa. Era la bambina più dolce e affettuosa che avesse mai conosciuto ed amava la madre alla follia. Probabilmente se la madre non l’avesse amata altrettanto non sarebbe stata così. Si morse un labbro e pensò a sua madre, pensò ad una famiglia, pensò a quello che non aveva mai avuto. Era giusto che lui mettesse la sua felicità al disopra di quella della piccola Fate? Anche se in realtà non era solo la sua felicità che dipendeva da quella scelta. Anche Nat aveva un ruolo in tutto questo, e la felicità di Nat avrebbe sempre vinto su tutto per Andy. Mentre con le mani immerse nel denaro valutava il valore di ogni centesimo la sua vista periferica registrò una persona attraversare l’ingresso. Che cosa volesse la gente a quell’ora era una domanda da riservare a dopo aver finito di contare i quarti di dollaro. Una parte di lui sperava che fosse solo un barbone che cercava un po’ di calore, ma le sue speranze furono presto tradite quando una donna con un paio di occhi di un blu sorprendente gli chiese: –Mi scusi, le air blue, sono soggette ad uno sconto?Andy provò a non ascoltarla, ma ormai aveva perso il conto, tanto valeva risponderle velocemente, senza pensarci, e poi riprendere. Ma ovviamente una risposta non era abbastanza. –Certamente, mi chiedevo se ci fossero ulteriori offerte sul prodotto- proseguì la donna, avvicinandosi al bancone. Andy le rifilò automaticamente una classica frase da commesso, cercando di far arrendere la donna, ma questa si avvicinò ancor di più, e con le mani sul bancone e il volto sporto spaventosamente in avanti, chiese in tono nervoso: –non potrebbero essere soggette ad un ulteriore sconto?Andy la guardò con un misto di paura e curiosità. Chi chiede a un commesso di mettere un ulteriore sconto su un prodotto già a saldo? Alle otto di mattina di sabato? Ma poi perché quella donna voleva un paio di scarpe da corsa da uomo proprio in quel momento? A nessuna delle domande fu data ulteriore attenzione dato che la donna se ne stava andando dal negozio, e allora lui ridiede l’interezza della sua attenzione ai suoi calcoli. Dopo cinque minuti però la donna era di nuovo all’attacco. Andy provò con tutto il suo impegno ad ignorarla, ma poi si accorse che la donna aveva preso una scatola di scarpe e se ne stava andando senza pagare. Fino all’ultimò sperò che la donna si girasse autonomamente verso la cassa, ma alla fine il suo intervento fu necessario: -Signora, guardi che le deve pagare quelle ehIn un istante nella mano della donna comparve una compatta pistola che lei gli puntò contro dicendo qualcosa che lui era troppo spaventato per sentire. Poi un nuovo pensiero attraversò la sua mente. Questa era un’occasione d’oro! Se avesse sventato una rapina Gayle sarebbe stata costretta a non licenziarlo, in più nel trambusto generale nessuno si sarebbe preoccupato di un paio di banconote da cinquanta sparite dalla cassa. Una nova speranza guidò la sua voce: -Signora se non posa l’arma immediatamente sarò costretto a chiamare la polizia!La donna, i cui occhi blu sembravano sul punto di uscire dalle orbite ruggì qualcosa di minaccioso e si avvicinò al bancone puntando la pistola contro il suo petto. Andy vide lo sguardo di lei cadere sulla Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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cassa aperta e il suo appetitoso contenuto. Questo non era quello che lui aveva previsto. Se la donna l’avesse fatta franca, portandosi via i soldi della cassa non sarebbe rimasto niente per lui. La situazione si stava mettendo molto male. Gridare gli avrebbe solo guadagnato un buco in petto, e Gayle non l’avrebbe sentito comunque oltre la massiccia porta di legno. Gli serviva tempo per pensare a qualcosa. Magari proprio in quel momento sarebbe passato un poliziotto e avrebbe salvato quel pasticcio. Ma perché l’aveva fermata dall’andarsene con il paio di scarpe che voleva? Lentamente iniziò ad accumulare le pile di soldi sul bancone, partendo dalle monete. Il tempo era una tortura insopportabile, e nessun salvatore stava venendo per lui. Quando arrivò alle banconote da venti dollari la disperazione prese il sopravvento. Aveva lavorato così duramente per così tanto tempo per trovare la felicità, e ora che era a portata di mano, ecco che un’estranea si era presentata a portargliela via. Ma lo sapeva lei quando aveva sofferto lui? Aveva la più pallida idea di quanto fosse magnifico l’amore che provava per Nat? Poteva immaginare quale enorme dolore avrebbe provato nel vedere la delusione negli occhi di Nat? Ingiusto! Ingiusto ingiusto ingiusto! Tutta la sua vita aveva dovuto sopportare ingiustizie! Basta! Basta non era giusto! In un disperato tentativo provò a colpire la mano della donna che teneva la pistola. Nella sua mente aveva visto la pistola cadere, la donna scappare, lui prendere i soldi, Nat tenerlo stretto. Ma l’effetto fu molto diverso. Un grande cambio di temperatura, ma non avrebbe saputo dire in che senso. In un attimo non aveva più il controllo delle sue braccia. Le sue mani erano intorno a quelle della donna. Quando il fischio nelle sue orecchie si spense, e sentì che le gambe non lo reggevano più, cercò di aggrapparsi a qualsiasi cosa, a un respiro, ad una mano, ad un odore. Tutto quello che trovò mentre scendeva fu un paio di occhi blu. Occhi blu bellissimi. Come gli occhi di Nat. Nat. Nat.
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Polifonia: Gayle era bloccata nel traffico nella sua vecchia mustang. L’ingresso del parcheggio del municipio era a meno di mezzo miglio, eppure era ferma su quell’incrocio da trenta minuti. Era sempre così a quell’ora. Le scuole chiudevano tutte intorno a quell’ora e tutti i genitori si accalcavano nelle strade per prendere i loro bambini prima di tutti gli altri. Lei non prendeva parte a questo tipo di barbarie. Lei andava a prendere sua figlia mezz’ora prima del suono della campanella. Gli insegnanti, che già le facevano tutte quelle storie su programmi alternativi e progetti per sua figlia, avevano anche la faccia tosta di dirle che “venire a prendere sua figlia prima della campanella causava a Fate soltanto ulteriori difficoltà ad integrarsi con il gruppo classe”, come se sarebbe mai riuscita ad “integrarsi” comunque. Fate era una bambina speciale, solo lei poteva darle l’amore e le cure che le servivano, e di certo quei perfidi bambini non sarebbero stati buoni con una come lei. I bambini potevano essere davvero perfidi, lei lo sapeva. Il suo respiro si fece più pesante ripensando alla povera figlia. Oggi sarebbe andata a prenderla la baby sitter. Gayle avrebbe diffidato di chiunque quando si parlava di sua figlia, e certamente Jenny non le era mai piaciuta, e il fatto che invece a Fate stesse più o meno simpatica gliela faceva piacere ancor meno. Pensò a come la bambina sarebbe stata triste quando non avrebbe visto sua mamma alla porta della classe, probabilmente quanto sarebbe tornata a casa l’avrebbe trovata a piangere. Era successo altre volte. Non con Jenny, ma Gayle credeva che a breve Fate si sarebbe accorta che Jenny era una poco di buono e l’avrebbe rigettata come aveva fatto con molte baby sitter precedenti. Non che Jenny avesse fatto niente di male, solo che c’era qualcosa nel modo in cui mostrava quella parete di zanne bianche che Gayle non poteva proprio sopportare. Nella macchina poi faceva troppo caldo, il traffico le dava quella terribile sensazione di soffocamento che soltanto un intasamento sub urbano sa dare. Provò ad aprire uno spiffero del finestrino, per far muovere un po’ l’aria, e una cacofonia di clacson e insulti inondò l’auto. Frustrata iniziò a suonare il clacson anche lei e ad imprecare più forte di tutti gli altri nella strada, confidente in sforzo se avesse potuto produrre un immediato risultato. Il consiglio della coalizione dei mercanti era un evento a cui Gayle non mancava mai. Anche se lei non era l’amministratrice del gruppo, era sicura che tutti la riguardassero con rispetto, come se lei fosse la vera leader, un lupo solitario temuto e ammirato. Sulla carta, al gruppo erano iscritti tutti i negozi precentrale, e solo alcuni pochi eletti fra quelli che lei definiva immigrati erano stati ammessi. La verità però era che alle riunioni si presentavano sempre i soliti quattro gatti. Da una parte l’orgoglio di Gayle era ferito da queste perenni assenze, ma allo stesso tempo era una buona ragione per non salutare gli altri negozianti quando li incontrava per strada. Proprio perché il loro numero era effettivamente molto ridotto, gli inservienti del comune non si davano la briga di aprire la sala conferenze, e gli lasciavano la stanzetta del piano superiore, vicino agli archivi, dove un tempo si tenevano le scorte di sale da strada. Fu molto sorpresa quindi quando aprendo la porta non vi trovò nessuno. Scese le scale e si rivolse alla vecchia receptionist che non aveva salutato entrando, e le chiese dove si tenesse il consiglio dei mercanti quella sera. La signora, le disse sgarbatamente di andare a vedere nella sala conferenze, e Gayle si sorprese molto del tono acido che le fu rivolto. Spalancò entrambe le porte della sala conferenze, e fu sorpresa di trovare tutti i mercanti raccolti intorno al piccolo palco nel fondo della stanza. Avrebbe voluto davvero fare una battuta sagace sull’improvvisa ricomparsa di membri che erano stati dati per dispersi, ma la sua arguzia non l’appoggiò, quindi si accontentò di tenere il suo mento alto 18 Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
mentre si avviava verso la prima fila, dove c’erano ancora dei posti. Infondo a chi serviva un motto di spirito quando poteva scagliare occhiate espressive al pubblico che si era girato nella sua interezza verso di lei. –Buona sera Gayle, stavamo per cominciare l’appello senza di te – disse Norman dal piccolo palco. Norman era un tipo molto particolare. Era il vecchio dal grande naso aquilino che vendeva tabacchi alla fine della strada, che con il suo fare stoico e paternale si era conquistato il ruolo di amministratore del gruppo. Si comportava come se fosse una responsabilità che gli era stata affidata dall’alto, come se non avesse passato mesi a covare il suo elettorato con quella sua affettata saggezza senile. Ma almeno capiva la sua inferiorità, infatti ascoltava sempre quello che Gayle aveva da dire, anche se alla fine seguiva sempre l’opinione della maggioranza. Dopo l’appello, che questa volta durò un’eternità, Norman si schiarì la voce e iniziò a parlare, facendo aleggiare il suo sguardo su tutto il pubblico. -Grazie per essere tutti qui questa sera, come vi ho fatto sapere oggi abbiamo qualcosa di davvero serio di cui parlare. Andiamo al sodo, recentemente alcuni di noi hanno ricevuto offerte niente male per vendere la propria attività. Ringrazio chi si è fatto avanti e ha deciso di dirmelo, perché davvero sembrano soldi facili, e devo ammettere che anche io sarei stato in conflitto ricevendo un’offerta simileQuesta era proprio una mossa sciocca da parte di Norman, un buon leader non ammette mai le proprie debolezze. Inoltre chi erano coloro che avevano ricevuto l’offerta? Perché non erano andati da lei prima di chiunque altro? Era chiaro che aveva più esperienza della maggior parte delle persone in quella stanza, lo spirito commerciale era nel suo sangue, lei sì che avrebbe saputo come gestire la situazione. -Nei giorni passati ho fatto le mie ricerche, e insomma viene fuori che è sempre la stessa compagnia che sta facendo le offerte, e si tratta di una grande catena di superstores.Mentre diceva questo prese un foglio di carta con la foto di un super mercato. Il foglio fu fatto girare per la stanza e quando arrivò a Gayle lei riconobbe l’insegna bianca rossa e blu. Si trattava dei “Sam’s Super Stores”. Erano famosi per i prezzi tanto bassi quanto le condizioni di lavoro dei dipendenti. Era stata ad un negozio della stessa catena quando era andata ad Harrisburg dai cugini. - Adesso, io non voglio dire cose che potrebbero darvi idee sbagliate, ma un mio amico che ne capisce di queste cose mi ha detto che c’è una grande compagnia elettrica che ha legami con la catena che adesso improvvisamente si interessa della nostra cittadinaQuesta affermazione scatenò un contenuto scalpore fra il pubblico, e invece di sovrastarlo, Norman diede il tempo a tutti di ricomporsi. E quando il silenzio fu ristabilito proseguì: -Capisco perfettamente l’agitazione. Tutta la vecchia generazione di mercanti fu contraria alla costruzione della centrale, perché sapevano che avrebbe portato grandi cambiamenti e alcune cose è meglio lasciarle come stanno. Noi fummo lungimiranti, ma non fu abbastanza, adesso chiedo a voi di unirci in questo momento di crisi. È chiaro che l’apertura di un super store nel mezzo della città farebbe chiudere i battenti a metà dei presenti nel giro di un anno, e sono sicuro che non è quello che nessuno di noi vuole. Credo che sia chiaro che la catena non si fermerà ai primi tentativi e che ci seguiranno nuove offerte a breve. Se fossi nei panni di quei succhia sangue, penso che manderei le mie offerte a coloro che sono, diciamo, più fragili …-
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In una frazione di secondo, in una brevissima pausa nel discorso di Norman, successe qualcosa di estremamente penoso. Un incredibilmente largo numero di teste si girarono quasi contemporaneamente verso Gayle. Lei si accorse di quegli sguardi proprio mentre il discorso riprendeva, e mentre le teste che si erano girate, imbarazzate rivolgevano la loro attenzione alle scarpe che indossava il loro padrone. Era stato una frazione di secondo ma lei se ne era accorta. Che cosa volevano? Perché si erano girati verso di lei? Che cosa intendevano dire? Pensavano forse che Norman si rivolgesse a lei quando parlava di soggetti fragili? Con chi credevano di avere a che fare? Pensavano che solo perché fosse una madre sola di una bambina down non fosse forte? Certo, certamente era questo. Loro si giravano e non vedevano gli anni di duro lavoro, le lotte, le notti passate in bianco. Loro vedevano una donna sola, come se avesse bisogno di marito, come se lei non fosse abbastanza. Sai che c’è? La sua attività andava decentemente, e le dava tutto quello di cui aveva bisogno. Lei era pronta a stringere la cinta se fosse stato necessario, e non avrebbe voluto l’aiuto di nessuno. Assorta dai suoi pensieri non si era accorta che il discorso era andato avanti -Per tutte queste ragioni credo che sia necessaria la creazione di un fondo comune. Io mi fido di tutti voi e sono certo che nessuno si approfitterà dello sforzo degli altri. Si tratta di fare un piccolo sacrificio oggi per assicurarsi un futuro in cui ci siamo ancora tutti e ci teniamo ancora la nostra città. Va bene, ho parlato a sufficienza. Si vota ad alzata di mano, chi è a favore?Una buona maggioranza di mani si alzò. Quelle di Gayle rimasero conserte. -Va bene, la maggioranza ha votato a favore. Chi ha votato contro può anche astenersi, ma se non partecipiamo tutti non ha senso, si tratta di mettere il bene comune davanti al proprio, per una volta tanto.Alla fine tutti versarono il contributo. Gayle avrebbe voluto boicottare tutta questa faccenda fino in fondo, ma poi le venne in mente che alcuni che non la conoscevano bene avrebbero potuto pensare che non stava contribuendo perché era tirchia, o peggio, perché non poteva permetterselo. Quindi anche lei scrisse il suo nome sulla lista alla fine. -Amore della mamma! Ti sono mancata?-Gayle per favore abbassa la voce- le disse sottovoce Jenny mentre Gayle entrava nel corridoio dell’appartamento. -Fate si è appena addormentata. La maestra mi ha detto che tutto oggi non si era sentita bene, e quando l’ho portata a casa aveva la fronte che le scottava fortissimo. Non sapevo cosa fare, lei piangeva perché voleva te … -Potevi chiamarmi! Imbecille!- e spingendola di lato si avviò verso la camera da letto di Fate. Povera piccola, tutta sola senza la sua mamma, addirittura mentre dormiva la sua espressione era sofferente. Si avvicinò al letto e delicatamente le rimboccò le coperte, poi la baciò delicatamente sulla guancia arrossata, delicatamente le sistemò la pezzetta umida sulla fronte e delicatamente le accarezzò i capelli. Alla fine la bambina si svegliò. Il uso piccolo corpo tremante si avvicinò a lei e disse –Jenny abbracciami- Per un attimo Gayle sentì del ghiaccio scorrere lungo la sua schiena –Amore della mamma sono io- disse dopo un attimo. Fate sgranò gli occhi nell’oscurità e appena riconobbe la madre scoppiò in un pianto disperato. La madre la strinse forte e sentì il calore innaturale emanato da quel corpicino. -Mamma, ho tanto freddo- disse la piccola fra le lacrime Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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-Oh amore mio, ora la mamma è qui, non c’è più bisogno di piangere, non ti lascerò mai andare, piccola miaDopo poco, quel debole corpicino si riassopì fra un fremito e l’altro, allora Gayle la riavvolse nelle coperte e dopo un paio di tentativi alla fine si separò dalla sua bambina e si avviò verso l’ingresso dell’appartamento dove Jenny aspettava ancora in piedi. -Si può sapere che cosa ti è venuto in mente? Mi avresti dovuto chiamare subito! No fammi finire di parlare!- disse perché Jenny la stava per interrompere, ma poi si accorse che non aveva niente altro di particolare da aggiungere –A cosa stavi pensando esattamente? È stato incredibilmente improfessionale da parte tua- era molto soddisfatta dal tono accusatorio che era riuscita a mettere insieme. Jenny arricciò la bocca in un modo che Gayle trovò rivoltante, e dopo un secondo disse –il tuo cellulare è scarico.Gayle rimase di stucco. Non avrebbe voluto darlo a vedere, ma nella scintilla di vittoria che vide negli occhi di Jenny capì che non aveva preso controllo della sua espressione in tempo. Avrebbe voluto gridarle contro qualcosa ma non aveva assolutamente nulla da ridire. Jenny aveva fatto tutto quello che poteva fare e aveva gestito la situazione in modo impeccabile. La colpa era tuta sua che non si era accorta di avere il cellulare scarico. Senza controllare il telefono prese il portafogli e pagò Jenny in silenzio, che prendendo il suo compenso se ne andò senza aggiungere altro, e Gayle pensò che sarebbe potuta andare molto peggio di così. La sera seguente stava chiudendo il negozio. Il suo commesso se ne era andato quasi dieci minuti prima della chiusura, ma infondo era un bravo commesso e per una volta poteva perdonarlo. In più in questo momento aveva altro a cui pensare. Doveva assolutamente andare in farmacia a comprare un antibiotico che il dottore aveva prescritto a Fate. Se non l’avesse preso la malattia sarebbe potuta degenerare e le cose si sarebbero potute mettere male. In quel momento Fate era a casa, con una nuova baby sitter. Questa volta si trattava di una donna anziana che puzzava di naftalina, ma non chiedeva praticamente niente di paga che era quello che davvero contava in quel momento. La visita del dottore era costata più del previsto, e in questo momento era quasi al verde, perché non era ancora stata in banca a depositare i guadagni della settimana, e una parte rilevante di quella somma era destinata allo stipendio del commesso. Aveva considerato l’idea di depositare i guadagni della settimana quel venerdì, ma era così abituata a depositarli di sabato mattina che le era praticamente passato di mente, in più in quel momento era troppo tardi, voleva tornare il prima possibile a casa, senza contare che non era sicuro andare in giro con una somma del genere a quell’ora della sera. La città era diventata incredibilmente pericolosa da quando era stata costruita la centrale, dato che la popolazione si era arricchita di ogni tipo di persone, e se da una parte c’erano i quartieri dei dirigenti, con le case tutte curate e fresche di vernice, dall’altra il centro si era arricchito di pittoreschi senza tetto, da cui Gayle era ovviamente spaventata. Con questo pensiero ben in mente chiuse la vecchia cassa e fece calare la serranda di metallo arrugginito. Mentre si avviava verso la macchina si girò un momento per guardare l’insegna verde e grigia semi scolorita, era la stessa di quando suo padre possedeva il negozio. Ripensò a suo padre, a quanto era appassionato di sport, e quanto aveva faticato per mettere su quel suo negozio. Lei da parte sua di sport non capiva nulla, e la sera preferiva un buon romanzo ad una partita di football, ma allo stesso tempo pensò a quanto sarebbe stato orgoglioso di lei suo padre se avesse visto che anche dopo la sua morte lei non aveva venduto, anche dopo che il suo compagno l’aveva lasciata quando aveva scoperto che lei era incinta non aveva venduto, anche quando Fate era nata lei non aveva venduto. Si sentì confortata da quei pensieri, e con un’espressione di sfida contro il vento si avviò verso la mustang, pronta ad affrontare il farmacista. Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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La vecchia apoteca del centro della città aveva chiuso anni fa, e adesso per comprare le medicine doveva guidare fino al quartiere nuovo, dove una moderna ed asettica farmacia faceva da ultimo barlume di civiltà prima delle lande desolate che circondavano la centrale nucleare. A quell’ora per fortuna non c’era molta fila, solo un uomo in un lungo cappotto nero stava ammirando gli spazzolini elettrici nell’angolo opposto alle casse. Gayle conosceva la medicina che doveva prendere, l’aveva dovuta usare anche lei da piccola, e già una volta aveva dovuto somministrarne un ciclo a Fate. Era una medicina costosa, e nel portafogli aveva 42 dollari e 54, li aveva contati sta mattina mentre era in ufficio, e se la memoria non la ingannava (ed era certa che la memoria non la stesse ingannando) erano più che sufficienti per pagare la medicina. Si avvicinò alla cassa, farfugliò un convenevole e fece scorrere la ricetta sul bancone. Il farmacista, un bell’uomo alto con i capelli scuri e la pelle pallida studiò velocemente il foglietto, poi sorridendole andò a cercare la medicina tra gli scaffali. Quando tornò e batté il prezzo della scatolina, la cifra che apparve sul piccolo schermo davanti a lei era molto diversa da quella che ricordava: -ottanta dollari?! Potrei giurare che l’anno scorso costava neanche cinquanta dollari!- il sorriso del farmacista si sciolse ma prima che potesse dire qualcosa Gayle era di nuovo all’attacco –Questa medicina va somministrata ciclicamente per tre mesi, una dose non dura neanche tre settimane, secondo lei quanti soldi dovrei … - con una voce pacifica ma ferma, il farmacista la interruppe: -signora non li faccio io i prezzi-. Gayle, sconfitta, prese la carta di debito nel portafogli e gliela porse. Inserì il pin, e dopo un secondo un minaccioso bip provenne dalla macchinetta –Signora credo che la carta sia stata rifiutata, vuole riprovare il pin?- Gayle deglutì e disse –Ma io ho messo il pin giusto! Su, dia dia, mi faccia riprovare- la carta fu rifiutata ancora. E ancora. E ancora. Alla fine il farmacista la fermò e le disse che dopo cinque tentativi avrebbero potuto bloccarla. Gayle non sapeva che fare. Lei non usava mai la carta di credito perché la sola idea di andare in negativo la spaventava e quindi la lasciava sempre a casa, ma era certa di aver depositato più di duecento dollari sulla carta all’inizio della settimana. E in quel momento si ricordò che in banca aveva incontrato Norman, che le aveva chiesto le credenziali della carta per fare il versamento per il fondo. Porca miseria! Non proprio quella sera! Come avrebbe fatto? Non poteva tornare a casa senza la medicina! Al pensiero della figlia nel letto, con la febbre a mille, sola con la vecchia che puzzava di naftalina sentiva la testa girare. Un nodo alla gola le rendeva difficile respirare. Poi l’uomo che se ne era stato nel suo angoletto tutto quel tempo si girò e disse –Ciao Gayle! Non ti avevo riconosciuta!- con fare sicuro si avvicinò al bancone e a quel punto riconobbe una faccia familiare. Era stato il capitano della squadra di football al liceo, poi aveva sposato Klio Miller e adesso lavorava alla centrale nucleare. Come un tipo come lui si potesse ricordare il nome di una tipa come lei era fuori dalle capacità di comprensione di Gayle. –Permettimi di aiutarti- estrasse la sua carta di credito e la porse al farmacista. Gayle non disse nulla, il farmacista fece passare il suo sguardo fra i due, poi prese la carta. Uscendo dalla farmacia l’uomo le passò la bustina con la medicina dentro. Gayle non sapeva come comportarsi. Lavorando alla centrale nucleare lui era “il nemico”, ma era così bello ed elegante con quel cappotto nero, e le aveva appena regalato ottanta dollari di medicina! Era fin troppo gentile. -Grazie- fu quello che mise insieme alla fine, anche se non suonò molto convinta. -Per che cosa? Per quello? Capirai, non è niente. Davvero non c’è problema. Insomma è per il bene di tu figlia no?Le rivolse un sorriso caldo e pieno di comprensione. Tutta la sua figura, seppur così imponente ed elegante, era pervasa da un aggraziato senso di calma, il suo sguardo era quasi amorevole. Gayle pensò che doveva essere davvero un buon padre di famiglia. - Solo,volevo dirti che, se fossi in te, tenendo conto appunto delle condizioni di tua figlia e tutto, forse considererei l’offerta che ti è stata fatta oggi22 Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
Le rivolse un ulteriore sorriso, ma queste volta le sue labbra erano chiuse, e il sorriso arricciava gli angoli della bocca in un modo particolare. Gayle era confusa. Gayle voleva essere confusa perché preferiva non capire che capire quello che stava capendo. Le parole si pronunciarono da sole -Quale offerta?-Non hai controllato la mail? Beh, torna a casa, accudisci Fate, dalle tutto l’affetto che si merita, e poi apri la casella mail, davvero, pensaci bene okay?- Gayle era troppo concentrata sul cercarsi di ricordare in che occasione quell’uomo di cui non ricordava neanche il nome avesse conosciuto sua figlia per rispondere al saluto che le rivolse l’uomo con il cappotto prima di svoltare l’angolo. La bambina era bollente, ma lei la stringeva fra le sue braccia come se non volesse più lasciarla andare. Erano accoccolate nel lettino, e le stava raccontando una storia per farla addormentare, ma la bambina voleva resistere al sonno, perché voleva godere delle coccole della mamma il più possibile. Quando Fate si addormentò, Gayle le posò le labbra sulla fronte, sperando che potesse così rubare la malattia della bambina. Poi uscì dalla cameretta, si sedette sul bordo del suo letto matrimoniale e mise il suo cellulare in carica. Aprì la posta elettronica. Le sue capacità tecnologiche le impedivano di orientarsi facilmente fra lo spam e l’infinità di mail non lette, ma la mail che stava cercando era proprio in cima a tutte. In realtà una parte di lei si era convinta che aveva dovuto aver interpretato male lo scambio avvenuto con l’uomo in cappotto nero, e non credeva che avrebbe davvero trovato la mail, eppure eccola, inequivocabile. Era molto chiara e professionale, con il logo bianco blu e rosso, firma, data e tutto il resto. Non si soffermò troppo sulla maniera in cui l’offerta veniva presentata, e lasciò che i suoi occhi scendessero liberamente, fino a che non incontrarono una cifra. I numeri possono essere molto più significativi di tante parole. Chiaramente non si trattava di una fortuna, ma allo stesso tempo era molto più di quello che avrebbe mai guadagnato se avesse deciso di vendere in un’altra occasione. Cercò di concentrarsi su molte cose contemporaneamente. Con quella cifra, e vendendo anche la casa, avrebbero potuto ricominciare da capo in un posto nuovo. Avrebbe potuto trovare un appartamentino per lei e Fate in una qualche cittadina a sud, magari sul mare. Lontane dai rigidi climi del nord, lontane dalla velenosa centrale nucleare, lontane dal passato. Una nuova vita, una vita felice. Eppure era rimasta qui tutto questo tempo, tutti questi anni. Aveva combattuto così a lungo, aveva lavorato così duro per mantenere quella piccola casa e quel suo piccolo negozio. Che cosa avrebbe pensato suo padre di lei, se dopo anni e anni di impegni e sacrifici avesse buttato tutto al vento? E cosa sarebbe successo agli altri membri dell’associazione dei mercanti? Loro non sarebbero scappati al mare, per loro non ci sarebbe stata via di fuga. E che cosa avrebbe pensato sua figlia di lei? Certo forse non se ne sarebbe resa conto subito, forse non se ne sarebbe resa conto mai, ma poteva Gayle essere davvero un buon modello per la sua bambina se si comportava in modo così meschino? Avrebbe potuto vedere Fate con gli stessi occhi, sapendo che per la sua felicità aveva sacrificato il bene di un’intera cittadina? Si passò una mano sugli occhi, e applicò una leggera pressione con le dita sulle palpebre chiuse, come se volesse cancellare l’immagine di quell’appartamentino al mare dalla sua memoria. Sospirò, e cancellò la mail. Aveva fatto la cosa giusta, aveva messo il bene comune davanti a se stessa, davanti addirittura al bene di sua figlia, ma adesso anche a lei serviva un piccolo spazio di respiro. Era una crudeltà ma il giorno dopo avrebbe dovuto ridurre lo stipendio al suo commesso. Sapeva che lo stipendio che riceveva da lei era la maggiore fonte di entrate del commesso, e domani era il giorno di paga, ma aveva bisogno di quei soldi, le servivano per la medicina di sua figlia, lei aveva fatto un sacrifico, che avrebbe avuto degli effetti anche sul commesso, e anche se il giorno dopo non avrebbe avuto l’interezza della sua paga, magari fra un anno avrebbe avuto ancora il suo posto di lavoro. Lui le aveva accennato che stava
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cercando di comprare un appartamento per andarci a vivere con il suo fidanzato, ed era ammirevole, ma in questo momento doveva non poteva permettersi di mettere sua figlia al secondo posto, di nuovo. La mattina seguente mentre si avviava verso lavoro, incrociò l’uomo del negozio a fianco, un vecchio e grasso venditore di esche da pesca, un vero ubriacone, il tipo di persona con cui Gayle non voleva avere nulla a che fare, ma allo stesso tempo c’era stato anche lui all’incontro di quella settimana, quindi la regola che le permetteva di non salutarlo decadeva. Con uno sforzo, arrangiò un sorriso e scosse la mano con cui teneva la tazza di caffè, abbozzando un saluto. L’uomo vecchio e grasso non le concesse neanche uno sguardo e si rifugiò nel suo negozio. Ferita nell’orgoglio, Gayle si sbrigò a raggiungere la sua vetrina. Dalla padella alla brace. Il giorno di paga era già normalmente molto imbarazzante, quel giorno in particolare poi sarebbe stato anche peggio del solito. Sarebbe stato meglio procrastinare la conversazione che li aspettava, ma non poteva mica fare finta di niente! Già il fatto che non lo avesse avvisato prima del taglio di stipendio era di per sé meschino (e improfessionale), cercare di far finta che fosse tutto normale era anche peggio. Per questo quando attraversò la porta e trovò Andy dietro al bancone, dopo aver preso un sorso di caffè dalla sua tazza da asporto, riempì i polmoni d’aria, con l’obiettivo di dire qualcosa, ma le parole non vennero fuori. Era lì, bloccata con tutte quelle parole nella gabbia toracica che non avevano alcuna intenzione di uscire. Inconsciamente aveva anche sollevato le spalle nel drammatico atto inspiratorio, e solo ora si rendeva conto di avere una strana postura. Bisognava correre ai ripari, forse non era ancora troppo tardi per fuggire. Attraverso gli occhiali da sole che indossava per mascherare le occhiaie mattutine diede un’occhiatina alla faccia del commesso, che sembrava tranquilla e un po’ impacciata come sempre. Passò avanti, si diresse verso la porta del suo ufficio e vi si rifugiò velocemente ma cercando di non dare troppo nell’occhio. Una volta dentro, esalò. Si andò a sedere sulla sua sedia girevole, e tanto per fare qualcosa, preparò la busta paga. Era ridicolmente più piccola del solito, e messa sulla scrivania come faceva di solito, sembrava ancora più piccola. Quella visione la infastidiva, quindi prese la busta e la mise nel cassetto. A quel punto iniziò a temporeggiare. Di solito si sarebbe tolta il dente prima delle sette e tre quarti, ma a questo punto più tardi era meglio era. Si alzò e si avvicinò alla porta per provare a sentire se il ritardo sulla tabella di marcia aveva sortito qualche effetto particolare. E proprio mentre appoggiava l’orecchio sulla superficie di legno sentì Andy bussare. Per un momento le si rizzarono i capelli sulla nuca, come se fosse stata beccata a rubare, ma si ricompose e lo fece entrare. Il commesso le sorrideva cordialmente dall’altro lato della scrivania, e il silenzio che calò in un momento fra di loro era di certo imbarazzante, ma allo stesso tempo non poteva essere tanto imbarazzante quanto quello che doveva dirgli. Si crogiolò in quel silenzio più a lungo che poté, ma alla fine dovette parlare: -Andy- disse, e assaporò quell’inizio promettente, dandosi tutto il tempo che voleva. Alla fine decise di tagliare corto –Andy, purtroppo questo mese la tua paga è stata ridotta- e mentre diceva questo, per non doverlo guardare negli occhi aprì il cassetto dove aveva riposto la busta con i soldi, e facendola strusciare sulla scrivania la fece arrivare ad Andy. Questo, in modo del tutto inaspettato, prese la busta repentinamente, e passando in un lampo da commesso modello ad una specie di avida iena, controllò il contenuto della busta, e dalla sua espressione Gayle poté dedurre che non era molto contento. -Avevi intenzione di dirmelo un po’ più tardi?Gayle si aspettava una reazione ma non sapeva di che tipo sarebbe stata. Già che non stava sbattendo la sedia per terra era una piccola vittoria, ma allo stesso tempo non aveva mai visto il commesso in simili condizioni. -E dai Gayle, conosci la mia situazione, sai che sono una brava persona e un bravo commesso, per piacere, non proprio questo mese, il mese prossimo mi potrai pagare metà dello stipendio se vuoi, ma questo mese mi serve tutto, davveroMarco Zuaro. Concorrente 1519671891623
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Gayle cercò di tranquillizzarlo, e di portare degli argomenti razionali in tavola: - Andy, conosco la tua tua situazione come tu conosci la mia, per favore, non rendere tutto questo … -Sai chi se ne frega di te e di tua figlia handicappata! Io ho bisogno di quei soldi!Quelle parole la colpirono come se qualcuno la stesse lapidando. Erano così cattive, così meschine, pronunciate da qualcuno di così inaspettato. Che gli era preso? Come si era permesso? Come aveva osato? Stava per perdere il controllo sulle mani che tremavano di rabbia, si alzò in piedi per dire qualcosa, ma lui era già uscito dalla stanza. Non aveva neanche sentito la porta sbattere. Lui le aveva detto “Sai chi se ne frega di te e di tua figlia handicappata”. Lui le aveva detto così? Beh, sai chi se ne frega di te Andy. Prese della carta da uno schedario ed iniziò a scrivere una lettera di licenziamento. Non appena ebbe firmato la lettera, un rumore improvviso la fece saltare sulla sedia. Era un rumore molto chiaro e distintivo. Un rumore difficile da confondere. Uno spiacevole sensazione si avvolse introno alla bocca del suo stomaco. Per qualche secondo fu come congelata, ma non riuscì a stare ferma a lungo. Sentiva l’adrenalina iniziare a scorrere nelle vene, e poi andare sempre più veloce. Il primo istinto fu quello di chiudere la porta, mettersi al sicuro, creare una barriera fra se e il mondo esterno. Ma allo stesso tempo quello era un modo molto sciocco di rivelare la sua presenza nello studio. Si passò una mano fra i capelli mentre decideva agitatamente cosa fare. Strinse la lingua fra i denti, mentre mandava occhiate preoccupate alla porta, aspettandosi che qualcuno la spalancasse da un secondo all’altro. Prese un ferma carte dalla scrivania, pronta a rispondere ad un attacco. Silenzio, assoluto. In un attimo si accorse che davvero non sentiva niente. Se ci fosse stato qualcuno di armato avrebbe sentito il commesso gridare no? Come mai era tutto così quiete? Che si fosse forse sbagliata? Magari era solo il commesso che aveva fatto cadere uno scatolone e si stava preoccupando per nulla. Questo tipo di reazioni eccessive erano molto frequenti nei suoi momenti di maggiore stress e ansia, e Gayle era spesso stressata e ansiosa, ma in quel momento della sua vita più che mai. Con il passò più leggero che riuscì a produrre si avvicinò alla porta, e molto lentamente, soppesando ogni respiro, vi ci posò l’orecchio contro. Non captò rumori particolari. Allora pensò che effettivamente a stanchezza le doveva aver giocato davvero un brutto scherzo. Si riavviò verso la scrivania per posare il fermacarte e bere un sorso di caffè, che ormai era diventato freddo e non era di alcun conforto. Nel prendere la tazza l’occhio le cadde sulla lettera di licenziamento, che durante la piccola crisi di panico non si era scomposta, ed il rancore, che era momentaneamente svanito, come un veleno risalì dal suo stomaco verso la gola. Se il commesso aveva fatto cadere qualcosa, e magari aveva pure rovinato qualche prodotto, era un’ottima scusa per sfoderare il suo migliore sguardo disdegnoso, e fargli capire che non c’era rimedio ai danni che aveva fatto. Un modo semplice di fargli capire che aveva i giorni contati. Era un’occasione da non farsi scappare. La prima cosa che la colpì fu l’odore. Il corpo era accasciato tra la parete e il bancone, come se fosse seduto sul pavimento, e per questo non lo notò subito. La posizione delle gambe era innaturale, e gli occhi grigi avevano perso la loro profondità. Il mento era leggermente alzato, come se rivolgesse il volto al ventilatore sul soffitto. Le braccia erano aperte, le mani con i palmi verso l’alto sul pavimento, su cui il sangue già cominciava a seccarsi. Dal punto dove il proiettile era passato scorreva un rivolo rosso, che tingeva la maglia celeste di un porpora scuro. Gayle provò a chiamare il nome, prima piano, poi forte, poi gridando. Andy! Andy! Ma le labbra bianche, aperte in estasi, non avrebbero mai risposto. Era paradossale come solo in quel momento Gayle avesse colto la bellezza giovanile di quel suo sottoposto. Ora si era spenta per sempre. Ci fu un momento di totale smarrimento, che durò un’epoca, o forse pochi istanti. Era estremamente spaventata da quel corpo esanime, ma allo stesso tempo una strana sensazione le diceva di prenderlo tra le braccia, stringerlo, come se potesse riportarlo indietro. Provò a chiamare la polizia, ma il suo telefono 25 Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
era scarico. Si avvicinò alla cassa per prendere il telefono del negozio, e si accorse che era completamente vuota. Alcune monete giacevano nel sangue sul pavimento. Quando il corpo fu finalmente portato via dal negozio, e Gayle ebbe dato la sua dichiarazione e la disponibilità a fornire le riprese delle telecamere del negozio, fu finalmente lasciata sola. Aveva dovuto litigare con gli investigatori che erano venuti a fare il sopralluogo, ma alla fine le avevano permesso di poter avere accesso al negozio fin tanto che lo teneva chiuso al pubblico e non comprometteva la scena del crimine. Ormai che il corpo era stato portato via non c’era molto altro da compromettere pensò, ma Gayle accettò l’accordo. Si rifugiò nel suo studio, considerò chiamare la scuola, anche solo per sentire la voce della figlia, ma in fondo che cosa avrebbe cambiato? Magari la bambina si sarebbe preoccupata e sarebbe stata solo un’altra persona a stare male per questa storia. In più se avesse sentito Fate parlarle forse ne avrebbe tratto conforto, forse la avrebbe abbattuta definitivamente. Doveva tenersi sotto controllo. In questo momento aveva bisogno di concentrarsi. Aveva subito un brutto colpo, un colpo davvero basso, ma non aveva tempo per crogiolarsi nell’autocommiserazione, e sebbene fosse cosciente che era crudele da parte sua, non aveva tempo neanche per commiserare Andy. I guadagni di quella settimana erano andati, non aveva più un commesso e per molto tempo nessuno avrebbe accettato il lavoro di un ragazzo che era stato ucciso nel suo negozio mentre lavorava. Senza contare che anche i clienti avrebbero girato a largo. Aveva provato a recuperare la busta paga, ma a quanto aveva detto una detective, parlandole come se Gayle fosse appena arrivata dalla luna, la busta paga era parte della scena del crimine, e non solo costituiva una prova, ma era anche coperta di “materiale biologico”. Gayle pensò che molto probabilmente se la sarebbe intascata qualche poliziotto, ma dopo aver subito una rapina e aver già litigato per non farsi cacciare dal suo stesso negozio, non se la sentiva di insistere con quella donna sgarbata. Adesso, in retrospettiva, pensò che avrebbe dovuto insistere. La situazione era critica. Non sarebbe riuscita a rifornire il negozio, a sistemare tutto quel casino, a comprare le medicine di sua figlia e addirittura a pagare le bollette senza i soldi che erano nella cassa. Solo che quei soldi non c’erano più. Mettere il suo orgoglio da parte era un prezzo molto alto da pagare, ma in quel momento era pronta a tutto. Chiamò Norman. -Gayle! Ho saputo quello che è successo sta mattina, sono davvero costernato per il povero …-Norman taglia corto, mi servono i soldi, sì, i soldi del fondo, sono stata rapinata e penso che lo sappiano già fino a New York in questo momento, credo che sia una giustificazione più che valida per accedere ai fondi-Gayle, con calma. Mi dispiace … Ma i fondi in questo momento sono stati destinati ad un’altra persona … Ma l’accordo è che nel giro di sei mesi dovrà ripagare il fondo, e sinceramente penso che se gli parli gentilmente magari ti aiuterà … Aveva davvero un grande bisogno di sostegno-Norman. Ti prego. Ti prego non dirmi che hai dato i soldi proprio a lui! Quello è un vecchio grasso ubriacone buono a nulla! Ha un negozio di esche da pesca, e viviamo in un fottutissimo stato che non ha neanche il mare! Come pensi che userà quei soldi? Per rinnovare il suo business? Credi forse che non li abbia già spesi tutti in whiskey?-Gayle sono sicuro della scelta che ho fatto, si tratta di dare fiducia, e comunque prima di decidere mi sono consultato con molti altri della coalizione che …-Ma non con me! Hai sentito gli altri della coalizione ma non me che gli sto a fianco! Norman io lavoravo in questo negozio da prima che tu aprissi il tuo! Hai la più pallida idea di …Era senza parole, il respiro si stava facendo affannato, l’aria se n’era andata dai suoi polmoni, forse però ce n’era ancora un po’ per una degna conclusione: 26 Marco Zuaro. Concorrente 1519671891623
-Vaffanculo!Gridò nella cornetta con tutta la forza che le rimaneva, e poi la sbatté per terra. Si lasciò sprofondare nella sedia girevole, mettendosi le mani fra i capelli. La pressione sulla mandibola le stava facendo male alle orecchie, ma era l’unico modo per tenere l’intero volto completamente in tensione, così che neanche una goccia potesse fuoriuscire dalle sue palpebre. Rimase in quella posizione per un tempo infinito, cercando di concentrarsi il più possibile su tutto quello che stava succedendo intorno a lei, e non riuscendoci. In quel momento si pentiva aspramente di aver cancellato la mail con l’offerta dell’agenzia. Non era possibile che per una volta che aveva deciso di dare la sua fiducia all’universo, questo era quello che era successo. Era un accanimento, era una valanga che la travolgeva. Una valanga che aveva cominciato a diventare anno dopo anno sempre più grande, e adesso era del tutto fuori controllo. Qual’era stata la causa prima di tutte quelle ingiustizie? Quale era stato il fiocco di neve che aveva causato tutte quella sofferenza? C’era un modo di tornare indietro? No, non c’era. Alcune cose non possono essere riparate. Ci convinciamo che sia possibile, che nulla sia definitivo, che tutto sia facile, che tutto sia un gioco, che non abbia conseguenze. La realtà è semplicemente che siamo offuscati da mille fiocchi di neve, e invece di cercare di vedere oltre, sguazziamo nella neve, pensando che non importa veramente, che c+è sempre tempo, che c’è sempre una soluzione. Ne valeva veramente la pena? Si chiese Gayle. In quel momento, se avesse potuto avrebbe volentieri veduto il negozio, tradito i suoi compagni e disonorato la memoria del padre, ma cosa era più importante? Ad un certo punto districò le dita dai capelli, lasciò cadere la mandibola, prese il suo giacchetto, e decise di andare al negozio a fianco. In realtà sapeva che avrebbe fatto così già mentre aveva gridato al telefono con Norman, ma aveva voluto darsi l’illusione di avere una scelta. Di nuovo doveva dipendere dagli alti. Ma era certa che avrebbe convinto quell’essere a darle una parte dei soldi. Avrebbe fatto tutto quello che potesse essere servito, ci sarebbe anche andata a letto se fosse stato necessario. Infondo era solo un vecchio e grasso ubriacone, non ci sarebbe voluta una mente brillante per raggirarlo. Mentre usciva dalla porta principale però si accorse che c’era una piccola folla attorno al negozio d’esche. Per un attimo la colpì un fulmine, che il vecchio avesse effettivamente rivoluzionato il suo business? Ma avvicinandosi si accorse che il gruppo di persone non erano acquirenti, erano tutti in uniforme nera, e stavano smontando l’insegna del vecchio negozio, e ne stavano portando una nuova di zecca, bianca rossa e blu, su cui in chiara calligrafia era scritto “Sam’s Super Store”.
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